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STORIA, ARCHEOLOGIA E TUTELA DEI BENI ARCHEOLOGICI

SOMMERSI: L’ESEMPIO DEI CAMPI FLEGREI *


di Alessandra Benini

* Il tema di questa presenta- I Campi Flegrei costituiscono l’estremità settentrionale del golfo di Napoli
zione ripropone i contenuti della
mostra iconografica “Città som- e la loro costa rappresenta un esempio unico per la trasformazione del territo-
merse” organizzata dalla Fa- rio e lo sprofondamento dell’antica fascia costiera.
coltà di Conservazione dei Malgrado le profonde modificazioni dei luoghi, dovute proprio agli effetti
BB.CC. dell’Università della
Tuscia (Viterbo) ed esposta ad di traumatici stravolgimenti geologici, i Campi Flegrei conservano ampia testi-
Atene (dicembre 2000). monianza dell’antico splendore. Mitologia e storia ancora oggi si fondono nei
monumenti delle due città principali: Cuma e Pozzuoli alle quali fanno corona
Baia, Miseno e il lago d’Averno (fig. 1).
La storia dei Campi Flegrei inizia con la costituzione, intorno al 770 a.C.,
di uno scalo commerciale nell’isola di Pithecusa (Ischia) da parte di coloni
eubei e calcidesi, accompagnata dalla fondazione di Kyme (Cuma), la prima
colonia greca in occidente. Inizia così una rapida irradiazione nella penisola
italica della religione e della cultura greca tra cui l’introduzione dell’alfabeto.
Questa è la terra dove, secondo i miti portati dai primi coloni greci, i feno-
meni sismici erano dovuti ai Giganti qui seppelliti e dove abitarono anche i
Cimmeri e i Lestrigoni. Il sottosuolo ospitava l’Ade e i fiumi infernali Cocito e
Piriflegetonte, causa delle numerose manifestazioni idrotermali.
L’espansione del dominio cumano in tutto il golfo di Napoli porta ad un
aperto conflitto con gli Etruschi. Nel 531 a.C. Cuma per garantirsi il controllo
del territorio permette ad un gruppo di esuli fuggiti da Samo e dalla tirannia di
Policrate, di insediarsi nel suo territorio fondando Dicearchia, città del buon
governo. Al suo posto, nel 194 a.C., verrà poi fondata la colonia romana di
Puteoli (attuale Pozzuoli), che come porto commerciale di Roma diviene cen-
tro di traffici marittimi così intensi e rilevanti da guadagnarsi l’appellativo di
Delus minor.

1. - Il territorio dei Campi Flegrei.

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Alessandra Benini

A partire dal I secolo a.C. tutta


la costa flegrèa diventa meta prefe-
rita dell’aristocrazia romana, che
edifica lussuose ville sul mare dota-
te persino di peschiere per l’alleva-
mento del pesce. Tra i più famosi
proprietari furono gli Scipioni, Gaio
Mario, Giulio Cesare, Marco Tullio
Cicerone, Pompeo Magno, Marco
Antonio, Licinio Crasso e dopo di
essi anche gli stessi imperatori che
a Baia costruiscono un Palazzo
imperiale. Per godere del clima
mite e dei numerosi impianti idro-
termali vi soggiornano Augusto,
Tiberio, Claudio, Caligola, Nerone,
Adriano e Alessandro Severo.
La decadenza del litorale flegreo
coincide con la fine dell’impero
romano e con la sommersione di
tutta la fascia costiera causata dal
bradisismo.
La stessa denominazione flegreo
significa in greco ardente, con chia-
2. - Le colonne del Serapeo di
Pozzuoli recano i chiari segni ro riferimento all’intensa attività vulcanica che caratterizza quest’area e che si
della loro passata sommersione a manifesta attraverso sorgenti termominerali, fumarole vulcaniche e il bradisi-
documentazione dell’ampio feno-
meno del bradisismo presente in smo. Quest’ultimo, un lento ed alterno movimento verticale della crosta terre-
quest’area. stre dovuto alla risalita di masse magmatiche ed al loro raffreddamento, è il
fenomeno caratterizzante di questa zona, particolarmente evidente lungo la
fascia costiera dove il livello del mare fornisce un’immediata quota di riferi-
mento.
Le colonne del grande mercato (cosiddetto Serapeo) di Puteoli conservano
le perforazioni dei molluschi marini (litodomi) ad una altezza di m 6,30 (+9
s.l.m.), segno evidente dell’avvenuta sommersione e del successivo solleva-
mento del suolo (fig. 2). Il bradisismo è quindi la causa dello sprofondamento,
in età tardo antica, di tutta l’antica fascia costiera e di tutti quegli edifici che vi
erano stati costruiti.
La topografia dei Campi Flegrei venne ulteriormente sconvolta da un even-
to sismico nel 1538. In pochi giorni l’area del Lucrino fu teatro di un terremoto
e di un rigonfiamento della crosta terrestre che sfociò in una eruzione vulcani-
ca. I materiali espulsi crearono un monte alto più di 100 metri chiamato Monte
Nuovo. Venne così inglobato e seppellito parte di un territorio che dalle fonti
letterarie sappiamo essere stato densamente edificato con lussuose ville tra cui
quella di proprietà di Cicerone. Anche i laghi Lucrino e Averno, utilizzati
come bacini interni del porto costruito nel 37 a.C. da Agrippa, subirono radica-
li modifiche.

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Pozzuoli

Pozzuoli, il principale centro dei Campi Flegrei, fu dapprima emporio di


Cuma, poi, con il nome augurale di Dicearchia, fu il rifugio dei fuggiaschi di
Samo (530 a.C.). Perde successivamente importanza ma riemerge come capo-
saldo della difesa romana nella seconda guerra punica. Nel 194 a.C. vi viene
istituita la colonia marittima di Puteoli. La città, dapprima arroccata sul pro-
montorio (dove è l’attuale “Rione Terra”), si estese progressivamente ai piedi
del colle con la costruzione di due anfiteatri, di uno stadio, di numerose terme,
di un grande mercato. La grande crescita economica ed urbanistica della città è
legata soprattutto al porto, grazie al quale divenne il più grande scalo maritti-
mo di Roma per i commerci con il Mediterraneo orientale e l’estremo oriente
ed il maggiore sviluppo si realizzò proprio lungo la costa che fu completamen-
te attrezzata con magazzini adibiti allo stoccaggio delle merci. Il porto di Poz-
zuoli fu la più grandiosa opera portuale dell’area flegrea, realizzata probabil-
mente in età augustea. Ogni anno vi attraccavano centinaia di navi alessandri-
ne con il grano egiziano e con molti altri prodotti esotici (spezie, vetri, tessuti,
unguenti) che giungevano in Italia dalla lontana India, attraverso l’Oceano
Indiano, il Mar Rosso, le carovaniere del deserto egiziano e il Nilo, fino al
porto di Alessandria e da lì, infine, a Puteoli. Altre vie commerciali utilizzava-
no le carovaniere della penisola arabica fino a giungere ai porti del Mediterra-
neo orientale.Il poderoso impianto del porto era sostenuto con arconi montati
su piloni di calcestruzzo gettati in casseforme idrauliche, secondo un ardito
procedimento tecnico sperimentato e largamente impiegato nell’area flegrea. Il
molo, lungo 372 metri e provvisto di anelli di ormeggio, era costituito dall’alli-
neamento di almeno quindici grandi piloni a pianta quadrangolare. L’imponen-
za della costruzione, tale da suscitare grande stupore e ammirazione nei fre-
3. - Un’immagine del molo di Poz- quentatori cosmopoliti della città campana, la impose quale elemento caratte-
zuoli da un’incisione del 1768 di
G. B. Natali e C. F. Nicole. rizzante della topografia marittima.
La spettacolare architet-
tura del grande molo scan-
dito da arconi sostenuti da
pilae risalta infatti in primo
piano nelle raffigurazioni
dipinte su bottiglie-souve-
nirs di produzione puteola-
na, mentre i suoi resti,
ormai completamente
inglobati nel cemento delle
ristrutturazioni moderne,
sono rimasti per secoli ben
visibili nel panorama, e
molte vedute di viaggiatori
italiani ed europei del XVII
e del XVIII secolo li hanno
spesso riprodotti (fig. 3).

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Fin dalla tarda età


repubblicana iniziarono
ad istallarsi a Puteoli
varie comunità di mer-
canti orientali soprattutto
egiziani, giudei, siriani e
arabi nabatei. Le ricerche
archeologiche subacquee
condotte lungo l’antica
fascia costiera di Puteoli,
4. - L’antica topografia della costa
puteolana radicalmente mutata oggi sommersa, hanno portato al rinvenimento di un sontuoso luogo di culto,
per gli effetti del bradisismo e documentato da ben tre altari in marmo bianco che recano sulla fronte iscrizio-
della nascita di Monte Nuovo.
ni di dedica al dio Dusares, che i mercanti nabatei (provenienti dall’attuale
Giordania) avevano costruito per la propria popolosa comunità.

Portus Iulius
5. - Numerosi resti archeologici
ancora testimoniano la ricchezza Il complesso di Portus Iulius nasce come porto militare nel 37 a.C., per
e la densità edilizia dell’antica
ripa puteolana. volere di Agrippa, in previsione della guerra civile contro Sesto Pompeo, che
controllava la Sicilia. Per la sua realizzazione furono
effettuate grandi opere d’ingegneria: un canale lungo
400 metri collegava il mare con il lago Lucrino ed un
secondo metteva quest’ultimo in comunicazione con
il lago d’Averno.
Dismesso il ruolo militare trasferito al nuovo
porto di Miseno, il Portus Iulius, ampliato con infra-
strutture e magazzini, assunse un’importante funzio-
ne commerciale potenziando la recettività di quello di
Puteoli. Mutamenti geologici hanno portato alla som-
mersione dell’impianto portuale (bradisismo) e ad un
radicale restringimento del Lucrino, invaso dall’eru-
zione del Monte Nuovo (fig. 4). La conoscenza del
porto, che giace ora a bassa profondità, si deve in
gran parte, seppure nelle linee generali, alla fotogra-
fia aerea grazie alla quale sono stati individuati il
canale di accesso, le darsene e i numerosi magazzini
(fig. 5). Queste strutture sono spesso state luogo di
ritrovamenti occasionali, tra questi ricordiamo il
recupero di 10.000 lucerne già usate ed accatastate in
uno dei magazzini, evidentemente impiegate per con-
sentire anche il lavoro notturno. Un’area-campione di
quasi 10.000 mq è stata oggetto di più dettagliate
indagini subacquee, permettendo di precisare le trac-
ce tratte dalla fotografia aerea. Il settore indagato cor-
risponde ad un grande magazzino a pianta quadran-

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golare con corte centrale,


articolato in lunghi tronconi
con ripetizione di moduli
uguali. Muri in reticolato
suddividono una serie di
stanze, alcune ancora prov-
viste di soglie in pietra, di
pavimenti e di resti dell’im-
pianto idraulico, che si apro-
no su un porticato. Rampe
di scale documentano inoltre
la presenza di un piano
superiore. Una grande
domus, forse appartenente al
proprietario del magazzino,
conserva ancora in piena
evidenza un peristilio di
colonne in laterizio ed
ambienti con pavimenti di
6. - Resti pavimentali in mosaico
nell’area di Portus Iulius (foto E. mosaico e di signino (fig. 6).
Scognamiglio). Il canale di accesso al Porto Giulio era destinato, secondo un progetto mai
portato a termine, a consentire l’ingresso in un lungo canale che avrebbe dovu-
to collegare direttamente il porto di Puteoli a Roma. Durante il regno di Nero-
ne si iniziò lo scavo di un canale navigabile (fossa Neronis) per rendere più
sicuro il tragitto invernale delle navi che dovevano trasferire il grano a Roma.
Il canale doveva avere una larghezza di 60 metri per consentire l’incrocio di
due quinqueremi. La morte di Nerone interruppe i lavori, ma tracce dell’opera
sono ancora individuabili dalle fotografie aeree.

Baia

Baia fu un centro residenziale rinomato per il clima mite, la bellezza del


paesaggio e la ricchezza di benefiche acque termali, sfruttate fin dal II secolo
a.C. Celebre luogo di villeggiatura fu meta della più alta aristocrazia romana e
della famiglia imperiale fino a tutto il III secolo d.C. L’attuale conformazione
del paesaggio si discosta molto dall’antico assetto del territorio per la sommer-
sione, in seguito al bradisismo, di tutta la fascia costiera. L’insenatura di Baia
era anticamente occupata da un lago (Baianus lacus), comunicante con il mare
aperto tramite un ampio canale, le cui sponde erano densamente edificate da
lussuose ville dotate di approdi e peschiere. Tra i principali edifici sommersi,
finora documentati, sono il ninfeo imperiale di Punta Epitaffio, la villa dei
Pisoni ed un complesso termale, disposti lungo una strada basolata e, nell’e-
stremità meridionale dell’insenatura, una peschiera a pianta semicircolare.
Anche l’entroterra è costellato da imponenti resti di strutture purtroppo par-
zialmente distrutti dall’edilizia moderna, ma un esempio della densità edilizia

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e del tessuto urbanistico del-


l’antica Baia si conserva nel-
l’attuale Parco Archeologico
dove si intersecano ville resi-
denziali, complessi termali
pubblici e privati. I primi
segnali del lento movimento
discendente, che portò alla
7. - La suggestiva ricostruzione scomparsa della fascia costiera iniziarono sul finire del IV secolo d.C., ma
del Ninfeo di Punta Epitaffio in
una sala del Museo archeologico ancora nel VI secolo Baia continuava ad essere considerata luogo di piacevoli
dei Campi Flegrei (Castello Ara-
gonese di Baia). soggiorni.
L’area sommersa non è altro che la prosecuzione di quanto ancora oggi si
conserva a terra, particolarmente importante è stato lo scavo di Punta Epitaffio,
condotto negli anni ’80. Nel 1969, il rinvenimento casuale nel fondale anti-
stante Punta dell’Epitaffio, il promontorio che chiude a nord l’insenatura di
Baia, di due statue di marmo sfigurate superiormente dai litodomi marini portò
all’individuazione di un grande edificio appena affiorante dalla sabbia. Succes-
sivamente furono riconosciuti in esse due dei protagonisti della celebre scena
dell’inebriamento di Polifemo descritta da Omero nel libro IX dell’Odissea:
Ulisse che porge la coppa piena di vino al Ciclope, mentre un suo compagno
versa altro vino da un otre. Un lungo scavo, all’inizio degli anni ’80, ha poi
messo in luce un ampio ambiente rettangolare absidato, con le pareti lunghe
articolate in quattro nicchie precedute da un ingresso. Tutto intorno alle pareti
corre uno stretto canale ancora in parte rivestito da lastre di marmo, mentre
all’interno del piano centrale è ricavata una grande vasca. Durante lo scavo
dello strato di abbandono, sono state trovate cinque statue, cadute dalle nicchie
laterali. L’abside era foderata con pezzi di calcare in modo da renderla simile
ad una grotta naturale; la statua di Polifemo, che doveva trovare posto nell’ab-
side tra Ulisse e il suo compagno, dovette essere certamente asportata già all’e-
poca dell’abbandono dal momento che al suo posto è stata trovata una sepoltu-
ra tardo-antica. La presenza di condutture d’acqua all’interno delle statue e
l’architettura della sala hanno permesso di identificarlo come un lussuoso nin-
feo-triclinio.
L’identificazione delle statue con personaggi legati all’imperatore Claudio
(la madre, Antonia Minore, ed una delle figlie morta in tenera età) ha permesso
di riconoscere nel ninfeo un settore della residenza imperiale a Baia e datarlo
alla prima metà del I secolo d.C. Tracce di rifacimenti e di restauri ne indicano
l’impiego fino al IV secolo d.C., quando ebbe inizio il lento abbandono della
costa progressivamente invasa dall’acqua marina per il fenomeno del bradisi-
smo. Dopo una lunga ed impegnativa opera di conservazione e di restauro, le
statue insieme a parte della decorazione architettonica sono esposte nel Castel-
lo di Baia, in una sala del museo archeologico, suggestivamente ambientate in
una ricostruzione quasi a grandezza naturale del ninfeo sommerso (fig. 7).
Oltre all’assidua presenza della famiglia imperiale e della corte, in un grandio-
so complesso che occupava gran parte di Baia, l’intera costa flegréa, ormai in
gran voga grazie anche al richiamo delle rinomate sorgenti termali, era andata

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sommersi: l’esempio dei Campi Flegrei

rapidamente riempiendosi delle lus-


suose ville dei più eminenti perso-
naggi dell’élite romana. Un esempio
dell’architettura delle ville marittime
lo ritroviamo negli affreschi di Sta-
8. - Il molo del porto di Miseno, in
larga parte ricoperto da una sco- bia e di Pompei, ampiamente confermato dai ritrovamenti subacquei effettuati
gliera moderna. lungo tutta la costa che da Baia giunge fino a Miseno. Un’altra categoria di
monumenti tipici di questa area sono le peschiere. Già dal I secolo a.C., aveva
preso avvio e si era sviluppato con ampie ed esasperate applicazioni anche
l’allevamento ittico, grazie a Sergio Orata, impresario e realizzatore geniale
dei primi allevamenti di ostriche, cui va riconosciuto il merito di avere costrui-
to, oltre ai primi bagni pensili, gli impianti per la piscicoltura direttamente in
mare e di averne saputo diffondere la costosissima moda divenuta poi dilagan-
te in tutta l’alta società romana.
L’insieme di alta società, ricchezza, lusso e amenità dei luoghi costituì una
dirompente miscela di occasioni di divertimenti e d’incontri, ma anche, a detta
di molti moralisti dell’epoca, un invito al rilassamento dei costumi e della
morale. Anche il poeta satirico Marziale, frequentatore di Baia sullo scorcio
del I secolo d. C., si unisce al coro con un ironico epigramma (I, 60, 5): «La
casta Levina era più rigida del rigidissimo marito. Mentre passava dal Lucri-
no all’Averno e quando spesso si ristorava nelle acque di Baia, cadde nel
fuoco dell’amore: abbandonò il marito e seguì il giovane amante. (a Baia) Era
giunta Penelope e ne ripartì Elena».

Miseno

La profonda insenatura di Miseno, il cui toponimo deriva secondo la leg-


genda dal compagno di Ulisse, fu utilizzato come approdo naturale già in età
arcaica da Cuma. In epoca romana Miseno divenne un centro residenziale
caratterizzato da sontuose ville; acquisì una funzione militare solo alla fine
del I secolo a.C., quando vi fu trasferita dal vicino Portus Iulius la flotta mili-
tare. Il porto cadde in disuso nel V sec. d.C. quando Teodorico trasferì l’intera
flotta a Ravenna. Quando, nel 79 d.C., si verificò l’eruzione del Vesuvio che
distrusse Pompei, la carica di praefectus classis era rivestita da Gaio Plinio
Secondo, il grande enciclopedista latino meglio noto come Plinio il Vecchio,
il quale con una nave militare accorse da Miseno sui luoghi del disastro per
osservare da vicino il fenomeno e portare aiuto alla popolazione in fuga. Del-
l’antico porto militare si conservano i resti di otto piloni di un molo su arcate
e di un molo più interno, in gran parte ricoperto dai blocchi di una scogliera
moderna. Ne resta in vista solo la grande testata curvilinea da cui sporgono
quattro grandi anelli d’ormeggio in pietra, tutti con le estremità spezzate e
giacenti sul fondo alla base del molo. Sul lato interno si conserva una rampa a
gradoni per le operazioni di imbarco e sbarco (fig. 8). Dal lato opposto, l’im-
boccatura del porto era delimitata da un altro molo ad arcate, di cui si conser-
vano alcuni piloni.

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9. - L’area del parco archeologico
sommerso con l’indicazione dei Tutela e conservazione
percorsi subacquei allestiti nei
due principali complessi.
La costa dei Campi Flegrei conserva un patrimonio sommerso di inestima-
bile valore storico ed artistico con grandi potenzialità di attrattive culturali e
10. - Villa a Protiro, un pavimento turistiche ma al tempo stesso comporta grandi problemi di tutela e conserva-
in mosaico perfettamente conser-
vatosi (foto E. Scognamiglio). zione e valorizzazione.
Ai fini della conservazione in situ è importan-
te trasformare in aree protette quelle zone che,
ricche di presenze archeologiche, sono soggette a
rischi di danneggiamenti e di distruzioni in quan-
to adibite a funzioni contrastanti con la loro stes-
sa sopravvivenza (ormeggi, attività di pesca, ecc).
Un clamoroso esempio si ha proprio nel porto di
Baia, dove per anni il traffico commerciale del
porto – ora interrotto grazie ad una interdizione
alla navigazione emessa dalla magistratura – ha
messo a repentaglio l’area archeologica sommer-
sa.
Molto valida a tale scopo appare la creazione
di parchi archeologici sottomarini, veri e propri
musei aperti non solo ai subacquei e proprio a
Baia la Soprintendenza per i Beni Archeologici di
Napoli e Caserta ha applicato per la prima volta
ad un’area archeologica marina la possibilità
offerta dalla legge Ronchey di dare in concessio-
ne a soggetti privati la gestione di servizi acces-
sori, quali vigilanza, pulizia dei fondali, visite
guidate subacquee e di superficie, che difficil-
mente una Soprintendenza avrebbe potuto con-
durre per carenza di mezzi e di personale specia-
lizzato.

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Si giunge così, all’inizio del 2002, alla nascita del Parco Archeologico di
Baia Sommersa che racchiude in un’area di circa 80.000 mq alcuni dei com-
plessi archeologici sommersi meglio conservati, tra cui la Villa dei Pisoni e la
Villa a Protiro; attraverso questi due complessi sono ora stati allestiti due per-
corsi subacquei che mostrano ai visitatori gli aspetti più interessanti e più sug-
gestivi dell’area archeologica (figg. 9-10) .

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