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Caratteristiche del marxismo:

Il pensiero marxiano si contraddistingue:


▪ Per la sua estraneità alle dimensioni unicamente filosofiche, sociali o economiche, e per il suo porsi
come un’analisi globale della società e della storia, comprendente al suo interno tutti quanti questi
aspetti.
▪ Per il suo legame con la prassi, e nello specifico per l’impegno di trasformazione rivoluzionaria dell’uomo e
del suo mondo (Marx ha sempre perseguito l’unione tra teoria e prassi).
▪ Per l’ideale di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato (per Hegel
l’essere è il dover essere, la realtà è tale perché deve essere tale) e che Marx si propone invece di attuare con
la prassi, mediante l’edificazione di una nuova società.
Le influenze culturali alla base del marxismo sono tre:
▪ La filosofia tedesca da Hegel a Feuerbach.
▪ L’economia politica borghese da Smith a Ricardo.
▪ Il pensiero socialista.

La critica ad Hegel:
Un testo in cui Marx si misura con Hegel è “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”. Lo scritto è
filosofico-politico in quanto la critica si divide in una parte più propriamente filosofico-metodologica (1), ed in
una più propriamente storico-politica (2).
1 Secondo Marx il metodo di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie e
razionali dello Spirito. Marx definisce questo procedimento “misticismo logico”, poiché, di fatto, nasconde
ciò che la realtà è, identificandola come una manifestazione di una realtà spirituale e razionale celata dietro
il dato sensibile. Esaminando tutto ciò, egli, sulla scia di Feuerbach, arriva alla conclusione che il metodo
hegeliano è il risultato di un capovolgimento idealistico fra soggetto ed oggetto, fra concreto ed astratto.
Questo poiché l’idealismo fa del concreto la manifestazione dell’astratto.
2 Tutte queste idee, proprie dell’idealismo hegeliano, portano, nella vita reale, ad una accettazione delle
istituzioni statali vigenti (giustificazionismo politico), poiché percepite come razionali. Questo punto
del pensiero hegeliano rappresenta quindi motivo di critica da parte di Marx, il quale percepiva
l’evoluzione politica e sociale come un’opera non ancora compiuta.

La critica alla civiltà moderna e al liberalismo:


Marx è convinto del fatto che la società moderna si identifichi nella divisione fra società civile
e stato. Infatti l’uomo è costretto a vivere due vite: una come borghese, nell’ambito
dell’egoismo e degli interessi particolari della società civile; e l’altra come cittadino,
nell’ambito degli interessi comuni dello stato. Ma a questo punto, Marx percepisce lo stato
come un momento sociale totalmente illusorio, poiché, anziché porsi come l’organo garante
dell’interesse comune dei singoli, si pone come organo di difesa degli interessi individuali
delle classi più forti. Dunque, secondo Marx, al tempo stesso la civiltà moderna rappresenta, la
società degli interessi particolari “reali”, e degli interessi comuni “illusori”. La falsa
universalità dello stato deriva dal tipo di società che si è formata nel mondo moderno, la quale
vive in uno stato liberale, che cioè salvaguarda i diritti individuali e la proprietà privata
dimostrando così la sua natura a-sociale.
La società che Marx ha in mente si identifica invece, come frutto di una democrazia totale,
nella quale ciascun individuo è solo un momento dell’intero, la quale è raggiungibile solo
attraverso l’eliminazione delle disuguaglianze tra gli uomini e quindi attraverso l’eliminazione
della proprietà privata (la creazione di questa democrazia totale è il comunismo). Per tradurre
in atto il comunismo, Marx pensa a vari strumenti, inquadrando: prima il suffragio universale,
poi la rivoluzione sociale ad opera del proletariato.
La critica all’economia borghese e l’alienazione:
I “Manoscritti economico-filosofici” espongono la critica che Marx rivolge all’economia
capitalistica borghese. Nei confronti di questa economia Marx sostiene:
▪ che essa rappresenti un’espressione teorica della società capitalistica;
▪ che essa fornisca una falsa immagine del mondo borghese, poiché, il sistema capitalistico, anziché
pensarsi come un momento dell’intero percorso storico dell’economia, si percepisce come il modo
immutabile, razionale e necessario di produrre ricchezza.
Inoltre il sistema capitalistico porta con sé una conflittualità fra capitale e lavoro salariato, fra
borghesia e proletariato, la quale è espressa da Marx secondo il concetto d’alienazione.
Per Hegel l’alienazione è lo Spirito che si fa altro da sé, nella natura e nell’oggetto, per potersi
poi riappropriare di sé in modo arricchito. Per Feuerbach, invece, l’alienazione è
l’estraniamento dell’uomo da sé, attraverso la creazione di un essere perfetto, al quale si
sottomette. Per Marx il concetto d’alienazione è simile a quello di Feuerbach, ma solo nella
sua struttura formale, poiché viene aggiunta una dimensione più specificatamente reale, di
natura socio-economica. Infatti questo concetto s’identifica con la condizione storica del
salariato nell’ambito della società capitalistica.

L’alienazione dell’operaio è descritta da Marx in


quattro aspetti fondamentali:
1 Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto egli produce capitale che non gli
appartiene, ma dal quale viene dominato.
2 Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, la quale ha la forma di un lavoro forzato, dove egli
è strumento di fini a lui estranei.
3 Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa essenza, infatti l’uomo si differenzia dall’animale attraverso
il lavoro libero, creativo e universale, mentre nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato,
ripetitivo ed unilaterale.
4 Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo, perché l’altro, per lui, è soprattutto il capitalista, ossia un
individuo che lo tratta come uno strumento e lo espropria del frutto del proprio lavoro, dando vita ad un
inevitabile rapporto conflittuale.
La causa del meccanismo globale dell’alienazione risiede dunque nella proprietà privata dei mezzi
di produzione, in virtù della quale il capitalista può utilizzare il lavoro dei salariati per accrescere
la propria ricchezza attraverso lo sfruttamento e la logica del profitto.
Per superare l’alienazione è dunque necessario superare la proprietà privata, attraverso
l’avvento del comunismo. Ma l’unico modo per abbattere questa alienazione economica, la
quale è alla base di tutte le altre (alienazione politica, religiosa …), risulta essere un atto reale,
che si concretizza nella rivoluzione.

L’interpretazione della religione in chiave sociale:


- Marx si confronta con Feuerbach attraverso due opere: le “Tesi su Feuerbach” e l’“Ideologia Tedesca”. Marx
stima Feuerbach perché ha rivendicato la naturalità dell’uomo, ha rifiutato l’idealismo teologizzante di Hegel ed
ha teorizzato il rovesciamento tra soggetto ed oggetto, tra concreto ed astratto. Tuttavia Marx afferma che
Feuerbach, sottolineando la naturalità dell’uomo, abbia perso di vista la sua storicità, in quanto l’essere umano
più che un’astrazione rappresenta l’insieme dei rapporti sociali. Marx infatti sostiene che l’individuo è reso tale
dalla società storica in cui egli vive.
- Un secondo punto che unisce e divide i due filosofi è l’interpretazione della religione. Secondo Marx infatti
Feuerbach, pur avendo compreso il meccanismo dell’alienazione religiosa, non è stato capace di cogliere le
cause reali del fenomeno, essendogli sfuggita la dimensione dell’individuo come prodotto sociale. Dunque per
Marx risulta ovvio che le radici del fenomeno religioso debbano essere ricercate, non nell’uomo in quanto tale,
ma nel tipo storico di società. Di quì la sua teoria sulla religione come oppio dei popoli, poiché frutto di
un’umanità alienata e sofferente a causa delle ingiustizie sociali, che si rifugia nell’illusione dell’aldilà per
ottenere ciò che gli è negato nella realtà. Per queste ragioni l’unico modo per eliminare la religione risulta
quello della trasformazione rivoluzionaria della società, della distruzione delle strutture sociali che la
producono: dunque l’abbattimento della società di classe.

La dialettica della storia:


- Le forze produttive e i rapporti di produzione si configurano come i due elementi propulsori della storia.
Marx infatti ritiene che ad un determinato sviluppo di forze produttive corrispondano
determinati rapporti di produzione. Tuttavia, egli afferma anche, che questo equilibrio si
mantiene soltanto fino a quando i rapporti di produzione favoriscono le forze produttive.
Ora, poiché le forze produttive si sviluppano, attraverso il progresso tecnico, più velocemente
dei rapporti di produzione, i quali tendono invece a rimanere statici, si viene a creare
periodicamente una contraddizione dialettica, che si traduce nella realtà in una rivoluzione.
Questa contraddizione su cui si fonda il progredire della storia , è per Marx, anche all’interno della società capitalista, nella quale gli imprenditori
producono socialmente una ricchezza, che non distribuiscono in modo equo. Secondo Marx, proprio per queste ragioni, il Capitalismo porta come
conseguenza immediata il socialismo.
I modi di produzione della storia:
La legge che regola i rapporti dialettici tra le due forze che muovono la storia, permette a Marx di
delineare un quadro generale della storia passata e futura secondo alcune grandi formazioni
economico-sociali.
Marx distingue sei epoche:
1.1 La comunità primitiva: non aveva la suddivisione del lavoro. Ognuno faceva la stessa cosa degli altri.
Assenza proprietà privata.
1.2 La società asiatica: è caratterizzata da un despota padrone di ogni cosa. La proprietà privata è abolita eccetto
che per il despota.
1.3 La società antica, feudale e capitalista: sono forme di potere centrale formate sulla
contrapposizione tra detentori di mezzi di produzione e detentori di forza lavoro.
1.4 La società socialista: è una tappa intermedia verso la società comunista, dove lo stato è il detentore dei mezzi
e ognuno è salariato.

Il Manifesto del Partito Comunista:


I principali punti che compongono il manifesto sono:
1 L’analisi della funzione storica della borghesia.
2 Il concetto della storia come lotta di classe.
3 La critica dei socialismi “non scientifici”.

L’analisi della funzione storica della borghesia


- Marx descrive la vicenda storica della borghesia sostenendo che, a differenza delle classi dominanti del passato
pre-borghese, le quali tendevano alla conservazione statica dei modi di produzione, essa presenta la caratteristica
intrinseca di dover rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e tutti i rapporti sociali,
determinandosi, di conseguenza, come una classe estremamente dinamica.
- Inoltre, per Marx, la borghesia ha realizzato l’unificazione del genere umano, poiché il bisogno di mercati
sempre maggiori, l’ha spinta a costruire un unico grande mercato mondiale e a porre le basi per il
cosmopolitismo; essa dunque, si è creata un mondo a sua immagine e somiglianza. Ma come conseguenza del
suo sviluppo la borghesia ha portato alla rivolta delle moderne forze produttive, sempre più sociali, le quali si
rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà, considerati troppo privatistici e basati sull’unica ed ingiusta logica
del profitto personale, mettendo in serio pericolo l’esistenza stessa del capitalismo. Questo significa che il
proletariato deve necessariamente ricorrere alla lotta di classe, la quale si pone come possibile chiave di lettura
dell’intera storia.
La storia come storia di lotte di classe:
Quindi, la storia di ogni società è, per Marx, storia di lotte di classe. Sempre, oppressori ed
oppressi, conducono una lotta, la quale può sfociare, o nella trasformazione rivoluzionaria
dell’intera società, o nella comune rovina di entrambe le classi in lotta.
Avendo già detto che la storia è dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, ne
consegue che questo concetto equivale a dire che la storia è storia delle lotte di classe, poiché,
infatti, Marx sostiene che i soggetti delle due strutture (forze produttive e rapporti di
produzione) non sono altro che le classi sociali.
Infine Marx sostiene che c’è differenza tra il concetto di classe e quello di classe “in sé e per
sé”. Il primo è l’aggregato di individui che si trovano, in una data società, nella stessa
situazione economico-sociale; il secondo è un’unità autocosciente che lotta in modo solidale
per gli stessi obbiettivi.

La critica dei socialismi “non scientifici”


Marx divide la sua critica ai falsi socialismi in tre critiche dirette a tre diverse tipologie di
socialismo:

1 La critica al socialismo reazionario:


questo attacca la borghesia rivolgendosi, in maniera conservatrice, al passato ed è a sua
volta diviso in socialismo feudale (che auspica l’abolizione del capitalismo per recuperare
la società pre-borghese, pre-industriale, e pre-rivoluzionaria attraverso un’alleanza
impossibile con il proletariato, in virtù della quale si dovrebbe rinunciare all’alienazione
attuale per ottenere un’alienazione passata), in socialismo piccolo-borghese (che vorrebbe
far rivivere il sistema corporativo per l’industria e quello patriarcale per l’agricoltura), ed
in socialismo tedesco (che, parlando più astrattamente di uomini, piuttosto che di proletari,
nella sua rabbia anti-borghese, finisce per sostenere i governi tedeschi reazionari).

2 La critica al socialismo conservatore o “borghese”:


questo è incarnato da quegli economisti, filantropi e umanitari che vorrebbero rimediare
agli inconvenienti sociali del capitalismo, senza distruggere il capitalismo stesso.
Vorrebbero cioè la borghesia senza il proletariato.
Esempio: Proudhon, nel saggio “Che Cos’è la Proprietà” afferma che essa è un furto. P. in
realtà vuole sottolineare gli inconvenienti del capitalismo che distrugge la soggettività
degli individui. Egli non pensa che il capitalismo debba essere superato attraverso una
rivoluzione: egli vuole la proprietà senza il furto, coniugando il socialismo con il
capitalismo.

3 La critica al socialismo e comunismo critico-utopistico:


Gli autori di questo comunismo, pur avendo avuto il merito di scorgere l’antagonismo tra
le classi e gli elementi di contraddizione esistenti nel mondo moderno, hanno, secondo
Marx, il limite di non riconoscere al proletariato una funzione storica e rivoluzionaria
autonoma, e di voler utilizzare tutti i membri della società, comprese le classi dominanti,
per una pacifica azione di riforme. Essi, infatti, hanno basato le loro opere sulla creazione
di immaginarie società ideali, senza fondamento nella realtà. Marx contrappone alle loro
tesi il suo socialismo scientifico, basato su di un’analisi critico-scientifica dei meccanismi
sociali del capitalismo e sull’individuazione del proletariato come forza rivoluzionaria
destinata ad abbattere il sistema borghese.

Il Capitale:
Economia e dialettica
Il capitale si propone di mostrare i meccanismi strutturali della società borghese, al fine di
evidenziare la legge economica alla base del capitalismo moderno. Ma per far ciò, Marx
utilizza, nel Capitale, il suo metodo storico-dialettico, il quale lo differenzia da tutti i grandi
teorici dell’economia borghese, che si limitano ad analizzare la società da un punto di vista
strettamente economico. Il Capitale, proprio per il suo carattere dialettico, tende a guardare nel
futuro, cercando di comprendere perché, date certe realtà, inevitabilmente la società avrà uno
sviluppo, un massimo ed infine un crollo. Molti economisti hanno criticato Marx per questo
carattere profetico del Capitale; in effetti le previsioni di Marx non si sono mai avverate.
Marx scrive il Capitale sulla base di alcune opinioni. Egli è convinto che:
- non esistano leggi universali dell’economia, ma soltanto leggi storiche specifiche.
- la società borghese porti in sé delle contraddizioni strutturali che ne minano la solidità.
- l’economia debba far uso dello schema dialettico della totalità organica (tutti gli elementi del capitalismo
sono strettamente connessi e, relazionati, vengono a creare un’unica totalità).
- il capitalismo debba essere studiato nei suoi elementi strutturali, eliminando quelli secondari.
- il Capitale sia una critica della complessiva civiltà capitalistica e non solo dell’economia di quest’ultima.

Merce e valore:
Secondo Marx la merce possiede un valore d’uso (deve essere utile) ed un valore di scambio
(deve poter essere scambiata con altre merci). Il valore di scambio di una merce deriva dalla
quantità di lavoro necessaria per produrla. Tuttavia il valore di una merce non corrisponde al
suo prezzo, poiché su questo influiscono molte altre variabili.

Il plus-valore:
Marx sostiene che la caratteristica fondamentale del capitalismo sia il fatto che la produzione
non è destinata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro. Dunque il ciclo capitalistico è
diverso da quello classico basato sul rapporto M. D. M. (merce-denaro-merce), poiché basato sul
rapporto D. M. D’. (denaro-merce-piùdenaro).
Il capitalista ha quindi una merce che gli procura più denaro di quello che vale? Questo “più
denaro” non può derivare né dal denaro iniziale, che è un semplice mezzo, né dallo scambio,
che per definizione è possibile solo tra valori uguali. Perciò Marx sostiene che l’origine di
questo plus-valore della merce derivi dalle fasi primarie della produzione capitalistica. Infatti il
capitalista, per produrre, paga ed utilizza la forza-lavoro degli operai, la quale, essendo a tutti
gli effetti una merce, ha come valore il salario. Tuttavia la fonte del plus- valore sta nel fatto
che l’operaio ha la caratteristica di poter produrre un valore maggiore a quello del suo salario.
Il plus-valore deriva, quindi, dal plus-lavoro dell’operaio, identificandosi con il valore da lui
gratuitamente offerto al capitalista. Con questa teoria Marx ha voluto spiegare scientificamente
lo sfruttamento capitalista, aggiungendo che tutto ciò avviene perché il capitalista dispone dei
mezzi di produzione, mentre il lavoratore dispone solo della propria energia lavorativa, che è
costretto a vendere per vivere.

Dal plus valore deriva il profitto. Per Marx questi due elementi sono però differenti, poiché
esistono due tipi di capitale investito: il capitale variabile (quello investito nei salari dei
lavoratori) ed il capitale costante (quello investito nelle macchine e nel mantenimento della
fabbrica).Quindi alla fine si ottiene:
- il plus-valore finale (o saggio del plus-valore), che deriva dal rapporto tra plus valore e capitale variabile;
- il profitto, che deriva dal rapporto tra plus valore e somma dei due capitali investiti.
Dunque il guadagno del capitalista è più precisamente indicato dal profitto, piuttosto che dal plus-
valore.

Processi e contraddizioni del Capitalismo:


Poiché il capitalismo si regge sul ciclo D.M.D’, il suo fine è quello di ottenere la maggior
quantità possibile di plus-valore. Per raggiungere il suo obiettivo esso insegua tutte le vie
possibii, identificandosi in una società retta dalla logica del profitto individuale, anziché
collettivo. Marx, nel Capitale, analizza alcune tappe significative del processo capitalistico.

Le fasi del processo capitalistico:


- All’inizio il capitale cerca di accrescere il proprio plus-valore aumentando la giornata lavorativa. Tuttavia
questo tentativo presenta dei limiti invalicabili, in quanto oltre un certo tempo la forza-lavoro di un operaio
cessa di essere produttiva.
-Come conseguenza si passa ad un secondo momento, con la riduzione della parte di giornata
lavorativa necessaria ad integrare il salario (detta plus valore relativo). Infatti, ad esempio, se
un operaio impiega 4 ore, anziché 6, per guadagnare il proprio salario, il tempo lavorativo
rimanente sarà più grande e aumenterà il plus-valore. Ovviamente tutto ciò si dimostra
possibile solo con l’aumento della produttività.
-Da ciò si passa ad un’altra fase, incentrata sulla necessità, per il capitalismo, di introdurre
continuamente nuovi e più efficienti strumenti e metodi di lavoro. Nel ciclo lavorativo, infatti,
la macchina assume una grandissima importanza riguardo l’aumento del plus-valore, poiché è
capace di aumentare notevolmente la quantità di merce prodotta a parità di salario (maggiore
produttività), di allungare la giornata lavorativa (non avendo bisogno di riposo) e di rendere
meno faticose le operazioni lavorative.

Le ragioni della crisi del capitalismo:


Secondo Marx,il capitalismo è entrato in crisi attraverso i suoi stessi processi.
- Per prima cosa, infatti, l’aumento di produttività dovuto alle macchine, genera, oltre alla conflittualità operaia, il
fenomeno delle crisi di sovrapproduzione (si produce troppo rispetto alla domanda della merce), le quali sono una
diretta conseguenza anche di un altro fenomeno tipicamente capitalista: quello dell’anarchia della produzione,
che porta i capitalisti a precipitarsi alla cieca nei settori dove il profitto è più alto, arrivando ad un certo punto
all’eccesso della produzione rispetto alle esigenze di mercato.
- Inoltre, la necessità di un continuo rinnovamento tecnologico genera un altro inconveniente: la
tendenziale caduta del profitto (accrescendo il capitale costante rispetto al capitale variabile, diminuisce il
saggio di profitto). Accade, dunque, che il profitto risulti progressivamente sempre più scarso rispetto a
tutto il capitale.
Secondo Marx la somma di questi fenomeni finisce per produrre quella decisiva tendenza
del capitalismo che è la scissione della società in due classi antagonistiche, che tende a
prodursi su scala mondiale. Alla fine il contrasto tra forze produttive sempre più sociali ed il
carattere privatistico dei rapporti di produzione diventerà estremamente profondo e il sistema
capitalistico si spezzerà.

La rivoluzione e la dittatura del proletariato:


-Le contraddizioni della società borghese sono alla base della rivoluzione del proletariato, che,
impadronendosi del potere politico, darà avvio al passaggio dal capitalismo al comunismo, in
cui ogni forma di proprietà privata e di dominio di classe sarà cancellata. Lo strumento della
rivoluzione è, per Marx, la socializzazione dei mezzi di produzione, che porrà fine alò
fenomeno del plus-valore. Il compito del proletariato, dunque, sarà quello, non di impadronirsi
della macchina statale borghese, ma quello di spezzarne i meccanismi di base. (secondo Marx,
infatti, gli apparti istituzionali e ideologici borghesi sono specifici per gli intenti capitalistici e
non possono essere usati anche a vantaggio del proletariato).
-Riguardo i metodi per accedere al potere Marx ammette varie possibilità legate alle specificità
storico-nazionali, e, sebbene sia propenso a ritenere che la rivoluzione implichi forme di violenza,
non esclude la strada di una via pacifica al socialismo.
-Il rifiuto netto verso le forme istituzionali borghesi prende corpo nella dottrina della dittatura
del proletariato, la quale afferma che la lotta delle classi conduce ad una dittatura del
proletariato durante il periodo di transizione della trasformazione della società capitalistica in
quella comunista. Marx, tuttavia non chiarisce quali forme concrete dovrà prendere questa
dittatura, che egli ritiene solo una misura storica di transizione che mira al proprio superamento
e a quello di qualsiasi altra forma di stato.
Al fondo del comunismo marxista vi è dunque un ideale di tipo anarchico. Marx ritiene
però, che la società senza Stato non si possa raggiungere immediatamente, ma solo in
una prospettiva futura, distinguendosi, in tal modo, sia dal modello socialdemocratico,
volto alla conquista dello Stato dall’interno per utilizzarlo per i propri scopi, sia da
quello anarchico, volto all’immediata proclamazione del nuovo stato senza la fase
intermedia della dittatura del proletariato.

Sartre

L’esperienza della prigionia, della guerra e della resistenza avvicinarono Sartre alla realtà storica e
alla lotta politica, anche se rimase sempre profondamente legato ai problemi esistenziali.

"Politica" e "Uomo" sono i due grandi temi sviluppati dallo scrittore


francese ne "La morte nell’anima"; Mathieu emerge simbolicamente tra
un gruppo di intellettuali, coinvolti loro malgrado nella battaglia per la
difesa di Parigi dall’occupazione nazista.Mathieu il protagonista è un
intelletuale conivolto nella disfatta della Francia, invasa dalle truppe
naziste. Soldato contro le proprie convinzioni morali e politiche , non si
accontenta di subire la disciplina di assistere dall’interno al disfacimento
dell’esercito, francese ma continua ad analizzare e programmare ogni
suo atto con imponente lucidità. Si accorge cosi che la guerra cui
partecipa è una guerra falsa e che lui stesso è solo un simulacro di
soldato. Improvvisamente però un’isolata azione di guerra offre agli
occhi del protagonista un’occasione di riscatto: da un campanile,
Mathieu spara sui nazisti rischiando la vita, e può finalmente saldare il
conto con se stesso, ribellandosi contro la propria impotenza, ma
soprattutto contro la gretta ipocrisia della società in cui è vissuto.
Una presa di coscienza che dà il colpo finale al suo individualismo
piccolo-borghese.

Confronto con pirandello


Popper per descrivere il proprio approccio filosofico alla scienza ha coniato
l'espressione razionalismo critico che implica il rifiuto dell'empirismo logico,
dell'induttivismo e del verificazionismo. Egli afferma che le teorie scientifiche
sono proposizioni universali, espresse al modo indicativo della certezza, la
cui verosimiglianza può essere controllata solo indirettamente a partire dalle
loro conseguenze. La conoscenza umana, quindi, è di natura congetturale e
ipotetica, e trae origine dall'attitudine dell'uomo a risolvere i problemi in cui si
imbatte, quando cioè appare una contraddizione tra quanto previsto da una
teoria e i fatti osservati. In tal senso la contraddizione svolge un ruolo
fondamentale per il progresso scientifico, che non è stimolato dalla semplice
osservazione empirica: gli uomini infatti, e così pure gli animali, non pensano
in termini induttivi, , ma partono da modelli mentali speculativi che fanno da
guida alle loro esperienze, attraverso un processo continuo di tentativi ed
errori.

Egli rovescia il principio di verificazione in quello di falsificazione: scientifica è


una legge non perché può essere verificata ma perché può essere falsificata.
E’ questo il principio di falsificazione elaborato da Popper.  Da qui, le critiche
di Popper alla psicoanalisi e al marxismo, che ambiscono a presentarsi come
dottrine scientifiche: esse non sono scientifiche perché non sono formulate in
modo falsificabile. Infatti non consentono assolutamente di essere smentite
(es. complesso di Edipo/rimozione; es. predizione marxista dell’avvento di
una società più giusta, ma in data non precisata). Per Popper le teorie che
non si possono falsificare non sono scientifiche. Esempio di teoria scientifica
falsificabile è quella della relatività di Einstein: cfr. l’episodio decisivo
dell’eclissi del 1919 che avrebbe potuto falsificarla.

Posto che nella scienza si debba privilegiare la falsificazione rispetto alla


verificazione, come devono allora lavorare gli scienziati? Gli scienziati
elaborano anzitutto ipotesi generali (leggi scientifiche) basandosi
sull’osservazione dei fatti; procedono cioè per induzione: osservano singoli
casi e formulano leggi generali che valgono per tutti i casi simili. Poi, non
devono lavorare a trovare conferme ma smentite alle loro ipotesi perché sono
consapevoli che le conferme non basteranno mai.

Per Popper la scienza è il regno delle verità provvisorie e sempre discutibili.


Questo comporta: 1) che la società deve essere libera e consentire in modo
ampio la ricerca e il tentativo di abbattere le verità costituite perché la scienza
progredisce attraverso i tentativi di falsificazione (critica di Popper a tutto ciò
che inibisce il senso critico, come la televisione); 2) che non si può fondare
una società su valori assoluti perché questi non esistono: la società migliore è
quella che prende atto della provvisorietà delle conoscenze e lascia liberi tutti
di metterle in discussione (critica di Popper ai totalitarismi).
Freud
"Metodo Catartico"-->cioè provocare una scarica emotiva nel
paziente per liberarlo dai suoi disturbi.
Prima di Freud la Psiche si identificava con la Coscienza. Al contrario, per Freud, la gran parte
della vita menale si svolge fuori dalla coscienza -->nell'inconscio.
Freud divide l'inconscio in due zone:
•preconscio=da cui i ricordi, con un piccolo sforzo, possono essere richiamati
•rimosso=ricordi stabilmente inconsci, che possono essere richiamati solo con tecniche apposite.

(L'inconscio freudiano coincide con il rimosso)


Per sbloccare l'inconscio prima Freud usa l'ipnosi, ma si rivela poco efficace in quanto non tutti i
pazienti sono predisposti. 
Allora inizia ad usare le libere associazioni-->fa rilassare il paziente e poi gli sottopone una serie
di parole a cui il malato associa liberamente altre parole/immagini relative al rimosso. 
Questa pratica si rivela molto efficace, anche se entrambi (medico e paziente) devono impegnarsi
in questo sforzo di richiamo e avere grande fiducia nel metodo che viene applicato.

Come si manifesta l'inconscio?


Per Freud l'inconscio si manifesta attraverso:

• sogni
• atti mancati
• sintomi nevrotici

I sogni (ne parla nel saggio "L'Interpretazione dei Sogni") per Freud sono la via attraverso cui
l'inconscio arriva al conscio, alla superficie. I sogni sono l'appagamento (camuffato) di un
desiderio (rimosso). Cosa significa? Significa che i nostri sogni sono costituiti da un
contenuto manifesto (cioè quello che sogniamo) e un contenuto latente (il vero significato del
sogno, cioò che lo ha provocato). 
Freud sostiene che l'uomo ha desideri che ritiene "inaccettabili" e quindi li maschera: il
contenuto manifesto dei sogni è la forma mascherata di un desiderio censurato, nascosto. 

L’Es designa quindi la parte più oscura e inconscia della psiche


(la voluntas  di Schopenhauer), da cui derivano le manifestazioni della vita
istintiva. È il polo pulsionale della personalità, ovvero la forza impersonale
e caotica (Freud ne parla come di «calderone di impulsi ribollenti») che
costituisce la matrice originaria della nostra psiche, quei caratteri della
nostra personalità che non possono esseri espressi poiché rifiutati dalla
società, qualcosa di cui ci vergogniamo, la nostra parte biologica. Freud
designa con l’Esla parte oscura, una sorgente organica di energie pulsionali non organizzate che
fluiscono in una dimensione atemporale, operando al di fuori delle consuete categorie logiche e da
qualsiasi nozione di valore o di bene, di male o di moralità. È il Livello Fisico, il Piano Materiale, le
Radici dell’Albero della Vita. Per queste caratteristiche, l’Es non conosce «né il
bene, né il male, né la moralità, né le leggi della logica» ma obbedisce
unicamente «all'inesorabile principio del piacere».
Io
L’Io è governato dal principio di realtà, la coscienza mediatrice che si trova tra l’incudine dell’Es e il martello
del SuperIo. L’Io è l’istanza preposta alla coscienza, è la parte più superficiale dell’apparato psichico, si
costituisce come mediazione tra i bisogni pulsionali propri dell’Es e il mondo esterno. L’Io è paragonato
al cavaliere che deve domare la prepotente forza del cavallo, con la differenza che il cavaliere cerca di farlo
con i propri mezzi, mentre l’Io lo fa con i mezzi presi a prestito dall’Es. L’Io è quella parte dell’Es che è stata
modificata dall’influsso e dalla vicinanza del mondo esterno. Oltre a mediare i conflitti tra Es e mondo esterno,
l’Io deve tener conto delle pressanti richieste del SuperIo. Di fronte alle esigenze pulsionali l’Io mantiene un
atteggiamento critico e decide quali debbano essere realizzate subito, rinviate o rimosse perché pericolose. Il
suo compito è quello di mediare le istanze vitali dell’Es, tese al soddisfacimento irrazionale e assoluto, e
le istanze del SuperIo, indirizzate verso la censura e la castrazione delle prime. All’Io appartengono la
percezione e la coscienza; ma è chiaro che la radice di tutti i processi che avvengono nell’ambito dell’Io deve
essere cercata nell’Es. Per questo suo radicamento nell’Es, l’Io stesso resta in larga misura inconscio.

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