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12.

«Voi dagli studi storici passate alla grammatica, BSP BIBLIOTECA BIBLIOTECA STORICA PIACENTINA
Marco Boscarelli nuova serie
Tra i secoli XVI e XIX
nei ducati di Piacenza e Parma
dalla grammatica ritornate alla statistica e quindi STORICA
13.
alla filologia e ai testi e dai testi alla agricoltura, PIACENTINA 1.
Domenico Ponzini Ranieri Schìppisi
dall’agricoltura alla morale e ai racconti, senza tener
Santa Giustina di Piacenza.
Storia, tradizione, culto
conto della critica letteraria e della polemica»; «voi
ERUDITO E POLEMISTA Capitoli giordaniani

2.
14.
Luigi Cassola
Il Canzoniere del codice
siete di quelle tempre che sono purtroppo rare nel INFATICATO Giuseppe Taverna. Una giornata di studi
(Piacenza, 15 maggio 1993)
a cura di Gianmarco Gaspari
nostro paese e nelle nostre generazioni: utilmente
E INFATICABILE
Vaticano Capponiano 74
introduzione, testo critico e commento
a cura di Giuliano Bellorini inquieto e infaticabile, aperto desto pronto a tutto,
sempre sveglio, sempre all’erta, combattitore
26 3.
Giovanna Valenzano, Giuliana Guerrini, Antonella Gigli
Chiaravalle della Colomba. Il complesso medievale
15.
Pietro Giordani, Antonio Canova, LUCIANO SCARABELLI 4.
Giovanni Battista Sartori robusto e anche rude, ma sempre schietto e leale Pietro da Ripalta
Carteggio TRA STUDI UMANISTICI Chronica Placentina nella trascrizione di Iacopo Mori
edizione critica a cura di e disinteressato»: così Giosuè Carducci – di cui è a cura di Mario Fillìa e Claudia Binello
E IMPEGNO CIVILE

Erudito e polemista, infaticato e infaticabile. Luciano Scarabelli


Matteo Ceppi e Claudio Giambonini introduzione di Piero Castignoli
introduzione di Irene Botta pure la frase che ha dato il titolo al convegno di 5.
17. cui qui si pubblicano gli Atti – in una lettera del Giordani letterato.
Marco Pizzo Seconda giornata piacentina di studi
Un museo per la morte (Piacenza, 20 maggio 1995)
Il cimitero di Piacenza
1874 a Luciano Scarabelli ne sintetizza l’attività a cura di Giorgio Panizza
con Bibliografia giordaniana 1974-1994
18. e il carattere. di Laura Melosi
Cose piacentine d’arte
offerte a Ferdinando Arisi Il convegno, con i suoi numerosi e vari 6.
a cura di Vittorio Anelli Marco Boscarelli
interventi, ha inteso affrontare – senza Istituzioni e costumi fra Piacenza
19. e Cortemaggiore (secc. XVI-XVIII)
Bibliografia degli scritti di Ferdinando Arisi pretendere di esaurirne l’attività – diversi
1950-2005 17.
a cura di Cecilia Lala aspetti delle vicende e dell’opera dello Anna Riva
La biblioteca capitolare di S. Antonino
20. Scarabelli, figura fino ad oggi poco di Piacenza (secoli XII-XV)
Stefano Fermi prefazione di Luciano Gargan
e il Bollettino Storico Piacentino studiata anche nella sua città: si
Giornata di studi per i cento anni 8.
della rivista illumina così un cinquantennio di storia Daniele Andreozzi
a cura di Vittorio Anelli Piacenza 1402-1545. Ipotesi di ricerca

21.
culturale italiana in profonda e costante 9.
Un nuovo teatro applauditissimo Giacobini e pubblica opinione nel Ducato di Piacenza.
Lotario Tomba architetto
trasformazione, di cui il Piacentino Atti del Convegno
e il Teatro Municipale di Piacenza Piacenza, 27-28 settembre 1996
a cura di Giuliana Ricci e Vittorio Anelli
rappresenta novità e contraddizioni. a cura di Carlo Capra

22. 10.
Studi in onore di Alberto Spigaroli Fabrizio Periti
a cura di Vittorio Anelli Agricoltura e istituzioni agrarie
a Piacenza in età liberale.
23. Il primo consorzio agrario cooperativo (1900-1927)
Riccardo De Rosa
Lo Stato Landi (1257-1682) 11.
Giordani-Leopardi 1998.
24. Atti del Convegno nazionale di studi
Pietro Giordani
Panegirico ad Antonio Canova
edizione critica e commentata a cura di Gabriele Dadati
26 TIP.LE.CO. 2009 Piacenza 2-4 aprile 1998
a cura di Roberto Tissoni

prefazione di Fernando Mazzocca

25. In copertina: elaborazione grafica di un ritratto fotografico


Piero Castignoli di Luciano Scarabelli con una nota autobiografica autografa
(«Bollettino Storico Piacentino», XI, 1916, fasc. II, tav. f.t.)
Eresia e inquisizione a Piacenza nel Cinquecento
ISBN 978-88-86806-25-1
ERUDITO E POLEMISTA
INFATICATO E INFATICABILE
LUCIANO SCARABELLI
TRA STUDI UMANISTICI
E IMPEGNO CIVILE

Atti del Convegno di Piacenza


Palazzo Galli, 23-24 maggio 2008

A cura di VITTORIO ANELLI

TIP.LE.CO. 2009
IL BELLO E IL VERO:
LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

di MARIA LUIGIA PAGLIANI

1. La cultura come professione

Nel settembre del 1842 Niccolò Tommaseo scrive a Gino Capponi:

Ma intanto un marchese non è costretto a offrir la sua penna a’ librai; un


marchese non deve scrivere per l’Indicatore lombardo e per l’Indicatore pie-
montese, non deve trascinare l’Alighieri per trenta lezioni; […] un marchese
può imparare il sanscrito, può leggere San Tommaso dal mattino alla se-
ra(1).

In poche righe il Tommaseo tratteggia la condizione dell’intellettuale


italiano tra Restaurazione e Unità quando comincia la professiona-
lizzazione del lavoro culturale che si compirà, in forme pienamente
moderne, solo agli inizi del XX secolo(2).
Si fa strada nel corso dell’Ottocento un ceto di studiosi, scrittori,
giornalisti che, privi di rendite personali, sfruttano a scopi commer-
ciali le proprie capacità intellettuali e praticano il lavoro culturale co-

(1) Niccolò Tommaseo, Gino Capponi, Carteggio inedito dal 1833 al 1874, a cura
di Isidoro Del Lungo e Paolo Prunas, 4 voll., Bologna, Zanichelli, 1911-1932, II, p. 22;
Roberto Pertici, Appunti sulla nascita dell’intellettuale in Italia, in Christophe Charle, Gli
intellettuali nell’Ottocento. Saggio di storia comparata europea, a cura di Roberto Pertici,
Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 309-346. Si ringraziano Massimo Baucia e Daniela Morsia
della Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza, Alessia Marchi dell’Accademia di
Belle Arti di Bologna e il personale della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna per
avere agevolato in ogni modo le ricerche.
(2) Valerio Castronovo, Stampa e opinione pubblica nell’Italia liberale, in Valerio Ca-
stronovo, Luciana Giacheri Fossati, Nicola Tranfaglia, La stampa italiana nell’età liberale
Bari, Laterza, 1979 (Storia della stampa italiana, a cura di Valerio Castronovo e Nicola
Tranfaglia, vol. III), pp. 1-233, a pp. 225-226.

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MARIA LUIGIA PAGLIANI

me professione e non più come libera attività(3). Molti, e non solo in


Italia, sono costretti ad una “pluriattività”, come sostiene Christophe
Charle(4), e uniscono il pubblico impiego nelle scuole, nelle istituzioni,
negli uffici ad una libera professione editoriale o giornalistica. La con-
dizione di lavoro non è facile, soprattutto in Italia, condizionata da
un mercato editoriale ristretto, scarsamente remunerativo, governato
da norme incerte, esposto alle peculiari vicende politiche di quegli an-
ni(5). I ritmi di lavoro sono elevati ed è indispensabile operare, anche
con occhio attento agli umori del pubblico, su più fronti: gli articoli
di giornale e i libri scolastici, la didattica e la compilazione storica,
la letteratura e il lavoro redazionale ed editoriale(6). La concorrenza
è pesante e nascono polemiche e rivalità personali, talvolta appena
mascherate da differenti posizioni ideologiche o culturali.
In questo quadro la biografia professionale e culturale di Luciano
Scarabelli acquista un valore esemplare. Poverissimo e autodidatta
inizia la sua attività come maestro di paese. «Sono stato fatto maestro
che non conosceva la grammatica», ricorda lui stesso nel novembre
1842 in una lettera ad Antonio Alessi(7). Si tratta di una professione
di scarso prestigio sociale, svolta in condizioni difficili con pluriclassi
anche di cento alunni e con paghe modestissime(8). Come altri, Sca-
rabelli è costretto ad integrare il reddito con collaborazioni editoriali
e a procurarsi i necessari appoggi.

Il mio governo – scrive Luciano Scarabelli a Gian Carlo di Negro il 17 gen-


naio 1842 – che m’ha tenuto 13 anni ad insegnare l’abbiccì [al] villaggio con
quella paga che tocca a quegl’infelici maestri, vedendomi uscire dalla condi-

(3) Alessandra Briganti, Intellettuali e cultura fra Ottocento e Novecento. Nascita e


storia della terza pagina, Padova, Liviana Editrice, 1972, pp. 9-10.
(4) Charle, Gli intellettuali nell’Ottocento, pp. 59-62.
(5) Marino Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino,
Einaudi, 1980; Pertici, Appunti sulla nascita dell’intellettuale in Italia, pp. 316-320, e
bibliografia ivi citata; per il tema dei compensi si veda anche Franco Della Peruta, Il
giornalismo dal 1847 all’Unità, in Alessandro Galante Garrone, Franco Della Peruta, La
stampa italiana del Risorgimento, Bari, Editori Laterza, 1979 (Storia della stampa italiana,
a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, vol. II), pp. 249-569, a p. 327.
(6) Pertici, Appunti sulla nascita dell’intellettuale in Italia, pp. 320-321.
(7) Luciano Scarabelli, Opuscoli artistici, morali, scientifici e letterari, Piacenza, An-
tonio Del Maino, 1843, p. 330; sull’autodidattismo anche Charle, Gli intellettuali nell’Ot-
tocento, p. 34 nota 2.
(8) Gianfranco Tortorelli, Salvatore Muzzi (1807-1884). Un mediatore della cultura
nella Bologna dell’Ottocento, in «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria di
Romagna», L, 1999, pp. 275-308, a p. 284 nota 6; Della Peruta, Il giornalismo dal 1847
all’Unità, pp. 315 e 327 e bibliografia ivi citata; Leopoldo Cerri, Luciano Scarabelli. Cenno
biografico, in «Bollettino Storico Piacentino» (d’ora in avanti BSP), XI, 1916, pp. 34-43
e 63-67, a p. 35 dove afferma che negli anni Trenta dell’Ottocento la paga annua di
insegnante di Scarabelli ammontava a 600 lire.

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IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

zione di essi collo stampar cose che sebbene misere di vera letteratura ciò
nondimeno piacevano all’universale, anziché darmi un impiego conveniente a’
miei studi, mi tolse anche quel poverissimo. Onde sono ridotto allo stremo:
sendo io senza un palmo di terra, senza un denaro di frutto da alquanti
mesi. Non ho altro mezzo che la stampa. Ma che stampare? O come essere
comprato se non da chi compatisce alle immeritate sventure? [...]
Con questa le rimetto, pregando di gradirlo, un esemplare delle mie No-
velle che per l’avarizia dello stampatore non mi fruttarono che 60 lire! Oh
misero colui che in Italia deve vivere della penna dicendo il vero(9).

Ma lo Scarabelli non si scoraggia, con determinazione – e quel


pizzico di follia che lo stesso Giordani, sia pure con indulgenza, gli
riconosce quando scrive: «E più che un poco è matto, quello Scara-
belli»(10) – intraprende una lunga carriera in campo culturale.
Il percorso si snoda tra l’attività di “agente”, tra gli altri dello
stesso Giordani e di Cesare Masini a Genova(11), le collaborazioni gior-
nalistiche a livello nazionale, gli incarichi di ricerca (le consulenze di
oggi), i diversi gradi dell’insegnamento fino alla cattedra di Estetica
all’Accademia di Bologna, la critica artistica e la «carriera di fonda-
tore e compilatore di fogli, la cui esistenza fu in qualche caso resa
possibile da sovvenzioni ministeriali»(12).
Peraltro il Piacentino mostra di sapersi avvalere efficacemente de-
gli strumenti di comunicazione a sua disposizione. Le polemiche in
cui si trova coinvolto sembrano rispondere, almeno in ambito storico-
artistico, ad una precisa regia. Lo Scarabelli è spesso il portavoce
degli interessi di questo o quel gruppo, come accade – e si vedrà
meglio in seguito – nella polemica sulla mostra bolognese del 1846
o in quella sul restauro dell’affresco ferrarese del Garofalo. I toni
iniziali sono sempre alti e tali da provocare l’immancabile reazione
degli interessati. Nelle repliche i toni si attenuano e le posizioni si
sfumano, ma intanto la questione ha portato alla pubblicazione di
diversi articoli, puntualmente raccolti e ripubblicati dallo Scarabel-
li, e ha occupato i giornali locali e nazionali per molte settimane.
L’immagine dello studioso piacentino viene arricchita da una vasta
rete di relazioni, di cui sono parte sostanziale le lettere a stampa e
gli opuscoli indirizzati o dedicati spesso, nell’ambito dell’arte, a illu-
stri critici o artisti, con i quali talvolta il rapporto si esaurisce nel
semplice omaggio. Lo Scarabelli stesso tratteggia per sé la figura di

(9) Enrico Garavelli, Giordani «grande e temuto». In margine alla presenza giorda-
niana a Genova, in BSP, LXXXIX, 1994, pp. 83-136, a p. 134.
(10) Ivi, p. 125.
(11) Ivi, p. 104 nota 113.
(12) Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità, p. 356; sulle forme di autofinan-
ziamento anche Cerri, Luciano Scarabelli, p. 39.

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MARIA LUIGIA PAGLIANI

studioso integerrimo, paladino della verità, per nulla incline ad inse-


guire la moda o le facili inclinazioni del pubblico, danneggiato più
che agevolato dalle sue schiette opinioni, chiamato e ricercato mai
per sua richiesta o pressione, solo e sempre per le sue qualità di
studioso(13).
Si definisce così il ritratto che lo stesso Giosuè Carducci accredita
in una lettera al Piacentino dell’aprile 1874:

Vi ammiro. Voi dagli studi storici passate alla grammatica, dalla grammatica
ritornate alla statistica e quindi alla filologia e ai testi e dai testi all’agricol-
tura, dall’agricoltura alla morale e ai racconti, senza tenere conto della critica
letteraria e della polemica. […] Caro e bravo Scarabelli, voi siete di quelle
tempre che sono purtroppo rare nel nostro paese e nelle nostre generazioni:
utilmente irrequieto e infaticabile, aperto desto pronto a tutto, sempre sve-
glio, sempre all’erta, combattitore robusto e anche rude, ma sempre schietto
e leale e disinteressato(14).

In questi anni anche nel mondo dell’arte compaiono nuove di-


mensioni operative e inedite figure professionali. Luciano Scarabelli
si impegna su temi storico-artistici fra gli anni Quaranta e i primi
anni Settanta. Il suo percorso professionale e i suoi studi rappresen-
tano le novità e le contraddizioni di un quarantennio molto varie-
gato dal punto di vista della teoria e dell’organizzazione artistica. In
particolare, nelle pagine che seguono, si prendono in considerazione
la posizione estetica, l’impegno verso la conservazione del patrimonio
artistico, i contatti con l’ambiente bolognese e l’esperienza didattica
in Accademia.

2. “Illustrare” l’arte

È lavoro utilissimo al pubblico una illustrazione, se è fatta con filosofia. Il


tempo, il luogo, il soggetto dell’azione istruiscono i presenti, i futuri: ed è
officio dello scrittore chiarir tutto, perché anche i meno veggenti entrino nella
mente del pittore che sempre vuol dire più che non mostra. […]
[...] io non sono artista; solo di esse [le arti] ardisco parlare in quella al-
cuna volta che mi vi tragge l’amore del filosofare […]. Io stimo grandemente

(13) Luciano Scarabelli, Della esposizione bolognese di Belle Arti. Lettera di Luciano
Scarabelli all’egregio Michele Ridolfi pittore lucchese, Firenze, Tipografia Galileiana, 1846,
p. 4; Garavelli, Giordani «grande e temuto», pp. 133-136; Arnaldo Ganda, «Io ho piacere
a farvi piacere: voi non mi fate bestemmiare?». Lettere di Luciano Scarabelli a Giosue
Carducci (1867-1876), in BSP, CIII, 2008, pp. 109-144, a p. 141.
(14) Ganda, «Io ho piacere a farvi piacere […]», p. 143; già ed. da Giovanni Forlini,
Tre lettere inedite di Giosuè Carducci a Luciano Scarabelli, in «Convivium», XXIV, 1956,
pp. 213-215, a pp. 214-215, la lettera è datata Bologna, 25 aprile 1874.

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IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

buono illustrare i concetti degli artisti, per documento degli amatori e dei
cultori stessi delle arti: onde mi pare aiuto a pensieri e cose maggiori; e per
questo non degli illustratori soltanto (illustratori veri, non i prosontuosi da
te derisi, e giustamente) ma di tutti che alle arti aiutino colle lettere in qua-
lunque modo, io giudico doversi pubblico onore(15).

Con queste parole, indirizzate da Piacenza il 10 febbraio del 1841,


in una lettera pubblica sull’«Espero» di Genova, all’amico Cesare
Masini, allora all’Accademia di Perugia, Luciano Scarabelli tratteg-
gia il suo lavoro di scrittore d’arte. La lettera trae occasione da uno
scritto del notissimo collezionista e apprezzato conoscitore bolognese
Michelangelo Gualandi(16). I conoscitori, gli appassionati di arte an-
tica e contemporanea, gli studenti e i professori delle accademie e
quel pubblico di amatori che cresce nelle città grazie alle mostre e
alle associazioni rappresentano i potenziali lettori di Luciano Sca-
rabelli.
Lo Scarabelli non è quindi, e per sua stessa dichiarazione, uno sto-
rico come ad esempio il Rosini o Pietro Selvatico Estense e neppure
un teorico come Niccolò Tommaseo o il suo indimenticato maestro
Pietro Giordani. Oggi si potrebbe definirlo un critico e un divulgatore
che trova nella stampa periodica e negli opuscoli, allora molto diffusi,
gli strumenti privilegiati di comunicazione e il cui ruolo, in quegli
anni, è oggetto di un ampio dibattito nazionale(17).
Nel 1842 Pietro Selvatico Estense, allora direttore dell’Accademia
di Belle Arti di Venezia, tratteggia, nelle pagine Sull’educazione del
pittore storico odierno italiano, il nobile ruolo della critica contem-
poranea, attribuendo all’artista la facoltà di discettare sulle questioni
più tecniche e operative dell’arte e riservando ai letterati di scrivere
dell’«essenziale scopo dell’arte, la espressione e la convenienza»(18).

Si facciano essi – sono sempre parole del Selvatico – gli interpreti della
pubblica opinione e dissotterrino […] idee e sentimento che molti sentono
dentro di sé […] notino nelle statue e nei quadri gli anacronismi e gli errori

(15) Scarabelli, Opuscoli, pp. 378-379 e anche p. 164: «Io appena ammiratore del
bello, non artista, non sentenziator d’arte».
(16) Michelangelo Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le Belle Arti, 6
voll., Bologna, Jacopo Marsigli, 1840-1845 (lo Scarabelli si riferisce all’uscita del primo
volume). Cfr. Gian Piero Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazionale di Bologna,
3 voll., Bologna, Minerva Edizioni, 2001-2004, II, pp. 58-60 e p. 64 nota 31; Donata
Levi, Cavalcaselle. Il pioniere della conservazione dell’arte italiana, Torino, Giulio Einaudi
Editore, 1988, p. XXVI.
(17) In generale sugli orientamenti critici italiani ed europei della prima metà del-
l’Ottocento: Levi, Cavalcaselle, pp. XXIII-XXIV.
(18) Scritti d’arte del primo Ottocento, a cura di Fernando Mazzocca, Milano-Napoli,
Riccardo Ricciardi Editore, 1998, p. 361.

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MARIA LUIGIA PAGLIANI

di convenienza ove li rinvengano; ché in tal modo impediranno agli artisti


di errar di nuovo, ed il pubblico formeranno cauto e veggente giudice dei
prodotti d’arte […](19).

La critica è indispensabile al moderno mercato dell’arte sostenuto


dai nuovi acquirenti borghesi e organizzato anche al di fuori delle
accademie, da sempre luogo privilegiato per la didattica e la promo-
zione degli artisti(20).
Alle tradizionali mostre accademiche si aggiungono le gallerie e
l’attività delle nuove Società promotrici che a partire dagli anni Qua-
ranta del secolo si diffondono nelle maggiori città (Firenze, Genova,
Napoli, Bologna e Torino)(21). La comparsa dei primi fenomeni spe-
culativi e la nuova organizzazione richiedono «sofisticati e complessi
sistemi promozionali»(22): giornali, cataloghi, repertori, libretti e com-
menti.
Non potevano quindi mancare, in questo mondo così effervescen-
te, accanto agli esponenti più qualificati, come scrive Pietro Selvatico
Estense, anche

letteratuzzi, encomiatori a nativitate, piaggiatori d’ogni vizio sociale, che im-


piegano la lode come il denaro a usura, per averne un interesse successivo
d’un tanto per cento […]. Per ultimo giornalisti di professione, imparziali
quanto lo possono essere genti che muovono la penna soltanto o per averne
lucro o per guadagnare l’animo degli artisti e dei mecenati […]. Se intorno
alle arti dunque si dessero a scrivere solamente coloro che hanno una retta
idea del vero e del bello, e sanno dire ciò che pensano, e pensano veramente
a ciò che dicono, le cose andrebbero ben altrimenti […](23).

Sulla stessa linea è anche il bolognese Michelangelo Gualandi che


dalle pagine del «Felsineo» nell’ottobre del ’44 afferma che «il giorna-
lismo, che non intende il vero a suo fine, il più delle volte è cagione

(19) Scritti d’arte del primo Ottocento, pp. 362-363; Paola Barocchi, Storia moderna
dell’arte in Italia, vol. I, Dai neoclassici ai puristi 1780-1861, Torino, Giulio Einaudi
Editore, 1998, pp. 548-549.
(20) Scritti d’arte del primo Ottocento, pp. 210-211; Concetto Nicosia, Arte e accade-
mie nell’Ottocento, Bologna, Minerva Edizioni, 2000, pp. 103-129.
(21) Bordini Silvia, L’Ottocento 1815-1880, Roma, Carocci, 2002, p. 26; in particolare
sulle Società promotrici: Maria Mimita Lamberti, La Società promotrice di Belle Arti in
Torino: fondatori, soci, espositori dal 1842 al 1852, in Istituzioni e strutture espositive in
Italia. Secolo XIX: Milano, Torino, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1981 (Quaderni del
seminario della critica d’arte, 1), pp. 289-408, a pp. 293-296; Scritti d’arte del primo Ot-
tocento, pp. 323-330. In particolare non si può non ricordare il giudizio negativo sulle
Promotrici espresso da Massimo D’Azeglio ne I miei ricordi, in Barocchi, Storia moderna
dell’arte, pp. 346-347 e 350 nota 17.
(22) Scritti d’arte del primo Ottocento, p. 324.
(23) Ivi, pp. 362-363.

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IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

di amari dissidi, e mentre impreca a coloro che divulgano il vero,


mercanteggia le lodi e inganna sempre»(24).
Fra le luci e le inevitabili ombre emerge uno scenario variegato,
anche qualitativamente, di autori, di temi e di registri narrativi: dagli
eruditi agli studiosi preoccupati dell’organizzazione accademica e ar-
tistica, dai critici – impegnati fra militanza politica e coscienza civile
– agli scrittori d’occasione tesi a promuovere e accreditare artisti e
mostre ad uso e consumo del nuovo pubblico che per la prima volta
si affaccia al mondo dell’arte(25).
Luciano Scarabelli in questi anni è uno dei protagonisti. La gran
parte della sua produzione artistica occupa, in modo non continua-
tivo, circa un trentennio (tra il 1840 e il 1870) e può essere divisa
in due momenti di particolare concentrazione: gli anni 1840-1850 e
quelli successivi al 1865.
Nel primo periodo, oltre alla guida di Piacenza edita nel 1841(26),
si segnalano gli articoli, le lettere aperte, i commenti, le biografie(27),
compresi fra il 1841 e il 1842, in gran parte ripubblicati nel 1843
negli Opuscoli artistici, morali, scientifici e letterari in occasione delle
nozze di Luigi figlio del conte Giacomo Milan Massari(28). Diversi gli
argomenti: dal diario del viaggio a Modena, Bologna, Ferrara e Vi-
cenza, della primavera-estate del 1842, alla biografia di Gaspare Landi
(1756-1830), redatta originariamente per la Strenna Piacentina; dal
commento al Cincinnato del Viganoni (1786-1839) alla lettura di un
dipinto di Francesco Francia; dalla vita dell’incisore bolognese Mauro
Gandolfi all’ampia descrizione della collezione di Michelangelo Gua-
landi, una delle più famose nella Bologna di quegli anni(29).
Gli scritti sono spesso indirizzati a personaggi noti del mondo ar-
tistico, alcuni dei quali bolognesi: Cesare Masini, Cincinnato Baruzzi,
Michelangelo Gualandi.
L’amico «Cesarino» è noto pittore di storia, docente di pittura e

(24) Michelangelo Gualandi, Dell’esposizione di Belle Arti in Bologna del 1844, Bolo-
gna, Tipografia Sassi, 1844, p. 5, si tratta della pubblicazione in opuscolo di due articoli
apparsi sul «Felsineo» del 22 e 29 ottobre 1844.
(25) Julius Schlosser Magnino, La letteratura artistica, Firenze, La Nuova Italia, 1977;
Scritti d’arte del primo Ottocento, pp. XVI-XVII.
(26) Luciano Scarabelli, Guida ai monumenti storici e artistici della città di Piacenza,
Lodi, Tipografia C. Wilmant e figli, 1841.
(27) In queste pagine si fa riferimento alla produzione giornalistica dello Scarabelli
solo quando appare ristampata in volumi od opuscoli.
(28) Cfr. nota 7. Sulla figura di Giacomo Milan Massari: Pietro Giordani, Onori fu-
nebri al Nobile Giacomo Milan Massari in Santo Stefano di Vicenza il dì 6 marzo 1844,
Rovigo, A. Minelli, 1844.
(29) Collezione del Cav. Michelangelo Gualandi di Pitture, Disegni, Album, Stampe,
incisioni, rami incisi, sculture, oggetti antichi e diversi esistenti nella via San Felice n. 65
in Bologna. Catalogo per la vendita, Bologna, Tipografia Militare, 1866.

225
MARIA LUIGIA PAGLIANI

direttore fra il 1842 e il 1845 all’Accademia di Perugia e poi, dal


1845 al 1871, segretario a quella di Bologna(30). Il Masini è sosteni-
tore della supremazia del «vero di natura, ma nel suo bello […]. La
natura è quieta e tranquilla in tutte le sue gradazioni; una misura
ha in tutto. Codesta misura relativa è ciò che costituisce il bello e
l’armonioso. Ma chi studia continuamente natura è l’amato dall’uni-
versale, è il professore del vero»(31). A Bologna, dove Romanticismo e
Purismo sono da sempre banditi e pesano condizionamenti istituzio-
nali e politici, Masini in oltre trent’anni di militanza artistica tenta
un cauto rinnovamento in continuità con il magistero dei Carracci
e la tradizione della grande pittura bolognese, per approdare ad un
sostanziale decoro accademico(32).
Cincinnato Baruzzi (1796-1878), insigne scultore allievo ed erede
del Canova, è autentico patron delle arti bolognesi fra gli ultimi anni
dello Stato pontificio e il sorgere del nuovo stato nazionale. I rap-
porti fra lo Scarabelli e il Baruzzi, come accade probabilmente con
altri destinatari, sembrano limitati – almeno a giudicare da quanto è
rimasto nell’archivio del pittore – a contatti formali e ad una visita
all’atelier, meta probabilmente d’obbligo per gli artisti e gli studiosi
di passaggio in città(33).
Michelangelo Gualandi è invece studioso, storico e collezionista,
ricordato per alcuni importanti studi sull’arte bolognese e una famosa
guida della città(34).

(30) Scarabelli, Opuscoli, pp. 377-390. La carica di segretario dell’Accademia bolo-


gnese viene affidata per la prima volta ad un pittore (Masini) e non ad un letterato,
come prevedeva il regolamento del 1822. In questo ebbe grande peso l’allora presidente
Amico Ricci, che fece proprie le posizioni di Michelangelo Gualandi che rimproverava
ai letterati la scarsa conoscenza delle tecniche artistiche; cfr. a questo proposito Eli-
sabetta Farioli, Ufficialità accademica e critica d’arte militante a Bologna nell’Ottocento,
in Dall’Accademia al Vero. La pittura a Bologna prima e dopo l’Unità, a cura di Renzo
Grandi, catalogo della mostra, Bologna, gennaio-aprile 1983, Bologna, Grafis, 1983, pp.
31-42, a pp. 39-40; Claudio Poppi, Le istituzioni artistiche tra governo pontificio e stato
unitario, ivi, pp. 43-54, a p. 45.
(31) Renzo Grandi, Bologna e il Vero, in Dall’Accademia al Vero, pp. 9-19, a p. 9;
cfr. anche Alessandra Borgogelli, Cesare Masini, ivi, pp. 107-109; Poppi, Le istituzioni
artistiche tra governo pontificio e stato unitario, p. 47; Dizionario dei Bolognesi (d’ora in
avanti DB), a cura di Giancarlo Bernabei, 2 voll., Bologna, Santarini, 1989-1990, II, pp.
343-344; Michelangelo L. Giumanini, Uomini dell’Accademia: studio prosopografico sui
presidenti e sul personale dell’Accademia di Belle Arti di Bologna (1803-1887), Bologna,
Bononia University Press, 2006, pp. 129-136.
(32) Grandi, Bologna e il Vero; sul tema del rifiuto del Purismo anche un commento
di Gualandi, Dell’esposizione di Belle Arti in Bologna nel 1844, a p. 6.
(33) Uno scultore neoclassico a Bologna fra Restaurazione e Risorgimento. Il fondo
Cincinnato Baruzzi nella Biblioteca dell’Archiginnasio, a cura di Clara Maldini, Bologna,
Comune di Bologna, 2007, p. 131; Scarabelli, Opuscoli, p. 270; DB, I, p. 89.
(34) Farioli, Ufficialità accademica e critica d’arte militante, p. 39; Cammarota, Le

226
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

Agli Opuscoli segue un’orazione letta, in assenza dell’autore, all’Ac-


cademia di Belle Arti di Ravenna in occasione delle premiazioni del
maggio 1845. L’anno successivo è la volta della recensione della mostra
bolognese del 1846, che non mancherà di suscitare forti polemiche in
città, indirizzata al famoso pittore lucchese Michele Ridolfi (1795-1854).
Nello stesso anno appare la lettera in favore di un giovane pittore par-
migiano e destinata al mantovano Carlo d’Arco (1799-1872), molto ap-
prezzato dal Giordani per i suoi studi su Giulio Romano del 1838(35).
Dopo il 1865, giunto a Bologna come docente di Estetica all’Acca-
demia, i contributi dello Scarabelli risentono maggiormente dell’impe-
gno didattico. Datano a questi anni, ad esempio, la commemorazione
di Pietro di Curlandia del 1866, preparata per l’Accademia di Bologna,
e la lezione dedicata ad un dipinto del Puccinelli, suo collega di pit-
tura(36). Nel ’65 lo Scarabelli è nuovamente impegnato in un’orazione
per l’Accademia di Belle Arti di Ravenna e nel ’74 dà alle stampe la
nota edizione degli atti e delle lettere di Pietro Giordani in qualità
di prosegretario dell’Accademia(37).
Nelle opere dello Scarabelli il richiamo a Pietro Giordani è fre-
quente, sia nella scelta dei temi talvolta esplicitamente giordaniani,
come ad esempio per l’opera del Landi, sia nell’esegesi, costantemente
ispirata all’estetica classicista e al fine morale e civile delle arti.
Fin dai primi lavori lo studioso piacentino appare quindi fermo

origini della Pinacoteca nazionale di Bologna, II, pp. 58-60 e p. 64 nota 31. Anche il
Gualandi è su posizioni molto tradizionali: «Le leggende del Medioevo, che pullulando in
Italia, usurpavano il luogo delle sue maschie storie, de’ suoi eterni poemi, diedero vita
a quelle folle di mezzi-quadri, in cui divenne pregio l’accessorio, intanto che il difficile
ignudo subiva alla sua volta la proscrizione», in Gualandi, Dell’esposizione di Belle Arti in
Bologna nel 1844, p. 6 (si veda anche, alla stessa pagina, il giudizio su Hayez e la diffi-
coltà ad accettare il predominio della cultura artistica milanese); Michelangelo Gualandi,
Tre giorni in Bologna o guida per la città e i suoi contorni, Bologna, s.n.t., 1850.
(35) Luciano Scarabelli, Della cultura degli artisti. Discorso dettato da Luciano Sca-
rabelli Accademico onorario e letto nella premiazione il 21 maggio 1845, in Atti della P.
Accademia di Belle Arti in Ravenna, 1845-1847, Ravenna, Tipografia del Seminario Arci-
vescovile, 1849, pp. 121-133; Id., Della esposizione bolognese di Belle Arti. Lettera di Lu-
ciano Scarabelli all’egregio Michele Ridolfi pittore lucchese, Firenze, Tipografia Galileiana,
1846; Id., Di un episodio della Strage degli Innocenti, dipinto del parmigiano Giovanni
Riccò, Parma, Tipografia Rossetti, 1846; sulla figura di Carlo D’arco: Scritti d’arte del
primo Ottocento, pp. 1016-1017.
(36) Luciano Scarabelli, Pietro Duca di Curlandia. Commemorazione all’Accademia
di Belle Arti in Bologna, Bologna, Regia Tipografia, 1866; Id., La fortuna della filosofia
e delle arti del disegno per Cosimo de’ Medici, dipinto di Antonio Puccinelli, Bologna,
Tipografia Mareggiani, 1868.
(37) Luciano Scarabelli, Le arti belle sono le arti della Libertà, Milano, Tipografia
di Francesco Gareffi, 1865; Id., Di Pietro Giordani (materia inedita). Lettere ed atti per
l’Accademia di Belle Arti in Bologna di cui fu pro-segretario, Bologna, Regia Tipografia,
1874.

227
MARIA LUIGIA PAGLIANI

su posizioni tradizionali, prossime a quelle dei conservatori, come


ad esempio l’accademico napoletano Filippo Marsigli, fautore di una
correttezza stilistica fondata sulla perfezione del disegno e del colori-
to, sulla coerenza delle ambientazioni e sulle tradizionali regole della
prospettiva(38). Sostanzialmente estraneo alle novità tese al «supera-
mento del bello convenzionale»(39), questi è difensore di un «artista-
filosofo»(40) che indirizza gli animi ad una non meglio definita “virtù”,
lontana però tanto dalle appassionate argomentazioni di Giuseppe
Mazzini del 1835 sugli aspetti sociali ed educativi dell’arte, quanto
dagli echi rosminiani delle posizioni del Tommaseo(41).
Per lo Scarabelli, fautore di un classicismo appena rinnovato dal-
l’affermarsi della pittura storica e percorso sempre da una vena an-
tiromantica, Gaspare Landi rimane l’artista sommo(42).

Primeggiava colà [a Roma] fra molti il nostro Landi per la maniera dotta di
comporre istorie, per la bella e vera espressione delle figure, e per lo splen-
dore del colorito, accidente un po’ nuovo in quella scuola, e pel maneggio
singolarissimo di luci e d’ombre a cui molti si sforzavano e niuno aggiungeva,
e per la profonda dottrina di che era fornito, e un gusto squisitissimo e un
sentenziare libero e severo del bello(43).

Al Landi sono riconosciuti ampi meriti, sia perché professava l’arte


con evidente ispirazione civile e per «benefizio pubblico»(44), sia per le
capacità tecniche e quelle «velature» che egli aveva portato alla perfe-

(38) Barocchi, Storia moderna dell’arte, pp. 226-228; Sandra Pinto, La promozione
delle arti negli Stati italiani dall’età delle riforme all’Unità, in Storia dell’arte italiana, 6,
Dal Cinquecento all’Ottocento, 2: Settecento e Ottocento, Torino, Giulio Einaudi Editore,
1982, pp. 793-1079, a p. 956. Su queste posizioni molto diffuse in ambienti accademici
è anche, ad esempio, Francesco Albèri (1765-1836), docente a Bologna; scrive l’Albèri:
«Lo stile migliore è pertanto il grandioso nei limiti del vero condotto con diligente
accuratezza senza che vi apparisca stento e fatica; e l’opera di pittura tanto è migliore
quanto più è giusto e pellegrino il concetto della rappresentanza; chiara e ben ordinata
la composizione; elegante il disegno; approppriati i caratteri; bene espresse le passioni;
vero ed armonico il colorito». Cfr. Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazionale di
Bologna, II, p. 30 e pp. 28-29 per le attività di Albèri a Bologna.
(39) Barocchi, Storia moderna dell’arte, p. 224.
(40) Scarabelli, Opuscoli, p. 136.
(41) Barocchi, Storia moderna dell’arte, p. 717.
(42) Ivi, p. 225. In particolare sulle posizioni antiromantiche dello Scarabelli: Sca-
rabelli, Opuscoli, p. 221; Id., Della esposizione bolognese di Belle Arti, p. 15 nota 9: «il
romantico è un’ingiuria al senno severo degli italiani; l’artista di stile romantico sta
sempre addietro mentre gli altri vanno innanzi». Il linguaggio classicista all’epoca rimane
in voga nelle accademie: Scritti d’arte del primo Ottocento, pp. 210-211. Sui rapporti tra
Romanticismo e Purismo: Barocchi, Storia moderna dell’arte, pp. 446-447; Scritti d’arte
del primo Ottocento; sul Landi: Scarabelli, Opuscoli, pp. 53-119.
(43) Scarabelli, Opuscoli, p. 72.
(44) Ibid.

228
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

zione nella Salita al Calvario di San Giovanni in Canale a Piacenza(45)


(fig. 1). Opera complessissima, la definisce lo Scarabelli, «in cui per
la molteplicità delle figure era difficoltà immensa de’ contrasti, vuoi
per gli affetti, vuoi per le mosse, per le tinte, per le linee, pel girar
della luce, per la disposizione de’ piani e delle figure»(46).
La gloria del maestro si riconosce anche nell’allievo Carlo Viga-
noni, che, dopo lo studio a Roma, rientrato a Piacenza diviene, nel
1830, docente alla locale scuola d’arte. Lo Scarabelli ne commenta il
bozzetto del Cincinnato (fig. 2) eseguito durante il soggiorno romano,
dal quale sarebbe poi stata tratta una tela per la Contessa Amalia
Marazzani Visconti Terzi, rimasta incompiuta(47).
Il lungo articolo è un buon esempio – e lo stesso autore ne è
consapevole – delle letture critiche in voga in quegli anni. Si inizia
con la diffusa narrazione dell’episodio raffigurato, quindi si passa alla
descrizione del soggetto della tela con particolare attenzione anche
alle espressioni dei volti e alle emozioni dei protagonisti. Cincinnato
appare – secondo Scarabelli – combattuto tra «lo sconforto dell’animo
passionato dell’antica offesa, e la sollecitudine insieme dell’amoroso
cittadino che pone innanzi all’amore del figliolo, l’amore della patria
sventurata»(48). Da ultimo vengono presi in esame i vari aspetti della
trattazione artistica secondo una consolidata prassi di lettura(49): pri-
ma «la regia dell’artista – come scrive Paola Barocchi – al quale gli
effetti figurativi sono nettamente subordinati»(50), poi la coerenza con
la narrazione delle fonti storiche e l’accuratezza dell’ambientazione.
In tutto il Viganoni mostra la sua grandezza, «la robustezza e la ca-
stità del disegno, l’ordine del prospetto e dei gruppi, la maestà del
soggetto principale, le attitudini […]»; ispirato dalle rovine dell’antica
Roma, «le statue greche, le romane, i musei lo aiutavano del costu-
me e delle mosse; i libri e gli amici delle storie e della filosofia; la
natura del resto»(51). Solo nella raffigurazione del protagonista, che

(45) Ivi, pp. 76-79; a p. 79 l’esplicito riferimento al Giordani: «Della meravigliosa tela
del Landi, non dirò io che già scrissero molti, e dignitosamente il concittadino Giordani
riguardo d’ogni cosa»; Pietro Giordani, Discorsi detti nella Reale Accademia di Belle arti
in Bologna li XXIV luglio MDCCCXI per la solenne distribuzione de’ Premj Curlandesi e
de’ Premj delle scuole, Bologna, Tipografia Lucchesini, 1811.
(46) Scarabelli, Opuscoli, p. 103.
(47) Ivi, pp. 121-141; Ferdinando Arisi, Neoclassicismo al Gazzola, catalogo della
mostra, Piacenza, aprile-dicembre 1998, Piacenza, Comune di Piacenza, 1998, pp. 11-
14; il bozzetto è attualmente conservato presso l’Istituto Gazzola di Piacenza, che si
ringrazia per aver fornito l’immagine.
(48) Scarabelli, Opuscoli, p. 130.
(49) Scritti d’arte del primo Ottocento, p. 502.
(50) Barocchi, Storia moderna dell’arte, p. 228.
(51) Scarabelli, Opuscoli, pp. 137-138.

229
MARIA LUIGIA PAGLIANI

1. Luigi Tibaldi (1834-1889), litografia della Salita al Calvario di Gaspare


Landi, Piacenza, Biblioteca Comunale Passerini-Landi.

230
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

2. Carlo Viganoni, bozzetto del Cincinnato, Piacenza, Istituto Gazzola.

la tradizione vuole togato mentre ascolta gli ambasciatori di Roma,


l’artista si discosta dalla narrazione storica: «non è secondo la storia
ma – lo assolve lo Scarabelli – non ripugna al verisimile»(52).
Coerenza dell’ambientazione, composizione «severa che ha dell’an-
tico […], pura, nobile, grandiosa»(53), equilibrio della descrizione, cura
dell’anatomia, il vero degli incarnati e il naturale dei drappeggi, nes-
suna concessione agli eccessi visivi ed emotivi contrari «alla gentilez-
za del costume a cui vorremmo educare il popolo già troppo rotto, e

(52) Ivi, p. 139; sempre sul tema della verosimiglianza della raffigurazione pittorica
anche Scarabelli, La fortuna della filosofia e delle arti del disegno per Cosimo de’ Medici, p.
11. Nel tema della ricerca dell’accuratezza dell’ambientazione e della aderenza alle fonti
si inquadra anche la predilezione dello Scarabelli per le illustrazioni della Commedia di
Dante eseguite dallo Scaramuzza rispetto a quelle del Doré: Confronti critici estratti dalle
lezioni del professore Luciano Scarabelli per le illustrazioni figurative date all’Inferno dante-
sco dagli artisti Dorè e Scaramuzza, Parma, Tipografia della società fra gli operai-tipografi,
1870; ad esempio riguardo alla famosa scena di Paolo e Francesca lo Scarabelli a p. 28
scrive: «In questo fedelissimo lo Scaramuzza che in istanza e in un solo sedile, più proprii
del tempo, i due cognati sedendo […]». Cfr. Corrado Gizzi, Francesco Scaramuzza e Dante,
catalogo della mostra, Torre de’ Passeri (PE), 1996, Milano, Electa, 1996.
(53) Scarabelli, Di un episodio della Strage degli Innocenti, p. 4.

231
MARIA LUIGIA PAGLIANI

da per tutto, da romanzi e da storie e da rappresentazioni cruente»(54),


sono i pregi da ricercarsi anche nelle opere contemporanee. Questi
sono pure i punti di forza della Strage degli Innocenti del giovane arti-
sta parmigiano Giovanni Riccò. Nella lettera pubblica inviata al conte
Carlo d’Arco con il preciso scopo di accreditare il giovane e fargli
ottenere, come d’uso, un aiuto economico per il soggiorno di studio
a Roma per avviarsi alla «comprensione del bello e del vero»(55), lo
Scarabelli non manca di sottolineare come l’artista

fuggì il tumulto di numerose figure, che distraggono l’attenzione de’ riguar-


danti, e minorano la buona critica, lasciò stare i velluti, le sete, le gemme, gli
ori (artificii d’ingegni bassi), che abbarbagliano e rapiscono il volgo ignorante
impotente a dar fama; e provato a far carne volle che carne fosse, e carne
viva; non immagini di carta pesta, dipinte di biacca e di carmino. Ma non
lasciò per questo di mostrare che anche il panneggio è in sua parte di cura;
e vedesi drappo vero e naturale bene indossato(56).

Con lo stesso scopo promozionale viene indirizzato a Cesare Masi-


ni il commento di un San Ludovico di Francia, opera prima di grandi
dimensioni, dipinto per la famiglia Gulieri, dal piacentino Paolo Boz-
zini, allievo del Viganoni a Piacenza e poi del Camuccini a Roma fra
il 1842 e il 1843. Così lo Scarabelli sintetizza l’eleganza e la semplicità
della composizione:

L’artista nel suo bel colore non usò varietà strepitosa di tinte né di trapassi
di luce che abbarbaglia ed inganna l’osservatore: ma leale e modesto dettesi a
colori pochi, e, tentando un difficile dell’arte, stesse ai chiari per essere tutto
veduto, e non ostante, per accorgimenti molti e di efficacia, produsse buoni
distacchi e rilievi a differenze e contrasti senza confusione nessuna(57).

3. La mostra bolognese del ’46

Di tutt’altro peso risulta l’“illustrazione” della mostra bolognese


del ’46, preparata per «La Farfalla», su invito – come non manca

(54) Ivi, pp. 5-7; sullo stesso tema anche Pietro Giordani, nella Orazione prima
preparata a dirsi nella R. Accademia di Belle Arti in Bologna il dì 26 giugno 1806: «Già
troppo le pubbliche e le private pareti sono piene di antica e di moderna mitologia; di
lascivie, di carneficine, di allegorie, di favole; onde la fantasia s’ingombra, e rimane il
cuore di affetti alla patria utili voto e freddo», in Scritti d’arte del primo Ottocento, pp.
22-23; Robert Rosenblum, Trasformazioni nell’arte. Iconografia e stile tra Neoclassicismo
e Romanticismo, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1984.
(55) Scarabelli, Di un episodio della Strage degli Innocenti, p. 8.
(56) Ivi, p. 5.
(57) Scarabelli, Opuscoli, pp. 190-191.

232
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

di sottolineare lo stesso Scarabelli –, probabilmente non casuale, del


redattore Raffaello Buriani e poi ripubblicata in forma autonoma e
indirizzata a Michele Ridolfi(58).
Con il suo intervento Luciano Scarabelli precipita nel pieno delle
polemiche bolognesi. In quegli anni la città si dibatte in una grave
crisi finanziaria che consegna al mercato alcune fra le più ricche
e prestigiose collezioni nobiliari(59). L’Accademia dal canto suo fati-
ca ad abbandonare una posizione «nostalgicamente restauratrice»(60)
mentre i critici d’arte si dividono in discussioni sulle diverse posi-
zioni estetiche, discussioni che spesso mascherano alleanze, rivalità
e interessi personali(61). Tra i protagonisti vi sono personaggi ben
noti allo Scarabelli: Cesare Masini, Michelangelo Gualandi, saltuario
collaboratore del «Felsineo»(62), e Salvatore Muzzi, titolare dal ’39 di
una rubrica artistica proprio sulla «Farfalla». Fra i critici vi è chi,
come il Muzzi(63), predilige un giudizio non aggressivo, generoso di
elogi più che di critiche, preoccupato maggiormente della verosimi-
glianza della rappresentazione che della qualità stilistica, e chi, co-
me il Gualandi, invoca una «sana critica», «scevra da adulazioni»(64).

(58) Scarabelli, Della esposizione bolognese di Belle Arti: gli articoli ripubblicati erano
comparsi su «La Farfalla», nn. 44 e 46 del 1846, e probabilmente anche sulla rivista
«Roma». «La Farfalla» esce tre volte al mese come appendice o supplemento della «Gaz-
zetta di Bologna». È bene tenere presente che oggi non è sempre agevole ricostruire
esattamente le implicazioni delle polemiche di quegli anni, delle quali possono sfuggire
riferimenti allora notissimi agli autori e ai lettori.
(59) Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazionale di Bologna, II, p. 78.
(60) Giovanna Perini, La letteratura artistica in Emilia al tempo del Maniago, in
Fabio di Maniago e la storiografia artistica in Italia e in Europa fra Sette e Ottocento, a
cura di Caterina Furlan e Maurizio Grattoni d’Arcano, Udine, Università degli Studi di
Udine, 2001, pp. 211-219, a p. 216.
(61) Pinto, La promozione delle arti, pp. 1042-1043 con esempi toscani.
(62) Il giornale viene fondato da Berti Pichat, prima deputato nella Costituente
romana del 1849 e poi deputato della sinistra; il foglio ospita le critiche artistiche del
fratellastro di Berti Pichat, Augusto Aglebert: Alessandro Galante Garrone, I Giornali
della Restaurazione, in Galante Garrone, Della Peruta, La stampa italiana del Risorgi-
mento, pp. 3-246, a p. 215; DB, I, pp. 23 e 113.
(63) Farioli, Ufficialità accademica e critica d’arte militante, p. 40. Il Muzzi presenta
una biografia professionale non lontana da quella dello Scarabelli: insegnante, autore
di testi scolastici, giornalista, moderato in politica, dopo aver invano aspirato al ruo-
lo di segretario dell’Accademia bolognese, ottenuto invece dal Masini, intraprende una
carriera burocratica che lo porta prima al Ministero dei Lavori Pubblici a Modena per
volere del Farini e poi alla Direzione generale delle Poste a Torino: Tortorelli, Salvatore
Muzzi (1807-1884).
(64) Michelangelo Gualandi, Dell’esposizione di Belle Arti in Bologna del 1835 e pochi
cenni su quella di Milano dello stesso anno, Firenze, Tipografia all’insegna di Dante, 1835,
p. 10; Id., Dell’esposizione di Belle Arti in Bologna nel 1844; Farioli, Ufficialità accademica
e critica d’arte militante, pp. 31-42; Poppi, Le istituzioni artistiche fra governo pontificio
e stato unitario, p. 45; Perini, La letteratura artistica in Emilia al tempo del Maniago, p.
214 (secondo l’autrice i lavori del Gualandi «esaltano la positività della ricerca e dell’in-

233
MARIA LUIGIA PAGLIANI

In questo clima la recensione dello Scarabelli suscita vivacissime


reazioni.
Il Piacentino è già noto negli ambienti giornalistici e vanta un ca-
rattere schietto e diretto, condizione indispensabile, almeno in teoria,
per una critica seria e fondata: «ho badato di togliermi dalla turba
di coloro i quali, purché scrivano, non badano che o di che. […]
innanzi di cicaleggiare vado librando le ragioni del dire colla critica
alla mano»(65). Lo Scarabelli dosa abilmente critiche e apprezzamenti
alla scuola bolognese e chiude con un giudizio sostanzialmente con-
solatorio:

Da tutta codesta [suppellettile artistica] può veramente raccogliersi lo stato


delle arti in Bologna di presente, pregevole in più parti, e che accenna a
giungere all’eccellenza per gli studi e le imitazioni de’ maestri migliori, per
nobili esecuzioni amorosamente condotte, per un sentimento e desiderio del
vero e del forte che traspare da quasi tutti i lavori(66).

Tuttavia alcuni, fra i quali Salvatore Muzzi, lo accusano di avere vo-


luto stroncare la produzione artistica bolognese.
Sono soprattutto alcuni emergenti artisti bolognesi a fare le spese
delle sue critiche, tra gli altri proprio Antonio Muzzi(67), fratello di
Salvatore, e Alessandro Guardassoni. Entrambi si erano già distinti, a
giudizio del Gualandi, nella mostra bolognese del ’44(68). Il primo con-
duce gli studi a Firenze, è pittore di storia e ritrattista, politicamente
ostile al governo pontificio e noto per attività cospirative. Il secondo
è allievo del modenese Malatesta e più tardi, nel 1861, all’Esposizione
di Firenze, conquisterà Pietro Selvatico Estense con la sua Conversio-
ne dell’Innominato realizzata alcuni anni prima(69).
A Bologna nella mostra del ’46 il Guardassoni presenta, tra l’altro,

formazione, non certo le discussioni di estetica o le virtù del bello stile»); sul Gualandi
anche Janet Southorn, voce Gualandi Michelangelo, in The Dictionary of Art, 13, Grove,
Oxford University Press, 1996, p. 733.
(65) Scarabelli, Opuscoli, pp. 378-379.
(66) Scarabelli, Della esposizione bolognese di Belle Arti, p. 15.
(67) Alessandra Borgogelli, Antonio Muzzi (Bologna 1815-1894), in Dall’Accademia al
Vero, pp. 109-111; Antonio Muzzi. La fatica della creazione. Bologna 1815-1894, a cura
di Marzia Faietti, catalogo della mostra, Bologna, aprile-luglio 1999, Bologna, Editrice
Compositori, 1999, pp. 12-13. Per il giudizio sul Muzzi oggi: Antonio Muzzi. La fati-
ca della creazione, p. 8 («artista prudente e oculato, al limite della pedanteria e della
puntigliosità; il campione del metodo e del rigore accademico e della faticosa prassi
didattica, inflessibile e senza alcuna concessione al “moderno”»); Giumanini, Uomini
dell’Accademia, pp. 302-306.
(68) Gualandi, Dell’esposizione di Belle Arti in Bologna nel 1844, pp. 13-14.
(69) Alessandra Borgogelli, Rapporti della pittura bolognese con la cultura toscana
(1830-1870), in Dall’Accademia al Vero, pp. 21-29, a pp. 26-27.

234
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

una tela intitolata Il pittore Calvaert si rallegra con Guido della sua
Assunzione. L’episodio è narrato dal Malvasia. Il giovane Guido Re-
ni, come si sa, aveva abbandonato la troppo tradizionale bottega del
Calvaert per lavorare con i più moderni Carracci. Tuttavia di fronte
all’Assunta destinata alla Chiesa del Gesù di Genova (1616-1617), che
consacra Guido maestro della nuova pittura bolognese, l’anziano Cal-
vaert è il primo a riconoscerne le qualità. «“O Guido mio, mio Guido,
benedette mani” ed afferrate quelle, e strette con le sue – racconta il
Malvasia – teneramente gli le baciava e bagnava di qualche lagrima
con commozione di quanti v’erano presenti»(70). Il soggetto ha quindi
il sapore di una provocazione per l’Accademia bolognese fortemente
legata alla tradizione. Il giudizio negativo della critica meno aperta
«conferma un malessere dell’ambiente artistico ufficiale davanti all’af-
fermarsi di una corrente che, tramite Malatesta si ricollega diretta-
mente all’evoluzione in senso realista della pittura storica»(71).
Guardassoni e Muzzi sono entrambi colpevoli – secondo lo Sca-
rabelli – di essersi allontanati dal “vero” e di avere lusingato il pub-
blico con «ciò che piace e oggi i più fanno, e universalmente per
sventura diletta […], figure di gesso e biacca, immobili e quasi di
cera; che per le splendide vesti, e lussuriose, sopraffanno l’occhio e
la mente dell’idiota senza nulla insegnare»(72). Si tratta di un’osser-
vazione ricorrente e che ben si adatta a diverse situazioni. L’illustre
critico milanese Carlo Tenca, ad esempio, nello stesso anno, deplora
la medesima tendenza in alcune opere esposte a Brera:

Qui gli accessori hanno detronizzato il soggetto principale; non si tratta più
di rappresentar una scena della vita, ma di collocare una o più figure sulla
tela per aver pretesto a sfoggiare bellezza di abiti, di tende, di mobili […] si
direbbe questa pittura una specie di esposizione industriale fatta per traman-
dare ai lontani nipoti l’inventario dipinto delle nostre manifatture(73).

Lo Scarabelli quindi, da un lato si presenta come sostenitore di una


critica sincera e dall’altro – nel censurare alcuni giovani insofferenti
del clima culturale cittadino – certamente non dispiace all’Accademia
che, proprio per quell’anno, decide di non assegnare il premio della
sezione di pittura.
Illustri bolognesi difendono le opinioni dello Scarabelli: primo

(70) Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ Pittori bolognesi, Bologna, Edi-
zioni Alfa, 1971, p. 361.
(71) Poppi, Le istituzioni artistiche fra governo pontificio e stato unitario, p. 47; Id.,
Alessandro Guardassoni (Bologna 1819-1888), in Dall’Accademia al Vero, pp. 150-152, a
p. 150.
(72) Scarabelli, Della esposizione bolognese di Belle Arti, pp. 5 e 7.
(73) Scritti d’arte del primo Ottocento, p. 393, la biografia del Tenca a p. 1086.

235
MARIA LUIGIA PAGLIANI

fra tutti Gaetano Golfieri, canonico di San Petronio e bibliotecario


aggiunto alla Biblioteca Universitaria; segue, con meno convinzione,
secondo lo stesso Scarabelli, Augusto Aglebert. Non manca neppure
l’amico Cesare Masini (fig. 3), da un anno segretario dell’Accademia
– incarico per il quale era stato preferito al noto studioso Gaetano
Giordani e allo stesso Salvatore Muzzi – e impegnato a difenderne
il ruolo e il prestigio. Masini dedica all’argomento un componimento
giocoso in sestine:

A uno scrittore, il qual liberamente


Fè palese la propria opinione
Con penna coscienziosa e indipendente
Sopra la bolognese Esposizione:
E questi fu Luciano Scarabelli,
Noto, che inutil è ch’io ne favelli.

Scrisse delle nostr’arti i beni e i mali


All’uso del Brofferio, del Romani,
Del Vecchi, del Selvatico, e altri tali
Liberissimi critici italiani;
E disse molte verità: (e che fossero
Lo prova appieno il diavolìo che mossero)

[…] Nell’attaccare il Piacentino giudice,


Il cui ver dir vestito alla Baretti,
Per gli altrui vituperi, maggiormente
Or si mostra in sua luce risplendente(74).

4. La conoscenza e la conservazione del patrimonio artistico

A metà Ottocento le legislazioni degli Stati preunitari non sono in


grado di mettere al riparo il patrimonio artistico dalla voracità dei
mercanti e dei collezionisti. Molte prezione raccolte locali, proprio
in questi anni, valicano le Alpi(75). Il fenomeno è favorito dai soste-
nitori del libero mercato e delle intangibili prerogative del diritto di
proprietà, quegli stessi che impediranno l’approvazione di una legge
nazionale di tutela anche dopo l’unificazione. Contro tutto ciò si le-
va la voce di quanti sono consapevoli dell’importanza del patrimonio

(74) Un’X, una K, e il Signor Comedichispetti. Sestine giocose di Cesare Masini, in


Scarabelli, Della esposizione bolognese di Belle Arti, pp. 19-20. Sui propositi di rinno-
vamento dell’Accademia da parte di Cesare Masini, anche Cammarota, Le origini della
Pinacoteca nazionale di Bologna, II, pp. 87-88.
(75) Levi, Cavalcaselle, pp. XXVIII-XXIX; per le vicende, in quegli anni, delle collezioni
bolognesi: Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazionale di Bologna, III, pp. 83-90.

236
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

3. Ritratto di Cesare Masini, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio.

artistico per la costruzione dell’identità della futura nazione. L’urgen-


za della tutela e la conoscenza dei monumenti e delle opere d’arte
si intrecciano con l’affermarsi dell’identità nazionale e appassionano
studiosi come Carlo Cattaneo e Niccolò Tommaseo e uomini politici
come Luigi Carlo Farini(76). Né può essere diversamente in un paese
come l’Italia «l’istoria della quale – scrive il Cattaneo – si smarrisce
nelle tenebre del tempo e che sulle sue costruzioni porta il multifor-
me impronto di una sequela di secoli»(77).

(76) Maria Luigia Pagliani, Le Deputazioni di storia patria tra diplomatica, antro-
pologia e memorie civiche, in Gli anni modenesi di Adolfo Venturi, Atti del convegno,
Modena, 25-26 maggio 1990, Modena, Franco Cosimo Panini, pp. 17-24.
(77) Carlo Cattaneo, Del restauro dei monumenti e della loro conservazione, in Id.,

237
MARIA LUIGIA PAGLIANI

L’emorragia che affligge il patrimonio italiano non lascia indif-


ferente neppure Luciano Scarabelli, che vi scorge soprattutto gravi
conseguenze per la formazione degli artisti. L’occasione per affrontare
l’argomento gli viene dalla partenza per la Russia di un dipinto bo-
lognese, l’Assunta del Guercino di proprietà Tanari, e da una recente
polemica apparsa su un foglio milanese:

lascierebbero disertare l’Italia di quel tutto che, studiato come si deve, può
esser cagione che il bello si riproduca o non piuttosto la massima fosse a
restringersi alle opere de’ pittori viventi, come fu sempre mai rispettata? […]
Sulle opere che non possono riprodursi o moltiplicarsi come la scrittura, la
nazione non ha forse alcun diritto? Se non l’avesse e che tutti i capi andas-
sero fuori, sarebbe costretta di mandare loro dietro i suoi figli perché ne
imparassero il magistero […]. Si vendano, si vendano a’ tedeschi, agl’inglesi,
ai russi, ai turchi i più bei quadri che per quattro secoli traggono in Italia
le genti tutte del mondo, vedremo che ci resti, o che cosa sappiano gl’ingegni
economisti della gazzetta milanese(78).

Talvolta poi la preoccupazione per la diaspora dei capolavori si tra-


sforma in aperto anticlericalismo unito a sentimenti antinobiliari:

da quasi trenta lustri, preti, monaci e frati, patrizi e principi le proprie chiese
e le proprie gallerie spogliando (rapendo anche l’altrui), vendevano e talora
per incongrua moneta all’estero i prodotti migliori, non a mantenere una
vita onorata, o a soccorrere necessità di poveri o di popoli, ma a soddisfare
appetiti che non voglio nominare(79).

Proprio quando i beni artistici corrono i rischi maggiori, nelle


città, «unico principio – secondo il Cattaneo – per cui possano i tren-
ta secoli delle istorie italiane ridursi a esposizione evidente e conti-
nua»(80), si afferma la necessità dello studio e della conservazione delle
memorie capaci di definire l’identità municipale. «Raccogliere i fatti
e i monumenti»(81), come scrive Niccolò Tommaseo nel 1857, diviene
quindi prassi consolidata e fioriscono storie municipali e guide.
Fra queste, solo per citarne alcune, spiccano quelle bolognesi del

Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, raccolti e ordinati da Agostino Bertani, Firenze,
Le Monnier, 1948, pp. 3-13, a p. 3.
(78) Scarabelli, Opuscoli, pp. 268-269. Del tutto occasionale sembra, nel 1870, l’in-
tervento contro l’abbattimento della statua di San Domenico nella omonima piazza
bolognese: Ganda, «Io ho piacere a farvi piacere […]», p. 34 nota 163.
(79) Scarabelli, Le arti belle sono le arti della Libertà, p. 16.
(80) Carlo Cattaneo, La città considerata come principio ideale delle istorie italiane,
a cura di Giulio Andrea Belloni, Firenze, Vallecchi, 1931, p. 46.
(81) Niccolò Tommaseo, Del sentimento dell’arte nelle sue relazioni con la scienza
archeologica, in Bellezza e civiltà, Firenze, Le Monnier, 1857, pp. 106-109, a p. 109.

238
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

Bianconi del ’26 e del Gualandi del ’50, la guida di Lucca del Mazza-
rosa del ’29, la guida di Parma del ’51 opera di Carlo Malaspina, la
guida di Ferrara dell’Avventi edita nel 1838 e quella piacentina dello
Scarabelli del 1841(82); opere tutte di diversa ispirazione e impostazio-
ne ma contraddistinte da una buona diffusione, almeno a giudicare
dalle numerose edizioni che si protraggono anche per alcuni decenni.
In molti casi si tratta non tanto o non solo di prontuari o strumenti
per un turismo che cominciava ad abbandonare le modalità del grand
tour per approdare alle esigenze di un pubblico borghese, ma di au-
tentici compendi di storia ed erudizione cittadina(83).
A questa categoria appartiene anche la guida dello Scarabelli, che
nell’introduzione così la definisce: «libretto di storia patria vera istru-
zione dei Piacentini», e a sottolinearne la valenza didattica prosegue:
«andava imaginando la pena e il dispetto che la gioventù avrebbe
dovuto provare nel non poter dar conto di sé e de’ padri suoi per la
mancanza di un libretto che l’insegnasse»(84). Tuttavia nonostante il ca-
rattere marcatamente storico, confermato anche dall’esplicito ricorso
alle Memorie storiche di Piacenza di Cristoforo Poggiali come compen-
dio storico, l’opera, di piccolo formato, propone alcune informazioni
che non escludono l’attenzione alle esigenze propriamente turistiche.
Del tutto assenti invece sono gli strumenti iconografici e cartografici
già utilizzati, ad esempio, nelle guide del Bianconi e dell’Avventi pur
cronologicamente anteriori(85).
Ma per Piacenza, e qui sta la novità, la guida si propone come
il primo ricco catalogo di opere d’arte e monumenti cittadini e rap-
presenta un decisivo passo avanti, qualitativo e quantitativo, sia ri-
spetto all’elenco di pittori che il Carasi aveva composto nel 1780(86)

(82) Girolamo Bianconi, Guida del forestiere per la città di Bologna e suoi sobborghi,
Bologna, s.n.t., 1826; Antonio Mazzarosa, Guida del forestiere per la città e il contado di
Lucca, Lucca, Balatresi, 1829; Francesco Avventi, Il servitore di piazza: guida per Ferrara,
Ferrara, Pomatelli, 1838; Gualandi, Tre giorni in Bologna; Carlo Malaspina, Guida del
forestiere ai principali monumenti di belle arti della città di Parma, Parma, A. Stocchi,
1851. Sulla guida del Mazzarosa: Massimo Ferretti, Politica di tutela e idee sul restauro
nel Ducato di Lucca, in «Ricerche di storia dell’arte», 8, 1978-79, pp. 73-98.
(83) Giovanni Ricci, Gli incunaboli del Baedecker. Siena e le prime guide del viaggio
borghese, in «Ricerche storiche», VII, 1977, n. 2, pp. 345-381; Leonardo Di Mauro, L’Ita-
lia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, in Storia d’Italia, Annali 5, Il paesaggio, a cura
di Cesare De Seta, Torino, Einaudi Editore, 1982, pp. 369-428, part. pp. 384-385; Lucia
Nuti, Cataloghi di città. Stereotipi etnici e gerarchie urbane nell’Italia di Antico regime, in
«Storia urbana», I, 1982, pp. 35-69.
(84) Scarabelli, Guida, pp. III-IV.
(85) Giancarlo Roversi, Presentazione, in Girolamo Bianconi, Guida di Bologna, Bo-
logna, Atesa Editrice, 1973, anastatica dell’edizione del 1835, pp. n.n.
(86) Carlo Carasi, Le pubbliche pitture di Piacenza, Piacenza, Giuseppe Tedeschi,
1780; Maria Luigia Pagliani, Piacenza: l’immagine della città fra divulgazione culturale

239
MARIA LUIGIA PAGLIANI

sia rispetto alla piccola guida del Cattanei del 1828. «Due anni or
sono – scrive Scarabelli – si domandava una guida per conoscere il
meglio d’arti nella città; e un amico mi spingeva al comporla dicendo:
aggiungete qualche cenno di storia, qualche cosa insomma che faccia
il libro giocondo»(87). Arte e storia è il binomio che accompagna il
lettore per tutta l’opera, numerose sono le digressioni storiche, le ci-
tazioni di materiali d’archivio sulla committenza e i costi delle opere,
il ricorso alle fonti documentarie – e non solo ai criteri formali – per
la datazione di alcuni dipinti come, ad esempio, la tavola con storie
di Sant’Antonino custodita nell’omonima chiesa(88).
Sull’importanza dello studio e della pubblicazione delle fonti arti-
stiche lo Scarabelli torna peraltro ripetutamente:

mi pare che de’ singoli italiani debba essere caro mostrare di quali artisti
si giovassero le loro città, con qual giudizio gli scegliessero, come li ono-
rassero e con quale filosofia le opere a loro commettessero, il che se non
dissero quelli che ora sono morti, ben si vedrà dalle carte che verranno a
pubblicarsi(89).

Mentre nelle prime pagine della guida l’autore sembra voler deline-
are un percorso coerente che dal Duomo e dalla piazza che lo circon-
da si dirige verso Sant’Antonino e Santa Maria in Cortina, la nozione
di itinerario viene poi abbandonata. Si afferma invece una trattazione
inventariale e asistematica, che solo occasionalmente risponde a crite-
ri di prossimità fra i diversi monumenti(90). Non mancano riferimenti
ad alcune collezioni private, come ad esempio quella del Canonico
Bissi nella Prevostura, o a importanti istituzioni cittadine come l’Isti-
tuto Gazzola preposto alla didattica artistica e la Biblioteca pubblica

e informazione turistica dalla metà del Settecento al primo Novecento, in BSP, C, 2005,
pp. 143-154.
(87) Scarabelli, Guida, pp. IV-V.
(88) Ivi, p. 31: si tratta del polittico sulla Vita di Sant’Antonino di Bartolomeo di
Groppallo, 1455-56.
(89) Scarabelli, Opuscoli, p. 388.
(90) Ferdinando Arisi, Introduzione alla ed. an. (Piacenza, T.E.P. Artigrafiche, 1998)
di [Gaetano Buttafuoco], Nuovissima guida della città di Piacenza con alquanti cenni
topografici, statistici e storici, Piacenza, Tip. Tagliaferri, 1842, pp. non numerate; Id.,
Introduzione alla ed. an. (Piacenza, T.E.P. Artigrafiche, 1998) di Scarabelli, Guida, pp.
non numerate. Alle introduzioni dell’Arisi si rimanda anche per la questione dell’anti-
gesuitismo dello Scarabelli e la polemica con il Buttafuoco. Lo Scarabelli aggiorna la
guida negli anni Settanta senza però ristamparla: Biblioteca Comunale Passerini-Landi
di Piacenza (d’ora in avanti BCPc), Ms. Com. 225. L’autore si limita ad alcuni interventi
redazionali e a modificare brani del testo. A trent’anni di distanza dalla prima edizione
non interviene sulla struttura e sull’organizzazione della materia, che già il Buttafuoco
aveva articolato per classi di monumenti, nonostante il progressivo ammodernamento
della letteratura odeporica nel corso dell’Ottocento.

240
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

aperta nel 1791(91). La guida rispecchia l’estetica classicista dell’auto-


re: frequenti tanto i giudizi positivi sui maestri neoclassici piacentini,
quanto i giudizi meno favorevoli su alcuni interventi barocchi, dalle
cappelle di San Francesco, colpevoli di alterare la purezza delle linee
gotiche, ai Cavalli del Mochi, ai quali manca – richiamando un giu-
dizio del Cicognara – «quella purezza e quella elegante sobrietà che
forma il bello dell’arte»(92).
Lo Scarabelli non trascura alcune considerazioni sui mali antichi
di alcuni monumenti piacentini: dall’umidità che danneggia irrepara-
bilmente gli affreschi del Pordenone in Santa Maria di Campagna al
degrado degli affreschi in San Giovanni, dall’incuria in cui versa la
chiesa di Sant’Agostino al deperimento della decorazione di Palazzo
Landi(93). Ma sarà soltanto l’anno dopo l’edizione della guida, durante
il viaggio che nel ’42 lo porterà, come narra egli stesso negli Opu-
scoli, tra Bologna, Ferrara e Vicenza(94), che Scarabelli tratterà di un
vero e proprio restauro.
A Ferrara il Piacentino ha modo di visitare la città e in particolare
di esaminare alcuni dipinti della pinacoteca da poco istituita grazie
all’impegno, tra gli altri, di Francesco Avventi(95). Ad attirare la sua
attenzione è un grande affresco del Garofalo, che raffigura L’Antico e
il Nuovo Testamento, originariamente nel refettorio del convento degli
Agostiniani di Sant’Andrea e nel ’41 staccato dal famoso restauratore
Pellegrino Succi a causa delle precarie condizioni di conservazione(96).
Lo stacco, affidato al maggiore esperto di quegli anni, risultò opera-
zione non facile per le precarie condizioni della superficie pittorica,
in alcune parti pressoché scomparsa, e le notevoli dimensioni. Lo
Scarabelli vede l’opera in Palazzo Schifanoia «posta sul nudo pavi-
mento, di fianco ad una finestra, mal difesa dal sole, dall’aria e da

(91) Maria Luigia Pagliani, Storia e archeologia nella prima metà dell’Ottocento: al-
cune riflessioni sulla figura di Vincenzo Benedetto Bissi, in BSP, XCIII, 1998, pp. 113-
120; Scarabelli, Guida, pp. 25, 147 e 176-178, questi aspetti verranno poi ampliati nella
guida del Buttafuoco.
(92) Scarabelli, Guida, pp. 42, 55 e 57 (per la citazione).
(93) Ivi, p. 76, p. 133, p. 156.
(94) Scarabelli, Opuscoli, pp. 281-285.
(95) La Pinacoteca nazionale di Ferrara. Catalogo generale, a cura di Jadranka Ben-
tini, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1992, n. 156, pp. XIV-XV.
(96) La Pinacoteca nazionale di Ferrara, pp. 135-137. Sul restauro dell’opera in parti-
colare: Affreschi ferraresi restaurati ed acquisizioni per la Pinacoteca nazionale di Ferrara, a
cura di Eugenio Riccomini, Ferrara, Ministero della Pubblica Istruzione-Soprintendenza
alle Gallerie di Bologna, 1974, pp. 29-35; sulla copia in tela dell’affresco, oggi a San
Pietroburgo: Garofalo. Pittore della Ferrara Estense, a cura di Tatiana Kustodieva, Mau-
ro Lucco, catalogo della mostra, Ferrara, 5 aprile-6 luglio 2008, Ginevra-Milano, Skira
Editore, 2008, n. 42, pp. 166-167.

241
MARIA LUIGIA PAGLIANI

ogni altro influsso atmosferico»(97). Lo accompagnano Giacomo Milan


Massari e Giuseppe Petrucci (1798-1880?), avvocato e noto studioso
di storia ferrarese.
Lo stesso Petrucci gli segnala il «sacrilegio»(98) operato sull’affresco
in una lettera del settembre del ’42 poi ristampata negli Opuscoli. Il
custode della Pinacoteca Lodovico Giori con l’assenso del conte Fran-
cesco Avventi, autore della famosa guida di Ferrara e membro della
Commissione di Ornato e della Commissione ausiliaria incaricata di
vigilare sulle opere d’arte presso la Legazione, avrebbe infatti steso
sull’affresco olio e vernice e integrato, in modo evidente, alcune lacu-
ne. A nulla sono valsi i suggerimenti del noto restauratore bolognese
Antonio Magazzari(99) e degli altri chiamati a consulto. L’affresco è
irrimediabilmente annerito. «L’olio – nota lo Scarabelli – è già tra-
passato fra tutti i granelli della calce, che se ne è imbevuta a segno
da mostrarlo persino sopra la fodera»(100).
Il Piacentino, «coraggioso scrittore […] sacrificando tutto alla veri-
tà»(101), porta la questione all’attenzione del vasto pubblico nell’agosto
di quell’anno sul «Vaglio» di Novi Ligure. Dal «Vaglio» la polemica
rimbalza sull’«Album» di Roma, che pubblica una pesante replica
dell’Avventi. In una controreplica al direttore dell’«Album», Luciano
Scarabelli abbassa i toni e si difende:

Io ho detto liberamente la mia opinione; l’ho detta dopo visita di mio oc-
chio, dopo mio esame, dopo ascoltato l’altrui parere, dopo ottenuto l’avviso
di perito in arte, dopo consultato non pochi egregi ferraresi e nel dirle anche
riportai le scuse che già il conte faceva ai lamenti de’ suoi concittadini(102).

Sul disgraziato strato d’olio aggiunge:

Dico mal dato per avvertire il signor conte che l’opera potrebbe essere stata
in buona mente ed uscita da cattiva mano; onde non reggerebbe il suo cal-
colo della quantità sparsa sopra la superficie. Per certo il signor conte non
fu l’operatore […](103).

(97) Lettera di Giuseppe Petrucci a Luciano Scarabelli, Ferrara 2 settembre 1842, in


Scarabelli, Opuscoli, pp. 281-312, a p. 305.
(98) Ivi, p. 298. Il Petrucci si sofferma a lungo anche sull’integrazione pittorica
apportata dal Giori, pp. 305-306.
(99) Sull’attività del Magazzari anche Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazio-
nale di Bologna, II, pp. 72, 97 e 106 nota 14.
(100) Scarabelli, Opuscoli, p. 282.
(101) BCPc, Ms. Com. 276.14.05, Lettera di Luciano Scarabelli al Sig. Cav. Giovanni
de Angelis Direttore dell’Album, Roma 30 agosto 1842, p. 3.
(102) Ivi, p. 4.
(103) Ivi, p. 3. Il restauro dei primi anni Settanta del Novecento ha individuato e
rimosso tutte le sostanze oleose e recuperato ciò che rimane della superficie cromati-

242
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

Tuttavia a seguito della vicenda il Conte Avventi, secondo il Petrucci,


sarà costretto al abbandonare la Commissione ausiliaria della Legazio-
ne alla quale era attribuita la vigilanza sul restauro delle opere(104).

5. L’Accademia e l’educazione degli artisti

Sul finire degli anni Cinquanta del secolo l’Unità è ormai alle
porte e per chi, come Luciano Scarabelli, è impegnato nel mondo
culturale si aprono nuove opportunità. L’inevitabile processo di “na-
zionalizzazione” delle istituzioni e il conseguente riassetto dei diversi
comparti del pubblico impiego rappresentano un’occasione propizia
per molti(105). Il Piacentino, da tempo noto agli ambienti governativi,
punta direttamente – grazie agli scritti di argomento artistico, al-
le corrispondenze giornalistiche e alle sue personali conoscenze – al
mondo delle Belle Arti.
Le accademie sono però in profonda crisi. Sin dalla metà dell’Otto-
cento molte autorevoli voci, come ad esempio Pietro Selvatico Esten-
se, ne chiedono la chiusura in favore di un libero insegnamento su
modello delle antiche botteghe(106). La rigida e tradizionale forma-
zione accademica appare ormai del tutto inadeguata al suo scopo,
anzi viene ritenuta «principale sorgente del decadimento delle arti
moderne»(107). A poco servono i progetti e i tentativi governativi di

ca. L’olio sarebbe stato utilizzato per recuperare la vivacità del colore ridotta a causa
di uno sfaldamento del pigmento, in particolare dei bruni: Affreschi ferraresi restaurati,
pp. 34-35. Sulla polemica: Scarabelli, Opuscoli, pp. 280-283; Giuseppe Petrucci, Lette-
ra sopra alcuni dipinti di Ferrara, Novi, Tipografia Moretti, 1842, ripubblicata ivi, pp.
281-312; Francesco Avventi, Errata corrige di un articolo stampato dal Signor Luciano
Scarabelli nel Vaglio n. 31 anno III, in «Album», a. IX, 27 agosto 1842; Lodovico Gio-
ri, Lettera di L.G. a Luciano Scarabelli, Ferrara, 5 settembre 1842, in «Supplemento al
Raccoglitore di cognizioni utili», a. III, n. 10, 6 settembre 1842; Id., Alcune parole sulla
lettera del Sig. Luciano Scarabelli inserita nell’Album di Roma n. 37 (1842) riguardante
l’affresco del Garofalo di Sant’Andrea, in «Il Raccoglitore di cognizioni utili», a. IV, n.
2, 10 gennaio 1843.
(104) Lettera di Giuseppe Petrucci a Luciano Scarabelli, p. 303; Regolamento per le
Commissioni ausiliarie di Belle Arti istituite nelle Legazioni e Delegazioni dello Stato Pon-
tificio, 6 agosto 1821, in Andrea Emiliani, Leggi bandi e provvedimenti per la tutela dei
beni artistici e culturali negli antichi Stati italiani 1571-1860, Bologna, Edizioni Alfa,
1978, pp. 146-151, a p. 148.
(105) Pertici, Appunti sulla nascita dell’intellettuale in Italia, p. 321.
(106) Pietro Estense Selvatico, Sull’insegnamento libero nelle arti del disegno surrogato
alle accademie, Venezia, Tipografia del Commercio, 1858; Luigi Mussini, Intorno all’ordi-
namento dell’Accademia di Belle arti in Firenze, Firenze, M. Cellini e C., 1859; Roberto
D’Azeglio, Delle Accademie di Belle Arti, Torino, Stamperia dell’Unione, 1859; Nicosia,
Arte e accademie nell’Ottocento, pp. 189-209.
(107) Scritti d’arte del primo Ottocento, p. 256.

243
MARIA LUIGIA PAGLIANI

4. Il corridoio d’ingresso dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.

riforma, come ad esempio quello operato dal Farini sulle accademie


emiliane(108).
Proprio ad una collocazione in Emilia, sulle orme di Pietro Gior-
dani, guarda Scarabelli, ma il tentativo dapprima non riesce. Al Pia-
centino che lamenta di non essere stato sufficientemente sostenuto
ed aiutato si risponde, da Modena, direttamente dal Gabinetto del
Ministro degli Interni: «non parmi però che tutto sia finito, volendosi
pure elevare a splendore grande l’Accademia di Bologna e che non si
potrà fare a meno dell’estetica, il cui insegnamento a niuno meglio
che a voi potrà mai venire affidato»(109). Va meglio a Milano, nono-
stante le perplessità di Massimo D’Azeglio, allora Governatore della

(108) A seguito della riforma le Accademie di Parma, Modena e Bologna vengo-


no riunite sotto la presidenza del direttore di quella modenese, Adeodato Malatesta;
l’Accademia di Bologna viene denominata Regia Accademia Centrale delle Belle Arti
dell’Emilia: Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazionale di Bologna, II, p. 111; La
virtù delle arti. Adeodato Malatesta e l’Accademia Atestina, catalogo della mostra, Vignola
(MO), maggio-ottobre 1998, Modena, Vaccari s.r.l., 1998.
(109) BCPc, Ms. Com. 281, n. 175, Lettera di C. Marzi (?) a L.S. su carta intestata
del Gabinetto del Ministro dell’Interno, Modena 29 marzo 1860. L’incarico bolognese
viene dapprima assegnato temporaneamente al segretario Masini e poi a Luigi Mercan-
tini: Cesare Masini, Il Professore Luciano Scarabelli in Bologna. Sestine giocose, Bologna,
Regia Tipografia, 1871, p. 27.

244
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

5. L’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Bologna prima dei restauri


conclusi nel 2007.

Provincia, che, pur non negando i meriti scientifici dello Scarabelli, lo


ritiene poco adatto all’incarico per la scarsa conoscenza dell’ambien-
te milanese, la cui centralità e vitalità in campo culturale e artistico
connota l’Ottocento italiano(110). Nonostante ciò il 31 maggio del 1860
viene trasmesso a Luciano Scarabelli il decreto di nomina a Segre-
tario della Direzione Provvisoria della Reale Accademia di Belle Arti
di Milano(111). L’esperienza è breve. A meno di un anno di distanza
Luciano Scarabelli è eletto deputato(112).
Conclusa la legislatura eccolo all’Accademia di Belle Arti di Bolo-
gna (figg. 4, 5). Nell’adunanza del 1° luglio 1865 viene letto pubblica-
mente un dispaccio della Presidenza delle Reali Accademie dell’Emilia
che lo nomina professore di «Storia applicata al bisogno dell’arte e di

(110) BCPc, Ms. Com. 281, n. 177, Lettera di Massimo D’Azeglio a Luciano Scara-
belli, 24 maggio 1860; n. 178, Lettera di Massimo D’Azeglio a Luciano Scarabelli, 26
maggio 1860; Scritti d’arte del primo Ottocento, p. XVII.
(111) BCPc, Ms. Com. 281, n. 176, Lettera del Segretario generale del Ministero
della Pubblica Istruzione a Luciano Scarabelli, Torino 31 maggio 1860, trasmissione
del decreto di nomina.
(112) Cfr. in questo volume il saggio di Angelo Cerizza, Luciano Scarabelli: un ac-
cademico in Parlamento.

245
MARIA LUIGIA PAGLIANI

critica artistica»(113). La tanto desiderata cattedra di Estetica è final-


mente sua. All’insegnamento dell’Estetica d’altra parte, fin dal ’47, lo
Scarabelli attribuiva un ruolo decisivo nella formazione degli artisti:

Se all’accademia non mancasse una Cattedra di estetica speciale alle arti, e


se il cattedratico, oltre ad essere intendente delle arti, fosse buono oratore
e buono filosofo, spererei che pittori e scultori beneficassero al popolo co-
me è officio loro santissimo, non abastanza compreso esponendo opere tali
che mai non ripugnino al sentimento […] e che [...] non travolgano l’animo
de’ riguardanti. Sa bene e concepisce il filosofo l’effetto che producono sugli
animi debili e sui forti certe impressioni violente: e di quest’esse dovrebbero
gli artisti, in ispecie i pittori, essere dotti(114).

A Bologna Scarabelli ritrova molti volti noti, primo fra tutti l’ami-
co Cesare Masini, che, segretario dal 1845, sopravvive al nuovo assetto
politico e istituzionale. Il direttore è il pittore lombardo Carlo Arienti,
già docente di pittura all’Accademia Albertina di Torino. Fra i profes-
sori figurano: il bolognese Antonio Muzzi, oggetto nel ’46 delle critiche
dello Scarabelli, il livornese Salvino Salvini, incaricato per la Scultura,
e il noto ritrattista Antonio Puccinelli, docente di Pittura(115).
Il clima è soffocante. Il direttore rifiuta ogni novità e il segretario
difende i valori della tradizione, timoroso anche della locale Socie-
tà promotrice, colpevole di «allontanare gli artisti dai principi divul-
gati dall’accademia e dal predominio da essa accordato alla pittura
storica»(116). Il nuovo professore di Estetica non è da meno.
Convinto sostenitore dei metodi tradizionali delinea così la for-
mazione dell’artista:

ritornare allo studio principale del nudo e allo studiarlo indefesso, da cui solo
e non da altro scende alla mano abilità d’obbedire all’intelletto; e insiem col
nudo allo studio d’ogni vero della natura ma con scelta reale del bello, ed
esercitarvisi d’intorno nelle composizioni in qualunque argomento; rifare lo
studio dell’antico, sia dalla statua, sia dalla medaglia; di ciò che è dalla mano
dell’uomo scegliere il nobile, ma parcamente usare, senza che non riesce il
vivo delle passioni nelle figure che poniate ne’ drammi(117).

(113) Archivio dell’Accademia di Belle Arti di Bologna (d’ora in avanti AABABo),


Processi Verbali, 1855-4 novembre 1879, adunanza generale del 1° luglio 1865.
(114) Scarabelli, Di un episodio della Strage degli Innocenti, p. 8.
(115) Elisabetta Farioli, Carlo Arienti, in Dall’Accademia al Vero, pp. 184-185; Ales-
sandra Borgogelli, Antonio Puccinelli, ivi, pp. 185-187; Giumanini, Uomini d’Accademia,
pp. 99-102, 319-322, 341-344, 350-363.
(116) Poppi, Le istituzioni artistiche tra governo pontificio e stato unitario, p. 47;
Farioli, Ufficialità accademica e critica militante, pp. 37 e 184.
(117) Scarabelli, Le arti belle sono le arti della Libertà, p. 15.

246
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

Sullo studio dell’antico negli appunti per una lezione del marzo del
1870 aggiunge:

il bello […] tanto carezzato dagli antichi, […] tenuto lungamente e non tra-
mezzato dallo studio del vivo conduce poi al duro e mena anche al falso
l’intuizione dell’artista. Quello che è tradotto in que’ marmi è tolto pienamente
dal vero, ma modellato con lo sguardo della visione dell’intelletto che veste
del bello e del perfetto le forme della viva natura(118).

All’educazione dell’artista contribuiscono, afferma con convinzione


lo Scarabelli, tutte le arti e molte diverse discipline:

non istare alle carezze esclusive della sola arte che si voglia esercitare, ma
aiutarsi altresì dello studio della sua più vicina e più amica, non rimaner
digiuni di quelle lezioni di scienze positive a cui le arti chiedono propor-
zionalità, prospettiva, colore durevole; erudirsi profondamente colle istorie,
coll’Archeologia, colla Mitologia: ingagliardirsi la fantasia con la Poetica, e
invalorarsi l’armonia del colorire collo studio della Musica si come gli ottimi
de’ passati intesero e sento con gaudio che già usano molti de’ nostri(119).

Fine ultimo è la formazione «civile» dei pittori «uomini e cittadini,


poi artisti»(120). L’artista – scrive lo Scarabelli – «sia educato […] a
quella gentilezza e quella generosità che costituisce i temi della di-
gnità dell’uomo» e più che al «piacere fuggitivo dei sensi» pensi «che
l’opera propria abbia ad essere cagione di utili pensieri e di insegna-
menti efficaci al popolo»(121). Ancora una volta riaffiora quell’artista
filosofo descritto negli Opuscoli, «il quale non vuole che l’arte sia
muta, o che sol parli agli occhi, ma si insinui coll’eloquenza negli
animi, e li scuota, e li agiti e li indirizzi alla virtù»(122).
Se pure sul tema dell’educazione morale dell’artista è possibile
rintracciare qualche eco del vasto dibattito sulla didattica che coin-
volse tra gli anni Trenta e Quaranta personalità come, tra gli altri, il
Ridolfi, il Selvatico o il Missirini, lo Scarabelli riconduce la riflessione
all’ambito classicista e ancora una volta propone a modello Antonio
Canova, un artista il cui compito precipuo è educare «le generazioni
alla forza del vero, ai buoni studi e al bene pubblico»(123).

(118) BCPc, Ms. Com. 296.12, lezione 24 marzo 1870.


(119) Scarabelli, Le arti belle sono le arti della Libertà, p. 15, sullo studio dell’anti-
co anche p. 18. In ossequio alla pittura di storia dagli appunti per le lezioni emerge
l’attenzione per la ricostruzione storica unita a cenni sulle tecniche: BCPc, Ms. Com.
296.12, lezione 27 aprile 1871.
(120) Scarabelli, Della cultura degli artisti, p. 126.
(121) Ivi, pp. 126 e 128.
(122) Scarabelli, Opuscoli, p. 136.
(123) Scarabelli, Opuscoli, p. 222. Sulla didattica artistica: Scritti d’arte del primo

247
MARIA LUIGIA PAGLIANI

A fronte di posizioni così datate non stupisce lo scarsissimo suc-


cesso delle lezioni bolognesi dello Scarabelli. In ruolo dal luglio del
1865, questi inizia le lezioni solo nell’aprile del 1866 e nel gennaio del
1867 le interrompe a causa delle pesanti contestazioni studentesche(124).
Gli studenti non si limitano però, come nel caso del predecessore Luigi
Mercantini, a disertare le lezioni a favore di quelle analoghe dell’Uni-
versità, deplorevole abitudine che aveva già indotto l’Arienti a chiedere
la soppressione della cattedra al ministro Natoli(125): la contestazione va
oltre. Nelle aule vengono distribuiti volantini con la scritta «Abbasso
Scarabelli» e fuori dell’Accademia si verificano disordini tali da far
temere al direttore «qualche avvenimento altrettanto disgustoso»(126).
La protesta appare ben organizzata e l’Arienti non nasconde la preoc-
cupazione che all’origine vi siano anche motivazioni politiche. Forse
gli studenti, molti dei quali romagnoli e alcuni reduci garibaldini, non
perdonano allo Scarabelli la vittoria elettorale nel collegio di Spoleto
a danno del famoso eroe garibaldino Pianciani(127).
Il direttore, convinto che «lo studio delle arti liberali è sempre
stato libero né queste si impongono per forza ma per amore; che
dipende dai maestri e dai loro insegnamenti farlo nascere nella gio-
ventù studiosa», non vuole forzare la situazione e tenta la strada del
dialogo(128). Una scelta che il professore di Estetica non esita a defi-
nire un «cataplasma»(129), insistendo in una lettera al direttore: «qui
si tratta di educare al maggior bisogno delle arti […] che è la storia
dalla quale si creano anche i cittadini patrioti»(130).
Lo Scarabelli dal canto suo invoca la massima severità e vorreb-
be rendere obbligatoria la frequenza alle lezioni nonostante il pare-
re negativo espresso dal Ministero(131). All’origine di tutto, secondo il

Ottocento, pp. 271-273.


(124) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Memoriale del Direttore Carlo Arienti
al Ministro della Pubblica Istruzione, 25 maggio 1867.
(125) Ibid.
(126) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera riservata del Direttore Carlo
Arienti al Ministro della Pubblica Istruzione, 17 aprile 1867; in proposito anche la te-
stimonianza di Salvino Salvini, BCPc, Ms. Com. 278, b. S, Lettere di Salvino Salvini a
Luciano Scarabelli, Firenze 3 maggio 1868 e Firenze 24 aprile 1868.
(127) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera del Direttore Carlo Arienti a
Luciano Scarabelli, 25 febbraio 1867.
(128) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera riservata del Direttore Carlo
Arienti al Ministro della Pubblica Istruzione, 17 aprile 1867.
(129) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Memoriale del Direttore Carlo Arienti
al Ministro della Pubblica Istruzione, 25 maggio 1867.
(130) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera di Luciano Scarabelli a Carlo
Arienti, 24 febbraio 1867.
(131) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera di Carlo Arienti al Ministro del-
la Pubblica Istruzione, 21 febbraio 1867; Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione

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IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

Piacentino, vi è l’insensibilità dell’Accademia e l’ostilità dei colleghi,


che per primi dovrebbero preoccuparsi di raccomandare agli allievi le
sue lezioni(132). In sostanza Luciano Scarabelli in due anni tiene solo
12 lezioni e dal novembre del ’67 ci si accorda perché possa tenere
lezione per tutte le scuole nella sala dei Premi Curlandesi, la dome-
nica, quando gli alunni non sono impegnati nelle altre materie(133). Il
conflitto, che si è trascinato per molti mesi tra lettere e memoria-
li e ha coinvolto tutto l’apparato accademico, induce il direttore a
chiedere nuovamente la soppressione della cattedra di Estetica(134). A
commento della vicenda non mancano neppure le sestine giocose di
Cesare Masini, di tono molto diverso da quelle che avevano celebrato
lo Scarabelli critico d’arte nel ’46:

A sentir lui, avria rigenerate


Le arti belle con le sue lezioni;
Ma, non appena l’ebbe incominciate,
Avvenner scolaresche diserzioni
In proporzioni tali che bel bello
In scuola restò sol col bidello(135).

Le difficoltà dello Scarabelli peraltro non sono che uno dei tanti
segnali del declino dell’Accademia bolognese soffocata da polemiche,
scontri, gelosie. La situazione è destinata ad esplodere pochi anni
più tardi, nel 1871, con uno scandalo che raggiunge le pagine dei
giornali e le aule giudiziarie e che vede tra i protagonisti l’Arienti,
il Masini, il professore di Scultura Salvini, l’allievo Enrico Barbèri e
naturalmente Luciano Scarabelli.
In gioco è la “pensione”, ovvero una borsa di studio governativa,
per le classi di Pittura, Architettura e Scultura. Le prove si tengono
nel novembre del ’70, ma il buon andamento è turbato dalle dichia-
razioni di un partecipante alla selezione per la Scultura: Enrico Bar-
bèri denuncia alla direzione una modifica apportata al suo bozzetto
dal professore di Scultura Salvino Salvini. L’azione lo danneggia e
può escluderlo dal concorso. Altri concorrenti, nell’intento forse di
eliminare uno dei favoriti, confermano la cosa. Il Masini conduce
un’inchiesta interna. Il professor Salvini avrebbe avuto l’opportunità

al Direttore Carlo Arienti, 10 settembre 1867.


(132) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera di Luciano Scarabelli al Diret-
tore Carlo Arienti, 24 febbraio 1867.
(133) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera di Cesare Masini a Luciano
Scarabelli, 21 novembre 1867.
(134) AABABo, 1867, Titolo IV, fasc. Scuole, Lettera di Carlo Arienti al Ministro
della Pubblica Istruzione, 17 novembre 1867.
(135) Masini, Il Professore Luciano Scarabelli in Bologna. Sestine giocose, p. 21.

249
MARIA LUIGIA PAGLIANI

e forse anche il movente per compiere il fatto e danneggiare così


un candidato pericoloso(136). Dopo la rinuncia del Salvini a fare par-
te della Commissione di Concorso agli accademici sarebbe senz’altro
piaciuto chiudere la questione, come sostiene lo stesso Masini, «senza
guai e come suol dirsi in famiglia»(137), senza pubblicità quindi su un
comportamento forse non proprio così eccezionale. Purtroppo però,
grazie ai concorrenti, la vicenda arriva prima alle colonne del «Mo-
nitore di Bologna» e poi approda alle aule del tribunale(138).
In favore del Salvini, che è convinto di essere vittima di una mac-
chinazione, si schiera Luciano Scarabelli, che ritiene di poter confer-
mare la teoria del complotto grazie ad una vecchia lettera, ricevuta
quando era deputato, nella quale l’Arienti lamentava alcuni compor-
tamenti del Salvini e del professore di Pittura Puccinelli(139). Il corpo
accademico si divide e la gran parte sostiene il direttore e il segre-
tario. Quest’ultimo ormai non nasconde il livore nei confronti dello
Scarabelli e in una nota riservata al presidente Malatesta ricorda co-
me lo Scarabelli fosse l’unico

che comparisse in tribunale a testimoniare essere il Salvini un uomo one-


stissimo, incapace di una azione così indegna come la commessa, dopo la
quale testimonianza andò a stringere la mano all’imputato, il che fece brut-
ta impressione nel tribunale, e più nel pubblico, che per ciò e pel deposto,
ebbe a dar segno non equivoci di disapprovazione e verso il testimonio e
verso l’imputato. Che giova tacerlo: sono due soggetti uno degno dell’altro,
e noi lo possiamo dire senza reticenze, essendo troppo note varie loro in-
degne azioni, onde ormai sono in pieno discredito di tutta l’Accademia, la
quale per rapporti e reclami dovuti fare contro di loro, è purtroppo venuta
in uggia al Ministero(140).

(136) AABABo, 1871, Titolo V, fasc. Giudizio sui concorsi al Pensionato triennale di
Pittura e Architettura, Relazione di Cesare Masini e Carlo Arienti ad Adeodato Malate-
sta, 30 gennaio 1871.
(137) Cesare Masini, Scritto apologetico di Cesare Masini Professore-segretario della
Regia Accademia Centrale delle Belle Arti dell’Emilia in Bologna. Testimone in tribunale
nella causa Barbèri-Salvini ottobre 1871, Bologna, Regia Tipografia, p. 21.
(138) «Il Monitore di Bologna», 26 novembre 1870; 27 novembre 1870; 29 novembre
1870; 1° dicembre 1870; 3 dicembre 1870.
(139) Masini, Scritto apologetico, p. 16; i rapporti tra lo Scarabelli e il Salvini erano
buoni, tanto che all’epoca della contestazione del 1867 il Salvini aveva rappresentato lo
Scarabelli presso il Ministero, allora a Firenze (cfr. nota 126); a sua volta lo Scarabelli,
nel 1870 aveva fatto da intermediario al Salvini nella vendita di un’opera di Donatello
di sua proprietà: BCPc, Ms. Com. 278, b. S, Lettera di Enrico C. Barlow a Luciano
Scarabelli, Newington Butts, 9 luglio 1870.
(140) AABABo, 1871, Titolo V, fasc. Giudizio sui concorsi al Pensionato triennale di
Pittura e Architettura, Relazione di Cesare Masini e Carlo Arienti ad Adeodato Malate-
sta, 30 gennaio 1871.

250
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

E quando non giungono risposte dal Ministero sulla possibilità di


procedere almeno con i giudizi delle prove di Architettura e Pittura
il Masini fornisce al Malatesta, che «il mutismo di Firenze […] mette
in pensiero pel bene comune»(141), la seguente spiegazione:

Non è difficile che il silenzio di Firenze sull’argomento derivi da sotterranee


macchinazioni per il provvedere di coprire la cosa al fine di salvare possi-
bilmente un professore cavaliere, né parrebbe temerarietà il supporre che un
altro professore cavaliere, anzi Commendatore, non potesse essere l’agente
principale della occulta manovra, vogliam dire lo Scarabelli […](142).

Il 27 febbraio del 1871 un decreto a firma del ministro Cesare


Correnti annulla il concorso di Scultura, che viene nuovamente ban-
dito il 4 maggio del 1871: si aggiudica la borsa di studio triennale
proprio il bolognese Enrico Barbèri(143).
La vicenda ha pesanti ripercussioni sulla vita dell’Accademia, come
narra in modo “oggettivo” e burocratico il nuovo segretario Enrico
Panzacchi nella relazione annuale:

Trascorsi appena due mesi dall’apertura delle Scuole pervenne alla Direzione
un dispaccio dell’onorevole Prefetto di questa Provincia in cui s’annunziavano
stabilite con Decreti reali del 23 Dicembre 1871 le seguenti innovazioni:
Trovato per più rispetti inopportuno il tenere disgiunte le due cariche di
Segretario dell’Accademia e di Professore di Critica e storia d’arte, quelle si
riunivano in una sola persona, conforme a quanto è generalmente in uso
nelle altre accademie del Regno. E però il professore Cesare Masini, che da
ventisette anni esercitava l’ufficio di segretario, si collocava a riposo, man-
tenendogli il Governo l’intero onorario e suggellando con una distinzione di
merito le testimonianze del suo lungo e onorato esercizio. Il Prof. Comm.
Luciano Scarabelli cattedratico di storia e critica era collocato in disponibilità
per riduzione d’ufficio. A ricoprire queste due cariche viene nominato il prof.
Enrico Panzacchi già da tre anni cattedratico di Filosofia al R. Liceo Galvani.
In pari tempo per supplire nella direzione dell’Istituto e sorveglianza delle
Scuole all’egregio Direttore Comm. Arienti da tempo infermo, il Governo in-
carica con ampio e temporaneo mandato il celebre artista comm. Cincinnato
Baruzzi, che fu già per trent’anni professore di scultura in questa accademia.
La qualità di reggente attribuita nella nomina al Panzacchi, nonché il carattere
straordinario e provvisorio della carica del Baruzzi, preludevano ad ulteriori
ordinamenti conformi allo Statuto accademico(144).

(141) AABABo, Lettera di Adeodato Malatesta a Carlo Arienti del 27 gennaio 1871.
(142) Ibid. Il corsivo rende le sottolineature dell’originale.
(143) AABABo, 1871, Titolo V, fasc. Nuovo concorso al Pensionato di scultura trien-
nale, Decreto del Ministro Cesare Correnti 24 febbario 1871; Lettera di Cesare Masini a
Ferdinando Asioli segretario dell’Accademia di Modena, 27 febbraio 1871.
(144) Enrico Panzacchi, Relazione dell’anno accademico 6 novembre 1871-30 giugno
1872, in Atti della R. Accademia di Belle Arti di Bologna Centrale dell’Emilia, Bologna,

251
MARIA LUIGIA PAGLIANI

Luciano Scarabelli perde così la tanto desiderata cattedra di Este-


tica. Pochi mesi dopo, nel maggio del ’72, riceve dal Ministero un
incarico di studio sugli archivi bolognesi per un compenso di 1.700
lire(145). Ma la ferita rimane aperta.
Infatti nel ’74, centenario della nascita di Pietro Giordani, nel
pubblicare gli interventi e le lettere del Giordani legate alla sua
attività di prosegretario dell’Accademia bolognese ritorna sulla que-
stione. L’opera, alla quale peraltro attendeva dal 1867(146), vuole illu-
strare il ruolo del Giordani in Accademia e valorizzarne la figura:
«Giordani è l’autore de’ forti, de’ generosi»(147). Tuttavia l’appendice
al volume intitolata Novella riconduce la pubblicazione all’avvelenato
clima accademico di quegli anni. Vi si ripropone infatti un articolo
del Masini del 1867, apparso sul «Gazzettino delle arti del disegno»
di Firenze, nel quale l’autore argomenta, in modo anche pittoresco,
l’inutilità dell’insegnamento dell’Estetica e adduce a conferma una
parziale citazione giordaniana, completamente decontestualizzata,
tratta dalle carte dell’istituto(148). Lo Scarabelli replica sullo stesso
giornale, il 26 aprile del 1867, per confutare l’uso del passo giorda-
niano: «Giordani mai non volle dire quello che Masini suppone»(149).
Chiude l’appendice un testo dello Scarabelli, senza titolo e datato
agosto 1872, nel quale oltre a difendere la necessità dell’insegnamen-
to di estetica svela gli aspetti meno nobili del rapporto col potente

Regia Tipografia, 1872, pp. 16-17 (il corsivo rende la sottolineatura dell’originale). En-
rico Panzacchi, scrittore e critico, una delle personalità più in vista della Bologna di
fine Ottocento, fu eletto alla Camera dei deputati per tre legislature e nel 1901 ricoprì
l’incarico di sottosegretario alla Pubblica Istruzione: DB, II, p. 393; Giumanini, Gli uo-
mini dell’Accademia, pp. 137-152.
(145) Si tratta di 1.700 lire annue lorde, versate mensilmente (BCPc, Ms. Com.
281/4, Lettera del Ministero delle Finanze a L.S., 28 maggio 1872) confrontabili con lo
stipendio annuo della carriera esecutiva: Retribuzione di alcune categorie del personale
civile dello Stato, in Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, Roma, Istituto
centrale di Statistica, 1976, p. 148 tav. 112.
(146) AABABo, 1867, Titolo I, Provvidenze generali, Lettera di Luciano Scarabelli
al direttore Carlo Arienti, 19 settembre 1867, con la quale chiede di poter vedere i
verbali del Giordani.
(147) Scarabelli, Di Pietro Giordani, p. VII; Antonio Vitellaro, Luciano Scarabelli al-
lievo di Pietro Giordani, in «Archivio Nisseno», I, 1, 2007, pp. 113-132, a pp. 127-131;
sugli anni di Giordani all’Accademia: Andrea Emiliani, Il panegirico a Napoleone legi-
slatore (agosto 1807-1813), in Paola Errani, Le vicende della Biblioteca Malatestiana nel
periodo francese e la nascita della Biblioteca Comunale (1797-1813), Bologna, Editrice
Compositori, 2006, pp. 177-191, a pp. 183-186.
(148) Lettera di Cesare Masini del 10 aprile 1867, in Scarabelli, Di Pietro Giordani,
pp. 141-144, a pp. 142-143.
(149) Luciano Scarabelli al Direttore del «Gazzettino delle arti del disegno», 26
aprile 1867, ibid., pp. 146-148, part. p. 148, la vicenda è all’origine delle sestine giocose
del Masini del 1871, cfr. nota 109.

252
IL BELLO E IL VERO: LUCIANO SCARABELLI E LE ARTI

segretario, raccomandatogli con «spesseggiate febbrili cure (egli sa


ben da chi)»(150).
Ma un autentico contrappasso si abbatte infine sul Masini: al suo
posto viene nominato proprio un letterato, il Panzacchi, e lo Scara-
belli chiude, a sua volta, in versi:

Oh, Giustizia di Dio, quant’è severa


che cotai colpi per vendetta croscia!(151)

(150) Scarabelli, Di Pietro Giordani, p. 155.


(151) Ibid. La citazione è tratta dalla Divina Commedia, I XXIV 119-120. Lo Scara-
belli ritornerà sull’argomento anche in alcune lettere al Carducci: Ganda, «Io ho piacere
a farvi piacere […]», p. 137.

Referenze fotografiche: 1 Biblioteca Comunale Passerini-Landi, Piacenza, SC cass.


1, 7 b. 1, 52; 2 Istituto Gazzola, Piacenza; 3 Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio,
Bologna, cartone 38, fasc. 7, carta 01; 4 e 5 Marco Bedassari, Bologna.

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