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ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO

Linguistica: ha a che fare con le lingue. Definizione più accreditata: studio scientifico delle lingue
naturali.

Studio scientifico: mira a studiare un’amplia fenomenologia, un numero molto ampio, infinito di
fenomeni e ridurli a poche leggi, pochi principi generali, facilmente enunciabili. La formula per
calcolare l’area di un triangolo, vale per tutti i triangoli. Un solo principio generale facilmente
enunciabile. Faremo la stessa cosa con le lingue. Anche solo considerando una lingua, combinazioni
diverse infinite. Se poi oltre all’italiano consideriamo l’inglese, il francese, il tedesco, i dialetti e tutte le
varie lingue e varietà del mondo, ovviamente si raggiunge un numero estremamente grande di
fenomeni diversi. Questi fenomeni cerchiamo di enunciarli con poche regole, pochi principi, una serie
di regole abbastanza limitata.

Lingue naturali: si intende le lingue umane apprese in contesto spontaneo. A cosa sono opponibili?
Da un lato con il linguaggio degli animali, che hanno sistemi di comunicazione, meno complessi ma
anche loro comunicano. Dall’altro lato, le lingue artificiali (ad es. il linguaggio dell’informatica, creato a
tavolino). Vi sono alcuni esperimenti, come l’esperanto. Lingua universale, che va a riprendere la
situazione biblica prima della Torre di Babele, quando tutti riuscivano a comunicare con tutti. Lingua
creata a tavolino, basata sulle lingue più parlate del mondo, che cerca di creare un linguaggio con cui
tutti quanti possano comunicare. Da un lato potrebbe sembrare utile, di fatto questo esperimento è
fallito. Perché l’esperanto non è una lingua naturale, non è la lingua materna di nessuno. Nessuno la
riconobbe come propria. L’inglese oggi viene definito un po’ come il moderno esperanto, una lingua
che unisce tutti, che però è anche la lingua materna di diversi milioni di persone. Per molti L1, per
molti L2 (seconda lingua, come in India). La lingua inglese è una lingua naturale, mentre l’esperanto
no.
L’oggetto del nostro corso sono le lingue naturali che gli umani, i bambini, apprendono poco dopo la
nascita. Prenderemo queste lingue naturali e cerchiamo di vedere cos’hanno in comune, come
studiarle dal punto di vista scientifico.

Proprietà che caratterizzano le lingue naturali (e le oppongono agli altri tipi di linguaggi
menzionati):
1) Discretezza: l’opposto di discreto è continuo. Le lingue umane sono discrete, i linguaggi degli
animali sono continui. Discreto significa che gli elementi che compongono il linguaggio umano
hanno limiti ben definiti, nettamente separabili l’uno dall’altro, non c’è un continuum.
Esempio: vivo - morto sono due aggettivi discreti, una persona o è viva o è morta. Invece
caldo - freddo, c’è una gradazione che va dal gelido, al freddo, al tiepido, al caldo, al bollente, e
via dicendo. Da un polo opposto all’altro c’è tutta una serie di gradazioni. I suoni del linguaggio
umano sono discreti, il nostro cervello li percepisce per unità discrete. Prendiamo una coppia
di parole come mano-meno (coppia minima), la “a” è la vocale più aperta di tutte. Se chiudo un
po’, ad un certo punto pronuncio la “e”. Fino ad un certo punto di apertura della cavità orale, il
mio cervello percepirà a, quindi mano, ad un certo punto percepisce meno. Sono separate, no
via di mezzo tra uno e l’altro. Stessa cosa con palla-balla, la p e la b sono suoni simili, uno
sordo uno sonoro, articolati nello stesso modo. Non c’è una via di mezzo tra p e b che sia metà
sordo e metà sonoro, come il tiepido per caldo-freddo. Il mio cervello percepisce e discrimina.
I linguaggi animali sono continui. Il gatto drizza il pelo quando ha paura, può drizzarlo di più o
di meno, c’è una gradazione. Uno dei linguaggi animali più studiato è quello delle api, quando
individuano una fonte di cibo, devono comunicare l’ubicazione della fonte. Fanno una specie di
danza, ronzio circolare. Più ricca è la fonte, più intensa sarà la danza, più lontana la fonte, più
ampio il cerchio che descrivono. Vi è una gradazione, comunicano informazioni in maniera
continua. C’è un continuum, per esempio, tra una fonte vicina e una lontana.
2) Doppia articolazione: collegata alla discretezza, il nostro linguaggio è articolato su due piani
paralleli. Da un lato abbiamo un numero di elementi piuttosto piccolo, fonemi, ovvero i suoni
della nostra lingua. I suoni dalla capacità distintiva sono un numero limitato, circa 30. In altre
lingue potranno essere 50, ma sempre numero basso e limitato. Con questo numero limitato di
suoni possiamo creare un numero infinito di parole e frasi diverse. Con un numero
piccolissimo di elementi dal valore distintivo (capaci di distinguere significati diversi, palla-
balla, p e b hanno valore distintivo in italiano). Raffronto con le lettere dell’alfabeto: 21 lettere
(26 se mettiamo quelle in prestito da altre lingue): con 26 segni diversi possiamo scrivere
infinite parole e frasi diverse, lo stesso vale con i suoni. Negli studi di linguistica si privilegia la
lingua orale, prima di scrivere si impara a parlare in maniera spontanea. Mentre a scrivere ci
insegnano. Il parlato precede lo scritto e avviene in maniera spontanea (a prescindere dal
livello di istruzione delle persone che circondano il bambino), lo scritto viene insegnato. Ci
sono tante persone, interi popoli, che non hanno mai scritto, se pensiamo soprattutto
all’antichità. Tutte queste persone non sapevano scrivere, ma comunicavano, sapevano parlare.
Lo stesso vale per i dialetti, o varietà di lingua mai state scritte. Da una parte ci sono i fonemi,
dall’altra parte tutte le parole e le frasi del linguaggio umano; con un numero limitato di fonemi
si possono creare parole e frasi infinite, infiniti oggetti linguistici. Ciò non caratterizza i
linguaggi animali, le varie cose che gli animali comunicano non sono scomponibili in unità
minori che poi possono essere ricomposte in altro modo.
3) Ricorsività: si intende il poter creare un oggetto linguistico che ne contenga un altro. Parto da
un oggetto linguistico, frase breve come per esempio “Gianni mangia la mela” e posso creare un
oggetto linguistico più ampio che lo contenga (“Maria ha detto che Gianni mangia la mela”). Si
può continuare: “Tutti pensano che Maria abbia detto che Gianni mangia la mela”. Replicabile
all’infinito in teoria, in pratica più di 3, 4 frasi una dietro l’atra non le avremo. Però la
ricorsività e la capacità di creare atti linguistici sempre più ampi che contengano quelli di
partenza, è una capacità dei linguaggi umani, come una specie di matrioska. Ciò può avvenire
anche attraverso la congiunzione “e”: “Gianni è bello”, “Gianni è bello e intelligente”, “Gianni è
bello, intelligente e simpatico”, e via dicendo. Questa capacità non caratterizza i linguaggi degli
animali. Pare che abbiano provato ad insegnare agli scimpanzé a parlare, qualche individuo ha
ottenuto buoni risultati. Non gli è stato insegnato a parlare con la voce (non sono dotati del
nostro stesso apparato fonatorio) ma con i segni, linguaggio gestuale. Alcuni scimpanzé sono
riusciti ad imparare anche 200 parole. Poi hanno provato ad insegnare loro la ricorsività , ossia
a inserire le frasi minime che avevano appreso una dentro l’altra, e questa è una capacità che
non riuscivano ad apprendere, in quanto tipica del linguaggio umano.
Queste tre proprietà , discretezza, doppia articolazione e ricorsività , distinguono il linguaggio umano
da quello degli animali. Il linguaggio dell’informatica ha queste proprietà . Come distinguere le lingue
umane, apprese in modo spontaneo, da questi linguaggi creati artificialmente? L’ultima proprietà è la
dipendenza dalla struttura.
Dipendenza dalla struttura: per quanto riguarda le lingue umane, quando analizziamo una
produzione, una frase per esempio, non teniamo in considerazione solo l’ordine lineare degli elementi,
ciò che invece fanno i computer che, analizzando un oggetto, tengono in considerazione il rapporto che
questo oggetto ha con ciò che viene prima e ciò che viene dopo, quindi con gli elementi adiacenti. Nel
linguaggio umano non è così, quando interpretiamo una frase dobbiamo tenere presente una struttura
gerarchica degli elementi che è innata nel nostro cervello, e che ci permette di analizzare la frase anche
istaurando dei rapporti “a distanza”.
“Il segretario del re si pettina”: il riflessivo “si” si riferisce al segretario, non al re. Chiunque saprebbe
capirlo, anche i bambini. Nella testa abbiamo una sorta di struttura gerarchica che prescinde
dall’ordine lineare. Il “si” è adiacente al re, non al segretario; sarebbe anche compatibile, essendo una
terza persona. Perché scegliamo il segretario che è distante? Abbiamo una struttura gerarchica in testa
di cui siamo inconsapevoli, ci permette di interpretare la frase nel modo giusto, condiviso. Si istaurano
rapporti a distanza tra il “si” e il “segretario”.
“Gianni guarda le ragazze con il binocolo”: frase ambigua che ha due letture. La prima lettura, più
comune, è quella che prescinde dall’ordine lineare, Gianni guarda le ragazze che hanno il binocolo in
mano, oppure Gianni guarda le ragazze attraverso il binocolo. L’interpretazione che diamo per prima è
quella che istaura un rapporto a distanza. L’ordine lineare non sempre dà la risposta giusta. Spesso
interpretiamo le frasi seguendo un ordine che abbiamo in testa. Spesso queste cose che sappiamo in
modo inconsapevole non ci vengono insegnate. Non viene insegnato a chi si riferisce il riflessivo nella
frase.

Dicotomia tra competenza ed esecuzione


Si tratta di due aspetti del linguaggio.
Quando abbiamo parlato della ricorsività , quindi della capacità di inserire un oggetto linguistico
dentro uno più grande che lo contenga, e poi quello dentro uno più grande ancora (e così via), abbiamo
detto che il processo è reiterabile, in teoria all’infinito. Ciò significa che per la nostra competenza, per
quello che noi sappiamo della lingua, questo processo è reiterabile. Viceversa, nella nostra esecuzione
(ovvero quando mettiamo in pratica la lingua – ogni volta che parliamo o scriviamo) sarà difficile che
avremo più di tre frasi una dentro l’altra.
Ci sono quindi due piani distinti: da un lato abbiamo la competenza, quello che sappiamo della lingua,
e dall’atro abbiamo l’esecuzione, ossia quello che facciamo con la lingua. La competenza è su un piano
astratto, mentale, mentre l’esecuzione è su un piano concreto, fisico.
Competenza: ciò che sappiamo della lingua per parlare nel modo in cui si parla e per capire nel modo
in cui si capisce / La competenza è la capacità tipica del parlante nativo di dare giudizi di
grammaticalità . La competenza per definizione è perfetta in un parlante nativo. Per convenzione
dunque, abbiamo una competenza perfetta della lingua che impariamo da bambini, salvo casi di
patologie. Dare giudizi di grammaticalità significa saper giudicare la lingua ma non in base al valore,
quindi non giudizi di valore, ma di grammaticalità (significa saper dire “si, questa frase fa parte della
mia lingua, fa parte del mio repertorio”). Allora un parlante nativo, anche un bambino prima di andare
a scuola, è in grado per esempio di correggere uno straniero. Se uno straniero dice *io si pettino
(l’asterisco davanti indica che la frase è agrammaticale), anche un bambino può correggerlo,
nonostante non sappia ancora cosa siano i riflessivi. Ogni parlante nativo è quindi in grado di dare
giudizi di grammaticalità , ovvero dire “la frase *io si pettino non è una frase della mia lingua, della
lingua di cui sono competente in quanto parlante nativo.
Esecuzione: l’esecuzione è quello che noi facciamo con la lingua, quando noi mettiamo in atto la
lingua. Siccome l’esecuzione è un fatto fisico e concreto, e non mentale e astratto, può anche contenere
degli errori. Molto spesso capita che l’esecuzione non avvenga correttamente, ad esempio quando
abbiamo dei lapsus, quando ci si attorciglia la lingua, quando siamo emozionati. Questo succede perché
l’esecuzione è un fatto fisico, ogni esecuzione è diversa dalle altre, possono esserci tanti fattori che
disturbano l’esecuzione, come l’ansia, l’emozione, la fretta, limiti di memoria, e così via. Molto spesso
però il parlante si rende conto di aver fatto un errore e si autocorregge, in quanto la competenza è
intatta anche se l’esecuzione è scorretta.

Giudizi di grammaticalità / giudizi di valore:


Confronto tra la frase *io si pettino e a me mi piace il gelato  la prima frase è agrammaticale, non fa
parte della mia lingua, non la direbbe nemmeno un bambino, potrebbe dirla solamente uno straniero
alle primissime armi (non avendo una perfetta competenza). Dicendo invece che la seconda frase è
sbagliata, do alla frase un giudizio di valore, perché non è sbagliata, non viola nessun principio della
grammatica, mentre la prima fase si, viola il principio dell’accordo tra persona e aggettivo. Nel secondo
caso, si tratta di un giudizio di valore, la seconda frase non è una frase della varietà di italiano standard
riconosciuta e insegnata a scuola, si tratta di un errore di registro (usare una forma colloquiale in un
contesto scolastico in cui si pretende che venga eseguita la varietà standard che viene insegnata).
Quando metteremo l’asterisco davanti alla frase durante il corso (*) daremo giudizi di grammaticalità .
La grammatica che di cui tratteremo è descrittiva, non normativa. Descriviamo ciò che avviene, le frasi
effettivamente in uso, e “a me mi” fa parte di quelle. Non diamo giudizi di valore, ma solo grammaticali.

I concetti di competenza ed esecuzione sono dovuti a Noam Chomsky, uno dei principali linguisti del
‘900, tuttora vivente, americano. I concetti di competenza come lingua astratta – chiamata da lui lingua
i (interna) – e di esecuzione - sarebbe la lingua e (esterna) derivano da lui, e si rifanno alla capacità del
madrelingua di dare giudizi e quello che sa della lingua in quanto parlante nativo vs quello che fa con
la lingua quando la mette in atto, nell’esecuzione della quale si possono commettere errori. Di questi
due aspetti ne aveva già parlato a inizio ‘900 colui che è considerato il padre della linguistica moderna,
Ferdinand De Saussure, svizzero (“Corso di Linguistica generale”). Uno dei primi a fare la distinzione
tra i concetti di langue e parole. Il primo a vedere nella lingua questa dicotomia. La parole di De
Saussure è molto simile a quella che poi Chomsky ha chiamato esecuzione, anche lui infatti parla di
“atti di parole”, facciamo un atto di parole ogni volta che mettiamo in pratica la lingua. Il concetto di
langue di De Saussure è un po’ diverso dal concetto di competenza di Chomsky. Chomsky vede la
competenza come un fatto individuale (quello che io so della lingua), la mia capacità di formulare le
frasi e di interpretare le frasi degli altri, dare giudizi. La langue di De Saussure invece ha un aspetto
sociale, si riferisce alla lingua di una comunità in un dato periodo. Per esempio, la langue italiana
sarebbe quella parlata in Italia all’inizio del XXI secolo, diversa da quella che veniva parlata cent’anni
fa. È qualcosa che prescinde dell’individuo: lui diceva che la sua lingua è qualcosa che esisteva prima
che nascesse e che continuerà dopo che sarebbe morto. Lingua condivisa da una comunità , se non
fosse condivisa da tutti non ci capiremmo. Chomsky mette l’accento sull’aspetto astratto, mentale della
lingua. Se uno diventa afono (perde la voce), perde la capacità dell’esecuzione, però non perde la
competenza, la capacità mentale di dare giudizi, di capire quello che gli altri dicono rimane intatta. Vi
sono però casi gravi in cui uno può perdere la competenza, come in caso di danni cerebrali (si parla di
afasia). Patologie che vanno a compromettere la nostra capacità di parlare, competenza ed esecuzione.

Acquisizione di L1 (altra teoria sviluppata da Chomsky)

Con acquisizione di L1 si intende l’acquisizione della prima lingua, si intende il bambino che nei primi
mesi, anni dopo la nascita, apprende in maniera del tutto spontanea il suo linguaggio. È un fenomeno
un po’ misterioso. Quando ci si approccia ad una lingua straniera, impararla sembra una cosa molto
difficile. Però sapendo già la nostra lingua, rispetto al bambino appena nato, ci sembra di partire un po’
avvantaggiati. Per definizione, siamo perfettamente competenti nella nostra lingua materna, abbiamo
studiato, sappiamo analizzare la nostra lingua, perché è così difficile apprenderne un’altra? Un
bambino che non sa nulla, nel giro di poco tempo riesce a sviluppare la sua competenza perfetta. Se
paragonassimo l’acquisizione del linguaggio all’acquisizione delle altre competenze, gli adulti sono
meglio dei bambini ovviamente. Se insegno la matematica, o anche attività pratiche come fare la pizza,
chiaramente è l’adulto quello che impara meglio. Per quanto riguarda le lingue i bambini sono meglio
degli adulti. Se prendiamo l’esempio di una famiglia che si trasferisce in Italia, da una parte ci sono gli
adulti che hanno tutto l’interesse nell’apprenderla, ci si mettono d’impegno cosicché potranno trovare
lavoro, che studiano, seguono corsi, hanno moltissimi ausili; dall’altra parte abbiamo il figlio che va
all’asilo nido, non studia, non si impegna, ma impara meglio. Tutto ciò è misterioso. Un bambino parte
non parlando per nulla, stadio zero (S0). Abbiamo nel nostro dna la capacità di imparare la lingua, ma
non sappiamo parlare. Attraverso stadi successivi, come S1, S2, S3 … arriviamo fino allo SS = stadio
stabile. Sarebbe la competenza del parlante nativo. Un adulto che impara la L2, parte dallo S0, passa
allo S1, S2, S3, ecc. Egli cerca di approssimarsi allo stadio stabile ma non è detto che ci arrivi, in pochi
casi avviene ciò . Il bambino può farlo; se fin da piccolo ha la fortuna di essere esposto a due lingue
contemporaneamente, ci arriva in tutte e due. In questa capacità i bambini vanno molto meglio degli
adulti.

Quando veniamo al mondo, salvo patologie, nel nostro dna è previsto che impareremo a parlare con un
linguaggio complesso e articolato dotato di tutte quelle caratteristiche che abbiamo parlato prima, ma
non è previsto quale lingua parleremo. Ci sono casi di bambini che vengono adottati piccolissimi e
portati in un paese straniero e chiaramente imparano la lingua del paese in cui vivono (ad esempio un
bambino nato in Cina che viene portato in Italia molto presto, impara l’italiano). Dai nostri genitori
biologici quindi ereditiamo la capacità di imparare a parlare, ma non quale lingua. Non è stabilito quale
sarà la lingua che impareremo a parlare. Non è affatto stabilito che parleremo la lingua che parlano i
nostri genitori biologici. A seconda del contesto linguistico in cui cresce imparerà una lingua diversa, o
anche due allo stesso tempo. Quando nasciamo, è come se avessimo un programma di word nel
cervello, dove possiamo impostare la lingua. Se un bambino si trova nella situazione in cui nessuno
parla intorno a lui, non impara. I sordi venivano chiamati sordomuti, non perché non avessero un
apparato fonatorio in grado di parlare, ma diventavano muti perché non sentivano la lingua parlata
intorno a loro. In assenza della lingua parlata intorno a loro, non imparavano niente. Altri casi sono
quelli dei bambini selvaggi, enfants savages. Sono dei casi riconducibili per esempio alla leggenda di
Tarzan. L’uomo allevato dalle scimmie ovviamente non aveva imparato a parlare, ci sono stati casi di
bambini che sono stati isolati dall’ambiente dei parlanti. Bambini segregati o persi. Quando sono stati
scoperti non sapevano parlare. Non avendo avuto l’input, non aveva appreso nulla, è stato anche
abbastanza difficile insegnargli a parlare. È più facile quanto più piccolo è il bambino. Il bambino
impara a parlare senza alcuno sforzo, senza insegnamento specifico, può imparare qualsiasi lingua
venga parlata intorno a lui, anche più di una. Misterioso se correlato con la difficoltà che incontrano gli
adulti nell’imparare L2. Un bambino inizia a parlare attorno a un anno, verso i tre il grosso (il coa –
centro della grammatica è già completato). Nel giro di un paio di anni, senza sforzo, né insegnamento,
il bambino diventa competente nella propria lingua materna. Per la L1 nessuno è bravo o negato, tutti
sono bravi. Mentre quando impariamo da grandi (già dai 12 anni) una lingua ci sono differenze
individuali, c’è chi è bravo e chi meno.

acquisizione L1
 Spontanea
 Rapida
 Senza sforzo (il bambino non studia, non è necessaria una particolare motivazione)
 È possibile acquisire qualsiasi lingua (indipendentemente dalla lingua parlata dai genitori
biologici)
Possono essere acquisite due L1 contemporaneamente  casi di bilinguismo bilanciato (il bilinguismo
è sbilanciato invece quando la L2 viene acquisita più tardi e quindi una delle due lingue è dominante
rispetto all’altra).
Non ci sono differenze individuali nell’acquisizione di L1 (tutti siamo ugualmente dotati), mentre
nell’acquisizione di L2 si (ci sono persone portate per l’apprendimento delle lingue e altre no). Non
serve correggere le produzioni dei bambini, la correzione fatta alla produzione di un bambino cade
totalmente nel vuoto, a meno che il bambino già più grandicello, non sia pronto per acquisire quegli
elementi che ancora gli mancavano. Quando si tratta di imparare una L1, non vi sono lingue più facili o
difficili, tutte le lingue vengono acquisite negli stessi tempi (con leggere differenze individuali da
bambino a bambino). Per i sordi esistono le lingue dei segni, le lingue segniche sono diverse da lingua
a lingua (quella italiana viene chiamata LIS – lingua italiana dei segni). Anche le lingue dei segni sono
naturali, possiedono le proprietà che abbiamo visto prima e vengono acquisite in modo spontaneo. Il
problema che riguarda i sordi è che spesso sono figli di persone udenti. Un genitore udente spesso e
volentieri non conosce la lingua dei segni, quindi il bambino non riesce ad entrare in contatto con l
‘input orale perché non lo sente, ma non riesce nemmeno ad entrare in contatto con l’input visivo-
gestuale perché i genitori non conoscono questa lingua. Quello che viene consigliato oggigiorno, in
caso il proprio figlio nasca sordo, è metterlo il prima possibile in contatto con delle comunità di
segnanti, o di altri sordi o di udenti che conoscono il linguaggio dei segni, in modo che il bambino abbia
accesso all’unica L1 che ha a disposizione. Poi potrà imparare la lingua italiana con l’ausilio della
lingua scritta o con le tecniche di lettura labiale, ma anche queste sono più facili da imparare se
vengono insegnate utilizzando la lingua dei segni. Anche le lingue visivo-gestuali quindi, tipiche dei
parlanti sordi, sono anch’esse delle lingue naturali.
(Oggetto linguistico: qualsiasi cosa, una parola, una frase, anche un suono potrebbe esserlo, termine
generico).

Nel corso del ‘900 sono nate diverse teorie per spiegare l’acquisizione di L1, per cercare di spiegare
come sia possibile che un bambino in tempi così rapidi e senza un insegnamento specifico, passi dallo
S0 (stadio zero – in cui non si parla) allo SS (stadio stabile – competenza perfetta del parlante nativo).
Sono ovviamente sorti vari tipi di approcci teorici, che però possiamo raggruppare per semplicità in
due grosse famiglie, due approcci.
 Comportamentismo
 Cognitivismo

Il comportamentismo
Tutti questi approcci sono nati negli Stati Uniti, comportamentismo viene da Behaviorism. Nato
abbastanza presto. Uno dei primi teorici è Bloomfield, che scrive nel lontano ‘33. Un altro esponente è
Skinner, negli anni ‘55. Nella prima metà del secolo scorso questo approccio è quello che aveva preso
più piede. Il comportamentismo ha riconosciuto una cosa fondamentale, che sembra banale ma
nessuno prima ne aveva mai parlato, ossia l’importanza dell’input. Con input si intende la lingua che
viene parlata intorno a noi. I comportamentisti sono stati i primi a capire che un bambino acquisisce la
lingua che viene parlata intorno a lui, indipendentemente dalla lingua parlata dai genitori biologici.
Una prova è determinata dal fatto che se il bambino si trova in un contesto in cui non è esposto a
nessuna lingua, non imparerà a parlare (caso dei sordi profondi, o dei bambini selvaggi). In assenza
dell’input non si impara a parlare. Quando si ha l’input impariamo a parlare le lingue che vengono
parlate intorno a noi. L’input non si misura in ore o numero di frasi che il bambino ascolta, tutti
imparano a parlare purché l’input ci sia. Input = dati linguistici che noi riceviamo, la lingua che viene
parlata intorno a noi.
Per i comportamentisti l’apprendimento del linguaggio non è diverso da altri tipi di apprendimenti.
Viene acquisito con un modello di stimolo-risposta-rinforzo. Queste teorie si innestano in un periodo
in cui venivano condotti esperimenti di laboratorio, su animali ad esempio. Metto un topolino in un
labirinto, a sinistra metto una fonte di cibo a sinistra, a destra nulla. Inizialmente il topolino girovaga a
caso, dopo qualche tentativo, il topolino capisce che la fonte di cibo si trova sempre a sinistra e quindi
si dirige direttamente lì. Esperimenti sull’istinto degli animali e su la loro memoria, comportamenti
ripetuti possono portare ad un accumulo di abitudini. Secondo i comportamentisti, anche
l’apprendimento del linguaggio avviene in questa maniera. Lo stimolo principale dei bambini è la fame.
Deve soddisfare lo stimolo, come il topolino nel labirinto. La riposta allo stimolo del bambino è che
deve dire qualcosa per richiamare l’attenzione e fare si che il suo stimolo venga soddisfatto. Il bambino
dice ad esempio “pappa” (risposta allo stimolo). Il rinforzo è quando la mamma gli porta la sua ciotola
con la pappa – rinforzo positivo. Lo stimolo viene soddisfatto. Se il bambino avesse detto palla, invece
di pappa, gli viene portata una palla. Quindi non soddisfa lo stimolo. Il rinforzo in questo caso è
negativo (o deprivazione). Questa risposta non va bene. Secondo i comportamentisti, il bambino,
esattamente come il topo, imparerà che per soddisfare lo stimolo della fame deve dire pappa e non
palla. Grazie al rinforzo positivo, abbiamo un accumulo di abitudini (habits formation). Il bambino
memorizza la risposta giusta per soddisfare un certo stimolo e poi non sbaglierà più . Lo stimolo è
quindi ciò che lo spinge a parlare, la riposta che da il bambino è pronunciare una certa parola volta a
soddisfare lo stimolo e il rinforzo è quello che il bambino ottiene dall’ambiente circostante, che può
essere positivo (se soddisfa lo stimolo) o negativo-deprivazione (quando non lo soddisfa). Così
facendo il bambino capisce quali sono le cose giuste da dire, e via via si ha un accumulo di abitudini
linguistiche. Man mano che il bambino cresce anche i suoi bisogni si fanno più complessi, e in questo
modo dovrebbe crearsi alla fine questo apparato linguistico. Riassumendo: c’è l’input che ci fornisce il
materiale linguistico da cui possiamo attingere, c’è un sistema di stimolo-risposta-rinforzo, il bambino
per soddisfare il suo stimolo darà delle risposte e grazie al rinforzo capirà se sono giuste o sbagliate.
Memorizzerà quelle giuste, così come il topo memorizzava la decisione da prendere, e grazie a questo,
via via si accumuleranno le parole e le frasi che portano al rinforzo positivo e si imparerà a parlare.
Questa teoria è stata anche molto criticata, in particolare dagli esponenti del cognitivismo, innatismo,
mentalismo. Il cui principale esponente è Chomsky, che inizia a scrivere intorno al 1955. Che critiche
possiamo apportare al sistema comportamentista? Il suo merito principale è stato quello di
riconoscere l’importanza dell’input, senza input non si impara nulla. Per le prime produzioni può
essere facile stabilire quale stimolo abbia portato a quella risposta. Quando si comincia a parlare di
frasi un po’ più lunghe e slegate dal contesto qui e ora, è più difficile immaginare quale stimolo possa
aver condotto ad una frase slegata al contesto. Quindi, se il sistema dei comportamentisti può essere
convincente per quanto riguarda le prime produzioni dei bambini, però per quanto riguarda
produzioni più complesse è dura che un sistema così semplice possa spiegare anche frasi prodotte in
maniera completamente decontestualizzata. La critica principale che ha apportato Chomsky al
comportamentismo è l’argomento della povertà dello stimolo. Stimolo intende anche input, l’input è
necessario ma non sufficiente. È vero che il bambino deve ricevere l’input per imparare a parlare, ma
non basta a spiegare tutto quello che un bambino è in grado di fare. Il comportamentismo è un po’
semplicistico. Se nell’ottica comportamentista, il bambino è solo in grado di ripetere frasi che ha
sentito in altri contesti, si annulla la sfera della creatività . Quello che il bambino produce non è uguale
a quello che riceve. Il bambino non è un nastro che registra e riproduce esattamente quello che ha
sentito. Ma quello che il bambino produce è diverso da quello che gli entra in testa. Povertà dello
stimolo: lo stimolo è povero in quantità e in qualità . In quantità perché un bambino ha una capacità
infinita di generare nuove frasi, nuove combinazioni. La capacità generativa del bambino è infinita. Il
programma teorico di Chomsky viene chiamato anche “Grammatica generativa”, basato sulla
possibilità infinita di generare nuove frasi.
Quante sono le frasi arrivate al cervello del bambino? Tantissime, ma si tratta di un numero finito. Lo
stimolo è finito, senza contare che gran parte di ciò che il bambino ha sentito potrebbe esserselo
dimenticato. Lo stimolo è povero in quantità perché ciò che arriva alle orecchie del bambino è di
numero finito, mentre la capacità generativa del bambino è infinita, illimitata. Lo stimolo è povero
anche in qualità, non è un granché, contiene errori. Lo stimolo non è altro che una somma di
esecuzioni. Quello che arriva alle orecchie del bambino è qualcosa che qualcun altro ha pronunciato. La
competenza è perfetta ma l’esecuzione non sempre. False partenze, lapsus, frasi iniziate in un modo e
finite in un altro, lasciate a metà. Quello che il bambino sente dunque non solo è limitato nel numero,
ma è anche imperfetto. Le esecuzioni spesso sono fallaci. Se analizziamo quello che il bambino produce
possiamo vedere che è in grado di fare più di quello che ha sentito.

Il bambino è in grado di fare:


 generalizzazioni  es: un bambino vede in un libro per la prima volta un animale con un collo
lungo, chiede cos’è e gli viene detto che è una giraffa. Il bambino subito dopo è in grado di dire
“dove stanno le giraffe?”. Dal momento che la parola giraffa l’ha appena sentita, mentre la
parola “giraffe” non l’ha mai sentita, se il bambino fosse solo un nastro registrato che ripete,
non sarebbe in grado di formare “giraffe” da “giraffa”. Ovviamente il bambino non sa cos’è il
numero, il plurale, le desinenze, ecc. ma i bambini fanno un sacco di queste generalizzazioni, ci
facciamo caso quando non ci azzeccano. Capita che non ci azzecchino perché un certo
paradigma è irregolare. Quindi i bambini oltre a fare delle generalizzazioni, fanno anche delle
regolarizzazioni.
 regolarizzazioni  da “uomo”, il bambino crea “uomi” che ovviamente è scorretto, quindi
abbiamo la certezza che sicuramente non l’ha sentito. Altre forme molto comuni tra i bambini
come “romputo”, “io piangio”. Tutti i bambini incorrono in errori come questi. Se queste parole
non fossero irregolari, il bambino non sbaglierebbe. Un errore frequente che il bambino inglese
fa è “breaked” invece di “broke”. Altri errori commessi dai bambini inglesi possono essere
“goed”, “mouses”, “want milk” (priva del soggetto). Il bambino non ripete pari pari solo quello
che ha sentito perché queste forme non può averle sentite in quanto non fanno parte della
nostra competenza. Non si tratta propriamente di errori dal punto di vista del bambino ma di
spie che il cervello del bambino sta lavorando, ha fatto ipotesi assolutamente inconsapevoli sul
linguaggio.
 Omissioni  il bambino spesso dice “mamma bella” invece di “la mamma è bella”. Una parola
come l’articolo “la” o la copula “è” sicuramente il bambino le avrà sentite. Sono parole
frequentissime nell’input e molto facili da pronunciare (non ci sono problemi fonologici). La
sillaba “la” è una delle prime che il bambino produce, anche prima di imparare a parlare.
Quindi questi elementi come articoli, ausiliari, congiunzioni, preposizioni, tutti estremamente
facili da pronunciare e frequenti nell’input, il bambino sistematicamente li scansa.
Chomsky ci ha detto che lo stimolo è povero, che non basta a spiegare la creatività del bambino. D’altro
canto vediamo che le produzioni del bambino sono molto diverse da quelle che lui sente. Può produrre
parole e forme che con molta probabilità non ha mai sentito. Nel caso di forme regolari, i bambini le
regolarizzano sistematicamente. Dall’altra parte non produce parole come articoli e copule che sono
invece frequentissime nell’input. Non le produce nonostante le abbia sentite innumerevoli volte. Ciò
che entra è diverso da quello che esce. Il bambino fa cose diverse, alcune cose le sente e non le
produce, alcune le produce senza averle sentite.
Di conseguenza, l’input è necessario ma non è sufficiente. C’è bisogno di qualcos’altro che fa si che il
bambino rielabori l’input e quindi abbia delle produzioni che sono anche creative, diverse da quelle
che ha sentito.
Idea di Chomsky: c’è qualcosa nella nostra testa (per questo il cognitivismo viene chiamato anche
mentalismo), ciò che viene chiamato dispositivo di acquisizione del linguaggio (abbreviato in LAD).
Dispositivo che rielabora il materiale entrato attraverso le orecchie (input ricevuto) rielaborato da
questa specie di scatola nera nella nostra testa. Contiene la GU, grammatica universale (UG in
inglese). Il bambino riceve delle frasi in italiano ad esempio, vengono rielaborate da questa GU e poi
uscirà fuori la grammatica particolare, ossia una lingua italiana che si approssima sempre di più . Il
bambino alla stadio zero non passa direttamente allo stadio stabile, ma passa per S1, S2, S3, ecc., per
definizione, lo stadio stabile tutti lo raggiungiamo nella L1. Questo dispositivo di acquisizione del
linguaggio si trova in delle aree specifiche del cervello (esso contiene questa grammatica universale).
L’idea geniale di Chomsky al riguardo capovolge l’idea che abbiamo delle lingue straniere. Quando ci
approcciamo ci saltano subito all’occhio le differenze, sembrano molto diverse dalla nostra lingua.
Tutte le lingue si assomigliano molto di più di quanto differiscono, a un livello astratto che prescinde
dalle singole parole, nelle lingue sono di più le somiglianze che le differenze. Questo ci aiuterebbe ad
acquisire così velocemente qualsiasi lingua. Cosa contiene la GU? Due serie di dati (modello principi e
parametri):
 principi: tutto quello che le lingue hanno di uguale, ciò che è comune in tutte le lingue. L’idea
spiegherebbe perché un bambino ci mette così poco tempo a imparare una lingua, può
imparare una lingua piuttosto che un’altra a seconda del caso che gli offre un input, tutte le
lingue a livello astratto si assomigliano parecchio. A livello astratto si assomigliano parecchio,
quello che c’è da imparare è poco. Rimangono delle cose che differenziano una lingua dalle
altre. Quello che noi sappiamo è già tanto, il bambino non è una tabula rasa. Non è un nastro su
cui registrare e produrre ciò che abbiamo registrato. Non si parte da zero nell’acquisizione ma
una buona parte di quello che poi dobbiamo acquisire è già innato nella nostra testa. Se ci sono
questa serie di regole uguali per tutte le lingue non le dobbiamo imparare. Se nessuna lingua
infrange questi principi non c’è niente da imparare. Il lessico va imparato, prescindiamo da
esso. Qualcosa che è uguale in tutte le lingue: il concetto di soggetto, il concetto di predicato,
mettere insieme parole per formare una frase, le categorie grammaticali, tra cui in particolare
nome, verbo, aggettivo e preposizione. L’articolo non è universale invece. Strategie per
formulare le domande. La lingua italiana e la lingua inglese formano le domande in modo
diverso, ma ogni lingua ha delle strategie specifiche per distinguere le domande dalle
informazioni, per impartire ordini, per le negazioni. Il numero (singolare e plurale) c’è in tutte
le lingue, il concetto di tempo grammaticale. Dividere in sillabe; la sillaba, riguardo la fonologia,
è un concetto universale. Differenza tra vocali e consonanti.
 parametri: sono le sedi delle differenziazioni sintattiche, la sintassi delle lingue è più simile di
quanto sembri. Non hanno tutto in comune, perché se così fosse la differenza tra una lingua e
l’altra si ridurrebbe a una differenza di lessico. Anche la sintassi è diversa. I parametri sono
delle scelte binarie. GU ad un certo punto ci dice o scegli così o cosà. Esempio più gettonato: il
parametro del soggetto nullo. Il concetto di soggetto è un principio universale, tutte le frasi
di tutte le lingue sono strutturate con un sistema di soggetto e predicato (mamma bella). Però
se pensiamo all’inglese, riguardo al soggetto la prima cosa che salta agli occhi è che è
obbligatorio, mentre in italiano non è foneticamente obbligatorio (il soggetto è sottinteso,
sintatticamente è sempre presente). In italiano lo posso lasciare silenzioso, implicito, in inglese
deve essere sempre esplicito (soggetto nullo sì o soggetto nullo no).
Soggetto nullo sì  Vado a scuola
Soggetto nullo no  I go to school
È un parametro della lingua perché non è che vale per questo verbo, ma per tutti i verbi. I verbi che
chiamiamo impersonali  in italiano possiamo dire solo “piove”, in inglese bisogna dire “It rains”
anche se “it” non significa nulla, non è sostituibile con altre parole.
La grammatica universale ci dice che ogni frase deve aver un soggetto, in quanto il soggetto è ciò di cui
si predica qualcosa. Però abbiamo davanti una scelta: in alcune lingue il soggetto può rimanere
inespresso, può essere foneticamente nullo, in altre lingue questa possibilità non c’è. Il bambino deve
acquisire questo parametro e capire se la propria lingua fa parte del gruppo A o B. Si tratta di un
parametro della lingua. Non dipende dalle singole voci lessicali, ma riguarda tutti i verbi.

Lezione 3 – 04/03/21

Le teorie di Chomsky sono state proposte tra il ’55 e il ’57. A quei tempi ancora non esisteva nulla per
quanto riguarda l’analisi del nostro cervello, strumenti di diagnostica che potessero indagare
all’interno del nostro cervello come la tac o la risonanza magnetica. Mentre oggigiorno questi
strumenti esistono. Egli ha proposto che nel nostro cervello ci sia un dispositivo di acquisizione del
linguaggio, perché secondo lui altrimenti non si poteva spiegare l’acquisizione della lingua. Fermo
restando che lo stimolo che riceve il bambino è necessario, non è però sufficiente. Il
comportamentismo spiega l’acquisizione del linguaggio in termini troppo semplicistici. Questa è la
ragione per cui Chomsky propone che ci sia un dispositivo a tale scopo nel nostro cervello. Adesso che
con la tac o la risonanza, strumenti avanzati di diagnostica, si è dimostrato che Chomsky aveva ragione
tutto sommato. Si può vedere che il cervello è diviso in due emisferi, in ciascuno dei due sono presenti
due aree. Ci sono aree che governano le funzioni del linguaggio. Se un paziente ha ricevuto un danno in
quelle aree può perdere la parola (afasia – perdiamo in tutto o in parte la nostra competenza
linguistica). Qualcosa nel cervello deputato alla funzione del linguaggio. Area di Broca e area di
Wernicke (i nomi derivano dagli scienziati che l’hanno scoperto). A seconda delle aree colpite, si
hanno tipi di afasie diverse. L’area di Broca governa la sintassi, il modo in cui le frasi vengono formate.
Una persona danneggiata nell’area di Broca parlerà con un linguaggio telegrafico che ricorda il
linguaggio dei bambini, linguaggio ridotto al minimo. Frasi privi di elementi quali articoli, ausiliari,
ecc., meno cariche di significato semantico. Le risposte che danno sono però coerenti, si rendono conto
di ciò che dicono. L’afasia di Wernicke è di tipo diverso, si tratta dell’area che governa il rapporto tra
sintassi e semantica. Apparentemente i pazienti sembrano meno gravi degli altri, parlano in maniera
spedita, ma quello che dicono è privo di significato, non rispondono in maniera coerente alle domande.

Parametri: scelte binarie. La grammatica universale ad un certo punto ci mette davanti ad una scelta.
Abbiamo già fatto l’esempio del parametro del soggetto nullo. Si tratta di uno dei primi parametri che
sono stati individuati. Un altro, sempre parte del parametro del soggetto nullo, è quello di poter avere
il soggetto postverbale. In italiano posso dire “Il treno è arrivato”, ma anche “è arrivato il treno”. In
inglese non posso dire “Has arrived the train”, ma solo “The train has arrived”. Nelle lingue a soggetto
nullo è sempre possibile mandare il soggetto in fondo alla frase, è sempre possibile lasciare vuota la
posizione preverbale. Quindi la possibilità o meno di avere il soggetto postverbale non è un parametro
indipendente, ma una conseguenza del parametro del soggetto nullo.

Ci sono anche parametri che riguardano l’ordine delle parole. Quindi per esempio abbiamo detto che
in tutte le lingue sono strutturate con soggetto e predicato, la transitività è un altro principio
universale (tutte le lingue hanno verbi transitivi e intransitivi). Se esiste la transitività esiste anche il
concetto di oggetto diretto. Tutte le lingue hanno elementi come il soggetto, il verbo e l’oggetto. Ma
non tutte li mettono nello stesso ordine. In italiano l’ordine normale, canonico, è SVO (soggetto-verbo-
oggetto). Posso cambiare l’ordine per dare informazioni diverse, ma questo è l’ordine normale.
L’inglese in questo caso ha la stessa struttura. Ci sono però altre lingue che non hanno questo ordine.
SOV è per esempio la struttura del latino, del giapponese e anche della LIS (la Lingua Italiana dei Segni
non ha gli stessi parametri dell’italiano). Anche il tedesco e l’olandese vengono considerate lingue SOV
(ordine canonico è quello delle frasi subordinate). Anche se nelle frasi principali apparentemente
abbiamo l’ordine SVO, dovuto al fatto che in tedesco il verbo sale per il famoso fenomeno del V2, verbo
in seconda posizione. Il verbo dall’inizio dovrebbe stare alla fine. Ci sono anche lingue SVO. L’arabo è
una lingua come il latino, ordine delle parole liberissimo, però l’ordine canonico è considerato il VSO.
Anche le lingue celtiche hanno quest’ordine (come gallese o scozzese). Gli altri tre ordini possibili non
possono praticamente attestati. Il soggetto precede l’oggetto in tutte e tre, quello che cambia è la
posizione del verbo rispetto all’oggetto e al soggetto. Il bambino quando impara la lingua, grazie
all’input, capirà in che modo strutturare questi elementi, in che ordine stanno.

Un altro parametro interessante è quello di aggettivo-nome (AN) o nome-aggettivo (NA). Basta


guardare l’inglese per capire che l’ordine è diverso. Tutte le lingue hanno nomi e aggettivi (gli aggettivi
sono modificatori del nome in tutte le lingue) però la grammatica universale ti presenta una scelta
binaria: l’aggettivo va prima o dopo il nome? Possiamo avere il “tavolo verde” o “green table”.

Un altro parametro riguarda nome-genitivo (NGEN) o genitivo-nome (GENN). In inglese, il genitivo


sassone non è altro che un genitivo prenominale “John’s book”, mentre noi diciamo “Il libro di Gianni”.
In italiano il genitivo segue il nome, in inglese e nelle lingue germaniche il genitivo precede il nome. Il
latino aveva l’oggetto prima del verbo e il genitivo prima del nome (genitivo prenominale), parametri
che sono cambiati nel passaggio dal latino alle lingue romanze. Più una lingua è morfologicamente
ricca, più sono possibili ordini delle parole diversi. L’inglese è una lingua morfologicamente povera e
quindi ordini delle parole molto rigidi. L’italiano ha una morfologia più ricca, però quella del latino lo
era ancora di più , ordini molto liberi delle parole.

Solo il parametro del soggetto nullo è passato inalterato dal latino all’italiano e alle altre lingue
romanze (fatta eccezione per il francese).

Ultimo parametro, ordine di preposizione-nome (PN) o di nome-postposizione (NP). Nel secondo


caso viene chiamata postposizione perché preposizione significa messa prima. Ci sono lingue in cui il
nome precede questo elemento che appunto in questo caso specifico viene chiamata postposizione.
Nelle lingue citate come il tedesco, l’inglese, il francese hanno tutte l’ordine PN. Una lingua che ha
l’ordine NP è il giapponese. Nel libro troveremo frasi in cui abbiamo questi ordini diversi (invece di
“dopo cena”, si dice “cena dopo” – “la casa del padre di Taroo”  “Taroo no otooisan no ie” ovvero
“Taroo di padre di casa”). Il giapponese è la lingua più speculare all’italiano: ordine SOV, aggettivo
prima del nome, genitivo prima del nome e nome-postposizione.

Questi sono parametri che tutti i bambini devono fissare. Tutte le lingue hanno questi elementi, però
l’ordine relativo di questi elementi non è lo stesso in tutte le lingue, il bambino lo fissa in base all’input
che riceve.

Il compito dei linguisti è anche quello di capire cosa c’è di innato e cosa deve acquisire, imparare:
 Innato: principi e parametri (fanno parte della grammatica universale) – ovvero gli elementi
che tutte le lingue hanno in comune e le scelte binarie relative alle regole che la grammatica
universale mette davanti ad ogni individuo).
 Da acquisire: lessico (in cui sono contenute morfologia e proprietà idiosincratiche)
- lessico - dobbiamo imparare il lessico e il vocabolario, non si possono dedurre. E ovviamente
vanno imparate anche le parole delle lingue straniere.
- morfologia - fa riferimento al fatto che le parole possono essere irregolari (esempio di
“romputo”). Il bambino regolarizza queste parole, trattandole come normali e applicando le
regole che valgono per le altre parole. Quindi oltre ad imparare le varie forme della flessione
dei verbi regolari, deve anche imparare queste parole come fossero parole nuove, capendo che
il verbo “rompere” non si comporta normalmente.
- proprietà idiosincratiche – sono anch’esse legate al lessico. Per esempio, in italiano dico
“ascolto la radio”, mentre in inglese dico “I listen to the radio”. Che ci sia il soggetto o meno è
un parametro, vale per tutti i verbi. Ma il fatto che in inglese “listen” debba essere seguito da
“to” lo devo imparare. Come un inglese che studia italiano deve imparare che il verbo
“ascoltare” seleziona direttamente l’oggetto. Tutto ciò fa parte del lessico, una volta che imparo
“listen” imparo di conseguenza “listen to”. Una lingua ha verbi transitivi e intransitivi ma non è
detto che siano gli stessi. “Ascoltare” è transitivo, mentre “listen” non lo è. Il caso contrario è
“Io telefono a Maria” e “I phone Mary”. In italiano devo dire “telefonare a”, mentre in inglese
l’oggetto segue direttamente il verbo (verbo transitivo, può essere reso passivo = “Mary was
phoned”; mentre non posso dire *Maria è stata telefonata).
- usi pragmatici – altre cose che dobbiamo imparare sono gli usi pragmatici, cose in parte
culturali che possono essere diverse da lingua a lingua. Per esempio, in italiano come forma di
cortesia si da de lei, in francese del voi, in inglese non esiste. È una convenzione che il bambino
non sa, dovrà imparare ma la imparerà da più grandicello. Certi argomenti possono essere
affrontati in alcuni paesi e in alcuni no, i doppi sensi, gli usi metaforici traslati “Sono morto” 
il bambino può dirti che non sei morto perché stai parlando.
- parametri - Si trovano in entrambe le colonne. La scelta davanti a cui la grammatica
universale ci mette è innata, come la scelta tra soggetto nullo o pieno, non c’è una terza
possibilità . Però è sulla base dell’input che decidiamo che facciamo parte della scelta soggetto
nullo sì o no. Fissazione del parametro (scegliere quale delle due opzioni).

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