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va, che assegna allo spazio una valenza specifica. Come diversi saggi
del fascicolo confermano, il gesto della pubblicazione non appare né
una proprietà intrinseca o un esito naturale dei processi di messa in
scrittura, né presuppone una continuità rispetto alle esperienze spaziali
che lo alimentano. Ancor prima che i libri si definiscano come succes-
si o fallimenti relativamente alla loro effettiva capacità di diffusione e
di impatto, la pubblicazione è un processo attraverso cui l’autore e,
in diverso modo, tutti gli attori della fabbrica dei saperi che parlano
attraverso le pagine della sua opera, chiedono e ricevono legittimità:
per se stessi, i saperi e gli spazi che essi veicolano. L’esempio di Roma
appare, qui, particolarmente significativo, proprio perché, protagonista
di diversi atti di pubblicazione: successi o fallimenti editoriali ma anche
gesti volutamente mancati. Questi casi consentono di evidenziare, allo-
ra, la specificità di rivendicazioni che assegnano allo spazio, con cui a
diversi livelli i libri dialogano, significati non equivalenti e addirittura
opposti. Il missionario Mendoza sceglie la capitale del mondo cattolico
come piazza editoriale per la Storia del Gran Reino di Cina in quanto
scena centrale per fondare una nuova legittimità della Spagna basata
sul sapere. Per il medico del papa Laguna, l’Urbe è la capitale natura-
listica in cui allestire il cantiere del suo Dioscoride in spagnolo, ma è
lontano da qui, ad Anversa, centro editoriale delle Fiandre spagnole,
che esso vede la luce come una proposta per il nascente regno di Filippo
II. Infine, per il semplicista del papa e linceo tedesco Faber, Roma,
con tutti i suoi limiti di centro editoriale, rimane a tutti i costi lo spa-
zio di legittimazione di un libro che, prima ancora che parlare della
capitale naturalistica pontificia, intende parlare ai poteri ecclesiastici,
rivendicando il ruolo e lo spazio di una storia naturale da affermare
come risorsa dell’universalismo romano. Per questa via, i libri tornano,
dunque, a essere al centro dei giochi di scala attraverso cui i saggi di
questo fascicolo propongono di ricostruire la co-produzione dei saperi
e dei loro spazi.
Il rapporto tra spazi e saperi si può pensare allora, in conclusione, in
termini di «regimi spaziali», cioè aggregazioni di configurazioni simul-
tanee, coordinate e conflittuali di fenomeni spaziali e comunicativi, che
si sviluppano secondo ordini differenti di temporalità e assegnano si-
gnificati in costante ridefinizione ai saperi che costruiscono. Con questa
espressione – «regime spaziale» –, vorremo indicare la necessità, per lo
storico, di prendere in considerazione e analizzare insieme e in tensione
reciproca l’insieme degli spazi che partecipano alla produzione dei sa-
peri e la loro diversa qualificazione di spazi fisici, culturali o simbolici.
Identificare i regimi spaziali sui quali si fondano tali processi con-
sente, a nostro avviso, di ridare alla dimensione dello spazio tutta la
16 Premessa
S. B., A. R.
Note al testo
1 Questo lavoro è l’esito finale di una serie di scambi e discussioni, formali e informali, sugli
spazi di produzione e circolazione dei saperi, avviati nel 2011. Fra questi, si ricorda il panel Saperi
in movimento nell’Europa dell’età moderna: la circolazione come «sito» della conoscenza scientifica,
presentato da S. BREVAGLIERI nell’ambito del seminario Sisem Attraverso la Storia (Arezzo, 2011),
per la cui partecipazione si ringraziano Elisa Andretta, Valeria Pansini e Valentina Pugliano.
In occasione del workshop Tracing knowledge-making science: a global approach to Renaissance,
organizzato da S. Brevaglieri e A. Romano presso l’Istituto Universitario Europeo (Firenze,
2012), sono state presentate e discusse le ricerche confluite in questo fascicolo. Oltre a tutti i
partecipanti, si ringrazia in particolare Renata Ago per il contributo offerto alla discussione.
2 P. BURKE, A social history of knowledge. From Gutenberg to Diderot, Cambridge 2000,
trad. it. Storia sociale della conoscenza: da Gutenberg a Diderot, Bologna 2002; K. PARK, L.
DASTON (eds.), The Cambridge history of science, vol. 3: Early modern science, Cambridge
2008.
3 Si veda ora l’edizione F. INGOLI, Relazione delle quattro parti del mondo, ed. a cura di F.
Tosi, con un saggio di J. METZLER, Città del Vaticano 1999.
4 In questo senso, il ricorso a un’affine scelta cronologica conferma un approccio analitico
molto diverso da quello della storiografia della cosiddetta «prima globalizzazione» o «mondia-
lizzazione» e, in particolare, rispetto a S. GRUZINSKI, Les quatre parties du monde. Histoire
d’une mondialisation, Paris 2004, ma anche P. BOUCHERON (dir.), Histoire du monde au XVe
siècle. Territoires et écritures du monde, ouvrage coordonné par J. LOISEAU, P. MONNET, Y.
POTIN, Paris 2012, 2 voll. Più in generale cfr. J. OSTERHAMMEL, N. PETERSON, Geschichte der
Globalisierung. Dimensionen Prozesse Epochen, München 2003, trad. inglese, Globalization. A
short history, Princeton 2005 e P. O’BRIEN, Historiographical traditions and modern imperatives
for the restoration of global history, in «The Journal of Global History», 1 (2006), pp. 3-39.
5 Per una prospettiva critica in ambito propriamente storico si rimanda a: A. TORRE, Un
«tournant spatial» en histoire? Paysages, regards, ressources, in «Annales. HSS», 63 (2008), pp.
1127-1144; C. WITHERS, Place and the «Spatial Turn» in Geography and in History, in «Journal
of the History of Ideas», 70 (2009), pp. 637-658. Sul nesso sapere e spazio si veda la rassegna
di P. MEUSBURGER, The Nexus of Knowledge and Space, in P. MEUSBURGER, M. WELKER, E.
WUNDER (eds.), Clashes of knowledge. Orthodoxies and Heterodoxies in Science and Religion,
Dordrecht 2008, pp. 36-90.
6 Per un bilancio sulla riflessione sulla spazialità dei saperi a partire dai conceti chiave
della geografia cfr. J.-M. BESSE, Approches spatiales dans les sciences et les arts, in «L’Espace
géographique», 3 (2010), pp. 211-224. Sulla geografia dei saperi si vedano M. OGBORN, C.
Premessa 17
WITHERS (eds.), Geography of the book, Aldershot 2010 e D. LIVINGSTONE, C.J. WITHERS,
Geographies of Nineteenth-century science, Chicago 2011.
7 D. BLOOR, Knowledge and Social Imagery, Chicago 1976; S. SHAPIN, S. SHAFFER, Leviathan
and the air-pump: Hobbes, Boyle, and the experimental life, including a translation of T. HOBBES,
Dialogus physicus de natura aeris by S. SCHAFFER, Princeton 1985; trad. it. Il Leviatano e la pompa
ad aria. Hobbes, Boyle e la cultura dell’esperimento, con la traduzione del Dialogus physicus di
T. HOBBES, Scandicci 1994.
8 D. ROCHE, Le Siècle des Lumières en province. Académies et Académiciens provinciaux:
1680-1789, Paris-La Haye 1978; D. JULIA, J. REVEL, Les universités européennes du seizième au
dix-huitième siècle: histoire sociale des populations étudiantes. Bohême, Espagne, états italiens,
pays germaniques, Pologne, Provinces-Unies, vol. I, Paris 1986. Complessivo, senza riferimento
a titoli specifici, il rimando all’ampia produzione di Roger Chartier.
9 Non è un caso se una delle opere successive di Roche sia stata dedicata proprio alla
questione della mobilità in età moderna (Humeurs vagabondes: de la circulation des hommes et
de l’utilité des voyages, Paris 2003) e se, più in generale, sia stato uno degli alfieri del programma
di ricerca sulle città capitali o sulla capitalizzazione dei saperi.
10 Per la produzione di Jacob, M. BARATIN, C. JACOB (dir.), Le pouvoir des bibliothèques.
La mémoire des livres en Occident, Paris 1996; L. GIARD, C. JACOB (dir.), Des Alexandries. I. Du
livre au texte, Paris 2001; C. JACOB (dir.), Des Alexandries. II. Les métamorphoses du lecteur, Paris
2003). Per Certeau e la sua nozione di spazio, cfr. M. DE CERTEAU, L’invention du quotidien,
nouvelle éd., Paris 1990, p. 173, trad. it. L’invenzione del quotidiano, trad. di M. Baccianini,
prefazione di A. Abruzzese, postfazione di D. Borrelli, Roma 2001, su cui vedi anche più avanti.
11 C. JACOB (dir.), Les Lieux de savoir. Espaces et communautés, Paris 2007.
12 Ibidem, p. 21.
13 G. BASALLA, The Spread of Western Science, in «Science», 156 (1967), pp. 611-622.
14 L. ROBERTS (ed.), Science and Global History, 1750-1850: Local Encounters and Global
Circulation, special issue of «Itinerario», 33.1 (2009).
15 Anche nei lavori pionieristici di Koyré o Kuhn, l’approccio alla scienza moderna, in
quanto prodotto della «rivoluzione scientifica», si è accentrato sulle discipline fisico-matematiche,
sui suoi attori, identificati con le figure di «scienziati», e di conseguenza sui luoghi e sui siti
privilegiati della loro attività: le accademie e altre istituzioni di sapere dei grandi centri di potere
dell’Europa del Seicento. Nel mettere a fuoco le dinamiche imperiali che hanno sostenuto tali
progetti, gli studi su scienza e impero hanno favorito un ripensamento di questi quadri impliciti.
16 In particolare dalla riflessione di H. BHABHA, The Location of Culture, London-New York
1994 e di A. APPADURAI, The Social Life of Things: Commodities in Cultural Perspective, Cam-
bridge-New York 1986 e Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization, Minneapolis
1996, i quali tra l’altro fanno risalire ad Antonio Gramsci le proprie riflessioni sulla subalternità.
17 Come recenti studi hanno dimostrato S. SCHAFFER et al. (eds.), The brokered world: go-
betweens and global intelligence, 1770-1820, Sagamore Beach 2009; C. de CASTELNAU-L’ESTOILE,
M.-L. COPETE, A. MALDAVSKI, I.G. ŽUPANOV (dir.), Missions d’évangélisation et circulation des
savoirs, XVIe-XVIIIe siècle, Madrid 2011.
18 Il programma «Science and empire» nasce sulla scia del contributo di Joseph Needham
e della sua «scoperta» della scienza cinese. Profondamente rielaborato nell’ultimo decennio, in
relazione a una lettura critica di Needham, si è anche ridefinito cronologicamente, spostandosi
dal periodo immediatamente post-coloniale verso l’età moderna. Cfr. C. JAMI, A.-M. MOULIN,
P. PETITJEAN (eds.), Science and Empires. Historical Studies about Scientific Development and
European Expansion, Dordrecht 1992; R. MACLEOD (ed.), Nature and Empire: Science and the
Colonial Enterprise, Chicago 2000.
19 K. RAJ, Relocating Modern Science: Circulation and the Construction of Knowledge in. South
Asia and Europe, 1650-1900, Houndmills-New York 2007; ID. (ed.), Circulation and locality in
early modern science, special issue of «The British Journal for the History of Science», 43.4 (2010).
18 Premessa
20 Tra i lavori più significativi, H. COOK, Commerce, medicine, and science in the Dutch
Golden Age, New Haven 2007; N. SAFIER, Measuring the New World. Enlightenment Science and
South America, Chicago 2008; M. PORTUONDO, Secret science. Spanish cosmography and the New
World, Chicago 2009 che rispecchiano anche stili diversi di fare storia della scienza e diversi
modi di relazionarsi alle problematiche spaziali.
21 J. REVEL (dir.), Jeux d’échelles. La micro-analyse à l’expérience, Paris 1996, trad. it. Giochi
di scala. La microstoria alla prova dell’esperienza, Roma 2006.
22 In proposito cfr. anche le riflessioni di F. TRIVELLATO, Is there a future for Italian
microhistory in the age of global History, in «California Italian Studies», 2 (2011) (permalink:
http://www.escholarship.org/uc/item/0z94n9hq).
23 Una recente ed efficace formulazione del rapporto fra i fenomeni sociali e le loro
molteplici cristallizzazioni spaziali in M. LUSSAULT, L’homme spatial. La construction sociale de
l’espace humain, Paris 2007.
24 Il confronto con la riflessione sulla genesi dello spazio avviata da A. Torre nella sua
opera è centrale per questa raccolta. In particolare, sull’idea di spazio come «mosaico» in fieri di
spazi singolari, cfr. A. TORRE, Luoghi. La produzione di località in età moderna e contemporanea,
Roma 2011.
25 La formula «centres de calcul» di Bruno Latour, euristicamente molto efficace, è utile a
concettualizzare questi fenomeni, tuttavia non prende in considerazione la dimensione spaziale
delle logiche su cui si appoggiano tali centri: B. LATOUR, Science in action: how to follow scientists
and engineers through society, Cambridge 1987, pp. 215-257.
26 S. VAN DAMME, A. ROMANO (dir.), Sciences et villes-mondes: penser les savoirs au large
(XVIe-XVIIIe siècle), numéro thématique de la «Revue d’histoire moderne et contemporaine»,
55 (2008).
27 CERTEAU, L’invenzione del quotidiano cit., pp. 175-176: «È un luogo l’ordine (qualsiasi)
secondo il quale degli elementi vengono distribuiti entro rapporti di coesistenza. Ciò esclude
dunque la possibilità che due cose possano trovarsi nel medesimo luogo. Vale qui la legge del
luogo “proprio”: gli elementi considerati sono gli uni a fianco agli altri, ciascuno situato in
un luogo “autonomo” e distinto che esso definisce. Un luogo è dunque una configurazione
istantanea di posizioni. Implica una indicazione di stabilità. Si ha uno spazio dal momento in
cui si prendono in considerazione vettori di direzione, quantità di velocità e la variabile del
tempo. Lo spazio è un incrocio di entità mobili. È in qualche modo animato dall’insieme dei
movimenti che si verificano al suo interno. È spazio l’effetto prodotto dalle operazioni che
l’orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano e lo fanno funzionare come unità polivalente
di programmi conflittuali o di proprietà contrattuali. Lo spazio sarebbe rispetto al luogo ciò
che diventa la parola quanto è parlata, ovvero quando è colta nell’ambiguità di un’esecuzione,
mutata in un termine ascrivibile a molteplici convenzioni, posta come l’atto di un “presente”
(o di un tempo), e modificata attraverso le trasformazioni derivanti da vicinanze successive. A
differenza del luogo, non ha né l’univocità né la stabilità di qualcosa di circoscritto. Insomma,
lo spazio è un luogo praticato».
28 La comunicazione è stata programmaticamente indicata come risorsa per collegare
produzione e circolazione dei saperi da J. SECORD, Knowledge in transit, in «Isis», 95 (2004), pp.
654-672, la cui riflessione ha ispirato, soprattutto in ambito anglosassone, i già citati lavori, anche
collettivi, di Charles Whiters che, a partire dal rapporto biunivoco fra «produttori» e audiences ha
insistito sulla sua variabilità spaziale. Rispetto alla figura del circuito comunicativo, formulazione
elaborata nell’ambito della storia del libro, da R. DARNTON (What is the history of books?, in
«Daedalus», 111 (1982), pp. 65-83), sottesa a questo tipo di analisi, la prospettiva qui adottata
guarda piuttosto ad ambiti diversi e comunque non esclusivi, fra i quali si può menzionare una
sociologia della conoscenza di matrice tedesca (P. BERGER, T. LUCKMANN, The social construction
of reality, Garden City 1966, trad. it. La realtà come costruzione sociale, Bologna 1969) che,
nel corso degli ultimi anni, ha registrato una progressiva «apertura alla comunicazione» come
modo stesso dell’agire sociale. In proposito, cfr. ora R. KELLER, J. REICHERTZ, H. KNOBLAUCH
Premessa 19