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In molti stati, prendiamo in considerazione gli Stati Uniti, le autorità indipendenti nascono per esigenza di

tutelare alcuni interessi cosiddetti “sensibili” o diritti fondamentali dalle delle pressioni delle lobby di
potere. Ma dunque qual è il motivo per cui si sente l’esigenza di sganciare la tutela degli interessi
collettivi/pubblici dalle sedi di poteri politici? Alla base di questo modello statunitense di agenzie
indipendente c’è un presupposto ossia l’idea del “fallimento dello stato” ossia uno stato che non è in grado
di garantire gli interessi fondamentali è uno stato che non riesce a realizzare i suoi obiettivi principali
perché vittima delle lobby di potere esterne allo stato stesso. Dunque, il modello delle autorità
indipendenti nasce da un lato, proprio dall’esigenza che è causata dal fallimento del ruolo dello stato,
dall’altro, in Italia ad esempio nascono per accompagnare i processi cosiddetti di liberalizzazione del
mercato. Prima c’erano delle attività economiche che venivano svolte direttamente da enti dello stato
(pubblici) poi negli anni ’90 si è sentita l’esigenza di privatizzare, prima da un punto di vista formale e poi
sostanziale (durante il governo Amato). C’è in questo caso un nuovo modello di economia, che passa da
essere amministrata dallo stato (prima) ad essere gestita in piena libertà dai privati nel perimetro delle
regole della concorrenza del mercato (dopo), dunque in questo caso lo stato fa un passo indietro. Anche in
questo secondo caso possiamo affermare che c’è stato un fallimento dello stato, in particolare un
fallimento del modello economico dello stato ossia un modello accentratore che interviene direttamente
nel mercato. Tale modello in quegli anni è stato messo in dubbio e si è passati ad un modello di economia
diverso, non più amministrata dallo stato attraverso interventi diretti, ma bensì regolamentata da
quest’ultimo.

Ma qual è la causa che spinge lo stato a svolgere una funzione non più diretta, ma quantomeno regolatoria
del mercato? Lo stato rinuncia a svolgere una funzione diretta nell’economia poiché è fallito il modello
dello stato interventista e dunque fa un passo indietro. Si è reso necessario ciò anche sulla base di una tesi
economica, la quale afferma che le libertà rappresentano il migliore strumento affinché il mercato realizzi i
suoi obiettivi. In altre parole, garantire da un lato la libertà dell’iniziativa economica agli imprenditori e
dall’alto la libertà di scelta dei consumatori, rappresenta il modo migliore per ottenere un mercato in
equilibrio ossia un’economia che riesce a realizzare i suoi scopi autonomamente. Dunque, di conseguenza i
privati non avrebbero bisogno dell’intervento dello stato per realizzare le proprie attività economiche.

Lo stato dunque da una situazione di intervento diretto, ha cambiato la sua funzione in regolatore anche a
causa del verificarsi della crisi dei mercati. L’esperienza delle crisi che si sono verificate nei mercati
finanziari e che in realtà la legge della domanda e dell’offerta non riescono da sole a garantire gli interessi
pubblici di tutti gli attori che si collocano all’interno dei mercati finanziari per tante ragioni. L’idea
dell’autosufficienza dei mercati che per tanto tempo molti economisti hanno sostenuto è andata in crisi.

Perché questi economisti sostenevano la tesi della perfezione dei mercati?


La sostenevano perché ad esempio si riteneva che in fondo si potessero applicare ai mercati finanziari delle
regole matematiche e scientifiche, quindi applicando dei modelli matematici, basati sul principio di
razionalità, le condotte degli operatori all'interno dei mercati rispondevano a questo parametro della
razionalità ed erano quindi delle condotte che portavano ad un'espansione del mercato. In realtà con il
passare del tempo si è capito che i mercati non si possono improntare solo sulla base di regole
matematiche e che in realtà anche il mercato è caratterizzato dalla presenza di altri fattori (fattori biologici,
fattori che incidono sui comportamenti umani). Basti pensare che non tutti i consumatori non hanno le
competenze tali per effettuare delle scelte in maniera razionale, in maniera consapevole, in maniera
completamente informata su quelle che sono le dinamiche del mercato. Si è capito quindi che in realtà i
mercati non erano autosufficienti anche a causa della complessità degli strumenti finanziari e della loro
mancanza di trasparenza (strumenti finanziari che per la loro complessità finivano per nascondere il rischio
che alcune scelte comportavano); i modelli matematici non erano accessibili a tutti e molte volte non
potevano da soli spiegare quelle che erano le condotte che si verificavano all'interno dei mercati.
Nel 2007 2008 in America c’è stata la crisi finanziaria più importante, ovvero quella scatenata dal fallimento
di Lehman Brothers, e in questa fase storica si è capito come i mercati in realtà non siano autosufficienti e
come le regole matematiche non siano da sole sufficienti per comprendere le dinamiche del mercato e per
comprendere i rischi. Le autorità amministrative indipendenti quindi non nascono solo dalla
consapevolezza del fallimento dello Stato, ma anche dalla consapevolezza del fallimento dei mercati. Nel
momento in cui anche i mercati falliscono i loro obiettivi, è evidente che si sente l'esigenza che lo Stato
svolga una funzione che non sia più di intervento diretto, ma piuttosto una funzione di tipo regolatorio.
Naturalmente questa funzione regolatoria va espletata in “via residuale”, vale a dire che i princìpi sono le
libertà dell'iniziativa economica e la libertà di scelta in base alle leggi del Codice Civile, del diritto bancario,
del diritto privato, del diritto commerciale, però lo Stato può intervenire quando ciò si ritenga necessario
per tutelare gli interessi pubblici, in base al principio di proporzionalità. Ciò significa che lo Stato interviene
nelle materie dei mercati attraverso le sue regole qualora le ritenessero necessarie, quindi l'attività di
regolamentazione deve essere quella minima necessaria per la tutela degli interessi pubblici e deve
comportare il minor numero di sacrifici delle libertà private.
Quindi c'è un triplo fallimento:
1. Il fallimento dello Stato come soggetto politico, perché subisce le pressioni delle lobby di potere e
questa condizione trasforma lo Stato in un soggetto che non è più credibile nella tutela di alcuni
interessi sensibili;
2. Il fallimento dello Stato come soggetto che interviene direttamente nell'economia, ovvero il
fallimento di questo modello economico in cui lo Stato svolge una funzione da protagonista
all'interno del mercato;
3. Il fallimento del mercato.
La risultante di questi tre fallimenti porta ad introdurre nel nostro ordinamento le autorità amministrative
indipendenti.
Non esiste un solo modello di autorità amministrativa indipendente e ognuna di esse ha le proprie
caratteristiche. Basti pensare che se andiamo a studiare i vari tipi di autorità indipendente avremo ad
esempio l’autorità garante della concorrenza e del mercato che è considerata un’autorità indipendente,
mentre l’ANAC non è considerata un’autorità indipendente, anche se è un organismo di vigilanza che si
occupa soprattutto di prevenzione della corruzione con particolare riferimento agli obblighi di trasparenza
in riferimento ai contratti pubblici, tematica molto importante per l’economia del nostro Paese. Si dubita
che sia un’autorità indipendente perché la nomina dei vertici di quest’autorità è governativa e quindi
sembra che in questo caso ci sia un legame con il potere politico, il potere politico delle maggioranze.
Interessanti poi sono le parole dette dal direttore generale della Banca d’Italia (Fabrizio Saccomanni)
durante una lezione sulle autorità amministrative indipendenti parlando della Banca d'Italia così definiva
quest’istituzione: “pur svolgendo attività di controllo analoghe a quelle delle autorità indipendenti e
possedendo caratteristiche che ad esse la accomunano, la Banca d’Italia se ne differenzia, oltre che per la
sua non più remota origine, per la molteplicità e complessità delle sue funzioni, per le particolari garanzie
che rafforzano la sua indipendenza, per la sua completa autonomia finanziaria che le consente di operare
senza oneri per il bilancio dello Stato e per i soggetti vigilati”.
Da ciò si evince che non esiste un modello unico di autorità indipendente, ma esistono molteplici modelli.
In realtà questa dichiarazione fatta da Saccomanni pare che si sia spinta sul carattere peculiare della Banca
d'Italia in termini di maggiore indipendenza, quindi non come un soggetto che non rientra nella categoria
delle autorità indipendenti ma addirittura come un soggetto che tra le autorità indipendenti nei
rappresenta la massima espressione; quindi questa citazione non va considerata come una difformità
rispetto al modello in senso negativo ma piuttosto in senso positivo.

Come si riconduce questo modello delle autorità indipendenti al dettato della carta costituzionale?
La dottrina si è soffermata su questo argomento, e qualcuno in dottrina ha parlato addirittura di rompicapo
costituzionale, ovvero di un problema di difficile risoluzione. Questo perché indipendenza vuol dire
separazione, separazione dal regime delle maggioranze politiche e dal circuito delle responsabilità perché
ovviamente il fatto che l'esercizio di un potere sia legato o meno alla maggioranza politica ha una doppia
sfaccettatura. Da un lato essere legato al potere della maggioranza implica il poter dire che questa autorità
ha una legittimazione democratica perché ovviamente la maggioranza è frutto di un processo democratico,
dall'altro questa legittimazione si trasforma anche in una responsabilità perché ovviamente poi la
maggioranza si assume la responsabilità politica delle proprie scelte. Quindi è ovvio che il cattivo
espletamento delle funzioni da parte dell’autorità amministrativa indipendente si traduce in una questione
dello stesso tipo, poiché la maggioranza politica risponde della cattiva amministrazione delle autorità
indipendenti. Abbiamo però detto che questo tema della separazione comporta che siamo di fronte ad un
modello nuovo di ente che non può essere ricondotto all' articolo 95 della costituzione perché in questo
articolo si parla di governo, in cui si ricorda che i singoli ministri hanno la responsabilità dei vari settori
dell'amministrazione centrale di loro competenza in cui si ricorda che il presidente del Consiglio dei ministri
deve garantire l’unità dell’indirizzo politico.
Come vedete, in questa norma noi abbiamo già detto nella precedente lezione, ritroviamo i caratteri
dell’Amministrazione Statale che si presenta organizzata in modo accentrato ossia in modo unitario sia pur
con sedi periferiche. Sappiamo bene che le amministrazioni statali hanno le sedi dei ministeri a Roma, ma
hanno anche delle sedi periferiche locali.
Un esempio: il ministero degli interni ha le ex prefetture, oggi non si chiamano più così, si chiamano uffici
territoriali del governo presso le singole province. Però anche quando il ministero dell’interno agisce con le
sue ex prefetture, oggi uffici territoriali del governo siamo di fronte alla stessa amministrazione, lo stesso
soggetto, non c’è un fenomeno di scissione dal punto di vista organizzativo della prefettura rispetto al
ministero degli interni. Il ministero degli interni agisce col suo braccio periferico che è la prefettura. Quindi
si tratta soltanto di aver delocalizzato l’esercizio della funzione amministrativa dal centro alla periferia.
QUI CHIEDONO DI RIPETERE PERCHE’ NON SI SENTE BENE
L’art. 95 della Costituzione descrive un modello unitario di pubblica amministrazione statale che ha delle
proprie caratteristiche. L’amministrazione statale si serve di sedi centrali (i ministeri) e di sedi decentrate
(per esempio le prefetture). Quando l’amministrazione degli interni agisce con le prefetture non sta agendo
un soggetto giuridicamente distinto ma sta agendo sempre il ministero degli interni attraverso il braccio
operativo periferico. In questo caso abbiamo la delocalizzazione dell’esercizio della funzione
amministrativa, cioè la funzione amministrativa dell’amministrazione statale non viene svolta soltanto nella
sede centrale (non viene erogata soltanto dal ministero a Roma) ma anche nelle sue strutture periferiche.
Quindi le amministrazioni statali hanno le sedi centrali a Roma ma hanno anche delle sedi periferiche su
tutto il territorio della Repubblica Italiana. Questa modalità di organizzazione si chiama, in termine tecnico,
decentramento amministrativo è quella relazione (?) che esprime questo rapporto all’interno
dell’organizzazione amministrativa statale tra la sede centrale e la sede periferica. Quando agisce la sede
periferica agisce la stessa amministrazione centrale ma attraverso gli organi periferici quindi non siamo di
fronte a soggetti distinti, il soggetto è unitario.
A governare questo fenomeno di decentramento amministrativo c’è un principio gerarchico. Tutta
l’amministrazione dello stato risponde a un settore degli interni e al ministero degli interni e tutti i ministri
rispondono al presidente del consiglio, il quale secondo l’art. 95 deve garantire l’unità dell’indirizzo politico
e amministrativo. Questo è il modello tipico dell’amministrazione statale le cui caratteristiche sono
l’unitarietà, la gerarchia e il decentramento.
Le autorità amministrative indipendenti non rientrano in questo modello poiché le norme di queste
autorità non provengono dalla maggioranza politica, non sono espressione del governo, si cerano delle
maggioranze parlamentari più ampie formate sia dalla maggioranza di governo sia dalle opposizioni per
scegliere/scendere (?) i vertici delle autorità. In questo modo si sgancia l’operato di queste autorità
dall’indirizzo politico della maggioranza e dalle lobby che ne fanno parte. Quindi siamo di fronte a un
modello diverso.
Una volta chiarito che le autorità indipendenti non rientrano nel modello dell’art. 95, dobbiamo chiederci
se possono rientrare nel modello di cui all’art. 5, art. 114 della costituzione, cioè il modello del
policentrismo autonomistico. Oltre il modello dell’amministrazione statale centrale c’è anche il principio
autonomistico ossia ci sono più livelli di governo, c’è lo stato, le regioni, i comuni ed in questo contesto si
potrebbero inserire anche le autorità indipendenti. Tuttavia, le autorità indipendenti superano anche il
modello autonomistico, perché gli enti autonomi si pongono all’interno di una relazione in cui non c’è un
concetto di separazione. Invece nelle autorità indipendenti vi è un principio di separazione. Ecco perché
anche questo secondo modello non ci convince appieno.
Una terza possibilità ci deriva dall’art. 97 della costituzione che ci dice il principio di imparzialità. Negli
ultimi anni il modello dell’amministrazione imparziale ha introdotto una nuova tendenza amministrativa
che ha disciplinato in maniera particolare i rapporti tra gli organi politici da un lato e gli organi
amministrativi dall’altro lato. Ciò significa che il legislatore ha introdotto un principio che troviamo nel
Testo unico degli enti locali e anche nella normativa sul pubblico impiego 165, troviamo delle norme che ci
dicono che gli organi politici sono responsabili soltanto dell’indirizzo politico, mentre agli organi
amministrativi spetta la realizzazione degli obiettivi individuati dagli organi politici, quindi spetta la gestione.
Quindi c’è nel nostro ordinamento anche un modello di separazione tra amministrazione e politica e questo
stesso modello può essere utilizzato per le autorità indipendenti. L’aggancio normativo, costituzionale che
ci consente di giustificare la presenza nel nostro ordinamento di un terzo e nuovo modello di
amministrazione che possiamo definire indipendente è proprio questo.
Negli ultimi anni alla luce dell’art. 97, avendo il legislatore sentito l’esigenza di garantire l’imparzialità e
neutralità della pubblica amministrazione ha stabilito il principio di separazione tra la politica e
l’amministrazione. Da un lato ci sono i politici che stabiliscono gli obiettivi da realizzare dettano le linee che
gli organi amministrativi devono poi trasformare in scelte concrete, dall’altro lato c’è la gestione
amministrativa che spetta alla classe della dirigenza ministeriale.
Se esiste questo modello della pubblica amministrazione questo principio può fondare, secondo tesi più
recenti, anche il modello delle autorità amministrative indipendenti. D’altra parte, questa riconducibilità
delle autorità indipendenti nell’ambito di un modello di amministrazione non agganciato al potere politico
ma separato dal potere polito ma pur sempre di carattere amministrativo secondo qualcuno deriverebbe
dal fatto che in questo caso non saremmo di fronte all’esercizio di una discrezionalità pura ma soltanto di
fronte all’esercizio di una discrezionalità tecnica.
La differenza tra discrezionalità tecnica e pura sta nel fatto che nella discrezionalità pura si scelgono e
vengono comparati tutti gli interessi coinvolti in una fattispecie per poi (l’amministrazione) scegliere
quell’interesse che più degli altri merita di essere curato.
La discrezionalità tecnica non si compie in un atto di volontà, non si compie in una scelta ma si compie con
l’utilizzo alla luce di regole tecniche. Secondo qualcuno ciò giustificherebbe il fatto che non ci sarebbe in
questo caso una responsabilità politica e non ci sarebbe l’esigenza di agganciare il potere amministrativo
rispetto al potere politico. Questo perché non saremo di fronte a delle scelte sugli interessi pubblici da
tutelare, ma saremo soltanto di fronte all’esigenza di valutare delle decisioni sulla base delle regole
tecniche e di regole scientifiche.
Secondo qualcun altro, trattandosi di organi che non sono tenuti a scegliere gli interessi e non sono
agganciati alla responsabilità politica quindi al circuito delle garanzie democratiche, questi invece non
dovrebbero realizzare alcun tipo di incisione ma svolgere soltanto una mera attività di controllo, una mera
attività di vigilanza eventualmente sanzionando quelle condotte che sono in contrasto con le regole del
gioco.
Qualcuno sulla falsa riga di questo percorso argomentativo, partendo dal principio secondo il quale le
autorità non sceglierebbero gli interessi ma applicherebbero delle regole, ha sostenuto che si potrebbe
trattare non tanto di autorità amministrative quanto, piuttosto, di un’autorità para-giurisdizionale il cui
compito non è quello di scegliere interessi da tutelare, il che trasformerebbe le autorità indipendenti in
parti di gioco che pongono delle scelte e che portano avanti delle posizioni nelle politiche di interesse,
quanto piuttosto dei soggetti il cui compito è soltanto il rispetto delle regole e l’applicazione delle sanzioni
laddove le regole sono violate.
In questo caso il ruolo delle autorità sarebbe come quello di arbitro dato che non hanno altro scopo se non
quello di far rispettare le regole che ognuno svolge nella funzione di controllo e funzione di finanza, e di
conseguenza secondo l’autore di questa tesi non saremo di fronte ad un’amministrazione classica
(amministrazione che si vuole condurre all’espressione della maggioranza) ma non saremo di fronte
neanche ad un’amministrazione nuova, cioè non sarebbe un’amministrazione.
Non saremo di fronte al classico potere amministrativo, che è riconducibile secondo un principio gerarchico
al governo, ma non saremo neppure di fronte ad una nuova amministrazione cioè non soltanto questi enti
sarebbero sganciati dal governo e quindi dalla politica, ma non si potrebbero definire neanche
amministrazioni indipendenti quindi non sarebbero proprio amministrazioni e non sarebbero riconducibili
al potere esecutivo o amministrativo.
Se non sono riconducibili a tali poteri, si potrebbero invece farli condurre al potere giurisdizionale. Ecco
perché una parte della dottrina ha coniato questa nuova espressione di soggetti para-giurisdizionali cioè
qualcosa di simili ai giudici.
Questo perché se il compito di questi soggetti è soltanto quello di far rispettare delle regole o constare la
violazione delle regole in caso della loro violazione e applicare delle sanzioni, saremo di fronte ad un’attività
che effettivamente è molto simile a quella di un giudice.

Intervento/sintesi di una ragazza:


siamo partiti non inquadrando questo modello nell’art 95 ovvero quello che è il modello gerarchico, statale
perché parliamo più di un modello che si avvicina all’autonomia ovvero a quel modello che viene
menzionato per le regioni, provincie, ecc… però anche qui c’è un problema perché quando parliamo delle
autorità amministrative indipendenti parliamo più di un principio che si basa sulla separazione e quindi, di
conseguenza, si rompe quello che è il legame con l’ordinamento di riferimento. Di conseguenza si
prevedeva un legame con l’art 5 e 114 ma anche qui però c’è una differenza perché non parliamo di
autonomia ma di separazione e quindi siamo arrivati a definire la funzione delle autorità amministrative
indipendenti come una funzione para-giurisdizionale.
(C’entra qualcosa l’art 97 con l’imparzialità ma non ho capito il senso, la ragazza era confusa)

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