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Il sistema economico è l’insieme delle relazioni che esistono tra i soggetti di uno specifico
contesto socio-politico in un dato momento storico, e che sovraintendono al
soddisfacimento dei bisogni ( e dei desideri) individuali e collettivi determinando cosa
produrre, quanto produrre e per chi produrre. La natura di tali relazioni è complessa
(coinvolge molteplici dimensioni) e storicamente determinata.
I. INTRODUZIONE
a) Demografia
La chiave di questo primo fattore risiede nel rapporto popolazione/risorse. Nei regimi
economici tradizionali la crescita della popolazione ha due effetti:
• effetto positivo ! c’è più forza lavoro e una maggiore divisione del lavoro: più il
lavoro è specializzato più l’output aumenta;
• effetto negativo ! le risorse diminuiscono ;
Ciò che viene a mancare nel modello di Malthus è la tecnologia. Non c’è l’idea che le
risorse date potrebbero essere meglio sfruttate tramite la tecnologia, che proprio al
tempo di Malthus stava divenendo una componente fondamentale. Un’altra variabile
importante è costituita dagli incentivi esterni, ovvero quei fattori che determinano le
scelte dei cittadini (scelte di lavoro, etc.).
L’elemento problematico che si presentò fu proprio quello che Malthus non aveva preso
in considerazione, ovvero la tecnologia: non era sufficientemente sviluppata
all’aumento della popolazione. La peste nera che giunse nel 1300 fu in parte causa della
mancata tecnologia (oltre alla mancanza di sistemi igienici ed altri fattori) ed ebbe un
impatto enorme sulla popolazione.
Dal punto di vista economico, prima delle peste, l’aumento consistente della
popolazione aveva portato in particolare a due conseguenze:
• Fattore lavoro ! diminuzione dei salari (se aumenta l’offerta di lavoro, i salari
diminuiscono);
• Fattore capitale ! le rendite dei campi aumentano come conseguenza
dell’aumento della forza lavoro;
Dopo la peste, con la riduzione drastica della popolazione, le cose si invertirono:
Questa peste del 1348 e la successiva guerra dei 30 anni conclusasi nel 1648
rappresentano due esempi di trappole malthusiane. Dal 700 in poi c’è una maggior
consapevolezza dello Stato di mettere a disposizione più servizi (come i servizi igienici) e
risorse, prolungando la durata media della vita, seguita da una ripresa sorprendente
portata dalle le rivoluzioni industriali, che si arresterà solo con le due guerre mondiali.
b) Geografia
Le economie che dispongono di molte risorse non necessariamente sono ricche, mentre
lo sono quelle economie che riescono a utilizzare le risorse in modo efficiente.
Si può osservare come ci sono state storicamente oscillazione nella temperatura del
pianeta totalmente slegate e indipendenti dalle attività antropiche (inquinamento etc.).
Fattori cruciali:
• Inefficiente sfruttamento del territorio ! fragilità ed elasticità;
• Cambiamento climatico ! eruzione del vulcano Tambora, 1815: la distribuzione
della cenere su tutto il mondo provoca un irrigidimento delle temperature e una
conseguente riduzione dei raccolti a livello mondiale (la previsione di mutamenti
climatici incide sulla possibilità di reagire a tale cambiamento);
• Presenza di nemici ! l’impero romano crollò su se stesso a causa delle minacce
esterne ;
• Rapporti con amici ! potenzia enormemente la forza dello scambio;
• Capacità di innovazione della società;
È chiaro quindi come i fattori geografici (territorio, fenomeni naturali, clima, distanze,
etc.) influenzino enormemente un sistema economico.
c) Istituzioni
Le istituzioni sono i sistemi di regole, i vincoli che strutturano le interazioni politiche,
economiche e sociali, consistenti in regole informali (sanzioni, tabù, costumi, tradizioni e
codici di condotta) e regole formali (costituzioni, leggi, diritti di proprietà)! hanno preso
piede giocando un ruolo fondamentale nella storia economia (il fatto che la rivoluzione
industriale abbia avuto luogo in Inghilterra, fu dovuto anche al fatto che questo Stato, a
differenza degli altri, mise in piedi un sistema giuridico che tutelava le attività lavorative),
mentre poco incidenza ebbero all’interno della teoria economica neoclassica.
Non è quindi detto che sopravvivono sempre le istituzioni migliori sotto il profilo
economico ! nel momento in cui lo sfruttamento delle risorse è ottimale si riesce anche
a preservarne l’utilizzo nel tempo. Ed è per questo che si tende alla privatizzazione a
discapito della proprietà collettiva (anche se dal punto di vista economico è migliore
rispetto alla privatizzazione). Ne consegue che soggetti “deboli” rimangono esclusi da
questa divisione dei beni.
Le istituzioni che favoriscono lo sviluppo: il mercato secondo Adam Smith (La ricchezza
delle nazioni, 1776) ! Smith non è un economista, ma un professore scozzese di
economia morale. La sua grande intuizione risiede nell’attenta analisi di come si
comportano i soggetti e del perché alcune nazioni sono povere mentre altre sono
ricche.
Secondo Adam Smith lo scambio doveva essere libero e volontario, inteso come unità
elementare dell’ economia di mercato, in quanto due soggetti che scambiano beni tra
loro lo fanno per il soddisfacimento di un bisogno specifico in modo da aumentare l’
utilità individuale. C’è quindi tutto l’interesse da parte dei soggetti a comportarsi
correttamente in previsione di scambi futuri, a specializzarsi in una determinata attività, a
sviluppare i diritti di proprietà per incentivare a produrre ed investire e a stabilire regole
che governino l’ operazione. La chiave della visione di Smith è quindi l’allargamento del
mercato e la suddivisione del lavoro:
• Metafora della mano invisibile: esiste nel mercato una forza che induce a
trasformare i comportamenti egoistici degli individui in un miglioramento del
benessere sociale. Ecco dunque che questa mano invisibile per funzionare
necessita di una struttura istituzionale che favorisca questa interazione tra i
soggetti: il mercato. In questa visione gioca un ruolo fondamentale, perché più
c’è scambio più si ha specializzazione nel lavoro. Ecco che qui la divisione del
lavoro diventa uno strumento straordinario dell’efficienza economica. La
diffusione degli scambi e la divisione del lavoro sono quindi gli elementi principali
della crescita economico secondo Smith! crescita smithiana .
• Egoismo smithiano: due soggetti che interagiscono tra di loro lo fanno per
soddisfare i loro bisogni in modo tale da aumentare la loro utilità. Se i soggetti
sono liberi di muoversi e interagire tra loro, l’utilità di entrambi aumenta. Una cosa
su cui Smith si sbaglia è che il mercato è privo di morale. Solo in parte lo è.
L’incentivo dato dal mercato è quello di fare le cose fatte bene, e tanto
maggiore è lo scambio tanto conviene specializzarsi in un’attività.
Lo sviluppo “smithiano”:
a) Lo scambio libero e volontario come unità elementare dell’economia di
mercato;
b) Due soggetti scambiano tra loro beni (uno dei quali spesso è il denaro) e lo fanno
per soddisfare un bisogno specifico, in modo tale da aumentare l’utilità
individuale alla fine dello scambio (faccio lo scambio solo se lo reputo
conveniente). Alla fine l’utilità di entrambi è accresciuta.
c) C’è interesse a comportarsi correttamente, se si intende interagire nuovamente
(morale del mercato);
d) Quanto più lo scambio è diffuso, tanto più conviene specializzarsi in un’attività
specifica;
e) Quanto più i diritti di proprietà sono tutelati, tanto più ho un incentivo a produrre e
investire;
f) L’importanza delle regole, formali e informali, che governano l’interazione
(l’homo oeconomicus è un’astrazione);
Un potere sovrano personale si resse a lungo in Europa sulla concessione di privilegi (lex
privata), cioè di norme particolari elargite a città, corporazioni d’arti e mestieri, casate
aristocratiche, singoli individui, etc. Fino ai primi dell’Ottocento raramente gli individui
potevano essere privati proprietari di immobili, ma vi era spesso un titolare (dominus),
investito di signoria feudale. I regimi politici coesistenti nel vecchio continente nei secoli
dell’età moderna sono riconducibili a cinque tipi:
- Il feudalesimo, con il potere controllato a titolo ereditario da un gruppo di casate
nobili, è l’organizzazione più antica, tipica delle società tradizionali rurali. Manca
di un forte potere centrale (il sovrano non gode di un potere effettivo) ed è
contraddistinto da una molteplicità di poteri locali, con rapporti politici
tipicamente personali (il vassallo giurava fedeltà al padrone ricevendo in cambio
protezione). Dal XVII secolo l’ affermazione della monarchia assoluta e l’ ascesa
della borghesia alleata del sovrano minarono irrimediabilmente le strutture
feudali.
Le repubbliche patrizie erano città-stato (dal XII secolo conservatesi nell’ età
moderna) in cui il potere apparteneva ad una rosa di casate autoctone
(oligarchia patrizia) di matrice alto borghese che si avvicendavano nell’ esercizio
di funzioni politico-amministrative.
- La monarchia assoluta, regime contraddistinto dall’unicità del sovrano senza pari,
il cui potere non conosceva limiti all’interno dello stato. Prevalse una concezione
teologica che vedeva nella monarchia l’espressione perfetta dell’autorità
delegata da Dio. Con la formazione di eserciti permanenti e di burocrazie
centrali e periferiche, dal XVII secolo in poi la sfera del potere regio non smise di
ampliarsi e complicarsi.
- Il dispotismo illuminato apparve intorno alla metà del Settecento in alcuni stati
dell’Europa centrale e orientale, con l’ obiettivo da parte dei sovrani di far
guadagnare ai propri sudditi il ritardo accumulato rispetto alla monarchia
assoluta, promuovendo processi forzati di modernizzazione istituzionale, volta ad
instaurare un ordine politico razionale, avvalendosi anche del consiglio di esperti
(filosofi politici). Si perseguiva la semplificazione dei rapporti con i sudditi, assieme
alla codificazione delle norme per accrescere la potenza ed il prestigio dello
stato, anche sotto il profilo economico, inaugurando una tradizione autoritaria
che in alcuni casi continuò fino ai primi decenni del Novecento.
- Il regime britannico è una monarchia ereditaria nella quale il potere
apparteneva ad un’ aristocrazia autorevole e rispettata che godeva della
generale considerazione dei sudditi, interessata ai problemi concreti del paese e
che deteneva l’ amministrazione locale, in assenza di una burocrazia regia. Gli
aristocratici accedevano ai due rami del Parlamento, la Camera dei Lord
(ereditaria) e quella dei Comuni (elettiva), oltre a costituire il personale politico
dei gabinetti di governo. Si tratta in definitiva di un sistema rappresentativo,
elettivo, elitario e liberale, dove Sovrani e Parlamenti assunsero il ruolo di esclusivi
produttori di norme durante tutto il Settecento, quando comparsero i primi
esemplari di codici civili validi per tutti i sudditi del regno, nel tentativo di superare
il tradizionale particolarismo istituzionale e amministrativo.
Nel XIX secolo si sarebbe poi arrivati alla tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e
giudiziario) e al principio di rappresentanza politica (parlamentarismo), passando per il
suffragio limitato, fino a quello universale.
d) Tecnologia
La chiave della tecnologia è lo stato delle conoscenze relative ai processi produttivi e ai
beni prodotti. Essa definisce come si combinano i fattori della produzione, terra lavoro e
capitale: può segnare i processi di sviluppo, nonché il vantaggio competitivo. Essa
riveste un ruolo fondamentale nel processo di produzione, incidendo sul contenuto dei
prodotti. L’evoluzione tecnologica rende più efficiente l’uso delle risorse. Oggigiorno le
strategie commerciali delle multinazionali sono costruite sull’innovazione tecnologica.
Tuttavia in passato aveva un ruolo profondamente diverso, in quanto i cambiamenti
tecnologici erano molto lenti nell’affermarsi. Questo fa comprendere perché i sistemi
economici fossero sistemi a bassa produttività: si contava soprattutto sul lavoro e sulle
risorse naturali (terra), mentre il fattore capitale aveva meno importanza.
Una differenza tecnologica gioca un ruolo importante nel definire i processi storici. Un
avvenimento storico esemplare è la guerra si secessione americana del 1860.
• Il Nord era antischiavista, al contrario del Sud la cui economia era basata sullo
sfruttamento;
• Il Nord aveva un sistema economico sviluppato nel suo processo
d’industrializzazione, il Sud al contrario no (si ricordi che fino al 1800 in America
non c’erano attività manifatturiere: venivano lavorate in Inghilterra, la colonia
madre);
Alla base di tale contrasto tra nordisti-sudisti non c’era quindi soltanto la schiavitù, ma
anche la fondamentale differenza tra i sistemi economici. Rappresenta di fatto la prima
guerra tecnologica, dal momento che la tecnologia finisce per segnare le sorti del
conflitto: il Nord era in grado di produrre armi migliori e ferrovie che agevolavano lo
spostamento sia di quest’ultime che delle navi corazzate (anche per bombardare le
città costiere sudiste).
Anche nella prima guerra mondiale la tecnologia giocò un ruolo fondamentale: Austria,
Ungheria e Germania persero la guerra non tanto per questioni strategiche, ma
tecnologiche.
Nel passato le risorse costituivano un vincolo forte per l’evoluzione della tecnologia.
e) Cultura
La chiave di lettura della cultura sono le conoscenze, i valori, i costumi, gli atteggiamenti,
le ideologie etc., che agiscono sulle scelte che facciamo come consumatori e
produttori, nonché sulla qualità della forza lavoro (alfabetizzazione, livello di istruzione,
etc.). Le motivazioni comportamentali sono definite in modo rilevante anche da fattori
culturali (si pensi oggi al dibattito sulla fecondazione assistita). A seconda di quanto tali
vincoli culturali incidano all’interno del sistema economico, si può avere più o meno
sviluppo. La cultura incide molto anche sul capitale sociale, ovvero sull’ insieme di
relazioni tra gli individui che si basano sulla fiducia e altri valori e che consento di
intrattenere relazioni economiche. In altre parole, la cultura incidile sul progresso.
In Europa occidentale, dalla metà del Settecento, la cultura divenne il maggior fattore
di promozione e ascesa sociale. Max Weber la definisce come la rete di simboli e
significati che dà senso alle azioni degli uomini. I comportamenti economici individuali e
collettivi dipendono anzitutto da sistemi di valori sociali e culturali riconducibili alle
comunità di appartenenza. Analoghe istituzioni e stesse tecniche producono effetti
diversi a seconda delle culture nelle quali vengono innestate e del periodo in cui hanno
luogo. Si possono distinguere due modelli semplificati di società:
Nelle campagne europee tra il XV e il XIX secolo, dalla metà ai tre quarti dei prodotti
annuali dei medi poderi erano consumati e investiti in natura (autoconsumo ed auto
investimento) dai produttori stessi. Persino i salari erano liquidati in beni di prima necessità
e la maggior parte dei volumi raccolti e delle prestazioni di lavoro non era scambiata
con moneta. Durante l’età medievale la vendita di prodotti agricoli era dunque quanto
mai casuale e imprevedibile, per la semplice ragione che l’ offerta dei medio-piccoli
produttori concerneva solo scorte eccedenti rispetto ai fabbisogni domestici degli stessi.
Nelle regioni dei grandi latifondi era normale avere eccedenze da vendere, tanto che
gli scambi con moneta svolgevano un ruolo tutt’altro che marginale nella distribuzione
della ricchezza reale prodotta. La moneta aveva la funzione di riserva di valore, in
quanto l’obiettivo non era quello di offrire merci per il guadagno, ma di non mantenere i
prodotti facilmente deperibili e convertire il loro valore in qualcosa che durasse nel
tempo. In sostanza l’accesso al mercato come venditori di miriadi di contadini diretti
coltivatori dipendeva in pratica dalle condizioni meteo-climatiche di ogni annata
combinate con la natura dei terreni, senza l’ intento di produrre l’ ottimo
necessariamente per venderlo. Il prezzo di equilibrio era comunque imprevedibile, in
quanto la quantità di merci era casuale e dipendeva da molti fattori non sempre
controllabili dall’ uomo.
Il mercato infatti impediva ai contadini di produrre per vendere, proprio perché non era
orientato da prezzi prevedibili, essendo diverso dal mercato antagonistico, impersonale
ed autoregolato che avrebbe avuto la meglio, a partire dall’ Inghilterra e dalle Fiandre.
Religione protestante ! Teoria della predestinazione: come possiamo noi uomini nella
nostra limitatezza pretendere di influire sulle decisioni di Dio tramite le nostre opere? Ecco
che il fatto di dedicarsi alle attività economiche perde valore, perché non preclude
l’accesso in paradiso. Questa mentalità non può che aver provocato una forte spinta (in
senso negativo) in campo economico.
Perché al crescere delle relazioni commerciali cresce anche la percezione che uno
scambio debba essere equo? L’idea è che in ogni scambio ci debba essere equilibrio,
perché ci si aspetta che nel futuro il soggetto con cui si ha intrattenuto tale scambio si
comporti onestamente. Se qualcuno agisce in maniera disonesta viene emarginato
dalle relazioni commerciali. C’è quindi una certa idea di giustizia e cooperazione tra
soggetti: ci sono attività economiche che vengono svolte in collettivo. E’ proprio in un
contesto sociale ed economico dove la fiducia reciproca è importante, che anche il
concetto di giustizia assume un ruolo fondamentale.
La coltura, quindi, incide in vario modo sull’economia, agendo sulle scelte, il capitale
umano e sociale, il progresso tecnico etc.
C’è chi sostiene che tale rivoluzione sia stata la trasformazione che più ha inciso sulla vita
dell’uomo. Le attività principali del Neolitico erano la caccia e la raccolta: non c’erano
risorse disponibili all’uomo in via diretta. Tale condizione (uomo cacciatore e donna
dedita alla terra) ha coperto una parte importantissima della storia che portò a due
conseguenze:
• Essendoci una netta divisione del lavoro, uomo e donna svilupparono capacità
ben diverse ! l’uomo era in grado di elaborare mappe mentali grazie all’attività
della caccia, la donna, al contrario, non aveva questa capacità di astrarre lo
spazio. Dall’altra parte, la donna aveva una migliore visione dello spazio ristretto
nonché un’ottima visione laterale (controllo del bambino nella caverna).
Tutti questi meccanismi che oggi ci appaiono come scontati, sono legati di fatto alla
nostra storia lontana.
Il Neolitico vede il suo pieno sviluppo tra 12.000 e 4.000 anni fa: la svolta determinante
avvenne dall’ 8000 a.C., quando l’ uomo passò dallo stadio di cacciatore a quello di
agricoltore. Cambiò il regime alimentare, i popoli passarono dall’essere nomadi a
stanziarsi in villaggi stabili per poi passare alle città e la popolazione segnò un notevole
incremento. Il lavoro iniziò ad essere suddiviso per una maggiore produttività e per
favorire gli scambi e la coesistenza di più popolazioni in uno stesso luogo. Nacquero le
prime istituzioni, come l’arte, il diritto e la società: in poche parole durante il neolitico si
assiste all’ origine della civiltà.
Ebbe luogo in periodi diversi in varie aree del mondo e portò alla transizione da una
economia di sussistenza basata su caccia e raccolta all'addomesticazione di animali e
alla coltivazione di piante. Tale cambiamento era collegato ai primi insediamenti stabili
e ad un abbozzo di stratificazione sociale. L’ epicentro del cambiamento era nella zona
della cosiddetta Mezzaluna fertile, da dove in seguito le novità si sarebbero trasmesse
in Europa, seppur si vada verso l’ottica di stemperare l'idea di rivoluzione, in favore di un
lento condizionamento dell'ambiente da parte dell'intervento umano. La rivoluzione
neolitica ebbe profondissime conseguenze non solo sull'alimentazione umana ma anche
sulla struttura sociale delle comunità preistoriche. Se le comunità preistoriche
di cacciatori-raccoglitori erano tipicamente nomadi, di piccole dimensioni, e poco
strutturate da un punto di vista sociale, l'introduzione dell'agricoltura portò alla nascita di
comunità sedentarie, villaggi e città. L'incremento della densità di popolazione a sua
volta condusse alla divisione del lavoro e gradualmente alla strutturazione della società
e alla nascita di forme di amministrazione politica più complesse, nonché al commercio.
Inoltre, attraverso l'insediamento stabile e l'agricoltura, l'uomo iniziò in questo periodo a
manipolare l'ambiente naturale a proprio vantaggio. I più antichi esempi noti di società
agricole neolitiche strutturate sono le città sumere, la cui nascita segna anche il
passaggio dalla preistoria alla storia.
"La rivoluzione agricola non sarebbe stata possibile senza una decisione sociale, che
rafforza la coesione delle comunità neolitiche", quella cioè di non consumare
immediatamente il prodotto del raccolto, "ma di conservarne una parte, da destinare
alla semina".
È verosimile che tali trasformazioni siano avvenute in modi diversi in luoghi diversi, e che
solo in parte esse abbiano seguito leggi evolutive universali.
• Demografia ! una popolazione in crescita non può essere sostenuta solo con la
caccia;
• Geografia ! i mutamenti climatici ed economici portarono all’estinzione di
innumerevoli specie animali (meno animali da cacciare);
• Istituzioni ! c’è una definizione più chiara dei diritti di proprietà che dà incentivi
all’agricoltura . Allo stesso tempo, il cambiamento dell’organizzazione sociale
porta alla nascita di attività non agricole;
• Tecnologia ! alcune piante ed alcuni animali si adattano meglio ad un
addomesticamento (insegnamento che arriva dagli anni passati nella savana,
“learning by doing”);
• Cultura ! cambiano i valori e si diffonde l’idea che il potere sia rappresentato
dalla quantità di beni posseduti. Queste accumulazioni di risorse da parte dei
“potenti” diventavano anche un modo di distribuzione della ricchezza;
Popolazione ! fortissimo aumento della popolazione non solo nella quantità, ma anche
nella velocità. Dal 1000 al 1820 si quadruplica, dal 1820 al 1998 cresce di 6 volte tanto.
Pil pro capite ! La capacità di creare ricchezza è stata superiore all’aumento della
popolazione, in quanto si ha una crescita del Pil maggiore della crescita demografica;
Pil mondiale ! l’aumento del PIL nazionale appena osservato comportò una maggiore
ricchezza a livello internazionale;
Esportazioni ! aumentano principalmente con lo sviluppo delle relazioni commerciali e
degli scambi. Senza specializzazione del lavoro e scambio internazionale i processi di
sviluppo sono impossibili, e questo spiega come ogni evento che venga ad interferire nel
commercio internazionale possa costituire un blocco nei processi di crescita.
Il PIL tuttavia non considera molti fattori: essendo una media dice poco preso
individualmente. Viene per questo preso in considerazione l’indicatore di sviluppo
umano ! tiene conto per un terzo dell’aspettativa di vita alla nascita (quanto un
bambino potrebbe vivere), per un terzo del PIL e per l’ultimo terzo della scolarità: una
persona che ha una scolarità elevata ha una qualità migliore di vita in quanto riesce a
sfruttare e cogliere meglio vari aspetti della vita. Di conseguenza, l’indicatore di sviluppo
umano risulta più appropriato del PIL. Inoltre, all’interno di questo sviluppo, bisogna
anche considerare che non tutti traggono ritorni positivi da tali processi di crescita. Ad
esempio, la rivoluzione industriale favorì quei paesi muniti di risorse che potevano essere
sfruttate e di sistemi politici che agevolavano la produzione. Di qui ne consegue che tutti
gli aggregati geografici crescono, ma alcuni in misura molto minore ! nel secondo
millennio (1000-2000) i paesi maggiormente sviluppati furono l’Europa Occidentale, il
Giappone e i Paesi Occidentali. L’Europa Orientale crebbe in misura minore rispetto a
quella Occidentale, essendo stata caratterizzata a lungo da un’economia pianificata
che ne ha costituito un freno (la Russia non ha mai conosciuta un’economia di
mercato). Il caso dell’Africa rappresenta tuttora un grosso problema: non è in grado di
uscire dalla sua trappola di povertà per colpa dell’occidente che ancora oggi continua
a sfruttarlo. Le élite che la governano non fanno altro che indebolirla.
In questa generale crisi economica nasce il feudalesimo tra l’VIII e il IX secolo: un sistema
politico gerarchico, in cui si delegavano ai nobili le funzioni primarie dello Stato !si
ritrovavano ad avere ampi poteri di gestione ed essere al centro del sistema giudiziario.
Si ha quindi una forte concentrazione di potere locale sul territorio, che si traduce in
un’altrettanta forte affermazione dei diritti individuali.
Il sistema economico dell’epoca feudale era il cosiddetto sistema curtense, modello che
si sviluppa in quel periodo in tutta Europa. Anche qui il signore ha il ruolo di maggior
importanza: sottopone tutti gli abitanti del feudo ad obblighi di lavoro, costringendoli,
per alcuni giorni all’anno, ad offrire
prestazioni nelle sue terre (corveés). I
terreni intorno al feudo del Signore, sono
affidati ai contadini: hanno competenza
diretta ma devono comunque pagare
una parte dei contributi in natura: da qui
nasce la notazione del contadino in
epoca feudale come “servo della
gleba”. Siamo quindi in una situazione
dove c’è una forte subordinazione al
Signore, sia dal punto di vista economico
che politico.
Intorno al castrum c’era la pars dominica, la parte del Signore che cedeva ai contadini
per essere lavorata, e più esternamente c’era la pars massaricia, ovvero le terre dei
contadini: questi tre livelli di sfruttamento, seppure di basso equilibrio, garantivano la
sopravvivenza (l’autarchia garantì di fatto un basso livello di sussistenza) Nell’Europa
occidentale tale sistema viene eroso velocemente, in quella orientale continuerà a
sopravvivere fino al 700.
- Pars dominicia: era gestita a coltura direttamente dal dominus, che era spesso "il
vecchio" della comunità per cui veniva chiamato senior, da cui derivò la parola
"signore"; qui lavoravano i servi con prestazioni gratuite ed obbligatorie, le
cosiddette corvées.
- Pars massaricia: era gestita dai contadini (liberi o asserviti) ed era divisa in mansi,
che corrispondevano ad unità lavorative di varia estensione. Le famiglie di coloni
la coltivavano quindi privatamente ed un terzo della rendita veniva corrisposto al
proprietario. Oltre a questo, i coltivatori erano poi tenuti sia a pagare alcune
tasse che a svolgere delle giornate lavorative gratuite sui territori agricoli
direttamente gestiti dal padrone.
Tale sistema si rivelò essere funzionale proprio perché prese piede in un periodo
caratterizzato da incertezza politica, frequenti violenze, relazioni di mercato limitate e un
basso livello di tecnologia, a cui si aggiunge una popolazione scarsa e dispersa sul
territorio. Date queste condizione d’instabilità politica, basso commercio e bassa
produttività, il subordinarsi al signore veniva accettato anche per questioni di protezione:
cedendo una parte dei propri diritti individuali, si otteneva la sua protezione militare: in
una realtà infestata da briganti, l’incolumità fisica di fatto assumeva un valore
importante.
Esisteva poi una parte di terreno incolto, composto da boschi, prati e paludi, dove si
attingevano le risorse spontanee tramite la raccolta, la caccia e la pesca. Inoltre nelle
terre lasciate a riposo (maggese) avveniva il pascolo degli animali.
Era costume che i terreni rimasti a riposo dopo la mietitura e sul maggese dopo il primo
fieno, fossero dedicati al pascolo degli animali di tutti, come in comune erano boschi,
pascoli etc.
- recintare i terreni per impedire l’ accesso agli estranei, affrancandosi dalle servitù
collettive dei campi aperti (campi a riposo a disposizione per il pascolo di tutti gli
abitanti), formando poderi autonomi ed indipendenti, in modo da non
dipendere dalle scelte agronomiche comunitarie, estensive e poco produttive;
- sostituire il maggese con la coltivazione di piante foraggiere per l’ alimentazione
animale che arricchivano d’ azoto il terreno e accrescevano il volume del
foraggio raccolto.
La nuova agricoltura (XVII secolo), fondata sulla proprietà privata, avrebbe permesso di:
- migliorare la produttività;
- collegare l’ agricoltura al mercato, superando una logica autarchica;
- accrescere i redditi dei contadini e stimolare la domanda di merci e manufatti;
- promuovere produzioni agricole utili per lavorazioni artigianali e industriali.
I contadini liberi erano comunque molto lontani dal produrre per vendere e quindi dal
comportarsi come imprenditori: essi si tenevano alla larga dai mercati per paura di
essere frodati. La distribuzione del reddito reale agricolo annualmente prodotto non
avveniva mediante compravendite, ma solo quando le scorte domestiche eccedevano
il normale fabbisogno, in quanto presentavano problemi di lunga conservazione, i
contadini le scambiavano con la moneta (riserva di valore). La tensione tra la scarsa
offerta e la grande domanda moltiplicava i prezzi delle derrate alimentari che non s’ era
riusciti ad auto produrre.
Braudel ha definito vita materiale l’insieme delle relazioni economiche, sociali e culturali
che contraddistinguevano il mondo rurale, per molti secoli il 90% della popolazione
europea. Nel lungo andare, essendo il podere diviso tra molti eredi, comparve una
figura fino ad allora sconosciuta: il bracciante senza terra, un operaio precario che
lavorava a giornata, in cambio di bassi salari pagati per lo più in natura. Le città più
numerose si trovavano in zone costiere o lungo fiumi navigabili (Fiandre, Alsazia, Lorena)
e a ovest dei Pirenei. I fiumi garantivano vie di comunicazioni veloci e fonti di energia per
i mulini. L’eterogeneità sociale, culturale ed economica era la cifra dominante delle
città medievali e moderne europee (numerosi ceti variamente gerarchizzati).
• Demografia ! crescita dall’VIII secolo che prosegue fino al 1348 (Peste Nera);
• Geografia ! clima favorevole che consente di migliorare l’agricoltura. Lenta
ricostruzione delle strade e sviluppo della navigazione: il bacino mediterraneo
diventa il fulcro del commercio anche grazie alla civiltà araba che diventa un
partner di scambio fondamentale.
• Istituzioni ! la città assume un ruolo fondamentale. Emergono nuovi centri sociali
come la borghesia mercantile (le forme d’impresa all’interno della società
feudale sono forme estremamente semplici).
• Tecnologia ! innovazioni (principalmente in campo agricolo).
• Cultura ! lento emergere dell’umanesimo. Il mondo arabo incide nella cultura e
offre importanti contributi (matematica, astronomia, ecc). Si sviluppano le
istituzioni universitarie, che nascono come luoghi di produzione di un sapere
nuovo e di una nuova centralità dell’individuo.
Demografia
ll clima e le prime innovazioni favoriscono la crescita della popolazione in modo sempre
più rilevante dopo l’anno 1000. Intorno al 1300, si assiste ad un peggioramento climatico
che porta all’estinzione dei vichinghi in Groenlandia e alla successiva diffusione delle
peste in Europa: stress alimentare e igienico. Tra il 1300 e il 1400 la popolazione di riduce
di circa un terzo: la peste diventa endemica. Una conseguenza a livello politico, è la
perdita di potere dei Signori: più potere alle popolazioni locali.
Crescita medievale (1000-1200) ! Peste Nera (1300) ! Ripresa (1500) ! Crisi ‘600 ! le
rivoluioni (1800)
Geografia
I mutamenti climatici che portarono alla glaciazione incisero significativamente anche
sulla produzione. Dal punto di vista dei commerci, contava soprattutto l’accesso alle vie
di comunicazione marittime o fluviali (il mantenimento delle strutture stradali era
divenuto molto costoso). Le città che si svilupparono di più furono proprio quelle che
potevano avere un accesso al mare, in particolare quelle del bacino mediterraneo. La
prima fase del Medioevo è quindi caratterizzata da una grande fioritura delle città
portuali. Da qui lo sviluppo dei rapporti commerciali nel mar Baltico e nel mar del Nord.
I volumi di scambio si erano estremamente ridotti, in seguito alla riduzione della
popolazione (Peste Nera) e all’accesso al mercato di scambio: non tutti disponevano di
determinati prodotti o circolavano beni di lusso che solo una parte ristretta della
popolazione poteva permettersi. Col tempo il processo di specializzazione produttiva
porterà ad un’espansione dei commerci e ad una maggiore accessibilità da parte di
tutti. Il commercio contribuisce quindi a questa dinamicità.
Istituzioni
o La crescita della produttività dell’agricoltura consente l’istituzionalizzazione dei
centri urbani. Le città diventano quindi anche un centro d’innovazione culturale,
superando quelli che erano i vincoli della civiltà feudale.
o Nasce il diritto civile, che definisce le relazioni e pone limiti al potere sovrano.
o Si sviluppano meccanismi che facilitano lo sviluppo dell’attività di scambio
(contratti, moneta etc.) ! Stadluft macht frei.
o Nascono forme societarie ! soggetti che si accordano per stipulare contratti. Da
una parte abbiamo un commendatore, colui che mette a disposizione il
capitale, e dall’altra un commendatario, colui che agisce e che ha
intraprendenza (questo consente di far incontrare chi dispone di capitale e chi
invece ha intraprendenza). Dalle forme societarie si arriverà poi alla nascita di
altre forme, come le compagnie.
Le città dell’Europa preindustriale erano gli epicentri della divisione e specializzazione del
lavoro, dei giochi, degli scambi e della circolazione monetaria (economia di scambio),
mentre le campagne erano il centro della vita materiale all’ insegna dell’ autarchia e
della quasi assenza della divisione del lavoro. Le autorità municipali fissarono standard
dei pesi e delle misure universalmente utilizzate nelle trattative, secondo principi di equa
giustizia distributiva per garantire condizioni di effettiva parità fra i contraenti. Compratori
e venditori si trovavano in uno spazio libero e aperto, dedicato e sicuro, in modo che le
transazioni potessero essere dotate di trasparenza, inoltre venivano pubblicati i giusti
prezzi dei beni di prima necessità e un’ offerta pubblica riequilibrava i prezzi a vantaggio
dei compratori in caso di calo dell’offerta a domanda rigida. Si moltiplicarono le
botteghe gestite dai dettaglianti con contrattazioni di carattere privato. La moneta iniziò
a muoversi entro circuiti di crescente ampiezza e la sua velocità di circolazione crebbe
considerevolmente, i contadini inoltre, in quanto dovevano fornire alcune specie
coltivate e manufatti domestici ai bottegai, acquisirono sempre più dimestichezza con
scambi di monete. Le imposte indirette consistevano soprattutto di dazi, che colpivano i
movimenti delle merci sul territorio, all’ingresso e all’uscita. La vendita di sale era
monopolio sovrano.
I mastri erano artigiani depositari ed esperti delle tecnologie di un dato mestiere, che
operavano nelle loro botteghe combinando capitale (utensili di settore, conoscenze) e
lavoro (garzoni e apprendisti). Il processo di trasmissione del sapere tecnico influenzava
anche l’ organizzazione del lavoro. I mastri erano obbligati a rispettare le seguenti
regole:
- divieto di accaparrare materie prime;
- rigidi standard di manufatti a “regola d’ arte”;
- salari liberamente contrattati su base annua e fedeltà del lavoro;
- misure assistenziali alle famiglie dei corporati e forme di culto religioso.
La corporazione garantiva il monopolio della produzione agli artigiani immatricolati ed
impediva loro di farsi concorrenza: nessuno si poteva arricchire a scapito degli altri. Una
fitta rete di regole e controlli, assieme al protezionismo assicurato dalle dogane
municipali, assecondò per secoli la struttura corporativa e nel contempo ritardò l’
introduzione di innovazioni tecniche tendenti a risparmiare lavoro. Una limitazione delle
importazioni di costosi manufatti di pregio conteneva trasferimenti d’ ingenti somme di
moneta aurea all’ estero e manteneva sulla piazza locale un equilibrato rapporto tra
moneta alta e moneta bassa. Le corporazioni finiscono quando si inizia a sentire la
necessità di produrre più merce, seppur di qualità non ottima, ma buona, per favorire il
mercato. Nasce il capitalismo commerciale, in quanto si interpongono sui mercati i
mercanti tra i produttori ed i consumatori: questo è reso possibile dall’ enorme distanza di
spazi e tempi, che separavano i luoghi della produzione da quelli della vendita. In
conclusione, le corporazioni hanno quindi una funzione sia economica che politica e
sociale (e anche religiosa: avevano i loro altari e Santi custoditi nelle chiese delle città).
Ricoprivano tale importanza che si partecipava alla società medievale in quanto si era
membri di tale associazione.
• Economia: attuavano un forte controllo fra la concorrenza e questo ne costituiva
un limite: stabilivano degli standard precisi per ogni prodotto, quantità e prezzi,
“ingessando” il sistema economico e l’innovazione. Dall’altra parte però, questi
standard garantivano un’alta qualità (marchio imposto dalla corporazione). Era
di fatto un sistema che non produceva grandi quantità, data l’elevata qualità.
• Politica: rappresentanza dei ceti produttivi nei comuni.
• Società: rappresentava il luogo dove si formava il capitale umano e si offrivano
servizi di welfare. All’interno di ogni cooperazione si poteva aspirare a diventare
maestri: c’era quindi un motore di ascesa sociale.
Tecnologia
Anche se non sono molto rapide, le innovazioni ci sono e cambiano il modo di pensare:
• Occhiali ! sono il risultato del miglioramento delle conoscenze scientifiche da
una parte, e dall’altra testimoniano un notevole cambiamento tecnologico.
L’artigiano raggiunge la massima produttività con l’avanzare degli anni, ma allo
stesso tempo trova il vincolo della vista: l’invenzione degli occhiali, importante
eredità medievale, gli permette ora di portare avanti la sua attività economica.
• Aratro pesante a ruote ! si evolve e sostituisce le forme di eredità araba e latina.
• Orologio ! richiede una certe conoscenza e competenza, a dimostrazione di
tale innovazione tecnologica: era un oggetto di prestigio (status symbol). Inoltre
porta con sé la rivalutazione del tempo all’interno della vita collettiva: scandiva
alba, mezzogiorno e sera. Quando giunge in Europa, inizia una sorta di “gara” tra
le città per chi avesse l’orologio più bello sulla torre.
• Mulino ! consente di utilizzare l’energia inanimata, quelle che ci mette a
disposizione la natura, e ci consente attraverso il suo meccanismo, di far
funzionare una serie di macchine complesse. È un macchinario fondamentale.
Tuttavia incontra vincoli di localizzazione: può essere realizzato solo dove c’è
vento e acqua e funziona solo in alcuni periodi dell’anno.
• Numeri arabi ! fino al 1200 non si utilizzavano i numeri arabi e quindi i conti
risultavano particolarmente difficili. Leonardo Pisano, più comunemente
chiamato Leonardo Fibonacci, è colui che introduce la numerazione araba, con
anche lo zero (prima sconosciuto nella numerazione romana). Rende molto più
facile la contabilità nazionale.
• Carta ! nel secolo successivo, 1300, si ha il primo registro di partita doppia (Luca
Pacioli. Fino al 1500 negli atri centri mercantili europei si continua ad utilizzare una
contabilità primitiva.
Fase 1 • Attività
agricola
• Attività agricola
Fase 2
• Protoindustria
• Industrializzazione/
Fase 3 ritorno all'agricoltura
I crescenti consumi rurali e urbani causarono una tensione fra offerta e domanda di
derrate agricole nelle città ed un conseguente aumento dei prezzi. Dai primi decenni
del Cinquecento i prezzi dei cereali non avrebbero cessato di aumentare fino agli anni
Quaranta del Seicento in tutta l’Europa centro-occidentale. Dappertutto la risposta alla
sfida della conservazione dell’equilibrio raggiunto tra uomini e risorse naturali consistette
nel rimettere a coltura suoli abbandonati post pestilenza: i contadini pionieri assunsero un
ruolo centrale nella riconquista e messa in valore di suoli incolti.
Le campagne del nord Europa avevano rendimenti cerealicoli doppi rispetto alle regioni
mediterranee ed oscillazioni decisamente minori dei raccolti, creando una maggiore
offerta e cadendo molto raramente nelle carestie. Questo processo portò ad un
decisivo aumento della popolazione, che contemporaneamente in Europa meridionale
non avvenne, ma dove al contrario si verificò un declino demografico. La trappola
malthusiana stava agendo attraverso carestie, guerre (guerra dei Trent’ anni 1618-1648,
che flagellò la Germania, conflitti anglo-olandesi, etc.) ed un calo dell’ agricoltura
causato da processi involutivi, che perdurarono fino al XVIII secolo inoltrato quali:
Nei Paesi Bassi furono eliminati completamente i campi aperti, il maggese fu sostituito
dalla coltivazione di piante foraggiere e di legumi, passando alla rotazione continua
delle colture su tutto il terreno coltivabile. Si assistette ad un ampliamento della superficie
coltivata, ad un crescente carico di lavoro supportato da un miglioramento delle
attrezzature, una crescente specializzazione produttiva ed un declino progressivo dell’
economia domestica autarchica. Per la prima volta l’agricoltura divenne un’ attività
economica volta soprattutto alla produzione per la vendita e fu esercitata da produttori
agricoli che miravano all’ arricchimento combinando al meglio i fattori produttivi,
mentre nella maggior parte delle campagne europee continuava la tradizionale
policoltura di sussistenza.
Le scoperte geografiche
XV –XVII secolo: nuove rotte, nuove terre ! l’apertura di nuove vie di commercio è data
dalle scoperte geografiche: si estendono dapprima gli orizzonti geografici e di seguito i
mercati. I primi protagonisti sono stati i portoghesi, un popolo abbastanza periferico nel
contesto europeo.
Europa America
Vaiolo, scarlattina,
difterite, cavalli, Sifilide, tacchini,
criceti, mais, patate,
bovini, pecore, maiali,
cacao, tabacco,
caffè, canna da
pomodori
zucchero
Questo scambio di beni, insieme alla scoperta di nuove rotte, prima da parte di
portoghesi e poi successivamente di olandesi, amplia il commercio interazionale,
mutando le abitudini di consumo.
Sulle coste dell’Atlantico il fattore abbandonate era la terra (grandissime risorse agricole
e minerarie), mentre sul fronte europeo il fattore abbondante era il fattore lavoro
(capitale e disponibilità di conoscenze tecnologiche) ! tale incontro produsse nel corso
dell’800 e del 900, un’emigrazione della forza lavoro verso il continente americano. Nella
fase iniziale invece lo spostamento tra i due continenti si ha maggiormente per quanto
riguarda il capitale e le conoscenze. Dal continente americano giungono i prodotti della
terra, ricavati tramite lo sfruttamento di oltre 2.5 milioni di schiavi africani (venivano
sfruttati in quanto era una manodopera poco costosa).
Ha così origine la cosiddetta tratta degli schiavi, iniziata pochi anni dopo la scoperta
dell’America e conclusasi con la guerra di secessione (1501-1867). I paesi che di più
hanno subito la tratta degli schiavi sono quelli che maggiormente hanno sofferto lo
sviluppo economico. Il bene proveniente dal continente americano al quale gli spagnoli
erano maggiormente interessati erano l’oro e i metalli preziosi: le risorse preziose
costituivano la base del sistema monetario. Dall’altra parte, questi flussi preoccupavano
Francia e Inghilterra che vedevano la Spagna come una minaccia ! diventa quindi
una vera e propria questione politica.
moneta. Tra i vari aumenti di prezzo, la crescita di prezzo degli alimentari fu quella che
ebbe un impatto maggiore: la popolazione continuava a crescere in maniera
significativa e le tecniche agricole non erano in grado di soddisfare tali esigenze !
aumento dei prezzi.
Aumento di
moneta
INFLAZIONE
L'aumento
generale dei prezzi
fu provocato da: Limiti della
Flussi di metalli produttività dovuti
preziosi alla crescita della
popolazione
MONETIZZAZIONE
Fin dal XII secolo, in Europa erano sorte compagnie commerciali private, stipulate dai
mercanti attivi nei numerosi porti/empori mediterranei ed atlantici, volte a tutelare gli
interessi dei soci nei confronti delle autorità politiche ed amministrative estere. Rispetto
alle antenate medievali, le compagnie commerciali privilegiate create in Gran
Bretagna, nelle Province Unite olandesi e in Francia fra XVI e XVIII secolo, vantano due
caratteristiche innovative:
La mira dei governanti che finanziarono tali imprese era quella di accrescere i gettiti
fiscali e di garantire l’ approvvigionamento diretto al paese di merci estere pregiate
(spezie, sete, etc.). Non mancava l’ ambizione di intrattenere scambi con il lontano
Oriente e L’ America centrale e meridionale di metalli preziosi che avrebbero permesso
di accrescere la massa monetaria circolate a sostegno dei commerci, come poi è
avvenuto.
L’affermarsi dell’Umanesimo
La fase iniziale di decadenza del Medioevo, fu seguita da un recupero dell’ereditarietà
classica e latina, nonché araba ! in un contesto di crescita economica, questi fattori
culturali producono nuovi principi di stampo giuridico e un nuovo modo di vedere
l’uomo all’interno della società.
Religione| In una prima fase della società medievale, la religione aveva un ruolo
importante: il paradiso dipendeva dalle azioni fatte durante la vita e questo portava il
cittadino a dedicare molto tempo alla religione, sacrificando ore di lavoro e influendo
inevitabilmente sul sistema economico. Man mano il ruolo dell’individuo assume però
sempre più importanza: Umanesimo e Rinascimento, 1300-1500 ! l’uomo viene valutato
indipendentemente dalla dimensione trascendentale, viene considerato al di là di
quella che è la tradizione religiosa. Questa visione influì sulle scelte dell’individuo, sempre
più spinto verso una visione materialista e scientifica. L’inizio di tale trasformazione trova
fondamento nella riforma luterana (1517, tesi contro le indulgenze: condanna morale a
Roma e al Cristianesimo): il paradiso non dipende più dalle azioni svolte in vita e dalle
offerte versate alla chiesa (indulgenze), ma esclusivamente dalla fede. Il protestantesimo
coronava la libertà dell’individuo, ora abilitato a leggere e interpretare direttamente la
Sacra Scrittura ! giustificazione dell’individualismo e più attenzione alle attività
economiche (si pensa più alla vita terrena che a quella trascendentale). Inoltre, il
dissolvimento della civiltà medioevale si accompagnò all'emergere degli stati nazionali,
che abbattevano al loro interno le differenze regionali tipiche del feudalesimo
medioevale, e affievolivano sempre più la coscienza di una comune appartenenza
sopranazionale. Il protestantesimo coronava tale aspirazione, “liberando” le nazioni dalla
soggezione a poteri sopranazionali: d'ora in poi le Chiese sarebbero state nazionali e
soggette al potere politico dello stato nazionale ! passaggio dal papato-Impero agli
Stati nazionali (mutamento non solo a livello religioso, ma anche politico).
“È infatti noto che molte cose mancano a una città o a un territorio che, invece,
abbondano in un’altra. D’altronde coloro che sono impiegati nell’agricoltura o in altri
lavori manuali, o in politica o nell’esercito, non possono facilmente viaggiare nei diversi
paesi nei quali si possono acquistare le cose che mancano nel proprio per poi
importarle. In effetti sono pochi quelli che hanno le capacità e le competenze
necessarie a questa professione, per cui è del tutto lecito che la comunità abbia come
propri addetti a questo compito quelli che ne sono capaci, ai quali è dovuto in ogni
caso come compenso un certo profitto.”
In generale abbiamo visto che fino al periodo della Peste Nera e nel periodo successivo,
dalla metà del 1400 al 1600, ci sono state delle evoluzioni tecnologiche che non sono
però state così significative nel definire il cambiamento economico, ad eccezioni di
alcune:
V. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
INGHILTERRA
• Contro ! Da una parte, c’è chi afferma che il termine “rivoluzione” sia
fuorviante, in quanto tale cambiamento è stato frutto di trasformazioni
avvenute su un arco di tempo molto lungo.
• Pro ! Dall’altra parte, invece, è giustificata l’ipotesi di chiamarla in quanto
tale, considerando gli effetti e vista sul metro storico: durante questi 80 anni
hanno avuto luogo dei cambiamenti che sono più rapidi rispetto alle
trasformazioni avvenute prima.
I prerequisiti furono:
- Lo sviluppo dell’umanesimo;
- L’affermarsi del metodo scientifico;
- La riforma protestante e la successiva riforma cattolica;
- L’ascesa degli stati nazionali e gli aspetti istituzionali;
- Le scoperte geografiche e lo sfruttamento di nuovi territori;
- Lo sviluppo del commercio internazionale.
vi. Nascita e sviluppo di nuove classi sociali, sulla base dei ruoli assunti nel
processo di industrializzazione ! i cambiamenti sociali portati avanti
dall’industrializzazione mutano il panorama sociale. Nelle società tradizionali
la struttura di base si basava sui bellatores (combattenti che garantivano la
sicurezza), sugli oratores (coloro che pregavano e garantivano la salvezza
spirituale), e sui laboratores (coloro che lavoravano e garantivano la
sussistenza). Tale struttura (aristocratici, clero e popolo) cambia radicalmente
con la rivoluzione industriale: la ripartizione ora è legata anche alla funzione
lavorativa.
vii. Trasferimento della produzione dalle aree rurali a quelle urbane ! il
cambiamento sociale è accompagnato da uno spostamento materiale
della gran parte della popolazione dalle aree di campagna a quelle di città:
essa garantisce dei vantaggi, come lo sviluppo delle economie di
agglomerazione e l’integrazione tra le fabbriche (tramite lo scambio di
prodotti, servizi etc). Il passaggio dalla vita di campagna a quella di città, ma
più in generale dalla società tradizionale a quella industriale, sebbene nel
lungo periodo portò a garantire un maggiore reddito, inizialmente costò un
adattamento molto elevato e particolarmente duro per le prime generazioni:
le condizioni di vita erano pietose ed estremamente pesanti.
L’effetto della corrente del golfo portava climi adeguati e l’ isola poteva vantare una
posizione strategica, affacciata sull’ Atlantico, ma in stretta comunicazione con il
continente (Francia, Belgio, Olanda). Il territorio scarsamente montuoso, molti porti
naturali e città con accesso diretto al mare attraverso corsi fluviali di grandi dimensioni,
insieme a grandi disponibilità di materie prime (carbone), favorirono il processo
industriale in maniera decisiva.
Le coste frastagliate e i larghi estuari dei fiumi che conducono a centri interni di
stoccaggio e consumo promossero i trasferimenti di beni, troppo costosi via terra, da una
regione all’altra via mare. I terreni pianeggianti facilitarono i collegamenti stradali, che
dal 1750 agli anni trenta dell’Ottocento, con l’ introduzione delle prime linee ferroviarie,
aumentarono in maniera vertiginosa (da 5.500 Km a 35.200 Km). La forma piatta,
allungata e stretta del paese ebbe un ruolo fondamentale nel favorire una precoce
integrazione delle diverse economie regionali in un mercato nazionale, che oltre ai
cereali, da metà Settecento in poi, crebbe in materie prime industriali e in alcuni generi
d’importazione principalmente coloniali (cotone, tabacco, tè, caffè, cacao, spezie,
canne da zucchero, etc.).
La struttura urbana inglese, pressoché inesistente a metà del Settecento, prese forma
grazie ai traffici internazionali e alle attività di servizio e lavorazione delle materie prime
importate. Nel giro di qualche generazione, villaggi di pescatori e di contadini divennero
città pluriattive sempre più popolose. Il paesaggio inglese si divideva in terre dedicate
all’allevamento e terra per la coltivazione dei cereali: le condizioni meteo-climatiche e i
suoli assicuravano ottime rese, con minime oscillazioni dei volumi raccolti da un’ annata
all’ altra. Nell’Inghilterra di fine Seicento poche migliaia di famiglie aristocratiche,
intestatarie di enormi tenute, controllavano la maggior parte del suolo, affiancata da
una ben più numerosa nobiltà di provincia (gentry) che disponeva di terre di vaste
dimensioni rispetto all’ aristocrazia che viveva sul continente ad ovest dell’ Elba. Alla fine
del Seicento quindi l’agricoltura inglese:
• disponeva di grandi riserve di terra;
• in molte parti del paese produceva per il mercato;
• la produttività del frumento era elevatissima ed i raccolti erano stabili, in virtù
delle favorevoli condizioni climatiche.
L’assetto strutturale delle campagne inglesi nel secolo d’avvio della rivoluzione
industriale appare straordinariamente avanzato.
Aumenta la disponibilità di
Popolazione in Gran Bretagna e Irlanda (x 1000)
manodopera per il manifatturiero,
si abbassa di conseguenza il costo
50000
per il personale e cresce la
40000 domanda aggregata dei beni,
Popolazione
GB
30000 come conseguenza
20000
necessariamente causata
IRL dall’aumento della popolazione.
10000
Quindi, sul fronte dell’offerta, più
0 cresce la popolazione, minore è il
1701 1751 1781 1801 1821 1841 1861 1881 1901 1931 costo del lavoro; sul fronte della
Anni domanda, cresce la richiesta
complessiva di beni di consumo,
compresi quelli manifatturieri. Ecco dunque che le trasformazioni tecnologiche (che
mettono a disposizione una maggior quantità di cibo ad un costo minore), abbinate a
trasformazioni di tipo scientifico (di natura sanitaria e medica, oltre che ai servizi pubblici
di igiene etc), contribuiscono in maniera decisiva a far crescere la popolazione. A tal
proposito si possono confrontare due realtà, Gran Bretagna e Irlanda, profondamente
diverse tra loro: l’Inghilterra conobbe la rivoluzione industriale mentre l’Irlanda ne rimase
esclusa.
Nel 700 vivono una bassa crescita demografica, ma ad un certo punto l’Inghilterra
vede la propria popolazione crescere molto rapidamente. L’Irlanda, al contrario, non
riesce a star dietro a tale crescita e intorno al 1840 va incontro ad una crisi (trappola
malthusiana) che portò ad una grande carestia, ma allo stesso tempo, diede anche una
fortissima spinta all’immigrazione (alimentando il mercato del lavoro inglese).
Grazie all’innovazione tecnologica, gli effetti della trappola malthusiana scomparirono
completamente in Inghilterra.
40 Natalità
35
30
25
20
15 Mortalità
10
5
0
1780-90 1790- 1800-10 1810-20 1820-30 1830-40 1840-50 1850-60 1860-70 1870-80
1800
Decenni
• Libertà di parola;
• Approvazione dei tributi e controllo della finanza statale;
• Proibizione al monarca di possedere un esercito stabile.
L’ Inghilterra inaugurava così una monarchia costituzonale limitando di fatto i poteri del
re a vantaggio degli inalienabili diritti dei sudditi e deputando il Parlamento a legiferare.
Il sistema giuridico flessibile del Common Law, non limitato dalla burocrazia, consentì
veloci cambiamenti ed innovazioni. I nuovi gruppi sociali cominciarono ad essere
rappresentati in Parlamento, sempre più orientato verso il sistema aperto dell’
individualismo.
La libertà personale, di parola e la mancanza di una censura sulla stampa, assieme al
controllo esercitato dal Parlamento sull’ azione del governo, fecero sì che spirito
aristocratico e garanzie dei diritti civili s’ integrassero armoniosamente.
Tre questinioni istituzionali, regolate dal Parlamento con speciali norme, ebbero
conseguenze economiche decisive:
Nel 1621 il Parlamento votò l’ Enclosure Bill, una legge quadro che disciplinava la
chiusura dei campi aperti a favore dell’ individualismo agrario, ma solo nel 1801 un
General Act of Enclosure uniformò la disciplina ed elevò a norma la prassi.
Il settore agricolo venne quindi privatizzato, conferendo diritti di proprietà sulla terra ed
incentivando a produrre sempre più per il mercato. Si sosteneva che le leggi relative al
commercio e all’ industria dovessere essere completamente annullate, essendo
divenute dannose per il commercio (sistema corporativo). Una situazione così gravida di
conflitti economici e sociali fu efficacemente controllata grazie all’ esistenza di leggi sui
poveri, che obbligavano ogni parrocchia a distribuire sussidi ai bisognosi (prelevanti dai
gettiti dell’ imposta fondiaria).
Fin dai primi del Seicento, nella Camera dei Comuni era andato crescendo il peso dei
parlamentari mercanti e affaristi, che mal tollerava limitazioni poste alla loro attività. Lo
statuto dei monopoli (1624) non solo cancellò ogni privilegio economico, ma introdusse
nel diritto inglese il sistema dei brevetti, che garantiva lo sfruttamento economico d’
autentiche innovazioni per un limitato periodo di tempo, costituendo un incentivo all’
innovazione.
A differenza degli altri paesi europei, però, nelle isole britanniche fin dal Seicento era
andata formandosi una struttura sociale al cui vertice c’ erano grandi proprietari fondiari
(Lords e gentry), nella fascia mediana proprietari diretti coltivatori e fittavoli (affitto e
sfruttamento dei terreni in cambio di denaro verso le casate aristocratiche) che
investivano capitale di rischio sfruttando dal Settecento un crescente numero di
braccianti salariati ingaggiati stabilmente, oppure di operai precari assoldati a giornata.
Le innovazioni agronomiche adottate sui terreni recintati nel corso del Seicento avevano
accresciuto il numero dei fittavoli agiati e dei piccoli proprietari terrieri, le figure sociali
emergenti dell’ Inghilterra preindustriale. I giudici svolsero un ruolo, totalmente
indipendente rispetto a Londra, di mantenimento dell’ ordine pubblico, di relutamento
dell’ esercito e di controllo dell’ applicazione delle leggi. La riforma protestante ebbe
invece due effetti sociali e culturali di rilievo:
- la riduzione del numero delle feste portò ad un aumento delle giornate lavorative
e conseguentemente dei redditi;
- la diffusione dell’ istruzione di base , in quanto il fedele era abilitato a leggere ed
interpretare personalmente le sacre scritture. Una crescente schiera di lettori
indusse stampatori ed editori a pubblicare opere in inglese, piuttosto che in
latino. L’ Inghiterra, dopo l’ abolizione della censura preventiva (1695), divenne il
primo paese nel quale si formò un opinione pubblica e dove la stampa
quotidiana e periodica divenne il primo mezzo di pressione politica. È importante
ricordare il Copyright Act del 1707 in questo contesto.
Ricapitolando:
• L’Inghilterra fu anche favorita dal suo sistema giuridico di common law che favorì
la Rivoluzione. Tale sistema non si basa su leggi scritte ma su consuetudini: le leggi
ci sono comunque ma il sistema tiene si basa sulle decisioni prese dal giudice nei
casi precedenti. È un sistema molto più elastico che consente di recepire le
trasformazioni che stanno avendo atto all’interno della società.
All’ inizio del Settecento la maggior ricchezza prodotta in Gran Bretagna proveniva dal
settore primario e la percentuale più alta di persone economicamente attive
lavoravano nelle campagne. Nel corso del XVIII secolo la produttività agricola
raddoppiò per effetto dell’ individualismo agrario e di novità agronomiche di rilievo
come:
• coversione dei maggesi in campi coltivati;
• semina di piante da foraggio;
• tecniche selettive nell’ allevamento bovino;
• adozione delle prime macchine.
La stipula dei contratti d’ affitto da parte dei fittavoli imprenditori agricoli di lunga durata
permetteva loro di fare investimenti migliorativi sulle terre e di poterne raccogliere i frutti.
Né meno importante erano le informazioni tempestive a proposito dei prezzi dei fattori
produttivi e dei prodotti. Anche i rampolli della gentry e della grande nobiltà non
disdegnavano di occuparsi direttamente dello sfruttamento economico, senza dover
rinunciare allo stile di vita tipico dell’ aristocrazia. Nelle campagne inglesi:
• gli agricoltori (imprenditori) erano la maggioranza e i contadini la minoranza;
• la maggior parte dei prodotti era orientata allo scambio interno ed esterno;
• al mercato dei prodotti si affiancò preso quello dei fattori;
• il pagamento dei salari in moneta divenne una regola;
• la grande estensione delle aziende agricole e le prefezionate rotazioi agrarie
permisero di integrare agricoltura e allevamento.
Fino al 1760 l’ offerta si adeguò prontamente alla domanda, come avviene in ogni
mercato di concorrenza in un sistema economico. Nel periodo successivo
l’ eccessivo aumento della popolazione comportò l’ importazione di una parte delle
scorte cerealicole, riuscendo a sfamare una popolazione in rapida crescita quasi
esclusivamente con la produzione interna, il paese fu sempre al riparo da ingenti
importazioni di cereali. Nella seconda metà del Settecento, quando i prezzi delle derrate
agricole cominciarono a salire, i redditi degli agricoltori sostennero la domanda interna
di manufatti i cui prezzi, grazie all’ adozione di macchine, satavano calando. Si formò
cos’ un circuito virtuoso: domanda crescente-prezzi in flessione, che concorse a
sostenere l’ avvento di un mercato di massa di beni industriali.
Il settore agricolo (rivoluzione agricola) svolse quindi il ruolo di motore del mutamento
economico, soprattutto per i guadagni di produttività realizzati, grazie ad investimenti in
infrastrutture e tecnologie. L’ elemento di fondo fu l’ eliminazione del maggese a favore
dell’ utilizzo di varietà di fertilizzanti, piante e legumi che fissavano l’ azoto atmosferico,
insieme all’ ingente miglioramento tecnologico. Lo sviluppo urbano allargò la domanda
di prodotti alimentari e l’ aumento dell’ offerta di questi prodotti favorì a sua volta lo
sviluppo urbano e industriale. I guadagni d’ efficienza in agricoltura, nell’ aumentare la
produttività del sistema complessivo, favorirono anche una diminuzione dei costi e quindi
dei prezzi, per effetto della formazione di un mercato fortemente concorrenziale delle
derrate agricole, che migliorò il potere d’ acquisto dei consumatori. La manodopera
che veniva rimpiazzata da macchinari trovava impiego nelle manifatture rurali, in quelle
urbane, nel commercio e nei servizi, senza creare tensione tra domanda ed offerta di
derrate agricole. Le nuove fonti d’ energia inanimate comportarono in definitica
inevitabili aggiustamenti tecnologici.
Nel contesto dell’innovazione tecnologica il ruolo dei brevetti risulta quindi essere
fondamentale, in quanto funge da incentivo: incentiva le innovazioni molto di più di quel
che vincola colui che deve pagare per ottenerlo;
Trasformazione dei trasporti ! le strade inglesi erano note nel 700 per essere tra le
peggiori strade europee. Gran parte della rete ancora si basava su quello che era il
tracciato romano. Il clima causava il dilagamento del manto stradale e questo rendeva
la superficie stradale molto irregolare, e quindi ostacolante per l’utilizzo dei mezzi di
trasporti. La trasformazione avvenne quando fu introdotta un’innovazione sotto il profilo
tecnologico e istituzionale-giuridico:
Profilo tecnologico ! costruzione a strati con materiali consistenti e curvatura del manto
stradale per favorire il drenaggio delle acque. Tali sistemi, per quanto utili e funzionanti,
sono molto costosi: le comunità locali avevano la competenza sulle strade del territorio
ed era quindi a loro che competeva la manutenzione. La loro mancanza di risorse
finanziarie spiega la povera condizione delle strade. Qui entra in gioco l’innovazione
istituzionale-giuridica.
I due settori chiave della Rivoluzione industriale in Inghilterra sono il cotonificio e il settore
siderurgico:
2000
Tonn. x 1000
1500
1000
500
0
1740 1750 1760 1770 1780 1790 1800 1810 1820 1830 1839
Anni
• Macchina a vapore ! nella seconda metà del 700, si arriva a realizzare una
macchina a vapore sufficientemente efficiente, proprio grazie all’acciaio (James
Watt, 17969). Ha il grande vantaggio di non avere il vincolo localizzativo (a
differenza del mulino) e questo spinse il processo di industrializzazione intorno alle
città (economie di agglomerazione).
L’economia nella società inglese cambia radicalmente: diventa una potenza coloniale
e commerciale mondiale. Materialmente tutto ciò viene rappresentato nel 1851 con
l’esposizione londinese di Crystal Palace! manifestazione architettonica della potenza
inglese (mostra al mondo il livello raggiunto dall’industrializzazione inglese).
Questo processo aveva portato con sé profonde trasformazioni nel modo di vivere e di
produrre.
Tra 1801 e 1851 la popolazione inglese era passata da 10,7 a 20,9 milioni di persone e si
era spostata dal settore agricolo al settore manifatturiero ! l’Inghilterra è diventata un
paese industrializzato.
Reddito globale e pro-capite in Inghilterra a prezzi costanti
1801-1851 (1801=100)
400
350
300
250 Reddito globale
200
Reddito pro-capite
150
100
50
0
1801 1811 1821 1831 1841 1851
Anni
Straordinaria crescita del reddito globale (PIL), e aumento del 50% di quello pro-capite.
Il livello di vita della popolazione migliorò, non mancarono però i costi sociali:
• Le trasformazioni radicali costano;
• Gli artigiani e la popolazione rurale non proprietaria sono coloro che pagano
maggiormente le conseguenze dell’industrializzazione: i prodotti dell’artigiano,
per quanto abbiamo una qualità migliore, hanno un prezzo più elevato e si
trovano essere “emarginati” dal mercato;
• Inurbamento troppo rapido: le condizioni di vita iniziali sono terribili;
• Sfruttamento del lavoro di donne e bambini;
Nel periodo intorno al 1848 i mercati esaurivano la loro capacità d’assorbimento della
crescente offerta di beni e servizi, mentre vi fu una caduta dei margini di profitto, mentre
il prezzo del pane restava alto a causa degli alti dazi protettivi.
Il malcontento degli operai proveniva tanto dai salari da fame, quanto dai mutamenti
dei ritmi di vita e dei tradizionali orizzonti culturali. La possibilità di integrare i redditi
agricoli con quelli manifatturieri stava progressivamente venendo meno.
L’industrializzazione sostituì al servo l’ operaio, riconducendo uomini e donne a merce
fittizia. Nella fabbrica, i ritmi delle macchine e l’illuminazione artificiale imposero una
monotonia sconosciuta.
I nuovi quartieri erano uno dei maggiori risultati dell’industrializzazione: messi insieme in
gran fretta, inquinati e senza servizi pubblici, creavano enormi disagi sociali. Le città
distrussero anche le tradizionali relazioni umane, mentre nella prima metà dell’Ottocento
si abbatterono sul paese periodiche ondate di malcontento e di malessere sociale.
Fin dai primi decenni dell’Ottocento, l’ esportazione di tessuti di cotono e di lana, i
prodotti siderurgici e macchine svolse un ruolo strategico nella crescita economica e
nello sviluppo inglese, nonostante il blocco napoleonico del 1806 e benché il paese
fosse iperprotezionista fin dalla metà del Seicento (Navigation Act). Di fronte ad un calo
consistente dei prezzi del grano che portò al fallimento di numerosi fittavoli, nel 1815 il
Parlamento votò la legge protettiva del grano nazionale (Corn Law) volta ad impedire le
importazioni di cereali a basso prezzo. Durante lo stesso periodo emersero le opinioni dei
liberoscambisti, favorevoli all’abbattimento dei dazi, guidati da David Ricardo. Egli notò
che i dazi sui grani mantenevano artificiosamente alti i prezzi dei beni di prima necessità
e, di conseguenza, anche i salari correlati al carovita erano alti, con danno per gli
industriali che, potendo pagare salari inferiori, avrebbero più facilmente esportato i loro
prodotti. Si profilava un conflitto di interessi tra agrari ed industriali.
Nel 1822 vennero ridotti i dazi doganali sulle materie prime e sui prodotti industriali,
attenuati gli Atti di navigazione del 1651 (monopolio dei trasporti delle merci estere nel
Regno Unito e nelle colonie alla flotta britannica), nel 183 furono ritoccate al ribasso le
tariffe doganali, nel 1832 entrarono in Parlamento numerosi industriali e mercanti convinti
assertori del liberoscambismo e dell’ esigenza che il governo assicurasse all’ intera
collettività il massimo vantaggio possibile. Essi affermavano che i diritti doganali
riducevano le dimensioni del mercato nazionale e di quello estero perché, mentre
riducevano il potere d’acquisto degli operai inglesi, alzando i prezzi del grano, dello
zucchero, del burro, etc., limitavano anche la capacità d’acquisto dei paesi esportatori,
desiderosi di vendere in Inghilterra le loro materie prime per poter acquistare manufatti
industriali. Tutti i dazi e le tariffe furono abbassati e vennero eliminati i divieti di entrata di
talune merci.
Interpretazioni diverse, ma nessuna delle due può essere considerata sbagliata, perché
considerano variabili differenti.
Ad ogni innovazione tecnologica, il ciclo riparte. Bisogna concentrarsi sulla fase del
take-off per comprendere i veri fattori dello sviluppo. Questo modello di fasi ha il
grosso difetto di presupporre che in tutti i paesi si verifichi la stessa cosa, ma così non
è: i paesi che arrivano dopo hanno la possibilità di imitare quelli prima e di non
sostenere tutti gli errori dei tentativi passati. Quindi in qualche modo sono
avvantaggiati, nonostante debbano recuperare il “vantaggio” perso di essere
arrivati dopo.
ALEXANDER GERSCHENKRON: tutti i paesi che arrivano dopo operano in una realtà
diversa da quella affrontata dall’Inghilterra:
• Svantaggi ! pressione temporale dovuta al fatto che devono cercare di
reggere la competizione;
• Vantaggi ! possono analizzare i percorsi seguiti dai paesi già industrializzati e
non commettere gli stessi errori. Inoltre, i paesi ritardatari rispetto a quelli che
conoscevano già l’industrializzazione hanno dei tassi di crescita molto più rapidi
! convergenza verso i paesi già industrializzati. Quindi, a seconda di quando un
paese affronta il processo di industrializzazione, cambiano le condizioni di gioco.
L’accumulazione necessaria del capitale (che nel caso inglese si sono accumulate nel
tempo grazie ai proventi del commercio internazionale), per questi paesi è resa possibile
da fattori sostitutivi. Ad esempio, nel caso Russo è lo Stato che si fa promotore stesso
degli investimenti per avviare il processo di industrializzazione; nel caso tedesco il fattore
sostituivo sono le banche, che non investono in attività sicure (titoli), ma in attività più
rischiose (imprese industriali).
La dimensione spaziale, Sidney Pollard ! nei singoli stati i processi di sviluppo non
sono omogenei, ma avvengono in maniera diversificata, ovvero si concentrano solo in
alcune zone. Capire su scala regionale i fattori che hanno favorito tale processo aiuta
molto di più a comprendere lo sviluppo industriale rispetto ad uno studio su scala
nazionale, nonostante quest’ultimo sia l’aggregato di riferimento più importante. Pollard
invita quindi a guardare le singole aree (nel caso italiano ! Veneto, Marche, Emilia
Romagna, Toscana e il triangolo Milano-Torino-Genova). Il processo di industrializzazione
è quindi un processo LOCALE e in questo caso la scala nazionale può essere fuorviante:
non rispecchia la vera situazione industriale del paese.
Inoltre, afferma che un’innovazione ha effetti diversi in base al contesto in cui si sviluppa.
L’esempio principale è quello della ferrovia (il cosiddetto “coronamento” del processo
industriale):
La diffusione dell’industrializzazione nelle regioni del continente dipese tanto dai modi e
dai tempi pretesi dal trapianto di tecnologie, quanto dai caratteri geografici, dalle
tradizioni culturali, dagli assetti sociali e istituzionali, spesso assai differenti dal modello
inglese e dalle politiche statali. Una completa liberalizzazione delle tecnologie inglesi
sarebbe avvenuta comunque solamente nel 1843, con l’ adozione del liberoscambismo
delle merci.
Mentre dopo il Congresso di Vienna l’assolutismo monarchico in Europa occidentale
suscitava l’opposizione dei liberali, dagli anni Venti in qualche regione si profilarono
mutamenti economici analoghi all’ Inghilterra del secondo Settecento, a cominciare
dalle regioni affacciate sul Mare del Nord.
a) Belgio
b) Svizzera
c) Francia
d) Germania
'
a) BELGIO
'
'
Il primo tra i first comers fu il Belgio, nonostante fino al 1830 fu sotto il dominio straniero
(quindi di fatto non ha una storia politica di stato Nazionale costituendosi proprio in
quell’anno). I vantaggi e le caratteristiche specifiche che hanno permesso al Belgio di
essere il primo Stato industrializzato del Continente europeo furono:
Al centro del processo, da un punto di vista istituzionale, vi era una forte collaborazione
tra attività pubblica e privata, con il potere economico e politico concentrato nelle
mani della corte e degli imprenditori. I caratteri peculiari furono: la precocità dovuta al
facile accesso alla tecnologia inglese, la conseguente intraprendenza degli industriali
locali legata alla disponibilità di capitale finanziario e agli ottimi rapporti con le banche
e la politica statale favorevole all’industrializzazione, con larga parte della produzione
proiettata sul mercato, nonostante un diffuso protezionismo fino agli anni Quaranta.
b) SVIZZERA
Un first comer senza porti, ferro e carbone: non aveva di fatto le caratteristiche per
diventare una realtà industriale. Eppure si sviluppò in tempi relativamente rapidi.
Pur lontana dal mare e quasi priva di un moderno settore siderurgico per la scarsità di
materie prime, tra il 1830 ed il 1910 la Svizzera sperimentò una crescita economica di
primo ordine, anche grazie alle dimensioni modeste del Paese. Ad un risultato così
lusinghiero concorsero anche requisiti sociali e culturali, oltre ad altri importanti fattori
peculiari economici ed istituzionali, quali:
• Dal punto di vista territoriale, la morfologia del paese agiva da difesa: metà de
territorio era alta montagna e mancavano fiumi navigabili (i bassi redditi agricoli
venivano quindi integrati con attività di trasporto merci e/o persone da una
vallata all’altra). L’abbondanza di corsi d’acqua fornì energia a basso costo,
migliorando l’efficienza tecnologica dei mulini e riducendo i costi fissi (in pratica si
saltò la fase della macchina a vapore);
• Miglioramento delle infrastrutture tra il 1805 e il 1830 ! battello a vapore (1832),
rotaie e ferrovia (1844).
Anche senza porti, carbone e ferro, la Svizzera riuscì, grazie a queste caratteristiche di
dinamicità economica, ad avviare un sorprendente processo di industrializzazione:
durante l’Ottocento la crescita fu costante e condensata, ma una fortissima crescita a
partire dal 1982 portò i livelli del PIL pro-capite ai livelli di Belgio e Inghilterra.
c) FRANCIA
Popolazione: Nel 1801 la Francia era il paese più popolato dell’Europa occidentale.
Erano presenti numerosissime fattorie sparse e piccoli-medi centri abitati. Le città erano
innanzitutto centri amministrativi, d’artigianato e di servizi, che smistavano i prodotti del
mondo rurale circostante: l’inurbamento avvenne solo in parte per l’ industrializzazione. I
tassi di crescita della popolazione era il più basso del continente e la crescita urbana fu
alimentata soprattutto dal sovrappopolamento delle campagne.
Agricoltura: Era diffusa una piccola-media proprietà rurale (paysannerie), più indirizzata
all’autoconsumo che al mercato. Solo tra il 1820 e il 1840 il reddito reale degli agricoltori
migliorò, sia per effetto dell’incremento del volume delle produzioni vendibili, sia per il
calo dei prezzi dei beni industriali. Il crescente potere d’acquisto dei campagnoli
(domanda) fu un decisivo fattore di crescita per l’economia dell’intero paese.
Risorse: L’abbondanza di acque (mulini) e l’alto costo del carbone, oltre alle difficoltà di
estrazione, spiegano la lenta penetrazione in Francia della macchina a vapore. La
siderurgia francese assunse il profilo della grande impresa moderna solo nel 1870, con
impianti di grandi dimensioni, integrazione verticale, l’evoluzione dell’oligopolio e
l’introduzione di cartelli per limitare la concorrenza ed evitare crisi di sovrapproduzione,
mantenendo alti i prezzi (elevate difese doganali).
d) GERMANIA
Rispetto agli altri paesi parte relativamente tardi, ma nel momento in cui imbocca
questo percorso, sarà un processo straordinario. In particolare, sul piano strettamente
industriale (chimica e settore siderurgico) supera l’Inghilterra per capacità produttiva.
Vantaggi:
" Spinta economica ad un processo d’industrializzazione ! la Prussia, nella sua
politica di unificazione politica inserisce anche l’unificazione economica,
creando rapporti doganali con gli altri stati tedeschi ! zollverein:
Crea un unico spazio doganale: vengono eliminate quelle che dividevano la
Germania e in questo modo si fortificano fortemente le relazioni commerciali
(spinta alla crescita di tipo smithiano derivante dagli scambi commerciali). Nel
momento in cui c’è scambio, c’è anche specializzazione (non è necessario
produrre tutto ciò che serve perché lo si può ottenere dagli altri paesi).
" Fiumi navigabili che facilitano i trasporti che vengono integrati da una serie di
canali;
" Disponibilità di carbone e imprese siderurgiche che garantiscono un
consolidamento della rete ferroviaria;
" C’è un orientamento voluto verso le discipline tecnico-scientifiche: mette a
disposizione un capitale ricco di conoscenze. È necessario avere persone
formate per portare avanti l’innovazione. La Germania, grazie agli investimenti
nel capitale umano, s’impose soprattutto nei settori ad alto contenuto
tecnologico.
I gettiti della tariffa doganale protezionista del 1879 permisero al cancelliere Bismarck di
finanziare misure di politica sociale volte ad attenuare i disagi esistenti presso vasti strati
della popolazione meno abbiente. Si formò un sistema assistenziale, alla base del
welfare state, fondato su quattro settori d’ intervento:
• pensioni di vecchiaia;
• provvidenze per malattia;
• assistenza per infortuni sul lavoro;
• sussidi per i disoccupati.
Attenzione politica per attutire gli effetti della Rivoluzione. Lo Stato prussiano, tedesco
poi, dà molta attenzione anche alla classe lavoratrice: controlli sui lavori nelle fabbriche,
assicurazione per le malattie e per la vecchiaia. Non vuole che ci sia una
contrapposizione troppo forte tra capitale e lavoro e questo fa sì che la Germania sia
all’avanguardia anche nella formazione dello Stato sociale.
Negli anni 70, una strategia fondamentale furono i cartelli, che consentono un ulteriore
espansione degli impianti produttivi: rinunciando alla concorrenza antagonistica sui
prezzi, gli imprenditori volevano mantenere sul mercato un discreto numero di imprese d’
analoga dimensione. Di fatto, i cartelli sono una forma di accordo tra operatori dello
stesso mercato per limitare la concorrenza (mercato oligopolistico, meno concorrenti e
più risorse per migliorare la tecnologia). Si creano grazie alla spinta delle banche di
raggiungere la massima reddittività e questo è reso possibile tramite la collaborazione tra
le varie imprese (mentalità corporativa): spesso si trova un singolo funzionario presente in
più imprese dello stesso settore. C’è quindi una forte specializzazione. Inoltre, maggiori
profitti garantivano una maggiore quantità di capitale da investire. La creazione dei
cartelli è resa possibile dall’introduzione delle barriere doganali che consentono di
consolidare le industrie nazionali, oltre a far acquisire un elevato extra profitto alle
imprese tedesche: possono, attraverso la pratica del dumping, conquistare fette di
mercato sul mercato esterno. Il dumping è una politica di vendita sottocosto per
eliminare la concorrenza ed espandere la capacità produttiva interna;: una procedura
di vendita di un bene o di un servizio su di un mercato estero (mercato di importazione)
ad un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita (o, addirittura, a quello di produzione)
del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione) ! mercato
interno protetto dai cartelli (protezionismo), mercato esterno strategia del dumping.
Conquistano così fette crescenti del mercato internazionale, creando forte attrito fra i
diversi stati (che contribuirà allo scoppio della prima guerra mondiale). Entro il 1914 la
Germania strappa all’Inghilterra la leadership dell’industria europea, con posizioni di
primato nella produzione d’acciaio, nel settore elettrico, carbochimico, farmaceutico e
ottico.
GEOGRAFIA ! pochi sbocchi sul mare, ma posizione centrale sul territorio europeo.
Risorse minerarie importantissime. Un paese di terra, porti e canali, e risorse;
DEMOGRAFIA ! dopo il 1850, si ha una forte crescita e un forte inurbamento: la
tradizionale rete di piccole-medie città vede una concentrazione della popolazione
intorno alla produzione industriale. Il tasso di crescita aumenta;
ISTITUZIONI ! le politiche portate avanti dallo Stato e le banche miste sono quei fattori
istituzionali che permettono alla Germania di recuperare il ritardo portatosi dietro;
TECNOLOGIA ! integrazione tra settore produttivo e conoscitivo (tecnologico-
scientifico) che porta avanti l’innovazione: la “deutsche Technologie”;
CULTURA ! la Germania è stata una dei luoghi più importante della riforma protestante:
attenzione all’economia diversa rispetto ai paesi di tradizione cattolica. Disciplinamento
sociale: i tedeschi sono molto rispettosi delle regole e dell’autorità, e questo ha costituito
un fattore di forza;
Late comers
Società ancora profondamente immerse nei modelli tradizionali.
La prima rivoluzione industriale aveva fatto a meno dello Stato: l’azione della cosiddetta
mano invisibile in Gran Bretagna fu il motore della crescita mentre il governo lasciava
fare. Nel caso inglese il potere pubblico fu comunque fondamentale per la tutela della
proprietà privata, per l’eliminazione delle gabelle interne, il superamento delle
corporazioni e dei monopoli e per l’introduzione dei brevetti, oltre ad altre funzioni
rilevanti per lo sviluppo economico. Quei paesi che, nella seconda metà dell’Ottocento,
intrapresero da ritardatari il cammino dell’ industrializzazione, dovettero servirsi di fattori
sostitutivi (già ritrovati in Germania), quali; il protezionismo doganale, la spesa pubblica,
le banche, etc. Gli stati predisposero istituzioni di diritto per la salvaguardia dell’
eguaglianza fra uomini e della proprietà privata, a cominciare dalla terra, oltre che ai
diritti dei lavoratori.
e) Russia
f) Austria
g) Italia
a) RUSSIA
'
'
Verso la metà del XIX secolo, la Russia era una società feudale che, con tecniche
arretrate, sfruttava un ambiente ricco di risorse naturali valendosi soprattutto del fattore
lavoro. Il governo autocratico degli zar controllava un immenso paese sottopopolato,
con una ristretta cerchia di famiglie aristocratiche che aveva a disposizione la terra
coltivata da contadini poveri, su cui aveva il pieno controllo. Tra i due gruppi sociali
estremi esisteva un piccolissimo ceto di mercanti borghesi attivi nelle città. La bassa
produttività di una cerealicoltura estensiva, le difficoltà di trasferimento a distanza delle
derrate agricole in un paese immenso, le difficoltà meteo-climatiche, l’infimo livello di
commercializzazione dell’economia rurale, assieme all’ignoranza dei contadini e dei
proprietari terrieri, mantenevano l’agricoltura allo stadio della riproduzione. Dalla guerra
di Crimea, la Russia uscì sconfitta ed umiliata a causa dell’ arretratezza tecnologica ed
organizzativa accumulata rispetto alle altre potenze europee. La nobiltà diffidava delle
attività manifatturiere e industriali perché ne avrebbero compromesso la tradizionale
posizione di primato economico e politico fondato sul controllo della terra. Venne
abolita comunque la servitù della gleba (1861) e distribuita la terra per il timore di rivolte
dal basso, seppur la bassa produttività e l’ insufficiente produzione dei piccoli poderi
autarchici dei contadini ne induceva i titolari a cercare lavoro presso i latifondi nobiliari.
L’incremento della popolazione accrebbe la domanda interna di cereali e di patate e
fece del suolo e fattore sempre più scarso, mentre una minoranza di contadini
intraprendenti (kulaki) moltiplicò le proprie risorse monetarie e continuò ad acquistare
terreni, divenendo il ceto più dinamico delle campagne, assieme ai borghesi mercanti
cittadini. Sul finire dell’Ottocento le trasformazioni strutturali intervenute nel mondo rurale
e l’ aggiornamento agronomico accrebbero la produttività cerealicola, seppur rimase il
fantasma della carestia, dovuto alle avverse condizioni meteo-climatiche. L’unico
settore all’ altezza dei tempi era il cotonificio. Come altrove in Europa, anche in Russia la
costruzione di strade ferrate impresse una svolta all’economia, insieme all’ intervento del
governo, che aumentò la pressione fiscale per la costruzione di nuove infrastrutture e
decise di ricorrere a imprenditori stranieri che padroneggiassero le tecniche più
moderne: alla manodopera inefficiente sostituì il fattore capitale. I sensibili progressi
ottenuti nel campo industriale non si diffusero nel resto dell’economia, accentuando il
contrasto tra tradizione ed innovazione, che avrebbe portato ai movimenti rivoluzionari.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale, il PIL pro capite è un terzo di quello inglese, il 75%
della forza lavoro è occupato in agricoltura e solo il 10% lavora nell’industria, il 72% della
popolazione è analfabeta e solo il 15% della popolazione vive in città.
b) Austria
2) Abbattimento delle barriere doganali interne: si cerca di creare uno spazio doganale
unico, favorendo la circolazione delle merci, e di omogenizzare quelli che sono i
riferimenti principali dell’attività economica: le misure di Vienna vengono estese a tutto
l’impero.
3) È necessario un incentivo delle attività interne tramite una serie di misure per rafforzare
l’attività manifatturiera. L’Austria era ancora una realtà agricola, ma per migliorare la
capacità economica del paese bisogna accrescere l’attività manifatturiera ! i sovrani
alzano le barriere doganali (misura protezionistica che continua per tutto l’800).
L’educazione scolastica diviene quindi un mezzo per rafforzare la fedeltà allo Stato, che
ha quindi interesse di creare una formazione nei cittadini che si avvicini il più possibile alle
idee dell’élite politica (le dittature saranno molto attente a sfruttare la scuola come
strumento di indottrinamento dei giovani).
Le tensioni sociali e il timore della rivoluzione sullo stampo francese ostacolarono dopo
Giuseppe II una svolta industrialista. Tra il 1815 e il 1848 ci fu stabilità, seppur in un
continuo scontro tra innovazione e conservazione, sempre supportate da un rigido
protezionismo: emblema dei contrasti fu la linea ferroviaria Linz-Budweis (1825-1832), una
delle prime in Europa, ma fino al 1860 resta a trazione animale. La rivoluzione francese
mostra i potenziali rischi di una rivolta violenta per gli stati di antico regime (la regina di
Francia che viene decapitata è austriaca). Successivamente a quest’esperienza gli
austriaci torneranno sul loro passo, bloccando il processo riformatore. L’Austria è una dei
grandi protagonisti del congresso di Vienna e della cosiddetta restaurazione: Napoleone
aveva portato avanti l’idea di uno Stato forte e centralizzato. Dopo il congresso si cerca
di abolire questa idea pur mantenendo gli stessi mezzi da lui adottai, che consentivano
una maggiore efficienza fiscale, politica e amministrativa.
Il processo di industrializzazione, avviatosi già nel corso del 700 grazie alle politiche
dell’assolutismo illuminato (Maria Teresa e Giuseppe II), si sviluppa soprattutto nel periodo
successivo al 48. Tale processo è influenzato non sono dalla politica economica, ma
anche dalla disponibilità di capitale finanziario e di risorse per la realizzazione delle
ferrovie, che richiedono la necessità di raccogliere capitale all’estero. In questo
processo, un ruolo fondamentale viene svolto dalle banche: si sviluppa un sistema simile
a quello tedesco nella raccolta di capitale, sebbene l’Austria preferisca l’industria
leggera, grande importanza del settore tessile (cotonificio, linificio, lanificio) e del settore
alimentare (zuccherificio, produzione di birra),dovuto al fatto che ha meno risorse
adattabili a quella pesante (Germania).
1873-1895: Krach della borsa di Vienna: tra 1873 e la metà degli anni 90 c’è un periodo
di difficoltà e crisi, che riguarda peraltro tutto il continente. Cominciano arrivare in
Europa grandi quantità di prodotti agricoli dall’America a costi bassissimi, mettendo in
crisi l’economia europea (Grande Depressione europea ! anni di forti migrazioni).
Nonostante questi passi in avanti importanti, l’impero austriaco rimane una realtà
fortemente divisa al suo interno, e questo segnerà la sua decadenza alla fine della Prima
guerra mondiale.
c) ITALIA
Si può parlare di economia italiana prima dell’unità politica? Prima dell’unità,
l’integrazione economia delle unità politiche era assente: ogni entità aveva la propria
struttura economica interna e i propri rapporti commerciali. È estremamente
diversificata, non solo dal punto di vista economico, ma anche all’interno di ciascun
territorio: c’è una forte diversificazione della tipologia di agricoltura, tant’è che si parlerà
di centro Italia agricolo:
È quindi evidente quanto sia più semplice per un agricoltore del nord, sviluppare una
mentalità di tipo imprenditoriale. Al centro tale componente è presente solo in parte,
dovendo l’agricoltore cedere metà del suo raccolto, mentre al sud è completamente
assente.
LIBERO SCAMBISMO !c’è una certa pressione delle potenze straniere dovute al fatto
che l’Italia continua ad esportare prodotti agricoli di una certa qualità a prezzi
relativamente bassi e importare quelli industriali. In Parlamento sono rappresentati
soprattutto i proprietari terrieri, che hanno tutto l’interesse a mantenere tale struttura
economica. Se, al contrario, si fosse attuata una politica protezionistica, i prodotti
industriali sia interni che esteri, protetti da barriere tariffarie, sarebbero stati più costosi, e
si sarebbe scatenata una guerra doganale dei paesi stranieri che avrebbero alzato le
loro tariffe doganali nel confronto delle nostre esportazioni agricole. Finché il Parlamento
resta quindi in mano ai proprietari terrieri, che hanno questo interesse di esportare i
prodotti agricoli e ad importare a basso costo i prodotti industriali, l’opzione libero
scambista resta primaria.
RICONOSCIMENTO DEL DEBITO PUBBLICO ! come nuovo Stato, l’Italia poteva decidere
di rifiutare il debito pubblico dei paesi che l’avevano preceduta (regno di Sardegna,
Sicilia, Toscana, etc.), ma non lo fa per la propria immagine: ha bisogno di affermarsi
come Stato affidabile a livello internazionale. Riconosce i debiti degli Stati che l’hanno
preceduta e sulla base di
questa immagine di
affidabilità si inserisce nel
«Perché l’Italia meriti il credito di mercato internazionale
per chiedere i
tutta l’Europa deve cominciare a finanziamenti di cui
rispettare i debiti contratti…» necessitava. È una
politica costosa, ma che
Pietro Bastogi, Ministro delle Finanze, Camera dei portò i suoi risultati,
Deputati, 29 aprile 1861 soprattutto nei primi anni
dopo l’unificazione.
Inoltre, non si forma una
Banca centrale, ma
inizialmente continuano a vigere le banche locali: questo crea una certa difficoltà nel
creare una politica monetaria unitaria. Negli anni 80, resteranno solo le banche
principali, fino al 1926, quando verrà fondato un unico istituto bancario, la Banca
d’Italia. Tuttavia, in questa prima fase, rimane ancora grande il divario tra il resto
dell’Europa e l’Italia.
Quinquennio postunitario:
Nel frattempo l’Italia va però incontro ad una profonda crisi finanziaria, avvenuta nel
1866 (Terza guerra d’indipendenza). La guerra provoca un aumento drammatico della
spesa pubblica che impone l’emissione di nuova moneta, portando l’Italia al di fuori del
sistema monetaria dell’epoca (Gold standard): si poteva possedere una quantità di
moneta in circolazione proporzionale rispetto alle riserve di oro e argento del paese.
L’Italia con questa crisi esce dal Gold standard europeo, con una conseguenza sul
cambio della lira con le altre valute, non più stabile ma fluttuante ! Conseguenze dal
punto di vista del commercio internazionale e del prestigio italiano (la scelta qui però fu
una scelta obbligata). Dal 1873 il valore della moneta non è più quindi legato a quello
dell’oro, (ha valenza in Italia ma non all’estero). Per portare il bilancio in pareggio, viene
adottata una politica molto rigida (alte tasse), che farà decadere la destra storica ed
emergere la sinistra.
Ad ogni modo, analizzando la logica del dualismo economico, il caso italiano rispecchia
tutte le realtà che hanno imboccato il processo di industrializzazione: ci sono alcune
classi sociali e alcune aree geografiche che hanno più risorse e caratteristiche per
partecipare a questa trasformazione, e questo fa sì che il divario inevitabilmente
aumenti. Le trasformazioni portano sempre ad aumentare le differenze, non solo
limitatamente al processo italiano quindi. Tuttavia sul lungo periodo, queste
trasformazioni portano tendenzialmente ad un miglioramento generale di entrambe le
parti. Se guardiamo i dati relativi al secondo dopo guerra, il sud infatti ha migliorato la
propria condizione sociale ed economica.
Dal punto di vista politico, viene meno l’ideale liberoscambista ! con l’arrivo di prodotti
americani, anche gli agrari cominciano a diventare protezionisti per difendere i propri
prodotti. Ora all’interno del Parlamento italiano si ha convergenza tra gli interessi degli
industriali e quelli dei proprietari terrieri.
Nel 1878 e nel 1887, si hanno nuove tariffe doganali sull’importazione dei cereali e di
alcuni prodotti industriali ! primi segnali della nascita dell’industrializzazione. Un esempio
di questa spinta iniziale lo si ha nel settore siderurgico, che in Italia nasce a Terni
(posizione sicura dal punto di vista strategico): nonostante la scarsità delle risorse,
l’interesse dello Stato per la produzione delle corrazzate militari (elemento fondamentale
per la protezione del popolo) porta all’innescamento della produzione dell’acciaio. Tale
trasformazione viene sostenuta anche dal fatto che la maggioranza governativa della
sinistra aveva un orientamento liberoscambista differente rispetto alla destra.
Nonostante solo nel secondo dopo guerra gli occupati del settore industriale
supereranno gli occupati del settore agricolo (e analogamente per la produzione), già
dal 1890 si hanno i primi segnali di industrializzazione, in cui la congiuntura con mercato
internazionale giocò un ruolo fondamentale. Fu proprio in questo ventennio (1873-1895),
che il PIL pro capite crebbe più di quello della Germania e degli Stati Uniti. Tuttavia,
questo processo di crescita viene troncato dalla Prima guerra mondiale, che ha
conseguenze gravissime sullo sviluppo economico mondiale, a tal punto che tra la Prima
e la Seconda guerra si ha un unico lunghissimo periodo di crisi economica e politica.
Solo dopo la Seconda guerra mondiale ci sarà una ripresa di crescita.
- Espansione e consolidamento del settore tessile, molto vicino alle esigenze dei
consumatori: si afferma un vasto mercato interno (import sostitution ! prodotti
che prima venivano importati vengono prodotti dal mercato interno italiano).
Crescita enorme nella produzione e esportazione di tessuti che porta ad una
diminuzione del costo del lavoro: i prodotti diventano più competitivi;
- Crescita della produzione di beni capitali (macchinari): l’Italia comincia ad
essere attiva anche nella produzione di beni capitali;
- Cominciano ad affermarsi le imprese di grandi dimensioni (sebbene prevarranno
sempre quelle di dimensione medio-piccola), che oltre ad esercitare economie
di scala, hanno proiezione sul mercato internazionale (es. Pirelli, Fiat, Ansaldo,
etc.)
- La seconda rivoluzione industriale cambia il paradigma energetico: quello della
prima rivoluzione industriale presupponeva il carbone, risorsa che mancava in
Italia. L’energia elettrica, invece, rappresenta la possibilità di recuperare la
distanza persa con gli altri paesi: l’Italia dispone di grandi impianti idrici. Il boom
elettrico favorì la formazione di grandi società, con una maggiore
concentrazione di capitale finanziario e investimenti, nonché di competenze
tecnologiche.
- Si sedimentano le prime banche miste nel processo di accumulazione del
capitale (Comit - Banca commerciale italiana, 1894, e Credit, 1895) che nascono
con una parte importante di capitali stranieri, e investono nell’attività industriale;
- Per quanto riguarda la geografia dello sviluppo, i poli di concentrazione di
questa prima industrializzazione sono a nord (triangolo industriale – Torino,
Genova e Milano), mentre a sud continua a prevalere l’agricoltura con un PIL
poco elevato.
8.769
99246
85019
66364 5.258
57459 60873 4.355 4.452
52344
Inizialmente il tasso di crescita del PIL rimane basso, poi si ha una crescita rilevante fino
alla Prima guerra mondiale.' Proprio in questo periodo, in Italia ha un forte flusso di
emigrazione ! sembrerebbe un dato
contradditorio, ma in realtà non lo è. Si ha infatti Emigrazione italiana 1876-1976
l’espulsione di forza lavoro agricola poco Regioni a maggiore emigrazione
qualificata, con la concentrazione della
restante nel settore industriale (la dinamica che Campania Calabria
consentirà lo spostamento dal settore agrario a 2.700.000 1.900.000
quello industriale si verificherà soprattutto però Sicilia
2.500.000
nel Secondo dopo guerra). Il processo
Lombardia
emigratorio ha riguardato principalmente il 2.300.000
nord ! l’emigrazione iniziale è forte in quelle Friuli Veneto
3.300.000
zone che stanno imboccando il processo di 2.000.000
DEMOGRAFIA ! crescita elevata fino al 1500 che ha provocato un’alta densità della
popolazione rispetto alle risorse sfavorita anche da una bassa urbanizzazione;
ISTITUZIONI ! Stato unitario e capitale sociale: serie di legami sociali tra individui e
dimensione pubblica che possono creare un ambiente favorevole alla crescita
economica. La diversa distribuzione del capitale sociale in Italia ha mostrato che le
realtà meno sviluppate economicamente sono quelle dove minore è la fiducia dei
cittadini nelle istituzioni, e questo è anche legato alle esperienze storiche: esperienze di
autogoverno del nord hanno facilitato il rapporto di fiducia e la partecipazione dei
cittadini alla vita politica. Dove invece hanno prevalso per secoli potenze straniere, si è
creato un varco tra dimensione pubblica e privata. Non basta la distribuzione dei fattori
di produzione, ma anche il modo in cui la società li combina, ed è qui che contano i
processi storici.
TECNOLOGIA e CULTURA ! innovazione presente solo in alcuni settori (come il caso della
Pirelli): c’è una debolezza di fondo data da un lato dalla debolezza della formazione
tecnica e scientifica nel sistema tecnico industriale, e dall’altro, ad un
sottodimensionamento delle università tecnico-scientifiche rispetto a quelle umanistiche.
Quindi, la struttura delle imprese e dell’ambiente formativo creano un ambiente non
particolarmente favorevole all’innovazione tecnologica.
La sua storia è caratterizzata da un rapporto tra persone e risorse molto più vantaggioso
di quello che si era avuto in Inghilterra: hanno una disponibilità di spazio e terre coltivabili
molto più ampia degli europei, che consente di avere costi di produzione più bassi e allo
stesso tempo costituisce un
Il processo di sviluppo fu differente da quello inglese, soprattutto per incentivo all’adozione di
quanto riguarda la scarsità relativa di fattore lavoro, con un maggior tecnologiche avanzate,
impiego di capitale e risorse nei processi produttivi. permettendo di risparmiare
Popolazione degli Stati Uniti (milioni)
100
sul fattore più costoso, il
fattore lavoro. Di fatti, è
40
uno dei primi paesi ad
adottare tecnologie
4
avanzate più
1790 1870 1915
precocemente.
Anni
L’arrivo della popolazione europea (gli inglesi fondarono la loro prima colonia, la
Virginia, nel 1607) e africana sulla costa orientale costituisce le basi della fondazione
della potenza americana, che vide una crescita demografica importantissima, a fronte
di una quantità enorme di risorse disponibili. Rispetto alle realtà europee, c’è anche una
differenza nella struttura della popolazione: mentre nella fase iniziale il cittadino standard
era quello bianco e protestante (influenza inglese), ma mano si hanno ondate migratorie
provenienti da tutta Europa, che vanno a creare una società costituita da culture
diverse (melting pot). Il flusso europeo apporta culture diverse in un paese nuovo,
costituito e creato da migranti, in cui anche il sistema istituzionale e giuridico sono nuovi,
plasmati sulle esigenze di un mercato liberoscambista. Sotto il profilo sociale, essere una
nazione di migranti significa avere una grande volontà di autoaffermazione: emigrano
quelli che hanno più spirito di intraprendenza e ricerca del successo. Gli americani sono
estremamente competitivi. Elemento di crescita importante.
Risorse
Tenologia Trasporti
RISORSE
Inizialmente i manufatti
50 Struttura del commercio estero USA rappresentavano il 45% delle
45
40 importazioni e solo il 10% delle
35 esportazioni, tutto il resto erano
30 prodotti agricoli. Con il tempo la
% manufatti su exp
25
%manufatti su imp situazione si ribalterà. Gli Stati Uniti
20
15 nella loro espansione possono
10 godere di un mercato interno
5 sempre più grande e questo è
0
fondamentale per garantire lo
1849-58 1869-78 1879-88 1889-98 1899-08 1909-18
sviluppo delle prime imprese.
Fin da subito c’è quindi un’attenzione agli aspetti innovativi, con l’obiettivo di risparmiare
sulla forza lavoro ed ottenere il massimo nella produzione agricola. Nella realtà
americana, date le diverse caratteristiche climatiche e della composizione del suolo, è
possibile un’ampia diversificazione (est-cereali, ovest-bestiame, sud-ortaggi) che permire
di avere una vasta gamma di produzione. A metà ottocento, lo spazio statunitense era
diviso in tre macroregioni:
Il nord est vendeva i suoi prodotti industriali all’ovest, che a sua volta spediva le sue
derrate agricole al sud via acqua. Il sud esportava in Europa la maggior parte delle sue
produzioni di piantagione (fondamentale per il commercio fu Chicago, mediatore tra la
parte centrale e la costa). La costruzione della ferrovia giocò un ruolo fondamentale,
perché permise di collegare ancora più strettamente queste tre vaste regioni
economiche.
Guerra di secessione
Questo conflitto delimitava il confine tra Sud, la cui economia era fondata sulle
piantagioni e sul liberoscambio, e il Nord, che inizia ad orientarsi per primo verso la
produzione industriale (non si era formata un’attività manifatturiera durante il periodo del
colonialismo), adottando una politica protezionistica in contrasto con il sud. Un’altra
differenza risiedeva nella struttura politica: il sud tende ad essere più federalista (ruolo
importante alle autonomia dei singoli stati), mentre il nord dà più importanza allo stato
centrale. Gli instabili conflitti portarono ad una lunga guerra civile (1861-1865), dove per
la prima volta nella storia, il potenziale industriale si rivelò decisivo per la vittoria: grazie
alla superiorità tecnologica ed evolutiva, nonché alla marina militare, il nord riesce a
battere il sud (la marina militare del sud era ancora basata su basi tradizionali).
TRASPORTI
I corsi d’acqua naturali, e i canali scavati per collegare più fiumi fino ai porti marittimi,
erano le vie più usate dai trasportatori indipendenti che movimentavano i prodotti
agricoli, il carbone e i metalli estratti dalle miniere.
In particolare il terziario
Un ruolo primario nell’industrializzazione americana ebbero le ferrovie, il cui
poggiava sui trasporti
sviluppo, partito in contemporanea con quello inglese, fu enorme navali e sulle ferrovie, che
diedero la possibilità di
esportare i prodotti
410475
Rete ferroviaria (km) americani verso il
continente europeo, in
particolare cereali e carne
(inizio della Grande
depressione europea).
251985
Europa
L’efficiente rete di trasporti
consentì di trasportare le
Gran Bretagna
risorse verso i luoghi di
USA
produzione a costi bassi: è
soprattutto la ferrovia lo
straordinario strumento a
84675
70652 rendere effettiva tale
32623 32623 efficienza. La gestione
1421 2390 4510 delle ferrovie sono l’ambito
nel quale si sperimenta
1840 1870 1914 un’inedita figura
professionale: il manager.
La grande impresa richiede capacità manageriale e organizzazione finanziaria, che
porta alla formazione di un manager capace di gestire un’impresa complicata come
quella ferroviaria.
Dal 1870 la macchina a vapore prese il sopravvento sull’energia idraulica e, dal 1869, la
ferrovia collegò le coste atlantiche a quelle del Pacifico, completando il processo di
unificazione e integrazione del vasto mercato internazionale.
TECNOLOGIA
Rispetto alle risorse disponibili, il fattore lavoro continuava ad essere relativamente
scarso: i continui guadagni di produttività (molte macchine per pochi operai)
promossero l’accumulazione di capitale tecnico, sia in ambito agricolo che industriale.
Questa forte attenzione alla tecnologia rappresenterà il mezzo dello sviluppo (prezzi
competitivi ad alto contenuto tecnologico). È evidente come il rapporto degli americani
con le risorse è diverso rispetto al resto del mondo. In più gli americani erano dotati di
grandi quantità di petrolio (utile per i trasporti).
L’industria automobilistica con Henry Ford amplia il suo pubblico: opera tramite una
logica di mercato molto diversa da quelle precedenti, che coprivano un pubblico
estremamente ridotto per l’elevato prezzo e l’alta qualità. Ford costruisce un’
automobile standardizzata estremamente semplice e di facile manutenzione, sfoderata
di tutte le componenti di lusso, che fanno sì il costo di produzione si abbassi. La
produzione si basa sulla catena di montaggio che consente di ridurre i tempi di
produzione nonché i costi. L’automobile è quindi una delle chiavi importanti dello
sviluppo industriale (anche nello sviluppo italiano e tedesco): è sia un elemento di
trasformazione tecnologica e organizzativa, sia un elemento importante di
trasformazione della società (anche gli operai ora potevano permettersene una).
Con gli anni ’80 gli Stati uniti divennero la prima nazione industriale del mondo, e furono,
insieme alla Germana, i protagonisti della seconda Rivoluzione industriale, caratterizzata
dal motore a scoppio (a combustione interna) e dalla prevalenza del settore chimico e
di quello elettrico. L’agricoltura restava comunque un’attività importante.
Restavano però dei problemi aperti: sul fronte della sicurezza sociale, della
disoccupazione temporanea, delle ricorrenti crisi finanziarie, della diseguaglianza nella
distribuzione della ricchezza, della tutela dei lavoratori
Sul fronte della sicurezza sociale gli USA erano più deboli rispetto all’Europa: non ci sono
reti pubbliche che assistono i lavoratori. La tutela dei lavoratori è di fatto un fattore molto
carente nella storia americana. In Europa, al contrario, c’è grande copertura. È una
realtà caratterizzata da frequenti crisi finanziarie, con una forte disuguaglianza nella
distribuzione della ricchezza. Una disomogeneità tuttavia che viene vista come uno
stimolo per migliorare la propria situazione: la mobilità sociale americana è molto più
avvantaggiata rispetto a quella europea, ed era quindi molto meno difficile passare da
una condizione sociale all’altra (grande speranza di miglioramento).
IX. GIAPPONE
Nel 1500, Cina e Giappone erano già più avanti rispetto al resto dell’Europa. Le cose
cambiano tuttavia dal 1500 in poi: c’è la convinzione che la loro società sia superiore
rispetto alle altre e, per proteggersi dagli influssi esterni, il Giappone si chiude in un
isolamento che durerà per più di un secolo (1739-1850). Durante questo periodo, il
potere politico fu ininterrottamente esercitato da un capo militare, lo Shogun, della
nobile casta Tokugawa, che preservò l’assetto sociale fondato sul feudalesimo e sulle
caste. Nei rispettivi feudi, il potere assoluto veniva esercitato dai daimyo, al cui servizio
c’erano i samurai. L’economia era fondata sull’agricoltura e la base della dieta
alimentare era il riso, mentre nei tempi moti dell’agricoltura i contadini si dedicavano ad
un’ organizzazione analoga all’ industria domiciliare europea. Nelle città operavano
mercanti e artigiani riuniti i corporazioni a numero chiuso, mentre l’ appartenenza per
nascita ad un ceto determinava i destini individuali, essendo vietato cambiare
residenza, occupazione o mestiere. L’esistenza di numerosi centri urbani densamente
popolati fu un potente fattore d’evoluzione economica e sociale: nonostante una
politica improntata alla conservazione dell’assetto sociale tradizionale, nel lungo andare
iniziò a prosperare una borghesia orientata agli scambi, mantenuta in condizioni d’
inferiorità sociale e culturale nonostante controllasse una crescente quota di ricchezza
fondiaria e mobiliare.
L’isolamento terminò nel 1853, quando gli Stati Uniti, necessitando di uno scalo tecnico in
Giappone, gli proposero l’avvio di relazioni diplomatiche e commerciali: nel 1854 lo
Shogun concesse agli statunitensi il diritto di accedere, risiedere e commerciare in due
porti minori del paese. I flussi di commercio internazionale tuttavia alimentarono un
malcontento nella popolazione, dovuto al calo dell’offerta interna (aumento dei prezzi)
e alle importazioni nettamente superiori rispetto alle esportazioni (l’uscita dal paese di
grandi quantità d’oro diminuiva la massa monetaria pregiata e accresceva il peso
relativo di quella d’argento e di rame, aggiungendo inflazione a quella motivata dal
calo dell’offerta interna rispetto alla domanda). In questo clima, nel 1868 venne
proclamata la fine dello shogunato. Dal 1871 cadde ogni distinzione di ceto fra i sudditi
(soppressione dei ceti) che poterono muoversi liberamente nel paese e accedere ai
mestieri e alle professioni (essendo state abolite le corporazioni): da quel momento in poi
il Giappone imbocca la strada dell’industrializzazione, sulla scia del modello tedesco e
americano.
Dagli anni Settanta, il Giappone realizzò un’esperienza di politica economica per molti
versi sui generis. Il governo favorì miglioramenti della produttività agricola inviando
tecnici all’estero per ottenere tecnologie più aggiornate e l’ accresciuta produzione di
derrate agricole e di materie prime permise di pagare le importazioni di tecnologia per l’
industria. Alle scuole primarie furono affiancate quelle professionali, si avviarono attività
industriali con dirigenti i samurai (sensibili all’idea di potenza nazionale) e i primi istituti
bancari. Tuttavia, nonostante le numerose innovazioni istituzionali e amministrative (molte
delle quali furono integralmente copiate dall’estero) il sistema di relazioni economiche e
sociali continuava ad essere imperniato sul modello culturale della famiglia allargata.
La crescita economica giapponese ristagnò solo nel decennio delle guerre vittoriose
con la Cina, da cui ricavò una grande quantità di oro, e con la Russia, con cui pose la
sua potenza all’attenzione mondiale. I settori industriali che si affermarono per primi
furono quello tessile e quello siderurgico-meccanico, dopo l’introduzione di moderate
misure protezionistiche. Impossibilitati a fabbricare in proprio o a importare impianti
produttivi tecnicamente avanzati, gli industriali giapponesi si adattarono ad acquistare a
basso prezzo attrezzature obsolete e dismesse (capitale) nei paesi più avanzati. Solo
dopo aver costruito una solida base industriale, il Giappone si lanciò nella
diversificazione delle attività.
Il successo economico giapponese nel Novecento Per tutto il corso del 900, il
Giappone continua a
crescere, pur mantenendo la
propria solida tradizione
culturale: la sua quota
d’esportazioni cresce sempre
di più (superando le
Nel Novecento il Giappone cresce e si sviluppa fino a raggiungere importazioni), innanzitutto
posizioni di punta. Ciò grazie a: perché i suoi prodotti
• scarso coinvolgimento nella I GM e nella crisi degli anni Trenta (tecnologicamente avanzati)
(pesanti invece le conseguenze della II GM) hanno prezzi concorrenziali, e
• politiche di coordinamento pubbliche
poi perché il governo
• “importazione” di modelli e tecnologie estere
giapponese continua ad
• protezionismo e colonialismo
adottare politiche commerciali
• integrazione banca-impresa (dalle zaibatsu alle keiretsu)
difensive (protezionismo).
• disciplinamento sociale e innovazione tecnologica
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 21
Molta forza lavoro rimase nei villaggi e nelle campagne, dov’erano andate
moltiplicandosi le piccole e medie imprese: si trattava di un genere di crescita
economica adatta a soddisfare bisogni in lenta evoluzione dalla tradizione alla
modernità. Inoltre si verificò un miglioramento del tenore di vita di larghi strati della
popolazione, con tensioni sociali sopportabili in quanto ognuno era ben integrato entro
un sistema di relazioni economiche, sociali e culturali impregnate sullo spirito della
disciplina e dell’ onore.
In conclusione l’economia giapponese moderna offre uno dei più riusciti esempi di
sviluppo economico programmato dal governo e realizzato dalla burocrazia statale: la
prima e principale ragione del successo consiste nell’avere accettato senza complessi
d’inferiorità culturale il ruolo di paese economicamente arretrato. La capacità di
apprendere, di imitare, di adattarsi e di perseguire l’ottimo possibile è il segreto del
successo giapponese. Il processo di rapida modernizzazione, dal feudalesimo al
capitalismo, avvenne senza implicazioni ideologiche e su base empirica, facilitato dalla
proverbiale frugalità dei contadini: dall’Occidente fu preso a prestito solamente quanto
era tecnicamente necessario.
GEOGRAFIA ! arcipelago con risorse scarse, che a lungo resta chiusa in sé stessa;
Nel quarantennio che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale, l’Europa
raggiunse sia il primato nella produzione di beni industriali, sia il dominio commerciale
nelle esportazioni. La costruzione di un’imponente rete di trasporti in Europa e in America
settentrionale accelerò quel processo di integrazione dell’ economia mondiale avviato
dalla Gran Bretagna a metà dell’ Ottocento con la libera circolazione internazionale
delle merci. Lo sviluppo del commercio internazionale coinvolse anche i paesi tropicali
che producevano coloniali (spezie, the, caffè, cacao, gomma, zucchero di canna),
tanto che, in qualche caso, le barriere daziarie introdotte in Europa misero in crisi
produzioni distanti migliaia di chilometri. In ogni caso, l’integrazione del mercato globale
comportò un livellamento dei prezzi dei coloniali e la scomparsa della pluralità di
produttori dislocati nei diversi continenti, che aveva caratterizzato il colonialismo Sei -
settecentesco.
Tra il 1896 e il 1913 tutta l’economia europea attraversa una fase espansiva, denominata
belle époque.
erifica ( esclusa la Francia) un sensibile incremento demografico…
65
49
46
38
32
28 1890
1910
Popolazione in milioni
(1890-1910)
Germania UK Italia
L’utilizzo del carbone tuttavia non viene sminuito, rimanendo predominante nei paesi
dotati di importanti giacimenti. Si afferma in maniera definitiva la navigazione a vapore,
si conosce una grandiosa espansione del mezzo ferroviario, specie negli USA, e
compaiono le prime reti di trasporto urbano: le tranvie. Fa la sua prima comparsa il
mezzo aereo (1903 esperimento di volo dei fratelli Wright) e non si muovono più solo
persone e merci, ma anche capitali e notizie viaggiano con una velocità mai
conosciuta prima (telegrafo - primo cavo transatlantico 1858, stabile dal 1866 – telefono
e radio - prima trasmissione transatlantica di G. Marconi nel 1901).
9000
8000
7000
6000
UK
5000 Italia
Germania
4000 Francia
3000 Imp. Asb.
2000
1000
Tra il 1890 e il 1914 si assiste quindi alla prima globalizzazione, che vide aumentare
notevolmente il grado di integrazione dei mercati delle merci, dei capitali, del lavoro e
della conoscenza. Per alcuni beni omogenei (cereali, ferro, etc.), infatti, la riduzione dei
costi di trasporto conduce ad una convergenza dei prezzi: questi discorso non può
essere fatto per tutti i beni, paesi e mercati. Un esempio può essere la differenza del
prezzo tra Chicago e Liverpool: del 60% nel 1870 e solo del 15% nel 1914.
IL GOLD STANDARD
Londra era la capitale finanziaria del mondo: i prestiti esteri inglesi erano la metà di tutti i
prestiti del periodo, Il differenziale d’interesse tra Londra e gli USA tra 1890 e 1915 si
attesta sull’1% e un importante fattore d’integrazione (ma anche di trasmissione delle
crisi) fu il sistema monetario del “Gold Standard”.
Nella realtà questo sistema tende a fallire nel lungo periodo, in quanto questo non
avviene: i paesi in avanzo non monetizzano tutte le riserve auree ed inoltre, in caso di
crisi finanziaria, non si potrebbe aumentare l’ offerta di moneta.
0
Mondo
" Grandi capitali, per cui si rafforzarono le banche miste (interconnessioni con
le piccole-medie imprese, alto livello di informazioni e controllo elevato) e si
consolidano le borse (le grandi imprese rispondevano solo al mercato
azionistico);
" Economie di scala, per cui si diversificò, specializzandosi, il ruolo della banca
e si affermò la grande impresa (USA – Germania);
Con lo scoppio nel 1914 della prima guerra mondiale si interruppe una fase espansiva
che aveva da un ventennio coinvolto tutti i Paesi dell’Occidente.
Le cause (anche economiche) del conflitto furono:
C’era però la convinzione che la guerra avrebbe fatto prevalere un’egemonia, avrebbe
fatto acquisire nuovi territori e arricchito il vincitore. In Europa c’era chi ragionava
secondo categorie preindustriali, che prevedevano l’utilizzo dello strumento bellico per
superare fasi di stagnazione.
Nella nuova realtà la guerra significava invece distruzione di capitale fisso, oltre che di
capitale umano e comportava l’interruzione dell’economia di mercato.
Dagli ultimi anni dell’Ottocento, l’afflusso di cereali americano nei paesi europei che li
importavano per le loro produzioni fu una delle principali cause del rallentamento dello
sviluppo agricolo delle regioni del vecchio continente. Con il mercato globale,
l’abbassamento dei dazi doganali e l’importanza relativa del settore primario per il
vecchio continente, la concorrenza americana causò una caduta dei prezzi, dei redditi
e del potere d’acquisto dei contadini e agricoltori, tradottasi in un ripiegamento della
domanda aggregata e un freno generale dei ritmi di crescita economica.
La grande guerra (1914-1918) alterò i regimi politico istituzionali, modificò gli assetti
sociali, sconvolse le economie, incise pesantemente sugli assetti demografici, alterò i
rapporti di forza tra i partiti politici ed ebbe conseguenze durature sulle mentalità
collettive e sulle ideologie. Erano contrapposte le forze dell’Intesa (Serbia, Russia,
Francia, Inghilterra, Belgio e successivamente Italia e Usa) a quelle degli imperi centrali
(Austria-Ungheria, Germania e Turchia).
L’imperativo era agire, non discutere per confrontare opinioni, nuovi ricchi (profittatori)
avevano sfruttato la particolare congiuntura interna mentre altri rischiavano o
perdevano la vita nei campi di battaglia, mettendo in crisi la fiducia nella superiorità del
lavoro e nella virtù del risparmio, minando i valori borghesi consolidatisi nell’ Ottocento.
Le “vittime” degli effetti economici della guerra furono coloro che disponevano di redditi
fissi, soprattutto per effetto dell’ inflazione. I prezzi delle derrate agricole aumentarono
meno proporzionalmente dei prezzi dei manufatti e dei prodotti industriali e non
equilibrarono l’effetto dell’ inflazione. Ci fu una crescente pressione sui partiti politici che
portò alla ribalta la questione economica e sociale della disoccupazione.
L’insolita durata e l’estesissimo teatro della guerra, assieme all’importanza che assunse
l’apparato industriale (aumento della domanda di armamenti, esplosivi, proiettili,
calzature, medicinali, risorse alimentari, etc.), furono tutti elementi innovativi rispetto al
passato. Proprio per l’esigenza di predisporre adeguati rifornimenti per i fronti, per
razionare le materie prime indispensabili, per il contingentamento delle importazioni e
delle esportazioni, per la nazionalizzazione delle risorse energetiche, gli Stati presero il
controllo delle forze produttive nei settori caratteristici: si estese la sfera normativa e
amministrativa delle istituzioni pubbliche centrali e periferiche sull’economia, in contro
tendenza rispetto all’autonomia ottocentesca delle relazioni economiche rispetto alla
politica.
Circolazione di banconote in alcuni paesi belligeranti
(medie annuali - milioni in valuta nazionale)
40000
35000 1913
30000 1914
25000 1915
20000 1916
15000 1917
10000 1918
5000 1919
0
GB Francia Germania Italia
Alla conferenza di pace si tenta di quantificare il costo complessivo delle perdite, per
addossarlo alla Germania
- La Germania perde il 13 % del proprio territorio
- Dalle ceneri della monarchia asburgica nascono 3 nuovi stati e si
ingrandiscono diversi altri
- Si moltiplicano frontiere, monete, banche centrali, sistemi fiscali e doganali
Il ripristino della vita civile e la riconversione produttiva provocò in tutti i paesi forti tensioni
sociali: in assenza poi di aiuti internazionali, molti Paesi, sia vinti, che vincitori, conobbero
una pesante ondata inflazionistica. Il caso tedesco di iperinflazione, causata
dall’imposizione delle riparazioni e dai finanziamenti di guerra, oltre a un’addizionale del
26% sull’export, viene in parte sanato dal Piano Dawes, che ridefinì partite debitorie e
creditorie, ma la Germania dovette comunque ricorrere a finanziamenti esterni per far
fronte agli obblighi. Una profonda crisi del sistema produttivo interno portò comunque
ad un alto tasso di disoccupazione e al risentimento verso i paesi vincitori: le
“conseguenze economiche della pace” stavano preparando il terreno per la seconda
guerra mondiale. A soffrire le conseguenze della guerra non furono i soli vinti: la Gran
Bretagna per far rientrare la sterlina nel gold standard adottò una politica deflazionistica
che penalizzò le sue esportazioni per l’ elevatissimo tasso di cambio della sterlina, mentre
paesi come Francia e Belgio scelsero la strada della stabilizzazione monetaria solo in un
secondo tempo, dopo aver fatto ripartire il sistema produttivo. Dopo la pace i governi
continuarono a regolare l’ economia nell’ utopistico intento di ripristinare condizioni
analoghe a quelle esistenti fino al 1914. In ultima analisi, i problemi comuni a tutti gli stati
usciti dalla guerra furono:
La guerra trasformò Gran Bretagna e Francia in paesi debitori, mentre gli Stati Uniti,
divenuti il primo paese esportatore di beni e servizi, con vasta disponibilità di capitali da
investire sui mercati esteri, assunsero il ruolo di maggior paese creditore. Il lento e
stentato ritorno a standard produttivi prebellici favorì i paesi neutrali, che avevano
sensibilmente accresciuto le loro esportazioni, favoriti dall’esigenza delle nazioni
belligeranti di rifornirsi e dal simultaneo calo dell’offerta dei manufatti nei maggiori paesi
industriali impegnati nella guerra. Nel 1923 il debito tedesco fu ristrutturato e dilazionato,
mentre l’inflazione continuava a salire con un ritmo inarrestabile. Nel 1924 riserve auree
fornite dai vincitori della guerra riportarono il marco ai suoi standard, congelando i prezzi
del 1913, stessa cosa che avvenne con la sterlina grazie a prestiti americani nel 1925.
Con il deprimere le importazioni e con lo stimolare il nazionalismo economico, la guerra
ridusse la domanda internazionale di manufatti tradizionalmente provenienti da precise
aree produttive. Solo nel 1925-26 i processi di ricostruzione economica erano pressoché
completati e il commercio internazionale era in ripresa.
• Fu reintrodotta la moneta;
• Fu liberalizzato il commercio e l’industria per piccole imprese e ripristinata la
proprietà privata contadina;
• Liberalizzata l’attività agricola;
• Nazionalizzate solo le grandi industrie strategiche.
Si ottennero risultati positivi, ma alcuni elementi non erano accettabili dalla dottrina
bolscevica, come il rialzo dei prezzi agricoli e lentezza nell’affermazione dell’industria di
Stato. La NEP fu uno dei primi esempi di economia mista, divisa tra il controllo privato e
quello pubblico dello Stato. Nelle campagne emerse una classe di contadini arricchiti
dalla produzione per il mercato (Kulaki), visti in maniera negativa (segnale di ritorno al
capitalismo) da Stalin, che iniziò una vera e propria “liquidazione dei Kulaki come
classe”. Con la morte di Lenin si scontrarono diversi orientamenti:
A dieci anni dalla rivoluzione d’ottobre sul piano economico l’URSS era un vasto stato,
essenzialmente agricolo, in cui prevaleva la piccola proprietà, con pochi poli industriali,
scarsamente collegati tra di loro. Per affermarsi aveva bisogno di dare spazio ad un
processo di industrializzazione adeguato e per questo motivo prevalse la linea di Stalin,
che nel 1928 abbracciò la visione industrialista.
Ci fu un forte spostamento del PIL dai consumi agli investimenti e alla difesa, quindi
crebbe la potenza sovietica, ma diminuirono i consumi personali.
Fu la prima crisi del sistema finanziario moderno, che vide al suo interno concomitanti
fattori monetari e reali, oltre a riflessi storici e culturali, mettendo ad esempio in
discussione la teoria per cui il mercato si autoregolasse. È una crisi internazionale che
riguarda tutti i settori produttivi all’interno dei diversi paesi: resteranno esclusi l’Unione
Sovietica e il Giappone (isolato sotto il punto di vista finanziario e tale isolamento gli
consentirà di sorpassare gli Stati Uniti). Ha avuto importantissimi riflessi di natura politica e
storica: la Germania era stata profondamente colpita dal trattato di Versailles, e questo
risentimento nazionale nonché economico, contribuì a far affermare il partito nazional
socialista.
Nel primo dopoguerra l'economia degli Stati Uniti ebbe un forte incremento, dovuto
anche alla grande richiesta d'investimento che veniva dall'Europa per la ripresa delle
varie potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale. La forte differenza
tra l'aumento dei profitti e della produzione con quello dei salari creò un evidente
squilibrio nella distribuzione dei redditi, mentre a questi squilibri sociali si aggiunse un
fattore psicologico trainante: la convinzione che fosse possibile un arricchimento facile,
ovviamente non legato al lavoro o alla produzione, ma che provenisse da audaci
attività speculative. Questa corsa all'acquisto, nel momento in cui era duratura,
avvalorava se stessa, causa di quotazioni sempre crescenti. L'esistenza di queste alte
quotazioni, attirava anche parte della popolazione a reddito modesto, disposta a
pagare alle banche interessi altissimi pur di tentare facili guadagni. Per queste ragioni, il
sistema si stava costruendo su se stesso e accentuava le tendenze di mercato, ma al
crescere dei titoli di borsa corrispondeva il calo della produzione e nell'ottobre del 1929,
si arrivò al crollo della borsa di Wall Street.
Nonostante le difficoltà degli agricoltori il paese è percorso da un’ondata di Le sue cause sono da
affarismo, sostenuto da un senso di fiducia nelle grandi possibilità del paese ricercare nelle relazioni
economiche e finanziare
•tra il 1922 e il 1927 il valore delle azioni si è raddoppiato - nel 1929 risultava più che
internazionali nel primo
quadruplicato
•frenesia degli affari accompagnata da una spirale al rialzo (ci si indebitava per dopoguerra. La prima
poter speculare in borsa) guerra mondiale, oltre a
•Parallelamente la domanda di beni di consumo durevoli risultava sostenuta causare gravi perdite
artificiosamente umane e artistiche,
•il sistema produttivo stava producendo in eccedenza frantumò anche
l'equilibrio monetario
si apre una crisi la cui origine non era dovuta alla penuria, bensì all'interno dell'Europa.
all’abbondanza Molti Stati avevano
ecceduto nell'emissione
Nell’ottobre del 1929 si ebbe il crollo della borsa di New York, che seguì un di carta moneta, che si
trend discendente fino al 1932:
era svalutata, fatta
•dalla borsa la crisi passò all’intero sistema economico americano eccezione gli Stati Uniti,
•veloce discesa del PIL, della produzione, dei prezzi di tutte le merci
che mantennero
inalterata la convertibilità in oro del dollaro (Gold Standard), con il quale le altre monete
dovettero, poi, confrontarsi. Gli Stati Uniti registrarono quindi un boom ininterrotto
dell'economia fino all'ottobre del 1929, in quanto essa era stimolata da vari fattori:
Il clima che respirava la borghesia americana, nei “ruggenti anni ‘20”, era improntato
all’ottimismo ed alla fiducia in una crescita illimitata e indefinita di ricchezza e benessere.
Nessun freno politico limitò, in alcun modo, la produzione, in omaggio alla dilagante
teoria liberista; né vi fu alcun ostacolo all’incredibile ondata di euforia speculativa che la
Borsa visse negli anni precedenti, incoraggiata dalla prospettiva di facili guadagni
attraverso la compravendita delle azioni. Le fondamenta del sistema erano
evidentemente assai fragili. La domanda sostenuta di beni di consumo (in massima
parte durevoli, tendenti quindi alla “saturazione” del mercato) favorì infatti la formazione
di una capacità produttiva sproporzionata alle possibilità di assorbimento del mercato
interno (domanda). A questo problema si reagì in due modi: sviluppando il credito ai
privati e aumentando le esportazioni, specie nel vecchio continente fino a creare uno
stretto rapporto di interdipendenza con la ripresa europea. L’Europa, insomma,
otteneva finanziamenti dagli Stati Uniti e sua volta ne alimentava lo sviluppo con le
importazioni. Questo meccanismo risultava pericoloso, perché i crediti statunitensi erano
generalmente erogati da banche private e legati a soli calcoli di profitto. Ogni
dirottamento dei capitali verso altre operazioni avrebbe insomma avuto pesanti
conseguenze sulla produzione industriale americana, ormai dipendente dalle
importazioni europee.
I crediti furono dirottati, specie durante il 1928, verso le più redditizie operazioni
speculative della Borsa. Si fondarono società esclusivamente finanziarie (“investments
trusts”) al solo scopo di acquistare le azioni e rivenderle a prezzo superiore. Si costituirono
così immense ricchezze che rappresentavano un capitale esclusivamente azionario,
senza una contropartita di produzione. Il potere d’acquisto cominciò a diminuire non
sostenendo più l’alta produttività delle industrie: metallurgica, petrolifera, manifatturiera,
edile. Dal giugno del 1929, la domanda interna americana si trova di fronte ad un calo,
mentre la domanda che proveniva dall’Europa andava diminuendo per la ripresa
economica dopo la guerra: la crisi di sovrapproduzione cominciò a colpire le industrie
fondamentali e le attività agricole.
Il sistema borsistico americano era drogato da una valorizzazione falsata delle azioni
soprattutto di quelle industrie e società che avevano rappresentato il boom economico.
Per indurre i risparmiatori a comprare sempre più azioni furono svolte, dalle holding,
consulenze falsate sul reale valore dei titoli e quando le industrie cominciarono a non
poter più sostenere una crescita produttiva positiva il valore delle azioni iniziò a calare
costringendo i risparmiatori a vendere rapidamente il loro capitale azionario e quindi a
far crollare la borsa. A settembre, il corso dei titoli di Borsa raggiunse i massimi livelli. Dopo
alcune settimane, gli operatori cominciarono a liquidare i propri pacchetti azionari per
realizzare i guadagni ottenuti. La corsa alle vendite, naturalmente, generò una caduta
del valore dei titoli, stabilizzatisi a metà novembre su valori più o meno dimezzati, con
conseguenze disastrose su ogni piano. Le piccole imprese industriali e commerciali
finirono rovinate dall’accumularsi delle scorte dovuto alla precedente
sovrapproduzione. Le imprese di dimensioni maggiori reagirono riducendo la produzione,
e, semplicemente, le spese; salari, materie prime, lavoratori ne furono colpiti.
In questo modo, si creò una spirale per la quale i bassi salari (comuni anche al settore
agricolo, in crisi da qualche anno per il ribasso dei prezzi per l’eccesso di offerta dettato
dai paesi che erano entrati nel mercato approfittando della guerra) e la disoccupazione
diminuivano i consumi, la cui caduta colpiva le imprese spingendole ad altri
licenziamenti e altri tagli.
La crisi, oltre che borsistica, industriale, agricola e commerciale, fu anche una crisi
bancaria. Infatti sia l'industria che l'agricoltura erano fortemente indebitate con le
banche. Durante gli "anni ruggenti", le banche avevano ecceduto nei prestiti, nella
previsione di una restituzione regolare e nella fiducia nei risparmiatori che avrebbero
dovuto accrescere i loro depositi. Con la crisi, un enorme numero di imprese non fu in
grado di pagare i debiti alle scadenze e intanto, le banche, erano premute da coloro
che avevano depositato soldi, e che ora chiedevano la restituzione delle somme
depositate. Di conseguenza, trovatesi di fronte alla pressione dei depositanti e
all'impossibilità di far rientrare i prestiti, molte banche furono costrette a chiudere.
'
Come fattori scatenanti sono stati individuati, da parte di tutti gli studiosi:
• La sovrapproduzione tanto industriale, quanto di beni primari: la spirale al rialzo
era data da un sistema monetario fondato sul credito per investire in borsa,
mentre il sistema produttivo era in eccedenza ! la guerra aveva portato ad una
crescita smisurata nel settore industriale, in particolare quello concentrato nella
produzione dei mezzi bellici (settore siderurgico, meccanico, etc.). In generale, la
capacità del sistema era troppo elevata, e nel dopo guerra non c’era stata una
ripresa della domanda a compensare l’aumento dell’offerta. Lo stesso accade
sul fronte della produzione agricola: c’era stato un forte aumento della
produzione agricola con ampi investimenti a fronte di una domanda che invece
continuava a rimanere limitata.
• Il Gold standard, che fino a quel momento aveva garantito l’aumento del
commercio internazionale e l’estensione del mercato dei capitali, incomincia
però a diventare un vincolo importante nel momento del sopraggiungere della
crisi ! non consente di operare politiche monetarie espansive. Secondo il Gold
standard, di fatti, non era possibile aumentare la moneta se non si possedevano
risorse minerarie proporzionali all’aumento (la moneta doveva essere
proporzionale alle riserve auree).
• Le politiche monetarie, creditizie e commerciali poco “illuminate”: la domanda di
beni di consumo durevole era sostenuta artificiosamente, mentre le importazioni
europee erano finanziate da crediti americani;
• Il manifestarsi in tutto l’occidente di problemi strutturali connessi con l’affermarsi
di una serie di consumi di massa;
• L’incapacità di “governare” una serie di mutamenti tecnologici, demografici e di
distribuzione del reddito conseguenti al primo conflitto mondiale;
L'interpretazione Keyneysiana
Dal punto di vista culturale, la crisi mette in discussione l’idea che il mercato avesse una
capacità di riequilibrio, ovvero che il mercato fosse capace di riaggiustarsi da solo e
quindi che non fosse necessario l’intervento esterno dello Stato. Si ebbero dei costi così
elevati, che non si poteva dare il tempo al mercato di autoregolarsi. Ecco che si ha
l’intervento dello Stato, tramite una politica di deficit pubblico, con l’idea di rilanciare
l’economia. Keynes, negli anni 30, elaborò una teoria che appoggiava l’intervento dello
Stato affinché l’andamento dell’economia fosse regolato. Da quel momento tutte le
università e le misure di politica economica saranno basate sulla teoria keynesiana. Negli
anni 70, tuttavia, lo scoppio della crisi petrolifera, smentì in un qualche modo tale teoria
e nelle università torneranno a vigere le idee che danno importanza al libero muoversi
della domanda e dell’offerta (economia neoclassica). Le teorie economiche sono molto
legate alle congiunture storiche del periodo in cui vengono elaborate, ma non tutte
sono poi adattabili a quel solo periodo: nei periodi in cui i mercati crescono e fioriscono
bisognerebbe applicare le teorie neoclassiche e monetariste, mentre nei momenti di crisi
del mercato bisognerebbe utilizzare le teorie keynesiane.
Con la crisi del 1929 precipitò il commercio internazionale e l’ideologia dominante del
libero mercato che non prevedeva un intervento pubblico nell’economia crollò sotto
un’evidente necessità di sostegno ai mercati. È evidente che una teoria di questo tipo
funzioni in condizioni di relativa stabilità, mentre in altre condizioni politiche, storiche e
sociali l’intervento dello stato sia necessario per la ripresa economica. Va inoltre
sottolineato il ruolo determinante che assunse il Gold standard come vincolo alla ripresa:
questo sistema non permetteva di stampare moneta in maniera espansiva, ma era l’
unico modo per conferire prestigio ad un paese.
Il crollo della borsa americana contagiò le piazze europee: a partire dai primi mesi degli
anni 30 si ebbero insolvenze e fallimenti a catena. I numerosi licenziamenti causarono un
crollo della domanda di prodotti industriali ed un progressivo calo dei prezzi, che
coinvolse anche i prodotti agricoli. Deflazione e disoccupazione non si erano mai
presentati insieme per un periodo cos’ lungo: la posizione della Gran Bretagna si rovesciò
da paese creditore a paese debitore, mettendo in crisi la sterlina come mezzo di
pagamento internazionale, fino a portare alla fine del Gold standard nel 1931: finiva il
liberoscambismo. In generale, le misure anticrisi all’ epoca adottate nei diversi paesi
furono:
• abbandono del Gold standard e svalutazione della moneta, con cali del potere
d’ acquisto internazionale delle monete nazionali;
• avvio di grandi lavori pubblici per dare impieghi;
• aumento delle tariffe doganali e orientamento delle politiche verso uno
sfruttamento autarchico delle risorse nazionali;
• aumento dell’ intervento dello stato nell’ economia.
L’unico bene-rifugio era considerato l’oro e si verificò pertanto una decisa fuga anche
dalla sterlina, mentre la Banca d’Inghilterra dovette sospenderne la convertibilità la Gran
Bretagna abbandonava il gold standard (imitata, entro il 1931 da 32 altri paesi, e nel
1935 anche dagli USA).
Il patto che Roosevelt presentò agli americani, il New Deal, non si inspirava ad una
precisa dottrina economico-politica, ma all'interno di questo programma ci furono degli
importanti punti fermi:
Tamponati gli aspetti più pericolosi della crisi, dal 1935 venne creato un programma di
riforme per consolidare questo sistema. La legge sulla sicurezza sociale fissò consistenti
indennità per la disoccupazione, l'invalidità e la vecchiaia. Una riforma fiscale rese
fortemente progressive le imposte sui redditi e rese più difficoltosa l'evasione fiscale. La
legge sui rapporti di lavoro riconobbe giuridicamente i sindacati.
Se inizialmente il New Deal era stato accettato da tutti come l'unica soluzione alla crisi, le
riforme successive incontrarono una forte opposizione nell'ambiente capitalistico che,
per salvaguardare i propri interessi, accusava il presidente di autoritarismo e di
concessioni al collettivismo. Nel 1938, la politica del New Deal, può considerarsi
conclusa. Infatti, le minacce del nazismo e dell'imperialismo nipponico, indussero il
governo a moltiplicare le spese per gli armamenti, che da sole riuscirono a far superare
la crisi, tanto che la disoccupazione sparì velocemente.
Com'è facile immaginare, la politica di Roosevelt cambiò alcuni dei fondamentali della
civiltà americana. Il fattore più evidente, è la scomparsa delle tesi del liberismo,
introducendo la pratica dello "Stato assistenziale" (Welfare State), non solo in America,
ma in molti paesi capitalisti. La ripresa economica che era tra gli obiettivi del presidente,
fu attuata in buona parte, ma non fu raggiunto il pieno impiego della manodopera,
cosa che avverrà solo con il riarmo, che non apparteneva, però, alla logica di
Roosevelt. Fu conseguita in misura notevole la ridistribuzione dei redditi e venne allargata
e tutelata la libertà dei sindacati, assieme a quella politica, tanto che gli Stati Uniti
divennero il rifugio di molti intellettuali durante la persecuzione nazista e fascista (Albert
Einstein, Thomas Mann, Enrico Fermi, Sigmund Freund, Bertold Brecht, ecc.).
Con le strategie adoperate per uscire dalla crisi degli anni 30, troviamo anche quelle
indirizzate all’apparato militare. Nasceva il complesso militare-industriale: alla fine degli
anni 30 si instaurò un forte legame tra industria militare, decisione politica ed esercito,
che garantì occupazione. La seconda guerra mondiale scoppiò non per ragioni militari,
ma politiche, ma è certo che Hitler non avrebbe attaccato la Polonia senza un solido
apparato militare. Alla fine della Seconda guerra mondiale un terzo del PIL mondiale era
destinato a fini bellici.
• Debito pubblico;
• Incremento delle imposte;
• Incremento della massa circolante di moneta, che provocò inflazione.
Lo sforzo maggiore della guerra fu sostenuto dagli Stati Uniti e se è vero che la Seconda
Guerra mondiale causò circa 40 milioni di morti, è altrettanto vero che le conseguenze
territoriali furono inferiori alla Prima Guerra mondiale: la conseguenza rilevante fu che la
Germania perse il primato economico del continente, passato alla Russia. Nel Luglio1944
a Bretton Woods con i rappresentanti alleati si unirono 44 paesi per evitare che la fine
della guerra ed il ritorno ad un’ economia di pace provocassero crisi e disagi economici
analoghi a quelli intervenuti nel 1920-1921:
I beni che si trasferivano erano principalmente beni capitali: i paesi, una volta ricevuti tali
beni, li vendettero agli imprenditori, allo scopo di allocare questi beni efficientemente,
senza creare sovrabbondanza inutile. Gli imprenditori pagarono in lire e non in dollari, in
modo da essere in grado di far ripartire l’ economia, non dipendendo da una moneta
troppo più forte. Questi beni erano capitali di alta qualità, prodotti dall’elevatissima
tecnologia americana, che allo stesso tempo trasferisce i principi della logica
manageriale in Europa (la Fiat verrà organizzata sui principi delle logiche organizzative
americane). Questo piano cambia le aspettative degli operatori e dei consumatori
europei: la collaborazione tra i paesi fa venire a meno quel fattore di incertezza che
regnava dalla fine della guerra. Nel momento in cui c’è una nuova fiducia, questa
spinge in maniera importante gli effetti degli aiuti americani, rilanciando l’autonomia
dell’Europa e della sua economia.
Nel 1951 nasce quella che è l’embrione della collaborazione europea: la CECA
(costituita da 6 paesi: Francia, Italia, Danimarca, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi).
L’unione doganale consisteva nella libera circolazione delle merci con l’abbattimento
dei dazi: la spinta della circolazione commerciale sosterrà il processo di crescita in
maniera significativa, tanto che nel 1957 fu istituita l’organizzazione del commercio
(CEE);
La teoria economica guida fu identificata nelle tesi dell’inglese John Maynard Keynes
proposte nel 1936 con il celebre trattato Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse
e della moneta, attraverso la quale affermava che un’ economia in crisi era incapace di
auto correggersi per riportarsi in equilibrio ed era dunque necessario l’ intervento attivo
dei governi per stimolare l’ impiego di fattori disponibili e inutilizzati (risparmio per
investimenti e manodopera disoccupata). Si sarebbero così evitate crisi economiche
operando attraverso tre leve:
Le linee generali di politica economica perseguite dai diversi governi sono riconducibili
ai seguenti principi:
Emerge che l’Europa occidentale riduce il divario con il PIL americano, mentre quella
orientale lo aumenta: l’economia pianificata sul lungo periodo non garantisce efficienza
economica (performance inferiore alle economie di mercato); dopo il crollo dell’URSS, le
economie sovietiche vorranno passare ad un’economia di mercato senza possedere le
risorse necessarie per garantire tale passaggio, che risulta quindi essere estremamente
costoso. Ne consegue un aumento del divario del PIL rispetto ai paesi sviluppati, e in
particolare agli Stati Uniti. In conclusione, la globalizzazione, in generale, ha portato
effetti positivi a tutti i paesi, sebbene con una distribuzione disomogenea.
Metà del 2006. I mutui subprime sono diffusissimi negli Stati Uniti. Si tratta di mutui che le
banche concedono anche a chi non se lo può permettere, ai sospetti di insolvenza, a patto
però che questi ultimi accettino interessi alti. Sono prestiti rischiosissimi ma molto diffusi in
quanto sostenuti da due coperture: uno, il concetto di “too big to fail”, ossia la percezione
delle banche di non poter fallire (e di avere lo Stato a compensare le perdite);
due, l’espansione clamorosa del mercato immobiliare, che diffuse l’illusione di poter
guadagnare all’infinito. L’importanza dei subprime può essere compresa solo se si considera
la relazione di dipendenza con una parte ingente del sistema finanziario americano. Questo
particolare tipo di prestiti, infatti, veniva continuamente utilizzato per la formazione di derivati,
e di derivati di derivati. In breve, molti titoli dipendevano dai mutui subprime, e questi titoli
servivano per finanziare anche l’economia reale.
A un certo punto, la bolla esplose. Avvenne quando i primi debitori si dichiararono insolventi
e quando la Fed, per frenare la speculazione, alzò i tassi di riferimento fino al 5%. Da lì in poi,
fu tutto un effetto domino:
• Gli interessi si alzano a dismisura per effetto della decisione della Fed.
• Il numero degli insolventi aumenta vertiginosamente. Si contano quasi due milioni di
immobili coinvolti nel pignoramento.
• Le banche crollano perché non riescono a recuperare i crediti. Leggendaria la
chiusura di Lehman Brothers (agosto 2007), che nel frattempo aveva registrato
perdite per 2,8 miliardi di dollari.
• La paura che serpeggiava già da qualche mese in borsa ora diventa panico. Molti
indici crollano, gli utili si trasformano in perdite, cominciano le sofferenze finanziare a
livello globale.
• Il sistema della cartolarizzazione (leggi derivati) fa il resto. Se i mutui subprime sono la
base del finanziamento di molte attività, e i mutui subprime perdono tutto il loro
valore, allora anche il sistema del finanziamento va in tilt.
• I problemi giungono in Europa, e per effetto della sfiducia (e del relativo crollo in
borsa) e per effetto della moria di finanziamenti (vedi cartolarizzazione). I rubinetti
delle banche iniziano a chiudersi, le imprese iniziano a fallire. Ovunque. Inizia la
recessione.
Il resto è storia di questi giorni. La crisi economica che diventa crisi del debito, la crisi del
debito che impone misure di austerity, che peggiorano la crisi economica. Insomma, un bel
circolo vizioso. Se non altro, tutto ciò sta servendo a una ridiscussione del capitalismo
finanziario (e soprattutto delle sue regole) e delle capacità di reazione delle teorie neo-
liberiste, che oggi stanno finalmente cedendo il passo al vecchio Keynes. L’Italia fu uno dei
paesi che maggiormente subì questa crisi.