Sei sulla pagina 1di 7

lOMoARcPSD|3670644

Indikè di Arriano

Storia Greca (Università di Bologna)

StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)
lOMoARcPSD|3670644

INDIKÈ DI ARRIANO

Introduzione
Il titolo Indiké, comunemente attribuito all’opuscolo che Arriano compose come appendice alla sua
“Storia di Alessandro”, è fuorviante. Compare nell’archetipo dei codici arrianei, redatto fra la fine del XII
e gli inizi del XIII secolo. Il titolo non rispecchia con precisione il contenuto dell’opuscolo infatti esso si
addice solo alla sua prima parte, comprensiva dei capitoli I-XVII, dove il mondo indiano è descritto in un
quadro che riflette fedelmente lo stato delle indagini condotte a loro tempo dalle fonti usate di Arriano.
La seconda parte, che si conclude con il capitolo XLII, è in realtà il succinto e non sempre diligente
estratto del “Periplo” di Nearco, che descrive il tratto settentrionale della costa dell’Oceano Indiano, a
partire dalla foce dell’Indo, e la contigua costa affacciata sul Golfo Persico. L’autore, originario dell’isola
di Creta e comandante della flotta di Alessandro Magno durante la ritirata dall’India, si era messo in
viaggio da un porto sull’Indo ed era giunto fino alla foce dell’Eufrate; poi era tornato a ritroso alla foce
del Tigri per dirigersi verso Susa. Infine, il capitolo XLIII contiene una riflessione tutta arrianea, vi è
discussa (in forma ipotetica) l’effettiva capacità che la marineria dei tempi di Alessandro avrebbe avuto
di circumnavigare la penisola arabica e il continente africano nella direzione opposta a quella che due
secoli prima era stata intrapresa dal Cartaginese Annone. L’ Indiké non ha un proemio ed entra subito
nel vivo dell’argomento. La spiegazione di ciò risiederebbe in una forma di rigetto della prassi ordinaria
rispettata da ogni autore e che si trovava già nella promessa fatta da Arriano ai lettori nella “Storia di
Alessandro”. Questa sorta di recusatio a impegnarsi su un fronte periferico rispetto all’assunto
fondamentale dell’opera maggiore, tesa a sua volta a celebrare con la stessa enfasi dei contemporanei
la trionfale avanzata di Alessandro Magno in Oriente, era stata rispettata subito dopo. Due temi
ineludibili per l’etnografia relativa all’India erano stati al momento sacrificati perché rischiavano di
sovrapporsi con tutto il loro spessore alla narrazione storica, interrompendone la continuità: il primo
aveva come soggetto l’idrografia dell’India e suscitava nei cultori delle scienze geografiche un interesse
straordinario, incentivato dal raffronto delle piene dei principali fiumi indiani con l’annuale inondazione
del Nilo; il secondo imponeva una riflessione sulla sapienza dei “sofisti” indigeni, che aveva intrigato
Alessandro, poi Megastene e quanti si erano occupati dell’India. L’ordine dei due argomenti
fondamentali nei quali lo stesso opuscolo è ripartito: al primo posto la trattazione sull’India, al secondo
la descrizione del viaggio per mare di Nearco. Il primo argomento funge la lungo preambolo; al secondo
deve essere attribuita la maggiore importanza. L’Indiké punta, non tanto a far conoscere usi e costumi
degli Indiani e il loro paese, quanto a seguire Nearco e la sua flotta, dal momento della separazione dal
resto dell’esercito di Alessandro che si ritirava dalla foce dell’Indo via terra, fino al sospirato
ricongiungimento con il re in Persia. I primi diciassette capitoli sono volutamente declassati a
preliminare e inorganico excursus geo-etnografico della materia che meglio si connette con alcune fra
le questioni centrali dell’opera storica. Gli altri le restituiscono una sorta di integrità, tornando
circolarmente a concentrarsi sulle imprese del Macedone. Nell’opera principale Arriano aveva reso note
le fonti da cui aveva attinto per la stesura dell’Indiké, nell’ordine (non solo cronologico ma anche
imposto dalla frequenza di uso): Nearco, Megastene e Eratostene. Da un immediato riscontro
quest’ultimo risulta chiamato in causa soltanto nella prima parte del III capitolo. Non se ne deve
concludere che Eratostene sia stato preso in considerazione solo in via eccezionale e quindi subito
soppiantato dagli altri due autori. Arriano ha senza dubbio continuato a consultarlo e, sebbene lo citi
unicamente in una occasione, dietro alcune sue affermazioni ne lascia intravedere ancora l’autorità.
Nella prima parte dell’opuscolo è Megastene ad avere il perso preponderante. Fiorito fra il 350 e il 290
a.C., questo funzionario al servizio di Seleuco I Nicator (re di Macedonia) aveva condotto a termine una
o più missioni diplomatiche presso la corte del re degli indiani. Questo incarico non doveva essere dei
più difficili e pericolosi, se aveva avuto come risultato il rafforzamento delle relazioni con il re indiano.
In un clima di intesa fra le due potenze Megastene aveva visitato la capitale indiana e durante il
soggiorno nella città e nei vari spostamenti all’interno del regno aveva avuto l’opportunità di farsi
un’idea degli indiani e di raccogliere varie informazioni sui loro usi e costumi; tornato a mansioni più
sedentarie in patria, aveva riscritto con maggior completezza i suoi appunti in uno scritto noto con il
titolo di Indikà. Divisi in più libri essi possono essere suddivisi in:

- libro I: geofisico, flora, fauna, popolazione


- libro II: forme di governo, usi e costumi
- libro III: contesto sociale e filosofia
- “libro IV”: miti e storie della popolazione indiana

Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)


lOMoARcPSD|3670644

Arriano riassume questi libri e li ricompagina nell’ordine dei primi diciassette capitoli dell’Indiké. Il suo
approccio alle fonti è avvenuto sempre con quel rispetto della verità, o della verosimiglianza, di cui
parla nell’esordio e che ribadisce nel quinto libro della “Storia di Alessandro”. Mentre per Megastene e
Eratostene, giudizio positivo a parte, non sempre ne condivide il pensiero, per contro, Arriano sembra
aver riposto una fiducia senza riserve in Nearco. Il documento nearcheo non deve essere considerato
una scarno diario che assolveva unicamente alle funzioni logistiche per cui era stato in principio redatto
e com’era nella natura dei Peripli. Nella redazione finale del “Periplo” dovevano distinguersi
verosimilmente tre parti:

- La prima si apriva con la descrizione dell’allestimento della flotta di Alessandro sulle rive
dell’Hydaspes e ne seguiva la discesa sino alla foce dell’Indo
- La seconda esponeva punto per punto il viaggio per mare di Nearco da lì fino alla foce
dell’Eufrate
- La terza dava conto della risalita della flotta fino a Susa, sua destinazione finale, con l’annuncio
della morte di Alessandro e dell’imminente (e mai portata a compimento) nuova ricognizione
della costa occidentale del Golfo Persico.

La parte sul percorso marittimo sarà stata a sua volta suddivisa in due sezioni: la prima doveva aprirsi
con i preliminari della partenza dalla foce dell’Indo e concludersi con l’arrivo della flotta nel porto di
Harmozeia, la seconda doveva descrivere la navigazione successiva fino al fondo del Golfo Persico. I
frammenti superstiti consentono di osservare che gli argomenti affrontati nell’opera di Nearco, di
contro alla presunta specificità del titolo, spaziavano su vari campi. Erano materia non indegna di un
logos erodoteo, dalla quale lo spirito di osservazione del navarco era esaltato; ed egli con tutta
probabilità la esponeva appoggiandosi ai metodi e agli stilemi consueti dell’etnografia greca. Se
effettivamente Nearco è andato a cercasi un modello, sarà stata soprattutto la frequentazione di
Erodoto che deve averlo portato anche ad affinare la tecnica espositiva, facendone emergere anche
insospettabili doti di narratore. Dove il singolo soggetto trattato gli consentiva di interrompere la
monotona ripetitività dello stile “da periplo”, scandito cioè sulla puntuale registrazione delle partenze e
degli arrivi, il suo narrare assumeva cadenze più animate o solenni, tanto da avvicinarsi allo stile
dell’epica o a quello “drammatico”.

Nella prima sezione del nostro opuscolo Arriano ha modo di citare fra le sue fonti altri due autori: Ctesia
e Onesicrito; tuttavia le citazioni non implicano di necessità che egli ne abbia letto integralmente gli
scritti, quanto piuttosto ne abbia trovato ampi estratti in quelli degli autori già citati sopra. Ctesia di
Cnido, medico di professione, era vissuto per diciassette anni, tra la fine del V e gli inizi del IV secolo,
prima come prigioniero, poi come ospite, alla corte del re di Persi Artaserse Mnemon. Lì o forse in
patria, dopo il suo ritorno, aveva composto vari trattati geo-etnografici fra i quali uno di Indikà. Arriano
sembra non aver tenuto in gran conto questa produzione per i seguenti motivi:

- in nessun punto dei suoi scritti quest’autore avrebbe potuto dargli la certezza di aver percorso
tutto il territorio indiano o almeno una sua buona parte, ostentando quindi competenze pari o
superiori a quelle che più tardi avevano dimostrato di possedere gli storici di Alessandro e
Megastene. Per portare a buon fine il lavoro Ctesia era ricorso a informatori persiani più di
quanto si fosse avvalso delle proprie conoscenze.
- più di una volta l’interpretazione ctesiana di eventi storici o di aspetti particolari inerenti al
mondo orientale si era proposta come un invidioso riesame della corrispondente versione
erodotea, il fatto non poteva piacere a Arriano in quanto era un convinto estimatore di Erodoto.
- Ctesia era stato esautorato da ogni credibilità da lettori assai competenti e ancor meno
tolleranti di Arriano nel tollerare la propensione a raccontare tutto ciò che fosse o potesse
essere fatto apparire eccessivo o abnorme.

Uno dei banchi di prova più stimolanti per intervenire politicamente sugli scritti di Ctesia era la versione
che questi aveva trasmesso in merito alle presunte invasioni dell’India ad opera di vari condottieri,
mitici e non, prima dell’avvento di Alessandro. L’esempio più clamoroso di come sconfessava le tesi
ctesiane era la storia di Semiramide. Il dissenso di Megastene rispetto al predecessore in merito
all’impresa indiana dell’eroina era radicale e stroncatorio e immaginabilmente esternato con strumenti
più probanti e una documentazione più doviziosa di quanto non lasci trasparire lo scheletrico accenno
di Arriano. Il meritorio processo di revisione messo in atto da Megastene sull’opera di Ctesia non ne
salvava il metodo non del tutto ortodosso e alquanto ambiguo nella procedura tanto che Arriano ha
dovuto barcamenarsi fra le contraddizioni che vi riscontrava. Se Megastene aveva colto al volo qualche
buona occasione per rimarcare la falsità di Ctesia, talora era incorso nelle stesse tentazioni. Si può
intuire il disagio di Arriano di dover da un lato recepirne l’impegno innovativo e dall’altro perdonarne e
tener celate le inverosimiglianze. Quanto a Onesicrito di Astipalea Arriano non si premura certo di

Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)


lOMoARcPSD|3670644

rivalutarlo dopo averne denunciato l’inattendibilità ancora a proposito delle dimensioni dell’India.
Arriano era rimasto colpito dall’immagine che Onesicrito aveva offerto di sé nella sua contrapposizione
a Nearco e per tutta evidenza ne ha tratto la misura della serietà maggiore di quest’ultimo. Nel corso
della navigazione nelle acque dell’oceano Indiano Onesicrito aveva tentato di arrogarsi compiti che
competevano a Nearco tanto da farsi aspramente richiamare all’ordine dal suo superiore. La sua
insolenza aveva trovato modo di esprimersi senza più ostacoli nel momento in cui, nel redigere la
“Storia di Alessandro”, aveva presentato il proprio ruolo di pilota della nave ammiraglia in una versione
troppo eccedente nei propositi auto encomiastici. Arriano dunque ne avrà tratto buone ragioni per
giudicarne sospetta la narrazione anche in attinenza ad altri eventi o situazioni di cui lo storico di
Astipalea si professasse diretto testimone o semplicemente informato da altri. Il motivo per cui l’opera
storica di Onesicrito non ha suscitato un benevolo interesse nel nostro autore dipende dal fatto che
questi ne ha conosciuto soltanto i passi divenuti più tardi oggetto delle postille a margine o delle
confutazioni di Nearco. La propensione ad inventarsi eventi storici o episodi di cronaca o a deformarli
nella sostanza aveva fatalmente esposto Onesicrito a censure del tutto simili a quelle di cui era rimasto
vittima Ctesia. Nella fase di collocazione o di ripescaggio del materiale informativo sulla regione indiana
Arriano fu tentato di ricorrere alle opere di Aristobulo o Tolemeo. Più utile agli scopi dell’Indiké sarebbe
tornato il primo, che nei suoi libri aveva dispensato particolari sull’India con prodiga continuità e certo
con maggior frequenza rispetto alla parallela narrazione di Tolemeo. Per contro, quest’ultimo doveva
esser stato sempre un po’ avaro di notizie di contenuto geo-etnografico, quando si consideri che si era
impegnato soprattutto a ricostruire gli scenari di guerra perché meglio ne uscissero illuminati il
coraggio e la genialità di Alessandro in campo militare. Il personale apporto di Arriano, al momento di
redigere l’Indiké, è cosistito nello sforzo di ridurre in compendio e ricomporre in un mosaico le opere di
Nearco e Megastene, alterandone forse la struttura originaria, ma restando fedele al senso generale e
alla sostanza. L’Indiké non trova spazio per eventuali sovrapposizioni dell’autore a complemento o a
chiarimento delle fonti. Solo tre volte nel suo contesto è possibile riconoscere inserti meritevoli di
essere considerati di fresca attualità:

- Dopo aver segnalato il mitico rinvenimento di una perla nei mari indiani da parte di Eracle,
Arriano conferma che il costoso ornamento femminile conserva immutate le sue attrattive e la
sua domanda sul mercato romano è addirittura aumentata rispetto a quella che era in età
ellenistica
- All’interno del capitolo dedicato agli elefanti, egli adduce una testimonianza autoptica sulla
versatilità di cui fanno mostra i pachidermi una volta che siano stati ammaestrati
- Dichiara di non voler dilungarsi sui pappagalli e sulle scimmie dell’India perché ne dà per certa
la perfetta conoscenza anche da parte dei lettori.

Testo
I: un tempo gli indiani furono sudditi degli Assiri, successivamente passarono dalla dominazione dei
Medi (popolazione iranica) a quella dei Persiani. I Nisei invece non sono una popolazione indiana, ma
gente venuta in terra indiana con Dioniso, forse Greci divenuti inabili all’esercizio delle armi nel corso
delle guerre che Dioniso ebbe a sostenere contro gli indiani o forse indigeni che il dio con il loro
consenso aggregò ai greci, chiamando la regione Nysaia e la città principale Nysa.

II: la regione che va dall’Indo verso oriente è la terra che viene chiamata India, come indiano vengono
chiamati i suoi abitanti. Il confine dell’India è segnato sempre dall’Indo fino all’oceano, dove il fiume
sbocca diviso in due corsi.

III: Arriano dice di fare affidamento su Eratostene di Cirene, perché si è assiduamente occupato di
geografia. Secondo Eratostene il lato dell’India che, seguendo il corso dell’Indo, va dal monte Tauro fino
alla foce dell’oceano. Egli considera come lato opposto quello che corre dal medesimo monte lungo
l’oceano orientale, ma che non è più della stessa lunghezza del primo, bensì maggiore. Ctesia di Cnido
pretende che l’India sia grande quanto il resto dell’Asia, ma la sua è un’affermazione priva di senso.
Nearco dichiara che l’attraversamento della pianura indiana richiede quattro mesi. Per Megastene la
larghezza dell’India è quella calcolata nella direzione da oriente a occidente. In India vi sono tanti fiumi
quanti mai nel resto dell’Asia. I più grandi sono il Gange e l’Indo.

IV: Arriano dice che non gli è possibile fornire notizie del tutto sicure sui territorio al di là dell’Hyphasis,
perché Alessandro non avanzò oltre questo fiume. Dei due fiumi più grandi, il Gange e l’Indo, il Gange è
di gran lunga, a detta di Megastene e degli altri che se ne sono occupati, il maggiore. Spiegazione di
dove nasce il Gange, della sua lunghezza e dei suoi affluenti, e di altri fiumi indiani tra cui anche
l’Hydaspes. La maggior parte di questi fiumi, a detta di Megastene, è navigabile.

Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)


lOMoARcPSD|3670644

V: Megastene ha riferito i nomi di molti altri fiumi che, a parte il Gange e l’Indo, sfociano nell’oceano
Orientale e Meridionale; sicchè il numero complessivo dei fiumi indiani risulta essere di ventotto, tutti
navigabili. Ma all’autore non sembra che Megastene abbia percorso molta parte dell’India, se non più di
quanta ne percorsero coloro che furono al seguito di Alessandro. È tradizione ampiamente diffusa che
prima di Alessandro solo Dioniso abbia marciato contro gli indiani e li abbia assoggettati, non
altrettanto si dice di Eracle. Testimonianze della spedizione del dio sono la città di Nysa e il monte
Meros mentre non sono molte e verosimili le testimonianze a memoria di Eracle (da non confondere
con l’Eracle tebano della mitologia).

VI: non tutto di quello che hanno scritto gli altri autori sugli indiani che vivono al di là del fiume
Hyphasis è degno di fede; fino all’Hypasis la narrazione di coloro i quali fecero parte della spedizione di
Alessandro non è del tutto inverosimile. Il territorio indiano è bagnato dalle piogge in estete,
soprattutto i rilievi montuosi da cui in seguito scendono grandi e impetuosi fiumi. A primavera la
pioggia cade anche in pianura, al punto che buona parte di essa si riduce a una palude, anche l’esercito
di Alessandro dovette sottrarsi alla furia di una delle piene estive. Da questi fenomeni si può trarre
spiegazione anche per quello che riguarda il Nilo. Per aspetto gli indiani non sono diversi dagli etiopi, i
più somiglianti questi ultimi sono gli indiani meridionali mentre gli indiani settentrionali si rapportano
piuttosto agli egizi.

VII: Megastene conta in India centodiciotto gruppi etnici. Arriano concorda con lui sul fatto che le
popolazioni indiane siano numerose, ma non ha elementi certi per stabilire quali conoscenze vengano
poste a fondamento dell’affermazione di Megastene. Anticamente gli indiani erano nomadi, non
avevano città o templi dedicati agli dei, ma indossavano pelli di animali uccisi durante la caccia e si
cibavano della corteccia di una pianta che in lingua indiana si chiama “tala”. Prima che Dioniso
giungesse nel loro paese mangiavano anche la carne cruda degli animali catturati ma una volta che il
dio li vinse, fondò città, impose delle leggi e procurò i semi per piantare. Sempre Dioniso aggiogò per
primo i buoi all’aratro e rese la maggior parte degli indiani coltivatori e li munì di armi. Insegnò loro a
venerare gli altri dei e lui stesso li istruì nella danza dei satiri. Suggerì anche di portare i capelli lunghi e
coprirli con un turbante in onore della divinità e come ungersi di profumi.

VIII; partitosene dall’India Dioniso lasciò come re del paese Spatembas, uno dei suoi compagni, morto il
re gli succedette al trono suo figlio. A quest’ultimo succedette sul trono il figlio Cradeuas e a partire da
lui si avvicendarono per lungo tempo di generazione in generazione sempre padri e figli. Se la stirpe si
esauriva, allora si nominava chi aveva i migliori requisiti. Invece Eracle è definito dagli indiani “nato
dalla terra”. Megastene sostiene che il suo equipaggiamento è identico a quello dell’Eracle tebano
(quello della mitologia greca). Anche a lui in India nacquero numerosi figli maschi ma una sola
femmina, Pandaia. Le fonti indiane sostengono che dopo aver vagato su tutte le terre e i mari Eracle
rinvenne in mare un oggetto: la perla. Spiegazione di come si pescano le ostriche con le perle.

IX: nella regione in cui regnò la figlia di Eracle le donne sono maritate all’età di sette anni mentre gli
uomini vivono al massimo quarant’anni. In merito gli indiani raccontano una storia. Eracle, al quale la
figlia era nata quando era in età avanzata, come si rese conto di essere prossimo a morire e non
trovando un uomo degno di riceverla in sposa, si unì a lei, che allora aveva sette anni, per lasciare agli
indiani una stirpe di re che discendesse da entrambi. La rese pronta per il matrimonio e a da allora
tutta la stirpe su cui regnò Pandaia ebbe da Eracle lo stesso privilegio. A trent’anni gli uomini indiani
dovrebbero essere nell’età della vecchiaia, a venti adulti alle soglie della maturità, a quindici giovani
nel pieno dell’adolescenza. Pure per le donne il tempo delle nozze dovrebbe cadere, in rapporto all’età,
intorno ai sette anni. Anche i frutti, secondo Megastene, in questi luoghi maturerebbero presto e
deperirebbero prima di quanto non accada in altri luoghi. Alessandro fu il primo dopo Dioniso e Eracle a
spingersi fino all’India e ad assoggettarla.

X: gli indiani non innalzano monumenti ai defunti ma ritengono che ai morti siano sufficienti le virtù di
cui diedero prova e i canti con cui son celebrati. Il numero delle città indiane non è accertabile, tanta è
la loro moltitudine. Spiegazione dei vari tipi di case e della struttura della casa più grande di tutta
l’India. Tutti gli indiani sono liberi e non esiste un solo schiavo indiano. La prerogativa degli indiani è la
stessa di cui godono gli spartani, solo che gli spartani hanno al loro servizio gli iloti mentre gli indiani
non hanno schiavi.

XI-XII: tutte le comunità indiane sono suddivise in sette classi:

- una è quella dei sofisti, i meno numerosi ma i più apprezzati per saggezza e onori. I sofisti non
corre alcun obbligo se non di celebrare sacrifici agli dei per il bene della comunità. Fanno

Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)


lOMoARcPSD|3670644

predizioni sulle stagioni dell’anno e se qualche sciagura viene ad affliggere la comunità. Passano
la loro vita nudi, d’inverno sotto il sole e d’estate nei prati e nelle paludi all’ombra di alberi.
- La seconda classe è quella degli agricoltori, i più numerosi. Lavorano esclusivamente la terra e
pagano un tributo ai re o alle città che godono di autonomia. È sacrilegio invadere la terra di
questi lavoratori o saccheggiarla.
- La terza classe è quella degli allevatori, sono nomadi e trascorrono la loro vita sui monti; pagano
una tassa sul bestiame e vanno a caccia di uccelli e di animali selvatici.
- La quarta classe è quella degli artigiani e dei mercanti. Anche costoro sono soggetti a esazioni e
pagano un’imposta sul reddito derivante dalla loro attività, eccetto chi fabbrica armi. La quinta
classe è quella dei guerrieri, che sono secondi per numero solo agli agricoltori e che godono
della maggior libertà e prosperità. Ricevono dalla comunità uno stipendio molto alto.
- La sesta classe p quella dei cosiddetti ispettori. Costoro tengono sotto controllo ciò che accade
nella campagna e nelle città e ne fanno rapporto al re.
- La settima classe è quella dei consiglieri, del re o della città. Questa classe è limitata quanto al
numero ma è quella che gode di maggior credito quanto a saggezza e senso di equità.

XIII: gli indiani praticano la caccia a tutti gli animali selvatici come i greci, invece la caccia all’elefante
ha caratteristiche differenti, perché queste bestie non hanno nulla di simile alle altre. Spiegazioni delle
abitudini degli elefanti e di come vengono catturati e addestrati.

XIV: gli elefanti che sono ancora troppo giovani o che si ritiene non siano utilizzabili perché malati, sono
fatti tornare alle loro abitudini. Quelli trattenuti dopo la cattura sono portati nei villaggi e per prima
cosa si dà loro da mangiare.

XV: gli indiani considerano la tigre molto più forte dell’elefante. Nearco dichiara di aver visto la pelle di
una tigre ma che gli indiani ne stimano la grandezza, la velocità e la forza. Anche a proposito delle
formiche Nearco afferma di non aver visto personalmente nemmeno una del tipo che secondo alcuni
autori esisterebbero in India. Megastene sostiene che la storia che si racconta sulle formiche è vera e
che sono esse a estrarre l’oro dalle miniere per un istinto naturale che le porta a scavare la terra al fine
di costruirvi la tana. Nearco descrive anche il pappagallo. I medici greci non erano in grado di trovare
alcun antidoto contro i morsi dei serpenti indiani, i medici locali guarivano gli uomini che ne erano feriti.
In merito Nearco racconta che Alessandro si era circondato di un gruppo di medici indiani assai esperti
e aveva fatto circolare l’avviso che chiunque fosse morso da un serpente poteva recarsi alla tenda del
re. Questi medici erano in grado di curare anche molte altre malattie e ferite, nel caso di malattie molto
gravi si ricorreva ai sofisti.

XVI: descrizione della fattura degli abiti indiani, fatti con il lino, e della tenuta da combattimento in caso
di guerra.

XVII: gli indiani sono alti e magri. Come mezzi di locomozione i più usano il cammello, il cavallo o
l’asino. L’elefante è il mezzo di trasporto dei re, poi viene il carro e infine il cammello. Farsi trainare da
un solo cavallo è sinonimo di un ceto basso. Le donne si farebbero corrompere solo con un elefante in
dono. Gli indiani non considerano una vergogna il fatto che una donna si conceda in cambio di un
elefante anzi per la donna è motivo di orgoglio. Spiegazione di altre usanze.

XVIII: Alessandro, non appena la flotta fu pronta sulle rive dell’Idaspe, raccolti i Fenici, i Cipri e gli Egizi,
riempì con loro le navi, scegliendovi come ciurme e come rematori i più esperti. Elenco di tutti i
comandanti della flotta. Il pilota della nave che trasportava Alessandro era Onesicrito. A capo di tutti fu
posto Nearco. Quando tutto fu in ordine, Alessandro celebrò un sacrificio sia agli dei greci che a quelli
indiani. Poi indisse delle gare di musica e di atletica e fece distribuire in tutto l’esercito animali da
sacrificare.

XIX: quando tutto fu pronto Alessandro ordinò a Cratero di procedere con la fanteria e la cavalleria
lungo una delle rive dell’Hydaspes, lungo l’altra avanzava Efestione con il resto dell’esercito.
Quest’ultimo aveva con sé anche gli elefanti. Sia Cratero che Efestione avevano la consegna di
precedere con i loro eserciti la flotta e di aspettarla. Filippo, che Alessandro aveva nominato satrapo di
questa regione, fu inviato sulle rive dell’Acesines.

XX: Alessandro aveva desiderio di percorrere il tratto di mare compreso fra India e Persia, ma era
tenuto a freno dalla lunghezza del viaggio e dal timore che la flotta potesse perdersi. Nearco riferisce
che Alessandro si consultò con lui su chi scegliere come capo della flotta ma coloro che di volta in volta
gli venivano in mente non andavano bene. Allora Nearco si offrì per l’impresa. Alla fine Alessandro
accettò, dopo vari obiezioni, la proposta di Nearco e per la sua determinazione lo pose a capo della

Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)


lOMoARcPSD|3670644

flotta. Alessandro discese lungo le due foci dell’Indo fino al mare e celebrò sacrifici Poseidone e agli dei
marini.

XXI: Anche Nearco fece dei sacrifici e indisse una gara di atletica. Poi si mise in viaggio. Descrizione dei
primi giorni di viaggio.

DA XXII A XXXIX: descrizione del viaggio, riparazione delle navi che avevano subito danni e incontro
con Leonnato, con cui scambia alcuni marinai con alcuni soldati. Assedio di Cyiza per rifornirsi di
cereali. Ripresa del viaggio.

XL-XLI: descrizione del viaggio in Persia e approdo in un villaggio sulla foce dell’Eufrate.

XLII: viene annunciato che Alessandro è in marcia alla volta di Susa. Nearco allora ritorna indietro per
raggiungere Alessandro. A Susa l’esercito si riunisce ad Alessandro che fa celebrare sacrifici per la
salvezza degli uomini e della navi e organizza dei giochi. Nearco viene omaggiato da tutto l’esercito in
quanto ha portato in salvo la sua parte dell’esercito e ha sconfitto i popoli nemici durante il viaggio.

XLIII: breve descrizione delle aree arabiche analizzate da alcuni esploratori di Alessandro.

Scaricato da Riccardo Fofi (riccafofi@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche