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Appunti - Tutte le lezioni - Storia dei sistemi economici - a.a.


2015/2016
Storia dei sistemi economici (Università degli Studi di Trento)

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STORIA DEI SISTEMI ECONOMICI


“L’economia è la scienza che studia come [in un contesto di informazione
distribuita] i singoli e la società scelgono di impiegare risorse scarse che
potrebbero avere usi alternativi allo scopo di produrre vari tipi di beni e di
distribuirli per il consumo, nel presente o nel futuro, tra gli individui e i gruppi della
società.”

Il sistema economico è l’insieme delle relazioni che esistono tra i soggetti di uno specifico
contesto socio-politico in un dato momento storico, e che sovraintendono al
soddisfacimento dei bisogni ( e dei desideri) individuali e collettivi determinando cosa
produrre, quanto produrre e per chi produrre. La natura di tali relazioni è complessa
(coinvolge molteplici dimensioni) e storicamente determinata.

I fattori determinanti dell’esconomia sono:

• Demografia (domanda e offerta)

• Geografia (risorse e scambi)

• Istituzioni (le regole del gioco)

• Tecnologia (come produrre)

• Cultura (le scelte)

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I. INTRODUZIONE

a) Demografia
La chiave di questo primo fattore risiede nel rapporto popolazione/risorse. Nei regimi
economici tradizionali la crescita della popolazione ha due effetti:
• effetto positivo ! c’è più forza lavoro e una maggiore divisione del lavoro: più il
lavoro è specializzato più l’output aumenta;
• effetto negativo ! le risorse diminuiscono ;

La legge di Malthus (1766-1834)

“La popolazione cresce in progressione geometrica (1, 2, 4, 8 ...), mentre le risorse


crescono in progressione aritmetica (1, 2, 3...)”.

La legge di Malthus rappresenta un’applicazione della legge dei rendimenti


decrescenti. La crescita della popolazione era molto elevata e sulla base di alcune
rilevazione Malthus arriva a concludere che la popolazione cresce in progressione
geometrica (1,2,4,8) mentre le risorse in progressione aritmetica (1,2,3) quindi meno
velocemente rispetto alla popolazione. Date le due crescite differenti, la popolazione
cresce ‘sopra’ le risorse, e questo implica una situazione di disequilibrio.

Se aumenta la popolazione è necessario coltivare più terre. Ad un certo punto, quindi,


tale crescita si arresta inevitabilmente. Malthus sostiene che l’aumento delle risorse
comporta a sua volta un aumento della popolazione poiché le famiglie, data la
momentanea prosperità, tendono a generare più figli. Aggiunge, però, che allo stesso
tempo c’è la consapevolezza degli uomini di percepire il rischio di arrivare alla soglia del
sovrannumero. Tra i freni che limitano la crescita, le cosiddette trappole malthusiane,
abbiamo le pesti e la guerra. Un altro elemento frenante, anche se in misura minore, era
l’età del matrimonio: quando c’è una buona disponibilità economica l’età del
matrimonio si abbassa, poiché le prospettiva di garantire un futuro migliore ai figli è più
alta; viceversa, alzare l’età del matrimonio costituisce un freno alla crescita della
popolazione, proprio perché la natalità si adatta a tale avvenimento.

Ciò che viene a mancare nel modello di Malthus è la tecnologia. Non c’è l’idea che le
risorse date potrebbero essere meglio sfruttate tramite la tecnologia, che proprio al
tempo di Malthus stava divenendo una componente fondamentale. Un’altra variabile
importante è costituita dagli incentivi esterni, ovvero quei fattori che determinano le
scelte dei cittadini (scelte di lavoro, etc.).

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A partire dall’anno mille


La popolazione europea* (1000-2000) in poi in Europa si ha una
crescita della
600 popolazione consistente.
500 La non avvenuta della
fine del mondo prevista
400 per quell’anno, portò ad
milioni

300 una particolare fiducia


Le “rivoluzioni” tra la popolazione. (La
200 Russia è assente perché
Peste Nera Crisi ‘600
100 Ripresa dal punto di vista storico
Crescita medievale
ha sempre costituito un
0 “problema”: nel periodo
00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 00 sovietico le statistiche
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
sono sempre state un
mistero, come poi anche
*senza Russia
oggi con Putin).
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 16

Fattori determinanti della crescita demografica!


• Aumento delle temperature che favorì l’agricoltura anche a quote più elevate;
• Miglioramento della produttività dell’agricoltura che consentì ad una maggiore
popolazione di vivere ;
• Aumento dei commerci e degli scambi;
• Sviluppo e crescita delle istituzioni;
È evidente quindi come si venne a creare una situazione favorevole a tale espansione
della popolazione.

L’elemento problematico che si presentò fu proprio quello che Malthus non aveva preso
in considerazione, ovvero la tecnologia: non era sufficientemente sviluppata
all’aumento della popolazione. La peste nera che giunse nel 1300 fu in parte causa della
mancata tecnologia (oltre alla mancanza di sistemi igienici ed altri fattori) ed ebbe un
impatto enorme sulla popolazione.

Dal punto di vista economico, prima delle peste, l’aumento consistente della
popolazione aveva portato in particolare a due conseguenze:
• Fattore lavoro ! diminuzione dei salari (se aumenta l’offerta di lavoro, i salari
diminuiscono);
• Fattore capitale ! le rendite dei campi aumentano come conseguenza
dell’aumento della forza lavoro;
Dopo la peste, con la riduzione drastica della popolazione, le cose si invertirono:

Questa peste del 1348 e la successiva guerra dei 30 anni conclusasi nel 1648
rappresentano due esempi di trappole malthusiane. Dal 700 in poi c’è una maggior
consapevolezza dello Stato di mettere a disposizione più servizi (come i servizi igienici) e
risorse, prolungando la durata media della vita, seguita da una ripresa sorprendente
portata dalle le rivoluzioni industriali, che si arresterà solo con le due guerre mondiali.

In conclusione, i fattori demografici, legati alla crescita e alla riduzione di una


popolazione, influenzano in modo rilevante un intero sistema economico.

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b) Geografia

Gli elementi chiave di questo fattore sono le risorse e le distanze:


• Disponibilità delle risorse ! le risorse sono scarse e non distribuite in modo equo
sulla superficie terrestre; lo stock di risorse disponibili può mutare nel tempo grazie
alla diverse tecnologie, ma anche a causa di fattori naturali (temperatura,
precipitazioni, dinamiche ecologiche etc.)
• La capacità di utilizzo delle risorse cambia con il mutamento tecnologico (utilizzo
adeguato delle risorse);
• Morfologia del territorio ! l’Italia è molto svantaggiata da questo punto di vista, in
quanto le colline e i rilievi montuosi rendono costose le costruzioni di autostrade
ed altri servizi pubblici.
• Posizione del territorio rispetto ad altre realtà abitate/produttive ! la distanza è
fondamentale dal punto di vista degli scambi, in quanto agevola o meno la
formazione dei mercati;

Le economie che dispongono di molte risorse non necessariamente sono ricche, mentre
lo sono quelle economie che riescono a utilizzare le risorse in modo efficiente.

Il Congo ne è un esempio: il processo di sfruttamento delle risorse è sempre stata molto


elevato in favore, non delle località del posto, ma dell’economia internazionale, e
questo fa di questo paese una delle realtà economiche più povere del mondo.

Il cambiamento climatico: 2000 anni

Si può osservare come ci sono state storicamente oscillazione nella temperatura del
pianeta totalmente slegate e indipendenti dalle attività antropiche (inquinamento etc.).

“Collasso”: perché alcune civiltà scompaiono?


Isola di Pasqua, Maya, colonie vichinghe in Groenlandia: tre esempi di uso fallimentare
delle risorse ! civiltà che hanno attraversato un periodo di forte sviluppo, ma che poi
per incapacità di gestione, sono andati incontro al fallimento;

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Fattori cruciali:
• Inefficiente sfruttamento del territorio ! fragilità ed elasticità;
• Cambiamento climatico ! eruzione del vulcano Tambora, 1815: la distribuzione
della cenere su tutto il mondo provoca un irrigidimento delle temperature e una
conseguente riduzione dei raccolti a livello mondiale (la previsione di mutamenti
climatici incide sulla possibilità di reagire a tale cambiamento);
• Presenza di nemici ! l’impero romano crollò su se stesso a causa delle minacce
esterne ;
• Rapporti con amici ! potenzia enormemente la forza dello scambio;
• Capacità di innovazione della società;

ISOLA DI PASQUA (900-1500 d.C): deforestazione, mancata cooperazione, isolamento.


MAYA (1000 a.C-1250 d.C): deforestazione, guerra, siccità.
GROENLANDIA (984-1450d.C): sfruttamento del suolo, isolamento, mancanza di
innovazione.

È chiaro quindi come i fattori geografici (territorio, fenomeni naturali, clima, distanze,
etc.) influenzino enormemente un sistema economico.

c) Istituzioni
Le istituzioni sono i sistemi di regole, i vincoli che strutturano le interazioni politiche,
economiche e sociali, consistenti in regole informali (sanzioni, tabù, costumi, tradizioni e
codici di condotta) e regole formali (costituzioni, leggi, diritti di proprietà)! hanno preso
piede giocando un ruolo fondamentale nella storia economia (il fatto che la rivoluzione
industriale abbia avuto luogo in Inghilterra, fu dovuto anche al fatto che questo Stato, a
differenza degli altri, mise in piedi un sistema giuridico che tutelava le attività lavorative),
mentre poco incidenza ebbero all’interno della teoria economica neoclassica.

a. Sono istituzioni le banche, le imprese, le famiglie, la religione, la moneta, il diritto di


proprietà, le forme di governo etc. ! contribuiscono tutte a mettere in piedi un
sistema economico dinamico, attuando un sistema di regole, tramite contratti
(imprese), finanziamenti (famiglie, si pensi all’università), leggi (governo), codici di
condotta (religione), e così via.

b. Il tipo di istituzioni prevalenti in un sistema ne condiziona l’efficienza economica !


la dotazione istituzionale può fare la differenza nei processi di sviluppo
economico (oggigiorno il vincolo all’espansione economica è costituito
dall’offerta di moneta: la quantità di materie preziose disponibili scarseggia, e
non può di conseguenza essere convertite in moneta);

Come nascono le istituzioni?


Le istituzioni nascono secondo logiche costruttiviste e/o ecologiche: sono il frutto da un
lato di istituzioni costruttiviste, ovvero soggetti che definiscono le leggi (regole formali) e
dall’altra parte di logiche ecologiche: i soggetti all’interno della società si pongono delle
regole per interagire nel miglior modo possibile tra loro (regole informali).

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ISTITUZIONI E SVILUPPO EOCONOMICO


Economia pianificata vs economia di mercato
In un’economia pianificata gioca un ruolo cruciale, un’autorità centrale che prende
decisioni per l’intera collettività. Al contrario, un’economia di mercato si genera
dall’interazione tra domanda e offerta ! sono due sistemi economici diversi che hanno
portato a due risultati differenti. Malthus sosteneva superiori le economie pianificate
(istituzionalizzate).

Dal punto di vista storico:


• Si affermano le istituzioni che sono maggiormente efficienti. Non è vero che le
istituzioni che perdurano nel tempo sono le uniche funzionali nei confronti del
sistema economico:
• Concedono potere a determinati soggetti. Cambiarle significa quindi anche
togliere potere ad alcuni individui e trasferirlo ad altri.
• Permangono anche grazie all’abitudine: è difficile cambiare istituzioni perché si è
abituati a quel determinato equilibrio.

Non è quindi detto che sopravvivono sempre le istituzioni migliori sotto il profilo
economico ! nel momento in cui lo sfruttamento delle risorse è ottimale si riesce anche
a preservarne l’utilizzo nel tempo. Ed è per questo che si tende alla privatizzazione a
discapito della proprietà collettiva (anche se dal punto di vista economico è migliore
rispetto alla privatizzazione). Ne consegue che soggetti “deboli” rimangono esclusi da
questa divisione dei beni.

Le istituzioni efficienti, capaci effettivamente di sostenere lo sviluppo, sono stabili, ma non


è detto che quelle stabili siano economicamente efficienti.

Istituzioni e costi di transazione


Le istituzioni sono economicamente rilevanti, perché incidono sui costi di transazioni, cioè
sui costi di funzionamento del mercato (Coase, Williamson) ! per raccogliere le
informazioni necessarie ad operare una transazioni adeguata, devo sostenere dei costi
di transazioni (costi di informazione, contrattazione, costi di tutela dei diritti di proprietà,
etc.). Tali costi sono la conseguenza di asimmetria informativa (azzardo morale e
selezione avversa), ovvero di mancanza di informazione (razionalità limitata).

Le istituzioni sono i vincoli che strutturano le interazioni politiche, economiche e sociali,


consistenti in regole informali (sanzioni, tabù, costumi, tradizioni e codici di condotta) e
regole formali (costituzioni, leggi, diritti di proprietà) e le organizzazioni che rendono
operativi tali vincoli. Il tipo di istituzioni prevalenti in un sistema ne condiziona l’ efficienza
economica, in quanto queste possono fare la differenza nei processi di sviluppo, seppur
non sempre sopravvivono solo le istituzioni più efficienti sotto il profilo economico, ma
quelle efficienti che si definiscono stabili (non sempre vale il viceversa). Le istituzioni sono
economicamente rilevanti, tra l’altro, perché incidono sui costi di transazione, cioè i
«costi di funzionamento» del mercato causati da razionalità limitata, asimmetria
informativa e azzardo morale. Dal punto di vista del rispetto delle regole: «una risoluzione
efficiente delle dispute commerciali ha numerose ricadute positive. I tribunali sono
essenziali per gli imprenditori perché interpretano le regole del mercato e proteggono i
diritti di proprietà. Corti efficienti e trasparenti incoraggiano nuove relazioni economiche,
perché gli operatori sanno di poter contare sui tribunali qualora un nuovo cliente non
dovesse pagare. La rapidità dei processi è essenziale per le piccole imprese, che
potrebbero non disporre di risorse sufficienti per continuare la loro attività mentre sono in
attesa del risultato di un una lunga disputa in tribunale».

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Le istituzioni che favoriscono lo sviluppo: il mercato secondo Adam Smith (La ricchezza
delle nazioni, 1776) ! Smith non è un economista, ma un professore scozzese di
economia morale. La sua grande intuizione risiede nell’attenta analisi di come si
comportano i soggetti e del perché alcune nazioni sono povere mentre altre sono
ricche.

Secondo Adam Smith lo scambio doveva essere libero e volontario, inteso come unità
elementare dell’ economia di mercato, in quanto due soggetti che scambiano beni tra
loro lo fanno per il soddisfacimento di un bisogno specifico in modo da aumentare l’
utilità individuale. C’è quindi tutto l’interesse da parte dei soggetti a comportarsi
correttamente in previsione di scambi futuri, a specializzarsi in una determinata attività, a
sviluppare i diritti di proprietà per incentivare a produrre ed investire e a stabilire regole
che governino l’ operazione. La chiave della visione di Smith è quindi l’allargamento del
mercato e la suddivisione del lavoro:

• Metafora della mano invisibile: esiste nel mercato una forza che induce a
trasformare i comportamenti egoistici degli individui in un miglioramento del
benessere sociale. Ecco dunque che questa mano invisibile per funzionare
necessita di una struttura istituzionale che favorisca questa interazione tra i
soggetti: il mercato. In questa visione gioca un ruolo fondamentale, perché più
c’è scambio più si ha specializzazione nel lavoro. Ecco che qui la divisione del
lavoro diventa uno strumento straordinario dell’efficienza economica. La
diffusione degli scambi e la divisione del lavoro sono quindi gli elementi principali
della crescita economico secondo Smith! crescita smithiana .

• Egoismo smithiano: due soggetti che interagiscono tra di loro lo fanno per
soddisfare i loro bisogni in modo tale da aumentare la loro utilità. Se i soggetti
sono liberi di muoversi e interagire tra loro, l’utilità di entrambi aumenta. Una cosa
su cui Smith si sbaglia è che il mercato è privo di morale. Solo in parte lo è.
L’incentivo dato dal mercato è quello di fare le cose fatte bene, e tanto
maggiore è lo scambio tanto conviene specializzarsi in un’attività.

“Non è dalla benevolenza del macellaio, del produttore di birra o del


_ fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo quotidiano, ma dal
_ riguardo che loro prestano ai loro interessi personali: con loro non
_ parliamo mai delle nostre necessità ma dei loro vantaggi”
“Ogni individuo si sforza continuamente di trovare l’impiego più
_ vantaggioso per qualunque capitale di cui possa disporre. In effetti è
_ al proprio vantaggio che egli mira e non a quello della società. [...]
Ma nel far questo è condotto da una mano invisibile a perseguire un
_ fine che non rientra nelle sue intenzioni”

Interesse' Scelta' Forze'di' Equilibrio' Interesse'


individuale' individuale' mercato''' Mano'invisibile' concorrenziale' collettivo'

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Lo sviluppo “smithiano”:
a) Lo scambio libero e volontario come unità elementare dell’economia di
mercato;
b) Due soggetti scambiano tra loro beni (uno dei quali spesso è il denaro) e lo fanno
per soddisfare un bisogno specifico, in modo tale da aumentare l’utilità
individuale alla fine dello scambio (faccio lo scambio solo se lo reputo
conveniente). Alla fine l’utilità di entrambi è accresciuta.
c) C’è interesse a comportarsi correttamente, se si intende interagire nuovamente
(morale del mercato);
d) Quanto più lo scambio è diffuso, tanto più conviene specializzarsi in un’attività
specifica;
e) Quanto più i diritti di proprietà sono tutelati, tanto più ho un incentivo a produrre e
investire;
f) L’importanza delle regole, formali e informali, che governano l’interazione
(l’homo oeconomicus è un’astrazione);

“Perché le nazioni falliscono”(Robinson, 2013)


I sistemi economici incidono sullo sviluppo economico di lungo periodo.
I sistemi politico-istituzionali possono essere suddivisi in due grandi gruppi: quelli
caratterizzati da istituzioni estrattivi e quelli caratterizzati da istituzioni inclusive ! I paesi
che hanno successo sono quelli caratterizzati da istituzioni inclusive, perché garantiscono
stabilità nel tempo: coinvolgono ampi settori della popolazione nei processi di
governance e nell’attività economica creando un ambiente potenzialmente dinamico,
ricco di incentivi all’innovazione. Nell’altro caso, il potere politico viene esercitato da
gruppi sociali ristretti dove non c’è rotazione delle cariche. Ci sono forti barriere
all’entrata. Risultano pertanto essere efficienti nel breve periodo ma fallimentari nel
lungo.

Un potere sovrano personale si resse a lungo in Europa sulla concessione di privilegi (lex
privata), cioè di norme particolari elargite a città, corporazioni d’arti e mestieri, casate
aristocratiche, singoli individui, etc. Fino ai primi dell’Ottocento raramente gli individui
potevano essere privati proprietari di immobili, ma vi era spesso un titolare (dominus),
investito di signoria feudale. I regimi politici coesistenti nel vecchio continente nei secoli
dell’età moderna sono riconducibili a cinque tipi:
- Il feudalesimo, con il potere controllato a titolo ereditario da un gruppo di casate
nobili, è l’organizzazione più antica, tipica delle società tradizionali rurali. Manca
di un forte potere centrale (il sovrano non gode di un potere effettivo) ed è
contraddistinto da una molteplicità di poteri locali, con rapporti politici
tipicamente personali (il vassallo giurava fedeltà al padrone ricevendo in cambio
protezione). Dal XVII secolo l’ affermazione della monarchia assoluta e l’ ascesa
della borghesia alleata del sovrano minarono irrimediabilmente le strutture
feudali.
Le repubbliche patrizie erano città-stato (dal XII secolo conservatesi nell’ età
moderna) in cui il potere apparteneva ad una rosa di casate autoctone
(oligarchia patrizia) di matrice alto borghese che si avvicendavano nell’ esercizio
di funzioni politico-amministrative.
- La monarchia assoluta, regime contraddistinto dall’unicità del sovrano senza pari,
il cui potere non conosceva limiti all’interno dello stato. Prevalse una concezione
teologica che vedeva nella monarchia l’espressione perfetta dell’autorità
delegata da Dio. Con la formazione di eserciti permanenti e di burocrazie
centrali e periferiche, dal XVII secolo in poi la sfera del potere regio non smise di
ampliarsi e complicarsi.

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- Il dispotismo illuminato apparve intorno alla metà del Settecento in alcuni stati
dell’Europa centrale e orientale, con l’ obiettivo da parte dei sovrani di far
guadagnare ai propri sudditi il ritardo accumulato rispetto alla monarchia
assoluta, promuovendo processi forzati di modernizzazione istituzionale, volta ad
instaurare un ordine politico razionale, avvalendosi anche del consiglio di esperti
(filosofi politici). Si perseguiva la semplificazione dei rapporti con i sudditi, assieme
alla codificazione delle norme per accrescere la potenza ed il prestigio dello
stato, anche sotto il profilo economico, inaugurando una tradizione autoritaria
che in alcuni casi continuò fino ai primi decenni del Novecento.
- Il regime britannico è una monarchia ereditaria nella quale il potere
apparteneva ad un’ aristocrazia autorevole e rispettata che godeva della
generale considerazione dei sudditi, interessata ai problemi concreti del paese e
che deteneva l’ amministrazione locale, in assenza di una burocrazia regia. Gli
aristocratici accedevano ai due rami del Parlamento, la Camera dei Lord
(ereditaria) e quella dei Comuni (elettiva), oltre a costituire il personale politico
dei gabinetti di governo. Si tratta in definitiva di un sistema rappresentativo,
elettivo, elitario e liberale, dove Sovrani e Parlamenti assunsero il ruolo di esclusivi
produttori di norme durante tutto il Settecento, quando comparsero i primi
esemplari di codici civili validi per tutti i sudditi del regno, nel tentativo di superare
il tradizionale particolarismo istituzionale e amministrativo.

Nel XIX secolo si sarebbe poi arrivati alla tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e
giudiziario) e al principio di rappresentanza politica (parlamentarismo), passando per il
suffragio limitato, fino a quello universale.

Anche da questa analisi, risulta evidente come le istituzioni incidano profondamente


all’interno di un sistema economico, contribuendo a determinarne l’efficienza e lo
sviluppo.

d) Tecnologia
La chiave della tecnologia è lo stato delle conoscenze relative ai processi produttivi e ai
beni prodotti. Essa definisce come si combinano i fattori della produzione, terra lavoro e
capitale: può segnare i processi di sviluppo, nonché il vantaggio competitivo. Essa
riveste un ruolo fondamentale nel processo di produzione, incidendo sul contenuto dei
prodotti. L’evoluzione tecnologica rende più efficiente l’uso delle risorse. Oggigiorno le
strategie commerciali delle multinazionali sono costruite sull’innovazione tecnologica.
Tuttavia in passato aveva un ruolo profondamente diverso, in quanto i cambiamenti
tecnologici erano molto lenti nell’affermarsi. Questo fa comprendere perché i sistemi
economici fossero sistemi a bassa produttività: si contava soprattutto sul lavoro e sulle
risorse naturali (terra), mentre il fattore capitale aveva meno importanza.

Una differenza tecnologica gioca un ruolo importante nel definire i processi storici. Un
avvenimento storico esemplare è la guerra si secessione americana del 1860.

• Il Nord era antischiavista, al contrario del Sud la cui economia era basata sullo
sfruttamento;
• Il Nord aveva un sistema economico sviluppato nel suo processo
d’industrializzazione, il Sud al contrario no (si ricordi che fino al 1800 in America
non c’erano attività manifatturiere: venivano lavorate in Inghilterra, la colonia
madre);

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• Il Nord appoggiava una politica protezionista (alti dazi doganali sull’importazione):


si stava industrializzando ed essendoci una forte competizione sul mercato aveva
l’interesse di proteggere l’industria nascente dalla colonia inglese. Il Sud, al
contrario, non aveva tale problema in quanto esportava le materie ricavate
dallo sfruttamento degli schiavi. Era di conseguenza di stampo liberale (libera
circolazione delle merci) e non protezionista.
• I nordisti avevano una visione unitaria dello Stato, mentre tra i sudisti c’era un forte
federalismo, volevano più indipendenza ai singoli stati (confederazione).

Alla base di tale contrasto tra nordisti-sudisti non c’era quindi soltanto la schiavitù, ma
anche la fondamentale differenza tra i sistemi economici. Rappresenta di fatto la prima
guerra tecnologica, dal momento che la tecnologia finisce per segnare le sorti del
conflitto: il Nord era in grado di produrre armi migliori e ferrovie che agevolavano lo
spostamento sia di quest’ultime che delle navi corazzate (anche per bombardare le
città costiere sudiste).

Anche nella prima guerra mondiale la tecnologia giocò un ruolo fondamentale: Austria,
Ungheria e Germania persero la guerra non tanto per questioni strategiche, ma
tecnologiche.

Innovazioni tecnologiche nelle società tradizionali


• Mulino ! per la filatura di seta, lana etc. Nonostante l’enorme contributo nel
campo tessile, presentava allo stesso tempo anche dei vincoli: richiedeva forti
venti e ingenti portate d’acqua.
• Macchina a vapore: stesso movimento del mulino ma non si ha più il vincolo di
localizzazione e stagionalità;
• Personal computer;

Nel passato le risorse costituivano un vincolo forte per l’evoluzione della tecnologia.

Strettamente legato al concetto di tecnologia è il concetto d’innovazione, anch’essa


legata ai processi di produzione e fondamentale per comprendere le cause delle
diverse realtà.

L’innovazione e lo sviluppo “shumpeteriano”

Innovazione del prodotto '


• cibo in scatola che consente la lunga conservazione: è un vantaggio strategico
non solo per i consumatori, ma anche per gli eserciti;
• Telefono cellulare, che consentì una migliore comunicazione;

Innovazione del processo


Miglioramento delle fasi con cui i prodotti vengono realizzati:

• Telaio jacquard: stoffe di alta qualità realizzate da un telaio particolare a sede


perforate, che permetteva di riprodurre disegni elaborati. Segna l’inizio dell’alta
moda francese;
• Catena di montaggio: consente di aumentare la produzione. La Ford, a Detroit, fu
la prima ad utilizzare tale sistema: fino a quel momento le auto erano oggetti di
lusso. Con l’introduzione della catena di montaggio la Ford decise poi di produrre
macchine semplici che potessero coprire una fascia più ampia della
popolazione, e non solo i ceti alti;

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Innovazione mkt dei fattori '


Consentiva di produrre a costi più bassi; '

Innovazione mkt di sbocco (ceramiche in Russia);

Innovazione organizzativa '


Organizzazione della produzione e del sistema di distribuzione che mi permette un
maggiore risparmio:
• Franchising: si assegnano a singoli operatori diverse attività (decentramento della
produzione): le grandi catene internazionali concedono il franchising e lasciano
vendere i propri prodotti ad altri.

La tecnologia accompagna lo sviluppo economico.

e) Cultura
La chiave di lettura della cultura sono le conoscenze, i valori, i costumi, gli atteggiamenti,
le ideologie etc., che agiscono sulle scelte che facciamo come consumatori e
produttori, nonché sulla qualità della forza lavoro (alfabetizzazione, livello di istruzione,
etc.). Le motivazioni comportamentali sono definite in modo rilevante anche da fattori
culturali (si pensi oggi al dibattito sulla fecondazione assistita). A seconda di quanto tali
vincoli culturali incidano all’interno del sistema economico, si può avere più o meno
sviluppo. La cultura incide molto anche sul capitale sociale, ovvero sull’ insieme di
relazioni tra gli individui che si basano sulla fiducia e altri valori e che consento di
intrattenere relazioni economiche. In altre parole, la cultura incidile sul progresso.

In Europa occidentale, dalla metà del Settecento, la cultura divenne il maggior fattore
di promozione e ascesa sociale. Max Weber la definisce come la rete di simboli e
significati che dà senso alle azioni degli uomini. I comportamenti economici individuali e
collettivi dipendono anzitutto da sistemi di valori sociali e culturali riconducibili alle
comunità di appartenenza. Analoghe istituzioni e stesse tecniche producono effetti
diversi a seconda delle culture nelle quali vengono innestate e del periodo in cui hanno
luogo. Si possono distinguere due modelli semplificati di società:

- Società tradizionale, dedita all’agricoltura e al soddisfacimento di una limitata


scala di bisogni individuali e collettivi producendo da sé sia i beni di consumo, sia
quelli di investimento indispensabili per continuare i cicli produttivi annuali. Non vi
è traccia di un’apprezzabile divisione del lavoro o di diritti individuali e la terra
appartiene all’intero gruppo di abitanti. Il capitale privato è raro e insieme alla
bassa produttività del lavoro fa sì che la produzione sia limitata e dipenda
soprattutto dalle mutevoli ed imprevedibili condizioni meteo-climatiche e che la
crescita e lo sviluppo della popolazione, oltre che ai miglioramenti della qualità
della vita, siano frenati. Le abitazioni e gli strumenti di lavoro derivano dal
semplice utilizzo delle risorse naturali, gli scambi sono limitati a beni non
riproducibili o tecnologicamente evoluti e la moneta assolve quasi
esclusivamente il ruolo di riserva di valore piuttosto che di mezzo di scambio.
L’organizzazione sociale è imperniata su tre cardini: parentela, genere e gruppi di
età. L’analfabetismo è dominante e le conoscenze sono esclusivamente su base
empirica, comportando una restia accettazione di innovazioni e cambiamenti,
percepiti come minacce per l’ ordine culturale, sociale ed economico. Lo spazio
della scienza, della storia e della sociologia è occupato dai miti, fondamento di
un ordine tradizionale su base metafisica, che conferiva le rassicurazioni
necessarie.

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- Società tecnologiche, si assiste al passaggio da organizzazione a sistema. La


natura non detta più i ritmi produttivi, ma attraverso una fitta trama di
meccanismi e organismi, di conoscenze scientifiche in continua evoluzione, gli
uomini intendono dominarla e sfruttarne le risorse. Le relazioni hanno per scopo la
crescente produzione, il lavoro, applicato a fonti energetiche inanimate, assicura
una crescente produttività ed il dominio di transizioni contrattuali facilitate dal
ricorso alla moneta e al credito con la divisione del lavoro specializzato
favoriscono l’affermazione in Occidente del sistema capitalistico (1815-1914),
dove si produce per vendere piuttosto che per consumare. Prerequisito
importante per l’avvio del processo produttivo imperniato sull’economia di
mercato fu l’ appropri abilità dei terreni da parte di alcuni che se ne riservarono
lo sfruttamento privato. Ci furono sempre maggiori investimenti di capitale fisso e
circolante e sulla manodopera (combinazione terra-capitale-lavoro salariato e
imprenditore come quarto fattore produttivo). L’incontro quotidiano dell’offerta
e della domanda di merci generava un prezzo d’equilibrio nel mercato di libera
concorrenza (reso efficiente dall’uso della moneta, dal ricorso al credito e dalla
pubblicazione dei prezzi quotidiani) che si autoregola: attraverso l’ allocazione
ottimale dei fattori produttivi e la distribuzione della ricchezza si instaurò un
capitalismo agrario e poi proto-industriale. Questo sistema non fece che
stimolare la produzione e accrebbe il desiderio negli imprenditori di arricchirsi e
migliorare il proprio status. Le società tecnologiche si articolano in classi, ceti,
partiti politici, sindacati e numerose altre associazioni fondate su interessi e/o
ideali condivisi. Lo status sociale dipende dalle attività svolte da ogni persona
(status acquisitivo e non ascrittivo dalla nascita) permettendo miglioramenti
(mobilità sociale). Coesistono élite dove domina il principio del merito
(meritocrazia), in una società aperta ai processi di sviluppo, innovazione e d’
avvicendamento nelle posizioni di vertice. Prevalgono conoscenze fondate sulla
razionalità e c’è l’inclinazione a considerare vero solo quanto approvato dalla
ricerca scientifica, soprattutto per quanto riguarda tecnologie applicabili per la
ricerca dell’efficienza massima. L’istruzione assume di conseguenza un ruolo
importante e la libertà di pensiero implica la possibilità di confutare e di mettere
in discussione quanto si crede vero.

Nelle campagne europee tra il XV e il XIX secolo, dalla metà ai tre quarti dei prodotti
annuali dei medi poderi erano consumati e investiti in natura (autoconsumo ed auto
investimento) dai produttori stessi. Persino i salari erano liquidati in beni di prima necessità
e la maggior parte dei volumi raccolti e delle prestazioni di lavoro non era scambiata
con moneta. Durante l’età medievale la vendita di prodotti agricoli era dunque quanto
mai casuale e imprevedibile, per la semplice ragione che l’ offerta dei medio-piccoli
produttori concerneva solo scorte eccedenti rispetto ai fabbisogni domestici degli stessi.
Nelle regioni dei grandi latifondi era normale avere eccedenze da vendere, tanto che
gli scambi con moneta svolgevano un ruolo tutt’altro che marginale nella distribuzione
della ricchezza reale prodotta. La moneta aveva la funzione di riserva di valore, in
quanto l’obiettivo non era quello di offrire merci per il guadagno, ma di non mantenere i
prodotti facilmente deperibili e convertire il loro valore in qualcosa che durasse nel
tempo. In sostanza l’accesso al mercato come venditori di miriadi di contadini diretti
coltivatori dipendeva in pratica dalle condizioni meteo-climatiche di ogni annata
combinate con la natura dei terreni, senza l’ intento di produrre l’ ottimo
necessariamente per venderlo. Il prezzo di equilibrio era comunque imprevedibile, in
quanto la quantità di merci era casuale e dipendeva da molti fattori non sempre
controllabili dall’ uomo.

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Il mercato infatti impediva ai contadini di produrre per vendere, proprio perché non era
orientato da prezzi prevedibili, essendo diverso dal mercato antagonistico, impersonale
ed autoregolato che avrebbe avuto la meglio, a partire dall’ Inghilterra e dalle Fiandre.

La struttura economica dipende dalle dimensioni e dalle caratteristiche dei settori


dell’economia: primario (agricoltura), secondario (manifattura) e terziario (attività
residuali). I mutamenti strutturali sono segnati dal cambiamento del settore prevalente e
storicamente si sono avute tre fasi:

“L’economia capitalistica di mercato è stata promossa e sostenuta anche grazie alla


nuova etica portata avanti dalla religione protestante”

Religione protestante ! Teoria della predestinazione: come possiamo noi uomini nella
nostra limitatezza pretendere di influire sulle decisioni di Dio tramite le nostre opere? Ecco
che il fatto di dedicarsi alle attività economiche perde valore, perché non preclude
l’accesso in paradiso. Questa mentalità non può che aver provocato una forte spinta (in
senso negativo) in campo economico.

Un altro esempio di come la cultura influenzi l’economia è l’ultimatum game !


l’individuo 1 deve scegliere come ripartire una determinata quantità di bene con
l’individuo 2. Quest’ultimo può o accettare la proposta o rifiutarla e in tal caso entrambi
non ci guadagnano nulla. Questo fa capire che all’interno dell’economia non ci sono
solo agenti massimizzanti caratterizzati da egoismo ma, al contrario, esistono una serie di
fattori culturali che ci influenzano e ci orientano (es. morale).

Perché al crescere delle relazioni commerciali cresce anche la percezione che uno
scambio debba essere equo? L’idea è che in ogni scambio ci debba essere equilibrio,
perché ci si aspetta che nel futuro il soggetto con cui si ha intrattenuto tale scambio si
comporti onestamente. Se qualcuno agisce in maniera disonesta viene emarginato
dalle relazioni commerciali. C’è quindi una certa idea di giustizia e cooperazione tra
soggetti: ci sono attività economiche che vengono svolte in collettivo. E’ proprio in un
contesto sociale ed economico dove la fiducia reciproca è importante, che anche il
concetto di giustizia assume un ruolo fondamentale.

La coltura, quindi, incide in vario modo sull’economia, agendo sulle scelte, il capitale
umano e sociale, il progresso tecnico etc.

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II. LA RIVOLUZIONE DEL NEOLITICO

Nascitadelle' Prima'scimmia' Homo'sapiens'


terra' antropomorfa' Homo'erectus' sapien' Paleolitco' Neolitico'

C’è chi sostiene che tale rivoluzione sia stata la trasformazione che più ha inciso sulla vita
dell’uomo. Le attività principali del Neolitico erano la caccia e la raccolta: non c’erano
risorse disponibili all’uomo in via diretta. Tale condizione (uomo cacciatore e donna
dedita alla terra) ha coperto una parte importantissima della storia che portò a due
conseguenze:

• Bassa crescita della popolazione ! erano nomadi, e lo spostarsi continuamente


non era agevole per gruppi molto grandi. Erano organizzati in clan molto piccoli
che si spostavano senza luoghi stabili.

• Essendoci una netta divisione del lavoro, uomo e donna svilupparono capacità
ben diverse ! l’uomo era in grado di elaborare mappe mentali grazie all’attività
della caccia, la donna, al contrario, non aveva questa capacità di astrarre lo
spazio. Dall’altra parte, la donna aveva una migliore visione dello spazio ristretto
nonché un’ottima visione laterale (controllo del bambino nella caverna).

Tutti questi meccanismi che oggi ci appaiono come scontati, sono legati di fatto alla
nostra storia lontana.

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Il Neolitico vede il suo pieno sviluppo tra 12.000 e 4.000 anni fa: la svolta determinante
avvenne dall’ 8000 a.C., quando l’ uomo passò dallo stadio di cacciatore a quello di
agricoltore. Cambiò il regime alimentare, i popoli passarono dall’essere nomadi a
stanziarsi in villaggi stabili per poi passare alle città e la popolazione segnò un notevole
incremento. Il lavoro iniziò ad essere suddiviso per una maggiore produttività e per
favorire gli scambi e la coesistenza di più popolazioni in uno stesso luogo. Nacquero le
prime istituzioni, come l’arte, il diritto e la società: in poche parole durante il neolitico si
assiste all’ origine della civiltà.

LA NASCITA DELL’ AGRICOLTURA:


Si identifica la nascita dell’agricoltura con la nascita della civiltà stessa. Dopo centinaia
di migliaia di anni l’uomo passa dallo stadio di cacciatore a quello di agricoltore: si
realizza che gli animali allevati e i frutti raccolti artificialmente portano un grande
guadagno all’interno della società.

Di fatto, l’agricoltura e l’allevamento


hanno il vantaggio di riuscire ad
ottenere una maggiore quantità di cibo
in minor tempo ! consentono di
superare il vincolo malthusiano delle
risorse scarse e permettono di
accumulare risorse nel tempo.

Tra l’8000 e il 5000 a.C, in diverse aree si


instaurarono attività agricole e di
allevamento che inevitabilmente si
associano alla crescita di civiltà stabili.

• L’agricoltura si basa soprattutto sui cereali: in Oriente abbiamo il riso, in America


meridionale invece il mais;
• La sedentarietà favorisce la crescita della popolazione portando ad una
maggiore divisione del lavoro e una conseguente specializzazione: è possibile
pian piano svolgere più mansioni aumentando la produttività (Smith). A sua volta
la specializzazione favorisce gli scambi;
• Si instaura un sistema di regole molto più complesso di quello esistente nella
società di cacciatori. Questo porta alla nascita di diverse istituzioni (arte,
religione, diritto);

La domanda che bisogna porsi ora è la seguente:

“Perché l’agricoltura? Perché rinunciare a una settimana lavorativa di 20 ore e al


divertimento della caccia per mettersi a lavorare la terra? Perché lavorare di più, per un
cibo meno nutriente e un’offerta più irregolare? Perché aprire le porte a carestie,
pestilenze e affollamento?”.

La risposta è riscontrabile in molteplici fattori, quali i mutamenti climatici, con meno


animali da cacciare, l’istituzione di diritti di proprietà che favorirono l’agricoltura e
tecniche di domesticazione di piante ed animali sempre più evolute. Cambiano i valori,
diventando sempre più importanti quelli dell’accumulazione delle risorse e del potere.
La rivoluzione neolitica fu la prima delle rivoluzioni agricole che si sono succedute
nella storia dell'umanità.

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Ebbe luogo in periodi diversi in varie aree del mondo e portò alla transizione da una
economia di sussistenza basata su caccia e raccolta all'addomesticazione di animali e
alla coltivazione di piante. Tale cambiamento era collegato ai primi insediamenti stabili
e ad un abbozzo di stratificazione sociale. L’ epicentro del cambiamento era nella zona
della cosiddetta Mezzaluna fertile, da dove in seguito le novità si sarebbero trasmesse
in Europa, seppur si vada verso l’ottica di stemperare l'idea di rivoluzione, in favore di un
lento condizionamento dell'ambiente da parte dell'intervento umano. La rivoluzione
neolitica ebbe profondissime conseguenze non solo sull'alimentazione umana ma anche
sulla struttura sociale delle comunità preistoriche. Se le comunità preistoriche
di cacciatori-raccoglitori erano tipicamente nomadi, di piccole dimensioni, e poco
strutturate da un punto di vista sociale, l'introduzione dell'agricoltura portò alla nascita di
comunità sedentarie, villaggi e città. L'incremento della densità di popolazione a sua
volta condusse alla divisione del lavoro e gradualmente alla strutturazione della società
e alla nascita di forme di amministrazione politica più complesse, nonché al commercio.
Inoltre, attraverso l'insediamento stabile e l'agricoltura, l'uomo iniziò in questo periodo a
manipolare l'ambiente naturale a proprio vantaggio. I più antichi esempi noti di società
agricole neolitiche strutturate sono le città sumere, la cui nascita segna anche il
passaggio dalla preistoria alla storia.

"La rivoluzione agricola non sarebbe stata possibile senza una decisione sociale, che
rafforza la coesione delle comunità neolitiche", quella cioè di non consumare
immediatamente il prodotto del raccolto, "ma di conservarne una parte, da destinare
alla semina".

È verosimile che tali trasformazioni siano avvenute in modi diversi in luoghi diversi, e che
solo in parte esse abbiano seguito leggi evolutive universali.

Dunque, le motivazioni favorevoli al passaggio dalla civiltà nomade a quella stanziale


furono:

• Demografia ! una popolazione in crescita non può essere sostenuta solo con la
caccia;
• Geografia ! i mutamenti climatici ed economici portarono all’estinzione di
innumerevoli specie animali (meno animali da cacciare);
• Istituzioni ! c’è una definizione più chiara dei diritti di proprietà che dà incentivi
all’agricoltura . Allo stesso tempo, il cambiamento dell’organizzazione sociale
porta alla nascita di attività non agricole;
• Tecnologia ! alcune piante ed alcuni animali si adattano meglio ad un
addomesticamento (insegnamento che arriva dagli anni passati nella savana,
“learning by doing”);
• Cultura ! cambiano i valori e si diffonde l’idea che il potere sia rappresentato
dalla quantità di beni posseduti. Queste accumulazioni di risorse da parte dei
“potenti” diventavano anche un modo di distribuzione della ricchezza;

Il passaggio dall’essere nomade a sedentario è quindi un cambiamento fondamentale


che incide profondamente sulla dimensione collettiva e sulla struttura di fondo (quella
corrispondente alla nostra idea contemporanea di civiltà), che portò ad una sbalorditiva
crescita demografica.

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La performance dell’economia mondiale,1000-1998

“Dal 1800 ad oggi, la popolazione mondiale si è sestuplicata. Eppure nel contempo


l’aspettativa di vita media è più che raddoppiata e il reddito reale è cresciuto di nove
volte. Un essere umano nel 2005 in media guadagnava tre volte quanto faceva un suo
omologo del 1955, mangiava un terzo di calorie in più, ha visto morire in età infantile un
terzo dei figli che avrebbe dovuto seppellire cinquant’anni prima, e poteva aspettarsi di
vivere una vita di un terzo più lunga... Il messicano medio di oggi vive di più dell’inglese
medio nel 1955, il cittadino del Botswana medio guadagna di più del finlandese medio
nel 1955, la mortalità infantile in Nepal è più bassa oggi di quanto non fosse nell’Italia del
1951, e la proporzione della popolazione vietnamita che vive con meno di 2 dollari al
giorno è scesa dal 90 al 30% in vent’anni”.

Popolazione ! fortissimo aumento della popolazione non solo nella quantità, ma anche
nella velocità. Dal 1000 al 1820 si quadruplica, dal 1820 al 1998 cresce di 6 volte tanto.
Pil pro capite ! La capacità di creare ricchezza è stata superiore all’aumento della
popolazione, in quanto si ha una crescita del Pil maggiore della crescita demografica;
Pil mondiale ! l’aumento del PIL nazionale appena osservato comportò una maggiore
ricchezza a livello internazionale;
Esportazioni ! aumentano principalmente con lo sviluppo delle relazioni commerciali e
degli scambi. Senza specializzazione del lavoro e scambio internazionale i processi di
sviluppo sono impossibili, e questo spiega come ogni evento che venga ad interferire nel
commercio internazionale possa costituire un blocco nei processi di crescita.

Il PIL tuttavia non considera molti fattori: essendo una media dice poco preso
individualmente. Viene per questo preso in considerazione l’indicatore di sviluppo
umano ! tiene conto per un terzo dell’aspettativa di vita alla nascita (quanto un
bambino potrebbe vivere), per un terzo del PIL e per l’ultimo terzo della scolarità: una
persona che ha una scolarità elevata ha una qualità migliore di vita in quanto riesce a
sfruttare e cogliere meglio vari aspetti della vita. Di conseguenza, l’indicatore di sviluppo
umano risulta più appropriato del PIL. Inoltre, all’interno di questo sviluppo, bisogna
anche considerare che non tutti traggono ritorni positivi da tali processi di crescita. Ad
esempio, la rivoluzione industriale favorì quei paesi muniti di risorse che potevano essere
sfruttate e di sistemi politici che agevolavano la produzione. Di qui ne consegue che tutti
gli aggregati geografici crescono, ma alcuni in misura molto minore ! nel secondo
millennio (1000-2000) i paesi maggiormente sviluppati furono l’Europa Occidentale, il
Giappone e i Paesi Occidentali. L’Europa Orientale crebbe in misura minore rispetto a
quella Occidentale, essendo stata caratterizzata a lungo da un’economia pianificata
che ne ha costituito un freno (la Russia non ha mai conosciuta un’economia di
mercato). Il caso dell’Africa rappresenta tuttora un grosso problema: non è in grado di
uscire dalla sua trappola di povertà per colpa dell’occidente che ancora oggi continua
a sfruttarlo. Le élite che la governano non fanno altro che indebolirla.

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III. ANCIEN RÈGIME


L’ancien régime identifica il sistema di governo che precedette la Rivoluzione francese. Il
passaggio dal Medioevo all’Ancien régime è una transizione lungo vari assi: in ambito
economico, tale transizione riguarda il passaggio dal feudalesimo al capitalismo.

Come farsi un’idea su un’economia di un paese rispetto a quella di un altro?


• Percentuale della popolazione distribuita nei tre settori;
• Percentuale del PIL generato dai tre settori;
! la struttura economica dipende dalle dimensioni e dalle caratteristiche dei settori
dell’economia: i cambiamenti strutturali sono evidenziati dal cambiamento del settore
prevalente.
Storicamente l’evoluzione è stata: PRIMARIO (agricoltura) ! SECONDARIO (manifattura)
! TERZIARIO (attività residuali)

Un modello di trasformazione strutturale (1750-200)


La Rivoluzione industriale è essa stessa frutto di una serie di cambiamenti avvenuti
nell’epoca precedente. Man mano che aumento la produttività nell’agricoltura, riesco
a garantire un surplus che fa sì che la popolazione si dedichi anche ad altri ambiti.

Uno spazio economico integrato: l’Impero romano nel II secolo d.C.


L’Impero romano nel II sec d.C., raggiunse l’apice del suo sviluppo. Era terribilmente
severo con i popoli conquistati che non riconoscevano l’autorità romana, ma allo stesso
tempo, a quelli che gliene riconoscevano, concedeva la possibilità di controllare
autonomamente il proprio territorio, instaurando in tal modo una solida relazione di
fedeltà tra Roma e queste realtà. Aveva costruito una rete di trasporti eccezionale,
anche con obiettivi di natura strategica e commerciale, realizzate con una tecnica
capace di sfidare i secoli. L’80% della popolazione dell’attuale Unione europea vive in
territori che nel II secolo d.C. facevano parte dell’impero romano.

La fine dell’Impero romano segna la disintegrazione della situazione economica


precedente: l’economia arretra enormemente, attraversando i cosiddetti “secoli bui”.
Attorno all’anno 1000 la popolazione europea ammontava a circa 40 milioni di persone,
mentre nei primi decenni del 1300 aveva raggiunto un picco di circa 90 milioni. Negli
anni successivi climi sfavorevoli causarono frequenti fallimenti dei raccolti ed un
conseguente peggioramento delle diete dalla maggior parte degli abitanti provocò un
calo delle nascite. Dal 1347 si aggiunse il flagello della peste bubbonica e, complici le
scarse condizioni igieniche e sanitarie, ebbe effetti drammatici: la popolazione diminuì di
un terzo e solo dal 1530 la dinamica demografica europea si orientò alla crescita. Le crisi
demografiche derivano da epidemie, guerre e carestie, ma quando questi tre fattori
incombono contemporaneamente si verifica una vera e propria catastrofe
demografica.

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In questa generale crisi economica nasce il feudalesimo tra l’VIII e il IX secolo: un sistema
politico gerarchico, in cui si delegavano ai nobili le funzioni primarie dello Stato !si
ritrovavano ad avere ampi poteri di gestione ed essere al centro del sistema giudiziario.
Si ha quindi una forte concentrazione di potere locale sul territorio, che si traduce in
un’altrettanta forte affermazione dei diritti individuali.

Il sistema economico dell’epoca feudale era il cosiddetto sistema curtense, modello che
si sviluppa in quel periodo in tutta Europa. Anche qui il signore ha il ruolo di maggior
importanza: sottopone tutti gli abitanti del feudo ad obblighi di lavoro, costringendoli,
per alcuni giorni all’anno, ad offrire
prestazioni nelle sue terre (corveés). I
terreni intorno al feudo del Signore, sono
affidati ai contadini: hanno competenza
diretta ma devono comunque pagare
una parte dei contributi in natura: da qui
nasce la notazione del contadino in
epoca feudale come “servo della
gleba”. Siamo quindi in una situazione
dove c’è una forte subordinazione al
Signore, sia dal punto di vista economico
che politico.

Intorno al castrum c’era la pars dominica, la parte del Signore che cedeva ai contadini
per essere lavorata, e più esternamente c’era la pars massaricia, ovvero le terre dei
contadini: questi tre livelli di sfruttamento, seppure di basso equilibrio, garantivano la
sopravvivenza (l’autarchia garantì di fatto un basso livello di sussistenza) Nell’Europa
occidentale tale sistema viene eroso velocemente, in quella orientale continuerà a
sopravvivere fino al 700.

- Pars dominicia: era gestita a coltura direttamente dal dominus, che era spesso "il
vecchio" della comunità per cui veniva chiamato senior, da cui derivò la parola
"signore"; qui lavoravano i servi con prestazioni gratuite ed obbligatorie, le
cosiddette corvées.
- Pars massaricia: era gestita dai contadini (liberi o asserviti) ed era divisa in mansi,
che corrispondevano ad unità lavorative di varia estensione. Le famiglie di coloni
la coltivavano quindi privatamente ed un terzo della rendita veniva corrisposto al
proprietario. Oltre a questo, i coltivatori erano poi tenuti sia a pagare alcune
tasse che a svolgere delle giornate lavorative gratuite sui territori agricoli
direttamente gestiti dal padrone.

Tale sistema si rivelò essere funzionale proprio perché prese piede in un periodo
caratterizzato da incertezza politica, frequenti violenze, relazioni di mercato limitate e un
basso livello di tecnologia, a cui si aggiunge una popolazione scarsa e dispersa sul
territorio. Date queste condizione d’instabilità politica, basso commercio e bassa
produttività, il subordinarsi al signore veniva accettato anche per questioni di protezione:
cedendo una parte dei propri diritti individuali, si otteneva la sua protezione militare: in
una realtà infestata da briganti, l’incolumità fisica di fatto assumeva un valore
importante.

Esisteva poi una parte di terreno incolto, composto da boschi, prati e paludi, dove si
attingevano le risorse spontanee tramite la raccolta, la caccia e la pesca. Inoltre nelle
terre lasciate a riposo (maggese) avveniva il pascolo degli animali.

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Le condizioni economiche e sociali degli uomini delle campagne dipendevano anzitutto


dal differente titolo giuridico in forza del quale lavoravano i terreni. L’Europa centro-
settentrionale era divisa in due dal corso del fiume Elba:
- I contadini liberi presenti ad ovest sfruttavano i suoli detenendone in genere il
semplice possesso in cambio di prestazioni in natura di valore pressoché
simbolico. Molte terre erano date in uso oppure lavorate in forza di contratti
parziari, che prevedevano la divisione a metà di raccolti fra manodopera e
possessori dei suoli, che mettevano a disposizione il terreno, gli edifici e parte
delle scorte. Nel periodo feudale il contadino libero era colui che riusciva ad
affrancarsi dal suo signore e otteneva quindi il diritto di poter pagare un fitto in
denaro e non più in conferimenti di prodotti agricoli. Il contadino libero diveniva il
padrone del proprio raccolto e poteva coltivare ciò che più gli conveniva,
anche in base alle richieste del mercato e non più soltanto ciò che gli richiedeva
il suo signore;
- Nell’ Europa settentrionale ad est dell’ Elba i contadini erano in condizione servile
(servi della gleba), erano considerati cose incorporate al suolo che coltivavano.
Questi impiegavano il loro tempo sulle terre del signore oppure a lavorare
manifatture signorili dette corvées. Non praticavano un lavoro salariato,
mancava la divisione del lavoro ed esercitavano semplicemente diritti d’ uso dei
suoli che lavoravano, mentre l’ agricoltura forniva bassi livelli di rendimento e lo
scopo delle coltivazioni era esclusivamente quello di produrre scorte alimentari
per il consumo domestico.

Era costume che i terreni rimasti a riposo dopo la mietitura e sul maggese dopo il primo
fieno, fossero dedicati al pascolo degli animali di tutti, come in comune erano boschi,
pascoli etc.

La preoccupazione fondamentale era quella di riprodurre ogni anno quell’insieme di


derrate che, in base all’esperienza, garantivano gli usuali consumi ed investimenti.
Mentre i servi della gleba disponevano di appezzamenti adeguati alle capacità di
lavoro e di consumo delle famiglie, oltre alla gestione comunistica del villaggio che
garantiva la sopravvivenza di ogni membro della comunità, fra i contadini liberi il
bisogno di moneta per corrispondere canoni, per pagare imposte, per acquistare beni
non direttamente producibili, da tempo aveva stimolato ad intrattenere una qualche
relazione con il mercato. I contadini iniziarono a gestire aziende agricole accorpate
(poderi), delle quali avevano l’esclusivo utilizzo, secondo principi dell’ individualismo
agrario autarchico. L’esigenza di produrre cereali anche per la vendita indusse i
campagnoli residenti nei pressi delle città più popolose a:

- recintare i terreni per impedire l’ accesso agli estranei, affrancandosi dalle servitù
collettive dei campi aperti (campi a riposo a disposizione per il pascolo di tutti gli
abitanti), formando poderi autonomi ed indipendenti, in modo da non
dipendere dalle scelte agronomiche comunitarie, estensive e poco produttive;
- sostituire il maggese con la coltivazione di piante foraggiere per l’ alimentazione
animale che arricchivano d’ azoto il terreno e accrescevano il volume del
foraggio raccolto.

La nuova agricoltura (XVII secolo), fondata sulla proprietà privata, avrebbe permesso di:
- migliorare la produttività;
- collegare l’ agricoltura al mercato, superando una logica autarchica;
- accrescere i redditi dei contadini e stimolare la domanda di merci e manufatti;
- promuovere produzioni agricole utili per lavorazioni artigianali e industriali.

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I contadini liberi erano comunque molto lontani dal produrre per vendere e quindi dal
comportarsi come imprenditori: essi si tenevano alla larga dai mercati per paura di
essere frodati. La distribuzione del reddito reale agricolo annualmente prodotto non
avveniva mediante compravendite, ma solo quando le scorte domestiche eccedevano
il normale fabbisogno, in quanto presentavano problemi di lunga conservazione, i
contadini le scambiavano con la moneta (riserva di valore). La tensione tra la scarsa
offerta e la grande domanda moltiplicava i prezzi delle derrate alimentari che non s’ era
riusciti ad auto produrre.

Braudel ha definito vita materiale l’insieme delle relazioni economiche, sociali e culturali
che contraddistinguevano il mondo rurale, per molti secoli il 90% della popolazione
europea. Nel lungo andare, essendo il podere diviso tra molti eredi, comparve una
figura fino ad allora sconosciuta: il bracciante senza terra, un operaio precario che
lavorava a giornata, in cambio di bassi salari pagati per lo più in natura. Le città più
numerose si trovavano in zone costiere o lungo fiumi navigabili (Fiandre, Alsazia, Lorena)
e a ovest dei Pirenei. I fiumi garantivano vie di comunicazioni veloci e fonti di energia per
i mulini. L’eterogeneità sociale, culturale ed economica era la cifra dominante delle
città medievali e moderne europee (numerosi ceti variamente gerarchizzati).

I fattori chiave della trasformazione dal neolitico al medioevo


Dal punto di vista economico, cambiano le tecniche agricole per produrre quanto
necessario alla sussistenza: consente la nascita di centri che diventano luogo dello
scambio. Luoghi che forniscono servizi di mercato, in cui si praticano attività artigianali e
nei quali si concentreranno nel tempo il potere religioso e politico. L’innovazione
tecnologica della produzione è quindi uno dei principali fatti all’origine di questa
dinamica di trasformazione.

• Demografia ! crescita dall’VIII secolo che prosegue fino al 1348 (Peste Nera);
• Geografia ! clima favorevole che consente di migliorare l’agricoltura. Lenta
ricostruzione delle strade e sviluppo della navigazione: il bacino mediterraneo
diventa il fulcro del commercio anche grazie alla civiltà araba che diventa un
partner di scambio fondamentale.
• Istituzioni ! la città assume un ruolo fondamentale. Emergono nuovi centri sociali
come la borghesia mercantile (le forme d’impresa all’interno della società
feudale sono forme estremamente semplici).
• Tecnologia ! innovazioni (principalmente in campo agricolo).
• Cultura ! lento emergere dell’umanesimo. Il mondo arabo incide nella cultura e
offre importanti contributi (matematica, astronomia, ecc). Si sviluppano le
istituzioni universitarie, che nascono come luoghi di produzione di un sapere
nuovo e di una nuova centralità dell’individuo.

Demografia
ll clima e le prime innovazioni favoriscono la crescita della popolazione in modo sempre
più rilevante dopo l’anno 1000. Intorno al 1300, si assiste ad un peggioramento climatico
che porta all’estinzione dei vichinghi in Groenlandia e alla successiva diffusione delle
peste in Europa: stress alimentare e igienico. Tra il 1300 e il 1400 la popolazione di riduce
di circa un terzo: la peste diventa endemica. Una conseguenza a livello politico, è la
perdita di potere dei Signori: più potere alle popolazioni locali.

Crescita medievale (1000-1200) ! Peste Nera (1300) ! Ripresa (1500) ! Crisi ‘600 ! le
rivoluioni (1800)

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Geografia
I mutamenti climatici che portarono alla glaciazione incisero significativamente anche
sulla produzione. Dal punto di vista dei commerci, contava soprattutto l’accesso alle vie
di comunicazione marittime o fluviali (il mantenimento delle strutture stradali era
divenuto molto costoso). Le città che si svilupparono di più furono proprio quelle che
potevano avere un accesso al mare, in particolare quelle del bacino mediterraneo. La
prima fase del Medioevo è quindi caratterizzata da una grande fioritura delle città
portuali. Da qui lo sviluppo dei rapporti commerciali nel mar Baltico e nel mar del Nord.
I volumi di scambio si erano estremamente ridotti, in seguito alla riduzione della
popolazione (Peste Nera) e all’accesso al mercato di scambio: non tutti disponevano di
determinati prodotti o circolavano beni di lusso che solo una parte ristretta della
popolazione poteva permettersi. Col tempo il processo di specializzazione produttiva
porterà ad un’espansione dei commerci e ad una maggiore accessibilità da parte di
tutti. Il commercio contribuisce quindi a questa dinamicità.

Istituzioni
o La crescita della produttività dell’agricoltura consente l’istituzionalizzazione dei
centri urbani. Le città diventano quindi anche un centro d’innovazione culturale,
superando quelli che erano i vincoli della civiltà feudale.
o Nasce il diritto civile, che definisce le relazioni e pone limiti al potere sovrano.
o Si sviluppano meccanismi che facilitano lo sviluppo dell’attività di scambio
(contratti, moneta etc.) ! Stadluft macht frei.
o Nascono forme societarie ! soggetti che si accordano per stipulare contratti. Da
una parte abbiamo un commendatore, colui che mette a disposizione il
capitale, e dall’altra un commendatario, colui che agisce e che ha
intraprendenza (questo consente di far incontrare chi dispone di capitale e chi
invece ha intraprendenza). Dalle forme societarie si arriverà poi alla nascita di
altre forme, come le compagnie.

Le città dell’Europa preindustriale erano gli epicentri della divisione e specializzazione del
lavoro, dei giochi, degli scambi e della circolazione monetaria (economia di scambio),
mentre le campagne erano il centro della vita materiale all’ insegna dell’ autarchia e
della quasi assenza della divisione del lavoro. Le autorità municipali fissarono standard
dei pesi e delle misure universalmente utilizzate nelle trattative, secondo principi di equa
giustizia distributiva per garantire condizioni di effettiva parità fra i contraenti. Compratori
e venditori si trovavano in uno spazio libero e aperto, dedicato e sicuro, in modo che le
transazioni potessero essere dotate di trasparenza, inoltre venivano pubblicati i giusti
prezzi dei beni di prima necessità e un’ offerta pubblica riequilibrava i prezzi a vantaggio
dei compratori in caso di calo dell’offerta a domanda rigida. Si moltiplicarono le
botteghe gestite dai dettaglianti con contrattazioni di carattere privato. La moneta iniziò
a muoversi entro circuiti di crescente ampiezza e la sua velocità di circolazione crebbe
considerevolmente, i contadini inoltre, in quanto dovevano fornire alcune specie
coltivate e manufatti domestici ai bottegai, acquisirono sempre più dimestichezza con
scambi di monete. Le imposte indirette consistevano soprattutto di dazi, che colpivano i
movimenti delle merci sul territorio, all’ingresso e all’uscita. La vendita di sale era
monopolio sovrano.

Un’istituzione di antico regime: LE CORPORAZIONI


Un’istituzione fondamentale per capire le logiche che stavano dietro al regime
economico erano le corporazioni (gilde) ! istituzioni regolate da statuti particolari in
genere confermati e promulgati dalle autorità cittadine. Avevano funzioni economiche,
politiche e sociali.

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I mastri erano artigiani depositari ed esperti delle tecnologie di un dato mestiere, che
operavano nelle loro botteghe combinando capitale (utensili di settore, conoscenze) e
lavoro (garzoni e apprendisti). Il processo di trasmissione del sapere tecnico influenzava
anche l’ organizzazione del lavoro. I mastri erano obbligati a rispettare le seguenti
regole:
- divieto di accaparrare materie prime;
- rigidi standard di manufatti a “regola d’ arte”;
- salari liberamente contrattati su base annua e fedeltà del lavoro;
- misure assistenziali alle famiglie dei corporati e forme di culto religioso.
La corporazione garantiva il monopolio della produzione agli artigiani immatricolati ed
impediva loro di farsi concorrenza: nessuno si poteva arricchire a scapito degli altri. Una
fitta rete di regole e controlli, assieme al protezionismo assicurato dalle dogane
municipali, assecondò per secoli la struttura corporativa e nel contempo ritardò l’
introduzione di innovazioni tecniche tendenti a risparmiare lavoro. Una limitazione delle
importazioni di costosi manufatti di pregio conteneva trasferimenti d’ ingenti somme di
moneta aurea all’ estero e manteneva sulla piazza locale un equilibrato rapporto tra
moneta alta e moneta bassa. Le corporazioni finiscono quando si inizia a sentire la
necessità di produrre più merce, seppur di qualità non ottima, ma buona, per favorire il
mercato. Nasce il capitalismo commerciale, in quanto si interpongono sui mercati i
mercanti tra i produttori ed i consumatori: questo è reso possibile dall’ enorme distanza di
spazi e tempi, che separavano i luoghi della produzione da quelli della vendita. In
conclusione, le corporazioni hanno quindi una funzione sia economica che politica e
sociale (e anche religiosa: avevano i loro altari e Santi custoditi nelle chiese delle città).
Ricoprivano tale importanza che si partecipava alla società medievale in quanto si era
membri di tale associazione.
• Economia: attuavano un forte controllo fra la concorrenza e questo ne costituiva
un limite: stabilivano degli standard precisi per ogni prodotto, quantità e prezzi,
“ingessando” il sistema economico e l’innovazione. Dall’altra parte però, questi
standard garantivano un’alta qualità (marchio imposto dalla corporazione). Era
di fatto un sistema che non produceva grandi quantità, data l’elevata qualità.
• Politica: rappresentanza dei ceti produttivi nei comuni.
• Società: rappresentava il luogo dove si formava il capitale umano e si offrivano
servizi di welfare. All’interno di ogni cooperazione si poteva aspirare a diventare
maestri: c’era quindi un motore di ascesa sociale.

Tecnologia
Anche se non sono molto rapide, le innovazioni ci sono e cambiano il modo di pensare:
• Occhiali ! sono il risultato del miglioramento delle conoscenze scientifiche da
una parte, e dall’altra testimoniano un notevole cambiamento tecnologico.
L’artigiano raggiunge la massima produttività con l’avanzare degli anni, ma allo
stesso tempo trova il vincolo della vista: l’invenzione degli occhiali, importante
eredità medievale, gli permette ora di portare avanti la sua attività economica.
• Aratro pesante a ruote ! si evolve e sostituisce le forme di eredità araba e latina.
• Orologio ! richiede una certe conoscenza e competenza, a dimostrazione di
tale innovazione tecnologica: era un oggetto di prestigio (status symbol). Inoltre
porta con sé la rivalutazione del tempo all’interno della vita collettiva: scandiva
alba, mezzogiorno e sera. Quando giunge in Europa, inizia una sorta di “gara” tra
le città per chi avesse l’orologio più bello sulla torre.
• Mulino ! consente di utilizzare l’energia inanimata, quelle che ci mette a
disposizione la natura, e ci consente attraverso il suo meccanismo, di far
funzionare una serie di macchine complesse. È un macchinario fondamentale.

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Tuttavia incontra vincoli di localizzazione: può essere realizzato solo dove c’è
vento e acqua e funziona solo in alcuni periodi dell’anno.
• Numeri arabi ! fino al 1200 non si utilizzavano i numeri arabi e quindi i conti
risultavano particolarmente difficili. Leonardo Pisano, più comunemente
chiamato Leonardo Fibonacci, è colui che introduce la numerazione araba, con
anche lo zero (prima sconosciuto nella numerazione romana). Rende molto più
facile la contabilità nazionale.
• Carta ! nel secolo successivo, 1300, si ha il primo registro di partita doppia (Luca
Pacioli. Fino al 1500 negli atri centri mercantili europei si continua ad utilizzare una
contabilità primitiva.

IV. L’INDUSTRIA PREINDUSTRIALE


Agricoltura:
• Rotazioni triennale ! divisione del terreno da coltivare in tre parti, e
coltivazione di solo 2/3. La precedente rotazione biennale, invece, consisteva
nel dividere il campo in due, coltivandone una metà il primo anno, e la
seconda metà l’anno successivo. Coltivare tutto il campo portava ad un
impoverimento della terra che in questo modo, invece, aveva il tempo di
fertilizzarsi nuovamente. Col la rotazione triennale, rispetto a quella biennale,
si coltivava un terzo (33%) in più.

I anno ! cereali primaverili (orzo, avena) o


leguminose. Semina in aprile e raccolto in
estate. Ciclo vegetativo molto breve.

II anno ! cereali vernini (frumento, segale).


Semina in autunno e raccolto in estate. Ciclo
vegetativo più lungo che richiede una
diversa coltivazione del terreno.

III anno ! anno di riposo (maggese). Il


terreno rimane incolto e si adibisce al
pascolo. Le consuetudini che regolavano la
comunità agricola consentivano alla
comunità di far pascolare il proprio bestiame
su questi terreni durante gli anni di riposo,
contribuendo alla concimazione del terreno.

• Aratro pesante a ruote ! si riesce ad incrementare e ricostituire in maniera


efficiente la fertilità del suolo.
• Uso dei cavalli per il tiro ! inizialmente non si potevano utilizzare i cavalli per
trainare l’aratro, in quanto non c’era ancora l’attrezzatura e la tecnica
adatta. Con l’invenzione del collare in cuoio si passa dai buoi ai cavalli, più
rapidi e potenti, e di conseguenza più efficienti.
• Maggior impiego del ferro per gli strumenti agricoli;
• Diffusione dell’allevamento e di nuove culture ! si acquisisce maggiore
competenza su quali tipologie di sementi si adattano meglio a determinate
quote, zone e terreni, sviluppando nuove culture e avvantaggiando
l’allevamento nei periodi di riposo dei terreni.

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Dall’agricoltura alla diversificazione produttiva


Tutte queste innovazioni in ambito agricolo, portarono ad un incremento della
produzione, e quindi:
• Crescita della popolazione;
• Intensificazione dei rapporti di mercato ! se si ha un surplus rispetto a quanto
necessario per vivere, si può “vendere” tale fetta di benessere sul mercato
per comprare nuovi attrezzi, vestiti etc.
• Facilitazione alla formazione dei centri urbani ! Il surplus dovuto a questa
innovazione comporta una maggiore divisione del lavoro e una conseguente
uscita dallo schema statico curtense: è quindi una spinta consistente alla
nascita di quei centri di scambio che diventeranno i centri urbani.
• Maggiore disponibilità di fattori per altre attività;
Tutto questo si riflette sull’attività manifatturiera:

L’industria prima dell’industrializzazione


Tra XV e XIX secolo, le esperienze manifatturiere si diversificano: incomincia ad esserci
una domanda di beni non più solo da parte di ceti alti, ma anche di ceti popolari che
richiedono prodotti di una qualità meno elevata, ma ad un prezzo minore. Come
abbiamo visto, le corporazioni non erano in grado di soddisfare tale esigenza per
l’elevata qualità offerta, accompagnata da un prezzo molto alto.

• Industria a domicilio ! un’industria gestita da mercanti che conoscono bene la


domanda di mercato e capiscono che c’è una richiesta di quantità superiore.
Accedono alla materia prima e cercano così la manodopera necessaria per la
lavorazione. Tale ricerca viene effettuata fuori dai centri urbani, in campagna,
utilizzando i tempi morti del lavoro agricolo (inverno), quando c’è un potenziale
non sfruttato di manodopera. È un sistema quindi molto flessibile che consentiva
al mercante di ampliare o restringere la gamma prodotta. Allo stesso tempo per
la famiglia c’era l’opportunità di aumentare il proprio reddito. In molte realtà
l’attività manifatturiera diventa una componente implementiva dell’attività
agricola.

• Manifatturiera domestica ! piccola impresa rurale indipendente portata avanti


da un soggetto solo. Abbassa drasticamente i costi di produzione e trova una
buona accoglienza sul mercato internazionale per la vendita dei suoi prodotti.

• Corporazioni artigiane ! La tradizione precedente delle corporazioni rimane


comunque attiva nelle città, perché copre una grande fascia della popolazione:
continuano ad operare e contrastare la spinta delle nuove forme imprenditoriali
che arrivano da fuori.

• Manifattura accentrata ! attività svolte all’interno di gruppi che gestivano


l’attività per conto del sovrano: richiedeva competenze tecniche molto elevate
e la qualità che poteva essere garantita dai produttori del cortado era
abbastanza limitata. La manifattura accentrata poteva essere privata o
pubblica. I segreti per la realizzazione di questi prodotti ad alta qualità (come le
porcellane del 700) non dovevano essere svelati. La più grande manifattura
accentrata dell’epoca, che costituiva la base della potenza politica ed
economica dello stato in cui era ospitata, era l’arsenale di Venezia: un insieme di
capannoni dove venivano realizzate le navi che sostenevano la potenza militare
di Venezia. All’interno ci lavoravano molteplici attività manifatturiere
(straordinario sistema di gestione).

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Lo sviluppo dell’attività agricola (maggiore produttività delle terra) e l’ingente


richiesta manifatturiera dà avvio ad un processo di concentrazione nelle campagne,
e ad una conseguente fuga dai vincoli corporativi.

Protoindustria (industri a domicilio diffusa) ! organizzazione manifatturiera che


precede la rivoluzione industriale, in cui le popolazioni del cortado, che costituivano la
maggior parte della popolazione europea, si avvicinano a pratiche di lavoro diverse. Le
fabbriche della Rivoluzione industriale si andranno ad insediare proprio in quelle realtà
che avevano già vissuto esperienze di tipo industriale. Ovviamente non tutte queste aree
si sono poi specializzate in quella industriale o diventate aree soggette della Rivoluzione:
alcuni tornano a specializzarsi nell’attività agricola. Questo perché nelle aree in cui
incomincia a svilupparsi l’industrializzazione, si ha aumento generale dei prezzi e perciò,
se non si è abbastanza competitivi sul fronte industriale, conviene specializzarsi e
rimanere sul fronte agricolo (la Danimarca è un esempio di paese che rimane
nell’ambito agricolo) ! dipende dal vantaggio comparato: una regione che si
specializza nella produzione manifatturiera può indurre le regioni vicine a specializzarsi
nella produzione agricola (effetto dell’innovazione).

Fase 1 •  Attività
agricola

•  Attività agricola
Fase 2
•  Protoindustria

•  Industrializzazione/
Fase 3 ritorno all'agricoltura

I crescenti consumi rurali e urbani causarono una tensione fra offerta e domanda di
derrate agricole nelle città ed un conseguente aumento dei prezzi. Dai primi decenni
del Cinquecento i prezzi dei cereali non avrebbero cessato di aumentare fino agli anni
Quaranta del Seicento in tutta l’Europa centro-occidentale. Dappertutto la risposta alla
sfida della conservazione dell’equilibrio raggiunto tra uomini e risorse naturali consistette
nel rimettere a coltura suoli abbandonati post pestilenza: i contadini pionieri assunsero un
ruolo centrale nella riconquista e messa in valore di suoli incolti.
Le campagne del nord Europa avevano rendimenti cerealicoli doppi rispetto alle regioni
mediterranee ed oscillazioni decisamente minori dei raccolti, creando una maggiore
offerta e cadendo molto raramente nelle carestie. Questo processo portò ad un
decisivo aumento della popolazione, che contemporaneamente in Europa meridionale
non avvenne, ma dove al contrario si verificò un declino demografico. La trappola
malthusiana stava agendo attraverso carestie, guerre (guerra dei Trent’ anni 1618-1648,
che flagellò la Germania, conflitti anglo-olandesi, etc.) ed un calo dell’ agricoltura
causato da processi involutivi, che perdurarono fino al XVIII secolo inoltrato quali:

- aziende agricole sotto le dimensioni ottimali;


- quota di popolazione impoverita e priva di terra, quindi eccessiva quantità di
manodopera;
- eccedenza di forza lavoro inutilizzata che frenò a lungo l’ adozione di tecnologie
risparmiatrici di lavoro ed efficienti.

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Nei Paesi Bassi furono eliminati completamente i campi aperti, il maggese fu sostituito
dalla coltivazione di piante foraggiere e di legumi, passando alla rotazione continua
delle colture su tutto il terreno coltivabile. Si assistette ad un ampliamento della superficie
coltivata, ad un crescente carico di lavoro supportato da un miglioramento delle
attrezzature, una crescente specializzazione produttiva ed un declino progressivo dell’
economia domestica autarchica. Per la prima volta l’agricoltura divenne un’ attività
economica volta soprattutto alla produzione per la vendita e fu esercitata da produttori
agricoli che miravano all’ arricchimento combinando al meglio i fattori produttivi,
mentre nella maggior parte delle campagne europee continuava la tradizionale
policoltura di sussistenza.

Le scoperte geografiche
XV –XVII secolo: nuove rotte, nuove terre ! l’apertura di nuove vie di commercio è data
dalle scoperte geografiche: si estendono dapprima gli orizzonti geografici e di seguito i
mercati. I primi protagonisti sono stati i portoghesi, un popolo abbastanza periferico nel
contesto europeo.

Avevano elaborato buone tecniche di navigazione anche in mare aperto (navigazione


oceanica) e intrapresero nuove rotte alternative per raggirare italiani e arabi, che a quel
tempo detenevano il monopolio delle relazioni commerciali con il Medio Oriente.
Arrivarono così a circumnavigare l’Africa fino ad arrivare in India, che faceva tesoro di
importanti prodotti (come le spezie, fondamentali per insaporire i cibi).

L’attraversamento dell’Atlantico consentirà a Spagna e Portogallo di diventare le


principali potenze dal punto di vista economico e politico per tutto il 1500. Questo
comporta uno spostamento del baricentro del commercio dal Mediterraneo
all’Atlantico. Gli affari sul mediterraneo continueranno ad esserci, ma in misura minore
risetto agli scambi sull’Atlantico (la distribuzione attuale delle lingue è stata segnata
anche dalla storia coloniale).

Le scoperte ebbero conseguenze importanti sull’evoluzione dell’economia europea:


nuove risorse, estensione dei mercati, specializzazione del lavoro.

1492 ! La potenza spagnola scopre il continente americano e si ha la definitiva


sconfitta degli arabi. Con questa vittoria, la Spagna riacquista la propria indipendenza.

Europa America

Vaiolo, scarlattina,
difterite, cavalli, Sifilide, tacchini,
criceti, mais, patate,
bovini, pecore, maiali,
cacao, tabacco,
caffè, canna da
pomodori
zucchero

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In primo luogo si ha lo scambio di veicoli e malattie, che da un lato permisero ai


conquistadores di sviluppare anticorpi che sul continente americano decimarono la
popolazione. Il secondo scambio è quello di prodotti, da cui l’Europa trae grande
guadagno:
• patate e mais diventano fondamentali per la popolazione e vanno a sostituire la
base alimentare di cereali e frumento (a parità di superficie coltivato hanno delle
rese maggiori in termini di calorie. in più erano coltivabili anche in realtà
svantaggiate alla coltivazione dei cereali);
• avena, caffè, canna da zucchero erano prodotti che gli europei conoscevano
tramite gli arabi e che riuscirono ad ottenere solo grazie all’America; lo zucchero era
molto costoso e dal momento che si creano grandi piantagioni in America, inizia a
diventare un prodotto sempre meno costoso e sempre più utilizzato. Allo stesso modo
il caffè: in America meridionale trova terreni particolarmente favorevoli.

Questo scambio di beni, insieme alla scoperta di nuove rotte, prima da parte di
portoghesi e poi successivamente di olandesi, amplia il commercio interazionale,
mutando le abitudini di consumo.

Il commercio fu il settore di gran lunga più dinamico dell’economia europea tra XV e


XVIII secolo: fa crescere in maniera importante i mercati ! logica smithiana (
l’aumentare degli scambi ampia il mercato). Sposta il baricentro del commercio
europeo dal Mediterraneo al Mare del Nord e all’Atlantico e ai prodotti di lusso si
affianchino quelli di largo consumo.

Sulle coste dell’Atlantico il fattore abbandonate era la terra (grandissime risorse agricole
e minerarie), mentre sul fronte europeo il fattore abbondante era il fattore lavoro
(capitale e disponibilità di conoscenze tecnologiche) ! tale incontro produsse nel corso
dell’800 e del 900, un’emigrazione della forza lavoro verso il continente americano. Nella
fase iniziale invece lo spostamento tra i due continenti si ha maggiormente per quanto
riguarda il capitale e le conoscenze. Dal continente americano giungono i prodotti della
terra, ricavati tramite lo sfruttamento di oltre 2.5 milioni di schiavi africani (venivano
sfruttati in quanto era una manodopera poco costosa).

Ha così origine la cosiddetta tratta degli schiavi, iniziata pochi anni dopo la scoperta
dell’America e conclusasi con la guerra di secessione (1501-1867). I paesi che di più
hanno subito la tratta degli schiavi sono quelli che maggiormente hanno sofferto lo
sviluppo economico. Il bene proveniente dal continente americano al quale gli spagnoli
erano maggiormente interessati erano l’oro e i metalli preziosi: le risorse preziose
costituivano la base del sistema monetario. Dall’altra parte, questi flussi preoccupavano
Francia e Inghilterra che vedevano la Spagna come una minaccia ! diventa quindi
una vera e propria questione politica.

La conseguenza di questi flussi di metalli preziosi in tutta Europa fu da una parte


l’aumento di ricchezza della Spagna, dall’altra un aumento dell’inflazione in Europa:
• L’aumento dell’offerta di moneta diminuisce il potere d’acquisto della moneta
stessa e i prezzi conseguentemente si alzano con la crescita della domanda.
• Alcuni settori non erano in grado di fornire la quantità domandata, a fronte
dell’aumento di domanda: la crescita demografica non veniva adeguatamente
compensata dall’offerta agricola. Cambiano quindi gli equilibri tra domanda e
offerta, provocati anche da un aumento dei costi di produzione a causa della
guerra.
In condizioni normali, senza guerra, l’inflazione è provocata dall’aumento dell’offerta di

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moneta. Tra i vari aumenti di prezzo, la crescita di prezzo degli alimentari fu quella che
ebbe un impatto maggiore: la popolazione continuava a crescere in maniera
significativa e le tecniche agricole non erano in grado di soddisfare tali esigenze !
aumento dei prezzi.

Che effetti genera l’inflazione e perché viene considerata un nemico da abbattere?


• Chi percepisce redditi fissi ne risente di più di chi percepisce redditi variabili;
• I debitori sono avvantaggiati: il loro debito diminuisce a scapito dei creditori;
• Ogni investimento ha un rischio a cui si va aggiungere l’incognita del valore
della moneta, il riuscire o meno a far previsioni può avere impatti importanti
nel lungo periodo;

TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA (equazione di I. Fisher) ! un aumento di M


provoca un aumento di P: MV = PQ
M = quantità di moneta; V = velocità di circolazione della moneta; P = livello dei prezzi;
Q= quantità delle transazioni;

Un’altra conseguenza di questi flussi fu la monetizzazione: fu possibile portare le


transazioni che prima erano di fatto in natura alla moneta.

Aumento di
moneta
INFLAZIONE
L'aumento
generale dei prezzi
fu provocato da: Limiti della
Flussi di metalli produttività dovuti
preziosi alla crescita della
popolazione
MONETIZZAZIONE

Fin dal XII secolo, in Europa erano sorte compagnie commerciali private, stipulate dai
mercanti attivi nei numerosi porti/empori mediterranei ed atlantici, volte a tutelare gli
interessi dei soci nei confronti delle autorità politiche ed amministrative estere. Rispetto
alle antenate medievali, le compagnie commerciali privilegiate create in Gran
Bretagna, nelle Province Unite olandesi e in Francia fra XVI e XVIII secolo, vantano due
caratteristiche innovative:

- le società duravano molto di più e si configuravano come società anonime in cui


gli azionisti potevano vendere e comprare quote di capitale;
- le compagnie godevano di privilegi statali (sovvenzioni e facilitazioni doganali),
monopoli sulle merci intermediate e su nuove rotte marittime.

La mira dei governanti che finanziarono tali imprese era quella di accrescere i gettiti
fiscali e di garantire l’ approvvigionamento diretto al paese di merci estere pregiate
(spezie, sete, etc.). Non mancava l’ ambizione di intrattenere scambi con il lontano
Oriente e L’ America centrale e meridionale di metalli preziosi che avrebbero permesso
di accrescere la massa monetaria circolate a sostegno dei commerci, come poi è
avvenuto.

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L’affermarsi dell’Umanesimo
La fase iniziale di decadenza del Medioevo, fu seguita da un recupero dell’ereditarietà
classica e latina, nonché araba ! in un contesto di crescita economica, questi fattori
culturali producono nuovi principi di stampo giuridico e un nuovo modo di vedere
l’uomo all’interno della società.

Società| La società classica era fortemente gerarchica: il ruolo dell’individuo dipendeva


dalla nascita e la disuguaglianza era un dato di fatto, quasi uno status naturale (e
questo spiega la schiavitù). La democrazia era limitata ad un popolo molto limitato,
mentre dal punto di vista religioso si era molto legati alle divinità familiari. Nel
cristianesimo invece c’è una sorta di uguaglianza morale di fronte a Dio e questo
elemento darà una spinta importante alla funzione dell’individuo alla fine del Medioevo.
Sarà una delle idee centrali delle nazioni: responsabilità, autonomia e uguaglianza.

Religione| In una prima fase della società medievale, la religione aveva un ruolo
importante: il paradiso dipendeva dalle azioni fatte durante la vita e questo portava il
cittadino a dedicare molto tempo alla religione, sacrificando ore di lavoro e influendo
inevitabilmente sul sistema economico. Man mano il ruolo dell’individuo assume però
sempre più importanza: Umanesimo e Rinascimento, 1300-1500 ! l’uomo viene valutato
indipendentemente dalla dimensione trascendentale, viene considerato al di là di
quella che è la tradizione religiosa. Questa visione influì sulle scelte dell’individuo, sempre
più spinto verso una visione materialista e scientifica. L’inizio di tale trasformazione trova
fondamento nella riforma luterana (1517, tesi contro le indulgenze: condanna morale a
Roma e al Cristianesimo): il paradiso non dipende più dalle azioni svolte in vita e dalle
offerte versate alla chiesa (indulgenze), ma esclusivamente dalla fede. Il protestantesimo
coronava la libertà dell’individuo, ora abilitato a leggere e interpretare direttamente la
Sacra Scrittura ! giustificazione dell’individualismo e più attenzione alle attività
economiche (si pensa più alla vita terrena che a quella trascendentale). Inoltre, il
dissolvimento della civiltà medioevale si accompagnò all'emergere degli stati nazionali,
che abbattevano al loro interno le differenze regionali tipiche del feudalesimo
medioevale, e affievolivano sempre più la coscienza di una comune appartenenza
sopranazionale. Il protestantesimo coronava tale aspirazione, “liberando” le nazioni dalla
soggezione a poteri sopranazionali: d'ora in poi le Chiese sarebbero state nazionali e
soggette al potere politico dello stato nazionale ! passaggio dal papato-Impero agli
Stati nazionali (mutamento non solo a livello religioso, ma anche politico).

Legittimazione del profitto| I commercianti svolgono una funzione importante per la


comunità, perché mettono a disposizioni dei beni che altrimenti non ci sarebbero. Il
profitto è quindi un premio al rischio, al servizio e alla competenza di questi operatori.
Già qui, nel pensiero di un francescano, ci sono i primi elementi importante di
comprensione di questo processo di trasformazione verso un’economia capitalistica e di
mercato.

“È infatti noto che molte cose mancano a una città o a un territorio che, invece,
abbondano in un’altra. D’altronde coloro che sono impiegati nell’agricoltura o in altri
lavori manuali, o in politica o nell’esercito, non possono facilmente viaggiare nei diversi
paesi nei quali si possono acquistare le cose che mancano nel proprio per poi
importarle. In effetti sono pochi quelli che hanno le capacità e le competenze
necessarie a questa professione, per cui è del tutto lecito che la comunità abbia come
propri addetti a questo compito quelli che ne sono capaci, ai quali è dovuto in ogni
caso come compenso un certo profitto.”

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In generale abbiamo visto che fino al periodo della Peste Nera e nel periodo successivo,
dalla metà del 1400 al 1600, ci sono state delle evoluzioni tecnologiche che non sono
però state così significative nel definire il cambiamento economico, ad eccezioni di
alcune:

• Stampa a caratteri mobili (Johann


Gutenberg): consente di stampare libri ad
un prezzo drasticamente minore
contribuendo a far circolare la conoscenza.
Tale scoperta ha due conseguenze: dal
punto di vista religioso, la riforma
protestante prevedeva che ci fosse un
rapporto diretto tra le scritture e il federe (e
quindi tale scoperta giovò enormemente
alla chiesa), dal punto di vista scientifico, la
circolazione dei libri consentiva di rendere
più accessibile la diffusione delle
conoscenze in questo ambito.

• Nuove scoperte geografiche che hanno permesso l’apertura dei mercati di


sbocco (innovazione shumpeteriana).

L’Umanesimo, l’affermazione degli Stati nazionali, la riforma protestante e lo


spostamento dell’asse geografico creano una nuova condizione che favorirà la
formazione della Rivoluzione industriale in Europa (il fatto che si sviluppi proprio in Europa
non è un caso: la Cina infatti nel 500 si chiuse in sé stessa mentre l’Europa era
caratterizzata da una ricerca dinamica del benessere materiale che favorì tale
trasformazione).Gli elementi necessari che hanno consentito questo cambiamento
economico furono i seguenti:

• Sviluppo dell’umanesimo: assegnare al benessere materiale dell’uomo


un’importanza diversa rispetto a quella del mondo tradizionale-trascendentale.
Come utilizzare la natura per ottenere beni utili per il benessere;
• Affermarsi del metodo scientifico: metodo d’indagine e d’interpretazione diversa
rispetto a quello tramandato dalla tradizione;
• Riforma protestante e poi cattolica ! la prima ha avuto un importante significato
politico. L’Inghilterra di Enrico VIII diventa anglicana perché questo le consentì di
avere un controllo esercitato direttamente dalla corona sulla sfera religiosa.
• Ascesa degli Stati nazionali ! prendono decisioni che hanno ricadute significanti
sull’economia: spesa pubblica, dazi e spingono per creare un sistema giuridico e
di misure di moneta unificatori sul territorio. Tali unificazioni facilitano le relazioni
commerciali all’interno del paese. Non è un caso, infatti, che i paesi con una
maggiore frammentazione interna arrivano successivamente nel processo di
industrializzazione (l’Inghilterra di fatti era uno Stato unitario)
• Scoperte geografiche ! altra condizione senza la quale la Rivoluzioni industriale
non ci sarebbe stata: i nuovi territori scoperti mettono a disposizioni materie
prime, prodotti e potenziali mercati di sbocco su cui riversare i prodotti europei.
• Sviluppo del commercio internazionale ! elemento importante per
l’industrializzazione di un paese: da un lato garantisce il rifornimento di materie
prime e dall’altro la possibilità di mettere sul mercato esterno e non solo su quello
interno, che col tempo tende ad “esaurire”.
Questi prerequisiti erano presenti in Inghilterra e portarono alla Rivoluzione industriale.

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V. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
INGHILTERRA

Il processo di industrializzazione comparve in Inghilterra poco dopo la metà del XVIII


secolo in quanto un insieme di fattori materiali e culturali per tempo sommessamente
entrati in azione, precostituì condizioni favorevoli al dispiegarsi di un nuovo modo di
produrre la ricchezza per mezzo di macchine sempre più potenti e perfezionate, avendo
ridotto alla condizioni di merci tanto l’ ambiente quanto gli uomini e la moneta. Con il
termine “rivoluzione” si indicano quindi le trasformazioni sociali che hanno avuto luogo
dapprima in Inghilterra e poi nelle altre economie dal 1860. C’è un legame tra
Rivoluzione francese (inizio della modernità politica) e Rivoluzione industriale (inizio della
modernità economica).

Dibattito sul termine “rivoluzione”:

• Contro ! Da una parte, c’è chi afferma che il termine “rivoluzione” sia
fuorviante, in quanto tale cambiamento è stato frutto di trasformazioni
avvenute su un arco di tempo molto lungo.
• Pro ! Dall’altra parte, invece, è giustificata l’ipotesi di chiamarla in quanto
tale, considerando gli effetti e vista sul metro storico: durante questi 80 anni
hanno avuto luogo dei cambiamenti che sono più rapidi rispetto alle
trasformazioni avvenute prima.

È in gran parte anche un processo spontaneo di politiche che facilitarono la


combinazione dei fattori produttivi, favorendo la crescita del settore industriale.
L’Inghilterra è il primo paese che ha conosciuto tale processo e l’unico con cui si può
parlare di vera e propria Rivoluzione industriale. Negli altri paesi è avvenuta in maniera
più mediata, con l’esempio dell’Inghilterra già alle spalle, ed è quindi più appropriato
chiamarlo “processo di industrializzazione” (non hanno il peso della sperimentazione
degli errori).

I prerequisiti furono:
- Lo sviluppo dell’umanesimo;
- L’affermarsi del metodo scientifico;
- La riforma protestante e la successiva riforma cattolica;
- L’ascesa degli stati nazionali e gli aspetti istituzionali;
- Le scoperte geografiche e lo sfruttamento di nuovi territori;
- Lo sviluppo del commercio internazionale.

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Requisiti e fattori concomitanti nel processo di industrializzazione:

i. Trasformazione della struttura dell’economia ! cambia il PIL pro capite, ma


soprattutto cambia il settore da cui proviene la maggior parte del valore
aggiunto: non è più il settore primario ma quello secondario: il settore
industriale è in grado di produrre più reddito con un impiego dei fattori
produttivi minore.
ii. Applicazione diffusa e sistematica della scienza e della conoscenza empirica
al processo della produzione !' la ricerca dell’innovazione diventa un fattore
sempre più rilevante e sostanziale. Senza di essa, capace di soddisfare i
bisogni della popolazione a prezzi più bassi, la società industriale non cresce.

iii. Superamento della produzione per autoconsumo e la destinazione al


mercato con tendenza alla specializzazione ! non si produce più tutto ciò
che serve alla famiglia, ma ci si specializza solo in ciò che si riesce meglio
(crescita di tipo smithiano: la specializzazione consente di aumentare il
benessere collettivo).

iv. Crescita dimensionale e spersonalizzazione delle aziende ! passiamo dalle


corporazione a imprese che concentrano in un unico luogo, lavoro e
capitale. Questo avviene perché l’impiego di capitale è molto più elevato (i
macchinari sostituiscono in gran parte il lavoro umano). In questa fase, inoltre,
si affermano le economie di scala: la riduzione dei costi unitari al crescere
dell’unità prodotta (man mano che aumento il volume di produzione riesco a
diminuire i costi). Ciò significa che riesco a spalmare i costi fissi sulla
produzione e la tecnologia diventa efficiente quando il volume di produzione
diventa consistente (es. raffinazione del petrolio). Ci sono settori in cui tali
economie di scala contano molto e portano alla crescita delle imprese
rispetto al mondo tradizionale.

La crescita delle imprese porta con sé un altro fattore importante: in alcuni


ambiti diventa difficile portare avanti la propria fabbrica per un singolo
imprenditore ! Inizialmente costui è sia il proprietario che il gestore
dell’azienda. Ma con l’ampliamento delle imprese è necessaria la
partecipazione di altri soggetti che portino avanti il rischio economico. Ecco
che non c’è più un singolo proprietario e si ha la formazione delle prime
società. La gestione dell’impresa non è svolta più dai proprietari dell’impresa
stessa ma da figure specializzate esterne, i manager. Questa distinzione viene
ad affermarsi con il tempo, ma man che la produzione cresce su scala più
ampia.

v. Impiego massiccio di capitale ! c’è sempre più investimento nel capitale.


Mentre i fattori che contavano nella società tradizionale erano fattore lavoro
e capitale (terra), in quella industriale il fattore lavoro rimane pur sempre lo
stesso, ma conta soprattutto il fattore capitale (macchinari). L’innalzamento
della produttività del lavoro è dovuto al fatto che ad ogni singolo lavoratore
sono affidati sempre più macchinari, al punto che la quantità di capitale per
lavoratore mi aiuta a spiegare la crescita dell’economia nel tempo: il
rapporto capitale e lavoro è essenziale per comprendere la crescita del
reddito, che non riguarda solo la quantità del fattore capitale ma anche la
qualità.

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vi. Nascita e sviluppo di nuove classi sociali, sulla base dei ruoli assunti nel
processo di industrializzazione ! i cambiamenti sociali portati avanti
dall’industrializzazione mutano il panorama sociale. Nelle società tradizionali
la struttura di base si basava sui bellatores (combattenti che garantivano la
sicurezza), sugli oratores (coloro che pregavano e garantivano la salvezza
spirituale), e sui laboratores (coloro che lavoravano e garantivano la
sussistenza). Tale struttura (aristocratici, clero e popolo) cambia radicalmente
con la rivoluzione industriale: la ripartizione ora è legata anche alla funzione
lavorativa.
vii. Trasferimento della produzione dalle aree rurali a quelle urbane ! il
cambiamento sociale è accompagnato da uno spostamento materiale
della gran parte della popolazione dalle aree di campagna a quelle di città:
essa garantisce dei vantaggi, come lo sviluppo delle economie di
agglomerazione e l’integrazione tra le fabbriche (tramite lo scambio di
prodotti, servizi etc). Il passaggio dalla vita di campagna a quella di città, ma
più in generale dalla società tradizionale a quella industriale, sebbene nel
lungo periodo portò a garantire un maggiore reddito, inizialmente costò un
adattamento molto elevato e particolarmente duro per le prime generazioni:
le condizioni di vita erano pietose ed estremamente pesanti.

La presenza di questi elementi indica che è nato il processo di industrializzazione.

Le tre trasformazioni che accompagnarono la Rivoluzione in Inghilterra furono:

1) Trasformazione nel settore primario ! è una trasformazione talmente pervasiva


che procurò cambiamenti non solo da un settore all’altro, ma anche all’interno
dei settori stessi, in particolare di quello agricolo.
2) Trasformazione demografica ! la trappola malthusiana (blocco della crescita
demografica), con la Rivoluzione industriale non scatta più. La popolazione
comincia a crescere in maniera indefinita e questo cambia anche la percezione
di quelle che sono le possibilità di vita nelle persone. La sopravvivenza è molto
più elevata.
3) Trasformazione nell’ambito dei trasporti e delle comunicazioni ! importante è
quella dei trasporti: l’innovazione nella tecnologia dei trasporti consente di
abbassare i costi. La rivoluzione può funzionare solo se costa poco distribuire i
prodotti su mercati sempre più ampi. Se fossero alti non sarebbe conveniente
tale sistema. È necessario trasportare le materie prime necessarie per il processo
di industri

Quindi la Rivoluzione industriale si intreccia strettamente con queste tre rivoluzioni


(demografica, agricola e dei trasporti). Ora analizzeremo lo sviluppo della Rivoluzione
industriale in Inghilterra sotto i cinque fattori chiave di analisi.

Geografia ! l’Inghilterra godeva di un vantaggio evidente in termini di clima, posizione


e conformazione.
• Clima relativamente temperato rispetto a paesi che si trovano alla stessa
latitudine, grazie all’effetto della corrente del Golfo che favorì l’agricoltura
(effetto mitigante: piogge abbondanti e temperature miti).
• Posizione: avvantaggiata dallo spostamento dell’asse dal Mediterraneo
all’Atlantico, potenzia una marina mercantile estremamente forte che le
consentì di sfruttare la sua posizione strategica, rendendola inconquistabile.

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• Conformazione del territorio: le coste frastagliate e i larghi estuari del paese


promossero i trasferimenti di beni da una regione all’altra via mare. La forma
allungata, piatta e stretta del paese ebbe un ruolo fondamentale nel favorire
una precoce integrazione delle diverse economie regionali in un mercano
nazionale. Risulta perciò relativamente facile raggiungere la costa per accedere
al mare e agli scambi commerciali e questo permise di integrare il mercato
interno anche con i grandi flussi del mercato internazionale. Un’altra
conseguenza di questa conformazione pianeggiante è l’agevolazione nella
costruzione delle linee di comunicazione (costi bassi): i primi canali nacquero per
trasportare cereali verso Londra e gli altri paesi meridionali, ma viaggiavano
anche materiali da costruzione e carbon fossile. Lo sviluppo dei commerci
transoceanici promosse una vistosa crescita delle città di mare affacciate sulla
costa occidentale.
• Materie prime: presenza in grande quantità di enormi riserve di carbone che
trovandosi a bassissima profondità dalla superficie, consentivano di non
spendere elevate somme per l’estrazione. Con l’innovazione tecnologica tale
risorsa sarà fondamentale.

L’effetto della corrente del golfo portava climi adeguati e l’ isola poteva vantare una
posizione strategica, affacciata sull’ Atlantico, ma in stretta comunicazione con il
continente (Francia, Belgio, Olanda). Il territorio scarsamente montuoso, molti porti
naturali e città con accesso diretto al mare attraverso corsi fluviali di grandi dimensioni,
insieme a grandi disponibilità di materie prime (carbone), favorirono il processo
industriale in maniera decisiva.
Le coste frastagliate e i larghi estuari dei fiumi che conducono a centri interni di
stoccaggio e consumo promossero i trasferimenti di beni, troppo costosi via terra, da una
regione all’altra via mare. I terreni pianeggianti facilitarono i collegamenti stradali, che
dal 1750 agli anni trenta dell’Ottocento, con l’ introduzione delle prime linee ferroviarie,
aumentarono in maniera vertiginosa (da 5.500 Km a 35.200 Km). La forma piatta,
allungata e stretta del paese ebbe un ruolo fondamentale nel favorire una precoce
integrazione delle diverse economie regionali in un mercato nazionale, che oltre ai
cereali, da metà Settecento in poi, crebbe in materie prime industriali e in alcuni generi
d’importazione principalmente coloniali (cotone, tabacco, tè, caffè, cacao, spezie,
canne da zucchero, etc.).
La struttura urbana inglese, pressoché inesistente a metà del Settecento, prese forma
grazie ai traffici internazionali e alle attività di servizio e lavorazione delle materie prime
importate. Nel giro di qualche generazione, villaggi di pescatori e di contadini divennero
città pluriattive sempre più popolose. Il paesaggio inglese si divideva in terre dedicate
all’allevamento e terra per la coltivazione dei cereali: le condizioni meteo-climatiche e i
suoli assicuravano ottime rese, con minime oscillazioni dei volumi raccolti da un’ annata
all’ altra. Nell’Inghilterra di fine Seicento poche migliaia di famiglie aristocratiche,
intestatarie di enormi tenute, controllavano la maggior parte del suolo, affiancata da
una ben più numerosa nobiltà di provincia (gentry) che disponeva di terre di vaste
dimensioni rispetto all’ aristocrazia che viveva sul continente ad ovest dell’ Elba. Alla fine
del Seicento quindi l’agricoltura inglese:
• disponeva di grandi riserve di terra;
• in molte parti del paese produceva per il mercato;
• la produttività del frumento era elevatissima ed i raccolti erano stabili, in virtù
delle favorevoli condizioni climatiche.

L’assetto strutturale delle campagne inglesi nel secolo d’avvio della rivoluzione
industriale appare straordinariamente avanzato.

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Demografia ! trasformazione demografica


Dopo una lenta crescita dai primi del Seicento alla metà del Settecento, la popolazione
quasi triplicò entro metà Ottocento e la durata della vita si allungò. Esistevano delle
differenziazioni demografiche in relazione con i caratteri economici prevalenti: nelle
aree manifatturiere e commerciali la popolazione crebbe maggiormente, seppur alla
fine del XVIII secolo la maggioranza delle persone vivesse ancora nelle contee poste ai
margini del processo d’industrializzazione. Ciò significa che, nell’avvio della
trasformazione economica del paese, le campagne svolsero un ruolo decisivo sia
perché fornirono braccia alle aree in cui stavano crescendo le attività industriali,
commerciali e di servizio, sia perché proprio nel settore agricolo si profilarono quegli
aggiustamenti tecnici, economici e delle mentalità utili a promuovere e sostenere l’
industrializzazione. Già a metà del Seicento era stato abolito ogni divieto di movimento
delle derrate agricole all’ interno del paese, mentre miglioravano le vie di trasporto e le
infrastrutture: agli inizi del Settecento un quarto della popolazione londinese si occupava
di attività commerciali e marinaresche sul porto del Tamigi.

Aumenta la disponibilità di
Popolazione in Gran Bretagna e Irlanda (x 1000)
manodopera per il manifatturiero,
si abbassa di conseguenza il costo
50000
per il personale e cresce la
40000 domanda aggregata dei beni,
Popolazione

GB
30000 come conseguenza
20000
necessariamente causata
IRL dall’aumento della popolazione.
10000
Quindi, sul fronte dell’offerta, più
0 cresce la popolazione, minore è il
1701 1751 1781 1801 1821 1841 1861 1881 1901 1931 costo del lavoro; sul fronte della
Anni domanda, cresce la richiesta
complessiva di beni di consumo,
compresi quelli manifatturieri. Ecco dunque che le trasformazioni tecnologiche (che
mettono a disposizione una maggior quantità di cibo ad un costo minore), abbinate a
trasformazioni di tipo scientifico (di natura sanitaria e medica, oltre che ai servizi pubblici
di igiene etc), contribuiscono in maniera decisiva a far crescere la popolazione. A tal
proposito si possono confrontare due realtà, Gran Bretagna e Irlanda, profondamente
diverse tra loro: l’Inghilterra conobbe la rivoluzione industriale mentre l’Irlanda ne rimase
esclusa.

Nel 700 vivono una bassa crescita demografica, ma ad un certo punto l’Inghilterra
vede la propria popolazione crescere molto rapidamente. L’Irlanda, al contrario, non
riesce a star dietro a tale crescita e intorno al 1840 va incontro ad una crisi (trappola
malthusiana) che portò ad una grande carestia, ma allo stesso tempo, diede anche una
fortissima spinta all’immigrazione (alimentando il mercato del lavoro inglese).
Grazie all’innovazione tecnologica, gli effetti della trappola malthusiana scomparirono
completamente in Inghilterra.

Le componenti della crescita demografica furono:


I. Progressi nella scienza medica ! scoperta della vaccinazione contro il vaiolo
(una delle cause di mortalità più elevata);
II. Miglioramento produzione agricola e del reddito ! migliore alimentazione;
III. Miglioramento delle condizioni di vita ! inizialmente le condizioni di vita dovute
all’instaurarsi della Rivoluzione sono drammatiche, ma nel lungo periodo
migliorano;

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Si ha un abbassamento rilevante della mortalità mentre la natalità tende ad essere


meno stabile e man mano decresce. La crescita demografica iniziale si ha quindi
principalmente per un calo drastico
3. miglioramento della mortalità.
delle condizioni di vita.

Tassi di natalità e mortalità in Inghilterra e Galles (per mille)

40 Natalità
35
30
25
20
15 Mortalità
10
5
0
1780-90 1790- 1800-10 1810-20 1820-30 1830-40 1840-50 1850-60 1860-70 1870-80
1800
Decenni

Storia dei sistemi economici 2015-2016 Andrea Bonoldi


Istituzioni ! Perché la rivoluzione industriale è avvenuta in Inghilterra e non in Spagna o
in Francia, anch’esse affacciate sull’Atlantico e in alcuni aspetti, come quello culturale,
più sviluppate rispetto allo Stato inglese? Il contesto istituzionale inglese è cambiato
molto prima rispetto al resto del continente europeo: già nel 600 si ha avuto il passaggio
dalla monarchia assoluta, con un ruolo centrale giocato dall’aristocrazia terriera, verso
una monarchia parlamentare. L’Inghilterra taglierà la testa al re molto prima dei francesi
e questa rivolta porta al consolidamento del Parlamento: non solo rappresenta ceti che
fino a quel momento erano rimasti marginali dal punto di visa politico (seppure
importanti su quello economico), ma limita anche fortemente il potere del re,
consentendo ai ceti più bassi di incidere sulla sfera politica. Il ruolo delle istituzioni assunse
quindi una posizione di primo piano all’ interno dello sviluppo industriale inglese.

La Gran Breagna d’inizio Settecento aveva quasi completato un processo istituzionale


volto a rafforzare l’ unità nazionale e a limitare i poteri della corona, della chiesa e della
grande aristocrazia feudale. A partire dal 1215 con la Magna carta libertatum a porre i
limiti all’ assolutismo, passando per la Petizione dei diritti del 1629 che limitava il potere
regio, per il Commonwealth e l’ Atto di navigazione del 1651 che imponeva la chiusura
al naviglio estero di tutti i porti britannici, compresi quelli coloniali, per favorire i mercanti
nazionali, fino ad arrivare all’ Habeas corpus Act del 1679 (sancì la libertà personale dei
sudditi ed interdisse la carcerazione arbitraria, garantendo la liberà dell’ individuo
rispetto allo stato) e al Bill of Rights (1689), le prerogative Parlamentari hanno sempre
cercato di trovare la manifestazione adeguata all’ interno del contesto.

Con il Bill of Right si sancì:

• Libertà di parola;
• Approvazione dei tributi e controllo della finanza statale;
• Proibizione al monarca di possedere un esercito stabile.

L’ Inghilterra inaugurava così una monarchia costituzonale limitando di fatto i poteri del
re a vantaggio degli inalienabili diritti dei sudditi e deputando il Parlamento a legiferare.
Il sistema giuridico flessibile del Common Law, non limitato dalla burocrazia, consentì
veloci cambiamenti ed innovazioni. I nuovi gruppi sociali cominciarono ad essere
rappresentati in Parlamento, sempre più orientato verso il sistema aperto dell’
individualismo.
La libertà personale, di parola e la mancanza di una censura sulla stampa, assieme al
controllo esercitato dal Parlamento sull’ azione del governo, fecero sì che spirito
aristocratico e garanzie dei diritti civili s’ integrassero armoniosamente.

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Tre questinioni istituzionali, regolate dal Parlamento con speciali norme, ebbero
conseguenze economiche decisive:

• chiusura e recinsione delle campagne (rivoluzione agraria);


• regolamentazione del lavoro artigianale;
• eliminazione di monopoli e di privilegi di concessione regia.

Nel 1621 il Parlamento votò l’ Enclosure Bill, una legge quadro che disciplinava la
chiusura dei campi aperti a favore dell’ individualismo agrario, ma solo nel 1801 un
General Act of Enclosure uniformò la disciplina ed elevò a norma la prassi.
Il settore agricolo venne quindi privatizzato, conferendo diritti di proprietà sulla terra ed
incentivando a produrre sempre più per il mercato. Si sosteneva che le leggi relative al
commercio e all’ industria dovessere essere completamente annullate, essendo
divenute dannose per il commercio (sistema corporativo). Una situazione così gravida di
conflitti economici e sociali fu efficacemente controllata grazie all’ esistenza di leggi sui
poveri, che obbligavano ogni parrocchia a distribuire sussidi ai bisognosi (prelevanti dai
gettiti dell’ imposta fondiaria).
Fin dai primi del Seicento, nella Camera dei Comuni era andato crescendo il peso dei
parlamentari mercanti e affaristi, che mal tollerava limitazioni poste alla loro attività. Lo
statuto dei monopoli (1624) non solo cancellò ogni privilegio economico, ma introdusse
nel diritto inglese il sistema dei brevetti, che garantiva lo sfruttamento economico d’
autentiche innovazioni per un limitato periodo di tempo, costituendo un incentivo all’
innovazione.

A differenza degli altri paesi europei, però, nelle isole britanniche fin dal Seicento era
andata formandosi una struttura sociale al cui vertice c’ erano grandi proprietari fondiari
(Lords e gentry), nella fascia mediana proprietari diretti coltivatori e fittavoli (affitto e
sfruttamento dei terreni in cambio di denaro verso le casate aristocratiche) che
investivano capitale di rischio sfruttando dal Settecento un crescente numero di
braccianti salariati ingaggiati stabilmente, oppure di operai precari assoldati a giornata.
Le innovazioni agronomiche adottate sui terreni recintati nel corso del Seicento avevano
accresciuto il numero dei fittavoli agiati e dei piccoli proprietari terrieri, le figure sociali
emergenti dell’ Inghilterra preindustriale. I giudici svolsero un ruolo, totalmente
indipendente rispetto a Londra, di mantenimento dell’ ordine pubblico, di relutamento
dell’ esercito e di controllo dell’ applicazione delle leggi. La riforma protestante ebbe
invece due effetti sociali e culturali di rilievo:

- la riduzione del numero delle feste portò ad un aumento delle giornate lavorative
e conseguentemente dei redditi;
- la diffusione dell’ istruzione di base , in quanto il fedele era abilitato a leggere ed
interpretare personalmente le sacre scritture. Una crescente schiera di lettori
indusse stampatori ed editori a pubblicare opere in inglese, piuttosto che in
latino. L’ Inghiterra, dopo l’ abolizione della censura preventiva (1695), divenne il
primo paese nel quale si formò un opinione pubblica e dove la stampa
quotidiana e periodica divenne il primo mezzo di pressione politica. È importante
ricordare il Copyright Act del 1707 in questo contesto.

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Ricapitolando:

• Tra le varie conseguenze, all’interno dell’ambito legislativo si ha un forte


rafforzamento dei diritti individuali !Magna carta (1215): limita il potere del re
ma pur sempre a favore dell’aristocrazia. Il vero passaggio è costituito dal Bill of
Rights (1689), che può essere considerato il vero e proprio documento di
Costituzione. Esso limitava il potere del sovrano da parte del Parlamento !
parlamentarismo verso il “no taxation without representation”.

• Introduzione dell’Habeas Corpus Act (1679): senza la formulazione precisa del


reato da parte di un giudice non è possibile arrestare nessuno ! sistema
giuridico flessibile: non è possibile limitare la libertà degli individui senza una
chiara giustificazione giuridica;

• Individualismo concorrenziale ! la corona concedeva ad un singolo


imprenditore il commercio di un prodotto perché le veniva pagata una certa
somma di denaro (vantaggio fiscale). Il monopolio veniva concesso anche in
cambio di supporto politico. C’era quindi vantaggio sia per il monopolista che
per il sovrano, a discapito di cittadini che, rispetto ad una situazione di
concorrenza perfetta, devono pagare un prezzo maggiore.
• Introduzione dei brevetti ! consente di tutelare lo sforzo dei soggetti nel cercare
di introdurre innovazioni e questo costituisce un incentivo (spinta all’innovazione);

• Sul fronte agricolo, il cambiamento fondamentale dal punto di vista giuridico


sono gli enclosures (recinzioni delle terre comuni): le terre comuni, sfruttate sulla
base delle consuetudini comunitarie, vengono privatizzate diventando di
proprietà di singoli soggetti, con due effetti:

a. Negativo ! i contadini poveri non riescono più a comprarsi la terra che


viene privatizzata ed sono quindi esclusi quindi dalla sussistenza:' vengono
o sfruttati (sottopagati) come forza lavoro nell’ambito agricolo, o cacciati
dalle campagne e sfruttati nel settore della manodopera (settore
industriale). I prodotti industriali, dato il basso costo della manodopera,
diventano competitivi sul mercato concorrenziale (la capacità della Cina
di entrare nel mercato internazionale fu proprio il basso costo della
manodopera).

b. Positivo ! gli enclosures garantiscono i pieni diritti sulla terra e questo


rappresenta un incentivo ad investire tempo e risorse, con la
conseguenza di uno spostamento dall’autoconsumo al mercato.

• L’Inghilterra fu anche favorita dal suo sistema giuridico di common law che favorì
la Rivoluzione. Tale sistema non si basa su leggi scritte ma su consuetudini: le leggi
ci sono comunque ma il sistema tiene si basa sulle decisioni prese dal giudice nei
casi precedenti. È un sistema molto più elastico che consente di recepire le
trasformazioni che stanno avendo atto all’interno della società.

È evidente quindi come tale combinazione tra cambiamenti di natura politica e


cambiamenti di natura istituzionale-giuridico, crea un terreno fertile per l’affermazione
della Rivoluzione industriale in Inghilterra.

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Tecnologia ! trasformazione agricola

All’ inizio del Settecento la maggior ricchezza prodotta in Gran Bretagna proveniva dal
settore primario e la percentuale più alta di persone economicamente attive
lavoravano nelle campagne. Nel corso del XVIII secolo la produttività agricola
raddoppiò per effetto dell’ individualismo agrario e di novità agronomiche di rilievo
come:
• coversione dei maggesi in campi coltivati;
• semina di piante da foraggio;
• tecniche selettive nell’ allevamento bovino;
• adozione delle prime macchine.

La stipula dei contratti d’ affitto da parte dei fittavoli imprenditori agricoli di lunga durata
permetteva loro di fare investimenti migliorativi sulle terre e di poterne raccogliere i frutti.
Né meno importante erano le informazioni tempestive a proposito dei prezzi dei fattori
produttivi e dei prodotti. Anche i rampolli della gentry e della grande nobiltà non
disdegnavano di occuparsi direttamente dello sfruttamento economico, senza dover
rinunciare allo stile di vita tipico dell’ aristocrazia. Nelle campagne inglesi:
• gli agricoltori (imprenditori) erano la maggioranza e i contadini la minoranza;
• la maggior parte dei prodotti era orientata allo scambio interno ed esterno;
• al mercato dei prodotti si affiancò preso quello dei fattori;
• il pagamento dei salari in moneta divenne una regola;
• la grande estensione delle aziende agricole e le prefezionate rotazioi agrarie
permisero di integrare agricoltura e allevamento.

Fino al 1760 l’ offerta si adeguò prontamente alla domanda, come avviene in ogni
mercato di concorrenza in un sistema economico. Nel periodo successivo
l’ eccessivo aumento della popolazione comportò l’ importazione di una parte delle
scorte cerealicole, riuscendo a sfamare una popolazione in rapida crescita quasi
esclusivamente con la produzione interna, il paese fu sempre al riparo da ingenti
importazioni di cereali. Nella seconda metà del Settecento, quando i prezzi delle derrate
agricole cominciarono a salire, i redditi degli agricoltori sostennero la domanda interna
di manufatti i cui prezzi, grazie all’ adozione di macchine, satavano calando. Si formò
cos’ un circuito virtuoso: domanda crescente-prezzi in flessione, che concorse a
sostenere l’ avvento di un mercato di massa di beni industriali.

Rivoluzione agraria ! ambito istituzionale: riguarda le trasformazioni che hanno luoghi


nei rapporti di proprietà all’interno del sistema rurale. Si passa dalla prevalenza degli
open fields a quella degli enclosures, che favorisce un’intensificazione dello
sfruttamento della terra a favore di un’economia di mercato.

Rivoluzione agricola ! ambito tecnologico: cambiamento degli strumenti tecnologici


nell’ambito delle tecniche agricole, che ebbe riflessi importanti sull’aumento della
produttività del settore, sia per unità di superficie che per unità di forza lavoro.
innovazioni sia in ambito agricolo che industriale, avvengono per tentativi ed errori, e
vengono svolti non da ingegneri o tecnici qualificati, ma da artigiani spesso anche
analfabeti, che introducono cambiamenti per rendere le macchine più efficienti allo
scopo di aumentare la produttività. Quindi è un processo di innovazione graduale. Lo
spostamento della popolazione dal settore primario al secondario, fanno esplodere la
domanda di prodotti agricoli che l’Inghilterra riesce comunque a soddisfare. Il passaggio
dalla rotazione biennale a quella triennale, porta, durante la Rivoluzione, a coltivare
tutta la terra coltivabile.

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Il settore agricolo (rivoluzione agricola) svolse quindi il ruolo di motore del mutamento
economico, soprattutto per i guadagni di produttività realizzati, grazie ad investimenti in
infrastrutture e tecnologie. L’ elemento di fondo fu l’ eliminazione del maggese a favore
dell’ utilizzo di varietà di fertilizzanti, piante e legumi che fissavano l’ azoto atmosferico,
insieme all’ ingente miglioramento tecnologico. Lo sviluppo urbano allargò la domanda
di prodotti alimentari e l’ aumento dell’ offerta di questi prodotti favorì a sua volta lo
sviluppo urbano e industriale. I guadagni d’ efficienza in agricoltura, nell’ aumentare la
produttività del sistema complessivo, favorirono anche una diminuzione dei costi e quindi
dei prezzi, per effetto della formazione di un mercato fortemente concorrenziale delle
derrate agricole, che migliorò il potere d’ acquisto dei consumatori. La manodopera
che veniva rimpiazzata da macchinari trovava impiego nelle manifatture rurali, in quelle
urbane, nel commercio e nei servizi, senza creare tensione tra domanda ed offerta di
derrate agricole. Le nuove fonti d’ energia inanimate comportarono in definitica
inevitabili aggiustamenti tecnologici.

Il risultato di queste trasformazioni in ambito agricolo è sia l’aumento della produzione


agricola sia la possibilità di investire in risorse nell’ambito zootecnico: la produzione
cresce anche nell’ambito del foraggio per il bestiame e questo ha ricadute importanti
sull’alimentazione delle persone (miglioramento della dieta europea).

Nel contesto dell’innovazione tecnologica il ruolo dei brevetti risulta quindi essere
fondamentale, in quanto funge da incentivo: incentiva le innovazioni molto di più di quel
che vincola colui che deve pagare per ottenerlo;

Trasformazione dei trasporti ! le strade inglesi erano note nel 700 per essere tra le
peggiori strade europee. Gran parte della rete ancora si basava su quello che era il
tracciato romano. Il clima causava il dilagamento del manto stradale e questo rendeva
la superficie stradale molto irregolare, e quindi ostacolante per l’utilizzo dei mezzi di
trasporti. La trasformazione avvenne quando fu introdotta un’innovazione sotto il profilo
tecnologico e istituzionale-giuridico:

Profilo tecnologico ! costruzione a strati con materiali consistenti e curvatura del manto
stradale per favorire il drenaggio delle acque. Tali sistemi, per quanto utili e funzionanti,
sono molto costosi: le comunità locali avevano la competenza sulle strade del territorio
ed era quindi a loro che competeva la manutenzione. La loro mancanza di risorse
finanziarie spiega la povera condizione delle strade. Qui entra in gioco l’innovazione
istituzionale-giuridica.

Profilo istituzionale giuridico ! lo Stato comincia a concedere ai privati vari tratti di


strada: il privato si occupa della sua manutenzione e in cambio può chiedere un
pedaggio (c’erano anche prima): il concetto era di premiare la percorribilità attraverso
la possibilità di riscuotere tale pedaggio. Tale trasformazione istituzionale provoca un
incentivo alla concorrenza: affinché si passi sul mio tratto di strada piuttosto che su quello
di un mio concorrente, investo nella mia strada per migliorarla. Questo garantisce tempi
di percorrenza più bassi, elemento fondamentale per lo sviluppo economico: le strade a
pedaggio trasformano le stradi peggiori d’Europa in strade efficienti per la distribuzione
di merci. A questa trasformazione dei trasporti se ne unisce un’altra, quella del trasporto
via canali, per far fronte ai costi dovuti al trasporto di elevate quantità di merci.
La vera forza inglese è rappresentata dalla sua marina mercantile, che le permise di
diventare una potenza straordinaria: dal 600 la strategia inglese sarà quella di diventare
il doppio più forte rispetto alla seconda flotta mondiale (olandese), investendo una
quantità enorme di naviglio.

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Tra i vari investimenti in questo ambito, da ricordare è il provvedimento “Navigation act”


! legge che vietava a vascelli non inglesi di trasportare merci all’interno del paese
inglese (protezionismo). Tuttavia, sebbene il trasporto dei canali risultava essere molto
meno costoso rispetto a quello stradale, non lo era la sua realizzazione. Ecco che anche
qui è necessaria un’innovazione istituzionale (Spa). È infatti proprio intorno alla nascita
dei canali che si sviluppa la società per azioni: fu la necessità di raccogliere capitale e
quindi di assumersi il rischio nella costruzione di questi canali a favorire lo sviluppo di
queste società.

La conseguenza di queste trasformazioni nell’ambito delle comunicazioni è la


solidificazione del sistema economico, garantita dalla riduzione dei costi e dei tempi di
trasporto (è fondamentale la regolarità e la precisione dei tempi di consegna). Inoltre, lo
sviluppo dei trasporti consentiva di liberare forza lavoro.

In questo contesta, un ruolo fondamentale è giocato dall’attività commerciale !


sistema su cui scorrono le materie prime e in verso opposto, le materie prime e i prodotti
della manifattura inglese venduti nel mondo. C’è un legame inscindibile tra commercio
e industria: dal commercio arriva gran parte del capitale che viene investito nel settore
industriale (cosa che non veniva garantita dal sistema tradizionale). Da qui deriva quella
che Marx chiamava la “accumulazione originaria del capitale” ! capitale necessario
per portare avanti il settore industriale.

La Rivoluzione industriale è resa possibile prevalentemente dall’innovazione tecnologica.

I due settori chiave della Rivoluzione industriale in Inghilterra sono il cotonificio e il settore
siderurgico:

SETTORI DEL PRIMO SVILUPPO INDUSTRIALE

Cotonificio: - cardatura cardatrice di Paul


- filatura 1764: “Jenny” di Heargreaves
1769: “Water Frame” di Arkwright
1779: “Mule” di Crompton
- tessitura 1733: spoletta di Kay
1785: telaio meccanico di Cartwright

Siderurgia: - impiego del coke 1709: Darby

- puddellaggio e laminatura 1783: Cort

Tonnellate di metallo trattabili in 12 ore


Sistema tradizionale al maglio: 1 t.
Sistema di Cort: 15 t.

Storia dei sistemi economici 2015-2016 Andrea Bonoldi 21

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Cotonificio ! risponde alla maggior domanda presente nel mercato ed è un tessuto


che si lavora molto facilmente (produzione meccanizzata). Sono proprio le innovazioni in
campo agricolo a permettere di risparmiare sul fattore lavoro: produzione di una
maggiore quantità di merci a parità di lavoro e costi (es. Spoletta di Kay: consente di
realizzare delle pezze con un ampiezza molto maggiore rispetto a quella usuale delle
braccia, e questo consente di raddoppiare l’utilità di un lavoratore). La filatura si
evolverà successivamente (telai). L’idea è quella che l’innovazione tecnologica tolse
forza lavoro: in realtà questo non successe perché la riduzione dei costi e quindi la
crescente domanda di prodotto, permisero di mantenerla costante.

Siderurgia ! principalmente nella produzione dell’acciaio (prodotto precedentemente


alla Rivoluzione industriale). La produzione su larga scala di acciaio, meno costosa
rispetto alla produzione originaria, e che quindi può essere accessibile a tutti, è
fondamentale per realizzare macchinari sempre più efficaci e meno costosi. Questo
passaggio in Inghilterra trova l’ostacolo della materia prima: l’Inghilterra di fatti
importava l’acciaio dalla Svezia e dalla Norvegia. Quest’ostacolo venne risolto grazie ad
un incredibile innovazione, nel 1709, di Darby: capì che si poteva ridurre l’emissione di
residui della combustione tramite la distillazione del carbone fossile in forni chiusi, dando
così origine al carbone coke (carbone trasformato che consentirà di produrre acciaio
con quella risorsa che in Inghilterra era preponderante e poco costosa, il carbone
fossile). La scoperta del carbone coke diventa una chiave fondamentale per la
comprensione della crescita industriale. Nel 1973, Cort introduce due ulteriori innovazioni:

• Pudellaggio: durante il processo di fusione si eliminano dalla massa fusa tutte le


impurità, ottenendo una migliore qualità dell’acciaio:
• Laminatura: processo tramite il quale la massa fusa viene fatta passare in mezzo
a dei rulli, che a seconda della loro forma, producono materiali di origine diversa,
velocizzando la produzione dei semilavorati d’acciaio. Si ha un aumento della
produzione di 15 volte superiore rispetto a quella precedente (! riduzione dei
costi).

La combinazione di queste innovazioni portò ad un aumento della produzione e alla


diminuzione dei costi, diffondendo l’uso del ferro.

Produzione di ghisa di prima fusione in Inghilterra

2000
Tonn. x 1000

1500

1000

500

0
1740 1750 1760 1770 1780 1790 1800 1810 1820 1830 1839
Anni

Storia dei sistemi economici 2015-2016 Andrea Bonoldi 22

Intorno al 1839 si ha un’ innovazione che richiederà un enorme utilizzo di acciaio:


il treno.

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La Rivoluzione industriale è di per sé una rivoluzione energetica (sfruttamento di carbone,


legno, acqua etc.):

• Macchina a vapore ! nella seconda metà del 700, si arriva a realizzare una
macchina a vapore sufficientemente efficiente, proprio grazie all’acciaio (James
Watt, 17969). Ha il grande vantaggio di non avere il vincolo localizzativo (a
differenza del mulino) e questo spinse il processo di industrializzazione intorno alle
città (economie di agglomerazione).

Ferro e cotone, carbone e macchina a vapore costituiscono i capisaldi della


rivoluzione industriale inglese, per l’elevato tasso di innovazione
tecnologica, le nuove forme di organizzazione del lavoro, l’estensione dei
mercati di sbocco, le forti ricadute su tutta l’economia.

• Pompa di Newcomen (1712) ! aveva un grado di efficienza dal punto di vista


termico molto basso, ma risolse il problema dell’allagamento delle gallerie
(causata dalla perforazione delle falde acquifere, durante l’estrazione del
carbone). Aspirava l’acqua tramite l’azionamento delle sue pompe, rendendo le
miniere di carbone molto più efficienti.

Si passa dalle attività relativamente piccole decentrate alla concentrazione di forza


lavoro in un unico edificio (per sfruttare al massimo il meccanismo delle economie di
scala) ! spostamento della popolazione verso le aree urbane.

L’officina di Boulton (genio commerciale) e Watt (genio tecnico), 1775 ! le


macchine incominciano ad avere una forma diversa a seconda dell’impiego a loro
assegnato.

La macchina a vapore trasporta


una quantità di peso rilevante
rispetto a prima e questo rende
possibile la realizzazione della
ferrovia ! ha dei tempi di
affermazione molto rapidi, mentre
il processo di costruzione è
piuttosto lungo ! già all’inizio del
600 si era riusciti a realizzare una
locomotiva particolarmente
efficiente, ma troppo pesante per
essere sorretta dai binari.

Nel 1825, George Stephenson


progetta una locomotiva molto
più leggera e questo fu reso
possibile anche grazie ai binari
realizzati in acciaio Nel 1830 viene
inaugurata la prima locomotiva
Liverpool-Manchester.

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L’economia nella società inglese cambia radicalmente: diventa una potenza coloniale
e commerciale mondiale. Materialmente tutto ciò viene rappresentato nel 1851 con
l’esposizione londinese di Crystal Palace! manifestazione architettonica della potenza
inglese (mostra al mondo il livello raggiunto dall’industrializzazione inglese).

A quell’epoca in Inghilterra di producevano:

• i due terzi del carbone mondiale


• circa la metà del ferro,
• il 70 % dell’acciaio
• circa la metà del tessuto di cotone prodotto
industrialmente
•il 40 % di macchinari e attrezzature

Questo processo aveva portato con sé profonde trasformazioni nel modo di vivere e di
produrre.

Tra 1801 e 1851 la popolazione inglese era passata da 10,7 a 20,9 milioni di persone e si
era spostata dal settore agricolo al settore manifatturiero ! l’Inghilterra è diventata un
paese industrializzato.
Reddito globale e pro-capite in Inghilterra a prezzi costanti
1801-1851 (1801=100)
400
350
300
250 Reddito globale
200
Reddito pro-capite
150
100
50
0
1801 1811 1821 1831 1841 1851
Anni

Straordinaria crescita del reddito globale (PIL), e aumento del 50% di quello pro-capite.

Il livello di vita della popolazione migliorò, non mancarono però i costi sociali:
• Le trasformazioni radicali costano;
• Gli artigiani e la popolazione rurale non proprietaria sono coloro che pagano
maggiormente le conseguenze dell’industrializzazione: i prodotti dell’artigiano,
per quanto abbiamo una qualità migliore, hanno un prezzo più elevato e si
trovano essere “emarginati” dal mercato;
• Inurbamento troppo rapido: le condizioni di vita iniziali sono terribili;
• Sfruttamento del lavoro di donne e bambini;

I processi di trasformazione tecnologica ed economica sono molto rapidi (molto di più di


quelli culturali) e non tutti riescono a stargli dietro (tempi di metabolizzazione molto
lunghi). Oltre al fatto che si riscontrano grossi problemi di gestione. Nel primo Ottocento
lo sviluppo industriale fu favorito anche dalla modesta quantità di capitale che era
necessario investire per fare industria, grazie a strumenti tecnici che sveltivano i ritmi
produttivi e ne miglioravano l’ efficacia.

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L’estrazione di carbon fossile a bassi costi incentivò gli investimenti in macchine a


vapore, secondo un circolo virtuoso innescato dall’applicazione di capitale tecnologico
alla produzione di beni intermedi. Se siderurgia e meccanica esigevano consistenti
investimenti fissi, nel settore cotoniero prevaleva invece il capitale circolante, in quanto
vi era una domanda larga ed elastica di manodopera a basso salario. In definitiva i
progressi permisero di ingrandire gli impianti, abbatter i costi unitari e di accrescere il
volume prodotto e le esportazioni. Scaduto il brevetto di Boulton e Watt, le fabbriche di
macchine a vapore si moltiplicarono e furono aperte officine per costruire telai
automatici di metallo e parti di mulini e filatoi.
Fino a metà Ottocento quasi tutte le imprese britanniche furono individuali o familiari,
tanto che la coincidenza tra proprietà e gestione diretta dell’impresa era la regola.

Nel periodo intorno al 1848 i mercati esaurivano la loro capacità d’assorbimento della
crescente offerta di beni e servizi, mentre vi fu una caduta dei margini di profitto, mentre
il prezzo del pane restava alto a causa degli alti dazi protettivi.
Il malcontento degli operai proveniva tanto dai salari da fame, quanto dai mutamenti
dei ritmi di vita e dei tradizionali orizzonti culturali. La possibilità di integrare i redditi
agricoli con quelli manifatturieri stava progressivamente venendo meno.
L’industrializzazione sostituì al servo l’ operaio, riconducendo uomini e donne a merce
fittizia. Nella fabbrica, i ritmi delle macchine e l’illuminazione artificiale imposero una
monotonia sconosciuta.
I nuovi quartieri erano uno dei maggiori risultati dell’industrializzazione: messi insieme in
gran fretta, inquinati e senza servizi pubblici, creavano enormi disagi sociali. Le città
distrussero anche le tradizionali relazioni umane, mentre nella prima metà dell’Ottocento
si abbatterono sul paese periodiche ondate di malcontento e di malessere sociale.
Fin dai primi decenni dell’Ottocento, l’ esportazione di tessuti di cotono e di lana, i
prodotti siderurgici e macchine svolse un ruolo strategico nella crescita economica e
nello sviluppo inglese, nonostante il blocco napoleonico del 1806 e benché il paese
fosse iperprotezionista fin dalla metà del Seicento (Navigation Act). Di fronte ad un calo
consistente dei prezzi del grano che portò al fallimento di numerosi fittavoli, nel 1815 il
Parlamento votò la legge protettiva del grano nazionale (Corn Law) volta ad impedire le
importazioni di cereali a basso prezzo. Durante lo stesso periodo emersero le opinioni dei
liberoscambisti, favorevoli all’abbattimento dei dazi, guidati da David Ricardo. Egli notò
che i dazi sui grani mantenevano artificiosamente alti i prezzi dei beni di prima necessità
e, di conseguenza, anche i salari correlati al carovita erano alti, con danno per gli
industriali che, potendo pagare salari inferiori, avrebbero più facilmente esportato i loro
prodotti. Si profilava un conflitto di interessi tra agrari ed industriali.

Nel 1822 vennero ridotti i dazi doganali sulle materie prime e sui prodotti industriali,
attenuati gli Atti di navigazione del 1651 (monopolio dei trasporti delle merci estere nel
Regno Unito e nelle colonie alla flotta britannica), nel 183 furono ritoccate al ribasso le
tariffe doganali, nel 1832 entrarono in Parlamento numerosi industriali e mercanti convinti
assertori del liberoscambismo e dell’ esigenza che il governo assicurasse all’ intera
collettività il massimo vantaggio possibile. Essi affermavano che i diritti doganali
riducevano le dimensioni del mercato nazionale e di quello estero perché, mentre
riducevano il potere d’acquisto degli operai inglesi, alzando i prezzi del grano, dello
zucchero, del burro, etc., limitavano anche la capacità d’acquisto dei paesi esportatori,
desiderosi di vendere in Inghilterra le loro materie prime per poter acquistare manufatti
industriali. Tutti i dazi e le tariffe furono abbassati e vennero eliminati i divieti di entrata di
talune merci.

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Da metà dell’Ottocento, con l’introduzione del liberoscambismo, la dipendenza inglese


dal commercio internazionale s’ accentuò e vennero al pettine i molti nodi connessi a
uno dei caratteri originari dello sviluppo britannico: la ristrettezza del mercato interno. La
popolazione non era ancora abbastanza numerosa e danarosa da sostenere con la
proprio domanda un apparato industriale e commerciale in continua crescita.
L’Inghilterra era quindi dipendente dal mercato estero per lo sbocco dei prodotti
industriali, piazzati in virtù delle relazioni commerciali preferenziali con le colonie e con i
paesi economicamente arretrati, in cambio di materie prime, di merci coloniali e di
derrate alimentari. Le economie in corso d’ industrializzazione, dopo essersi avvalse dei
capitali finanziari e delle tecnologie inglesi, dagli ultimi anni Settanta protessero i prodotti
nazionali dalla concorrenza britannica con dogane sempre più alte, per consolidare
standard tecnici tanto elevati da permettersi di affrontare e battere sui mercati esteri la
concorrenza. Diversi fattori esterni contribuirono ad aggravare una situazione
socioculturale per molti versi statica. Il sistema scolastico britannico non fu all’ altezza
della sfida posta dal crescente bisogno di capitale umano, inoltre il modello e i valori
culturali di riferimento della gentry e dell’ aristocrazia fondiaria, erano quanto di più
lontano potesse esistere dell’ ingegneria industriale e dal management. Erano assenti le
Banche miste, poi fondamentali per il processo di industrializzazione in Belgio e
Germania. Furono numerosi i costi sociali del processo d’ industrializzazione:

• Le trasformazioni radicali costano;


• I perdenti: popolazione rurale non proprietaria, artigiani;
• Le conseguenze di un inurbamento troppo rapido;
• Il lavoro sfruttato: bambini e donne;
• Rottura dei legami comunitari e spersonalizzazione del lavoro.

DALL’INGHILTERRA ALL’EUROPA CONTINENTALE: le differenziazioni nel processo di


industrializzazione.

Abbiamo due interpretazioni della Rivoluzione industriale:

1. ROBERT C. ALLEN ! la Rivoluzione va letta soprattutto alla luce dei costi di


produzione: c’è una disponibilità finanziaria notevole, grazie alle attività di
commercio internazionale. La forte spinta all’innovazione tecnologica è spiegata
dagli investimenti: gli imprenditori investono in capitale, dato l’elevato costo del
fattore lavoro. Tuttavia il costo di quest’ultimo varia da settore a settore e da
paese a paese. Il fatto che le materie prime costino poco, fa si che si risparmi sul
fattore lavoro. Nell’ottica di Allen quindi, istituzioni politiche e cultura contano
poco, ciò che incide veramente è il prezzo relativo dei fattori.

2. JOEL MOKYR ! dà molta importanza ai fattori politici e istituzionali: l’innovazione


tecnologica avviene grazia alla cultura frutto dell’illuminismo francese,
dell’empirismo inglese nonché di incentivi (brevetti). C’è quindi un illuminismo
economico che promuove l’innovazione.

Interpretazioni diverse, ma nessuna delle due può essere considerata sbagliata, perché
considerano variabili differenti.

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VI. DECLINO INGLESE


6. Declino inglese e ascesa degli USA e del Giappon

Charles Sheeler's "American Landscape," 1930 (National Gallery of Art)

L’Inghilterra, fortissima nell’industria tessile e siderurgica, verso la metà dell’800


esaurisce la sua dinamica spinta imprenditoriale. Il suo grande sviluppo, reso
possibile anche dall’essere partita da sola, senza rivali, viene messo in crisi
dall’avanzare dei nuovi paesi emergenti. Nel periodo compreso tra l’abolizione
delle leggi sui cereali (1846) e l’avvio della grande depressione (1873), il volume
del commercio internazionale crebbe enormemente: fu quello il periodo aureo
dell’economia inglese, ma anche l’epoca a partire dalla quale cominciò a
perdere il suo primato industriale. Le cause del suo declino furono:

• Ascesa di altre nazioni che fanno concorrenza all’Inghilterra con forme


organizzative e tecnologiche più avanzate di quelle raggiunte dal paese inglese
in precedenza. A questo si aggiunge la mancanza inglese di banche miste
(banca universale o mista) per il finanziamento d’imprese industriali che, nel
secondo Ottocento, come abbia visto, sono state decisive nel processo
d’industrializzazione di Germania e Belgio.
• L’Inghilterra non riesce ad essere competitiva sui nuovi settori che vengono ad
affermarsi (industria elettrica, automobilistica, chimica, etc.), sebbene fosse la
colonna portante dell’industria siderurgica e tessile. Il venir meno della spinta
imprenditoriale, fu dovuto anche al fatto che in Inghilterra iniziarono ad essere
remunerativi altri settori oltre a quello industriale, in particolare quello finanziario
(Londra era la capitale finanziaria del mondo) e del commercio internazionale
(attività di investimento alternative al settore industriale).
• Il sistema scolastico non fu all’altezza della sfida posta dal crescente fabbisogno
di capitale umano, né il sistema universitario si adattò all’esigenza di trasmettere:
l’élite tende a dare più importanza ad una formazione umanistica piuttosto che
tecnica scientifica (tutt’oggi, un avvocato ha più “importanza” di un ingegnere).
• Dipendenza dal commercio estero: da metà ottocento, con l’introduzione del
liberoscambismo, la dipendenza inglese dal commercio internazionale si
accentuò. Fino al 1895, le esportazioni inglesi aumentarono più rapidamente del
reddito nazionale (in altri termini, una quota crescente del reddito inglese se ne
andava all’estero). Alla lunga il primato britannico fu messo però in questione: le
economie in via di sviluppo abbracciano il protezionismo per affrontare e battere
sui mercati esteri la concorrenza britannica, e questo comporta costi elevatissimi
all’Inghilterra che tenta invece di mantenere il primato.

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VII. L’INDUSTRIALIZZAZIONE IN EUROPA


Il crescente potere inglese provoca da una parte timore, e dall’altra dà una spinta al
cambiamento (balance of power). È una diffusione che procede da nord ovest a sud
est, esclusi i paesi dell’Europa orientale, a sud delle alpi (Penisola balcanica) e a ovest
dei Pirenei (Penisola iberica). Ogni realtà che si sviluppa seguendo il modello inglese,
attraversa le seguenti 5 fasi:
1. Economia tradizionale: la fase iniziale è caratterizzata da bassa crescita del
reddito:
2. Fase di transizione: investimento in ambito produttivo;
3. Take-off: crescita importantissima della capacità del sistema produttivo dovuta
soprattutto agli investimenti;
4. Maturità: rallentamento della crescita ! è necessario un mercato
sufficientemente ampio, in grado di assorbire tutta la produzione;
5. Consumo di massa: aumento della retribuzione che consente un maggior
acquisto e consumo dei prodotti.

Ad ogni innovazione tecnologica, il ciclo riparte. Bisogna concentrarsi sulla fase del
take-off per comprendere i veri fattori dello sviluppo. Questo modello di fasi ha il
grosso difetto di presupporre che in tutti i paesi si verifichi la stessa cosa, ma così non
è: i paesi che arrivano dopo hanno la possibilità di imitare quelli prima e di non
sostenere tutti gli errori dei tentativi passati. Quindi in qualche modo sono
avvantaggiati, nonostante debbano recuperare il “vantaggio” perso di essere
arrivati dopo.

ALEXANDER GERSCHENKRON: tutti i paesi che arrivano dopo operano in una realtà
diversa da quella affrontata dall’Inghilterra:
• Svantaggi ! pressione temporale dovuta al fatto che devono cercare di
reggere la competizione;
• Vantaggi ! possono analizzare i percorsi seguiti dai paesi già industrializzati e
non commettere gli stessi errori. Inoltre, i paesi ritardatari rispetto a quelli che
conoscevano già l’industrializzazione hanno dei tassi di crescita molto più rapidi
! convergenza verso i paesi già industrializzati. Quindi, a seconda di quando un
paese affronta il processo di industrializzazione, cambiano le condizioni di gioco.

L’accumulazione necessaria del capitale (che nel caso inglese si sono accumulate nel
tempo grazie ai proventi del commercio internazionale), per questi paesi è resa possibile
da fattori sostitutivi. Ad esempio, nel caso Russo è lo Stato che si fa promotore stesso
degli investimenti per avviare il processo di industrializzazione; nel caso tedesco il fattore
sostituivo sono le banche, che non investono in attività sicure (titoli), ma in attività più
rischiose (imprese industriali).

La dimensione spaziale, Sidney Pollard ! nei singoli stati i processi di sviluppo non
sono omogenei, ma avvengono in maniera diversificata, ovvero si concentrano solo in
alcune zone. Capire su scala regionale i fattori che hanno favorito tale processo aiuta
molto di più a comprendere lo sviluppo industriale rispetto ad uno studio su scala
nazionale, nonostante quest’ultimo sia l’aggregato di riferimento più importante. Pollard
invita quindi a guardare le singole aree (nel caso italiano ! Veneto, Marche, Emilia
Romagna, Toscana e il triangolo Milano-Torino-Genova). Il processo di industrializzazione
è quindi un processo LOCALE e in questo caso la scala nazionale può essere fuorviante:
non rispecchia la vera situazione industriale del paese.

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Inoltre, afferma che un’innovazione ha effetti diversi in base al contesto in cui si sviluppa.
L’esempio principale è quello della ferrovia (il cosiddetto “coronamento” del processo
industriale):

A. PAESI SVILUPPATI ! Ha contribuito ha creare un mercato internazionale


integrato (elemento fondamentale per lo sviluppo). Gli investimenti necessari per
la sua realizzazione sono un fattore di spinta per alcuni settori economici
(siderurgico, manifatturiero, etc.).
B. PAESI ARETRATI ! senza materie prime sufficienti e una conoscenza poco
adeguata, la realizzazione di una ferrovia si rivela portare diverse difficoltà
(costituisce a lungo andare uno svantaggio per il paese).

In base al tipo di economia (arretrata o meno), la ferrovia favorisce o sfavorisce il paese


in cui nasce.
First comers
In termini empirici si può definire sviluppata – nel corso dell’Ottocento – l’Europa a nord
dei Pirenei e delle Alpi e a occidente dell’Elba.
I paesi first comers possedevano le seguenti caratteristiche:

- Relativamente vicini all’Inghilterra;


- Dotati di risorse naturali (carbone, ferro) e di un’agricoltura relativamente
avanzata;
- Caratterizzati dalla presenza di esperienze protoindustriali di un certo rilevo;
- Relativamente aperti agli scambi.

La diffusione dell’industrializzazione nelle regioni del continente dipese tanto dai modi e
dai tempi pretesi dal trapianto di tecnologie, quanto dai caratteri geografici, dalle
tradizioni culturali, dagli assetti sociali e istituzionali, spesso assai differenti dal modello
inglese e dalle politiche statali. Una completa liberalizzazione delle tecnologie inglesi
sarebbe avvenuta comunque solamente nel 1843, con l’ adozione del liberoscambismo
delle merci.
Mentre dopo il Congresso di Vienna l’assolutismo monarchico in Europa occidentale
suscitava l’opposizione dei liberali, dagli anni Venti in qualche regione si profilarono
mutamenti economici analoghi all’ Inghilterra del secondo Settecento, a cominciare
dalle regioni affacciate sul Mare del Nord.

a) Belgio

b) Svizzera

c) Francia

d) Germania
'

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a) BELGIO

'
'
Il primo tra i first comers fu il Belgio, nonostante fino al 1830 fu sotto il dominio straniero
(quindi di fatto non ha una storia politica di stato Nazionale costituendosi proprio in
quell’anno). I vantaggi e le caratteristiche specifiche che hanno permesso al Belgio di
essere il primo Stato industrializzato del Continente europeo furono:

• Posizione: vicinanza territoriale all’Inghilterra e a potenziali mercati di sbocco


importanti (Francia e Germania);
• Risorse energetiche fondamentali, come miniere di carbone, ferro, piombo,
zinco, corsi d’acqua e attività proto industriale, commerciale e finanziaria.
• Immigrazione di tecnici: diffusione della tecnologia e dell’imprenditorialità di
origine inglese, i Cokeril (imprenditori inglesi che impiantano attività industriali in
Belgio, dove l’ambiente istituzionale favorisce le attività imprenditoriali);
• Presenza di numerosi centri di attività proto industriale;
• Politica economica ! Non ci sono impostazioni di centri di potere (come
l’aristocrazia terriera) che ostacolano l’industrializzazione. Anzi, la politica statale
era favorevole all’industrializzazione e promosse un’imprenditorialità moderna,
proiettando sul mercato internazionale gran parte della produzione;
• Costruzione di un’importante rete ferroviaria che mise in connessione il mercato
interno con i bacini commerciali;
• Nascita di un efficiente sistema finanziario ! società bancarie che hanno come
funzione quella di essere finanziatrice dell’attività industriale;
• Diffusione della forma giuridica delle società anonime (società per azioni) ! si
crea una struttura giuridica che contribuisce a raccogliere i capitali necessari per
il processo di industrializzazione (SPA, relativamente flessibili e comode per fund
raising);

Al centro del processo, da un punto di vista istituzionale, vi era una forte collaborazione
tra attività pubblica e privata, con il potere economico e politico concentrato nelle
mani della corte e degli imprenditori. I caratteri peculiari furono: la precocità dovuta al
facile accesso alla tecnologia inglese, la conseguente intraprendenza degli industriali
locali legata alla disponibilità di capitale finanziario e agli ottimi rapporti con le banche
e la politica statale favorevole all’industrializzazione, con larga parte della produzione
proiettata sul mercato, nonostante un diffuso protezionismo fino agli anni Quaranta.

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Il Belgio fu il primo paese industrializzato del continente, e mantenne a lungo una


posizione di preminenza.

Le esportazioni non smisero mai


Quota delle esportazioni belghe sul commercio internazionale
di crescere dai primi
europeo (1830-1910) dell’Ottocento al 1913. Nel
7%
1919 la quota di export belga
6%
sull’export mondiale era del
4% 7,3%. Dai primi anni Trenta, il
3%
Belgio era tra i maggiori poli
siderurgici e meccanici
dell’Europa, tant’è che nel
1830 1860 1890 1910 1835 furono realizzate le prime
locomotive e le prime rotaie
Anni
dell’Europa continentale. Un altro centro, Gand, ottenne verso il 1815 il monopolio
commerciale del cotone, proveniente dalle Indie olandesi, permettendogli di divenire il
maggior centro cotoniero dell’Europa continentale. La rapida meccanizzazione delle
operazioni di filatura e tessitura accelerò l’avvento della fabbrica con una forte
integrazione verticale.

GEOGRAFIA ! vicinanza all’Inghilterra e a mercati importanti, sbocchi sul mare, risorse e


trasporti;
DEMOGRAFIA ! i centri di una certa dimensione favoriscono la concentrazione
dell’industrializzazione (fitta rete urbana);
ISTITUZIONI ! Sistema legislativo che favorisce la nascita di forme societarie
particolarmente flessibili e disponibili al finanziamento (società anonime);
TECNOLOGIA ! enorme ricchezza agricola che porta alla specializzazione di nuovi
settori (trasporti urbani), agricoltura avanzata; per di più aveva facile accesso alla
tecnologia inglese;
CULTURA ! la tradizione commerciale e proto industriale fa si che ci sia una
predisposizione favorevole alla realtà industriale e conseguentemente una sua diffusione
rapida.

b) SVIZZERA

Un first comer senza porti, ferro e carbone: non aveva di fatto le caratteristiche per
diventare una realtà industriale. Eppure si sviluppò in tempi relativamente rapidi.

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Pur lontana dal mare e quasi priva di un moderno settore siderurgico per la scarsità di
materie prime, tra il 1830 ed il 1910 la Svizzera sperimentò una crescita economica di
primo ordine, anche grazie alle dimensioni modeste del Paese. Ad un risultato così
lusinghiero concorsero anche requisiti sociali e culturali, oltre ad altri importanti fattori
peculiari economici ed istituzionali, quali:

• Il particolarismo politico istituzionale e l’assenza di dogane fino al 1850, con il


confronto tra cattolici e protestanti che creava anche una certa competizione
interna;
• Un’agricoltura così povera da esigere che la manifattura domestica integrasse i
redditi e l’elevato protezionismo agricolo che permise ai contadini di non cercare
in massa il lavoro nell’industria, permettendo una certa esperienza nelle attività
commerciali; fu infatti consolidata esperienza nelle attività commerciali: era un
intermediatore commerciale grazie alla sua posizione centrale e questo le
permise di accumulare capitale.
• Gli investimenti in capitale umano (anche precedente attraverso
l’addestramento di mercenari per gli eserciti), conferendo un ruolo primario
all’istruzione; con la riforma protestante, la Svizzera ha un confronto ferrato tra
realtà cattolica e protestante che diede impulso all’alfabetizzazione (strumento
di trasmissione delle idee religiose). Questa spinta alla scolarità e
all’alfabetizzazione favorisce l’accumulo di conoscenza (cultura più elevata) e a
focalizzarsi in settori ad alto contenuto tecnologico e scientifico (produzione di
macchinari e telai): maggiore capacità di creare reddito.
• Fondamentale è l’esperienza dei mercenari: gli svizzeri sotto il punto di vista
militare era fenomenali, mossi dalla volontà di proteggere la propria autonomia
(ancora oggi questa cosa è presente). I mercenari, essendo soldati retribuiti,
favoriscono l’attività commerciale e imprenditoriale (circolazione di denaro).
• L’assenza di controllo delle corporazioni artigiane urbane nei confronti delle
attività manifatturiere dei cantoni rurali (minore pressione fiscale);
• Un patto d’unione doganale e monetaria che favorì la formazione, la crescita di
un mercato nazionale e la vicinanza dei mercati di sbocco francese e tedesco;
• Solida tradizione nella meccanica di precisione (sotto il profilo manifatturiero) e
alta qualità dei prodotti, che ne conferiva stabilità nella domanda estera.
manufatti di pregio nel settore cotoniero, nella seta e nell’orologeria, che per
importanza, era il terzo settore orientato ai mercanti internazionali (inizialmente
era un’attività artigiana domiciliare, coordinata da un unico imprenditore).
• Sistema bancario estremamente efficiente che consentì di raccogliere risorse per
gli investimenti in campo industriale: a metà 800 nacquero le prime grandi
imprese, a cui si aggiunge una secolare propensione al risparmio (capacità delle
imprese ad autofinanziarsi). Il settore bancario comincia a farsi forte solo dopo
questa prima fase in cui il ricorso al capitale di rischio era tutto sommato
abbastanza moderato, aiutando le grandi imprese a sorgere.
• Nasce un sistema produttivo vocato alla specializzazione e indirizzato
all’esportazione nei settori: meccanica di precisione, industria alimentare di
qualità, chimica e farmaceutica.
• L’industria era dislocata in unità di medio-piccole dimensioni, che convivevano
con un’agricoltura evoluta: l’agricoltura e l’allevamento, orientate verso il
mercato, permisero la nascita di industrie alimentari (del latte condensato e della
carne da brodo). I principali export furono nei settori della meccanica di
precisione, della chimica farmaceutica e dell’industria alimentare di qualità.
• Crescita della popolazione contenuta che permette l’assorbimento delle
trasformazioni.

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• Dal punto di vista territoriale, la morfologia del paese agiva da difesa: metà de
territorio era alta montagna e mancavano fiumi navigabili (i bassi redditi agricoli
venivano quindi integrati con attività di trasporto merci e/o persone da una
vallata all’altra). L’abbondanza di corsi d’acqua fornì energia a basso costo,
migliorando l’efficienza tecnologica dei mulini e riducendo i costi fissi (in pratica si
saltò la fase della macchina a vapore);
• Miglioramento delle infrastrutture tra il 1805 e il 1830 ! battello a vapore (1832),
rotaie e ferrovia (1844).

Anche senza porti, carbone e ferro, la Svizzera riuscì, grazie a queste caratteristiche di
dinamicità economica, ad avviare un sorprendente processo di industrializzazione:
durante l’Ottocento la crescita fu costante e condensata, ma una fortissima crescita a
partire dal 1982 portò i livelli del PIL pro-capite ai livelli di Belgio e Inghilterra.

c) FRANCIA

• Geografia: territorio esteso, centralità di Parigi,


trasporti discreti, scarsità di carbone
• Demografia: scarso sviluppo demografico
• Istituzioni: monarchia assoluta, rivoluzione e
guerre frenano lo sviluppo; uno stato centralizzato;
la paysannerie
• Tecnologia: alcune innovazioni poi sfruttate
altrove; il telaio jacquard; la “seconda rivoluzione
industriale”
• Cultura: agricoltura, illuminismo e stato centrale

Nonostante le innumerevoli caratteristiche favorevoli, soprattutto tecnologiche, la causa


del suo ritardo fu l’arretratezza delle istituzioni politiche (si pensi che la Francia taglia la
testa al proprio re cento anni dopo gli inglesi).

Popolazione: Nel 1801 la Francia era il paese più popolato dell’Europa occidentale.
Erano presenti numerosissime fattorie sparse e piccoli-medi centri abitati. Le città erano
innanzitutto centri amministrativi, d’artigianato e di servizi, che smistavano i prodotti del
mondo rurale circostante: l’inurbamento avvenne solo in parte per l’ industrializzazione. I
tassi di crescita della popolazione era il più basso del continente e la crescita urbana fu
alimentata soprattutto dal sovrappopolamento delle campagne.

Agricoltura: Era diffusa una piccola-media proprietà rurale (paysannerie), più indirizzata
all’autoconsumo che al mercato. Solo tra il 1820 e il 1840 il reddito reale degli agricoltori
migliorò, sia per effetto dell’incremento del volume delle produzioni vendibili, sia per il
calo dei prezzi dei beni industriali. Il crescente potere d’acquisto dei campagnoli
(domanda) fu un decisivo fattore di crescita per l’economia dell’intero paese.

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La scarsa crescita demografica e l’agricoltura scarsamente attenta al mercato sono


due aspetti collegati tra loro. La Rivoluzione francese per certi aspetti frena la Rivoluzione
industriale sia per l’instabilità politica (guerra interna e esterna), sia per l’atteggiamento
conservatore della piccola media proprietà rurale che si riflette sulla produttività e sulla
crescita demografica (i contadini tendono a fare meno figli dal momento che devono
poi spartirgli l’eredità). Altri fattori di freno sono rappresentati dagli elevati costi di
estrazione del carbone.

Risorse: L’abbondanza di acque (mulini) e l’alto costo del carbone, oltre alle difficoltà di
estrazione, spiegano la lenta penetrazione in Francia della macchina a vapore. La
siderurgia francese assunse il profilo della grande impresa moderna solo nel 1870, con
impianti di grandi dimensioni, integrazione verticale, l’evoluzione dell’oligopolio e
l’introduzione di cartelli per limitare la concorrenza ed evitare crisi di sovrapproduzione,
mantenendo alti i prezzi (elevate difese doganali).

Trasporti e comunicazioni: Intorno alla metà dell’Ottocento ingenti investimenti nel


sistema delle comunicazioni favorirono l’avvento del mercato nazionale,
tradizionalmente segmentato in tanti mercati regionali, dovuti sia ai difficili collegamenti,
sia all’ isolamento culturale. Solo le vie d’acqua smistavano a buon mercato derrate
agricole, materie prime e manufatti. Il sistema fece un salto di qualità con il
completamento della rete interna di canali a metà Ottocento. Nel 1870 un’ampia rete
ferroviaria perfezionò il processo di unificazione del mercato nazionale. Un netto calo dei
costi di trasporto abbatté i costi di produzione, allargò il mercato interno e rese più
competitive le merci francesi all’estero.

Tecnologia: Nel secondo Ottocento prese il sopravvento l’applicazione all’industria, dei


risultati della ricerca scientifica nei settori chimico, fisico e meccanico. In tutti questi
settori le conoscenze si trasformarono in invenzioni ed innovazioni di successo, agendo
da formidabili incentivi per nuove ricerche e miglioramenti, con positive ricadute sull’
organizzazione e gestione delle imprese. Spesso però, per la forte instabilità politica dei
primi anni dell’Ottocento, le invenzioni non vennero supportate dal contesto sociale.

Manifatture: Erano caratterizzate dalla piccola dimensione delle aziende (specialmente


nei settori tessile e alimentare), essenzialmente di carattere familiare e fondate sull’
autofinanziamento. Se all’inizio dell’Ottocento i telai domestici dominavano
incontrastati, mezzo secolo dopo il loro numero era pari a quello dei telai automatici che
stavano sostituendoli.

Istituzioni e mercato: Le industrie erano principalmente finanziate dai patrimoni familiari e


le piccole dimensioni impedirono economie di scala tipiche dei grandi sistemi integrati. I
banchieri francesi non ambivano a sostenerle. La rivoluzione e il primo impero
intralciarono non poco le relazioni francesi con l’estero (embargo commerciale dell’
Inghilterra), seppur dopo la caduta di Bonaparte le importazioni di materie prime
crebbero sotto lo stimolo dell’ industrializzazione in corso. La forte protezione doganale
accordata ai manufatti fino al 1860 (liberoscambismo) ne contenne le importazioni. Per
di più la sconfitta subita nel 1870 ad opera dei prussiani portò alla perdita dell’ Alsazia
(industria cotoniera) e della Lorena (giacimenti di carbone e di ferro). Dopo il 1860
(trattato anglo-francese) l’abbattimento dei dazi rivelò la debolezza del sistema
economico francese, favorendo consumatori, ma impoverendo i produttori.

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Capitale finanziario: Il mercato monetario francese rimase a lungo arretrato e in più, il


sistema creditizio giunse con ampio ritardo. Una parte dei capitali accumulati grazie al
commercio coloniale del Settecento trovarono impiego nelle prime industrie e nel
credito. La rivoluzione del 1789 e i conseguenti problemi di finanziamento della spesa
statale, spazzarono via le istituzioni finanziarie dell’antico regime e promossero immobilizzi
in beni rifugio (Napoleone tentò di rilanciare il credito agganciando il franco all’oro).
Inoltre, i banchieri francesi non ambivano a sostenere le industrie, ma si occupavano
piuttosto del finanziamento del debito pubblico e del sostenimento del commercio
internazionale. Un ulteriore freno allo sviluppo derivava dall’attitudine dei francesi di
investire i risparmi in settori sicuri, trascurano settori quali agricoltura e industria.

In sintesi, i vincoli e i limiti all’economia francese dell’Ottocento erano costituiti:


• dallo svantaggio delle grandi dimensioni geografiche e demografiche;
• da un’agricoltura arretrata, imperniata su coltivazioni di pura sussistenza fino
alla metà del secolo;
• dall’arretratezza del sistema monetario e creditizio;
• dalla tenuta di mentalità orientate all’ impiego del risparmio in investimenti a
basso rischio;
• dall’ ingente debito pubblico che richiedeva gran parte della spesa statale;
• da una domanda interna depressa dalla stagnante dinamica demografica e
dal lento progresso del reddito pro-capite.

Un mondo rurale conservatore e tradizionalista rallentò lo sviluppo economico del


paese. Il forte impulso alla crescita si ebbe solo dalla fine dell’800 alla prima guerra
mondiale con la belle époque (1895-1914). Fu in questo periodo che emersero settori
innovativi, come quello automobilistico, di alluminio e l’industria idroelettrica.

d) GERMANIA

Rispetto agli altri paesi parte relativamente tardi, ma nel momento in cui imbocca
questo percorso, sarà un processo straordinario. In particolare, sul piano strettamente
industriale (chimica e settore siderurgico) supera l’Inghilterra per capacità produttiva.

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Un decennio di predominio francese sull’area tedesca aveva eliminato il feudalesimo


aristocratico, emancipato i servi della gleba e abolito le corporazioni d’arti e mestieri,
cancellando la distinzione tra proprietà nobiliare e non della terra e tolto di mezzo ogni
differenza giuridica fra appartenenti ai ceti. Nel 1834 una tariffa doganale applicata alle
merci che superavano le frontiere fece del regno un’unica area commerciale
(Zollverein), fortemente protezionista nei confronti del mercato esterno, per favorire
quello interno. La formazione di un vasto mercato comune con modeste difese daziarie
assieme all’impianto di un’essenziale infrastruttura ferroviaria agirono come prerequisito
dell’ industrializzazione tedesca. L’industria sorse su basi moderne principalmente nella
Ruhr e nella Slesia. L’abbandono del sistema della maggese e l’ aggiornamento
agronomico favorirono l’ aumento della superficie agraria disponibile e della sua
produttività. Le grandi tenute orientali degli junker (grandi proprietari feudali, ai vertici
dell’esercito e della burocrazia prussiana) sfruttate a basso costo dai fattori e favorite dal
continuo miglioramento dei trasporti conobbero un ininterrotto sviluppo. L’evoluzione
dell’agricoltura di villaggio dell’ ovest fu assai più lenta di quella delle tenute orientali egli
Junker, perché in parte ancora destinata all’ autoconsumo e alla produzione per i
piccoli mercati locali. Alla metà dell’Ottocento la Germania produceva ed esportava
materie prime e derrate agricole dell’est e cominciava a fabbricare manufatti industriali.
Furono aboliti i controlli statali sulle estrazioni e conferite libertà si proprietari dei cantieri,
ridotte le tasse sulle estrazioni e al crescere della domanda di minerale, le tecnologie
estrattive furono aggiornate e migliorate con risorse statali. Dalla metà del secolo la
domanda di prodotti siderurgici esplose. Nel ventennio 1850-70 la Germania era ancora
un paese in via di sviluppo, a metà strada tra l’arretratezza dalla quale proveniva e la
scalata che avrebbe compiuto entro la fine del XIX secolo, divenendo una grande
potenza industriale. La classe politica comprese che lo sviluppo andava programmato
favorendo la ricerca scientifica, l’istruzione ed organizzando efficientemente le imprese
controllando la concorrenza, in modo da evitare crisi di sovrapproduzione. In una parola
proteggendo l’industria con una politica doganale aggressiva.

Gli svantaggi di partenza:


" È uno degli ultimi paesi europeo a raggiungere lo stato unitario (nel 1789 ci sono
300 entità statali diverse, unificazione nel 1871).
" Netto prevalere dell’agricoltura (la parte orientale era molto conservatrice);
" Junkerismo a Est: classe di potere estremamente forte (proprietari feudali).
Elemento di conservazione, poiché gli interessi di questa classe erano legati al
mantenimento di queste condizioni piuttosto che ai cambiamenti;
" Forte limitazione della concorrenza che si basa su una logica di equilibri
medievali (la libera impresa si affermerà tardi);
" Conflitti di stampo corporativo;
" Scarsa mobilità sociale: sotto il profilo sociale politico la struttura era molto
arretrata;

Vantaggi:
" Spinta economica ad un processo d’industrializzazione ! la Prussia, nella sua
politica di unificazione politica inserisce anche l’unificazione economica,
creando rapporti doganali con gli altri stati tedeschi ! zollverein:
Crea un unico spazio doganale: vengono eliminate quelle che dividevano la
Germania e in questo modo si fortificano fortemente le relazioni commerciali
(spinta alla crescita di tipo smithiano derivante dagli scambi commerciali). Nel
momento in cui c’è scambio, c’è anche specializzazione (non è necessario
produrre tutto ciò che serve perché lo si può ottenere dagli altri paesi).

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" Fiumi navigabili che facilitano i trasporti che vengono integrati da una serie di
canali;
" Disponibilità di carbone e imprese siderurgiche che garantiscono un
consolidamento della rete ferroviaria;
" C’è un orientamento voluto verso le discipline tecnico-scientifiche: mette a
disposizione un capitale ricco di conoscenze. È necessario avere persone
formate per portare avanti l’innovazione. La Germania, grazie agli investimenti
nel capitale umano, s’impose soprattutto nei settori ad alto contenuto
tecnologico.

La disponibilità di risorse e la conoscenza della tecnologia, spinge la Germania a


specializzarsi in settori particolari, quelli dell’industria pesante: centrale ruolo dell’industria
chimica, siderurgica e della meccanica pesante. Esse, tuttavia, richiedono la necessità
di avere un capitale di avviamento molto più elevato, ma che viene a meno dato il
ritardo tedesco nel processo di industrializzazione (non ha una storia di accumulazione di
capitale come l’Inghilterra). Proprio per questo necessità del cosiddetto fattore
sostitutivo: le banche ! la Germania è caratterizzata dalla presenza di banche che, a
differenza delle normali banche, non si limitano solo a raccogliere il denaro presso la
clientela investendolo in attività sicure (titoli di stato, mutui immobiliari), ma al contrario,
lo investono in settori a rischio più elevato, vale a dire nel settore industriale. Fu proprio
grazie a queste banche che la Germania riuscì a raccogliere capitale e a permettere il
processo di industrializzazione. Inoltre, c’è una partecipazione di queste banche alla
decisione delle imprese, al fine di assicurarsi che questo capitale venga investito nel
migliore dei modi.

L’industrializzazione tedesca decolla quindi con:


• un più intenso sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie;
• un sistema bancario innovativo: le Universalbanken (banche miste), che
raccoglievano i risparmi e li investivano in settori ad alto rischio, con rendimenti
elevati. Le banche pretendevano di far sedere dei dirigenti nei consigli di
amministrazione delle aziende, per tutelare i propri investimenti;
• il consolidarsi della deutsche Technologie, per cui la Germania, con forti
investimenti in capitale umano, si impose soprattutto nei settori industriali a forte
contenuto tecnologico.

I gettiti della tariffa doganale protezionista del 1879 permisero al cancelliere Bismarck di
finanziare misure di politica sociale volte ad attenuare i disagi esistenti presso vasti strati
della popolazione meno abbiente. Si formò un sistema assistenziale, alla base del
welfare state, fondato su quattro settori d’ intervento:
• pensioni di vecchiaia;
• provvidenze per malattia;
• assistenza per infortuni sul lavoro;
• sussidi per i disoccupati.

Integrazione stretta tra motore produttivo e motore di conoscenza che contribuisce a


portare avanti il processo di industrializzazione. Ecco che con il secondo 800, la
Germania cresce con dei tassi di crescita molto più elevati rispetto agli altri paesi. Con il
secondo 800 crescono tutti industriali, soprattutto:
" Settore elettrico;
" Settore meccanico;
" Settore ottico e della meccanica di precisione;
" Settore chimico (carbochimica);

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Inizia a manifestarsi in modo evidente una bipartizione: da una parte il mondo


anglosassone (gli americani prendono il capitale direttamente al mercato, vedi la
borsa), mentre dall’altra parte si afferma un sistema dove chi vuole capitale industriale si
rivolge alle banche (Germania, Italia, Francia, etc.). La grande disponibilità di capitali, la
specializzazione in settori nuovi e la conoscenza tecnologica resero la Germania la
protagonista della seconda Rivoluzione industriale e la prima forma di organizzazione di
welfare state

Attenzione politica per attutire gli effetti della Rivoluzione. Lo Stato prussiano, tedesco
poi, dà molta attenzione anche alla classe lavoratrice: controlli sui lavori nelle fabbriche,
assicurazione per le malattie e per la vecchiaia. Non vuole che ci sia una
contrapposizione troppo forte tra capitale e lavoro e questo fa sì che la Germania sia
all’avanguardia anche nella formazione dello Stato sociale.

Negli anni 70, una strategia fondamentale furono i cartelli, che consentono un ulteriore
espansione degli impianti produttivi: rinunciando alla concorrenza antagonistica sui
prezzi, gli imprenditori volevano mantenere sul mercato un discreto numero di imprese d’
analoga dimensione. Di fatto, i cartelli sono una forma di accordo tra operatori dello
stesso mercato per limitare la concorrenza (mercato oligopolistico, meno concorrenti e
più risorse per migliorare la tecnologia). Si creano grazie alla spinta delle banche di
raggiungere la massima reddittività e questo è reso possibile tramite la collaborazione tra
le varie imprese (mentalità corporativa): spesso si trova un singolo funzionario presente in
più imprese dello stesso settore. C’è quindi una forte specializzazione. Inoltre, maggiori
profitti garantivano una maggiore quantità di capitale da investire. La creazione dei
cartelli è resa possibile dall’introduzione delle barriere doganali che consentono di
consolidare le industrie nazionali, oltre a far acquisire un elevato extra profitto alle
imprese tedesche: possono, attraverso la pratica del dumping, conquistare fette di
mercato sul mercato esterno. Il dumping è una politica di vendita sottocosto per
eliminare la concorrenza ed espandere la capacità produttiva interna;: una procedura
di vendita di un bene o di un servizio su di un mercato estero (mercato di importazione)
ad un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita (o, addirittura, a quello di produzione)
del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione) ! mercato
interno protetto dai cartelli (protezionismo), mercato esterno strategia del dumping.
Conquistano così fette crescenti del mercato internazionale, creando forte attrito fra i
diversi stati (che contribuirà allo scoppio della prima guerra mondiale). Entro il 1914 la
Germania strappa all’Inghilterra la leadership dell’industria europea, con posizioni di
primato nella produzione d’acciaio, nel settore elettrico, carbochimico, farmaceutico e
ottico.

GEOGRAFIA ! pochi sbocchi sul mare, ma posizione centrale sul territorio europeo.
Risorse minerarie importantissime. Un paese di terra, porti e canali, e risorse;
DEMOGRAFIA ! dopo il 1850, si ha una forte crescita e un forte inurbamento: la
tradizionale rete di piccole-medie città vede una concentrazione della popolazione
intorno alla produzione industriale. Il tasso di crescita aumenta;
ISTITUZIONI ! le politiche portate avanti dallo Stato e le banche miste sono quei fattori
istituzionali che permettono alla Germania di recuperare il ritardo portatosi dietro;
TECNOLOGIA ! integrazione tra settore produttivo e conoscitivo (tecnologico-
scientifico) che porta avanti l’innovazione: la “deutsche Technologie”;
CULTURA ! la Germania è stata una dei luoghi più importante della riforma protestante:
attenzione all’economia diversa rispetto ai paesi di tradizione cattolica. Disciplinamento
sociale: i tedeschi sono molto rispettosi delle regole e dell’autorità, e questo ha costituito
un fattore di forza;

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Late comers
Società ancora profondamente immerse nei modelli tradizionali.

La prima rivoluzione industriale aveva fatto a meno dello Stato: l’azione della cosiddetta
mano invisibile in Gran Bretagna fu il motore della crescita mentre il governo lasciava
fare. Nel caso inglese il potere pubblico fu comunque fondamentale per la tutela della
proprietà privata, per l’eliminazione delle gabelle interne, il superamento delle
corporazioni e dei monopoli e per l’introduzione dei brevetti, oltre ad altre funzioni
rilevanti per lo sviluppo economico. Quei paesi che, nella seconda metà dell’Ottocento,
intrapresero da ritardatari il cammino dell’ industrializzazione, dovettero servirsi di fattori
sostitutivi (già ritrovati in Germania), quali; il protezionismo doganale, la spesa pubblica,
le banche, etc. Gli stati predisposero istituzioni di diritto per la salvaguardia dell’
eguaglianza fra uomini e della proprietà privata, a cominciare dalla terra, oltre che ai
diritti dei lavoratori.

e) Russia

f) Austria

g) Italia

a) RUSSIA

'
'

La Russia, il Paese più esteso e maggiormente dotato di risorse naturali di tutt’Europa,


rappresenta il caso più eclatante di sviluppo tardivo. Fino al secolo XVIII l’economia
russa non era diversa da quella dell’occidente europeo, ma quando l’Europa
occidentale cresce, una serie di barriere interne impediscono il suo sviluppo.

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Verso la metà del XIX secolo, la Russia era una società feudale che, con tecniche
arretrate, sfruttava un ambiente ricco di risorse naturali valendosi soprattutto del fattore
lavoro. Il governo autocratico degli zar controllava un immenso paese sottopopolato,
con una ristretta cerchia di famiglie aristocratiche che aveva a disposizione la terra
coltivata da contadini poveri, su cui aveva il pieno controllo. Tra i due gruppi sociali
estremi esisteva un piccolissimo ceto di mercanti borghesi attivi nelle città. La bassa
produttività di una cerealicoltura estensiva, le difficoltà di trasferimento a distanza delle
derrate agricole in un paese immenso, le difficoltà meteo-climatiche, l’infimo livello di
commercializzazione dell’economia rurale, assieme all’ignoranza dei contadini e dei
proprietari terrieri, mantenevano l’agricoltura allo stadio della riproduzione. Dalla guerra
di Crimea, la Russia uscì sconfitta ed umiliata a causa dell’ arretratezza tecnologica ed
organizzativa accumulata rispetto alle altre potenze europee. La nobiltà diffidava delle
attività manifatturiere e industriali perché ne avrebbero compromesso la tradizionale
posizione di primato economico e politico fondato sul controllo della terra. Venne
abolita comunque la servitù della gleba (1861) e distribuita la terra per il timore di rivolte
dal basso, seppur la bassa produttività e l’ insufficiente produzione dei piccoli poderi
autarchici dei contadini ne induceva i titolari a cercare lavoro presso i latifondi nobiliari.
L’incremento della popolazione accrebbe la domanda interna di cereali e di patate e
fece del suolo e fattore sempre più scarso, mentre una minoranza di contadini
intraprendenti (kulaki) moltiplicò le proprie risorse monetarie e continuò ad acquistare
terreni, divenendo il ceto più dinamico delle campagne, assieme ai borghesi mercanti
cittadini. Sul finire dell’Ottocento le trasformazioni strutturali intervenute nel mondo rurale
e l’ aggiornamento agronomico accrebbero la produttività cerealicola, seppur rimase il
fantasma della carestia, dovuto alle avverse condizioni meteo-climatiche. L’unico
settore all’ altezza dei tempi era il cotonificio. Come altrove in Europa, anche in Russia la
costruzione di strade ferrate impresse una svolta all’economia, insieme all’ intervento del
governo, che aumentò la pressione fiscale per la costruzione di nuove infrastrutture e
decise di ricorrere a imprenditori stranieri che padroneggiassero le tecniche più
moderne: alla manodopera inefficiente sostituì il fattore capitale. I sensibili progressi
ottenuti nel campo industriale non si diffusero nel resto dell’economia, accentuando il
contrasto tra tradizione ed innovazione, che avrebbe portato ai movimenti rivoluzionari.

" GEOGRAFIA ! Vincolo geografico: la popolazione e le risorse sono disperse


su un territorio vastissimo, e senza un sistema di comunicazione efficiente è
impossibile lo sviluppo di un’economia di mercato. Concentrazione intorno
alle piccole imprese dove c’è un’ economia di agglomerazione più forte. C’è
una larga prevalenza di centri di piccole dimensioni, ma la realtà russa è
fondamentalmente quella di campagna.
" DEMOGRAFIA ! Fino alla fine del’ 800 permane un regime demografico
tradizionale; si ha un’accelerazione improvvisa con la prima guerra mondiale
(miglioramento strutture sanitarie, conoscenze tecnico-scientifiche,
infrastrutture etc.).
" ISTITUZIONI ! Modello rigidamente feudale fino al 900 ! monarchia feudale
con posizione centrale dello zar, mentre nelle periferie abbiamo il controllo
delle aristocrazie feudali. La scarsissima alfabetizzazione rende impossibile il
cambiamento; le decisioni importanti non vengono prese dagli individui, ma
dalle comunità di villaggio. La Russia inoltre non ha mai conosciuto una fase
parlamentare: la mentalità e la cultura russa sono profondamente diverse
(sono passati dallo Zar Stalin a Putin). La popolazione russa in gran parte
sostiene lo zar: Russia zarista fino alla Rivoluzione d’ottobre, successivamente
si avrà la Russia bolscevica rivoluzionaria (periodo iniziale di successo seguita
da sconfitte belliche).

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" TECNOLOGIA ! Tecnologia poco sviluppata: la Russia si accorge di essere in


ritardo nel momento in cui si scontra con le altre potenze (Guerra di Crimea:
grande divario tecnologico che porta all’abolizione della servitù della gleba
nel 1861). Nel contesto russo, la tecnologia industriale è stata in gran parte
importata dall’estero (1/3 del capitale totale è straniero), e questo fa
intendere come la propensione all’imprenditorialità e alla tecnologia siano
state processi molto lunghi. Di conseguenza, anche i sovietici, pur essendo
stati molto attenti a promuovere l’alfabetizzazione e il settore industriale,
furono costretti ad importare per un lungo periodo.
" CULTURA ! Alfabetizzazione bassissima e una mentalità diversa da quella
occidentale: la Russia non ha conosciuto nulla di assimilabile alla cultura
illuminista. La gran massa della popolazione ha una visione del ruolo della
politica molto diversa da quella occidentale, dove la democrazia
parlamentare e la partecipazione del cittadino hanno un peso decisamente
diverso. Lo stesso vale per l’economia di mercato.
" TRASPORTI ! Impossibilità di sviluppo del mercato: comunicazioni difficili per
le distanze enormi. È difficile che possa emergere un’iniziativa imprenditoriale
e questo comporta anche la scarsità di accumulazione di capitale che possa
essere investito nell’ambito industriale.
" AGRICOLTURA ! L’agricoltura di evolve lentamente e con notevoli
contraddizioni (anche dopo la rivoluzione del 1905 e la riforma del 1906 che
abolisce i mir), l’industria non decolla: è caratterizzata da bassi livelli di
produttività e prezzi di produzione elevati.

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, il PIL pro capite è un terzo di quello inglese, il 75%
della forza lavoro è occupato in agricoltura e solo il 10% lavora nell’industria, il 72% della
popolazione è analfabeta e solo il 15% della popolazione vive in città.

b) Austria

L’Austria ha regnato su una parte dell’Italia a lungo. Ha settori economici che si


evolvono in una maniera simile all’occidente industrializzato e allo stesso tempo aree più
arretrate. Lo si potrebbe definire una sorta di ibrido. L’aquila, il suo simbolo, rappresenta
proprio la convivenza tra modernità e arretratezza. L’impero asburgico non è uno Stato
nazionale, ma costituito da moltissimi popoli, tutti legati dalla fedeltà asburgica
(concezione della sovranità di tipo medievale).

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Quest’idea di monarchia sovranazionale all’interno della quale si cercano di trovare


delle compensazioni tra le esigenze di autonomia delle entità locali e lo Stato centrale,
configura un’idea di Stato che in realtà è modernissima, ma che allo stesso tempo
comporta una difficile gestione dal punto di vista politico: la dimensione nazionale e la
spinta delle diverse entità all’indipendenza provocherà il crollo dell’Austria nella prima
guerra mondiale. Lo Stato, inoltre, è un grande promotore dello sviluppo economico: per
garantire la competitività dell’Austria con gli altri paesi sviluppati è necessario costruire
un’economia forte, eliminando i fattori di
arretratezza.
Composizione etnica dell’impero a fine ‘800
L’Austria era divisa in tre aree economiche
distinte, unite dalla grande fedeltà agli
Asburgo nonostante un importante
frammentamento linguistico-culturale:

- Area sviluppata centro-settentrionale


(austro-boema);
- Area alpina, in bilico tra sviluppo e
sottosviluppo;
- Area slava meridionale e orientale:
arretrata.
-

1750-1790: l’età delle riforme Teresiane-giuseppine


Maria Teresa (regno molto lungo e amato), imperatrice d’Austria, erede di Carlo VI:
prima imperatrice donna dell’impero asburgico a cui viene riconosciuta la legittimità del
potere in seguito a una serie di vittorie militari. Sono proprio queste guerre mettono in
luce la debolezza militare austriaca: forte esigenza di entrate finanziarie al fine di
garantire la solidità sia dello Stato che dell’esercito. Per garantire tali entrate finanziare è
quindi necessaria una forte economia. C’è il bisogno sia di modernizzare lo Stato, sia di
ricondurre sotto il suo controllo una serie di competenze che prima erano suddivise tra le
varie autonomie:

1) ecco che la promozione dello sviluppo economico è accompagnata dal


rafforzamento delle competenze dello Stato. La politica economica diventa una
manifestazione di volontà di affermazione dello Stato centrale.

2) Abbattimento delle barriere doganali interne: si cerca di creare uno spazio doganale
unico, favorendo la circolazione delle merci, e di omogenizzare quelli che sono i
riferimenti principali dell’attività economica: le misure di Vienna vengono estese a tutto
l’impero.

3) È necessario un incentivo delle attività interne tramite una serie di misure per rafforzare
l’attività manifatturiera. L’Austria era ancora una realtà agricola, ma per migliorare la
capacità economica del paese bisogna accrescere l’attività manifatturiera ! i sovrani
alzano le barriere doganali (misura protezionistica che continua per tutto l’800).

4) Politica di promozione del capitale umano, in particolare quello relativo


all’alfabetizzazione: ci si rende conto che una miglior cultura diffusa consente di
aumentare la produttività del lavoro e rafforzare la formazione dei cittadini, fino ad
allora portata avanti dall’ordine religioso (che ha interessi contrastanti con quelli dello
Stato centrale).

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L’educazione scolastica diviene quindi un mezzo per rafforzare la fedeltà allo Stato, che
ha quindi interesse di creare una formazione nei cittadini che si avvicini il più possibile alle
idee dell’élite politica (le dittature saranno molto attente a sfruttare la scuola come
strumento di indottrinamento dei giovani).

5) La trasformazione dell’agricoltura, infine, sebbene richiederà tempi molto lunghi, è un


elemento chiave per garantire l’avanzamento del processo. Anche qui c’è evidenza
della grande disomogeneità asburgica tra occidente e oriente, che abolirà la servitù
della gleba solo nel 1848 ! razionalizzazione dell’agricoltura (emancipazione).

Le tensioni sociali e il timore della rivoluzione sullo stampo francese ostacolarono dopo
Giuseppe II una svolta industrialista. Tra il 1815 e il 1848 ci fu stabilità, seppur in un
continuo scontro tra innovazione e conservazione, sempre supportate da un rigido
protezionismo: emblema dei contrasti fu la linea ferroviaria Linz-Budweis (1825-1832), una
delle prime in Europa, ma fino al 1860 resta a trazione animale. La rivoluzione francese
mostra i potenziali rischi di una rivolta violenta per gli stati di antico regime (la regina di
Francia che viene decapitata è austriaca). Successivamente a quest’esperienza gli
austriaci torneranno sul loro passo, bloccando il processo riformatore. L’Austria è una dei
grandi protagonisti del congresso di Vienna e della cosiddetta restaurazione: Napoleone
aveva portato avanti l’idea di uno Stato forte e centralizzato. Dopo il congresso si cerca
di abolire questa idea pur mantenendo gli stessi mezzi da lui adottai, che consentivano
una maggiore efficienza fiscale, politica e amministrativa.

La situazione economica sociale rimane cristallizzata fino al 1848, quando viene


introdotta l’emancipazione dei cittadini, pur sempre con elementi conservatori. Una
rappresentazione di questo continuo scontro tra innovazione e conservazione è la
ferrovia (Linz-Budweis, 1825-1832): fino al 1860 rimane una ferrovia trainata dai cavalli. È
quindi da un lato una scelta moderna, mentre dall’altro rimane comunque un elemento
di arretratezza. La rivoluzione del 1848, che solo in parte afferma i suoi principi, introduce
significativi mutamenti:
• Grundentlastung ! definitiva emancipazione dei contadini dalle terre,
importante per la partecipazione alla proprietà della terra. Tuttavia questo
processo riguarda poco le aree italiane, dove i cittadini erano già emancipati da
diversi secoli;
• Gewerbefreiheit ! viene istituito il principio della libertà d’impresa. Fino a quel
momento l’Austria era caratterizzata da un rigido sistema di autorizzazioni, che in
qualche modo richiamavano una logica corporativa: c’era un contingente
massimo di lavoratori che poteva svolgere quel lavoro, oltre al quale non si
poteva andare;
• Gewerbeordnung ! nel 1859, intorno alla modernità industriale, viene varata
questa nuova legge, che regola l’attività delle imprese industriali;

Il processo di industrializzazione, avviatosi già nel corso del 700 grazie alle politiche
dell’assolutismo illuminato (Maria Teresa e Giuseppe II), si sviluppa soprattutto nel periodo
successivo al 48. Tale processo è influenzato non sono dalla politica economica, ma
anche dalla disponibilità di capitale finanziario e di risorse per la realizzazione delle
ferrovie, che richiedono la necessità di raccogliere capitale all’estero. In questo
processo, un ruolo fondamentale viene svolto dalle banche: si sviluppa un sistema simile
a quello tedesco nella raccolta di capitale, sebbene l’Austria preferisca l’industria
leggera, grande importanza del settore tessile (cotonificio, linificio, lanificio) e del settore
alimentare (zuccherificio, produzione di birra),dovuto al fatto che ha meno risorse
adattabili a quella pesante (Germania).

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Verso la modernizzazione austriaca


1866-1873, la Grunderzeit: Dopo la Terza guerra d’indipendenza del 1866 (persa contro
l’Italia), ecco che inizia un periodo di pace e un periodo di crescita piuttosto importante,
con un impennata delle attività industriali, delle società di capitali e della borsa di
Vienna. C’è una vera e propria bolla speculativa (che causerà tuttavia una crisi
finanziaria).

1873-1895: Krach della borsa di Vienna: tra 1873 e la metà degli anni 90 c’è un periodo
di difficoltà e crisi, che riguarda peraltro tutto il continente. Cominciano arrivare in
Europa grandi quantità di prodotti agricoli dall’America a costi bassissimi, mettendo in
crisi l’economia europea (Grande Depressione europea ! anni di forti migrazioni).

1895-1914: la belle époque: periodo di grande crescita economica e significativi


cambiamenti dei costumi: Vienna diviene un centro di cultura europea significativo
(anche se non come Parigi). Cresce l’industria e il settore agricolo, forte spesa pubblica
e grande attenzione dello Stato ai ceti più poveri (a differenza di quanto accade nelle
altre realtà europee): insieme alla Germania, l’Austria ha uno dei welfare state più
avanzati, al fine di evitare quelle rivoluzioni sociali che altrove la Rivoluzione industriale
aveva portato.

Nonostante questi passi in avanti importanti, l’impero austriaco rimane una realtà
fortemente divisa al suo interno, e questo segnerà la sua decadenza alla fine della Prima
guerra mondiale.

GEOGRAFIA ! distanza degli assi principali del commercio (lontana dall’Atlantico)


nonostante la posizione centrale in Europa a livello geografico;
DEMOGRAFIA ! riflette la situazione estremamente suddivisa (paesi sviluppati e
arretrati);
ISTITUZIONI !monarchia plurinazionale con un ruolo guida dei sovrani dell’assolutismo
illuminato (assolutismo perché continuano a detenere il potere, illuminato perché
guidano il processo di industrializzazione). Le istituzioni locali hanno comunque grande
importanza (hanno competenze che altre realtà non conoscono), con una forte
presenza di istituzioni intermedie tra cittadino e Stato: si tratta di associazioni di
rappresentanza dei lavoratori che cercano di risolvere I conflitti a livello costituzionali che
consente una crescita armonica della società austriaca.
TECNOLOGIA ! ci sono alcuni settori in cui l’innovazione è forte, come il settore
idroelettrico, meccanico e siderurgico.
CULTURA ! nette divisioni per le differenze non solo di carattere linguistico ma anche un
forte confronto città-campagna. Visione della politica molto dinamica.
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Permangono tuttavia forti squilibri territoriali e alla vigilia della guerra l'Austria era più che
mai paese cerniera tra Europa sviluppata ed Europa arretrata.
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c) ITALIA
Si può parlare di economia italiana prima dell’unità politica? Prima dell’unità,
l’integrazione economia delle unità politiche era assente: ogni entità aveva la propria
struttura economica interna e i propri rapporti commerciali. È estremamente
diversificata, non solo dal punto di vista economico, ma anche all’interno di ciascun
territorio: c’è una forte diversificazione della tipologia di agricoltura, tant’è che si parlerà
di centro Italia agricolo:

• Nord ! la piccola proprietà terriera condotta dal proprietario e finalizzata


all’autoconsumo;
• Pianura Padana ! agricoltura estremamente moderna: le terre di proprietà
della chiesa vengono cedute ad imprenditori agricoli che operano forti
investimenti nel capitale e hanno una grande capacità di restare nel
mercato.
• Italia centrale ! caratterizzata dalla mezzadria: forma di contratto per cui il
proprietario cede a chi conduce la terra la proprietà di utilizzare il terreno, in
cambio di metà del raccolto.
• Sud ! fondi in mano a famiglie che gestiscono la terra in modo tradizionale:
produttività inferiore che soffoca l’imprenditorialità.

È quindi evidente quanto sia più semplice per un agricoltore del nord, sviluppare una
mentalità di tipo imprenditoriale. Al centro tale componente è presente solo in parte,
dovendo l’agricoltore cedere metà del suo raccolto, mentre al sud è completamente
assente.

Il sistema economico della penisola si regge su di un


EQUILIBRIO AGRICOLO – COMMERCIALE
nonostante la debolezza delle infrastrutture di comunicazione

La forma economica che si forma nell’Italia ottocentesca è basata sull’ esportazione di


prodotti agricoli e importazione di prodotti industriali (il filato di seta' è l’elemento che
maggiormente viene esportato all’estero dall’Italia). Pur sviluppandosi l’attività
manifatturiera, restava però strettamente legata alla terra: non si ha quindi una vera e
propria trasformazione della società in senso industriale. Da questa forma economica, si
crea un equilibrio agricolo commerciale ! produzione di beni agricoli di un certo valore
per l’esportazione e importazione di prodotti industriali. Tuttavia, l’Italia tende ad avere
una bilancia commerciale comunque negativa, che riuscirà a riprendersi solo alla fine
dell’800 con la riduzione del deficit commerciale, raggiunto nonostante l’arretratezza
della rete infrastrutturale. La conformazione del territorio rende infatti difficile la
costituzione di un sistema di comunicazioni efficiente e questo elemento incide tutt’oggi
sull’economia nazionale.

Il processo di unificazione richiede uno sforzo economico importante. Si tratta di:

• Creare un mercato integrato (stesse leggi, misure, moneta) e una rete


infrastrutturale efficiente.
• Ridurre gli squilibri interni: il riconoscimento dei nuovi cittadini nel regno unitario
passa anche attraverso un miglioramento delle condizioni economiche.

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• Consolidare la sua posizione nazionale: necessitava di risorse finanziare per il


processo di unificazione che dovevano per forza provenire da fuori. Ecco che è
importante avere un’immagine positiva per garantirsi la fiducia dei paesi esteri:
alcune politiche furono adottate proprio a questo fine:

LIBERO SCAMBISMO !c’è una certa pressione delle potenze straniere dovute al fatto
che l’Italia continua ad esportare prodotti agricoli di una certa qualità a prezzi
relativamente bassi e importare quelli industriali. In Parlamento sono rappresentati
soprattutto i proprietari terrieri, che hanno tutto l’interesse a mantenere tale struttura
economica. Se, al contrario, si fosse attuata una politica protezionistica, i prodotti
industriali sia interni che esteri, protetti da barriere tariffarie, sarebbero stati più costosi, e
si sarebbe scatenata una guerra doganale dei paesi stranieri che avrebbero alzato le
loro tariffe doganali nel confronto delle nostre esportazioni agricole. Finché il Parlamento
resta quindi in mano ai proprietari terrieri, che hanno questo interesse di esportare i
prodotti agricoli e ad importare a basso costo i prodotti industriali, l’opzione libero
scambista resta primaria.

RICONOSCIMENTO DEL DEBITO PUBBLICO ! come nuovo Stato, l’Italia poteva decidere
di rifiutare il debito pubblico dei paesi che l’avevano preceduta (regno di Sardegna,
Sicilia, Toscana, etc.), ma non lo fa per la propria immagine: ha bisogno di affermarsi
come Stato affidabile a livello internazionale. Riconosce i debiti degli Stati che l’hanno
preceduta e sulla base di
questa immagine di
affidabilità si inserisce nel
«Perché l’Italia meriti il credito di mercato internazionale
per chiedere i
tutta l’Europa deve cominciare a finanziamenti di cui
rispettare i debiti contratti…» necessitava. È una
politica costosa, ma che
Pietro Bastogi, Ministro delle Finanze, Camera dei portò i suoi risultati,
Deputati, 29 aprile 1861 soprattutto nei primi anni
dopo l’unificazione.
Inoltre, non si forma una
Banca centrale, ma
inizialmente continuano a vigere le banche locali: questo crea una certa difficoltà nel
creare una politica monetaria unitaria. Negli anni 80, resteranno solo le banche
principali, fino al 1926, quando verrà fondato un unico istituto bancario, la Banca
d’Italia. Tuttavia, in questa prima fase, rimane ancora grande il divario tra il resto
dell’Europa e l’Italia.

1871-1891: crescita Pil Italia 10 % (Francia 28 %, Germania 33 %, UK 19 %, Usa 38 %)


AUMENTA il divario tra l’espansione industriale europea e la stazionarietà italiana

Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 17


Il ritardo dell’Italia è quindi dovuto a moltissimi fattori. Tra i principali, la mancanza di
risorse importanti, come il carbone, necessarie nei processi siderurgici e chimici, le
difficoltà connesse al processo di unificazione, che incisero profondamente anche sui
dati economici, nonché la base di partenza enormemente appesantita da un già
esistente debito pubblico.

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Quinquennio postunitario:

• Massiccia spesa pubblica crescente ! è necessario il consolidamento


dell’esercito per rafforzare la posizione politica dello Stato. La strategia di fondo
era di creare un processo virtuoso di crescita per ripagare crediti e debiti
contratti.

Nel frattempo l’Italia va però incontro ad una profonda crisi finanziaria, avvenuta nel
1866 (Terza guerra d’indipendenza). La guerra provoca un aumento drammatico della
spesa pubblica che impone l’emissione di nuova moneta, portando l’Italia al di fuori del
sistema monetaria dell’epoca (Gold standard): si poteva possedere una quantità di
moneta in circolazione proporzionale rispetto alle riserve di oro e argento del paese.
L’Italia con questa crisi esce dal Gold standard europeo, con una conseguenza sul
cambio della lira con le altre valute, non più stabile ma fluttuante ! Conseguenze dal
punto di vista del commercio internazionale e del prestigio italiano (la scelta qui però fu
una scelta obbligata). Dal 1873 il valore della moneta non è più quindi legato a quello
dell’oro, (ha valenza in Italia ma non all’estero). Per portare il bilancio in pareggio, viene
adottata una politica molto rigida (alte tasse), che farà decadere la destra storica ed
emergere la sinistra.

In questa fase, emerge il cosiddetto dualismo economico ! contrapposizione tra i settori


industriali delle economie più avanzate (meccanica, siderurgia) e quelli meno sviluppati
(settore tessile e alimentare) che mantengono una conformazione tendenzialmente
tradizionale. Il dualismo più rilevante è quello geografico, tra nord e sud ! due realtà
diversamente dotate nel momento in cui si tratta di dar avvio al processo industriale. La
situazione è di fatto molto meno favorevole al sud, e questo fa si che il divario aumenti
proprio nel momento in cui il nord inizia ad industrializzarsi. Si è arrivato anche ad
affermare che il processo di unificazione è stato negativo per il meridione: inizialmente,
l’unificazione ha infatti introdotto forme di tassazione che prima non c’erano ! la
struttura economica del sud era così arretrata che, ad esempio, la tassazione diretta sul
reddito e sulla proprietà non era stata introdotta, e di fatto le tasse non venivano
pagate.

Ad ogni modo, analizzando la logica del dualismo economico, il caso italiano rispecchia
tutte le realtà che hanno imboccato il processo di industrializzazione: ci sono alcune
classi sociali e alcune aree geografiche che hanno più risorse e caratteristiche per
partecipare a questa trasformazione, e questo fa sì che il divario inevitabilmente
aumenti. Le trasformazioni portano sempre ad aumentare le differenze, non solo
limitatamente al processo italiano quindi. Tuttavia sul lungo periodo, queste
trasformazioni portano tendenzialmente ad un miglioramento generale di entrambe le
parti. Se guardiamo i dati relativi al secondo dopo guerra, il sud infatti ha migliorato la
propria condizione sociale ed economica.

La questione del dualismo economico rese estremamente complicato trovare politiche


economiche che riuscissero ad adattarsi a tutte le realtà presenti sul territorio italiano. In
più, ad appesantire la situazione, nel 1895 iniziarono a giungere dall’America i primi
prodotti agricoli, super competitivi sul prezzo. Questo costituì un dramma per l’Europa, in
quanto una parte importante dell’economia era ancora legata all’agricoltura,
provocando la crescita del fenomeno migratorio ! grande depressione europea. Il
continente europeo uscirà da questa situazione soprattutto grazie alla seconda
Rivoluzione industriale, che darà via alla cosiddetta belle époque, un processo di
straordinaria crescita.

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Dal punto di vista politico, viene meno l’ideale liberoscambista ! con l’arrivo di prodotti
americani, anche gli agrari cominciano a diventare protezionisti per difendere i propri
prodotti. Ora all’interno del Parlamento italiano si ha convergenza tra gli interessi degli
industriali e quelli dei proprietari terrieri.

Nel 1878 e nel 1887, si hanno nuove tariffe doganali sull’importazione dei cereali e di
alcuni prodotti industriali ! primi segnali della nascita dell’industrializzazione. Un esempio
di questa spinta iniziale lo si ha nel settore siderurgico, che in Italia nasce a Terni
(posizione sicura dal punto di vista strategico): nonostante la scarsità delle risorse,
l’interesse dello Stato per la produzione delle corrazzate militari (elemento fondamentale
per la protezione del popolo) porta all’innescamento della produzione dell’acciaio. Tale
trasformazione viene sostenuta anche dal fatto che la maggioranza governativa della
sinistra aveva un orientamento liberoscambista differente rispetto alla destra.

Nonostante solo nel secondo dopo guerra gli occupati del settore industriale
supereranno gli occupati del settore agricolo (e analogamente per la produzione), già
dal 1890 si hanno i primi segnali di industrializzazione, in cui la congiuntura con mercato
internazionale giocò un ruolo fondamentale. Fu proprio in questo ventennio (1873-1895),
che il PIL pro capite crebbe più di quello della Germania e degli Stati Uniti. Tuttavia,
questo processo di crescita viene troncato dalla Prima guerra mondiale, che ha
conseguenze gravissime sullo sviluppo economico mondiale, a tal punto che tra la Prima
e la Seconda guerra si ha un unico lunghissimo periodo di crisi economica e politica.
Solo dopo la Seconda guerra mondiale ci sarà una ripresa di crescita.

1896, l’avvio dell’ industrializzazione in Italia

- Espansione e consolidamento del settore tessile, molto vicino alle esigenze dei
consumatori: si afferma un vasto mercato interno (import sostitution ! prodotti
che prima venivano importati vengono prodotti dal mercato interno italiano).
Crescita enorme nella produzione e esportazione di tessuti che porta ad una
diminuzione del costo del lavoro: i prodotti diventano più competitivi;
- Crescita della produzione di beni capitali (macchinari): l’Italia comincia ad
essere attiva anche nella produzione di beni capitali;
- Cominciano ad affermarsi le imprese di grandi dimensioni (sebbene prevarranno
sempre quelle di dimensione medio-piccola), che oltre ad esercitare economie
di scala, hanno proiezione sul mercato internazionale (es. Pirelli, Fiat, Ansaldo,
etc.)
- La seconda rivoluzione industriale cambia il paradigma energetico: quello della
prima rivoluzione industriale presupponeva il carbone, risorsa che mancava in
Italia. L’energia elettrica, invece, rappresenta la possibilità di recuperare la
distanza persa con gli altri paesi: l’Italia dispone di grandi impianti idrici. Il boom
elettrico favorì la formazione di grandi società, con una maggiore
concentrazione di capitale finanziario e investimenti, nonché di competenze
tecnologiche.
- Si sedimentano le prime banche miste nel processo di accumulazione del
capitale (Comit - Banca commerciale italiana, 1894, e Credit, 1895) che nascono
con una parte importante di capitali stranieri, e investono nell’attività industriale;
- Per quanto riguarda la geografia dello sviluppo, i poli di concentrazione di
questa prima industrializzazione sono a nord (triangolo industriale – Torino,
Genova e Milano), mentre a sud continua a prevalere l’agricoltura con un PIL
poco elevato.

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PIL in Italia 1861-1920 (milioni di lire 1938)


L’emigrazione italiana 1876-1961 (dati in migliaia)

8.769

99246

85019

66364 5.258
57459 60873 4.355 4.452
52344

1861-70 1871-80 1881-90 1891-00 1901-10 1911-20


1876-1900 1901-1915 1916-1942 1946-1961

Inizialmente il tasso di crescita del PIL rimane basso, poi si ha una crescita rilevante fino
alla Prima guerra mondiale.' Proprio in questo periodo, in Italia ha un forte flusso di
emigrazione ! sembrerebbe un dato
contradditorio, ma in realtà non lo è. Si ha infatti Emigrazione italiana 1876-1976
l’espulsione di forza lavoro agricola poco Regioni a maggiore emigrazione
qualificata, con la concentrazione della
restante nel settore industriale (la dinamica che Campania Calabria
consentirà lo spostamento dal settore agrario a 2.700.000 1.900.000
quello industriale si verificherà soprattutto però Sicilia
2.500.000
nel Secondo dopo guerra). Il processo
Lombardia
emigratorio ha riguardato principalmente il 2.300.000
nord ! l’emigrazione iniziale è forte in quelle Friuli Veneto
3.300.000
zone che stanno imboccando il processo di 2.000.000

industrializzazione, dove c’è una redistribuzione


delle attività produttive.

GEOGRAFIA ! conformazione geografica complicata che rendeva difficile la


realizzazione delle reti infrastrutturali. Poche risorse naturali;

DEMOGRAFIA ! crescita elevata fino al 1500 che ha provocato un’alta densità della
popolazione rispetto alle risorse sfavorita anche da una bassa urbanizzazione;

ISTITUZIONI ! Stato unitario e capitale sociale: serie di legami sociali tra individui e
dimensione pubblica che possono creare un ambiente favorevole alla crescita
economica. La diversa distribuzione del capitale sociale in Italia ha mostrato che le
realtà meno sviluppate economicamente sono quelle dove minore è la fiducia dei
cittadini nelle istituzioni, e questo è anche legato alle esperienze storiche: esperienze di
autogoverno del nord hanno facilitato il rapporto di fiducia e la partecipazione dei
cittadini alla vita politica. Dove invece hanno prevalso per secoli potenze straniere, si è
creato un varco tra dimensione pubblica e privata. Non basta la distribuzione dei fattori
di produzione, ma anche il modo in cui la società li combina, ed è qui che contano i
processi storici.

TECNOLOGIA e CULTURA ! innovazione presente solo in alcuni settori (come il caso della
Pirelli): c’è una debolezza di fondo data da un lato dalla debolezza della formazione
tecnica e scientifica nel sistema tecnico industriale, e dall’altro, ad un
sottodimensionamento delle università tecnico-scientifiche rispetto a quelle umanistiche.
Quindi, la struttura delle imprese e dell’ambiente formativo creano un ambiente non
particolarmente favorevole all’innovazione tecnologica.

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Il processo di industrializzazione, per lungo tempo, fenomeno essenzialmente


europeo, si affermò prepotentemente negli Stati Uniti e, in un secondo tempo,
anche in Giappone.
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 2

VIII. STATI UNITI


• - Una soluzione molto “yankee”: il Land Rush
• Geografia: grandi estensioni, grandi risorse, diversità di
suoli e climi
• Demografia: un paese sottopopolato, in fortissima
crescita (immigrazione)
• Istituzioni: un paese nuovo – Common law,
individualismo pragmatico, federalismo, enti intermedi
e “istituzioni per il mercato”
• Tecnologia: molte risorse, poco lavoro – capitale e
grande impresa
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi • Cultura: “melting pot” ed “etica del successo”
' Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 16

La sua storia è caratterizzata da un rapporto tra persone e risorse molto più vantaggioso
di quello che si era avuto in Inghilterra: hanno una disponibilità di spazio e terre coltivabili
molto più ampia degli europei, che consente di avere costi di produzione più bassi e allo
stesso tempo costituisce un
Il processo di sviluppo fu differente da quello inglese, soprattutto per incentivo all’adozione di
quanto riguarda la scarsità relativa di fattore lavoro, con un maggior tecnologiche avanzate,
impiego di capitale e risorse nei processi produttivi. permettendo di risparmiare
Popolazione degli Stati Uniti (milioni)
100
sul fattore più costoso, il
fattore lavoro. Di fatti, è
40
uno dei primi paesi ad
adottare tecnologie
4
avanzate più
1790 1870 1915
precocemente.
Anni

L’arrivo della popolazione europea (gli inglesi fondarono la loro prima colonia, la
Virginia, nel 1607) e africana sulla costa orientale costituisce le basi della fondazione
della potenza americana, che vide una crescita demografica importantissima, a fronte
di una quantità enorme di risorse disponibili. Rispetto alle realtà europee, c’è anche una
differenza nella struttura della popolazione: mentre nella fase iniziale il cittadino standard
era quello bianco e protestante (influenza inglese), ma mano si hanno ondate migratorie
provenienti da tutta Europa, che vanno a creare una società costituita da culture
diverse (melting pot). Il flusso europeo apporta culture diverse in un paese nuovo,
costituito e creato da migranti, in cui anche il sistema istituzionale e giuridico sono nuovi,
plasmati sulle esigenze di un mercato liberoscambista. Sotto il profilo sociale, essere una
nazione di migranti significa avere una grande volontà di autoaffermazione: emigrano
quelli che hanno più spirito di intraprendenza e ricerca del successo. Gli americani sono
estremamente competitivi. Elemento di crescita importante.

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Un esempio di questa competitività è rappresentato dal sistema adottato per


l’assegnazione della terre ! La terra europea era tutta completamente occupata da
terre coltivate. L’America, data l’enorme disponibilità di spazio e terre, aveva il
“problema” opposto. L’Oklahoma, a nord del Texas, nel 1889, risolve così il problema di
come assegnare la terra: viene suddivisa in lotti e tutti coloro che vogliono partecipare
all’assegnazione del lotto, si mettono dietro alla riga che dà avvio alla corsa forsennata
per la conquista del lotto. Il primo che lo raggiunge ne diventa il proprietario ! dà l’idea
da un lato, della competitività americana, e dall’altro, del fatto che la possibilità di
concorrere al lotto fosse disponibile a tutti, indipendentemente dalla situazione
economica. Fu proprio questa conformazione della popolazione a consentire al paese
di essere dinamico.

Risorse

Tenologia Trasporti

Fattori del successo


americano

RISORSE

L’economia statunitense della prima metà dell’Ottocento, rappresenta un caso


particolare d’avvio dell’industrializzazione perché le condizioni dei fattori economici
erano invertite rispetto all’esperienza europea: il mondo rurale statunitense è infatti un
raro caso di disponibilità infinita di quel fattore economico che per definizione è finito,
e che sul territorio europeo era una risorsa scarsa: la terra.
'
Risorse, non solo in termini di terreno, ma anche in termini di materie prime energetiche e
legname, in una quantità molto maggiore rispetto all’Europa, che consente di ridurre i
costi di approvvigionamento dei fattori industriali. Nonostante un sostenuto flusso
d’immigranti, negli Stati uniti la manodopera era così scarsa, che orientò i sistemi
produttivi verso un massiccio ricorso al capitale tecnico: il fattore capitale e
l’organizzazione del lavoro portarono inevitabilmente ad avere costi molto più
vantaggiosi rispetto a qualsiasi altro paese, permettendogli di lanciarsi nel mercato
internazionale con prezzi super competitivi- Il mercato europeo entra così in crisi e si
hanno le prime ondate migratorie verso il continente americano. La mancanza di una
manodopera rurale, assieme all’assoluta libertà d’iniziativa, orientò gli industriali ad
adottare processi di fabbricazione che facevano ampio ricorso alle macchine, per
economizzare la forza lavoro: i continui guadagni di produttività promossero l’
accumulazione di capitale tecnico e la crescita della domanda orientò fin dai primi dell’
Ottocento alla produzione di massa e alla specializzazione del lavoro.

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Importazioni di cotone degli Stati Uniti


4000
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0 USA
25 30 35 40 45 50 55 Resto del mondo
21- 26- 31- 36- 41- 46- 51-
18 18 18 18 18 18 18

La quota di prodotti agricoli sulle esportazioni americana fu sempre piuttosto elevata.


Cotone, tabacco, riso e zucchero di canna erano i prodotti dell’agricoltura da
piantagione, che vide la sua produzione moltiplicarsi con la diffusione della macchina
sgranatrice di Elli Whitney. In poco meno di venticinque anni le esportazioni cotoniere
erano cresciute di 150 volte. Il ruolo complessivo dell’attività agricola restò a lungo
rilevante, anche quanto erano ormai divenuti la prima potenza mondiale: nel 1900 1/3
del PIL USA era ancora di origine agricola.

Inizialmente i manufatti
50 Struttura del commercio estero USA rappresentavano il 45% delle
45
40 importazioni e solo il 10% delle
35 esportazioni, tutto il resto erano
30 prodotti agricoli. Con il tempo la
% manufatti su exp
25
%manufatti su imp situazione si ribalterà. Gli Stati Uniti
20
15 nella loro espansione possono
10 godere di un mercato interno
5 sempre più grande e questo è
0
fondamentale per garantire lo
1849-58 1869-78 1879-88 1889-98 1899-08 1909-18
sviluppo delle prime imprese.

Fin da subito c’è quindi un’attenzione agli aspetti innovativi, con l’obiettivo di risparmiare
sulla forza lavoro ed ottenere il massimo nella produzione agricola. Nella realtà
americana, date le diverse caratteristiche climatiche e della composizione del suolo, è
possibile un’ampia diversificazione (est-cereali, ovest-bestiame, sud-ortaggi) che permire
di avere una vasta gamma di produzione. A metà ottocento, lo spazio statunitense era
diviso in tre macroregioni:

• Nord est atlantico, specializzato nell’industria, nel grande commercio e nella


finanza, oltre che in un’agricoltura ortofrutticola;
• Ovest, specializzato nella produzione di cereali, mais e carne da macello;
• Sud, dedito alle piantagioni di cotone e tabacco tramite la manodopera
schiavile;

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Il nord est vendeva i suoi prodotti industriali all’ovest, che a sua volta spediva le sue
derrate agricole al sud via acqua. Il sud esportava in Europa la maggior parte delle sue
produzioni di piantagione (fondamentale per il commercio fu Chicago, mediatore tra la
parte centrale e la costa). La costruzione della ferrovia giocò un ruolo fondamentale,
perché permise di collegare ancora più strettamente queste tre vaste regioni
economiche.

Guerra di secessione
Questo conflitto delimitava il confine tra Sud, la cui economia era fondata sulle
piantagioni e sul liberoscambio, e il Nord, che inizia ad orientarsi per primo verso la
produzione industriale (non si era formata un’attività manifatturiera durante il periodo del
colonialismo), adottando una politica protezionistica in contrasto con il sud. Un’altra
differenza risiedeva nella struttura politica: il sud tende ad essere più federalista (ruolo
importante alle autonomia dei singoli stati), mentre il nord dà più importanza allo stato
centrale. Gli instabili conflitti portarono ad una lunga guerra civile (1861-1865), dove per
la prima volta nella storia, il potenziale industriale si rivelò decisivo per la vittoria: grazie
alla superiorità tecnologica ed evolutiva, nonché alla marina militare, il nord riesce a
battere il sud (la marina militare del sud era ancora basata su basi tradizionali).

TRASPORTI

I corsi d’acqua naturali, e i canali scavati per collegare più fiumi fino ai porti marittimi,
erano le vie più usate dai trasportatori indipendenti che movimentavano i prodotti
agricoli, il carbone e i metalli estratti dalle miniere.

In particolare il terziario
Un ruolo primario nell’industrializzazione americana ebbero le ferrovie, il cui
poggiava sui trasporti
sviluppo, partito in contemporanea con quello inglese, fu enorme navali e sulle ferrovie, che
diedero la possibilità di
esportare i prodotti
410475
Rete ferroviaria (km) americani verso il
continente europeo, in
particolare cereali e carne
(inizio della Grande
depressione europea).
251985
Europa
L’efficiente rete di trasporti
consentì di trasportare le
Gran Bretagna
risorse verso i luoghi di
USA
produzione a costi bassi: è
soprattutto la ferrovia lo
straordinario strumento a
84675
70652 rendere effettiva tale
32623 32623 efficienza. La gestione
1421 2390 4510 delle ferrovie sono l’ambito
nel quale si sperimenta
1840 1870 1914 un’inedita figura
professionale: il manager.
La grande impresa richiede capacità manageriale e organizzazione finanziaria, che
porta alla formazione di un manager capace di gestire un’impresa complicata come
quella ferroviaria.

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Dal 1870 la macchina a vapore prese il sopravvento sull’energia idraulica e, dal 1869, la
ferrovia collegò le coste atlantiche a quelle del Pacifico, completando il processo di
unificazione e integrazione del vasto mercato internazionale.

TECNOLOGIA
Rispetto alle risorse disponibili, il fattore lavoro continuava ad essere relativamente
scarso: i continui guadagni di produttività (molte macchine per pochi operai)
promossero l’accumulazione di capitale tecnico, sia in ambito agricolo che industriale.
Questa forte attenzione alla tecnologia rappresenterà il mezzo dello sviluppo (prezzi
competitivi ad alto contenuto tecnologico). È evidente come il rapporto degli americani
con le risorse è diverso rispetto al resto del mondo. In più gli americani erano dotati di
grandi quantità di petrolio (utile per i trasporti).

Industria: verso la produzione di massa, la standardizzazione e l’organizzazione delle fasi


produttive in catena

Caratteristiche dell’industria americana:


!manifattura e guerra d’indipendenza americana;
Con l’indipendenza (1776): dibattito tra favorevoli a uno sviluppo guidato
dall’agricoltura e dal commercio, e chi invece sosteneva la centralità del settore
manifatturiero.
!Prevalsero i secondi anche se si arrivò alla guerra civile (1861-1865)

La fine della guerra di secessione americana (1865) provoca un’accelerazione nel


processo di innovazione, permettendo agli USA di penetrare nel mercato europeo (le
guerre sono un acceleratore di investimenti e un incubatore di innovazione
tecnologica). Per l’economia nordista, la guerra fu un’occasione di formidabile crescita
in ogni settore, uscendone rafforzata in particolare in quello siderurgico e meccanico
(armi e macchine agricole), tant’è che il settore siderurgico divenne la più importante
industria americana in termini di valore aggiunto. Al contrario, l’economia del sud,
imperniata sulle piantagioni schiaviste, entrò rapidamente in crisi. Dal 1865 al 1914, lo
sviluppo dell’economia statunitense proseguì quasi interrottamente su tutti e tre i settori.

La produzione di armi assunse molta importanza per l’autodifesa (pellerossa, banditi,


sistema legale instabile): l’industria di armi inizia a sviluppare delle tecniche (che poi
saranno applicate ad altri beni), assumendo un ruolo fondamentale nella meccanica.
La logica di produzione va verso elevati livelli di standardizzazione (pochi modelli con
caratteristiche standard) e meccanismi per parti intercambiabili (che possono essere poi
assemblate e montate insieme) ! processo scomponibile, e quindi razionalizzabile in
termini di tempo. Tale meccanismo porterà alla catena di montaggio.

L’industria automobilistica con Henry Ford amplia il suo pubblico: opera tramite una
logica di mercato molto diversa da quelle precedenti, che coprivano un pubblico
estremamente ridotto per l’elevato prezzo e l’alta qualità. Ford costruisce un’
automobile standardizzata estremamente semplice e di facile manutenzione, sfoderata
di tutte le componenti di lusso, che fanno sì il costo di produzione si abbassi. La
produzione si basa sulla catena di montaggio che consente di ridurre i tempi di
produzione nonché i costi. L’automobile è quindi una delle chiavi importanti dello
sviluppo industriale (anche nello sviluppo italiano e tedesco): è sia un elemento di
trasformazione tecnologica e organizzativa, sia un elemento importante di
trasformazione della società (anche gli operai ora potevano permettersene una).

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L’avvento della fabbrica fu favorito da:

• Offerta crescente di carbon fossile;


• Disponibilità di macchine a vapore sempre più potenti ed efficienti;
• Possibilità di raggiungere un gran numero di mercati di sbocco senza limitazioni
stagionali, in tempi prevedibili e a costi sopportabili;
• Capacità di comunicare e scambiare informazioni, anche a grande distanza e in
tempi brevi;
• Costante crescita della domanda interna;

Il processo di sviluppo americano segue una crescita solowiana (Y=K/L) ! lo sviluppo


dipende dal rapporto tra capitale e lavoro: più alto è il capitale immesso, e più alto è il
reddito a parità di lavoro. Nella logica americana l’accumulo di capitale è l’elemento
cruciale, proprio perché dà la possibilità di risparmiare sul fattore lavoro. Ecco che
l’industria americana si sviluppa con impianti molto grandi e con una forte dimensione
all’organizzazione del lavoro (la catena di montaggio ne è il culmine). L’economia
americana è caratterizza da da imprese di grandi dimensioni, capaci di sfruttare le
economie di scala.

Elementi distintivi dello sviluppo americano furono:

La possibilità di creare un Il dinamismo derivante


Il ruolo della grande
apparato legislativo basato dalla volontà di
impresa (corporation)
sulle esigenze di una affermazione di una
organizzata per sfruttare
comunità nuova e dinamica società plurietnica
al meglio le risorse
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 13

L’esigenza di investire in capitale (tecnologia) favorì la diffusione di società anonime di


larga base azionaria. Fu così che negli Stati Uniti i finanziamenti derivarono dal mercato
azionario (e non dalle banche come accade in Europa): i risparmiatori mettono
direttamente a disposizione le risorse finanziarie comprando azioni. Questo consente ad
un paese in crescita come l’America, di raccogliere capitale e accrescere la propria
industria.
Produzione industriale in % della produzione mondiale
40 C’è un calo drastico
35 della produzione inglese
30 USA
(che nel 1870
Inghilterra produceva circa il 30%
25
Germania della produzione
20 Altri
mondiale). Gli Stati Uniti
15
partono da una quota
10 che si aggira intorno al
1870 1881-85 1896-00 1906-10 1913
20% per poi raggiungere
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi
il picco mondiale.

Con gli anni ’80 gli Stati uniti divennero la prima nazione industriale del mondo, e furono,
insieme alla Germana, i protagonisti della seconda Rivoluzione industriale, caratterizzata
dal motore a scoppio (a combustione interna) e dalla prevalenza del settore chimico e
di quello elettrico. L’agricoltura restava comunque un’attività importante.

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Alla base di questa crescita risiede un fattore culturale importantissimo: l’America è un


paese culturalmente e socialmente nuovo. Il fatto che non ci fossero gruppi sociali
ancorati a certe logiche tradizionali, evitò quell’inerzia che in Europa aveva provocato il
rallentamento delle trasformazioni. La mancanza di una manodopera rurale, l’assoluta
libertà d’iniziativa (non esistevano monopoli, privative, licenze, concessioni, corporazioni)
orientò gli industriali ad adottare processi di fabbricazione che facevano largo ricorso
alle macchine per economizzare la forza lavoro, moltiplicando le innovazioni e
stimolando la meccanizzazioni di ogni fase lavorativa. Inoltre, essendo una società di
immigrati, il sogno di trovar fortuna porta ad una capacità di auto affermazione molto
forte.

Restavano però dei problemi aperti: sul fronte della sicurezza sociale, della
disoccupazione temporanea, delle ricorrenti crisi finanziarie, della diseguaglianza nella
distribuzione della ricchezza, della tutela dei lavoratori
Sul fronte della sicurezza sociale gli USA erano più deboli rispetto all’Europa: non ci sono
reti pubbliche che assistono i lavoratori. La tutela dei lavoratori è di fatto un fattore molto
carente nella storia americana. In Europa, al contrario, c’è grande copertura. È una
realtà caratterizzata da frequenti crisi finanziarie, con una forte disuguaglianza nella
distribuzione della ricchezza. Una disomogeneità tuttavia che viene vista come uno
stimolo per migliorare la propria situazione: la mobilità sociale americana è molto più
avvantaggiata rispetto a quella europea, ed era quindi molto meno difficile passare da
una condizione sociale all’altra (grande speranza di miglioramento).

GEOGRAFIA ! grande quantità di risorse, diversità suoli e climi, grandi estensioni;


DEMOGRAFIA ! paese inizialmente sottopopolato, che vede successivamente una
grandissima crescita (forte immigrazione). Mescolanza di culture che si integrano in
un'unica realtà;
ISTITUZIONI ! è uno stato nuovo che si plasma sulle esigenze delle società che si stanno
formando. Sono istituzioni che nascono per il mercato.
TECNOLOGIA ! molte risorse, poco lavoro: grande importanza al capitale. È un
continente sempre sulla frontiera tecnologica.
CULTURA ! melting pot (fusione di realtà diverse): spiega la capacità del mondo
imprenditoriale americano ad accogliere sempre nuove idee.

"Gli Americani di tutte le età, condizioni e tendenze si associano di continuo. Non


soltanto possiedono associazioni commerciali e industriali, di cui tutti fanno parte, ne
hanno anche di mille altre specie: religiose, morali, gravi e futili, generali e specifiche,
vastissime e ristrette. Gli Americani si associano per fare feste, fondare seminari, costruire
alberghi, innalzare chiese, diffondere libri, inviare missionari agli antipodi; creano in
questo modo ospedali, prigioni, scuole. Dappertutto, ove alla testa di una nuova
istituzione vedete, in Francia, il governo (...), state sicuri di vedere negli Stati Uniti
un'associazione"

Alexis de Tocqueville, La democrazia in America. Con questa affermazione viene


elogiata la grande capacità organizzativa degli americani, che sono in grado tramite
associazioni, di organizzarsi tra loro e raggiungere fini sociali.

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IX. GIAPPONE

• Geografia: un arcipelago con risorse scarse


• Demografia: un paese densamente popolato,
con molte città
• Istituzioni: dal feudalesimo autarchico
all’occidentalizzazione (ma con permanenze);
zaibatsu e keiretsu
• Tecnologia: imitazione e sviluppo
• Cultura: disciplinamento sociale, famiglia,
dedizione, alta scolarità

Nel 1500, Cina e Giappone erano già più avanti rispetto al resto dell’Europa. Le cose
cambiano tuttavia dal 1500 in poi: c’è la convinzione che la loro società sia superiore
rispetto alle altre e, per proteggersi dagli influssi esterni, il Giappone si chiude in un
isolamento che durerà per più di un secolo (1739-1850). Durante questo periodo, il
potere politico fu ininterrottamente esercitato da un capo militare, lo Shogun, della
nobile casta Tokugawa, che preservò l’assetto sociale fondato sul feudalesimo e sulle
caste. Nei rispettivi feudi, il potere assoluto veniva esercitato dai daimyo, al cui servizio
c’erano i samurai. L’economia era fondata sull’agricoltura e la base della dieta
alimentare era il riso, mentre nei tempi moti dell’agricoltura i contadini si dedicavano ad
un’ organizzazione analoga all’ industria domiciliare europea. Nelle città operavano
mercanti e artigiani riuniti i corporazioni a numero chiuso, mentre l’ appartenenza per
nascita ad un ceto determinava i destini individuali, essendo vietato cambiare
residenza, occupazione o mestiere. L’esistenza di numerosi centri urbani densamente
popolati fu un potente fattore d’evoluzione economica e sociale: nonostante una
politica improntata alla conservazione dell’assetto sociale tradizionale, nel lungo andare
iniziò a prosperare una borghesia orientata agli scambi, mantenuta in condizioni d’
inferiorità sociale e culturale nonostante controllasse una crescente quota di ricchezza
fondiaria e mobiliare.

L’isolamento terminò nel 1853, quando gli Stati Uniti, necessitando di uno scalo tecnico in
Giappone, gli proposero l’avvio di relazioni diplomatiche e commerciali: nel 1854 lo
Shogun concesse agli statunitensi il diritto di accedere, risiedere e commerciare in due
porti minori del paese. I flussi di commercio internazionale tuttavia alimentarono un
malcontento nella popolazione, dovuto al calo dell’offerta interna (aumento dei prezzi)
e alle importazioni nettamente superiori rispetto alle esportazioni (l’uscita dal paese di
grandi quantità d’oro diminuiva la massa monetaria pregiata e accresceva il peso
relativo di quella d’argento e di rame, aggiungendo inflazione a quella motivata dal
calo dell’offerta interna rispetto alla domanda). In questo clima, nel 1868 venne
proclamata la fine dello shogunato. Dal 1871 cadde ogni distinzione di ceto fra i sudditi
(soppressione dei ceti) che poterono muoversi liberamente nel paese e accedere ai
mestieri e alle professioni (essendo state abolite le corporazioni): da quel momento in poi
il Giappone imbocca la strada dell’industrializzazione, sulla scia del modello tedesco e
americano.

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Decollo difficile causa lo squilibrio tra risorse e popolazione


La carenza di materie prime e materiale energetico rendeva difficile l’affermazione
dell’industria in termini competitivi sul mercato mondiale

La bilancia commerciale risultava deficitaria a causa della necessità di importare


materie prime, dato il limite della scarsità delle risorse. Fu così che per riequilibrare la
situazione tra popolazione e risorse, nonché la propria bilancia commerciale, il
Giappone inizia ad esportare seta (grande concorrenza europea) e tè (bene facilmente
esportabile con un enorme mercato internazionale), entrambi prodotti staple (prodotti
base) fornitogli dalla manifattura tradizionale. Il settore della seta fu avvantaggiato dalla
diffusione in Europa di una malattia che colpì tutti i bacchi da seta (ne divenne il
maggior produttore).

Dagli anni Settanta, il Giappone realizzò un’esperienza di politica economica per molti
versi sui generis. Il governo favorì miglioramenti della produttività agricola inviando
tecnici all’estero per ottenere tecnologie più aggiornate e l’ accresciuta produzione di
derrate agricole e di materie prime permise di pagare le importazioni di tecnologia per l’
industria. Alle scuole primarie furono affiancate quelle professionali, si avviarono attività
industriali con dirigenti i samurai (sensibili all’idea di potenza nazionale) e i primi istituti
bancari. Tuttavia, nonostante le numerose innovazioni istituzionali e amministrative (molte
delle quali furono integralmente copiate dall’estero) il sistema di relazioni economiche e
sociali continuava ad essere imperniato sul modello culturale della famiglia allargata.

La crescita economica giapponese ristagnò solo nel decennio delle guerre vittoriose
con la Cina, da cui ricavò una grande quantità di oro, e con la Russia, con cui pose la
sua potenza all’attenzione mondiale. I settori industriali che si affermarono per primi
furono quello tessile e quello siderurgico-meccanico, dopo l’introduzione di moderate
misure protezionistiche. Impossibilitati a fabbricare in proprio o a importare impianti
produttivi tecnicamente avanzati, gli industriali giapponesi si adattarono ad acquistare a
basso prezzo attrezzature obsolete e dismesse (capitale) nei paesi più avanzati. Solo
dopo aver costruito una solida base industriale, il Giappone si lanciò nella
diversificazione delle attività.

Importante per lo sviluppo industriale giapponese fu la nascita delle zaibatsu,


(saa) imprese di carattere familiare che agivano sinergicamente – grandi
agglomerati, piccole imprese (Mitsubishi)
Dopo il 1870 il reddito pro capite crebbe a tassi simili a quelli europei
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 20

L’economia privata si organizzò sulla base di società finanziarie in accomandita per


azioni che controllavano un gran numero di imprese minori. La società madre era
governata dal capo della famiglia mentre gli altri componenti del gruppo si
occupavano della direzione e dell’amministrazione delle società minori. Questo sistema,
chiamato zaibatsu, assicurò il controllo d’ingenti risorse finanziarie in capo a pochi gruppi
familiari (oligopolio), dando vita e imprese di grandissime dimensioni. Il Giappone non
partecipa alla Prima Guerra mondiale e questo gli consentì di rafforzarsi notevolmente la
propria posizione economica: arriva ad avere un apparato industriale e militare
solidissimo. La fine della Seconda guerra mondiale tuttavia sarà disastrosa per il
Giappone (bombe nucleari e occupazione americana): uscito sconfitto, si diede una
costituzione democratica (monarchia costituzionale) e al posto degli zaibatsu (visti come
un ostacolo al nazionalismo) comparvero i keiretsu, che raggruppavano imprese minori
sotto un’unica grande impresa.

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Il successo economico giapponese nel Novecento Per tutto il corso del 900, il
Giappone continua a
crescere, pur mantenendo la
propria solida tradizione
culturale: la sua quota
d’esportazioni cresce sempre
di più (superando le
Nel Novecento il Giappone cresce e si sviluppa fino a raggiungere importazioni), innanzitutto
posizioni di punta. Ciò grazie a: perché i suoi prodotti
• scarso coinvolgimento nella I GM e nella crisi degli anni Trenta (tecnologicamente avanzati)
(pesanti invece le conseguenze della II GM) hanno prezzi concorrenziali, e
• politiche di coordinamento pubbliche
poi perché il governo
• “importazione” di modelli e tecnologie estere
giapponese continua ad
• protezionismo e colonialismo
adottare politiche commerciali
• integrazione banca-impresa (dalle zaibatsu alle keiretsu)
difensive (protezionismo).
• disciplinamento sociale e innovazione tecnologica
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 21

Molta forza lavoro rimase nei villaggi e nelle campagne, dov’erano andate
moltiplicandosi le piccole e medie imprese: si trattava di un genere di crescita
economica adatta a soddisfare bisogni in lenta evoluzione dalla tradizione alla
modernità. Inoltre si verificò un miglioramento del tenore di vita di larghi strati della
popolazione, con tensioni sociali sopportabili in quanto ognuno era ben integrato entro
un sistema di relazioni economiche, sociali e culturali impregnate sullo spirito della
disciplina e dell’ onore.

In conclusione l’economia giapponese moderna offre uno dei più riusciti esempi di
sviluppo economico programmato dal governo e realizzato dalla burocrazia statale: la
prima e principale ragione del successo consiste nell’avere accettato senza complessi
d’inferiorità culturale il ruolo di paese economicamente arretrato. La capacità di
apprendere, di imitare, di adattarsi e di perseguire l’ottimo possibile è il segreto del
successo giapponese. Il processo di rapida modernizzazione, dal feudalesimo al
capitalismo, avvenne senza implicazioni ideologiche e su base empirica, facilitato dalla
proverbiale frugalità dei contadini: dall’Occidente fu preso a prestito solamente quanto
era tecnicamente necessario.

DEMOGRAFIA ! densamente popolato con società avanzate, con una morfologia


complicata (simile all’Italia);

GEOGRAFIA ! arcipelago con risorse scarse, che a lungo resta chiusa in sé stessa;

ISTITUZIONI !dal feudalesimo autarchico all’occidentalizzazione (ma con permanenze


dei valori tradizionali). C’è una fusione tra mentalità tradizionale e innovativa, che
consentirà all’economia giapponese di essere molto competitiva; zaibatsu e keiretsu;

TECNOLOGIA ! l’imitazione delle tecnologie da Europa e America è la chiave dello


sviluppo giapponese;

CULTURA ! alta scolarità, disciplinamento sociale, dedizione, famiglia;

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X. LA PRIMA GLOBALIZZAZIONE TRA 800 E 900


All’inizio del XX secolo lo scenario è il seguente:

" Due grandi aree industrializzate: Europa nord-occidentale e USA;


" Altre aree europee ancora in ritardo.

Nel quarantennio che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale, l’Europa
raggiunse sia il primato nella produzione di beni industriali, sia il dominio commerciale
nelle esportazioni. La costruzione di un’imponente rete di trasporti in Europa e in America
settentrionale accelerò quel processo di integrazione dell’ economia mondiale avviato
dalla Gran Bretagna a metà dell’ Ottocento con la libera circolazione internazionale
delle merci. Lo sviluppo del commercio internazionale coinvolse anche i paesi tropicali
che producevano coloniali (spezie, the, caffè, cacao, gomma, zucchero di canna),
tanto che, in qualche caso, le barriere daziarie introdotte in Europa misero in crisi
produzioni distanti migliaia di chilometri. In ogni caso, l’integrazione del mercato globale
comportò un livellamento dei prezzi dei coloniali e la scomparsa della pluralità di
produttori dislocati nei diversi continenti, che aveva caratterizzato il colonialismo Sei -
settecentesco.

Tra il 1896 e il 1913 tutta l’economia europea attraversa una fase espansiva, denominata
belle époque.
erifica ( esclusa la Francia) un sensibile incremento demografico…
65
49
46
38
32
28 1890
1910

Popolazione in milioni
(1890-1910)

Germania UK Italia

a anche un massiccio esodo migratorio dall’Europa verso l’America, sia settentrionale


Si verifica, fatta eccezione per la Francia, un sensibile aumento demografico, ma anche
un massiccio esodo migratorio dall’ Europa verso l’ America (10% della popolazione
europea) per l’ aumento della produttività del settore agricolo e l’eccesso di
manodopera. Si riducono gli addetti nel settore agricolo e nel settore manifatturiero si
inizia a richiedere una manovalanza generica, che non richiede un elevato livello di
formazione. Cresce in ogni caso la manodopera qualificata.

Con l’avvento della “seconda rivoluzione industriale”:


" Diffusione dell’elettricità;
" Invenzione del motore a scoppio che utilizza per il proprio funzionamento un
derivato dal petrolio (il primo è prodotto dall’ing. Daimler nel 1885);
" Affermarsi della chimica organica;

Si tratta di innovazioni più complesse di quelle della I rivoluzione industriale e


richiedono per essere create e adottate, conoscenze scientifiche e tecnologiche più
elevate.

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Cambia il paradigma energetico: dopo l’invenzione di Edison della lampada ad


incandescenza (1879) l’elettricità comincia a diffondersi. Quando poi, grazie agli studi di
Galileo Ferraris e George Westinghouse (corrente elettrica alternata), si riesce a
trasportare l’energia a distanza, si aprono nuove prospettive per lo sviluppo industriale.
Le applicazioni erano varie, tra cui l’illuminazione, la trazione ferroviaria e tranviaria,
l’elettrochimica, l’elettrometallurgia, la motorizzazione della piccola industria.

L’utilizzo del carbone tuttavia non viene sminuito, rimanendo predominante nei paesi
dotati di importanti giacimenti. Si afferma in maniera definitiva la navigazione a vapore,
si conosce una grandiosa espansione del mezzo ferroviario, specie negli USA, e
compaiono le prime reti di trasporto urbano: le tranvie. Fa la sua prima comparsa il
mezzo aereo (1903 esperimento di volo dei fratelli Wright) e non si muovono più solo
persone e merci, ma anche capitali e notizie viaggiano con una velocità mai
conosciuta prima (telegrafo - primo cavo transatlantico 1858, stabile dal 1866 – telefono
e radio - prima trasmissione transatlantica di G. Marconi nel 1901).

Flussi migratori dall’Europa 1851-1920 (migliaia di persone)

9000

8000

7000

6000
UK
5000 Italia
Germania
4000 Francia
3000 Imp. Asb.

2000

1000

' 1851-60 1861-70 1871-80 1881-90 1891-00 1901-10 1911-20

Tra il 1890 e il 1914 si assiste quindi alla prima globalizzazione, che vide aumentare
notevolmente il grado di integrazione dei mercati delle merci, dei capitali, del lavoro e
della conoscenza. Per alcuni beni omogenei (cereali, ferro, etc.), infatti, la riduzione dei
costi di trasporto conduce ad una convergenza dei prezzi: questi discorso non può
essere fatto per tutti i beni, paesi e mercati. Un esempio può essere la differenza del
prezzo tra Chicago e Liverpool: del 60% nel 1870 e solo del 15% nel 1914.

IL GOLD STANDARD
Londra era la capitale finanziaria del mondo: i prestiti esteri inglesi erano la metà di tutti i
prestiti del periodo, Il differenziale d’interesse tra Londra e gli USA tra 1890 e 1915 si
attesta sull’1% e un importante fattore d’integrazione (ma anche di trasmissione delle
crisi) fu il sistema monetario del “Gold Standard”.

Assunse particolare rilevanza il tentativo di stabilire una cornice di compatibilità nella


finanza internazionale, attraverso il Gold standard (1717 in Gran Bretagna, a fine 800 era
divenuto lo standard internazionale): il regime aureo, che consentiva la diretta
convertibilità della carta moneta con il metallo prezioso. Prima della sua affermazione
esisteva uno standard misto di circolazione:
" Circolazione monometallica aurea o argentea;
" Circolazione bimetallica aurea e argentea;
" Circolazione metallica cartacea.

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La circolazione cartacea era quindi legata alle riserve metalliche: un deficit


commerciale comportava quindi una riduzione della circolazione, un surplus
commerciale l’ aumento della circolazione. Se si rispettano questi principi il meccanismo
funziona attraverso un automatico riequilibrio tra i diversi paesi: Il paese A e paese B,
sostengano rapporti commerciali l’uno con l’ altro. Se, ad esempio, il paese A produce
un avanzo della bilancia commerciale, esportando più di quanto importa, l’oro si
sposterà dal paese B al paese A, che vedrà crescere le proprie riserve. A aumenta la
circolazione monetaria provocando inflazione e quindi diminuendo la competitività dei
propri prodotti, mentre i tassi di interesse si ridurranno (alta disponibilità di moneta). Il
paese B, al contrario, vedrà i prezzi diminuire per deflazione e un aumento dei tassi di
interesse, generando quindi il riequilibrio automatico di cui si è parlato
precedentemente.
Cardine del sistema era il diritto di convertibilità della carta moneta in metallo prezioso
Originariamente: Gran Bretagna nel 1717
Standard internazionale: decenni finali dell’800
Regole del gioco: 1 - circolazione cartacea legata a riserve metalliche
2 - deficit commerciale = riduzione di circolazione
3 – surplus commerciale = aumento di circolazione

Se si rispettano le regole, funziona un meccanismo automatico di riequilibrio tra i


diversi paesi

Nella realtà questo sistema tende a fallire nel lungo periodo, in quanto questo non
avviene: i paesi in avanzo non monetizzano tutte le riserve auree ed inoltre, in caso di
crisi finanziaria, non si potrebbe aumentare l’ offerta di moneta.

1895-1914: la “prima globalizzazione”


35000
30000 1880
25000 1900
20000 1913
15000
250000
10000
210000
5000
200000
0
.
K ci
a ia SA sb sia lia
U
an an U A us It
a 150000
r m p. R
F er Im 110000
G
100000
75000
Totale import-export 1880-1913
(milioni di lire 1913) 50000

0
Mondo

La “seconda rivoluzione industriale” richiese:

" Grandi capitali, per cui si rafforzarono le banche miste (interconnessioni con
le piccole-medie imprese, alto livello di informazioni e controllo elevato) e si
consolidano le borse (le grandi imprese rispondevano solo al mercato
azionistico);

" Economie di scala, per cui si diversificò, specializzandosi, il ruolo della banca
e si affermò la grande impresa (USA – Germania);

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Si presentano, in realtà diverse, vari modelli di istituzioni di intermediazione finanziaria e


creditizia, assunsero un ruolo sempre più preciso le banche centrali, che non erano solo
banche di emissione, ma avevano anche il ruolo di supervisione sul sistema bancario e la
funzione di prestatore di ultima istanza (concedevano prestiti quando nessuno era
disposto a farlo).

L’affermazione della grande impresa


La grande impresa, secondo Alfred Chandler, nasce non solo per sfruttare le economie
di scala, ma anche per procedere ad un’organizzazione “scientifica” del lavoro,
attraverso il Taylorismo e la catena di montaggio (Henry Ford, il “Modello T”). Grazie alle
Corporation, aumentò la produttività del lavoro, si abbassarono i costi unitari di
produzione grazie ai quali si riuscì a spiazzare la concorrenza in tutti i settori dove si
poterono standardizzare i prodotti.

La proprietà non fu più in grado di esercitare il controllo dell’impresa e si affermò la figura


del manager: in presenza delle grandi imprese si formò un sistema economico misto tra il
mercato oligopolistico e la programmazione da parte delle imprese. Gli investimenti
erano ripartiti tra le tecnologie, il marketing e la formazione e selezione del
management.

La prima automobile prodotta su larga scala con la catena di montaggio (1910) fu la


Ford T: ogni 3 minuti veniva realizzata un’automobile, l’assemblaggio richiedeva 90
minuti con 15 milioni di pezzi e nel 1922 il 50 % del mercato era ricoperto solo da questa
auto. Il prezzo di 440 $, la rendeva accessibile anche agli operai (5$ al giorno).

Con lo scoppio nel 1914 della prima guerra mondiale si interruppe una fase espansiva
che aveva da un ventennio coinvolto tutti i Paesi dell’Occidente.
Le cause (anche economiche) del conflitto furono:

" il dissidio franco-tedesco per i ricchi territori dell’Alsazia e Lorena;


" la preoccupazione per l’espansionismo delle imprese tedesche;
" i dissensi russo-tedeschi sul protezionismo;
" i contrasti economici nei Balcani.

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C’era però la convinzione che la guerra avrebbe fatto prevalere un’egemonia, avrebbe
fatto acquisire nuovi territori e arricchito il vincitore. In Europa c’era chi ragionava
secondo categorie preindustriali, che prevedevano l’utilizzo dello strumento bellico per
superare fasi di stagnazione.
Nella nuova realtà la guerra significava invece distruzione di capitale fisso, oltre che di
capitale umano e comportava l’interruzione dell’economia di mercato.

Le guerre doganali e le rivalità tecniche e commerciali


Nei paesi europei l’aumento dell’offerta delle derrate agricole di base provenienti dal
resto del mondo, a prezzi nettamente più bassi, in un mercato aperto avrebbe originato
una riorganizzazione secondo i principi della libera concorrenza. Per tale motivo, dagli
ani Settanta, venne attivata un’ efficace pressione politica che strappò ai governi alte
difese doganali (su derrate agricole e manufatti). Si innescarono, di conseguenza,
conflitti tra i paesi europei, in qualche caso sfociati in vere e proprie guerre doganali:
solo la Gran Bretagna rimase fedele al dogma liberoscambista perché l’ opinione
pubblica non accettava l’ idea che i prezzi potessero aumentare, come sarebbe
accaduto tassando le importazioni di derrate agricole.

Si formò un duplice mercato internazionale: quello inglese, improntato al


liberoscambismo, e quello dei paesi in via di industrializzazione, contraddistinto dai regimi
doganali che disincentivavano gli scambi e favorivano relazioni commerciali
preferenziali con partner ai quali si era legati da affinità e convenienze politiche. Dalla
fine dell’Ottocento nell’Europa continentale e negli USA il nazionalismo economico
prevalse sul liberalismo concorrenziale: i governi non poterono disinteressarsi del
finanziamento di basilari infrastrutture (porti, strade, canali, ferrovie, etc.) e della
promozione di un’ essenziale armatura industriale, senza dimenticare il disagio indotto
dall’ industrializzazione nei settori tradizionalmente meno efficienti come l’ agricoltura e
la vendita al dettaglio. Gli stabilimenti più importanti vennero collocati nei paesi
protezionisti ed in tal modo si trasferirono capitali finanziari e risorse tecnologiche
piuttosto che merci e si diede vita a gruppi multinazionali che avviarono imprese ad alta
tecnologia là dove non sarebbero sorte spontaneamente. Queste imprese facevano
parte di cartelli internazionali che decidevano i prezzi di ogni mercato secondo una
logica di tendenziale monopolio, impossibile da immaginare secondo i dogmi
liberoscambisti per i paesi ancora alle prime armi.

Tra il 1910 e il 1913 le esportazioni tedesche sopravanzarono di poco quelle statunitensi,


ma nettamente quelle inglesi. Dall’inizio del Novecento quote sempre maggiori della
produzione statunitense di grano, carne, cotone e tabacco furono assorbite dal
mercato interno, con inevitabili ridimensionamenti dell’esportazione: il prezzo più basso
dei prodotti interni rispetto a quelli importati contribuì allo sviluppo di nuovi settori
industriali e crebbero, per contro, le importazioni di materie prime. Le esportazioni
superarono comunque quelle inglesi, perché si trattava di prodotti il cui consumo
mondiale stava crescendo e perché affluivano sui mercati di quei paesi le cui economie
tenevano ritmi di crescita superiori alla media.

Dagli ultimi anni dell’Ottocento, l’afflusso di cereali americano nei paesi europei che li
importavano per le loro produzioni fu una delle principali cause del rallentamento dello
sviluppo agricolo delle regioni del vecchio continente. Con il mercato globale,
l’abbassamento dei dazi doganali e l’importanza relativa del settore primario per il
vecchio continente, la concorrenza americana causò una caduta dei prezzi, dei redditi
e del potere d’acquisto dei contadini e agricoltori, tradottasi in un ripiegamento della
domanda aggregata e un freno generale dei ritmi di crescita economica.

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XI. LA PRIMA GUERRA MONDIALE

La grande guerra (1914-1918) alterò i regimi politico istituzionali, modificò gli assetti
sociali, sconvolse le economie, incise pesantemente sugli assetti demografici, alterò i
rapporti di forza tra i partiti politici ed ebbe conseguenze durature sulle mentalità
collettive e sulle ideologie. Erano contrapposte le forze dell’Intesa (Serbia, Russia,
Francia, Inghilterra, Belgio e successivamente Italia e Usa) a quelle degli imperi centrali
(Austria-Ungheria, Germania e Turchia).

La guerra moltiplicò i decessi (complessivamente in Europa ci furono oltre 20 milioni di


morti) e limitò i concepimenti. Alla conferenza di pace si tenta di quantificare il costo
complessivo delle perdite, per addossarlo alla Germania, che oltre ai danni economici,
perse il 13 % del proprio territorio. Dalle ceneri della monarchia asburgica nascono 3
nuovi stati e si ingrandirono diversi altri, mentre si moltiplicano frontiere, monete, banche
centrali, sistemi fiscali e doganali. Furono messi in discussione gli assetti sociali tradizionali
e gli unici paesi che non subirono notevoli cambiamenti rispetto ad una tradizione
politica imperniata sulla centralità del Parlamento furono quelli affacciati sulle rive del
mare del Nord.

L’imperativo era agire, non discutere per confrontare opinioni, nuovi ricchi (profittatori)
avevano sfruttato la particolare congiuntura interna mentre altri rischiavano o
perdevano la vita nei campi di battaglia, mettendo in crisi la fiducia nella superiorità del
lavoro e nella virtù del risparmio, minando i valori borghesi consolidatisi nell’ Ottocento.
Le “vittime” degli effetti economici della guerra furono coloro che disponevano di redditi
fissi, soprattutto per effetto dell’ inflazione. I prezzi delle derrate agricole aumentarono
meno proporzionalmente dei prezzi dei manufatti e dei prodotti industriali e non
equilibrarono l’effetto dell’ inflazione. Ci fu una crescente pressione sui partiti politici che
portò alla ribalta la questione economica e sociale della disoccupazione.

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I fattori economici e politico-istituzionali di fondo furono:

• Il rapporto tra sforzo bellico e disponibilità di risorse economiche: le economie


interne dovettero sostenere lo sforzo bellico, alla lunga estenuante (una delle
cause della sconfitta della Germania e dell’Austria fu la mancanza di
approvvigionamenti adeguati, dovuta all’ embargo degli alleati);
• La modalità di reperimento delle risorse finanziarie per la guerra, che portarono
ad uno sviluppo dell’attività produttiva durante il conflitto, con le caratteristiche
dell’industrializzazione forzata: si assistette alla crescita innaturale di alcuni settori
(siderurgico, metalmeccanico, etc.), che dopo la guerra sarebbero dovuti essere
riconvertiti e contemporaneamente al calo dell’ offerta per la popolazione
comune.
Le economie di guerra: il punto di partenza

L’insolita durata e l’estesissimo teatro della guerra, assieme all’importanza che assunse
l’apparato industriale (aumento della domanda di armamenti, esplosivi, proiettili,
calzature, medicinali, risorse alimentari, etc.), furono tutti elementi innovativi rispetto al
passato. Proprio per l’esigenza di predisporre adeguati rifornimenti per i fronti, per
razionare le materie prime indispensabili, per il contingentamento delle importazioni e
delle esportazioni, per la nazionalizzazione delle risorse energetiche, gli Stati presero il
controllo delle forze produttive nei settori caratteristici: si estese la sfera normativa e
amministrativa delle istituzioni pubbliche centrali e periferiche sull’economia, in contro
tendenza rispetto all’autonomia ottocentesca delle relazioni economiche rispetto alla
politica.
Circolazione di banconote in alcuni paesi belligeranti
(medie annuali - milioni in valuta nazionale)
40000
35000 1913
30000 1914
25000 1915
20000 1916
15000 1917
10000 1918
5000 1919
0
GB Francia Germania Italia

In Gran Bretagna la circolazione s’è moltiplicata per 2,66


In Francia per 6,13
In Germania per 14,24
In Italia per 6,19

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La struttura economica dei diversi Paesi belligeranti era marcatamente diversificata: in


campo c’erano strutture economiche forti, ma anche strutture economiche più fragili. Le
modalità di finanziamento del conflitto: l’analisi di J.M. Keynes considerava tre diverse
strade:

• la via inglese dell’appesantimento fiscale (imposte);


• la via francese del massiccio ricorso all’indebitamento, che aveva il vantaggio di
poter essere risanato in un lasso di tempo maggiore;
• la via tedesca centrata prevalentemente su una serie di manovre monetarie
(aumento della circolazione della moneta, che però provocò inflazione).

In merito alle questioni legate alla nuova fisionomia industriale va sottolineato:


• lo sforzo unidirezionale finalizzato ad obiettivi militari (imprese ausiliarie);
• la difficoltà a reperire maestranze, date le scelte di mobilitazione di massa;
• la forza lavoro sottoposta a vincoli di carattere militare.

La guerra produsse uno sconvolgimento imponente nell’economia e nella società


europea e determinò lo smantellamento del capitalismo liberale:
• Crebbe l’interventismo statale;
• L’Europa si isolò dall’economia internazionale, accelerando l’ascesa di USA e
Giappone;
• Finì il regime zarista e la monarchia asburgica.

Le distruzioni di infrastrutture e di scorte di merci si concentrarono soprattutto nelle regioni


ad alta densità industriale teatro di scontri.

Il costo della guerra

A parte le distruzioni e le perdite, bisogna considerare che i governi finanziarono le


ingenti spese belliche in parte stampando banconote che accrebbero la massa di
monete esistente, causando un processo inflazionistico inarrestabile, e in parte con titoli
di debito pubblico largamente sottoscritti dalle banche. Nel caso dei tre paesi sconfitti,
gli oneri da interessi del debito pubblico e pensioni si aggiunsero alle riparazioni o danni
di guerra imposti soprattutto alla Germania (132 miliardi di marchi), dopo che gli alleati si
erano spartiti le sue colonie (Alsazia e Lorena, trattato di Versailles, 1919).

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L’Europa usciva fortemente provata dai 5 anni di guerra


Accanto alle perdite umane e pesanti gscompensi di ordine finanziario

I costi umani del conflitto:


! 8,5 milioni di soldati europei deceduti
! 5 milioni di civili uccisi
! diversi milioni di vittime, nel 1918, della “spagnola”
! complessivamente in Europa ci furono oltre 20 milioni di morti

Alla conferenza di pace si tenta di quantificare il costo complessivo delle perdite, per
addossarlo alla Germania
- La Germania perde il 13 % del proprio territorio
- Dalle ceneri della monarchia asburgica nascono 3 nuovi stati e si
ingrandiscono diversi altri
- Si moltiplicano frontiere, monete, banche centrali, sistemi fiscali e doganali

Il ripristino della vita civile e la riconversione produttiva provocò in tutti i paesi forti tensioni
sociali: in assenza poi di aiuti internazionali, molti Paesi, sia vinti, che vincitori, conobbero
una pesante ondata inflazionistica. Il caso tedesco di iperinflazione, causata
dall’imposizione delle riparazioni e dai finanziamenti di guerra, oltre a un’addizionale del
26% sull’export, viene in parte sanato dal Piano Dawes, che ridefinì partite debitorie e
creditorie, ma la Germania dovette comunque ricorrere a finanziamenti esterni per far
fronte agli obblighi. Una profonda crisi del sistema produttivo interno portò comunque
ad un alto tasso di disoccupazione e al risentimento verso i paesi vincitori: le
“conseguenze economiche della pace” stavano preparando il terreno per la seconda
guerra mondiale. A soffrire le conseguenze della guerra non furono i soli vinti: la Gran
Bretagna per far rientrare la sterlina nel gold standard adottò una politica deflazionistica
che penalizzò le sue esportazioni per l’ elevatissimo tasso di cambio della sterlina, mentre
paesi come Francia e Belgio scelsero la strada della stabilizzazione monetaria solo in un
secondo tempo, dopo aver fatto ripartire il sistema produttivo. Dopo la pace i governi
continuarono a regolare l’ economia nell’ utopistico intento di ripristinare condizioni
analoghe a quelle esistenti fino al 1914. In ultima analisi, i problemi comuni a tutti gli stati
usciti dalla guerra furono:

• la ricostruzione delle infrastrutture e del capitale tecnico distrutti o danneggiati;


• la gestione dei debiti di guerra interni ed internazionali e le riparazioni dei paesi
sconfitti;
• rientrare dall’ inflazione, ricostruire le riserve d’ oro e di valute estere convertibili in
oro, in modo da ritornare alla base aurea della moneta ripristinando il gold
standard;
• ridurre l’ eccesso di capacità produttiva in alcuni settori industriali, enormemente
cresciuti durante il conflitto;
• attenuare la dilagante disoccupazione, reperire risorse per corrispondere sussidi
pubblici ai reduci di guerra invalidi, alle vedove e agli orfani;
• limitare le importazioni troppo costose, tenuto conto dell’ inflazione, e
contingentare gli scambi internazionali.

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La guerra trasformò Gran Bretagna e Francia in paesi debitori, mentre gli Stati Uniti,
divenuti il primo paese esportatore di beni e servizi, con vasta disponibilità di capitali da
investire sui mercati esteri, assunsero il ruolo di maggior paese creditore. Il lento e
stentato ritorno a standard produttivi prebellici favorì i paesi neutrali, che avevano
sensibilmente accresciuto le loro esportazioni, favoriti dall’esigenza delle nazioni
belligeranti di rifornirsi e dal simultaneo calo dell’offerta dei manufatti nei maggiori paesi
industriali impegnati nella guerra. Nel 1923 il debito tedesco fu ristrutturato e dilazionato,
mentre l’inflazione continuava a salire con un ritmo inarrestabile. Nel 1924 riserve auree
fornite dai vincitori della guerra riportarono il marco ai suoi standard, congelando i prezzi
del 1913, stessa cosa che avvenne con la sterlina grazie a prestiti americani nel 1925.
Con il deprimere le importazioni e con lo stimolare il nazionalismo economico, la guerra
ridusse la domanda internazionale di manufatti tradizionalmente provenienti da precise
aree produttive. Solo nel 1925-26 i processi di ricostruzione economica erano pressoché
completati e il commercio internazionale era in ripresa.

Fondazione e dissoluzione di un’economia socialista: la Russia


Nell’ottobre del 1917, quando scoppiò la rivoluzione a San Pietroburgo, la Russia
conservava una struttura sociale arcaica e un’agricoltura tradizionale e arretrata.
Si erano sviluppate solo le infrastrutture pubbliche e la grande industria, nei quattro anni
successivi alle guerra l’ economia russa ristagnava in quello che viene definito
“comunismo di guerra”: I lavoratori erano militarizzati, la moneta era stata abolita
(baratto) e i risultati produttivi, con ammassi pubblici di beni di base distribuiti in natura
per sopperire il mercato, erano catastrofici. Vinta la guerra civile, nel 1921, Lenin varò la
NEP (Nuova Politica Economica), che ebbe i seguenti effetti:

• Fu reintrodotta la moneta;
• Fu liberalizzato il commercio e l’industria per piccole imprese e ripristinata la
proprietà privata contadina;
• Liberalizzata l’attività agricola;
• Nazionalizzate solo le grandi industrie strategiche.

Si ottennero risultati positivi, ma alcuni elementi non erano accettabili dalla dottrina
bolscevica, come il rialzo dei prezzi agricoli e lentezza nell’affermazione dell’industria di
Stato. La NEP fu uno dei primi esempi di economia mista, divisa tra il controllo privato e
quello pubblico dello Stato. Nelle campagne emerse una classe di contadini arricchiti
dalla produzione per il mercato (Kulaki), visti in maniera negativa (segnale di ritorno al
capitalismo) da Stalin, che iniziò una vera e propria “liquidazione dei Kulaki come
classe”. Con la morte di Lenin si scontrarono diversi orientamenti:

• La sinistra, che voleva un grande balzo industriale;


• L’estrema destra, che voleva un ritorno alle tradizioni agrarie russe;
• La destra moderata che appoggiava una crescita bilanciata sul modello della
NEP.

A dieci anni dalla rivoluzione d’ottobre sul piano economico l’URSS era un vasto stato,
essenzialmente agricolo, in cui prevaleva la piccola proprietà, con pochi poli industriali,
scarsamente collegati tra di loro. Per affermarsi aveva bisogno di dare spazio ad un
processo di industrializzazione adeguato e per questo motivo prevalse la linea di Stalin,
che nel 1928 abbracciò la visione industrialista.

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I punti centrali del suo programma furono:

• L’abolizione delle privatizzazioni nell’agricoltura e nell’ industria;


• La pianificazione economica (piani quinquennali);
• L’eliminazione di ogni traccia di libertà per l’iniziativa imprenditoriale;
• Lo spirito di partito: le decisioni degli organi economici si ispiravano alle linee
politiche elaborate dal Comitato centrale del partito (Gosplan). Il centralismo
democratico prevedeva quindi una divisione delle responsabilità tra centro
(elaborazione delle linee generali) e periferia (attuazione del programma,
affrontando i problemi operativi).
• Il principio settoriale: ogni impresa statale dipendeva da un ministero tecnico,
secondo la natura della produzione (Ministero delle miniere, Ministero
dell’Agricoltura, etc.).

La pianificazione dell’economia, oltre a richiedere un ferreo controllo poliziesco da parte


dello Stato, si può considerare come una delle massime espressioni dell’illuminismo e
della convinzione che la mente umana e il processo tecnico-scientifico avrebbero
potuto controllare anche qualcosa di così complesso.

Nel 1929 Stalin proclamò la collettivizzazione integrale delle terre:

• I Kolchoz, appezzamenti coltivati individualmente, contemperavano


l’individualismo contadino con il collettivismo socialista, fornendo l’ incentivo del
tornaconto individuale che teneva alte le rese. Le cooperative agricole,
ricevevano in possesso grandi fattorie di alcune migliaia di ettari e, dopo aver
concorso agli ammassi obbligatori di patate e cereali a prezzi imposti, aver
pagato il noleggio per l’uso di macchine agricole statali e aver sopportato
onerosi prelievi fiscali, i kolchoziani si dividevano le scorte rimanenti in proporzione
alle giornate di lavoro erogate;
• I Sovchoz, enormi aziende statali, erano assai più rari. Vi lavoravano operai
salariati, del tutto paragonabili alla manodopera industriale. La disponibilità di
macchine (capitale), assieme a un’agricoltura estensiva, accresceva la
produttività del lavoro.

I piani operativi di ciascun settore e impresa erano elaborati preventivamente e nella


configurazione dei prezzi scompariva completamente il rapporto dinamico tra domanda
e offerta: i prezzi erano stabiliti dal Gosplan in base agli obiettivi del piano. La
pianificazione quinquennale si rivelò estremamente rigida e poté essere perseguita solo
grazie ad una dura repressione, a trasferimenti in massa di popolazione, ad uno stretto
controllo poliziesco.
stretto controllo poliziesco

La debolezza delle risorse Nonostante tutto risultati


Essendo impossibile prevedere
umane, specie dal punto positivi furono raggiunti
il futuro, i piani dovevano
di vista tecnologico rese il Paese si industrializzò e
spesso essere modificati e la
indispensabile il ricorso a il reddito nazionale crebbe,
logica del mercato riappariva
tecnologia e tecnici esteri diminuirono però i consumi
Storia dei sistemi economici 2015-2016 - Andrea Bonoldi 14

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Punto debole della pianificazione rimase il sistema agricolo collettivizzato


Collettivizzazione e produzione agricola
1928 1929 1930 1931 1932 1933

n°dei Kolchoz 33,3 57 85,9 211,1 211,1 224,5


in migliaia
Indice della 100 98,1 96,5 93,3 88,6 84,9
produzione
agricola
Indice della 100 97,8 114 94,8 94,9 93,3
produzione
cerealicola
Indice della 100 94,1 72,9 67,8 54,7 47,4
consistenza
zootecnca

I piani quinquennali ottennero invece risultati indubbiamente più significativi nel


settore industriale, anche se restavano dei problemi aperti: il gigantismo staliniano
implicava coercizioni autoritarie
Quanto previsto dai piani non venne tuttavia mai raggiunto nemmeno nel
settore industriale, anche se l’URSS, con i tre piani quinquennali impostati negli
anni Trenta, si trasformò da Paese agricolo in Paese industriale.

Previsioni del piano e risultati ottenuti (1930-1932)


Previsioni del Piano nel ‘30 Risultati raggiunti nel ‘32
Carbone (migliaia di t) 75.000 64.400
Petrolio (migliaia di t) 20.000 21.400
Ghisa (migliaia di t) 17.000 6.160
Acciaio (migliaia di t) 10.400 6.000
Fertilizzanti (migliaia di t) 8.500 920
Elettricità (kw-potenza) 22.000.000 13.500.000
Trattori 55.000 42.900
Automobili 100.000 24.000

Ci fu un forte spostamento del PIL dai consumi agli investimenti e alla difesa, quindi
crebbe la potenza sovietica, ma diminuirono i consumi personali.

La concentrazione d’investimenti in industria ne fece il primo settore per ricchezza


prodotta e con i tre piani quinquennali impostati negli anni Trenta la Russia si trasformò in
un Paese industriale. Non bisogna dimenticare che la programmazione coercitiva di
Stalin, applicata ad un paese industrialmente arretrato, somigliava ad un’ economia di
guerra e che in Russia furono del tutto assenti gli effetti distruttivi sugli apparati industriali
della crisi del 1929.

L’eredità permanente dello stalinismo ha causato la distruzione della società civile,


negata per decenni. Il radicamento della democrazia è difficile in un mondo orfano di
un’identità collettiva e i flussi del potere e del denaro condizionarono le istituzioni
economiche e sociali emergenti. La Russia attuale, nominalmente democratica, somiglia
in maniera impressionante ad un neo zarismo ad alto tasso di corruzione.

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XII. LA CRISI DEL 1929

Cos’è una crisi? Wei Ji

• Wei: il pericolo, la rottura dell’ordine normale


delle cose;
• Ji: l’opportunità, un’occasione per ripensare
e migliorare la nostra condizione.

Ogni crisi economica, qualcuna in maniera più evidente, segue il modello di


Kindleberger-Dow:

1. Spiazzamento: succede qualcosa che cambia in maniera radicale la visione


degli investitori, come ad esempio un’innovazione tecnologica, degli eventi
politici, uno spostamento delle risorse, etc.;
" Euforia: si assiste ad una crescita sostenuta degli investimenti in attività finanziarie,
da parte di un numero crescente di soggetti. Esiste una logica psicologica dietro
a questo punto, in quanto chiunque vuole arricchirsi facilmente e “non c’ è
niente di più insopportabile che vedere un amico diventare ricco”; tale crescita
degli investimenti è ovviamente una dinamica innaturale, che porterà i valori
finanziari molto lontani rispetto a quelli che sono i valori reali. Quando le
quotazioni sono così lontane, il mercato inizia a diventare instabile (bolla
speculativa), fino a quando tale bolla non scoppia: i valori dei titoli calano in
maniera drammatica e tutti iniziano a vendere provocando un crollo delle
quotazioni impressionante. Chi ha investito perde il valore iniziale, e considerando
che per tali investimenti molti avevano richiesto prestiti, ne viene fuori un sistema
estremamente impoverito. Si ha quindi una riduzione della ricchezza e della
fiducia.
2. Disagio: i più informati cominciano ad uscire dal mercato, in quanto sanno che il
valore delle azioni, in maniera necessaria ed inevitabile, arriverà ad essere molto
maggiore dei reali valori economici che vi stanno dietro (speculazione);
3. Panico: la bolla scoppia, tutti vendono ed il sistema ne risente a catena, in
quanto i prestiti non vengono restituiti, le banche falliscono, la fiducia generale
crolla come un castello di carte;
4. Frustrazione: si assiste ad una riduzione della ricchezza reale, della propensione
all’ investimento, etc.

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La crisi deflazionistica del 1929

Fu la prima crisi del sistema finanziario moderno, che vide al suo interno concomitanti
fattori monetari e reali, oltre a riflessi storici e culturali, mettendo ad esempio in
discussione la teoria per cui il mercato si autoregolasse. È una crisi internazionale che
riguarda tutti i settori produttivi all’interno dei diversi paesi: resteranno esclusi l’Unione
Sovietica e il Giappone (isolato sotto il punto di vista finanziario e tale isolamento gli
consentirà di sorpassare gli Stati Uniti). Ha avuto importantissimi riflessi di natura politica e
storica: la Germania era stata profondamente colpita dal trattato di Versailles, e questo
risentimento nazionale nonché economico, contribuì a far affermare il partito nazional
socialista.

Il boom degli anni venti

Nel primo dopoguerra l'economia degli Stati Uniti ebbe un forte incremento, dovuto
anche alla grande richiesta d'investimento che veniva dall'Europa per la ripresa delle
varie potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale. La forte differenza
tra l'aumento dei profitti e della produzione con quello dei salari creò un evidente
squilibrio nella distribuzione dei redditi, mentre a questi squilibri sociali si aggiunse un
fattore psicologico trainante: la convinzione che fosse possibile un arricchimento facile,
ovviamente non legato al lavoro o alla produzione, ma che provenisse da audaci
attività speculative. Questa corsa all'acquisto, nel momento in cui era duratura,
avvalorava se stessa, causa di quotazioni sempre crescenti. L'esistenza di queste alte
quotazioni, attirava anche parte della popolazione a reddito modesto, disposta a
pagare alle banche interessi altissimi pur di tentare facili guadagni. Per queste ragioni, il
sistema si stava costruendo su se stesso e accentuava le tendenze di mercato, ma al
crescere dei titoli di borsa corrispondeva il calo della produzione e nell'ottobre del 1929,
si arrivò al crollo della borsa di Wall Street.

Cause e condizioni favorevoli alla crisi

• 1922-1943: forte andamento ciclico economia USA


• 1920: orientamento protezionistico della politica commerciale
• ritorsione europea nei confronti delle merci americane
• necessità per l’Europa dei prodotti americani
• non potendo sostenere le importazioni con le proprie esportazioni
le si alimenta con prestiti ottenuti dagli stessi USA (incoerenza tra
politica commerciale e politica finanziaria)

Riavvicinamento al laissez faire tra il 1923 e il 1929:


forte espansione dell’economia americana (crescono redditi e profitti)

Esistevano però settori di ristagno (carbonifero, tessile, navale)


→ preoccupazioni anche per la concorrenza in campo agricolo
→unica risposta un appesantimento tariffario che si rivela controproducente

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Nonostante le difficoltà degli agricoltori il paese è percorso da un’ondata di Le sue cause sono da
affarismo, sostenuto da un senso di fiducia nelle grandi possibilità del paese ricercare nelle relazioni
economiche e finanziare
•tra il 1922 e il 1927 il valore delle azioni si è raddoppiato - nel 1929 risultava più che
internazionali nel primo
quadruplicato
•frenesia degli affari accompagnata da una spirale al rialzo (ci si indebitava per dopoguerra. La prima
poter speculare in borsa) guerra mondiale, oltre a
•Parallelamente la domanda di beni di consumo durevoli risultava sostenuta causare gravi perdite
artificiosamente umane e artistiche,
•il sistema produttivo stava producendo in eccedenza frantumò anche
l'equilibrio monetario
si apre una crisi la cui origine non era dovuta alla penuria, bensì all'interno dell'Europa.
all’abbondanza Molti Stati avevano
ecceduto nell'emissione
Nell’ottobre del 1929 si ebbe il crollo della borsa di New York, che seguì un di carta moneta, che si
trend discendente fino al 1932:
era svalutata, fatta
•dalla borsa la crisi passò all’intero sistema economico americano eccezione gli Stati Uniti,
•veloce discesa del PIL, della produzione, dei prezzi di tutte le merci
che mantennero
inalterata la convertibilità in oro del dollaro (Gold Standard), con il quale le altre monete
dovettero, poi, confrontarsi. Gli Stati Uniti registrarono quindi un boom ininterrotto
dell'economia fino all'ottobre del 1929, in quanto essa era stimolata da vari fattori:

1. L'espansione dell'industria edilizia e di quelle collegate;


2. Innovazioni basate sullo sfruttamento di nuovi prodotti (automobile);
3. Lo sviluppo dell'industria elettrica;
4. La razionalizzazione dei processi produttivi tramite il taylorismo, mirante ad eliminare i
tempi morti (catena di montaggio).

Vi fu un forte aumento del reddito nazionale, non corrisposto da quello della


popolazione e, quindi, della forza lavoro. L'America divenne, così, il paese più prospero
del mondo e poté concedere prestiti ai paesi europei del dopoguerra.
La maggior beneficiaria fu la Germania, che poté riprendersi rapidamente dal collasso
del marco. Nell'autunno del 1929 gli Stati Uniti, che tenevano in piedi il sistema
economico internazionale, permisero alla crisi che li colpì di spargersi a macchia d'olio.

Il clima che respirava la borghesia americana, nei “ruggenti anni ‘20”, era improntato
all’ottimismo ed alla fiducia in una crescita illimitata e indefinita di ricchezza e benessere.
Nessun freno politico limitò, in alcun modo, la produzione, in omaggio alla dilagante
teoria liberista; né vi fu alcun ostacolo all’incredibile ondata di euforia speculativa che la
Borsa visse negli anni precedenti, incoraggiata dalla prospettiva di facili guadagni
attraverso la compravendita delle azioni. Le fondamenta del sistema erano
evidentemente assai fragili. La domanda sostenuta di beni di consumo (in massima
parte durevoli, tendenti quindi alla “saturazione” del mercato) favorì infatti la formazione
di una capacità produttiva sproporzionata alle possibilità di assorbimento del mercato
interno (domanda). A questo problema si reagì in due modi: sviluppando il credito ai
privati e aumentando le esportazioni, specie nel vecchio continente fino a creare uno
stretto rapporto di interdipendenza con la ripresa europea. L’Europa, insomma,
otteneva finanziamenti dagli Stati Uniti e sua volta ne alimentava lo sviluppo con le
importazioni. Questo meccanismo risultava pericoloso, perché i crediti statunitensi erano
generalmente erogati da banche private e legati a soli calcoli di profitto. Ogni
dirottamento dei capitali verso altre operazioni avrebbe insomma avuto pesanti
conseguenze sulla produzione industriale americana, ormai dipendente dalle
importazioni europee.

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Lo scoppio della crisi

I crediti furono dirottati, specie durante il 1928, verso le più redditizie operazioni
speculative della Borsa. Si fondarono società esclusivamente finanziarie (“investments
trusts”) al solo scopo di acquistare le azioni e rivenderle a prezzo superiore. Si costituirono
così immense ricchezze che rappresentavano un capitale esclusivamente azionario,
senza una contropartita di produzione. Il potere d’acquisto cominciò a diminuire non
sostenendo più l’alta produttività delle industrie: metallurgica, petrolifera, manifatturiera,
edile. Dal giugno del 1929, la domanda interna americana si trova di fronte ad un calo,
mentre la domanda che proveniva dall’Europa andava diminuendo per la ripresa
economica dopo la guerra: la crisi di sovrapproduzione cominciò a colpire le industrie
fondamentali e le attività agricole.

Il sistema borsistico americano era drogato da una valorizzazione falsata delle azioni
soprattutto di quelle industrie e società che avevano rappresentato il boom economico.
Per indurre i risparmiatori a comprare sempre più azioni furono svolte, dalle holding,
consulenze falsate sul reale valore dei titoli e quando le industrie cominciarono a non
poter più sostenere una crescita produttiva positiva il valore delle azioni iniziò a calare
costringendo i risparmiatori a vendere rapidamente il loro capitale azionario e quindi a
far crollare la borsa. A settembre, il corso dei titoli di Borsa raggiunse i massimi livelli. Dopo
alcune settimane, gli operatori cominciarono a liquidare i propri pacchetti azionari per
realizzare i guadagni ottenuti. La corsa alle vendite, naturalmente, generò una caduta
del valore dei titoli, stabilizzatisi a metà novembre su valori più o meno dimezzati, con
conseguenze disastrose su ogni piano. Le piccole imprese industriali e commerciali
finirono rovinate dall’accumularsi delle scorte dovuto alla precedente
sovrapproduzione. Le imprese di dimensioni maggiori reagirono riducendo la produzione,
e, semplicemente, le spese; salari, materie prime, lavoratori ne furono colpiti.
In questo modo, si creò una spirale per la quale i bassi salari (comuni anche al settore
agricolo, in crisi da qualche anno per il ribasso dei prezzi per l’eccesso di offerta dettato
dai paesi che erano entrati nel mercato approfittando della guerra) e la disoccupazione
diminuivano i consumi, la cui caduta colpiva le imprese spingendole ad altri
licenziamenti e altri tagli.

La crisi, oltre che borsistica, industriale, agricola e commerciale, fu anche una crisi
bancaria. Infatti sia l'industria che l'agricoltura erano fortemente indebitate con le
banche. Durante gli "anni ruggenti", le banche avevano ecceduto nei prestiti, nella
previsione di una restituzione regolare e nella fiducia nei risparmiatori che avrebbero
dovuto accrescere i loro depositi. Con la crisi, un enorme numero di imprese non fu in
grado di pagare i debiti alle scadenze e intanto, le banche, erano premute da coloro
che avevano depositato soldi, e che ora chiedevano la restituzione delle somme
depositate. Di conseguenza, trovatesi di fronte alla pressione dei depositanti e
all'impossibilità di far rientrare i prestiti, molte banche furono costrette a chiudere.

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Come fattori scatenanti sono stati individuati, da parte di tutti gli studiosi:
• La sovrapproduzione tanto industriale, quanto di beni primari: la spirale al rialzo
era data da un sistema monetario fondato sul credito per investire in borsa,
mentre il sistema produttivo era in eccedenza ! la guerra aveva portato ad una
crescita smisurata nel settore industriale, in particolare quello concentrato nella
produzione dei mezzi bellici (settore siderurgico, meccanico, etc.). In generale, la
capacità del sistema era troppo elevata, e nel dopo guerra non c’era stata una
ripresa della domanda a compensare l’aumento dell’offerta. Lo stesso accade
sul fronte della produzione agricola: c’era stato un forte aumento della
produzione agricola con ampi investimenti a fronte di una domanda che invece
continuava a rimanere limitata.
• Il Gold standard, che fino a quel momento aveva garantito l’aumento del
commercio internazionale e l’estensione del mercato dei capitali, incomincia
però a diventare un vincolo importante nel momento del sopraggiungere della
crisi ! non consente di operare politiche monetarie espansive. Secondo il Gold
standard, di fatti, non era possibile aumentare la moneta se non si possedevano
risorse minerarie proporzionali all’aumento (la moneta doveva essere
proporzionale alle riserve auree).
• Le politiche monetarie, creditizie e commerciali poco “illuminate”: la domanda di
beni di consumo durevole era sostenuta artificiosamente, mentre le importazioni
europee erano finanziate da crediti americani;
• Il manifestarsi in tutto l’occidente di problemi strutturali connessi con l’affermarsi
di una serie di consumi di massa;
• L’incapacità di “governare” una serie di mutamenti tecnologici, demografici e di
distribuzione del reddito conseguenti al primo conflitto mondiale;

L'interpretazione Keyneysiana

Dal punto di vista culturale, la crisi mette in discussione l’idea che il mercato avesse una
capacità di riequilibrio, ovvero che il mercato fosse capace di riaggiustarsi da solo e
quindi che non fosse necessario l’intervento esterno dello Stato. Si ebbero dei costi così
elevati, che non si poteva dare il tempo al mercato di autoregolarsi. Ecco che si ha
l’intervento dello Stato, tramite una politica di deficit pubblico, con l’idea di rilanciare
l’economia. Keynes, negli anni 30, elaborò una teoria che appoggiava l’intervento dello
Stato affinché l’andamento dell’economia fosse regolato. Da quel momento tutte le
università e le misure di politica economica saranno basate sulla teoria keynesiana. Negli
anni 70, tuttavia, lo scoppio della crisi petrolifera, smentì in un qualche modo tale teoria
e nelle università torneranno a vigere le idee che danno importanza al libero muoversi
della domanda e dell’offerta (economia neoclassica). Le teorie economiche sono molto
legate alle congiunture storiche del periodo in cui vengono elaborate, ma non tutte
sono poi adattabili a quel solo periodo: nei periodi in cui i mercati crescono e fioriscono
bisognerebbe applicare le teorie neoclassiche e monetariste, mentre nei momenti di crisi
del mercato bisognerebbe utilizzare le teorie keynesiane.

Con la crisi del 1929 precipitò il commercio internazionale e l’ideologia dominante del
libero mercato che non prevedeva un intervento pubblico nell’economia crollò sotto
un’evidente necessità di sostegno ai mercati. È evidente che una teoria di questo tipo
funzioni in condizioni di relativa stabilità, mentre in altre condizioni politiche, storiche e
sociali l’intervento dello stato sia necessario per la ripresa economica. Va inoltre
sottolineato il ruolo determinante che assunse il Gold standard come vincolo alla ripresa:
questo sistema non permetteva di stampare moneta in maniera espansiva, ma era l’
unico modo per conferire prestigio ad un paese.

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Conseguenze e rimedi alla crisi

Il crollo della borsa americana contagiò le piazze europee: a partire dai primi mesi degli
anni 30 si ebbero insolvenze e fallimenti a catena. I numerosi licenziamenti causarono un
crollo della domanda di prodotti industriali ed un progressivo calo dei prezzi, che
coinvolse anche i prodotti agricoli. Deflazione e disoccupazione non si erano mai
presentati insieme per un periodo cos’ lungo: la posizione della Gran Bretagna si rovesciò
da paese creditore a paese debitore, mettendo in crisi la sterlina come mezzo di
pagamento internazionale, fino a portare alla fine del Gold standard nel 1931: finiva il
liberoscambismo. In generale, le misure anticrisi all’ epoca adottate nei diversi paesi
furono:

• abbandono del Gold standard e svalutazione della moneta, con cali del potere
d’ acquisto internazionale delle monete nazionali;
• avvio di grandi lavori pubblici per dare impieghi;
• aumento delle tariffe doganali e orientamento delle politiche verso uno
sfruttamento autarchico delle risorse nazionali;
• aumento dell’ intervento dello stato nell’ economia.

In Francia si mantenne il gold standard, perseguendo una politica di deflazione


controllata, provocando il malcontento generale e l’ elezione del Fronte popolare che
svalutò il Franco ed intervenne per la riduzione della disoccupazione. L’ Italia era
seconda solo all’ Unione Sovietica per il livello di statalizzazione dell’ economia con il
partito fascista al comando, mentre in Germania a governare era il partito
nazionalsocialista, che tentò di combinare capitalismo e forte statalizzazione dell’
economia.

Vennero ritirati dall’ Europa i capitali americani e la recessione la colpì in un momento di


forte instabilità:

• insufficiente domanda interna;


• tassi relativamente alti di disoccupazione;
• parità valutarie distorte;
• problemi di integrazione internazionale.

Anche l’Europa conobbe una spirale recessiva, le aziende prevedevano una


contrazione di vendite e profitti legata alla flessione della domanda, mentre minacciate
di sovrapproduzione, riducevano gli investimenti, la produzione e il numero degli addetti.
La conseguenza era che si contraeva il potere d’acquisto, quindi diminuirono le vendite
e crollarono gli investimenti (praticamente nulli in paesi come la Germania).
Nell’estate del 1932 la situazione economica europea era desolante:

• Capitale e lavoro erano sottoutilizzati;


• Si temeva il crollo dell’intero sistema economico;

L’unico bene-rifugio era considerato l’oro e si verificò pertanto una decisa fuga anche
dalla sterlina, mentre la Banca d’Inghilterra dovette sospenderne la convertibilità la Gran
Bretagna abbandonava il gold standard (imitata, entro il 1931 da 32 altri paesi, e nel
1935 anche dagli USA).

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Gli errori, fattori di amplificazione della crisi furono:

• Una politica monetaria inadeguata: la FED reagisce tagliando l’offerta di denaro


(avrebbe dovuto fare il contrario);
• L’arroccamento protezionistico (crolla il commercio mondiale);
• La mancanza di un prestatore d’ultima istanza (Banca mondiale);
• L’assenza di un coordinamento internazionale (FMI);
• Le “gabbie d’oro”: il gold standard diffonde e rafforza la crisi.
anche all’Inghilterra
Unico bene-rifugio era considerato l’oro
!si verificò pertanto una decisa fuga anche dalla sterlina
!la Banca d’Inghilterra dovette sospenderne la convertibilità
!la Gran Bretagna abbandonava dunque il gold standard (imitata, entro il 1931 da
32 altri paesi, e nel 1935 anche dagli USA)

1933: il New Deal


Il crollo della borsa e la crisi economica squalificarono, di fronte all'opinione pubblica
americana, gli ambienti capitalistici che durante gli "anni ruggenti" erano stati esaltati
per il loro spirito d'iniziativa. Questa sfiducia si abbatté anche sul Partito Repubblicano
che era il maggior rappresentante del mondo capitalista: alle elezioni del 1932 il Partito
Repubblicano venne sconfitto da quello Democratico, rappresentato da Franklin Delano
Roosevelt, che fu sostenuto soprattutto dai lavoratori.

Il patto che Roosevelt presentò agli americani, il New Deal, non si inspirava ad una
precisa dottrina economico-politica, ma all'interno di questo programma ci furono degli
importanti punti fermi:

1. La decisione di affrontare la crisi tramite l'intervento dello Stato;


2. L'impegno a dirigere le attività economiche e a mediare i contrasti di classe per
dimostrare la compatibilità tra sistema capitalistico e regime democratico.

• Per ridurre la disoccupazione, il governo promosse una vasta serie di lavori


pubblici (costruzione di case, strade, ponti, opere pubbliche) e fondò un Corpo
Civile per la Conservazione della Natura che impiegò circa 3 milioni di giovani in
opere di rimboscamento;
• Concesse dei sussidi agli agricoltori perché diminuissero la produzione o perché
distruggessero una parte del raccolto, per controllare la caduta dei prezzi, che
aveva gettato nella crisi il mondo rurale americano;
• Affidò all'Ente Nazionale per la Ripresa Industriale il compito di stimolare il rilancio
industriale e di formulare un "codice dei concorrenza leale" per mantenere i
prezzi ad un livello adeguato. Dall'altra parte le aziende dovevano dare ai
lavoratori un minimo salariale e non dovevano aumentare il numero pattuito
d'ore lavorative per settimana;
• Per trovare i fondi necessari a questa nuova politica, fondata sull'espansione
della spesa statale, si ricorse all'aumento del debito pubblico: si accettò il deficit
statale non pretendendo più il pareggio ad ogni costo; si stampò più carta
moneta in rapporto alla quantità di riserve auree, creando un'inflazione
controllata che svalutò il dollaro ma permise una più facile esportazione;
• Fu decisa la svalutazione del dollaro e l’emissione di cartamoneta in eccesso
rispetto alle riserve auree: ciò provocò incremento di liquidità che consentì di
arrestare il crollo dei prezzi, avvantaggiando i produttori.

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Nel 1933 F.D. Roosevelt avvia il New Deal

!Vennero introdotte norme per il controllo della produzione e dei prezzi


industriali
!Si decise una nuova normativa a tutela del lavoro
!Furono istituite agenzie per la gestione dell’assistenza pubblica
!I disoccupati trovarono lavoro nelle opere pubbliche
!La crisi delle banche fu affrontata con l’introduzione delle assicurazioni sui
depositi bancari

Tamponati gli aspetti più pericolosi della crisi, dal 1935 venne creato un programma di
riforme per consolidare questo sistema. La legge sulla sicurezza sociale fissò consistenti
indennità per la disoccupazione, l'invalidità e la vecchiaia. Una riforma fiscale rese
fortemente progressive le imposte sui redditi e rese più difficoltosa l'evasione fiscale. La
legge sui rapporti di lavoro riconobbe giuridicamente i sindacati.

Se inizialmente il New Deal era stato accettato da tutti come l'unica soluzione alla crisi, le
riforme successive incontrarono una forte opposizione nell'ambiente capitalistico che,
per salvaguardare i propri interessi, accusava il presidente di autoritarismo e di
concessioni al collettivismo. Nel 1938, la politica del New Deal, può considerarsi
conclusa. Infatti, le minacce del nazismo e dell'imperialismo nipponico, indussero il
governo a moltiplicare le spese per gli armamenti, che da sole riuscirono a far superare
la crisi, tanto che la disoccupazione sparì velocemente.

Com'è facile immaginare, la politica di Roosevelt cambiò alcuni dei fondamentali della
civiltà americana. Il fattore più evidente, è la scomparsa delle tesi del liberismo,
introducendo la pratica dello "Stato assistenziale" (Welfare State), non solo in America,
ma in molti paesi capitalisti. La ripresa economica che era tra gli obiettivi del presidente,
fu attuata in buona parte, ma non fu raggiunto il pieno impiego della manodopera,
cosa che avverrà solo con il riarmo, che non apparteneva, però, alla logica di
Roosevelt. Fu conseguita in misura notevole la ridistribuzione dei redditi e venne allargata
e tutelata la libertà dei sindacati, assieme a quella politica, tanto che gli Stati Uniti
divennero il rifugio di molti intellettuali durante la persecuzione nazista e fascista (Albert
Einstein, Thomas Mann, Enrico Fermi, Sigmund Freund, Bertold Brecht, ecc.).

Con le strategie adoperate per uscire dalla crisi degli anni 30, troviamo anche quelle
indirizzate all’apparato militare. Nasceva il complesso militare-industriale: alla fine degli
anni 30 si instaurò un forte legame tra industria militare, decisione politica ed esercito,
che garantì occupazione. La seconda guerra mondiale scoppiò non per ragioni militari,
ma politiche, ma è certo che Hitler non avrebbe attaccato la Polonia senza un solido
apparato militare. Alla fine della Seconda guerra mondiale un terzo del PIL mondiale era
destinato a fini bellici.

Nel frattempo si era sviluppata ulteriormente la tecnologia. È un conflitto molto più


ampio rispetto alla prima guerra mondiale, con un ampio utilizzo dell’aviazione e venne
incentivato il processo di accelerazione delle innovazioni, con l’ introduzione di motori a
rotazione, radar e di medicine come la penicillina. Si assistette ad un forte calo della
disoccupazione e le spese belliche furono finanziate da:

• Debito pubblico;
• Incremento delle imposte;
• Incremento della massa circolante di moneta, che provocò inflazione.

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XIII. LA SECONDA GUERRA MONDIALE E LA RIPRESA


Pianificazione e controllo centralizzato delle risorse economiche dei paesi belligeranti
furono molto più estesi di quanto fosse avvenuto con la grande guerra, dunque lo sforzo
bellico fu realizzato operando in tre principali direzioni:

• Accrescendo la produzione, ma indebolendo il settore agricolo, spogliato di


forza lavoro e risorse;
• Contenendo i consumi privati a favore di quello pubblici;
• Rinunciando a nuovi investimenti e tralasciano di rinnovare le infrastrutture e il
capitale tecnico logorato dall’uso e dal passare del tempo.

Lo sforzo maggiore della guerra fu sostenuto dagli Stati Uniti e se è vero che la Seconda
Guerra mondiale causò circa 40 milioni di morti, è altrettanto vero che le conseguenze
territoriali furono inferiori alla Prima Guerra mondiale: la conseguenza rilevante fu che la
Germania perse il primato economico del continente, passato alla Russia. Nel Luglio1944
a Bretton Woods con i rappresentanti alleati si unirono 44 paesi per evitare che la fine
della guerra ed il ritorno ad un’ economia di pace provocassero crisi e disagi economici
analoghi a quelli intervenuti nel 1920-1921:

• Fu istituita la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS), detta


anche Banca mondiale, per incoraggiare gli investimenti esteri a lungo termine e
che oggi aiuta i paesi economicamente arretrati;
• Fu istituito il Fondo Monetario Internazionale (FMI), destinato a svolgere un ruolo
fondamentale nel mantenere la stabilità dei cambi fra valute e nel risolvere i
problemi collegati alla bilancia dei pagamenti;
• Si promosse la liberalizzazione degli scambi internazionali, con la riduzione delle
barriere doganali (GATT) e l’Organizzazione mondiale del commercio nel 1995
(WTO).

Le condizioni dei paesi europei (fabbriche che mancavano di macchinari, vie di


comunicazione interrotte o danneggiate, calo dei raccolti, etc.) erano quanto di più
diverso rispetto a quelle degli Stati Uniti, dove non si era mai combattuto e dove un
prolungato sforzo produttivo di armi e materiali, in cinque anni aveva accresciuto del
50% il potenziale industriale del paese, dando lavoro a milioni di disoccupati. L’incertezza
economica dominava nel periodo postbellico, bisognava trovare impiego alle enormi
capacità produttive sviluppate dopo la guerra. I paesi europei avrebbero potuto
importare le materie prime solo esportando i loro prodotti, a paesi con valute forti (USA e
Inghilterra), in quanto avevano perso tutte le proprie riserve di moneta. Nel 1947 venne
presentato il piano Marshall (European Recovery Program), di aiuti diretti ai paesi europei
per impedire che, mancando di riserve valutarie, dopo aver risanato le economie
nazionali, smettessero di acquistare materie prime, macchinari e manufatti industriali
statunitensi, causando una crisi economica al di là dell’Atlantico. Pur mossi da un
altruismo interessato gli USA contribuirono a riavviare le economie europee e a
promuoverne le esportazioni in modo da controbilanciare le importazioni di derrate
agricole e di materie prime. Per superare la mancanza di risorse disponibili che impediva
agli europei di ripartire gli Stati Uniti fornirono direttamente i beni che venivano richiesti
(non denaro): a finanziare questi aiuti è il governo americano e il meccanismo di tale
finanziamento avrà conseguenze importanti: gli americani imposero agli europei di
collaborare tra di loro, aiutando anche i paesi che erano usciti sconfitti dalla guerra. È un
piano che funziona molto bene, in quanto flessibile, in grado di adattarsi a varie
situazioni.

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I beni che si trasferivano erano principalmente beni capitali: i paesi, una volta ricevuti tali
beni, li vendettero agli imprenditori, allo scopo di allocare questi beni efficientemente,
senza creare sovrabbondanza inutile. Gli imprenditori pagarono in lire e non in dollari, in
modo da essere in grado di far ripartire l’ economia, non dipendendo da una moneta
troppo più forte. Questi beni erano capitali di alta qualità, prodotti dall’elevatissima
tecnologia americana, che allo stesso tempo trasferisce i principi della logica
manageriale in Europa (la Fiat verrà organizzata sui principi delle logiche organizzative
americane). Questo piano cambia le aspettative degli operatori e dei consumatori
europei: la collaborazione tra i paesi fa venire a meno quel fattore di incertezza che
regnava dalla fine della guerra. Nel momento in cui c’è una nuova fiducia, questa
spinge in maniera importante gli effetti degli aiuti americani, rilanciando l’autonomia
dell’Europa e della sua economia.

Le caratteristiche e gli effetti principali del piano Marshall furono:

X. Combattere politicamente la sfera di influenza russa (comunista),


consolidando la partnership politica atlantica;
XI. Coprire la bilancia dei pagamenti europei per far ripartire il processo
produttivo ed evitare il rischio di sovrapproduzione americano, favorendo le
esportazioni nel momento in cui la ripresa economica europea fosse
avvenuta;
XII. Favorire la collaborazione europea e l’integrazione del vecchio continente, in
quanto la lista dei beni doveva essere stilata in comune dai paesi,
obbligandoli al dialogo;
XIII. Favorire l’innovazione tecnologica europea esportando prodotti ad alto
tasso di innovazione;
XIV. Unione doganale (libera circolazione delle merci, abbattimento dei dazi)
spinta della circolazione commerciale che sosterrà il processo di crescita;

Nel 1951 nasce quella che è l’embrione della collaborazione europea: la CECA
(costituita da 6 paesi: Francia, Italia, Danimarca, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi).
L’unione doganale consisteva nella libera circolazione delle merci con l’abbattimento
dei dazi: la spinta della circolazione commerciale sosterrà il processo di crescita in
maniera significativa, tanto che nel 1957 fu istituita l’organizzazione del commercio
(CEE);

Dagli ultimi anni Quaranta in avanti, le politiche governative in Europa occidentale


diedero energiche spinte al rilancio delle rispettive economie grazie ad un’ inedita
combinazione di pubblico e privato chiamata “economia mista”: con il ritorno della
pace imprenditori e sindacati guardarono con interesse alle politiche interventiste.

La teoria economica guida fu identificata nelle tesi dell’inglese John Maynard Keynes
proposte nel 1936 con il celebre trattato Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse
e della moneta, attraverso la quale affermava che un’ economia in crisi era incapace di
auto correggersi per riportarsi in equilibrio ed era dunque necessario l’ intervento attivo
dei governi per stimolare l’ impiego di fattori disponibili e inutilizzati (risparmio per
investimenti e manodopera disoccupata). Si sarebbero così evitate crisi economiche
operando attraverso tre leve:

• Politica monetaria (aumento/diminuzione d’ offerta di moneta e di credito);


• Spesa pubblica e deficit di bilancio, per distribuire reddito e creare domanda
aggiuntiva;

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• Diminuzione/aumento della pressione fiscale per sostenere il risparmio (destinato


a diventare investimento) e la domanda.

Le linee generali di politica economica perseguite dai diversi governi sono riconducibili
ai seguenti principi:

• Concentrare gli investimenti nelle industrie di base, così da ottenere incrementi di


produttività, di volumi prodotti e di esportazioni;
• Accordare priorità agli investimenti rispetto ai consumi;
• Stimolare il risparmio, rendere il credito per investimenti facile e a buon mercato;
• Investire in risorse pubbliche;
• Controllare l’inflazione attraverso la leva fiscale sulla domanda, tassando i profitti
non reinvestiti, e contenendo i salari;
• Promuovere le esportazioni e contenere le importazioni, in quanto i paesi europei
mancavano di riserve di dollari e d’oro per aumentare il commercio
internazionale.

I mutamenti culturali più rilevanti furono:


• Il suffragio universale ed il sistema elettorale proporzionale, che seguivano principi
democratici;
• La nazionalizzazione di grandi imprese industriali e servizi;
• La ricostruzione dei sindacati, il varo di piani di protezione e copertura dei rischi
sociali dei lavoratori, l’introduzione di assegni familiari.

L’Economia mista, di ispirazione Keynesiana, ebbe cinque grandi obiettivi:


• Pieno impiego del settore lavoro;
• Utilizzo dell’intera capacità produttiva esistente;
• Stabilità dei prezzi;
• Aumento dei salari legato a miglioramenti della produttività del lavoro;
• Equilibrio della bilancia dei pagamenti.

L’economia mista fu inaugurata procedendo a nazionalizzazioni d’imprese considerate


strategiche, mentre gli interventi più significativi riguardarono la ricerca tecnologica e l’
istituzione di scuole professionali. La cooperazione fra datori di lavoro e sindacati creò un
clima di pace sociale che favorì la crescita economica: fu stabilito un salario minimo e fu
creata una vasta rete di servizi pubblici (Welfare State). Fino alla crisi petrolifera degli anni
Settanta l’economia mondiale ed europea visse un periodo di sviluppo economico e
sociale senza precedenti: la progressiva liberalizzazione degli scambi internazionali svolse
un ruolo decisivo e la crescente produzione di merci e servizi, destinata sia alla domanda
interna che estera, fu il risultato combinato di massicci investimenti di capitale
tecnologico e dell’ aumento di manodopera impiegata nei settori secondario e terziario.
In Europa ed in Giappone il settore economico più dinamico diveniva il secondario,
nell’economia americana il settore protagonista cominciava ad essere il terziario.

Emerge che l’Europa occidentale riduce il divario con il PIL americano, mentre quella
orientale lo aumenta: l’economia pianificata sul lungo periodo non garantisce efficienza
economica (performance inferiore alle economie di mercato); dopo il crollo dell’URSS, le
economie sovietiche vorranno passare ad un’economia di mercato senza possedere le
risorse necessarie per garantire tale passaggio, che risulta quindi essere estremamente
costoso. Ne consegue un aumento del divario del PIL rispetto ai paesi sviluppati, e in
particolare agli Stati Uniti. In conclusione, la globalizzazione, in generale, ha portato
effetti positivi a tutti i paesi, sebbene con una distribuzione disomogenea.

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XIV. LA CRISI DEL 2008


La crisi che tutt’oggi attanaglia famiglie e imprese in Europa è un prodotto degli Stati Uniti. Il
Vecchio Continente ha importato la crisi dall’America e non si è ancora ripresa. Il contagio è
avvenuto per tutta una serie di motivi strutturali, non ultima la consistente relazione di
interdipendenza tra le economie nazionali, frutto del processo di globalizzazione. La scintilla
della crisi furono i mutui subprime. La crisi è iniziata da lì, poi ha coinvolto il sistema finanziario
e infine è giunta all’economia reale. E ancora non se n’è andata.

Metà del 2006. I mutui subprime sono diffusissimi negli Stati Uniti. Si tratta di mutui che le
banche concedono anche a chi non se lo può permettere, ai sospetti di insolvenza, a patto
però che questi ultimi accettino interessi alti. Sono prestiti rischiosissimi ma molto diffusi in
quanto sostenuti da due coperture: uno, il concetto di “too big to fail”, ossia la percezione
delle banche di non poter fallire (e di avere lo Stato a compensare le perdite);
due, l’espansione clamorosa del mercato immobiliare, che diffuse l’illusione di poter
guadagnare all’infinito. L’importanza dei subprime può essere compresa solo se si considera
la relazione di dipendenza con una parte ingente del sistema finanziario americano. Questo
particolare tipo di prestiti, infatti, veniva continuamente utilizzato per la formazione di derivati,
e di derivati di derivati. In breve, molti titoli dipendevano dai mutui subprime, e questi titoli
servivano per finanziare anche l’economia reale.

A un certo punto, la bolla esplose. Avvenne quando i primi debitori si dichiararono insolventi
e quando la Fed, per frenare la speculazione, alzò i tassi di riferimento fino al 5%. Da lì in poi,
fu tutto un effetto domino:

• Gli interessi si alzano a dismisura per effetto della decisione della Fed.
• Il numero degli insolventi aumenta vertiginosamente. Si contano quasi due milioni di
immobili coinvolti nel pignoramento.
• Le banche crollano perché non riescono a recuperare i crediti. Leggendaria la
chiusura di Lehman Brothers (agosto 2007), che nel frattempo aveva registrato
perdite per 2,8 miliardi di dollari.
• La paura che serpeggiava già da qualche mese in borsa ora diventa panico. Molti
indici crollano, gli utili si trasformano in perdite, cominciano le sofferenze finanziare a
livello globale.
• Il sistema della cartolarizzazione (leggi derivati) fa il resto. Se i mutui subprime sono la
base del finanziamento di molte attività, e i mutui subprime perdono tutto il loro
valore, allora anche il sistema del finanziamento va in tilt.
• I problemi giungono in Europa, e per effetto della sfiducia (e del relativo crollo in
borsa) e per effetto della moria di finanziamenti (vedi cartolarizzazione). I rubinetti
delle banche iniziano a chiudersi, le imprese iniziano a fallire. Ovunque. Inizia la
recessione.

Il resto è storia di questi giorni. La crisi economica che diventa crisi del debito, la crisi del
debito che impone misure di austerity, che peggiorano la crisi economica. Insomma, un bel
circolo vizioso. Se non altro, tutto ciò sta servendo a una ridiscussione del capitalismo
finanziario (e soprattutto delle sue regole) e delle capacità di reazione delle teorie neo-
liberiste, che oggi stanno finalmente cedendo il passo al vecchio Keynes. L’Italia fu uno dei
paesi che maggiormente subì questa crisi.

Conclusione ! politica monetaria amplificata (troppo espansiva) aggravata da una finanza


che ha messo in campo titoli che in realtà celavano il rischio reale, da cui si trae la necessità
di avere una trasparenza dei titoli originari che mi garantisca la loro effettiva sicurezza.

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- Spiazzamento: Il tasso d’interesse basso aveva deformato la propensione al rischio. Un


mercato per essere efficiente necessita di investitori pienamente coscienti nell’investimento
del loro patrimonio, altrimenti si ha una distorsione dell’allocazione delle risorse.
- Euforia: si pensa che il rischio sia basso e si investe in titoli che hanno rendimenti maggiori
degli altri.
- Panico: alcune banche vengono nazionalizzate (Inghilterra, fallimento Lehman Brother).
Frustrazione: difficoltà da parte degli operatori di ottenere credito. C’è un grosso problema di
distribuzione delle politiche monetarie che sono state adottato. Solo una parte della politica
espansiva è rimasta ad incentivare la crescita, mentre un’altra parte è rimasta “bloccata”
per la riparazione del sistema bancari.

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