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PREMESSA

Questo fascicolo di «Quaderni Storici» si propone di riflettere sul


rapporto fra i saperi e gli spazi di variabile estensione e statuto nei quali
essi vengono prodotti e circolano1. Provenienti da tradizioni storiogra-
fiche distinte, ma accomunati dal confronto con problemi condivisi,
specialisti di diversi ambiti del sapere e di varie aree del mondo sono
stati invitati a mettere alla prova ed esplorare questa relazione, concen-
trando l’attenzione su casi e momenti specifici, all’interno di un arco
cronologico limitato al lungo Cinquecento. Saperi medici e naturalistici
o filologici e storici, cartografici ed enciclopedici sono, dunque, di volta
in volta, al centro di ricerche che mirano a investigare le loro modalità
di inscrizione spaziale, nella consapevolezza che il rapporto fra spazi e
saperi non si può ridurre alla relazione fra contenitore e contenuto e
che lo spazio non rappresenta una semplice superficie su cui i fenomeni
sociali e culturali si distribuiscono. L’ampiezza dello spettro spaziale del
fascicolo non si costruisce per cerchi concentrici, procedendo, cioè, dal
piccolo al grande e assumendo, così, un’idea di continuità degli spazi dal
locale al globale. Non si tratta neppure di muoversi per contiguità spa-
ziali, proponendo una – più o meno rilevante e originale – campionatura
della diversità dei saperi che si producono in una «età degli imperi». Il
farsi dei saperi non si lascia, cioè, incasellare a priori in una griglia di
tipo geo-politico che accosta macro-spazi come tessere di un mosaico
che, insieme, compongono la superficie del mondo. L’ampiezza spaziale
abbracciata dai saggi del fascicolo si presenta, piuttosto, come elemento
stesso di riflessione, nell’interazione di ricerche interessate a esplorare
le molteplici discontinuità e interconnessioni della pluralità di aree nelle
quali i saperi prendono forma e circolano, senza che una dimensione
globale venga assunta come attributo intrinseco e scontato dei saperi
della prima età moderna. Tematizzare questa complessità induce subito
a riflettere sulla pluralità dei rapporti allo spazio con i quali lo storico
dei saperi è chiamato a confrontarsi e sulla necessità di articolare analisi
in grado di tenere insieme spazi dotati di estensioni areali e profondità

QUADERNI STORICI 142 / a. XLVIII, n. 1, aprile 2013


4 Premessa

relazionali diverse e specifiche. Intorno a tale questione generale si sono


messi in dialogo i saggi che qui si presentano e, in questo contesto, il
«globale» è emerso come una delle diverse scale con le quali misurarsi.
Alcune delle ricerche di questo fascicolo puntano l’attenzione, infatti,
su processi di produzione e circolazione dei saperi che si inscrivono
in luoghi specifici e circoscritti, ma caratterizzati da un tessuto rela-
zionale denso: il convento di Tlatelolco a Città del Messico, centro di
formazione delle élite indigene, protetto dai poteri vicereali e luogo di
una «medicina della conversione» che prende forma nell’interazione,
anche conflittuale, di istanze e rivendicazioni diverse, vicine e lontane;
la Biblioteca Imperiale di Vienna, progetto realizzato, con fasi alterne
di slancio e ripiegamento, fra aspirazioni a un’organizzazione univer-
sale del sapere, istanze del potere e circostanze materiali cogenti nella
capitale asburgica. Spazi singolari, essi sono analizzati come centri di
attrazione e accumulazione dei saperi, in rapporto dinamico altri tipi di
spazi – locali, regionali, imperiali –, che nelle loro interazioni e sovrap-
posizioni contribuiscono a riconfigurarli. Altri contributi si misurano
con aree più vaste e fisicamente discontinue, che si configurano attra-
verso percorsi e itinerari di uomini e cose e reti di raggio variabile, fino
all’emergere di snodi locali, molto diversi nei vari casi e con variabile
capacità di tenuta. L’impresa cosmografica di Sebastian Münster, fina-
lizzata a costruire una rappresentazione globale della terra, si articola,
in realtà, nello spazio più limitato di esperienze di mobilità individuali
e di relazioni a distanza intessute in ambito tedesco, rielaborate poi a
Basilea; le storie naturali elaborate a confronto con il tessuto urbano
policentrico di una Roma città e centro del mondo cattolico, si produ-
cono e riarticolano in spazi multipli assai più ampi, interagendo con
altre progettualità politiche universaliste, in competizione con quella
pontificia. Ancora, ci sono lavori che abbracciano frontiere terrestri e
oceaniche, polarizzandosi poi intorno a nodi interdipendenti, come nel
caso dell’Indonesia della Compagnia delle Indie orientali olandese o di
una Cina che si costruisce, nell’ampio orizzonte cattolico, nel quadro
delle tensioni fra Roma e Madrid, Città del Messico e Manila.
La scelta di concentrare l’arco cronologico intende favorire, innan-
zitutto, il dialogo interno fra le ricerche, a partire da un approccio il
più possibile sincronico a uno spazio che, sia pure globale nell’effetto
di insieme, non si propone, come già osservato, come somma di par-
ti ma piuttosto come dimensione complessa e composita. Il rapporto
inversamente proporzionale nelle scelte di spazio e tempo, sulle qua-
li il fascicolo si costruisce, consente, in questo senso, di proporre al
lettore lo strumento della comparazione come risorsa per attraversare
un insieme di lavori che si possono accostare, di volta in volta, sulla
Premessa 5

base della cronologia o piuttosto dell’interconnessione degli spazi che


analizzano e dal modo in cui i saperi concorrono a definirla. Il lungo
Cinquecento che abbiamo scelto per questo fascicolo ci sembra inoltre
rappresentare un osservatorio privilegiato. Esso coincide, infatti, con
un mutamento profondo nelle dinamiche dello scambio dei saperi, sia
in termini di intensità che di spazialità, e proprio questa connotazione
specifica rende la scelta particolarmente significativa, rispetto ai temi
della riflessione2. Da una parte, in questo periodo, prendono forma
nuove reti di comunicazione: esse possono coprire una dimensione glo-
bale e arricchiscono lo spettro degli attori coinvolti in questi processi.
Come dimostrano diversi casi presi in considerazione, i circuiti diplo-
matici, missionari e commerciali giocano un ruolo cruciale nei processi
di produzione dei saperi, appoggiandosi su luoghi e vie, distinte ma in-
trecciate, variamente distribuite sulla superficie del globo. Conseguenza
di tale mutamento, o comunque in connessione con esso, si assiste a un
aumento impressionante di informazioni e di strumenti che permettono
la loro circolazione, come le lettere, nonché allo sviluppo di tecnologie
finalizzate alla gestione di questa sovrabbondanza, come confermano,
per esempio, i questionari per la raccolta delle informazioni, in una
delle ricerche qui presentate. Ancora, il lungo Cinquecento coincide
con una crescente disponibilità di libri, a seguito dell’introduzione del-
la stampa in Europa ma anche in Asia e in America. Tale arco crono-
logico si identifica dunque con una fase di ampliamento del mondo,
concepito ed esplorato fino a comprendere le sue quattro parti, come
ricorda, all’inizio degli anni Trenta del Seicento, Francesco Ingoli, se-
gretario della neo-istituita Congregazione romana di Propaganda Fide,
nel titolo della sua importante Relazione, rimasta, in realtà, molto a
lungo manoscritta3. L’ecumene raggiunge, dunque, la scala del globo:
la dilatazione geografica non corrisponde, infatti, soltanto alla scoperta
del Nuovo Mondo e alla graduale esplorazione e occupazione di spazi
enormi da parte di soldati e missionari ma significa anche, almeno dal
punto di vista dell’Europa, l’aprirsi delle Indie Orientali. Ciò implica
l’attraversamento di frontiere fino ad allora invalicabili, come quelle
della Cina, al centro di una delle ricerche; contemporaneamente, signi-
fica l’intensificarsi delle vie marittime nell’Oceano Indiano, fra nuove
rotte e nuovi poteri commerciali e l’emergere di uno stabile e ricco
sistema di scambi, attivo, in realtà, assai prima delle conquiste europee,
come mettono in evidenza altri contributi. Se quindi la specificità del
lungo Cinquecento emerge chiaramente dai contributi del fascicolo,
presi insieme, essi restituiscono l’impressione che l’esplorazione della
terra, le possibilità materiali di circumnavigarla o di connettere luoghi
distanti non determinino di per sé il pensare la compiutezza del mondo.
6 Premessa

In questo senso, la globalità non appare effetto scontato e ubiquo dei


tempi ma un’opzione situata, che corrisponde ad articolazioni speci-
fiche del rapporto tra spazi materiali, rappresentazioni e azioni4. I saggi
si confrontano, in effetti, con totalità o «universalità» identificabili o
meno con il globo nella sua rotondità, offrendo nuovi spunti per esplo-
rare l’operatività di tali concezioni della fabbrica dei saperi.
Nel corso degli ultimi quindici anni, la varietà di studi che ha
consentito l’identificazione di uno spatial turn nelle scienze sociali
ha sostenuto la proposta di uno slittamento da una concezione as-
soluta dello spazio, inteso come contenitore, a una sua concettualiz-
zazione in termini relativi o, meglio, relazionali5. In questo contes-
to, al di là delle differenti nozioni utilizzate e delle diverse espe-
rienze e linee di riflessione in esso confluite, indubbio appare il ruo-
lo svolto dalla geografia, intesa come risorsa euristica ancor prima
che come disciplina, nel lavoro di messa in corrispondenza di sape-
ri e spazi6. In sede storica, d’altra parte, la rinnovata attenzione al-
la dimensione spaziale si inserisce all’interno di un più ampio e va-
riegato ventaglio di riflessioni che, già in precedenza e in tradizio-
ni storiografiche comunque diverse, si sono confrontate con la ques-
tione dei contesti spaziali della produzione dei saperi. Dal nostro pun-
to di vista, discutere e mettere a fuoco, innanzitutto, il tipo di pro-
blematiche spaziali che tutto questo lavoro profila appare di note-
vole importanza, nella prospettiva di una più profonda riflessione sul-
la mise en espace delle domande che alimentano l’analisi della fabbri-
ca dei saperi. In questa prospettiva, vorremo, dunque, confrontarci
su tre proposte storiografiche, senza pretendere che siano le uniche,
tanto meno con l’intenzione di presentarle secondo un ordine gerar-
chico.
Nell’ambito della storia culturale, gli storici dell’età moderna in
Francia, a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, hanno
affrontato il problema delle pratiche culturali e di conseguenza quello
dei luoghi della cultura. In questo ambito, si apriva, dunque, precoce-
mente, una prospettiva di riflessione sullo spazio. D’altra parte, la storia
della scienza anglofona, ispirata dalla sociologia, riconfigurava, presso-
ché in parallelo, la storia delle conoscenze come storia di pratiche, sen-
sibilizzandosi, per questa via, alle implicazioni spaziali della produzione
sociale saperi7. In ambito francese, i lavori sulla scolarizzazione faceva-
no emergere il ruolo dei collegi; quelli sull’Illuminismo consentivano
un ripensamento profondo delle Accademie; la storia del libro invita-
va a pensare l’editoria come fabbrica del sapere8. Un lavoro come Les
académies de province di Daniel Roche spostava il fuoco dell’analisi da
Parigi alla provincia francese, invitando a ripensare, secondo modalità
Premessa 7

nuove, il rapporto centro-periferia. Inoltre, il libro ridefiniva i termini di


gerarchia spaziale, a partire dall’analisi di reti sociali e di circolazioni di
persone, libri e saperi, consentendo di ripensare la storia delle pratiche
culturali in termini di luoghi ma anche di reti e flussi9. Rispetto alla li-
nearità del modello tradizionale, dunque, la costruzione dei saperi rive-
lava dinamiche assai più complesse che disegnavano, attraverso le reti,
un sistema di nodi, offrendo uno spunto che, elaborato, in parallelo,
in contesti intellettuali completamente diversi, rimane un’acquisizione
fondamentale da mettere al lavoro nell’analisi di fabbriche dei saperi
che ora si affrontano in una prospettiva transnazionale.
Nato in un orizzonte in larga parte diverso, fra la storia del libro
e delle biblioteche e le tuttora suggestive riflessioni sullo spazio di Mi-
chel de Certeau come «luogo praticato», il progetto di Christian Jacob
sui «Lieux de savoir» ha di recente riportato all’attenzione dell’intera
comunità delle scienze sociali l’importanza del nesso saperi/luoghi e la
necessità della sua rielaborazione10. Non privo di richiami, in realtà, alla
già menzionata storia sociale delle pratiche culturali, il primo dei due
tomi curati da Jacob dispiega, in particolare, la pluralità delle forme
spaziali attraverso le quali si pone la problematica dei saperi, mettendo
contemporaneamente a fuoco la tensione tra i luoghi della produzione
e le logiche della circolazione11. Questa impresa intellettuale di ampio
respiro, fondata su una cronologia ampia e a un comparativismo altret-
tanto aperto fra culture molto diverse, si è offerto al cantiere di lavoro di
questo fascicolo come una fonte di ispirazione fondamentale. Sono due
i perni intorno ai quali ruota il volume curato da Jacob. Da un lato, esso
articola una riflessione su saperi e spazi colti nella loro processualità. Il
binomio «fare corpo»/«fare spazio» che si trova al centro del volume
correla, in effetti, un approccio dinamico alla produzione di saperi, con
una nozione analogamente aperta di comunità savantes. Questo tipo
di definizione risulta di grande interesse rispetto all’esigenza condivi-
sa di esplorare più in profondità le logiche e la natura dei legami che
rendono i saperi un’impresa collettiva, superando categorie estrema-
mente problematiche, come quella di Repubblica delle lettere, anche
attraverso una piena assunzione della dimensione spaziale della fabbri-
ca dei saperi. Dall’altro lato, il lavoro di Jacob introduce il concetto
di «configurazioni spaziali» delle circolazioni, identificate per mezzo
di «vettori concreti, vivi o materiali, siano essi testi, oggetti, discorsi
e lingue, agenti umani e tecniche di comunicazione»12. In questo sen-
so, Lieux de savoir affronta i saperi come prodotto e, al tempo stesso,
principio degli spazi, e delinea una tensione tra «lieux» e «territoire et
mobilité» che articola l’orizzonte critico in cui i saggi del fascicolo si
collocano.
8 Premessa

Un terzo tipo di referenza storiografica, quella centrata sui mondi


non europei, ha giocato un ruolo non secondario nell’allestimento del
questionario alla base del progetto del fascicolo. Il suo contributo si
deve individuare intanto nell’ampliamento degli spazi dell’analisi fino
a livello globale e dunque nel ripensamento delle loro gerarchie. Ciò
ha consentito di accantonare definitivamente il modello diffusionista,
costruito in relazione al paradigma della «rivoluzione scientifica» e del-
la nascita della scienza moderna intesa come fenomeno esclusivamente
europeo, sia in termini di risorse intellettuali che materiali13. È fonda-
mentale sottolineare quanto la nuova attenzione dedicata alla dimen-
sione spaziale dei fenomeni sia stata in grado, in questo quadro, di
far emergere le geografie implicite sulle quali si era costruita la storia
delle scienze nel mondo occidentale, in corrispondenza con il suo affer-
marsi come nuova disciplina accademica14. Allora, rispetto al discorso
classico della «rivoluzione scientifica», una prima conseguenza è stata
quella di sostituire, a un’Europa in cui incardinare l’analisi del passag-
gio dal mondo chiuso all’universo infinito, una mappa multipolare dei
luoghi di sapere15. In secondo luogo, questo composito filone storio-
grafico, in dialogo con l’antropologia e fortemente ispirato dalle teorie
post-coloniali16, ha offerto uno stimolo determinante a confrontarsi con
la molteplicità delle configurazioni socio-spaziali che partecipano alla
produzione dei saperi. Un tale approccio ha puntato sulla «località»,
come scala pertinente per i fenomeni di produzione dei saperi, in grado
di far emergere dallo studio la complessità dell’agency. Questa scelta
ha portato al centro della scena gli attori locali e la loro capacità di
azione, nonché il ruolo degli intermediari, anche se all’interno di rap-
porti di potere asimmetrici17. D’altra parte, all’ampia storiografia che
potremmo identificare in maniera sintetica con l’etichetta «science and
empire» si deve in anni recenti un notevole arricchimento del problema
della mobilità dei saperi, costruito su un’attenzione forte alla categoria
di circolazione, considerata tutt’altro che semplice movimento18. Si è
trattato di avviare un ripensamento radicale della distinzione fra pro-
duzione e circolazione, la quale implicava che ci fossero luoghi centrali
associati alla produzione e luoghi periferici, definiti in quanto ricettori
delle scienze e dei saperi. All’interno di questa storiografia si è riflettuto
sulla relazione che si instaura fra i processi di elaborazione dei saperi
e la costante mobilità che li caratterizza. La messa in discussione del-
la tassonomia binaria che tende a distinguere i momenti della produ-
zione da quelli della circolazione ha trovato nei concetti di «productive
nodes» e «global networks» importanti risorse, e le circolazioni sono
state ridefinite come «sito» dei saperi da Kapil Raj, autore di una delle
proposte più feconde19. Le nuove prospettive aperte dal programma
Premessa 9

«Science and empire» si sono dunque, da un lato, concentrate sulla di-


mensione locale della produzione di saperi, situata finalmente in aree
non-europee, riarticolando la complessità dello scambio all’interno di
configurazioni geopolitiche. Dall’altro, la proposta di ripensare il qua-
dro imperiale ha consentito di riprendere l’analisi delle sue spazialità
e delle diverse scale che, dal luogo all’impero, e anche oltre, venivano
mobilitate per comprendere fino in fondo le logiche di circolazione20.
Un risultato di questi lavori ci sembra sia stato il ricorso, con sempre più
forza, al «gioco di scale», cioè all’opzione di articolare l’analisi su scale
diverse. Nata in un contesto storiografico molto diverso, quello della
lettura critica della microstoria italiana da parte degli storici francesi,
e concretizzatasi nel volume curato da Jacques Revel, Jeux d’échelles,
tale prospettiva può essere ripresa oggi all’interno di questi studi, of-
frendosi come un’alternativa rispetto all’imporsi di una scala globale,
quadro spaziale scontato e indiscusso della storia identificata anch’essa
come globale21. Il ritorno al gioco di scale, o meglio la sua integrazione
nell’analisi in quanto metodologia rilevante, deve essere sottolineato
non solo per il suo valore euristico, ma proprio in quanto modalità di
una nuova articolazione fra due proposte analitiche percepite di solito
come antagoniste, la microstoria e la storia globale22.
L’analisi del farsi dei saperi con lo spazio che questo fascicolo pro-
pone individua, dunque, la relazione fra micro e macro come una fon-
damentale risorsa metodologica, attraverso cui esplorare le multiple
tensioni e connessioni fra diversi tipi di spazi: luoghi e territori ma anche
reti, per definizione inclini a oltrepassare i confini23. Mettendo a frutto,
in modi molto diversi, il principio della variazione di scala, tutti i saggi
del fascicolo si misurano con saperi che si costruiscono fra la presen-
za di interazioni dirette e la distanza di relazioni mediate, dimensioni
non isolabili l’una dall’altra ma d’altra parte fortemente discontinue.
Così, l’osservazione ravvicinata dei luoghi, che, in alcuni saggi, ricorre
agli strumenti analitici della microstoria, si combina in continuazione
con la messa a fuoco di aree ampie, a scala di territori circoscritti in
Europa o in America, di Imperi, del globo, mentre i nodi locali si af-
frontano in tensione con le entità geopolitiche. Nel caso di una città
come Roma, di un luogo come la Biblioteca Imperiale di Vienna o il
convento francescano di Città del Messico, si dimostra come un sito
possa assorbire una grande varietà di spazi, metropolitani e coloniali,
assegnando tramite tali processi, un senso specifico ai saperi che vi
confluiscono: il catalogo dei Turcica, la «medicina della conversione»
o la storia della Cina. La microstoria diventa allora una delle risorse
analitiche che invita a un ripensamento delle scale, compresa quella
globale. Parallelamente, gli spazi non si configurano sistematicamente
10 Premessa

come un «mosaico» di singoli tasselli spaziali24 ma si definiscono piut-


tosto come insiemi interconnessi che, senza rispondere a gerarchie di
scala predefinite, definiscono e arricchiscono la loro stessa singolarità. I
siti urbani, Città del Messico e Roma, Vienna e Giava, emergono allora
come potenziali nodi di articolazione dei saperi25 e offrono la possibilità
di tracciare interconnessioni che non necessariamente collocano centri
e capitali dell’Europa in posizione privilegiata26. Il superamento della
classica opposizione centro/periferia consente in questo senso non solo
di mettere in discussione la perifericità dei luoghi distanti, su cui si
fondano le storie di taglio eurocentrico dall’Ottocento in poi, ma anche
di problematizzare la centralità dei centri e di individuarne specificità
e limiti come effetto di processi più ampi e di dinamiche interconnesse.
In una prospettiva di giochi di scala, i saggi del fascicolo hanno cos-
truito i propri oggetti di indagine pensando le pratiche del farsi dei sape-
ri, legati a luoghi e a mobilità, come esperienze spaziali, cioè come azioni
attraverso le quali gli attori si mettono in relazione con gli spazi. Una
rilettura in chiave pragmatica della nozione di pratica spaziale di Michel
de Certeau e della sua concezione dello spazio come «luogo praticato», i
cui nodi, orientamento e temporalità prendono forma nell’andare e ve-
nire degli attori, nel loro abitarlo e attraversarlo, è alla base di uno spa-
zio della fabbrica dei saperi che si produce nell’agire27. Riconoscendo la
natura intrinsecamente comunicativa dei saperi, le azioni sono state poi
rintracciate proprio in quanto trasposizioni empiricamente osservabili
dei modi attraverso i quali gli attori si relazionano allo spazio. Al tempo
stesso, gli spazi materiali in cui i saperi si costruiscono, sono letti come
cristallizzazioni di reti di pratiche comunicative, capaci di ridefinirne, di
volta in volta, configurazioni e valenze. In questo modo la fabbrica dei
saperi si è venuta a definire, a partire dagli attori, come un’arena mul-
tidimensionale di azioni comunicative, non necessariamente allineate
fra loro ma coordinate in diverso modo, e agganciata a una dimensione
spaziale in fieri che, di volta in volta, contribuisce a ridefinire autorità
degli attori e legittimità delle pratiche28. La fabbrica dei saperi appare
dunque innanzitutto un’impresa plurale e polifonica. Una densità di
attori affollano le pagine dei saggi: collocati in ambiti politici, sociali
e giurisdizionali vari, essi si muovono lungo traiettorie che sembrano
talvolta contraddittorie e, comunque, solo parzialmente compatibili le
une con le altre. Il primo orientalismo olandese è alimentato da un
mondo eterogeneo di mercanti che si muovono nell’area malese con
competenze linguistiche minime e tuttavia di per sé già rare e preziose.
I rappresentanti istituzionali delle città imperiali tedesche sono, in pre-
senza e a distanza, i principali interlocutori nel processo di elaborazione
di un’impresa cosmografica universale portata avanti a Basilea. I sape-
Premessa 11

ri naturalisti romani si producono nel confronto tra medici di corte e


speziali ed empirici attivi in ambito urbano, ma anche da lontano, per
via epistolare, coinvolgendo cardinali di diverse fazioni, rappresentanti
diplomatici, missionari di vari ordini e diverso profilo, animati da non
uniformi interessi e tipi di rivendicazione. Viaggiatori di passaggio e
corrispondenti, uomini di corte, funzionari imperiali e i semplici frati
che ne occupano gli spazi partecipano al cantiere materiale della biblio-
teca universale di Vienna. Indios con profili sociali e culturali diversi,
con diversi tipi di competenze, e figure con funzioni di governo, attive
in un complesso scientifico urbano o, in azione a distanza, configurano
i saperi medici nel Messico coloniale. La prima storia della Cina a Ro-
ma non rappresenta l’organica operazione intellettuale di un collettivo
savant ma si costruisce come intreccio di istanze diverse, fra le multiple
fedeltà di un missionario agostiniano, la pluralità dei poteri e giurisdi-
zioni che con lo spazio cinese si confrontano o che rivendicano un ruolo
in questi nuovi orizzonti e le ragioni di un progetto editoriale.
La coerenza della fabbrica dei saperi non si individua dunque a
partire da nozioni di identità e da forme e regole di appartenenza; ap-
pare impossibile da rinchiudere all’interno di corpi sociali tenuti insie-
me da logiche di tipo esclusivamente professionale, anche se esse non
appaiono acquisite una volta per sempre ma al contrario sono oggetto
di un continuo lavoro di elaborazione e ridefinizione. D’altra parte,
gli attori che popolano le pagine dei saggi non ci sembrano costruire
neppure, fino in fondo, delle comunità savantes, cioè dei collettivi che
in modo consapevole si riconoscono e assumono specifiche modalità
di appartenenza e integrazione o che vengono attraversati da conflitti,
negoziati ed esclusioni, a partire però da determinazioni comuni, an-
che se non interamente condivise. I saperi si costruiscono, piuttosto,
nell’interazione asimmetrica di tutti i diversi attori identificabili in una
situazione, nella tensione con la messa in forma di spazi sociali e politici
che essa stessa contribuisce a ridefinire.
L’attenzione posta dalle ricerche non soltanto ad azioni spaziali sin-
golari e alle configurazioni comunicative che esse consentono, di volta
in volta, di rintracciare, ma anche a sequenze di momenti che si suc-
cedono lungo il percorso degli attori presi in considerazione hanno,
d’altra parte, permesso di mettere in luce la diversità delle appartenenze
o lealtà degli individui, attraverso i diversi spazi che percorrono e in cui
risiedono. Da un lato, questa variabilità è apparsa capace di influenzare
a sua volta le singole situazioni, a partire dalla pluralità delle esperienze
spaziali e comunicative accumulate dagli attori e dal costante reinves-
timento delle competenze sviluppate in circostanze diverse. La dimen-
sione in questo senso «plurale» degli attori è risultata allora un elemento
12 Premessa

importante che accomuna i saggi29. Possiamo forse così capire meglio


come i saperi si costruiscano con lo spazio e come le loro pratiche, se
non imputabili alle disposizioni di omogenee e pre-definite comunità
savantes, non si possano neppure assegnare, una volta per tutte, a un
definito ambito spaziale. Piuttosto, la legittimazione di un sapere ap-
pare il prodotto instabile delle multiple interazioni comunicative che
articolano la relazione fra attori e spazi.
Prendere in considerazione le diverse capacità di agire e motivazioni
degli attori che partecipano agli scambi apre il problema della dimen-
sione politica dei processi di produzione del sapere. In un Cinquecento
degli Imperi, la necessità del sapere per il potere appare, del resto, una
questione cruciale con cui confrontarsi30. In questa prospettiva, diverse
sono le domande con le quali i saggi si sono misurati apertamente o
che hanno lasciato intravedere come ipotesi da sviluppare. Come af-
frontare la produzione della storia della Cina o di una storia naturale
del Nuovo Mondo a Roma, non rimanendo costretti nelle logiche della
categoria del patronage? Come leggere il farsi nella città del papa di
un commento al Dioscoride, tutto in chiave spagnola, dalla lingua del
testo all’edizione del libro, senza appiattirne la complessità di livelli
sulla linea esclusiva dei «saperi di stato»? Come si costruisce il catalogo
tematico sui Turcica a Vienna, all’incrocio fra le istanze universali di un
progetto di ordinamento dei saperi e le concrete dinamiche dei territori
asburgici e della loro capitale mobile? Quali tipi di istanze si intreccia-
no e danno forma a una cosmografia universale elaborata nello studio
di un cartografo di Basilea, nel dialogo, diretto e mediato, fra città e
corti tedesche? Come articolare insieme le logiche economiche della
Compagnia olandese delle Indie Orientali con le possibilità infinite di
confronto con comunità di letterati radicalmente diverse da quelle che
si stanno sviluppando in Europa e inserite da secoli in reti e pratiche
di scambio tessute a scala oceanica? Qual è la natura o la funzione dei
saperi prodotti nell’ospedale per gli indiani di un convento francesca-
no del Messico coloniale? Le risposte offerte dalle ricerche non sono
necessariamente omogenee ma condividono l’idea che la dimensione
politica della fabbrica dei saperi si costruisca insieme al quadro spaziale
in cui quest’ultima viene catturata e sulla cui messa in forma essa stessa
interviene. Il rapporto fra produzione dei saperi e configurazioni geo-
politiche appare innegabile: dando uno statuto particolare a un manos-
critto arrivato a Leida tramite Floris van Elbinck, e collocandolo in un
luogo specifico in cui acquisisce un significato determinato, Erpenio in-
serisce tale oggetto all’interno di una grammatica del mondo, coerente
con quella dell’impresa per la quale lui stesso lavora. Ancora più ovvia
appare tale dimensione nel caso di Blotius, la cui biblioteca universale
Premessa 13

deve negoziare di continuo la sua universalità non solo con le esigenze


del principe, ma anche con le necessità del governo dell’impero. Lavo-
rare variando la scala offre la possibilità di comprendere più a fondo il
modo in cui il nesso sapere/potere si articola in ambiti spaziali globali.
In primo luogo, muoversi fra macro e micro consente di osservare il
farsi dei saperi non soltanto all’interno di quadri geopolitici determinati
in partenza ma, appunto, in relazione a più complesse e dense configu-
razioni spaziali e comunicative che si ridefiniscono attraverso le espe-
rienze degli attori coinvolti in questi processi. Oltre a questo, metten-
do in tensione tra loro diverse dimensioni analitiche, ci sembra diventi
possibile una più fine comprensione di processi di legittimazione dei
saperi, che emergono prendendo in considerazione non in modo esclu-
sivo o alternativo, ma piuttosto combinato, diversi e interconnessi tipi
di istanze e rivendicazioni – individuali, collettive, istituzionali. Non si
tratta, dunque, di riprendere i modelli di analisi attorno a cui si struttu-
rava la proposta microstorica, di una storia dal basso, né di basarsi sul-
la presunta capacità di poteri e istituzioni di produrre norme general-
mente assunte e condivise e di ingenerare comportamenti uniformi, sia-
no essi ordini religiosi, compagnie di commercio, papi e congregazioni
o imperatori e potenti di vario genere, tanto per fare degli esempi che
ritornano nelle analisi dei saggi del fascicolo. Nel combinare spazi dei
saperi che si definiscono a scale diverse, si tratta di guardare a specifiche
situazioni comunicative nelle quali le rivendicazioni appaiono appunto
coordinate e mutualmente rafforzantesi31. La legittimità dei saperi ap-
pare, in questo contesto, un risultato mobile e sempre in fieri che si
ridefinisce e si qualifica comunque in rapporto alla configurazione di
spazi che essa stessa contribuisce a connotare.
Gli spazi di cui parlano i saggi sono dunque spazi materiali e spazi
di azione, ma anche spazi costruiti dalle parole o meglio da operazioni
di trascrizione o di «messa in scrittura» della realtà, che si intendono
analizzare in modo combinato e in tensione con essa32. I contributi del
fascicolo si sono proposti, dunque, di problematizzare un approccio alle
dimensioni spaziali filtrato attraverso parole e immagini, interrogando
il rapporto fra azioni e scritture ed evidenziando la loro natura prag-
matica. In questo senso, le ricerche si soffermano a ricostruire con par-
ticolare attenzione le concrete circostanze di produzione e il carattere
processuale di una «messa in scrittura» che prende forma in uno spazio,
racconta uno spazio e contribuisce a costruirlo. Le fonti scritte e visive
usate nei contributi sono numerose e ed eterogenee (lettere, questiona-
ri, cataloghi, elenchi di vario genere, piante e stampe di figura, docu-
menti provenienti dalle cancellerie di corti e città). Alcune «opere», di
vario genere letterario, occupano, però, una posizione privilegiata nelle
14 Premessa

ricerche, elette che le eleggono a loro stessi oggetti di indagine. Esse


non sono affrontate appunto come «testi», cioè dimensioni coerenti e
in sé autonome ma piuttosto come azioni comunicative complesse. A
partire da una intenzionalità del tutto esplicita, esse sono state consi-
derate come parte integrante di un processo comunicativo che tiene
insieme, pur nella distinzione, dimensioni testuali e pragmatiche. La
costruzione degli spazi reali – la biblioteca o l’ospedale –, o anche del
Nuovo Mondo, della penisola giavanese e della Cina, viene realizzata,
dunque, tramite l’azione, attraverso una scrittura fortemente aggancia-
ta alla complessità degli spazi di produzione e anche alla pluralità dei
possibili contesti della loro ricezione, pur se, in realtà, rimasti al di là
degli obiettivi di questo fascicolo. In questo quadro, come dimostra-
no bene in particolare i casi del cosmografo Münster, del missionario
francescano Sahagun e dell’agostiniano Mendoza, dei medici Laguna
e Faber, l’autore agisce come arbitro e intermediario di una serie mol-
teplice di azioni di messa in scrittura di spazi diversi e diversamente
caratterizzati33. Egli coordina e ri-orienta, sia pure con razionalità più o
meno limitata, una serie di operazioni diverse e non del tutto coerenti
fra loro, partecipando anche a questo livello al ricombinarsi degli spazi
dei saperi in insiemi coordinati di frammenti discontinui. L’azione co-
municativa si qualifica nel segno di una nuova rivendicazione autoriale
e le opere che i saggi del fascicolo esplorano sono, in questo senso, tutte
storie di spazi. Il Libellus de medicinalibus Indorum mette in scrittura
saperi e pratiche di cura indigeni, inventando nuove terminologie che
risentono di componenti locali diverse ma anche di parole greco-latine
e arabe e promuovendo una alfabetizzazione della lingua nahuatl, parte
integrante di una nuova «medicina della conversione». La Storia del
Gran Reino di Cina accoglie vari tipi di materiali, che organizzano saperi
basati su pratiche diverse, iscritte in diverse logiche spaziali: i manos-
critti stampati in coda al testo inedito di Mendoza si esibiscono come
risultato di viaggi precedenti, effettuati lungo itinerari che collegano
l’Europa alla Cina, tramite vie marittime e/o terrestri. Ma trasformati
in un libro, gli interventi cambiano di statuto e di funzione. Il risultato
complessivo non è la somma delle sue parti ma un nuovo atto comuni-
cativo, dotato di una sua specifica forma spaziale.
Prendere in considerazione il gesto della pubblicazione mira a de-
lineare un distinto e specifico livello di presa di posizione sullo spa-
zio che si individua e si mette alla prova dell’azione34. In altri termini,
ciascuna azione di pubblicazione si costruisce in tensione con uno spa-
zio di pubblicità che ne costituisce l’imprescindibile orizzonte di riferi-
mento, di cui essa subisce le limitazioni. D’altra parte, pubblicare un
libro è un’azione caratterizzata da una sua propria logica comunicati-
Premessa 15

va, che assegna allo spazio una valenza specifica. Come diversi saggi
del fascicolo confermano, il gesto della pubblicazione non appare né
una proprietà intrinseca o un esito naturale dei processi di messa in
scrittura, né presuppone una continuità rispetto alle esperienze spaziali
che lo alimentano. Ancor prima che i libri si definiscano come succes-
si o fallimenti relativamente alla loro effettiva capacità di diffusione e
di impatto, la pubblicazione è un processo attraverso cui l’autore e,
in diverso modo, tutti gli attori della fabbrica dei saperi che parlano
attraverso le pagine della sua opera, chiedono e ricevono legittimità:
per se stessi, i saperi e gli spazi che essi veicolano. L’esempio di Roma
appare, qui, particolarmente significativo, proprio perché, protagonista
di diversi atti di pubblicazione: successi o fallimenti editoriali ma anche
gesti volutamente mancati. Questi casi consentono di evidenziare, allo-
ra, la specificità di rivendicazioni che assegnano allo spazio, con cui a
diversi livelli i libri dialogano, significati non equivalenti e addirittura
opposti. Il missionario Mendoza sceglie la capitale del mondo cattolico
come piazza editoriale per la Storia del Gran Reino di Cina in quanto
scena centrale per fondare una nuova legittimità della Spagna basata
sul sapere. Per il medico del papa Laguna, l’Urbe è la capitale natura-
listica in cui allestire il cantiere del suo Dioscoride in spagnolo, ma è
lontano da qui, ad Anversa, centro editoriale delle Fiandre spagnole,
che esso vede la luce come una proposta per il nascente regno di Filippo
II. Infine, per il semplicista del papa e linceo tedesco Faber, Roma,
con tutti i suoi limiti di centro editoriale, rimane a tutti i costi lo spa-
zio di legittimazione di un libro che, prima ancora che parlare della
capitale naturalistica pontificia, intende parlare ai poteri ecclesiastici,
rivendicando il ruolo e lo spazio di una storia naturale da affermare
come risorsa dell’universalismo romano. Per questa via, i libri tornano,
dunque, a essere al centro dei giochi di scala attraverso cui i saggi di
questo fascicolo propongono di ricostruire la co-produzione dei saperi
e dei loro spazi.
Il rapporto tra spazi e saperi si può pensare allora, in conclusione, in
termini di «regimi spaziali», cioè aggregazioni di configurazioni simul-
tanee, coordinate e conflittuali di fenomeni spaziali e comunicativi, che
si sviluppano secondo ordini differenti di temporalità e assegnano si-
gnificati in costante ridefinizione ai saperi che costruiscono. Con questa
espressione – «regime spaziale» –, vorremo indicare la necessità, per lo
storico, di prendere in considerazione e analizzare insieme e in tensione
reciproca l’insieme degli spazi che partecipano alla produzione dei sa-
peri e la loro diversa qualificazione di spazi fisici, culturali o simbolici.
Identificare i regimi spaziali sui quali si fondano tali processi con-
sente, a nostro avviso, di ridare alla dimensione dello spazio tutta la
16 Premessa

sua centralità nella comprensione dei saperi come fenomeni integrando


nell’analisi della produzione i circuiti e gli itinerari, così come le logiche
comunicative. Il riferimento all’idea di «regimi di» vuole anche dare
una chiara indicazione della necessità di combinare le scale e le meto-
dologie, perché il gioco di scale consente di cogliere un insieme di con-
figurazioni di saperi, senza privilegiarne una a priori. Perché, infine, per
quanto sia fondamentale l’idea della località dei saperi, essa è sempre
multipla. Ciascuno dei saggi presentati nelle pagine successive esplora
tale rapporto seguendo la propria strada.

S. B., A. R.

Note al testo
1 Questo lavoro è l’esito finale di una serie di scambi e discussioni, formali e informali, sugli
spazi di produzione e circolazione dei saperi, avviati nel 2011. Fra questi, si ricorda il panel Saperi
in movimento nell’Europa dell’età moderna: la circolazione come «sito» della conoscenza scientifica,
presentato da S. BREVAGLIERI nell’ambito del seminario Sisem Attraverso la Storia (Arezzo, 2011),
per la cui partecipazione si ringraziano Elisa Andretta, Valeria Pansini e Valentina Pugliano.
In occasione del workshop Tracing knowledge-making science: a global approach to Renaissance,
organizzato da S. Brevaglieri e A. Romano presso l’Istituto Universitario Europeo (Firenze,
2012), sono state presentate e discusse le ricerche confluite in questo fascicolo. Oltre a tutti i
partecipanti, si ringrazia in particolare Renata Ago per il contributo offerto alla discussione.
2 P. BURKE, A social history of knowledge. From Gutenberg to Diderot, Cambridge 2000,
trad. it. Storia sociale della conoscenza: da Gutenberg a Diderot, Bologna 2002; K. PARK, L.
DASTON (eds.), The Cambridge history of science, vol. 3: Early modern science, Cambridge
2008.
3 Si veda ora l’edizione F. INGOLI, Relazione delle quattro parti del mondo, ed. a cura di F.
Tosi, con un saggio di J. METZLER, Città del Vaticano 1999.
4 In questo senso, il ricorso a un’affine scelta cronologica conferma un approccio analitico
molto diverso da quello della storiografia della cosiddetta «prima globalizzazione» o «mondia-
lizzazione» e, in particolare, rispetto a S. GRUZINSKI, Les quatre parties du monde. Histoire
d’une mondialisation, Paris 2004, ma anche P. BOUCHERON (dir.), Histoire du monde au XVe
siècle. Territoires et écritures du monde, ouvrage coordonné par J. LOISEAU, P. MONNET, Y.
POTIN, Paris 2012, 2 voll. Più in generale cfr. J. OSTERHAMMEL, N. PETERSON, Geschichte der
Globalisierung. Dimensionen Prozesse Epochen, München 2003, trad. inglese, Globalization. A
short history, Princeton 2005 e P. O’BRIEN, Historiographical traditions and modern imperatives
for the restoration of global history, in «The Journal of Global History», 1 (2006), pp. 3-39.
5 Per una prospettiva critica in ambito propriamente storico si rimanda a: A. TORRE, Un
«tournant spatial» en histoire? Paysages, regards, ressources, in «Annales. HSS», 63 (2008), pp.
1127-1144; C. WITHERS, Place and the «Spatial Turn» in Geography and in History, in «Journal
of the History of Ideas», 70 (2009), pp. 637-658. Sul nesso sapere e spazio si veda la rassegna
di P. MEUSBURGER, The Nexus of Knowledge and Space, in P. MEUSBURGER, M. WELKER, E.
WUNDER (eds.), Clashes of knowledge. Orthodoxies and Heterodoxies in Science and Religion,
Dordrecht 2008, pp. 36-90.
6 Per un bilancio sulla riflessione sulla spazialità dei saperi a partire dai conceti chiave
della geografia cfr. J.-M. BESSE, Approches spatiales dans les sciences et les arts, in «L’Espace
géographique», 3 (2010), pp. 211-224. Sulla geografia dei saperi si vedano M. OGBORN, C.
Premessa 17

WITHERS (eds.), Geography of the book, Aldershot 2010 e D. LIVINGSTONE, C.J. WITHERS,
Geographies of Nineteenth-century science, Chicago 2011.
7 D. BLOOR, Knowledge and Social Imagery, Chicago 1976; S. SHAPIN, S. SHAFFER, Leviathan
and the air-pump: Hobbes, Boyle, and the experimental life, including a translation of T. HOBBES,
Dialogus physicus de natura aeris by S. SCHAFFER, Princeton 1985; trad. it. Il Leviatano e la pompa
ad aria. Hobbes, Boyle e la cultura dell’esperimento, con la traduzione del Dialogus physicus di
T. HOBBES, Scandicci 1994.
8 D. ROCHE, Le Siècle des Lumières en province. Académies et Académiciens provinciaux:
1680-1789, Paris-La Haye 1978; D. JULIA, J. REVEL, Les universités européennes du seizième au
dix-huitième siècle: histoire sociale des populations étudiantes. Bohême, Espagne, états italiens,
pays germaniques, Pologne, Provinces-Unies, vol. I, Paris 1986. Complessivo, senza riferimento
a titoli specifici, il rimando all’ampia produzione di Roger Chartier.
9 Non è un caso se una delle opere successive di Roche sia stata dedicata proprio alla
questione della mobilità in età moderna (Humeurs vagabondes: de la circulation des hommes et
de l’utilité des voyages, Paris 2003) e se, più in generale, sia stato uno degli alfieri del programma
di ricerca sulle città capitali o sulla capitalizzazione dei saperi.
10 Per la produzione di Jacob, M. BARATIN, C. JACOB (dir.), Le pouvoir des bibliothèques.
La mémoire des livres en Occident, Paris 1996; L. GIARD, C. JACOB (dir.), Des Alexandries. I. Du
livre au texte, Paris 2001; C. JACOB (dir.), Des Alexandries. II. Les métamorphoses du lecteur, Paris
2003). Per Certeau e la sua nozione di spazio, cfr. M. DE CERTEAU, L’invention du quotidien,
nouvelle éd., Paris 1990, p. 173, trad. it. L’invenzione del quotidiano, trad. di M. Baccianini,
prefazione di A. Abruzzese, postfazione di D. Borrelli, Roma 2001, su cui vedi anche più avanti.
11 C. JACOB (dir.), Les Lieux de savoir. Espaces et communautés, Paris 2007.
12 Ibidem, p. 21.
13 G. BASALLA, The Spread of Western Science, in «Science», 156 (1967), pp. 611-622.
14 L. ROBERTS (ed.), Science and Global History, 1750-1850: Local Encounters and Global
Circulation, special issue of «Itinerario», 33.1 (2009).
15 Anche nei lavori pionieristici di Koyré o Kuhn, l’approccio alla scienza moderna, in
quanto prodotto della «rivoluzione scientifica», si è accentrato sulle discipline fisico-matematiche,
sui suoi attori, identificati con le figure di «scienziati», e di conseguenza sui luoghi e sui siti
privilegiati della loro attività: le accademie e altre istituzioni di sapere dei grandi centri di potere
dell’Europa del Seicento. Nel mettere a fuoco le dinamiche imperiali che hanno sostenuto tali
progetti, gli studi su scienza e impero hanno favorito un ripensamento di questi quadri impliciti.
16 In particolare dalla riflessione di H. BHABHA, The Location of Culture, London-New York
1994 e di A. APPADURAI, The Social Life of Things: Commodities in Cultural Perspective, Cam-
bridge-New York 1986 e Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization, Minneapolis
1996, i quali tra l’altro fanno risalire ad Antonio Gramsci le proprie riflessioni sulla subalternità.
17 Come recenti studi hanno dimostrato S. SCHAFFER et al. (eds.), The brokered world: go-
betweens and global intelligence, 1770-1820, Sagamore Beach 2009; C. de CASTELNAU-L’ESTOILE,
M.-L. COPETE, A. MALDAVSKI, I.G. ŽUPANOV (dir.), Missions d’évangélisation et circulation des
savoirs, XVIe-XVIIIe siècle, Madrid 2011.
18 Il programma «Science and empire» nasce sulla scia del contributo di Joseph Needham
e della sua «scoperta» della scienza cinese. Profondamente rielaborato nell’ultimo decennio, in
relazione a una lettura critica di Needham, si è anche ridefinito cronologicamente, spostandosi
dal periodo immediatamente post-coloniale verso l’età moderna. Cfr. C. JAMI, A.-M. MOULIN,
P. PETITJEAN (eds.), Science and Empires. Historical Studies about Scientific Development and
European Expansion, Dordrecht 1992; R. MACLEOD (ed.), Nature and Empire: Science and the
Colonial Enterprise, Chicago 2000.
19 K. RAJ, Relocating Modern Science: Circulation and the Construction of Knowledge in. South
Asia and Europe, 1650-1900, Houndmills-New York 2007; ID. (ed.), Circulation and locality in
early modern science, special issue of «The British Journal for the History of Science», 43.4 (2010).
18 Premessa

20 Tra i lavori più significativi, H. COOK, Commerce, medicine, and science in the Dutch
Golden Age, New Haven 2007; N. SAFIER, Measuring the New World. Enlightenment Science and
South America, Chicago 2008; M. PORTUONDO, Secret science. Spanish cosmography and the New
World, Chicago 2009 che rispecchiano anche stili diversi di fare storia della scienza e diversi
modi di relazionarsi alle problematiche spaziali.
21 J. REVEL (dir.), Jeux d’échelles. La micro-analyse à l’expérience, Paris 1996, trad. it. Giochi
di scala. La microstoria alla prova dell’esperienza, Roma 2006.
22 In proposito cfr. anche le riflessioni di F. TRIVELLATO, Is there a future for Italian
microhistory in the age of global History, in «California Italian Studies», 2 (2011) (permalink:
http://www.escholarship.org/uc/item/0z94n9hq).
23 Una recente ed efficace formulazione del rapporto fra i fenomeni sociali e le loro
molteplici cristallizzazioni spaziali in M. LUSSAULT, L’homme spatial. La construction sociale de
l’espace humain, Paris 2007.
24 Il confronto con la riflessione sulla genesi dello spazio avviata da A. Torre nella sua
opera è centrale per questa raccolta. In particolare, sull’idea di spazio come «mosaico» in fieri di
spazi singolari, cfr. A. TORRE, Luoghi. La produzione di località in età moderna e contemporanea,
Roma 2011.
25 La formula «centres de calcul» di Bruno Latour, euristicamente molto efficace, è utile a
concettualizzare questi fenomeni, tuttavia non prende in considerazione la dimensione spaziale
delle logiche su cui si appoggiano tali centri: B. LATOUR, Science in action: how to follow scientists
and engineers through society, Cambridge 1987, pp. 215-257.
26 S. VAN DAMME, A. ROMANO (dir.), Sciences et villes-mondes: penser les savoirs au large
(XVIe-XVIIIe siècle), numéro thématique de la «Revue d’histoire moderne et contemporaine»,
55 (2008).
27 CERTEAU, L’invenzione del quotidiano cit., pp. 175-176: «È un luogo l’ordine (qualsiasi)
secondo il quale degli elementi vengono distribuiti entro rapporti di coesistenza. Ciò esclude
dunque la possibilità che due cose possano trovarsi nel medesimo luogo. Vale qui la legge del
luogo “proprio”: gli elementi considerati sono gli uni a fianco agli altri, ciascuno situato in
un luogo “autonomo” e distinto che esso definisce. Un luogo è dunque una configurazione
istantanea di posizioni. Implica una indicazione di stabilità. Si ha uno spazio dal momento in
cui si prendono in considerazione vettori di direzione, quantità di velocità e la variabile del
tempo. Lo spazio è un incrocio di entità mobili. È in qualche modo animato dall’insieme dei
movimenti che si verificano al suo interno. È spazio l’effetto prodotto dalle operazioni che
l’orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano e lo fanno funzionare come unità polivalente
di programmi conflittuali o di proprietà contrattuali. Lo spazio sarebbe rispetto al luogo ciò
che diventa la parola quanto è parlata, ovvero quando è colta nell’ambiguità di un’esecuzione,
mutata in un termine ascrivibile a molteplici convenzioni, posta come l’atto di un “presente”
(o di un tempo), e modificata attraverso le trasformazioni derivanti da vicinanze successive. A
differenza del luogo, non ha né l’univocità né la stabilità di qualcosa di circoscritto. Insomma,
lo spazio è un luogo praticato».
28 La comunicazione è stata programmaticamente indicata come risorsa per collegare
produzione e circolazione dei saperi da J. SECORD, Knowledge in transit, in «Isis», 95 (2004), pp.
654-672, la cui riflessione ha ispirato, soprattutto in ambito anglosassone, i già citati lavori, anche
collettivi, di Charles Whiters che, a partire dal rapporto biunivoco fra «produttori» e audiences ha
insistito sulla sua variabilità spaziale. Rispetto alla figura del circuito comunicativo, formulazione
elaborata nell’ambito della storia del libro, da R. DARNTON (What is the history of books?, in
«Daedalus», 111 (1982), pp. 65-83), sottesa a questo tipo di analisi, la prospettiva qui adottata
guarda piuttosto ad ambiti diversi e comunque non esclusivi, fra i quali si può menzionare una
sociologia della conoscenza di matrice tedesca (P. BERGER, T. LUCKMANN, The social construction
of reality, Garden City 1966, trad. it. La realtà come costruzione sociale, Bologna 1969) che,
nel corso degli ultimi anni, ha registrato una progressiva «apertura alla comunicazione» come
modo stesso dell’agire sociale. In proposito, cfr. ora R. KELLER, J. REICHERTZ, H. KNOBLAUCH
Premessa 19

(Hg.), Kommunikativer Konstruktivismus. Theoretische und empirische Arbeiten zu einem neuen


wissenssoziologischen Ansatz, Wiesbaden 2013.
29 Su questo punto cfr. B. LAHIRE, The plural actor, Cambridge-Malden 2011.
30 Era già il tema centrale dell’opera di M. DE CERTEAU, L’écriture de l’histoire, Paris 1975,
trad. it. La scrittura della storia, Milano 2006, incentrato sul contesto coloniale.
31 In questa prospettiva, utile appare il confronto con le diverse proposte sviluppate di
recente sul fronte della storia e della comunicazione politica: in proposito, cfr. F. De VIVO,
Patrizi, informatori, barbieri. Politica e comunicazione a Venezia nella prima età moderna, Milano
2012; L. GIANA, V. TIGRINO (a cura di), Istituzioni, numero monografico di «Quaderni Storici»,
47 (2012); W. BLOCKMANNS, A. HOLENSTEIN, J. MATHIEU (eds.), Empowering interactions.
Political cultures and the emergence of the State in Europe 1300-1900, Farnham-Burlington
2009.
32 Sulla necessità di problematizzare un approccio alle dimensioni spaziali filtrato attraverso
la messa in forma dei saperi in parole e immagini cfr. TORRE, Luoghi cit. Sul rapporto fra scritture
spazi e azioni cfr. M. BOMBART, A. CANTILLON, Localités: localisation des écrits et production locale
d’actions. Introduction, in M. BOMBART, A. CANTILLON (dir.), Localités: localisation des écrits et
production locale d’actions, numéro thématique de «Les Dossiers du Grihl», 1 (2008), online dal
15 settembre 2008, consultato il 31 ottobre 2012 (URL: <http://dossiersgrihl.revues.org/2163;
DOI: 10.4000/dossiersgrihl.2163>).
33 Dalle ampie discussioni sull’autore che si sono sviluppate nell’ambito degli studi del
letterario si possono ricavare una serie di riflessioni interessanti in questa prospettiva: C. JOUHAUD,
Sauver le Grand Siècle? Présence et transmission du passé, Paris 2007, cap. 7, in part. sugli
spazi, pp. 255-299. Più in generale sull’idea di intertestualità, sono stati fondamentali i lavori
di R. Chartier, e il suo corso al Collège de France (2012-2013), Histoires textuelles connectées.
Géographie des œuvres, géographie des livres.
34 Cfr. GROUPE DE RECHERCHES INTERDISCIPLINAIRES SUR L’HISTOIRE DU LITTÉRAIRE, De la
publication. Entre Renaissance et lumières, études réunies par C. JOUHAUD, A. VIALA, Paris 2002;
B. OUVRY-VIAL, A. RÉACH-NGô (dir.), L’acte éditorial: publier à la Renaissance et aujourd’hui,
Paris 2010.

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