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UNIVERSITA' DEGLI STUDI

DI MODENA E REGGIO EMILIA

DOTTORATO DI RICERCA IN GLOTTOLOGIA E LINGUISTICA


SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE UMANE
CICLO XXII

SEGNALAZIONE DEL DISACCORDO TRA PARLANTI ITALIANI E


FRANCESI. UN APPROCCIO CROSS-CULTURALE

CANDIDATO EDOUARDO NATALE

RELATORE: Chiar.mo PROF. AUGUSTO CARLI

CORRELATORE: PROF. ANNA ORLANDINI

COORDINATORE DEL DOTTORATO:

Chiar. mo PROF. ANTONELLO LAVERGATA

DIRETTORE DELLA SCUOLA DI DOTTORATO:

Chiar. mo PROF. STEFANO CALABRESE

ANNO ACCADEMICO 2010/ 2011


UNIVERSITA' DEGLI STUDI
DI MODENA E REGGIO EMILIA

DOTTORATO DI RICERCA IN GLOTTOLOGIA E LINGUISTICA


SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE UMANE
CICLO XXII

SEGNALAZIONE DEL DISACCORDO TRA PARLANTI ITALIANI E


FRANCESI. UN APPROCCIO CROSS-CULTURALE

CANDIDATO EDOUARDO NATALE

RELATORE: Chiar.mo PROF. AUGUSTO CARLI

CORRELATORE: PROF. ANNA ORLANDINI

COORDINATORE DEL DOTTORATO:

Chiar. mo PROF. ANTONELLO LAVERGATA

DIRETTORE DELLA SCUOLA DI DOTTORATO:

Chiar. mo PROF. STEFANO CALABRESE

ANNO ACCADEMICO 2010/ 2011

3
4
Nous parlons, nous parlons : les uns aux autres, les uns contre les autres, les uns
des autres. Les mots s’agitent inutilement entre nous. Ceux que nous osons dire.
Ceux que nous gardons pour nous. Ils sont tous là. Nous les avons sur le bout de la
langue, au bord des lèvres, derrière la paroi du front, dans la tête. Souvent, nous
les avons déjà dits et nous les répétons. Ils ne s’usent pas, ils gardent leur pouvoir
de transformer, de blesser, ou d’illuminer.

Alice Ferney, Les Autres

Questo lavoro è dedicato alle tante persone che mi hanno sostenuto, aiutato,
criticato attraverso il loro essenziale disaccordo con le mie idee. In modo
particolare, voglio ringraziare mio padre e i miei amici Marton Szentpèteri, Mario
Tornatore, Ernest Fitò Castells, Andrea Basile. Inoltre tengo a sottolineare il ruolo
significativo del professore Augusto Carli, sempre disponibile a spronarmi
emotivamente nei momenti di difficoltà. Infine vorrei rivolgere la mia gratitudine
alla professoressa Anna Orlandini per le sue ricche e puntuali correzioni.

5
Indice

Introduzione

1. Obiettivi della ricerca e piano di lavoro pag. 12

1. Analisi descrittiva della segnalazione del disaccordo

1.1 Panorama degli studi in materia 16


1.2 Alcune definizioni del disaccordo 19
1.2.1 Descrizione di un disaccordo duro 23
1.2.2 Il disaccordo come risposta dispreferita 24
1.2.3 Il disaccordo come risposta preferita 25
1.3 Il disaccordo nella prospettiva sociopragmatica 28

1.3.1 Il disaccordo come variante culturale 31


1.3.2 Il disaccordo in vari contesti culturali 33
1.4 Il disaccordo nella prospettiva cross-culturale 36
1.5 Le sequenze del disaccordo 40
1.5.1 Fase di presentazione: le asserzioni, le affermazioni e i giudizi di valore 41
1.5.2 Il disaccordo segnalato con le proposte, richieste e ordini 42
1.5.3 Fase di contrasto: la mitigazione, l’esplicitazione e la conflittualità 42
1.5.4 Il rifiuto e la negazione nel disaccordo 44
1.5.5 Altre forme di segnalazioni del disaccordo 44
1.5.6 Strategie grammaticali e lessicali del disaccordo in italiano e francese 45
1.6 Struttura del disaccordo e risoluzione del disaccordo 46
1.6.1 Fattori che influenzano l'atto del disaccordo 48
1.6.1.1 Il destinatario e i fattori di potere e di severità 48
1.6.1.2 La correzione come precisazione nel disaccordo 50

1.6.2 Alcune forme di mitigazioni 52


1.6.2.1 Mitigatori verbali: la prima persona al plurale, la riparazione e l’escalation 52
1.6.2.2 L'escalation 53

6
1.7 Il disaccordo nella prospettiva degli atti linguistici di Searle 54
1.7.1 Cortesia linguistica e il disaccordo come atti linguistici 56
1.7.2 Le espressioni linguistiche nel dibattito mediatico 57

1.7.3 La questione del setting e il tema conversazionale 58

1.7.3.1 La norma socioculturale 59

2. La prospettiva della sociopragmatica negli studi della pragmatica


linguistica

2.1 La sociopragmatica: lo stato dell'Arte 61


2.2 la sociopragmatica nei lavori di Spencer-Oatey 62
2.2.1 Dalle "Massime conversazionali” ai “principi sociopragmatici interazionali” 62

2.2.2 Le Costrizioni conversazionali nella sociopragmatica 64

2.3 La sociopragmatica e il mondo socioculturale: vari approcci al contesto 66

2.3.1 Relazione interpersonale e cultura 67

2.3.2 La nozione di “cultura” per Spencer-Oatey 69

2.4 Collegamento tra contesto e uso linguistico 71

2.4.1 Contesto socioculturale e uso linguistico culturalmente preferito 71

2.4.2 L'appropriatezza nel contesto 72

2.5 L'approccio di Goffman per analizzare la situazione sociale 73


2.6 Dal contesto all'uso del termine “cultura” negli studi di pragmatica linguistica 74

2.6.1 Le premesse culturali nella pragmatica di Claire Kramsch 76

2.6.2 Il parlato conversazionale come matrice culturale della lingua 79

2.6.3 Stile conversazionale: l'intonazione e la pronuncia come indicatori culturali 81

2.6.4 Il termine “ethos” nella prospettiva di Kramsch 82

7
3. La cortesia linguistica e il suo ruolo nella comprensione sociale
dell'interazione

3.1 Un excursus nella cortesia linguistica 84


3.2 La visione della cortesia in Brown e Levinson 86
3.3 Rivisitazione della cortesia linguistica da parte di Kebrat-Orecchioni 89
3.3.1 La nozione di cortesia negativa e positiva in Kebrat-Orecchioni 90
3.3.2 Cortesia e s-cortesia in Kebrat-Orecchioni 91
3.3.3 Individuazione di un ethos francese nell'analisi di Kebrat-Orecchioni 92
3.4 La cortesia di Leech e il suo ruolo nella comprensione del sociale 94
3.5 La visione sociale della cortesia 97
3.5.1 Strutture sociali, gruppo e interazione 97
3.5.2 Elementi di appartenenza ad un gruppo 98
3.5.3 I confini del gruppo 100
3.6 Il fenomeno della deissi sociale 101
3.6.1 I pronomi del potere e della solidarietà 103
3.7. La cortesia nelle varianti interculturali 105
3.8 La cortesia italiana: una prospettiva storica 107

4. Le varie manifestazioni del rapporto tra lingua e cultura

4.1 Osservazioni introduttive sul binomio lingua e cultura 111


4.2 Il concetto di comunità linguistica all'interno del binomio tra lingua e cultura 113
4.3. Rapporto tra sistema linguistico ed ethos comunicativo 114
4.3.1 La “prova lessicale” come riflesso della cultura 115
4.3.2 La ricerca di una definizione dell'ethos 116
4.3.3 Problematiche legate alla nozione di ethos 117
4.4 Tra strategie conversazionali e divergenze culturali 118
4.4.1 Il caso delle strategie conversazionali nella lingua francese ed inglese: convenzioni o
riflessi di profonde divergenze culturali 118
4.4.2 L'interazione come luogo del “cultural script” 119
4.4.3 Caratteristiche di queste due attitudini culturali 123

8
4.4.4 La franchezza contro il tatto come “cultural script” 124
4.5 La cultura come “massima interazionale” nel caso dei parlanti cinesi ed australiani 126
4.6 Analisi delle forme linguistiche per “essere indiretti” 130
4.7 La cultura come variante esplicativa nella comunicazione 131
4.7.1 Alcuni assiomi sulla cultura e sulla “cosa culturale” 132
4.7.2 Il concetto di “script” per analizzare la cultura 133
4.8 L' esempio di un elemento culturale nella comunicazione 134
4.8.1 Rapporto tra informazioni e valori culturali dentro l'interazione 135

5. La nozione di persona nel progetto etnopragmatico di Duranti

5.1 Elementi preliminari sulla nozione di persona 137


5.1.1 Identificazione e categorizzazione degli individui 138
5.1.2 Dall'individualizzazione al riferimento: I nomi e le descrizioni 139
5.1.3 Preferenze per il nome proprio come forma di riconoscimento sociale 140
5.2 Il concetto di “persona” nell'opera di Duranti 142
5.2.1 La socialità umana come ambito di ricerca 143
5.2.2 Proprietà e principi dell'interazione umana secondo Levinson 145
5.3 I Parlanti, il pubblico e la costruzione del sé politico 146
5.3.1 Il caso della costruzione narrativa del Sé politico 147
5.3.2 L'indessicalità 148
5.3.3 Il problema con le teorie intenzionaliste 149
5.3.4 Le critiche antropologiche alla teoria degli atti linguistici 150
5.3.5 La forza nel parlare 152

6. Analisi sociopragmatica dei dati: i casi di segnalazione del


disaccordo

6.1 Presentazione del corpus 155


6.1.1 Convenzioni adottate nella trascrizione delle conversazioni 158
6.2 Analisi sociopragmatica dell'intervista tra Fabio Fazio e Antonio Di Pietro 159
6.3 Intervista tra Ségolène Royal et David Pujadas 166

9
6.3.1 Setting e scena culturale dell'intervista 166
6.3.2 Analisi sociopragmatica dell’intervista tra il giornalista David Pujadas e Ségolène
Royal 167
6.3.3 Analisi del disaccordo nell’intervista tra Ségolène Royal e David Pujadas 169
6.4 Il ruolo del contesto nella segnalazione del disaccordo tra Michele Santoro e il giornalista Mario
Giordano 175
6.5 Disaccordo severo come segnale di stile conversazionale 181
6.5.1 L'intervista come evento linguistico 181
6.5.2 Analisi sociopragmatica del disaccordo 181
6.6 Disaccordo tra il giornalista Marco Travaglio e Michele Santoro 183
6.7 Analisi sociopragmatica del disaccordo nell’intervista tra Renato Brunetta e Daria Bignardi 185
6.8 Il nome proprio come modalità di segnalazione del disaccordo 193
6.8.1 Lo stile conversazionale del conduttore in termini sociopragmatici 196
6.9 Il disaccordo nel dibattito tra Ségolène Royal e François Bayrou 199
6.10 Disaccordo tra Marco Travaglio e l'avvocato Niccolò Ghedini 202
6.11 Severo disaccordo tra il giudice Serge Portelli e Nicolas Sarkozy 204
6.12 Disaccordo finale tra Nichi Vendola e Paolo Ferrero 212
6.13 Il grado di imposizione di Silvio Berlusconi per segnalare il disaccordo con Lucia
Annunziata 216
6.14 Analisi sociopragmatica del confronto politico tra Philippe de Villiers e Tariq Ramadan 222
6.15 Il disaccordo ritardato di Massimo D'Alema nell'intervista con Daria Bignardi 228
6.16 Disaccordo tra Houria Bouteldja e il filosofo Alain Finkrekraut 232
6.17 Il disaccordo e la cordialità nel dibattito tra Olivier Mazerolle e Jean-Luc Mélenchon 235
6.18 Le interruzioni conversazionali tra Michel Collon e Gilles Goldnadel a proposito del ruolo
degli Stati-Uniti nel Medio Oriente 241

7. Conclusioni 247

Bibliografia 254

Appendice 275

10
11
Introduzione

Il punto di partenza di questo lavoro si colloca nell'incontro/scontro di due lingue,


l'italiano e il francese. Vivendo ora in Italia, ma avendo vissuto i primi dodici anni della mia
esistenza nel Belgio francofono, ho conservato la prassi dell'esposizione ai media francesi, e ho
dovuto spesso adattarmi ad uno stile conversazionale italiano che sentivo come “affettivamente”
lontano dalla mia modalità di entrare in conversazione e di socializzare linguisticamente con i
membri della mia attuale comunità linguistica.
Se è vero che riesco a sentirmi al mio agio o a disagio a seconda delle situazioni nelle due lingue-
culture, provo intimamente un senso di diversità nelle due lingue, come se io fossi un'altra
“persona” quando uso uno di questi due codici linguistici (l' italiano e il francese). All'interno di
queste due comunità discorsive, provo un sentimento di familiarità e di estraneità allo stesso tempo,
come se ci fosse un muro invisibile o un elemento perturbante per usare un termine freudiano a
rammentarmi che non appartengo interamente né alla comunità italofona né a quella francofona.
Tuttavia, in alcuni periodi della vita questo sentimento è diventato un senso di estraneità, di
inadattabilità, quasi un peso nella ridefinizione del mio proprio stile conversazionale, piuttosto che
diventare una libera e originale riscoperta di due stili conversazionali differenti.
Da qui nasce la mia motivazione a scoprire la natura di questo disagio o “décalage”, che a volte ho
negato, minimizzato, omesso o rimosso, ma che è sempre pronto a manifestarsi per rivendicare la
sua presenza. Insomma, ho voluto ricercare la natura di questo spazio di mezzo, inteso come filtro
tra due realtà nelle quali mi sento “estraneo”, costretto a dissimulare una parte della mia biografia
linguistica. Non volendo sviluppare un approccio di tipo psicolinguistico, ho scelto di cercare di
comprendere al meglio questi due gruppi di parlanti, vale a dire quello francese ed italiano, e di
appropriarmi dei meccanismi di queste due lingue in una prospettiva , comunicativa e\o culturale,
al fine di ricomporre queste differenze all'interno di un lavoro di tipo scientifico.

1. Obiettivi della ricerca e piano di lavoro

Con l'ausilio del riferimento teorico del testo “ cross-cultural pragmatics”, scoperto tramite la
lettura di Anna Wierzbicka (1991), ho potuto iniziare il lavoro di comprensione delle differenze
culturali insite nella produzione del nostro agire linguistico. Dallo studio realizzato da Wierzbicka
emerge come i vari comportamenti umani cambino a secondo delle culture, così come le differenze
comunicative siano profondamente legate a dei riferimenti di tipo culturale e che il passaggio da
una lingua ad un'altra non è un processo anonimo ma è piuttosto carico di conseguenze sull'identità

12
dell'interlocutore. Data questa premessa, ho pensato di volere rivolgere il mio interesse ad un atto
linguistico preciso, la segnalazione del disaccordo, che mi è parso essere un atto linguistico utile per
cogliere il rapporto, l'interazione e il grado di imposizione tra le persone, all'interno della comunità
di parlanti italiana e di quella francese, durante delle interviste televisive. Il disaccordo, come atto
linguistico, potrebbe rappresentare una finestra strategica per capire la qualità delle relazioni
interpersonali all'interno di un gruppo di parlanti e perché non essere anche un indicatore del grado
di libertà conversazionale permessa all'interno di un dato evento linguistico.
Sin dai tempi della loro scoperta da parte dei filosofi oxfordiani (Austin,1962, Searle, 1969), gli atti
linguistici hanno suscitato molto interesse in vari ambiti disciplinari. Tuttavia, questo campo
d'indagine molto fertile rimane ancora poco esplorato dal punto di vista contrastivo nelle due lingue
prese in esame. In maniera più precisa, ci sono alcuni aspetti legati alla problematica degli atti
linguistici che mi hanno spinto ad interessarmi allo studio della segnalazione del disaccordo: il loro
ruolo all'interno del rapporto di faccia, la loro realizzazione linguistica e il grado d'imposizione
permesso o accettato all'interno di una comunità linguistica e le possibili differenze culturali. Tutto
questo viene a delineare un quadro di riferimento molto significativo per cogliere le differenze nella
costituzione o individuazione di un ethos comunicativo tra parlanti italofoni e francofoni. Di fatto,
la mia ricerca di natura sociopragmatica pone in evidenza il fatto che parlare consiste essenzial-
mente nella realizzazione di azioni, in altri termini dire significa agire per usare le parole di Austin
(1962) in sintonia con le convenzioni culturali presenti in quella comunità di parlanti. Quando la
propria avventura linguistica viene accompagnata da una biografia linguistica a cavallo tra due
lingue, cambiare lingua significa essere spinti a compiere delle azioni differenti, e cambiare il
proprio comportamento comunicativo equivale a cambiare se stesso, in quanto è con l’interazione
verbale con gli altri che si compie questa trasformazione.
L'italiano e il francese, tuttavia, non costituiscono due lingue separate da grosse opposizioni, e
numerose convergenze culturali avvicinano queste due comunità discorsive che sono
diacronicamente e sincronicamente legate da forme di scambi e di contatti. Il confronto tra due
sistemi linguistici in apparenza vicini è decisamente interessante perché rivela la differenza in modo
sottile ed evidente allo stesso tempo. Quando si lavora sull'espressione del disaccordo in una
prospettiva comparativa, ci troviamo ad analizzare alcuni elementi linguistici alla luce di una doppia
rivelazione, in altri termini occorre vigilare sulla somiglianza e non-somiglianza del fenomeno,
l’universalità e la specificità culturale nella realizzazione del fenomeno linguistico, la prossimità e
la distanza sociale nella realizzazione del disaccordo. Questo atto linguistico esiste effettivamente
nelle due lingue e appare con maggiore o minore frequenza nei due gruppi di parlanti italiani e
francesi. Tale presenza di “disaccordo” ci porta comunque a riconoscere un certo grado di parentela

13
tra le due lingue e tra le due comunità di parlanti, e ciò potrebbe rassicurare chi si appresta, per
ragioni diverse, a vivere lo sconfinamento linguistico dall'italiano al francese o vice-versa.

Tuttavia, questo atto linguistico presenta allo stesso tempo alcune varianti che si
possono rintracciare sul piano della realizzazione dove ci rendiamo conto che stiamo di fronte ad un
fenomeno comunicativo che obbedisce a regole diverse all'interno dei due etnoletti.
Questa fenomenologia del disaccordo viene ad assumere un valore conversazionale e socio-
relazionale che mette in evidenza delle specificità culturali. Questo dato rivela che lo spaesamento
linguistico e pragmatico viene assicurato sin da quando superiamo delle frontiere linguistiche,
anche quando queste frontiere non sembrano aprioristicamente separate da una grande distanza.
Impiegando le parole di Wierzbicka (1991) possiamo dire che non tutti gli atti linguistici possono
dirsi universali, ma vengono culturalmente determinati. Le varianti che coinvolgono il loro
funzionamento superano il semplice piano linguistico per estendersi a tutto il sistema valoriale di
una data società, così come si evince nello stile comunicativo dei suoi parlanti. Queste varianti
hanno un impatto notevole sulla comunicazione interculturale, minacciandola potenzialmente di
malintesi più o meno insidiosi tra gli interagenti. Ad esempio, le nostre ipotesi di partenze
riguardano soprattutto le differenze e le similitudini nella realizzazione del disaccordo, le differenze
nella realizzazione del lavoro di faccia per compiere il disaccordo per giungere infine
all'individuazione di un ethos prevalente nelle due comunità di parlanti.
Saranno propriamente queste ipotesi teoriche che cercherò di illustrare nel quadro di questa ricerca
incentrata sullo studio della segnalazione del disaccordo, dentro due sistemi linguistici differenti,
l'italiano e il francese. Nel primo capitolo di questo lavoro verrà presentata una panoramica
generale di vari autori che hanno descritto ed analizzato il disaccordo, partendo da prospettive
metodologiche differenti con la finalità di contestualizzare il fenomeno del disaccordo all’interno
della teoria della cortesia ideata da Brown e Levinson nell’anno 1987 in un lavoro intitolato
Politeness. Some universals in language usage (1987). In questo capitolo, inoltre, si è dato spazio a
varie cornici metodologiche che sono riconducibili alla sociopragmatica, all’analisi della
conversazione e agli studi cross-culturali. Il secondo capitolo propone una definizione operativa del
disaccordo come atto linguistico all’interno di una prospettiva sociopragmatica. Tale approccio
consentirà di porre l’attenzione ai principi sociopragmatici introdotti da Spencer-Oatey (2000) e di
richiamare altresì i lavori di Hofstede (2001) sulle differenze culturali presenti dentro i vari gruppi
culturali. Nel terzo capitolo il disaccordo viene inserito all’interno degli studi sulla cortesia
linguistica, intesa come qualità della comunicazione interpersonale tra i parlanti. In modo
particolare saranno prese in esame la visione della cortesia quale emerge dai lavori di Kebrat-

14
Orecchioni (1992) e di Leech (1983) mettendo in luce i vari fattori sociali che influenzano la scelta
degli elementi di cortesia tra i vari parlanti e soprattutto all’interno di gruppi culturali e sociali
differenti nella realizzazione di un atto linguistico particolare come il disaccordo. Il quarto capitolo
si concentra sui vari studi compiuti per analizzare le manifestazioni di correlazioni presenti tra due
fenomeni legati come quello della lingua e della cultura. In modo sintetico saranno riprese le tesi di
Sapir, Dell Hymes, Wierzbicka e Kramsch per meglio rappresentare la cultura come fenomeno
complesso ed “invisibile” (Hall,1977) essenziale per cogliere il senso linguistico ed extra-
linguistico di un’interazione dentro una data comunità di parlanti. Nel capitolo quinto si introduce la
nozione di “persona” attingendo ampiamente dai lavori di Duranti contenuti nei libri
Etnopragmatica. La forza nel parlare e l’etnografia del parlato quotidiano. Tale approccio ci
permetterà di indagare il tema della persona tramite una migliore comprensione della presentazione
del sé, soprattutto in termini pragmatici e contrastivi. Il capitolo sesto avrà una maggiore
importanza nell’economia di questa ricerca, in quanto sarà destinato all’analisi del corpus dei dati
tratti da materiale audiovisivo raccolto sulla rete telematica di internet, con la finalità di esporre i
risultati dell’analisi delle occorrenze di disaccordo all’interno del corpus di registrazioni di dibattiti
televisivi italiani e francesi. Come si è anticipato, si tratta di analisi a carattere sociopragmatico
nella cornice dell' etnografia del parlato, basate sull’interpretazione dei turni di parola in relazione
alle informazioni contenute nel contesto linguistico ed extra-linguistico; si pongono così in
evidenza le modalità di “agentivare e\o indessicalizzare” le persone durante le varie registrazioni
riguardanti dei dibattiti televisivi incentrati su temi di società e di politica. Nel capitolo finale,
infine, si esporranno le conclusioni a cui la ricerca è arrivata, tentando di evidenziare un quadro
dettagliato in un’ottica contrastiva sulla produzione del disaccordo all’interno delle due comunità
linguistiche prese in considerazione.

15
1. Analisi descrittiva della segnalazione del disaccordo

1.1 Panorama degli studi in materia

In questo studio la segnalazione del disaccordo viene indagata all'interno di un quadro


epistemologico che si rifà all'analisi della conversazione, alla teoria della cortesia in prospettiva
sociopragmatica e all’approccio cross-culturale degli atti linguistici. I primi studi sul fenomeno del
disaccordo, di origine conversazionalista, risalgono a Sacks (1987), Pomerantz (1984), Khotthoff
(1993)1mentre in ambito della cortesia linguistica abbiamo un lavoro di Holtgraves (1997). In un
lavoro di Pomerantz (1984), il disaccordo viene considerato nell'interazione parlata come una
risposta dispreferita e marcata2, mentre l'accordo viene considerato come una risposta preferita e
non marcata. Pomerantz, tuttavia, tiene presente che il disaccordo può essere una risposta preferita
in alcune situazioni, come ad esempio dopo una commiserazione o una lamentela.

(esempio 1)
You’re not bored (huh)?
Bored?
“No. We’re fascinated.”
[Pomerantz (1984:14)]

In studi più vicini a quella definizione di disaccordo che intendiamo trattare in questo lavoro si è
analizzata l'espressione del disaccordo come risposta preferita all'interno di diversi gruppi culturali,
come nei lavori di Edstrom (2004), Beebe e Takahashi (1989), Garcia, (1989), Cordella, (1996). In
tutti questi lavori, l'analisi dell'espressione del disaccordo ha spesso fatto ricorso alla teoria della
cortesia di Brown e Levinson (1987:62) in applicazione delle categorie di cortesia positiva e
negativa3 per parlare di un atto definito come face-threatening act (FTA).
1
Si confronti l’articolo di Sacks, Schegloff e Jefferson (1974) per una comprensione dei fenomeni legati all’analisi
conversazionale all’interno del testo di Giglioli e Fele, Linguaggio e contesto sociale (97:135)
2
I termini preferita e non preferita designano alcune proprietà linguistiche delle coppie adiacenti, dove preferita sta
per la seconda parte non marcata di una coppia adiacente e non preferita sta per la seconda parte marcata. Per un
approfondimento su questi concetti relazionati al disaccordo si rimanda a A. Pomerantz (1984).
3
Si parlerà in seguito in modo approfondito della teoria della cortesia tratta da Brown e Levinson in Politeness.

16
Nella teoria della cortesia si fa riferimento alla cortesia negativa per descrivere un contesto nel
quale si enfatizza la deferenza e la distanza tra i parlanti come forma di rispetto verso il parlante per
non impedirlo nelle sue interazioni ed azioni. Invece, la cortesia positiva riflette le caratteristiche
dell'imposizione e del cameratismo tra i parlanti come riflesso di una prevalenza per il senso di
solidarietà e di approvazione. In uno studio di Beebe e Takahashi (1993) emerge la costante
presenza di correttivi positivi nell'introdurre un disaccordo da parte dei parlanti statunitensi, mentre
nei parlanti giapponesi le espressioni esplicite sono meno presenti, soprattutto nelle situazioni
minacciose per la faccia degli interlocutori. Nel lavoro di Edstrom (2004), il disaccordo viene
definito come la comunicazione di un’opinione o di una credenza contraria all'opinione espressa da
un precedente parlante. Tale definizione del disaccordo può spingere alla difesa della propria
opinione, all’attacco dell'altra posizione oppure all'accettazione della proposta dell'altro
interlocutore. Nel lavoro svolto da Cordella (1996) sui parlanti spagnoli viene attribuito un tasso
elevato di franchezza negli ispanofoni con la conseguenza che tale stile interazionale (Spencer-
Oatey, 2000) tende ad essere percepito da alcuni anglofoni come uno stile troppo diretto e pertanto
non proprio appropriato. Nei lavori di Garcia (1989) si mette in risalto come le donne venezuelane
prese in esame utilizzino uno stile “confrontativo” nell'esprimere il disaccordo in quanto aderiscono
ad un sistema di cortesia positiva dove il coinvolgimento tra i parlanti (Garcia 1989: 391) è un
valore culturale (Spencer-Oatey, 2000) positivo. All’interno del suo lavoro, Garcia (1989) utilizza la
nozione di cortesia positiva e negativa di Brown e Levinson (1987) per analizzare la segnalazione
del disaccordo tra parlanti del gruppo venezuelano e statunitense. Il risultato di questo lavoro fa
emergere una rilevante differenza in quanto i parlanti venezuelani utilizzano attacchi diretti, ordini,
rifiuti di cooperazione, critiche ad una terza persona, forti rifiuti e scuse (“olvidate”, “no te creas”,
“te voy a dar un ejemplo”), mentre i parlanti americani ricorrono ad attacchi mitigati ( Caffi, 1999)
o suggerimenti, espressioni di difficoltà di cooperazione, accuse e rifiuti impersonali (“bueno,
pero”, “si, no, pero”,” Si, no, pero Chiquita”). Secondo Garcia (1989), le differenze riscontrate nei
due gruppi sono da attribuire ad un ethos4 (Wierbizcka, 1991) in cui la cortesia positiva gioca un
ruolo importante nelle relazioni interpersonali, dato che si tende ad essere amichevoli nel gruppo
americano mentre in quello venezuelano predomina un grado di imposizione (Brown e Levinson,
1987).
Il concetto di “cortesia positiva o negativa”, all'interno della teoria della cortesia di Brown e
Levinson (1987), porta con sé degli elementi problematici: in primo luogo, la cortesia è una nozione

Some universals in language usage (1987) nata sulla scia dei lavoro di Goffman sul concetto di faccia (1967)
4
La nozione di ethos sarà ripresa dal libro di Anna Wierzbicka Cross-cultural pragmatics. The semantics of human
interaction (1991) per ampliare il suo uso a tutta la comunità linguistica e non soltanto per una sola persona, come
veniva adoperato da Aristotele ( Barthes, 1972).

17
relativa che dipende dal contesto di partenza: ad esempio, quando si comparano con i venezuelani,
gli statunitensi sembrano non confrontativi, vale a dire che le loro affermazioni vengono quasi
sempre mitigate e lasciano all’interlocutore la possibilità di essere o non essere in accordo con loro.
Al contrario, la cultura statunitense, messa a confronto con quella giapponese, viene percepita come
esplicita e diretta nella realizzazione di alcuni atti di minaccia per la faccia dell'altro interlocutore
(Holtgraves e Yang, 1990). Nella stessa direzione si colloca il lavoro di Hernandez-Flores (1999:42)
dove si evidenzia l'applicazione problematica della nozione di cortesia positiva e negativa di Brown
e Levinson al contesto culturale ispanofono: questo modello della “politeness” ideato da Brown e
Levinson (1987) mostra alcuni elementi culturali che non si accordano con l'ideologia
socioculturale della conversazione informale nell'ambito culturale ispanofono. L’osservazione di
Hernandez-Flores (1999) sottolinea una categorizzazione della cultura5 intesa come un blocco
unitario dove non s'intende ricorrere alle teorie che vedono la cultura ( Spencer-Oatey, 2000,
Sperber, 1995) come un processo che avviene all'interno dell'interazione tra i partecipanti (Bargiela-
Chiappini, 1997:96). In un lavoro importante di Jacob Mey (2001) Pragmatics. An introduction si è
posto in rilievo come i partecipanti gestiscano il disaccordo tramite dei marcatori di turni
dispreferiti, mitigazioni, concessioni e attribuzioni. Sempre in Mey (2001:166-67) si è osservato che
anche in presenza di forte disaccordo tra i partecipanti, il disaccordo viene presentato all'interno di
una visione condivisa, vale a dire concordando almeno su un aspetto del turno precedente, ad
esempio usando delle ripetizioni, concessioni o riparazioni. Inoltre Mey (2001) sostiene che il
fenomeno del disaccordo è probabilmente universale, mentre è la sua realizzazione che non è
universale (2001:166-167).
Il “modo” di realizzare l’espressione del disaccordo seguendo questa ipotesi dipende dalla variante
“cultura” ed è percepibile come un potenziale elemento di malinteso nei contesti interculturali6.
Ad esempio, nel lavoro di Cheng (2003) viene adottata la nozione di risposta “dispreferita” o meno
consueta (Sacks,Schegloff, Jefferson, 1974) per definire gli atti di disaccordo tra parlanti, vale a
dire che il parlante segnala un disaccordo quando esprime qualcosa di contrario all'affermazione
precedente del parlante. Cheng (2003:127) pone in rilievo l'uso della mitigazione come dispositivo
pragmatico per segnalare un disaccordo indiretto realizzato attraverso informazioni che sostengono
il retroterra del disaccordo, oppure l’uso del riconoscimento positivo come prefazione al disaccordo
oppure la scelta di strategie retoriche di tipo induttive o deduttive per esprimere il disaccordo. Nel

5
Il termine cultura va adoperato nel senso di Spencer-Oatey (2000) in Culturally Speaking: Managing Rapport
Through Talk Across Culture con l'integrazione del pensiero di Sperber (1995) a proposito della cultura come
rappresentazione epidemiologica, ovvero una meta-rappresentazione di una rappresentazione diffusa come un virus
nel corpo della società e nelle menti dei parlanti.
6
Nel lavoro di Mey si introduce una visione della pragmatica dove la cultura riveste un ruolo sempre più
considerevole nella comprensione del significato sociale dell’atto locutorio.

18
lavoro di Cheng (2003) risulta che i disaccordi vengono in gran parte realizzati con un
riconoscimento o una valutazione positiva di ciò che è stato detto in precedenza dal parlante prima
di passare al disaccordo. Nel lavoro di Cheng (2003) emerge la necessità di studiare la realizzazione
della cortesia nell'espressione del disaccordo come sistema per capire\indagare le somiglianze e le
differenze tra parlanti provenienti da gruppi linguistici differenti. Lo stesso Goffman (1967:33)
aveva descritto nei suoi testi di microsociologia7 la natura delicata per il parlante di produrre
un'opposizione o una prospettiva contraria, spiegando che nella conversazione viene generalmente
mantenuto un cortese accordo e che i partecipanti in profondo disaccordo tra di loro utilizzeranno
delle strategie per giungere, in un secondo momento, ad una qualche forma di accordo.
In un altro studio sul disaccordo condotto da Rees-Miller (2000) viene considerato la teoria della
cortesia come punto di partenza per indagare il disaccordo pronunciato in situazioni di
conversazioni naturali all'interno di contesti istituzionalizzati. All’interno del modello teorico della
cortesia di Brown e Levinson (1987), viene spiegato come la strategia più diretta di realizzazione
del disaccordo sia di preferenza utilizzata al posto di una strategia meno diretta quando la distanza
sociale tra i parlanti è ridotta, quando uno dei parlanti detiene maggiore potere dell'altro
interlocutore e quando il disaccordo appare come meno forte. Secondo Hernandez-Flores (1999:42),
il ruolo della cortesia linguistica (Brown e Levinson, 1987) è di minimizzare il rischio di minaccia
per la “faccia”8 dell'interlocutore, ma anche il raggiungimento di una piacevole ed amichevole
interazione costruendo una relazione tra i partecipanti in linea con le regole culturali del contatto
sociale di quel particolare gruppo.

1.2 Alcune definizioni del disaccordo

In questo paragrafo vengono proposte alcune definizioni per descrivere la notevole


complessità nel definire un atto linguistico come il disaccordo. Una prima definizione per
circoscrivere l’atto linguistico del disaccordo viene riportata dai lavori di Sornig (1977) all'interno
della cornice degli atti linguistici (Searle, 1969):

Un parlante S è in disaccordo quando considera non vera una proposizione P enunciata o presunta
come valida da un interlocutore A e reagisce con un enunciato al contenuto proposizionale o

7
Goffman viene considerato come l’autore che ha maggiormente studiato l’interazione umana nella formula del faccia
a faccia all’interno del suo testo Il rituale dell’interazione (1971).
8
La nozione di « faccia » viene dall’idea di persona come portatore di una maschera presente nei lavori di Durkheim
(1901-02) sulla sacralità della persona.

19
implicato di quello che considera essere non P.

In questa definizione è sufficiente per un enunciato di significare non P, anche se ciò non viene
affermato in modo esplicito per realizzare che S esprima ad A il disaccordo in modo diretto o
indiretto. Altre definizioni del disaccordo tra un parlante B e un parlante A possono essere
ricondotte a questi esempi:

1. Un parlante è in disaccordo quando sostiene non veritiera una precedente affermazione da


parte del suo interlocutore (Takahashi e Beebe, 1993);
2. Un parlante considera non vera la precedente asserzione di A (Wagner, 2001);
3. Un parlante rigetta una proposta di A (Schiffrin, 1985);

Per la teoria di Brown e Levinson (1987) il disaccordo è per sua natura un atto di minaccia per la
faccia in quanto inficia la solidarietà tra parlante e interlocutore. Il concetto di faccia comprende sia
il bisogno di solidarietà con gli altri, vale a dire la faccia positiva, sia il bisogno di autonomia dagli
altri, vale a dire la faccia negativa (Goffman, 1967; Brown e Levinson, 1987).
Gli interlocutori partono dal principio di reciproco interesse nel mantenere la faccia e pertanto
tentano di essere “cortesi”9 (Brown e Levinson, 1987:60).
Secondo la teoria della cortesia di Brown e Levinson presente nel testo “Politeness: Some
universals in language usage” (1987), per realizzare un atto di disaccordo provando a mantenere
l'armonia sociale, il parlante dovrebbe usare accordi parziali, un linguaggio colloquiale, usare la
prima persona al plurale per evitare di minacciare la faccia positiva dell'interlocutore. Mentre l'uso
di interrogativi, di mitigatori e di forme impersonali minimizza la minaccia per la faccia negativa
dell'interlocutore. Secondo Brown e Levinson (1987), i parlanti scelgono una strategia appropriata
in funzione del rischio di minaccia di un dato atto linguistico per la loro faccia. Nella teoria della
cortesia viene offerta per risolvere questa questione del peso di un atto di minaccia per la faccia una
formula di tipo matematico: in altri termini, viene calcolata la somma di D (distanza sociale tra gli
interlocutori) + P ( potere relativo degli interlocutori) + R ( grado di imposizione).
A questa formula viene riconosciuto che il grado di minaccia per la faccia e l'importanza sociale
accordata alla distanza e al potere sono culturalmente determinati e possono variare dalle situazioni
all'interno di una stessa cultura (Brown e Levinson, 1987: 76-79, 244-251). In questa teoria della
cortesia, tuttavia, viene asserito che le varianti D, P, R sono “varianti indipendenti” che raggruppano
9
La cortesia nella concezione di Brown e Levinson (1987) è da intendere come la qualità della relazione interpersonale
in termini di investimento e di risparmio linguistico per realizzare un’interazione verbale in conformità alle norme
sociali presenti in quella data comunità di parlanti.

20
la somma degli altri fattori e questi fattori sembrano essere appropriati per predire il comportamento
della cortesia tra gli interlocutori.
Altri ricercatori (Spencer-Oatey, (2000), Cheng, (2003)) hanno sostenuto l'importanza dei fattori
situazionali come fattori che non determinano soltanto le aspettative e i contenuti socialmente
accettati per un'interazione ma anche le aspettative da parte dei partecipanti dei loro diritti e doveri10
durante l'interazione. Nell'analisi del disaccordo è necessario fare attenzione alle particolari forme
linguistiche impiegate per codificare il disaccordo, in quanto possono essere di tipo “diretto e
indiretto” ( nella terminologia di Brown e Levinson si adoperano i termini “on-record” e “off-
record”), basandosi sul come viene coinvolto l'interlocutore nella costruzione dell'interazione e dal
come viene compresa la conversazione.
Nella tassonomia proposta da Brown e Levinson abbiamo delle categorie come ‘diretto’, ‘ senza
forme di riparazione’ (del disaccordo) che non distinguono forme di disaccordo che non vengono
minimizzate da quelli che vengono rafforzate con uno o più marcatori linguistici.
Inoltre la categoria dei disaccordi minimizzati viene suddivisa seguendo la distinzione tra cortesia
positiva e negativa introdotta da Brown e Levinson. Nella categoria della cortesia positiva, i
minimizzatori nel disaccordo includono i commenti positivi, l'umorismo, la prima persona al plurale
e gli accordi parziali. L'utilizzo di questi marcatori linguistici serve per aumentare la solidarietà con
l'interlocutore dimostrando che condividiamo i stessi desideri o che apparteniamo allo stesso gruppo
a prescindere dal disaccordo. Nella categoria della cortesia negativa, i minimizzatori linguistici
comprendono delle domande piuttosto che delle affermazioni, delle prefazioni come “ penso che/
non lo so/ mitigatori come “forse” o “non esattamente” e verbi dell'incertezza come sembra e
potrebbe. Queste forme di minimizzazioni della propria persona e di distanziamento dal disaccordo
offrono al parlante la possibilità di evitare qualsiasi imposizione sull'autonomia dell'interlocutore.
Nella categoria dei disaccordi rafforzati, il disaccordo viene amplificato tramite delle domande
retoriche, degli intensificatori ( quantificatori universali), l'uso del pronome 'tu' con l'imperativo o
con una forza accusatrice o con un vocabolario giudicante. Il potere è un fattore che colpisce la
scelta del marcatore linguistico del disaccordo. Ad esempio, nel caso di una situazione di potere
istituzionalizzato, come ad esempio tra un dirigente e un lavoratore, un imputato e il giudice, il
partecipante con maggiore potere utilizzerà forme più dirette di disaccordo, incluse forme di
domande a scopo di manipolazione, mentre il partecipante con minore potere userà maggiormente
forme di mitigazioni e di minimizzazioni (Fairclough, 1989)11.

10
Queste due nozioni rivestono un ruolo molto importante nella teoria dei principi sociopragmatici concepita da
Spencer-Oatey (2000).
11
Lo studioso inglese Fairclough (1995) ha concentrato le sue ricerche sul binomio linguaggio e potere all’interno dei
rapporti istituzionalizzati come all’interno del modo politico e dei media.

21
La stessa situazione si ritrova nel contesto dell'università dove i professori detengono un potere
istituzionalizzato in virtù della loro maggiore conoscenza e competenza professionale, dell'età e del
ruolo di valutare gli studenti. Quindi il professore detiene un diritto istituzionalizzato di essere in
disaccordo con gli studenti, soprattutto quando fanno degli errori per via di mancanza di conoscenza
o di abilità (Norrick, 1991:31). Il disaccordo prodotto dallo studente verso il professore è
potenzialmente un atto di minaccia alla sua faccia positiva perché intende sfidare le conoscenze del
docente. Inoltre lo studente che è in disaccordo con il docente può incorrere al momento dell'esame
ad una valutazione negativa da parte del professore. Dato il contesto accademico, il docente
secondo il lavoro di Norrick (1991) dovrebbe utilizzare minori forme di cortesia con poche
riparazioni nel produrre il disaccordo, mentre gli studenti dovrebbero adoperare forme più leggere
di disaccordo. In un lavoro di Rees-Miller (2000) nel contesto dell’università americana, si è
osservato che i professori hanno usato più strategie di cortesia nei confronti dei loro studenti
piuttosto che gli studenti verso i professori. La domanda che si pone Rees-Miller è di capire le
ragioni di questo uso più rilevante di forme di cortesia da parte dei professori? L'autore di questo
lavoro suggerisce che questi docenti generalmente non percepiscono il disaccordo dello studente
come una minaccia per la faccia, ma viene visto piuttosto come un modo per rafforzare la faccia. Il
disaccordo dello studente evidenzia una mente indagatrice e dinamica nel processo di
apprendimento, e così facendo rafforza la faccia positiva del professore. Un altro punto di rilievo è
di capire perché i professori utilizzano i commenti positivi, l'umorismo, i pronomi alla prima
persona al plurale quando sono in disaccordo con gli studenti mentre non vengono usate queste
strategie tra colleghi o tra pari?
Un'interpretazione interessante ci viene da Fairclough (1989) il quale suggerisce che le strategie di
cortesia positiva servono per mascherare il potere e per stabilire maggiore solidarietà tra docente e
studente o come tra politico e elettore. Quando ci troviamo in situazioni di potere istituzionale
differenziato, gli interlocutori con status più elevato includendo nel loro gruppo le persone con
status più basso compiono un complimento per gli interlocutori con status più basso. Al contrario,
una situazione che vedrebbe uno studente includere un professore nel gruppo degli studenti sarebbe
una attribuzione di potere da parte dello studente e una potenziale minaccia per le conoscenze e le
competenze del docente in questione.

22
1.2.1 Descrizione di un disaccordo aggravato

Nel lavoro di Rees-Miller (2000) il disaccordo viene definito come aggravato quando
minaccia l'identità personale o professionale del parlante, oppure quando coinvolge i valori e le
credenze dell'interlocutore. Quanto più forte sarà il sentimento di minaccia alla propria persona,
maggiore sarà la durezza del disaccordo. Se partiamo dal presupposto che la cortesia e il
mantenimento dell'armonia sociale sono i prerequisiti secondo la teoria di Brown e Levinson
(1987), allora sarà prevedibile un uso limitato o assente di marcatori di cortesia per compiere un
disaccordo duro, mentre maggiore sarà il lavoro di cortesia per svolgere un disaccordo meno duro.
Nella teoria di Brown e Levinson (1987) il disaccordo viene analizzato come atto di minaccia alla
solidarietà tra i parlanti e viene suddiviso in tre categorie di disaccordo: il disaccordo minimizzato,
rafforzato o aggravato.
Il disaccordo minimizzato quando viene prodotto riguarda la faccia negativa dell'altro parlante
come ad esempio: mi sembra di no, direi di no, forse.
Il disaccordo di tipo rafforzato colpisce la faccia positiva dell'altro parlante adoperando espressioni
come: affermazioni contradittorie o accuse velate.
Invece, il disaccordo minimizzato si compie con elementi linguistici che racchiudono l'umorismo, i
commenti positivi o parziali accordi e si mostra attenzione alla faccia positiva dell'altro
interlocutore minimizzando la minaccia del nostro disaccordo.
Il disaccordo aggravato ricopre il ruolo di preservare il rispetto della propria persona e difendere la
propria faccia di fronte alle minacce provenienti da parte dell'altro interlocutore.
Tuttavia non sempre l’espressione del disaccordo duro viene realizzato in questo modo nello
svolgimento di conversazioni spontanee. Ad esempio nel quadro teorico ideato da Brown e
Levinson (1987) abbiamo una strategia di disaccordo denominata “ bald on-record”, vale a dire
l'espressione del disaccordo realizzato in modo diretto senza alcuna forma di mitigazione nel
disaccordo. Questa strategia risulta interessante per cogliere il fattore di potere all’interno
dell’interazione e di conseguenza per capire quale effetto si vuole ottenere sull'interlocutore: ad
esempio, con la produzione di un disaccordo minimizzato si intende “mostrare considerazione per
gli altri e minimizzare la minaccia per l'interlocutore” mentre con un disaccordo rafforzato si
intende “ preservare il proprio rispetto personale e difendere la propria faccia”.
Comunque esistono delle relazioni come quella tra docente e studente, politico ed elettore, dove
sarà difficile stabilire quali forme di disaccordo potranno riscontrarsi in quel tipo di conversazione,
dato il peso del contesto e delle aspettative che gli interlocutori portano con sé all'interno di questi
contesti istituzionalizzati ( Fraser, 1990; Tannen, 1987).

23
1.2.2 Il disaccordo come risposta dispreferita

Per introdurre il disaccordo come risposta dispreferita o meno consueta siamo partiti dal
lavoro di Holmes e Stubbe (2003) in cui si pone l’attenzione sull'importanza dei fattori contestuali
come il potere relativo e la solidarietà come varianti che modificano il modo di produrre il
“disaccordo”.
In Holmes (2000) si afferma che i fattori sociali come lo status, il potere, la solidarietà, la distanza
sociale e il contesto sociale intesi come variante socioculturale del contesto situazionale influenzano
le scelte linguistiche prodotte dai parlanti durante le loro interazioni.
La prospettiva di ricerca di questi lavori interpreta il ruolo sociale come costruzione del proprio
parlato durante l’interazione con altre persone influenzato da vari fattori sociali insiti nel contesto. I
fattori rilevanti nella conversazione comprendono il potere relativo tra gli interlocutori e le relazioni
gerarchiche di status, fattori di solidarietà come essere membro di un gruppo e/o una comunità, la
formalità del luogo, l'influenza generale della cultura dell'istituzione nella quale stanno interagendo.
From this perspective, social roles are enacted or constructed thought talk, and the way in which people
interact with others at work is influenced by their sensitivity to the range of social influences on their talk.[Holmes,
Stubbe, (2003:2)]

Nei primi studi sul disaccordo di matrice conversazionalista ed anglosassone12 (Sacks, 1987),
(Pomerantz, 1984) , si è notato come le persone percepivano le interazioni con un forte disaccordo
come interazioni molto stressanti e minacciose. Questo significa secondo Pomerantz (1984) che
generalmente le persone preferiscono produrre la risposta che il loro interlocutore vorrebbe sentirsi
dire. Questo viene osservato, in sintonia con la Massima di Accordo di Leech (1983), nel modo nel
quale i parlanti offrono il loro contributo all'interazione massimizzando l'accordo e minimizzando o
evitando il disaccordo. Ad esempio, Sacks (1987:114) ha osservato che la risposta “sì” ad una
domanda è molto più frequente che la risposta “no”, e l'accordo compare prima nei turni di parola
tra i parlanti, mentre il disaccordo viene generalmente ritardato e indebolito con forme di
mitigazioni e di scuse.
Nel lavoro di Holmes (1997) emerge chiaramente che le persone in posizioni di autorità e di potere
tendono a dare più ordini, istruzioni e più consigli delle persone in posizioni subordinate, mentre le
persone con status inferiore tendono ad esprimere comprensione e accordo con maggiore frequenza

12
Molte critiche sono state indirizzate all’origine degli studi conversazionalisti provenienti dalle ricerche sugli atti
linguistici di Austin (1962) e Searle (1969), entrambi filosofi del linguaggio provenienti dalla tradizione analitica
oxfordiana.

24
(Holmes, 1997). Riprendendo le parole di Morand (1996) possiamo a nostra volta sostenere che il
potere nelle relazioni interpersonali viene comunicato e compiuto tramite lo scambio di
comportamenti durante l'interazione faccia a faccia. Le persone che occupano delle posizioni di
potere possono sfruttare la loro influenza adottando uno stile più assertivo, premendo per fare
cambiare opinioni agli altri e fare accettare il loro punto di vista. Nei lavori di Holmes (1997), le
persone con posizioni sociali più elevate affermano la loro posizione in modo esplicito e senza
concedere compromessi realizzando dei disaccordi in un solo turno di parola. Le attività discorsive
mitigate sono intraprese dalle persone con minore status con il tentativo di trovare un compromesso
o un reciproco accordo. I partecipanti con minore status nell'interazione esprimono generalmente il
disaccordo in modo meno diretto, adoperando uno stile collaborativo di gestione del disaccordo,
cercando una risposta tramite il consenso e la cooperazione tra gli interlocutori. Questo stile è tipico
delle interazioni nei posti di lavoro dove il potere relazionale viene ridotto e l'autorità non viene
evidenziata in modo esplicito. Il conflitto viene risolto attraverso la negoziazione per giungere ad
una posizione accettabile da parte di tutti. In accordo con Morand (1996) si afferma che gli atti di
minaccia per la faccia sono finestre strategiche sull'interazione interpersonale. Il lavoro da
realizzare in una prospettiva di tipo sociopragmatica13 è di collocare questi atti linguistici all'interno
di un ampio orizzonte sociale per osservare i loro comportamenti linguistici. Il disaccordo è
presente all'interno della relazione interpersonale tramite il modo di indessicalizzare (Duranti,
2007) la relazione, vale a dire come viene indicata la tipologia di relazione interpersonale con
l'interlocutore (Morand, 1996).

1.2.3 Il disaccordo come risposta preferita

L’analisi svolta sul disaccordo da Kakava (2002) ha una diversa prospettiva in quanto nella
conversazione in lingua greca, secondo la studiosa, il disaccordo è inteso come una forma
ritualizzata di opposizione pervasiva e preferita perché è attesa e “permessa”14.
Kakava (2002) intende posizionare l'atto del disaccordo all'interno di una cornice di costrizioni di
tipo culturali e contestuali, proseguendo una tradizione di lavoro come quello di Schiffrin (1984), in

13
Il termine sociopragmatica che adoperiamo in questo lavoro si rifà ai principi di correlazione presenti tra la
produzione degli atti linguistici in conformità all’uso sociale di una data comunità di parlanti. Invece la definizione
di comunità di parlanti si rifà alla nozione di speech community di Gumperz (1973) , in cui la comunità è ‘ogni
aggregato umano caratterizzato da un’interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme condiviso di segni
verbali……(1973:269)
14
« permessa » è da intendere come una mossa strategica che viene percepita in modo positivo da parte dei membri di
una comunità linguistica, come nel caso greco secondo la ricerca di Kakava (2002).

25
cui si afferma il valore positivo del disaccordo nella comunità ebraica di New York. Questo
posizionamento di Kakava risulta possibile perché:

........she define argument as the activity in which the participants engage when they exchange oppositional moves to
challenge and/or offer support for a position . [Kakava (1993:3)]

In consonanza con Kakava (2002) abbiamo le ricerche di Katriel (1986) e Khotoff (1993) che
riportano una valutazione positiva della segnalazione del disaccordo. Questi studi sul disaccordo
come risposta preferita si sono avvalsi di un quadro concettuale di tipo culturale e contestuale
utilizzando la sociolinguistica interazionale di Tannen (1989) e di Schiffrin (1994). Questo
approccio è stato collegato ulteriormente con due nozioni di contesto, vale a dire un livello “Macro”
e “Micro” del contesto. Le informazioni fornite sul livello “Macro” sono esaminate dal modello di
Hymes (1972) denominato “Speaking”15, mentre il livello “micro” sulla natura del “parlato” prende
in considerazione i vari partecipanti ( Bateson, 1972; Goffman, 1971). Questo livello viene
analizzato tramite la ravvicinata osservazione dell'organizzazione sequenziale dell'interazione
verbale e il modo di cogliere le implicature conversazionali ( Grice, 1975) attraverso gli indici
contestuali (Gumperz, 1982)16. Nell'analisi di Sacks (1987) sul disaccordo emerge che il disaccordo
non è tanto una risposta dispreferita perché è oneroso psicologicamente essere in disaccordo con il
proprio interlocutore quanto piuttosto rappresenta una aspettativa sociale essere in concordanza tra i
parlanti. Di conseguenza si potrebbe avanzare l’ipotesi che se per Sacks (1987) l’essere in accordo
non rappresenta una scelta individuale ma piuttosto una scelta sociale possiamo forse pensare che
essere in disaccordo rappresenta una scelta linguistica di “agentivare” la propria persona17. In
Pomerantz (1975, 1984) viene introdotta la nozione di marcatezza nella produzione del disaccordo
poiché la manifestazione del disaccordo come risposta “dispreferita” avviene con ritardo, con delle
richieste di chiarificazioni, delle ripetizioni parziali, delle riparazioni o prefazioni del turno di
parola (Pomerantz, 1984)18. Heritage (1984) afferma che il disaccordo è una risposta ampiamente
distruttiva per la solidarietà sociale tra i parlanti. In questi due autori il disaccordo viene visto come
un'azione dispreferita che minaccia la solidarietà e le aspettative sociali dei parlanti mentre

15
Il modello di Dell Hymes intende studiare un evento sociale alla luce dell’interazione linguistica che in esso ha
luogo. Secondo Hymes per compiere un’analisi del parlato occorre capire gli scopi dell’interazione, i confini
spaziotemporali, le norme e i partecipanti.
16
Secondo Gumperz in Discourses strategies (1982) questi indici servono per capire come decifrare quello che ci
viene detto e capire la chiave interpretativa di quello che ci viene detto .
17
La nozione di Persona e di agentività rivestirà un ruolo importante nel proseguo del nostro lavoro visto che sarà
una nozione ripresa da Duranti nel suo progetto di ricerca incentrato sulla forza del parlare all’interno di un gruppo
umano.
18
Per un quadro di riferimento più completo sull’argomento dell’analisi conversazionale si rimanda al testo La
conversazione. Un’introduzione allo studio dell’interazione verbale (1999) di Galatolo, R. e Pallotti, G.

26
nell’articolo di Kakava (1993) viene sostenuta la tesi che nella cultura greca il disaccordo può
essere considerato come una forma di socialità. Precedentemente, uno studio di Vassiliou (1972) a
proposito dell’attitudine culturale dei greci aveva confermato questa prospettiva favorevole sul
disaccordo tramite le parole degli intervistati ellenici:

‘I enjoy a good rousing argument’ and ‘I like arguing with an instructor or supervisor’ [Vassiliou (1972)].

In altri studiosi come Katriel (1986) e Schiffrin (1984) si è posto l'accento sui parametri
contestuali che possono colpire o permettere la realizzazione del disaccordo. Katriel (1986) con un
lavoro etnografico svolto in Israele ha documentato tra gli israeliani un'attitudine positiva verso il
confronto e la segnalazione diretta del disaccordo. Il lavoro di Katriel (1986) si è incentrato sullo
stile comunicativo denominato come “dugri” (diretto in ebraico) praticato in alcune circostanze
dagli israeliani, nel quale gli elementi caratterizzanti sono “essere diretto, semplice e breve”. La
spiegazione offerta da Katriel (1986) è che gli israeliani pongono maggiore enfasi sul “vero
rispetto” piuttosto che sulla considerazione in quanto il principio che spinge il parlante è che
l'ascoltatore:

“has the strength and integrity required to take the speaker’s direct talk as sincere and natural”[Katriel (1986:26)]

Nella stessa direzione abbiamo i lavori di Schiffrin (1984) incentrati sul disaccordo all'interno della
comunità ebraica statunitense proveniente dall'Europa dell'est. Schiffrin (1984) ha messo in
evidenza tramite delle prove linguistiche che il disaccordo non è percepito come un'azione che
minaccia l'interazione sociale, ma è una forma di sociabilità come in Kakava (2002). Il concetto di
sociabilità è ripreso da Simmel (1961) che definisce come argomento di sociabilità quelle attività
d'interazione verbale dove la polarizzazione delle posizioni ha un significato ratificato tra i
partecipanti (Schiffrin, 1984:331). Gli elementi identificati in questo genere di conversazione sono:
il disaccordo sostenuto, la partecipazione alla cornice della conversazione e alla competizione per i
“beni” interazionali negoziabili. Schiffrin ( 1984) ha osservato che i partecipanti nella comunità
ebraica di New York erano costantemente non allineati l'uno con l'altro ma lavoravano al
mantenimento della loro intima relazione. Questo comportamento rappresenta per Schiffrin (1984)
una prova della relatività culturale di un atto linguistico (Austin, 1962, Searle, 1969) come il
disaccordo. Nella stessa direzione di Schiffrin (1984) abbiamo un altro esempio tratto da Kakava
(1993), dove il disaccordo identificato nella conversazione informale tra giovani greci non è quasi
mai un marcatore di dispreferenza o di non consuetudine (Sacks, Schegloff, Jefferson, 1974) tra i

27
partecipanti all'interazione. Kakava (1993) evidenzia che in molti casi il disaccordo viene come
“prima” risposta ad una affermazione e non viene in seguito proseguito nei turni di parola, o non
viene anticipato con dei marcatori di dispreferenza come sostiene la teoria conversazionale di
Sacks (1987) o Pomerantz (1984) che vuole l'accordo come la risposta preferita. In questo contesto,
il disaccordo è sostenuto ma non minaccia la relazione interpersonale dei partecipanti, ma viene
percepito come un elemento della sociabilità dell'argomento come precedentemente sostenuto da
Schiffrin (1984) sulla comunità ebraica statunitense.

1.3 Il disaccordo nella prospettiva sociopragmatica

L'approccio di tipo sociopragmatico ha la finalità di cogliere la presenza di differenze di tipo


culturale all'interno dello stile comunicativo di due o più gruppi di parlanti. Per esemplificare questo
approccio si è fatto ricorso al lavoro svolto da Johnson (2006) per descrivere la gestione del
disaccordo nelle interazioni di due gruppi di parlanti anglofoni abitanti di Londra che si
percepiscono culturalmente distinti, vale a dire un gruppo di parlanti provenienti da un retroterra
africano e l’altro gruppo proveniente da un retroterra di tipo anglosassone. La definizione operativa
di disaccordo adoperata in questo studio si rifà ai lavori intrapresi da Bond, Zegarac e Spencer-
Oatey (2000):

if some participant in a situation of communication communicates some belief or beliefs which are partly or fully
inconsistent with some other belief or beliefs publicly held by another participant in the same situation. [Bond, Zegarac
e Spencer-Oatey (2000: 62)]

Nel lavoro di Johnson (2006) il disaccordo non è analizzato come un atto linguistico (Austin, 1962,
Searle, 1969) isolato ma piuttosto come una routine situata dentro l'interazione conversazionale.
Il lavoro di Johnson (2006) vuole contribuire alla comprensione della pluralità degli stili
interazionali presenti nella comunicazione di varie comunità di parlanti19. Alcune ricerche (Sifianou,
1992; Steward, 2005) sullo stile comunicativo dei parlanti britannici provenienti dal Regno Unito
hanno suggerito che l'interazione sociale in questa comunità evidenzia una preferenza per uno stile
comunicativo di tipo indiretto, distante ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) e una tendenza ad evitare
l'apparente imposizione. Invece a proposito dello stile comunicativo dei parlanti anglofoni
provenienti dall'Africa non è stato scritto ancora tanto (F.Johnson, 2006). Tuttavia, possiamo citare

19
Lo stile comunicativo è una nozione ripresa da Whorf denominata nel suo lavoro come way of speaking (1956) da
intendere come categoria utile per identificare una determinata stilistica come simbolo d’identificazione di un dato
aggregato umano.

28
il lavoro proveniente dalla comunicazione manageriale di Hofstede ( 2001) che suggerisce di
intendere i valori culturali dei parlanti anglofoni provenienti dall'Africa come di tipo “collettivista”,
ponendo in evidenza dei valori legati alla famiglia, la comunità, il rispetto per gli anziani, invece la
cultura di tipo occidentale viene caratterizzata da una preferenza di tipo “individualista”.
Hofstede (2001) afferma che il “confronto diretto” o dire “no” sono generalmente evitati all'interno
delle culture collettiviste, mentre nella cultura individualista lo scontro viene considerato come
“salutario” (2001:58)20.
Data la cornice teorica introdotta da Hofstede (2001), Johnson (2006) ha scelto l'analisi del
disaccordo per il suo ricco potenziale di significato a proposito di come i parlanti si avvicinano ai
rapporti interpersonali. Negli eventi linguistici (Hymes, 1972) analizzati da Johnson (2006), il
disaccordo non è soltanto un'azione linguistica ma anche un'azione sociale dato che viene coinvolta
direttamente la natura della relazione tra i parlanti. Nella tradizione dell’analisi conversazionale
(Sacks, Schegloff, Jefferson,1974), il disaccordo non viene analizzato nella sua portata di tipo
culturale, in quanto si evita di fare ricorso al contesto sociale e culturale per spiegare i vari
fenomeni strutturali del disaccordo. Una minima eccezione si ritrova in Pomerantz (1984) quando
ha tentato di avanzare alcune interpretazioni sul disaccordo di ordine sociale, ovvero interpretando
il parlante orientato all'accordo come più agevole, coinvolto e sicuro di avere le tue opinioni;
all'opposto, in varie situazioni, i parlanti orientati al disaccordo con l'altro sono percepiti secondo
Pomerantz (1984) come scomodi, non divertenti, difficili, minacciosi o offensivi:

conversants orient to agreeing with one another as comfortable, supportive, reinforcing, perhaps as being sociable
and as showing that they are like-minded.…Likewise, across a variety of situations, conversants orient to their
disagreeing with one another as uncomfortable, unpleasant, difficult, risking threat, insult, or offence. [Pomerantz
(1984:77)].

Al contrario, nel campo della sociopragmatica non ci sono riserve nel collegare un elemento
linguistico a qualche motivazione di tipo socioculturale (Spencer-Oatey, 2000). Partendo dalla
teoria della “faccia” ideata originariamente da Goffman, ripresa in seguito da Brown e Levinson,
questo modello pensato da Brown e Levinson (1987) è stato criticato da molti studiosi come troppo
rivolto verso le norme sociali del mondo anglosassone e quindi non può avere la pretesa universalità
per essere applicato a tutti i gruppi culturali ( Hernandez-Flores, 2004; Matsumoto, 1988; Spencer-
Oatey, 2000)21.
20
Il metodo di analisi offerto da Hosftede in Culture’s consequences (2001) viene spesso adoperato negli studi di
pragmatica contrastiva in quanto sembrerebbe agevolare l’analisi pragmatica degli enunciati coniugandoli ad
un’analisi culturale del contesto.
21
La sociopragmatica, oltre ad essere interessata ai fattori sociali nella produzione degli atti linguistici, rappresenta

29
Questi studiosi pongono alcuni interrogativi: ad esempio, un primo interrogativo si concentra sul
come si portano a termine le strategie di mitigazioni in contesti culturali differenti, mentre un
secondo quesito riguarda la comprensione del peso della minaccia della faccia legato a differenze di
natura culturale. Spencer-Oatey e Jiang (2003: 1635) hanno criticato l'implicazione che vede
l'accordo come sempre ed universalmente preferito sul disaccordo affermando che le modalità
all'interno di una linea di continuum tra un totale consenso o totale opposizione possono essere
favoriti all'interno di alcune culture piuttosto che in altri contesti culturali.
Le variazioni culturali e le differenze di comportamento linguistico sono al centro dell’approccio
sociopragmatico ideato da Spencer-Oatey (2000) in cui si propone un insieme di
“domains”(domini) suscettibili di differenze cross-culturali. Lo studio realizzato da Johnson (2006)
non si limita a studiare le strutture delle interruzioni e delle sovrapposizioni ma vuole anche
prendere in considerazione il “face-work” (Goffman, 1967, Brown e Levinson, 1987) utilizzato dai
parlanti per tentare di identificare ogni forma di divergenza. Questo approccio di tipo
sociopragmatico presuppone che le differenze culturali nelle norme comunicative siano qualcosa di
più di un fenomeno illocutorio come avviene nell'approccio degli atti linguistici. Nel lavoro di
Johnson (2006) sulla produzione del disaccordo tra parlanti britannici di origine inglese ed africana
emergono sostanziali differenze come ad esempio: i parlanti anglofoni di origine africana si
sovrappongono notevolmente sia nell'accordo che nel disaccordo mentre tra gli anglofoni di
provenienza anglosassone nella realizzazione delle due azioni ci sono diversi elementi di ritardo
nella produzione del disaccordo. Come viene sostenuto da Garcia (2001), il numero elevato di
disaccordi non ritardati offre l'occasione di vedere questi elementi come variabili nelle varie culture.
Per comparare la forza illocutoria del disaccordo, Johnson ha preso in prestito, oltre l’impianto di
Spencer-Oatey (2000) e di Hosftede (2001), degli elementi del quadro di riferimento di Blum-Kulka
e Olshtain (1984) con quelli di House e Kasper (1981), per identificare le varie forme di mitigazioni
associate con il comportamento linguistico del disaccordo. Qui di seguito vengono proposte alcune
forme linguistiche con lo scopo di mitigare un disaccordo ricorrenti nel corpus di Johnson (2006)
riprodotte in lingua italiana:

- siepi/minimizzatori: sono definiti come elementi avverbiali che vengono usati dal parlante
per evitare di specificare all'interno di una frase con la conseguente diminuzione della sua
forza illocutoria ( es: ' una specie di', 'una sorte di' ' un po ')
- I minimizzatori: sono dei modificatori dell'enunciato con il quale si modula l'impatto di una

anche una risposta ai primi anni di studi di pragmatica cross-culturale dove il paradigma universale valido era
rappresentato dalla cultura anglosassone.

30
frase ( ad esempio: 'dipende', ' abbastanza', ' è sufficiente', 'forse', ' probabilmente').
- Gli esitatori: vengono definiti come cattive formulazioni volontarie utilizzate per dimostrare
esitazione in merito all'espressione di un'intenzione (ad esempio: 'um', ripetere).
- I cajoleur/ richiamativi: sono definiti come dispositivi diretti esplicitamente all'interlocutore-
ascoltatore e svolgono l’azione di richiamo ad un allineamento tra il parlante e l'ascoltatore
( ad esempio: ' lo sai', 'è vero', 'non è vero'). Questi elementi sono pensati per aumentare,
stabilire o restaurare un’armonia tra i vari interlocutori, oppure servono per richiedere un
segnale da parte dell'ascoltatore.22

Vi presentiamo un esempio di disaccordo presente nel lavoro di Johnson tra due parlanti anglofoni
provenienti dal Ghana denominati come Patricia e Annabel come indicatore di forte uso di
cajoleur/richiamativi:
(esempio 2)
448 P: my (.) previous partner was Westernised like me (.) he was Ghanaian
449 born here and bred here (.) now the had a level of understanding with
450 him (.) was easier than it is with this one (.)
451 A: ok (.) ok
452 P: =d’you see what I mean
453 A: yeh
454 P: =because (.) obviously we got- with this one
455 is going to be ha:rder than the fight wi with that one
456 A: yeh (.)
457 P: d’you see what
458 I mean (.) cos understanding it
459*A: =yeh but you see: the other thing Patricia
460 is it’s not it’s the understanding and all the rest of it but to me what it
461 boils down to is (.) the individual personality like I said to you 23

[Johnson (2006:15)]

1.3.1 Il disaccordo come variante culturale

Nei lavori di Johnson (2006), l’ipotesi di lavoro iniziale vede nella presenza del disaccordo
esplicitato per un parlante anglofono proveniente dal Regno Unito un’interazione di tipo
'antagonistica', creando come impatto sugli interlocutori un senso di disagio abbastanza visibile
nella gestione della conversazione. Al contrario, nelle conversazioni tra parlanti anglofoni di
origine africana non sembra apparire lo stesso tipo di disagio ma piuttosto un senso di
22
Per un quadro completo sulla mitigazione si rimanda al testo di Caffi (2001) La mitigazione. Un approccio
pragmatico alla comunicazione nei contesti terapeutici.Munster, Lit.
23
In questo esempio tratto dal corpus di Johnson (2006) viene affrontato il tema delle differenze culturali all’interno
della coppia. In modo particolare vediamo come Patricia richiami sempre l’attenzione con un richiamativo/cajoleur
con la formulazione “capisci cosa voglio dire” “vedi” nelle righe 452 e 457-458.

31
apprezzamento per la conversazione. Gli elementi di disaccordo tra gli anglofoni provenienti dal
Regno Unito sottolineano una regolare riluttanza nella produzione del disaccordo, mentre questo
tipo di comportamento linguistico negli anglofoni provenienti dall’Africa è meno consistente.
Questo comportamento suggerisce che in molte occasioni la produzione del disaccordo
semplicemente non viene stigmatizzata da questi parlanti. Inoltre, in contesti conversazionali dove i
dispositivi di richiesta di conferma da parte dell'ascoltatore ( ad esempio 'you know what I mean')
sono frequenti, il disaccordo esplicitato può essere il solo modo effettivo di respingere queste
presupposizioni. Il maggiore disagio dimostrato dai parlanti anglofoni di origine anglosassone
durante il disaccordo è in correlazione con una forte preferenza culturale per il mantenimento del
consenso generale e per il divieto culturale di “rimproverare” vigente all’interno della società
inglese, in quanto il valore dell’autonomia è il perno della cultura anglosassone 24. Adottando il
modello di analisi di Spencer-Oatey (2000), Johnson (2006) sostiene che i due gruppi culturali
evidenziano delle diverse preferenze per raggiungere un “optimum” sul piano del consenso, dato
che la discussione consensuale è maggiormente collegata al mantenimento del rapporto tra i parlanti
britannici di origine anglosassone mentre tra i parlanti anglofoni di origine africana vengono
utilizzati un'ampia serie di dispositivi linguistici con la funzione di segnalare la solidarietà e la
cortesia positiva nel rapporto tra gli interlocutori dato che le azioni linguistiche hanno un peso
all’interno della comunità. Questa tendenza tra i parlanti di origine africana viene fuori anche
tramite degli aspetti procedurali nel parlato, come la frequente sovrapposizione durante il
disaccordo, così come la mancanza di esitazione nel proporre nuovi argomenti per evitare di
proseguire una conversazione su contenuti che sono percepiti come pericolosi 25 per la relazione
interpersonale e per il senso di appartenenza ad una data comunità.
In concordanza con i lavori sullo stile conversazionale di Tannen (1984), questi dispositivi
linguistici nei parlanti anglofoni di cultura africana segnalano un enfasi sul coinvolgimento
interpersonale, al contrario i parlanti anglofoni di cultura anglosassone esitano nel produrre un
disaccordo preferendo compiere dei disaccordi leggeri ed offrire delle opinioni spesso mitigate.
Nell'analisi di Tannen (1984) viene interpretato questo stile conversazionale anglosassone come
fondato sulla “considerazione”26, vale a dire un orientamento forte al consenso generale e un
24
Tale spiegazione, alla quale sento di aderire, ci viene offerta da Wierzbicka nel suo testo Cross-cultural pragmatics.
The semantics of human interaction (1991) quando viene affrontato la comparazione tra la cortesia inglese e quella
polacca.
25
Il termine « pericoloso » va inteso come momento di rottura dell’armonia necessaria per il futuro di una comunità
di parlanti. Tale concezione rende chiaro che il presupposto di fondo è quello di ritrovare nell’armonia il punto di
partenza di ogni forma di interazione senza tenere conto del fatto che spesso tale armonia agevola soltanto uno
status quo al quale spesso si è in disaccordo ( Bourdieu:1990 The logic of practice).
26
Nei lavori di Ron e Wong Scollon sulla comunicazione interculturale (2001) ritroviamo il concetto di
considerazione come stile comunicativo che predilige evitare i temi controversi per mantenere un equilibrio tra i
membri della comunità. Questa nozione di considerazione si ritrova anche nel lavoro di Tannen (1984) definito

32
approccio al disaccordo come potenzialmente destabilizzante per i rapporti interpersonali.
L'interpretazione di queste differenze in prospettiva cross-culturale necessita di un collegamento
con dei valori culturali offerti dai lavori di Hofstede (2001). L'approccio di Hofstede suggerisce che
gli anglofoni di origine africana provengono da un retroterra culturale 'collettivista' mentre quello
dei parlanti anglofoni di origine inglese è di tipo 'individualistico'. Questo approccio culturale di
Hofstede preconizza che i parlanti orientati verso principi collettivisti daranno maggiore importanza
nell'essere in diretto disaccordo, al contrario dei parlanti orientati da principi di tipo individualistici.
Questo approccio non è sostenuto da Johnson (2006), in quanto le relazioni interpersonali spesso
sono caratterizzate da norme interattive non sempre ascrivibili ad una netta differenza tra
individualismo/collettivismo come invece viene sostenuto da Hofstede (2001).

If the collectivist/individualist distinction is valid, any relationship with interactive norms is more subtle than Hofstede
suggests. [Johnson (2006 :23)]

Uno stile comunicativo di tipo collettivista in cui si enfatizza il coinvolgimento interpersonale tra i
parlanti, non equivale immediatamente ad una forte spinta ad una relazione interpersonale
armoniosa tra i parlanti: il lavoro svolto da Johnson dimostra che il coinvolgimento con altri
partecipanti permette anche l'esplicitazione del disaccordo nell'interazione. Allo stesso modo,
enfatizzare il diritto verso l' “individuo” non significa automaticamente produrre dei disaccordi di
tipo assertivo, come si potrebbe eventualmente prendere in considerazione, ma emerge piuttosto una
preferenza nel non volere imporre agli altri la propria opinione. In questo lavoro, l'analisi delle
interazioni tra parlanti anglofoni di provenienza africana con parlanti di origine anglosassone ha
messo in luce la maggiore possibilità di esplicitare il proprio disaccordo quando vengono utilizzate
maggiori forme di coinvolgimento tra i parlanti.

1.3.2 Il disaccordo in vari contesti culturali

L'attitudine nell'esprimere il disaccordo che verrà sviluppato in questa ricerca è strettamente


collegata alla questione della faccia e alla qualità della relazione interpersonale all'interno di due
comunità linguistiche differenti. Hosfstede (2001) ha messo in evidenza una dicotomia tra parlanti
appartenenti ad una cultura di tipo “individualista” con basso indice contestuale e una cultura di tipo
“collettivista” con un alto indice contestuale. Tale dicotomia suggerisce nelle culture “individualiste

come sitle che tiene altamente in considerazione il rapporto tra gli interlocutori piuttosto che il contenuto della
conversazione.

33
a basso contesto” uno stile prevalentemente orientato a trovare la soluzione attraverso uno stile
conflittuale, mentre nelle culture di tipo “collettiviste con alto indice di contesto” ritroviamo uno
stile prevalente che tenderebbe ad evitare il conflitto. In quest’ultimo caso, anche se le persone
possono vivere delle forti tensioni interpersonali, i parlanti tenderanno a non esprimere in modo
diretto i loro sentimenti o le loro opinioni. Sempre secondo Hosftede (2001), nelle società con basso
indice contestuale, le ragioni del disaccordo sono generalmente percepite come differenze nelle
finalità e negli obiettivi, mentre nelle culture ad alto indice contestuale, il disaccordo è
maggiormente percepito come espressione di sentimenti ostili o negativi verso l'interlocutore. Come
viene notato, nelle culture con basso indice contestuale è normale separare la persona dal contenuto
della discussione, mentre nelle culture ad alto indice contestuale è molto difficile compiere questa
differenza27. Inoltre, i confronti aperti possono essere interpretati come molto minacciosi in quanto
tutti possono perdere la faccia in questo genere d'interazione, soprattutto quando sono coinvolti
superiori con persone subordinate. Per rendere utile e fecondo questo genere di approccio occorre
una sua applicazione a tutti i contesti individualisti e collettivisti nelle varie culture ma con una
particolare attenzione per il contesto situazionale ( Trompenaars, 2000). Ad esempio, sempre in
Hofstede (2001) molte culture provenienti dal mondo asiatico prediligono essere in disaccordo con
persone 'out-group', mentre lavorano al mantenimento dell'armonia con i membri del proprio
gruppo definito come 'in-group' poiché si troveranno ad avere costanti contatti ed interazione con
loro (Argyle, 1986). Per esempio tra parlanti anglofoni di orgine indiana possiamo ritrovare nel loro
stile interazionale la presenza di accordo e di disaccordo con il proprio interlocutore mentre nelle
società del medio oriente come sostiene Hall (1977) il confronto faccia a faccia viene accuratamente
vietato. Katriel (1986), da canto suo, ha identificato i parlanti arabofoni come parlanti di uno stile
detto 'sweet talk' frutto del valore molto elevato conferito alla capacità di adattarsi all'altro o di
scherzare con l'altro (in arabo musayra) con la finalità di mantenere un'armoniosa relazione sociale
ed evitare qualsiasi confronto. Condon (1986) nel suo lavoro sulla cultura latinoamericana distingue
due tipologie di realtà: la realtà oggettiva e la relazione interpersonale. La relazione interpersonale è
molto più importante e la verità può essere modificata per preservare la faccia o mostrare deferenza
all'altro interlocutore. Hall (1977) afferma che le critiche e i confronti diretti vengono evitati nel
contesto culturale sudamericano. Altre ricerche come quella di Adler (1991), hanno descritto lo stile
sudamericano come “appassionato, argomentativo, impulsivo e spontaneo” mettendo l'accento sul
“salvare la faccia” come punto cruciale quando si giunge al momento delle decisioni per preservare
la propria onorabilità e dignità. Invece sembra che i parlanti provenienti dalle culture dell'Europa

27
Le nozioni di basso indice contestuale e di alto indice contestuale si devono a Hall (1977) dove viene suddivisa la
“cultura” in queste due categorie con la finalità di rendere più feconda la comprensione dei fenomeni culturali.

34
dell'est siano forniti di un'attitudine più positiva verso l'espressione di sentimenti negativi e di
conflitto. Pare che in queste culture le opinioni forti, personali e le emozioni negative possano
essere espresse senza nessun timore per la faccia dell'interlocutore. Le opinioni vengono espresse in
modo diretto e forte, mentre le critiche e i rimproveri personali sono tollerati e anche promossi.
Questo genere di stile interazionale viene accettato e incoraggiato perché promuove dei valori molto
valorizzati in quel gruppo culturale come la vicinanza, la sincerità e la spontaneità. Da questi studi
condotti da Hofstede (2001) e da Adler (1991) emerge che i parlanti provenienti dall'est europeo e
dai paesi anglofoni sembrano più liberi nell'esprimere le loro opinioni di quello che affiora quando
vengono comparati con parlanti provenienti da paesi asiatici. I parlanti anglofoni tendono a
modificare il loro disaccordo, il dogmatismo viene evitato, le critiche sono espresse in modo
indiretto, si cerca di non forzare l'opinione degli altri in quanto il valore dell'autonomia personale è
molto importante nel contesto culturale anglofono. La risoluzione dei problemi e dei conflitti è
molto importante e l'espressione di forti emozioni viene generalmente evitata preferendo uno stile
calmo, razionale, argomentativo e non emotivo (Wierzbicka, 1999). Questo genere di attitudine
porta ad esempio a percepire i polacchi da parte della popolazione australiana come sfrontati e
affermativi nelle loro opinioni. Secondo Broome (1994) nelle culture mediterranee europee come
quella greca ed italiana, le persone possono esprimere la loro personalità esprimendo in modo forte
le loro opinioni e partecipando in modo intenso ad un dibattito 28.
Per esempio, Béal (1993) afferma che nello stile comunicativo francese il bisogno di mostrare le
proprie emozioni e di esprimere la propria rabbia sovrasta il bisogno di salvare la propria faccia e
quella dell’interlocutore29. Nel lavoro compiuto da Heinz (2003) si evidenzia come i parlanti
tedeschi a differenza dei parlanti americani gestiscano il disaccordo in maniera più diretta e la
realizzazione dell'argomentazione viene condotta con parole forti ed enfatiche. Queste differenze
nel modo di approcciare il disaccordo e le sue conseguenze sul piano relazionale portano spesso a
valutazioni negative da parte dei membri di altri gruppi culturali che gestiscono la stessa situazione
in modo diverso30. Per capire questi stili comunicativi occorre, in accordo con Hofstede (2001),

28
La spiegazione di Broome, a mio parere, dovrebbe essere meglio articolato per definire in modo più cogente in
quali contesti e « domains » si può realizzare questo genere di interazione ( ad esempio in contesti informali o
formali tra membri in-group o out-group.
29
Le parole di Béal rafforzano il mio convincimento sulle differenze culturali in termini di stili comunicativi e di
percezione della nozione di faccia all’interno delle comunità linguistiche italiane e francesi. Sembra emergere nel lavoro
di Béal scritto nel 2000 una visione della relazione interpersonale in Francia dove si predilige una persona sincera
anche se questa attitudine può portare a perdere la faccia. La questione di salvare la faccia nel contesto francese si
colloca nella prospettiva generale dell’idea che gli altri si faranno di me, e questo non influenza l'interazione nel suo
immediato: al contrario, sarà più conveniente perdere momentaneamente la faccia ( riconoscere i propri torti) per
conservare una buona immagine a lungo termine. In questo caso nell'immediato prevale un'altra norma, vale a dire
quella della franchezza.
30
Si vedano i lavori di Véronique Traverso a proposito delle differenze culturali nell’attribuzione di senso ai vari

35
collocarli all'interno di un dato contesto, in modo tale da potere capire come i parlanti di vari
gruppi culturali gestiscono ad esempio: lo status dei parlanti, le differenze tra persone ingroup o
outgroup, il grado di formalità, la presenza o assenza di gerarchia, le aspettative in merito alle varie
attività comunicative, senza dimenticare la gestione della distanza dal potere, il sentimento verso
l'incerto, le differenze di genere e la tempistica ritenuta legittima per conferire delle gratificazioni
alle persone. In molte culture, le strutture di riferimento per la scelta delle strategie comunicative
sono principalmente contestuali e non di tipo astratto. A sostegno di quanto detto prima, Hosftede
(2001:58) sostiene la presenza di una costante nei vari gruppi culturali in riferimento alla modalità
di comportamento con persone che appartengono o meno al proprio gruppo, vale a dire la differenza
tra membri “in-group” e “out-group”. Le persone provenienti da culture “collettiviste” tendono ad
evitare forme di perdita di armonia con le persone vicine a loro ma sono pronti a trattare le persone
a loro esterne in modo ruvido e duro. Quindi il concetto di dare “faccia” a tutti è posto in
discussione da queste differenze all'interno dei parlanti. Dalla parte opposta a questa visione,
ritroviamo i parlanti provenienti da paesi dell'est europeo dove il bisogno di “faccia” come bisogno
di piacere e di considerazione per gli altri viene percepito come un vero limite conversazionale.
Altri fattori influenti che giocano un ruolo decisivo nella produzione del disaccordo sono il genere e
la personalità dei partecipanti all'interazione, così come la presenza o meno di gerarchia, di
minaccia, di competizione o di ripercussioni sui partecipanti (Adler, 1995).

1.4 Il disaccordo nella prospettiva cross-culturale

Secondo Hymes (1972), il disaccordo in termini cross-culturali può sorgere in base alle
differenze nel ruolo sociale ricoperto dai parlanti. Anche Leech ha sostenuto che :

“transfer of the norms of one community to another may well lead to 'pragmatic failure' and to the judgment that the
speaker is in some way being impolite” [Leech (1983: 281)]

Nel produrre un atto di minaccia come il disaccordo, il parlante dovrebbe integrare i valori di una
società insieme a delle competenze linguistiche e raggiungere delle abilità nella produzione di
lavoro di faccia (Goffman, 1967).
Prendiamo il caso dell'espressione del disaccordo tra persone con status differenti nella comunità di
parlanti giapponese studiati da Komatsu (1988), in modo particolare come viene prodotto il

eventi culturali (1997, 2001).

36
disaccordo da parte di chi possiede uno status più basso e/o più alto dell’altro interlocutore. Nella
situazione dove il parlante giapponese si trova in una posizione con status più elevato, spesso i
giapponesi in queste situazioni trovano appropriato esprimere apertamente il loro criticismo. Questo
comportamento viene confermato da Komatsu (1988), il quale afferma che i giapponesi cercano
l'armonia tra pari ma quando si trovano con persone di status inferiore esprimono il loro disaccordo
in modo diretto, vale a dire con la modalità “ I disagree. You are wrong”. Questo genere di
espressione di disaccordo può essere spiegato in termini di potere e di autorità che il parlante
detiene per via del suo status ascritto in modo predefinito nell'interazione sociale. Nella stessa
situazione, viene riscontrato da Komatsu (1988), nelle risposte dei parlanti americani una maggiore
propensione ad apprezzare il lavoro svolto dalla persona subordinata, preferendo forme di
disaccordo più indirette da quelle espresse dai giapponesi.
L'idea di fondo dell'approccio sociopragmatico è la rivisitazione dell'universalità degli atti
linguistici suggerita nell'ambito della teoria degli atti linguistici ( Austin, 1962, Searle, 1969) e
considerare i presupposti sottostanti all'universalità degli atti linguistici (Halliday, 1987). In accordo
con Halliday, sosteniamo che la realizzazione degli atti linguistici è governata dalle norme delle
varie comunità di parlanti, dove si riflettono e si rafforzano le norme culturali e i valori di quella
stessa comunità31.
Precedentemente, Blum-Kulka (1983) ha sostenuto che lo studio degli atti linguistici necessita di
una considerazione di natura pragmatica, un’altra di tipo linguistico e un’altra sulle norme sociali
che regolano l'uso di quel dato atto linguistico. Infatti per intendere al meglio un evento linguistico
costituito da vari atti linguistici, non va dimenticato la relazione sociale tra il parlante e l'ascoltatore,
nella quale viene codificata, all’interno della sua forma linguistica, l'appropriatezza sociale richiesta
per la realizzazione di quell'azione linguistica. In sintonia con Ochs (1984), possiamo sostenere che
la persona si trova sempre in una posizione socialmente costituita e le sue credenze, desideri e
intenzioni non sono individuali ma piuttosto sono soggetti alle situazioni comunicative e sono
reciprocamente interdipendenti. Come ha sostenuto Ochs (1984) a proposito dell'atto linguistico
della promessa nella società samoana, la dimensione sociale viene incorporata all'interno della
forma discorsiva utilizzata per compiere un dato atto linguistico32.
Riprendendo le parole di Schmidt e Richards (1980) potremmo sostenere che la produzione dell'atto
linguistico in una prospettiva cross-culturale è anche il risultato della conoscenza generale dell'ethos

31
Per una visione più completa sul rapporto tra linguaggio e la sua funzione sociale nei lavori di Halliday rimandiamo
al testo Sistema e funzione nel linguaggio (1987)
32
Per dimensione sociale si intende come l’agire linguistico in una data comunità si concentri sulle conseguenze
comunitarie del suo parlato e non sulla responsabilità individuale nella produzione di un dato atto linguistico come
ad esempio la promessa (in Duranti,1992:114).

37
( Barthes, 1972, Bateson, 1972, Brown e Levinson, 1987) dell'altra comunità discorsiva33. In questa
direzione, abbiamo il lavoro di Wierzbicka (1985) che suggerisce due modalità per analizzare gli
atti linguistici in una prospettiva di tipo cross-culturale, vale a dire una prospettiva interna ed
esterna alla cultura in questione. Le due prospettive sono problematiche perché se il ricercatore è
interno a quella cultura rischia di non cogliere la parte più inerente alla cultura, mentre se proviene
dall'esterno rischia di non cogliere pienamente il significato semantico delle parole e la loro forza
illocutoria in un dato contesto culturale. Per esemplificare abbiamo un lavoro di Lo Castro (1986) in
cui vediamo il disaccordo come un fenomeno inerente della lingua che va interpretato all'interno
della sua cornice socioculturale: il disaccordo inteso come risposta dispreferita ( Sacks, 1987) si
caratterizza per una produzione rallentata come segno di pre-disaccordo e anche come segno di
considerazione per l’altro interlocutore esemplare di uno stile culturale di tipo anglosassone
ricollegabile alla formula ( “ I agree with you, but....”) ( Lo Castro, 1986).
Altre forme di disaccordo, tipiche dello stile culturale anglosassone, sono l’uso di riparazione in
prefazione con richieste di chiarificazione, i marcatori di esitazione, i disaccordi in prefazione
anticipati prima da un accordo seguito in un secondo momento da “but... (in inglese)” e dalla
realizzazione del disaccordo.
Durante l'interazione, se si verifica un silenzio tra i parlanti, il primo parlante potrebbe ripetere
pezzi linguistici precedenti o ritornare su argomenti precedenti in modo tale da ricercare un parziale
accordo o una riduzione del disaccordo, aumentando i benefici positivi per la faccia del proprio
interlocutore. Le analisi di Lo Castro (1986) vengono condotte prendendo in considerazione la
Massima del Tatto e dell'Accordo di Leech (1983), collocandole all'interno di una scala bipolare che
indica il costo-beneficio per sé e il costo-beneficio per l'altro.
Nel lavoro di Lo Castro emerge, in modo particolare, l’uso dell’umorismo da parte del parlante con
maggiore potere come strategia per disinnescare il peso del disaccordo in termini di costi per la
faccia degli altri interlocutori. Infatti, la massima dell'Accordo invita a minimizzare il disaccordo tra
sé e l'altro con la conseguenza di massimizzare l'accordo tra sé e l'altro. Anche nella visione di
Leech (1983) si afferma una tendenza generale ad enfatizzare l'accordo e mitigare il disaccordo
attraverso degli accordi parziali, con l'espressione del rimpianto e con l’impiego di forme di
mitigazioni. Un modo per ricercare un accordo può essere quello di cercare degli argomenti 'neutri'
oppure ripetere quello che il parlante precedente ha detto nel suo turno di parola, in modo da
dimostrare considerazione per le cose dette dal proprio interlocutore. Un altro modo di evitare il
disaccordo può essere ottenuto attraverso la pretesa di un accordo, spostando il disaccordo oppure
33
Comunità discorsiva viene utilizzato in questo lavoro con la stessa valenza di comunità linguistica o comunità di
parlanti con lo scopo di agevolare la comprensione della nozione di “ethos” come qualità esibite di un dato
aggregato umano di parlanti.

38
essere in accordo con alcune parti delle affermazioni dell'interlocutore, o dicendo delle piccole
bugie o mitigando le opinioni con alcune espressioni come “una sorte di”, “va bene”, “in un certo
modo”34.
Ad esempio, nella produzione del disaccordo tra parlanti giapponesi e americani si è notata una
maggiore propensione da parte dei parlanti giapponesi ad usare forme indirette o forme di esitazione
anche per un tema come il cibo dove, al contrario, per i parlanti americani il tema era percepito
come non problematico e quindi con maggiori risposte sincere (Komatsu, 1987). È possibile
interpretare questo come una differenza di tipo culturale su quali siano i “domains” dove si possa
essere in disaccordo oppure non. Ad esempio, i gusti culinari possono rientrare in alcune culture
come “il proprio territorio” dove il disaccordo con le preferenze in cucina sono accettate in una data
cultura, mentre questo dominio potrebbe essere percepito come “il mio territorio ” è quindi con
maggiore difficoltà nell'esporre il proprio disaccordo così come potrebbe essere per la politica, il
vestiario, la religione o la musica. In queste circostanze, le differenze culturali possono essere
dovute a varianti di tipo sociopragmatico in quanto un argomento può essere di pubblico dominio in
una cultura e non essere così in un'altra cultura. Quindi gli americani quando parlano di cibo, vale a
dire di un tema dove non rischiano di perdere la faccia come invece potrebbe essere con la politica,
la religione e i soldi, tendono a non esitare nella produzione del disaccordo o delle loro preferenze.
Al contrario i giapponesi possono essere maggiormente coinvolti con la necessità di non offendere
il loro interlocutore nell'interazione anche quando si tratta di temi come il cibo. I fattori sociali
possono essere maggiormente importanti in questo genere d'interazione verbale. Riprendendo le
affermazioni di Blum-Kulka (1987) dobbiamo tenere in considerazione, quando parliamo di
approccio contrastivo di atti linguistici, dell'appropriatezza sociale intesa come percezione culturale
di un comportamento linguistico e pragmatico appropriato. In questo modo, l'atto linguistico del
disaccordo viene considerato sia nella sua natura “macro” che “micro” all'interno dell'enunciato. La
natura “micro” è da rivedere nell'atto linguistico quando viene definito come ad esempio nel
disaccordo mentre il piano “macro” può essere rivisto in quei tentativi di espressione del dissenso o
di spiegazioni che possono intervenire tra l'inizio e la fine di un evento linguistico35.

34
Si rimanda di nuovo al lavoro di Caffi (2001) sulla mitigazione per una visione più esauriente del fenomeno, anche
in termini di implicazioni identitarie nella sua realizzazione.
35
Si rifà menzione al modello di Hymes (1972) per analizzare gli elementi extra-linguistici portatori di significato
sociale nelle nostre scelte linguistiche.

39
1.5 Le sequenze del disaccordo

Il disaccordo è spesso analizzato come un atto linguistico di “reazione” in quanto necessita


di un'asserzione precedente da parte di un altro interlocutore. In Sornig ( 1977) viene presentato in
maniera sintetico un modello delle varie sequenze presenti nella realizzazione del disaccordo:

1.Fase di presentazione: un parlante A esplicita un enunciato all'attenzione di un parlante B.

2. Fase di contrasto: B produce il suo disaccordo con l'affermazione del parlante A.

3. Fase di chiusura o risoluzione: momento in cui si risolve il contrasto tramite la ricostruzione di un


nuovo equilibrio.

In Sornig (1977) si osserva come nella fase di presentazione un parlante esprima un'asserzione alla
considerazione del proprio ascoltatore con lo scopo di proporre una sua idea fondata su dati
oggettivi, opinioni personali, proposte e richieste.
Nella seconda fase denominata di contrasto si nota un parlante che esprime il rifiuto dell'enunciato
precedente e tale mossa può avvenire in maniera più o meno diretta oppure più o meno minimizzata
a seconda delle intenzioni e degli obiettivi del parlante.
Per Sornig (1977) la terza fase è definita di chiusura o risoluzione perché il disaccordo viene
considerato come la fase iniziale di un conflitto verbale. La risoluzione è quella mossa che
impedisce alla conversazione di degenerare in conflitto. Il formato delle fasi identificate da Sornig
(1977) è variabile ed è legato essenzialmente alle regole della cortesia (politeness theory) incentrata
sul lavoro di faccia (face-work) di Brown e Levinson (1987). Il disaccordo va analizzato tenendo
presente che detiene variegate funzioni: la forma di “irrelevancy claim” (richieste non attinenti al
contenuto della conversazione), il “challenge” (obiettare affermazioni), la“contraddiction”
(contraddire alcune asserzioni) o il “counterclaim” (domande riconvenzionali).
Inoltre quando un parlante è in disaccordo con la posizione di un'altra persona mette in gioco
molteplici obiettivi:

− il parlante deve adottare delle strategie pragmalinguistiche tenendo in considerazione


l'interlocutore e il contesto.
− In termini di obiettivi interazionali, il parlante deve adottare delle risorse pragmalinguistiche che

40
rendano il messaggio comprensibile, efficace e persuasivo.
− Riguardo all'obiettivo sociale, i parlanti hanno bisogno di presentarsi come disposti alla
cooperazione attraverso il linguaggio (Bond, Zegarac e Spencer-Oatey, 2000).

1.5.1 Fase di presentazione: le asserzioni, le affermazioni e i giudizi di valore

La fase di presentazione è la situazione dove un parlante A presenta un enunciato


all'attenzione di un parlante B ( Sornig, 1977). In questa fase confluiscono sia le affermazioni
(matter of fact statement) così come le opinioni ( stance-taking) perché spesso non è possibile
trovare dei tratti linguistici che permettono di distinguerli. Quando una persona partecipa a delle
attività sociali fa spesso delle affermazioni proponendo una realtà di cui presuppone una
conoscenza valida anche per l'interlocutore. In modo specifico, la presentazione del disaccordo si
stabilisce su un dato di fatto per un interlocutore relativo a un dato reale e le mosse successive sono
generalmente delle correzioni. La reazione può essere una contro-correzione o la sua accettazione
da parte dell’interlocutore (Bond, Zegarac e Spencer-Oatey, 2000). Nei primi lavori di analisi
conversazionale di Schegloff, Jefferson e Sacks (1977) si è osservato come le correzioni fossero
spesso considerate nella conversazione come delle attività che implicavano un disaccordo o delle
critiche. In altri termini se un parlante può comprendere il contenuto del turno prescindendo
dall'errore, di solito non fa la correzione. Per questa ragione se la correzione viene prodotta viene
intesa nella conversazione ordinaria come una mossa dispreferita mentre nei contesti istituzionali, i
parlanti correggono gli interlocutori per evitare di dare l'impressione di non aver inteso bene 36. Nel
caso di giudizi di valore, il disaccordo tende a diventare più lungo e intricato in quanto non è
verificabile e si colloca su posizioni soggettive. Schiffrin (1990:224) ha definito le opinioni come “
an individual's internal, evaluative position about a circumstance”e i giudizi di valore sono degli
stati cognitivi interni che rappresentano una situazione esterna come qualcosa di oggettivo.
La definizione spiega perché il parlante “ can be as little established as disconfermed” (Goffman,
1974: 503) e perché la presenza di un opinione implica incertezza sulle circostanze a cui ci si
riferisce. Quando un parlante introduce un pensiero con l’enunciato “ la mia opinione” si può
interpretare questa prefazione in due modi, ossia che potrebbe significare una minimizzazione
dell'impegno del parlante in quanto non sicuro di quanto detto, oppure al contrario, tale
affermazione può aumentare la sua partecipazione se intende dire che questa è la sua opinione e che

36
Per ulteriori approfondimenti sulla questione della riparazione come forma di disaccordo si veda il testo The
preference for self-correction in the organization of repair in conversation (1977)

41
non gli interessa sapere il parere degli altri. Le opinioni consentono al parlante di allontanarsi dalla
verità mettendo in evidenza il proprio punto di vista (Schiffrin,1990).

1.5.2 Il disaccordo segnalato dalle proposte, richieste e ordini

Nei lavori di Schiffrin (1990) l’atto linguistico del disaccordo si distingue per un elemento
da ricercare nella sua forza impositiva: ad esempio un ordine viene espresso con maggiore
imposizione mentre una richiesta può essere formulata come proposta con lo scopo di nascondere la
vera intenzione comunicativa. Le proposte sono il target più naturale per il disaccordo in quanto
rappresentano delle alternative per le azioni future in una attività decisionale (decision-making
situation). La caratteristica delle proposte consiste nell'essere delle azioni rivolte agli altri con un
forte rischio di essere rifiutate. Di solito nell'esprimere una proposta si tende a mitigarla in quanto
potrebbe essere rifiutata tramite un silenzio o con una proposta alternativa dove viene manifestato il
disaccordo. Dunque il rifiuto non è rivolto verso l'azione, ma verso la persona che la propone, la
quale dichiara una sua volontà, mettendo in gioco la sua faccia. Il disaccordo nei confronti di
richieste e comandi comporta un alto rischio di perdita della faccia dato che occorre pensare al
contesto situazionale e al tipo di relazione tra i partecipanti. Quando un parlante fa una richiesta ci
aspettiamo che l'interlocutore accetti la sua volontà mentre un disaccordo rappresenta una minaccia
indiretta alla sua faccia, anche se non è considerato come illecito. L'ordine invece è una versione
forte della richiesta, vale a dire che una persona comanda ad un'altra persona di fare qualcosa senza
ammettere un rifiuto o una protesta. Nel caso in cui l'interlocutore manifestasse opposizione
all'ordine, allora in quel caso la forza dell'attacco sarà percepita come uno scontro.

1.5.3 Fase di contrasto: la mitigazione, l’esplicitazione e la conflittualità

La dimensione del contrasto nell’interazione verbale può esprimersi in tre modalità


differenti: la mitigazione, l'esplicitazione e la conflittualità.
Caffi (1999) spiega come la mitigazione o “downgrading” rappresenti un insieme di strategie con
le quali si cerca di rendere meno forte l'espressione del contrasto di opinioni. La mitigazione viene
definita da Caffi come

“ the result of a weakening of one of the interactional parameters, and a downgrading when the parameters involved are

42
scalar” [Caffi (1999:881)].

Pertanto, la mitigazione tocca la mescolanza dei diritti e dei doveri ( Spencer-Oatey, 2000) che si
creano quando parliamo, trasformandone l’intensità e la forza. Solitamente la mitigazione
diminuisce gli obblighi dei partecipanti, abbassando i rischi di contrapposizione, rifiuti, perdita
della faccia e di conflitto.
Secondo Claudia Caffi (2001), le funzioni della mitigazione sono: (1) la dimensione dell'efficienza
interazionale nella quale la mitigazione serve a ottenere degli obiettivi che rappresentano i reali
bisogni strumentali del parlante; (2) la dimensione della “costruzione identitaria” nella quale la
mitigazione aiuta a controllare la distanza emotiva tra i partecipanti sulla base di necessità
relazionali. La mitigazione, collocata all'interno della teoria della cortesia, si fonda su strategie che
derivano dalla competenza metapragmatica37. Secondo Caffi (2001) esistono varie tipologie di
mitigazione: alcune risiedono sul contenuto proposizionale, altre diminuiscono la forza illocutoria e
altre hanno la funzione di dislocare il parlante usando una forma impersonale. Una situazione di
disaccordo è maggiormente mitigata se il parlante usa delle forme linguistiche con la finalità di
diminuire il contenuto e la forza dell'atto comunicativo. Quando invece un disaccordo viene
prodotto in modo diretto ( Grimshaw, 1990) si ha una situazione di massima esplicitazione. Questa
tipologia di disaccordo risulta molto distante dalla mitigazione, la quale tenta con le sue strategie di
rendere meno forte il contrasto. Un dissenso diretto è cosa differente da un conflitto in quanto può
anche non provocare un conflitto. Rifacendoci a Grimshaw (1990) per conflitto tra i partecipanti si
intende il grado di scontro sul piano della relazione durante una situazione di disaccordo.
Tale comportamento può portare alla violazione delle norme sociali stabilite dai ruoli e dalle
asimmetrie tra i partecipanti. Grimshaw ha definito la conflittualità come

“ at the same time so complex phenomenon and one so deeply implicated in every dimension of human social life”.
[Grimshaw (1990:3)]

Grimshaw (1990) spiega come il conflitto sia legato ai vari scopi dei partecipanti, al loro
orientamento e alla specificità della situazione senza tuttavia dimenticare le norme socioculturali e
le varianti sociologiche di relazione, di potere e di affetto. Nel guardare al disaccordo, il conflitto
tiene conto della relazione tra i partecipanti, del loro status e dei loro doveri e diritti in termini di
relazione. Un forte disaccordo può implicare sia attacchi diretti alla persona, sia vari e sostenuti
scambi di opinioni con una terminologia grave. Il disaccordo più o meno conflittuale può occupare
37
Per competenza metapragmatica nel lavoro di Caffi (2001) si intende la consapevolezza da parte del parlante delle
conseguenze del proprio agire linguistico sull’interlocutore e sul contesto.

43
un ampio spazio dentro la conversazione oppure un solo turno senza pertanto essere meno rischioso
in termini di rottura di relazioni (Grimshaw, 1990).

1.5.4 Il rifiuto e la negazione nel disaccordo

Il rifiuto nella realizzazione del disaccordo rappresenta un’azione che prevede la non
accettazione di quello che viene offerto in caso di proposte e di non concordanza con quello che
viene richiesto o desiderato. Il rifiuto di un enunciato implica un rifiuto della percezione della realtà
del parlante, vale a dire un rifiuto del suo universo di credenze e pertanto conduce ad un attacco
implicito alla persona e alle sue idee. La diversità tra un rifiuto per una richiesta da un rifiuto per
una proposta riguarda il coinvolgimento della persona e del suo status durante l’esposizione del suo
enunciato linguistico (Schiffrin, 1990).
Quando invece una persona nega all’interno di una conversazione significa che non accetta il
principio di verità dell'altro interlocutore. La negazione di una dichiarazione oggettiva implica il
rifiuto di alcuni principi fattuali, mentre la negazione di una opinione equivale a rifiutare le
convinzioni dell'interlocutore e criticarlo esplicitamente secondo la teoria della cortesia. Quindi è
forse più rischioso in termini di faccia andare contro un'opinione personale piuttosto che non essere
d'accordo con dei dati oggettivi. Un modo particolare e frequente di negare è definito come
“scetticismo” ovvero il momento nel quale una persona si astiene dal pronunciare un giudizio chiaro
su qualcosa mostrando una “inclinazione a dubitare di tutto”38. Tale mossa non costituisce un
disaccordo esplicito ma la persona critica in modo indiretto le opinioni o le affermazioni del suo
interlocutore senza prendere una posizione chiara e netta. Con lo scetticismo, il disaccordo viene
espresso in modo indiretto visto che la persona non “attacca” il suo interlocutore ma esprime dei
dubbi sulla validità delle affermazioni (Schiffrin, 1990).

1.5.5 Altre forme di segnalazioni del disaccordo

Un ulteriore quadro di riferimento per capire le segnalazioni del disaccordo è stato proposto
da Scott (2002:308) dove le strategie linguistiche maggiormente adoperate per la manifestazione del
disaccordo sono emerse in questo modo:

38
Lo scetticismo secondo Caffi rappresenta a sua volta una mitigazione in forma implicita per la faccia dell’altro
interlocutore (2001).

44
- “overlapping”: sono delle sovrapposizioni intese come interruzioni del parlante come indice di
disaccordo. Questa strategia spinge ad un dialogo veloce, rabbioso dove le regole di alternanza dei
turni non sono più rispettate. Tale mancanza di rispetto per i turni di parola porta ad un attacco verso
gli interlocutori per colpa di una limitazione dello spazio conversazionale dell'altro.
- “Latching”: sono intesi come turni di parola senza pausa. Questa situazione si ottiene quando un
parlante inizia il suo discorso subito dopo il turno dell'altro interlocutore, senza la pausa
convenzionale tra i turni di parole conferendo un senso disordinato alla conversazione e viene
percepito come fenomeno negativo.
-” Repetition”: la ripetizione come strategia può valere come sfida, come lotta per la parola.
La ripetizione della frase dell'interlocutore può significare un disaccordo se viene pronunciato in un
certo modo.
- “False start”: le false partenze vengono considerate come disaccordo quando sono prodotte in
sovrapposizioni ad un altro parlante. In questo caso il contesto è utile per cogliere la valenza della
mossa.
- “Question” (domanda): la modalità più ricorrente è quella della domanda retorica per sfidare le
opinioni dell'interlocutore in modo indiretto o per ottenere maggiore spazio nel turno di parola.
- “Turn length” ( lunghezza del turno): la lunghezza del turno è un potenziale indice di disaccordo
poiché nei disaccordi forti i turni di parola tendono ad essere brevi mentre in quelli più pacati il
turno è più lungo e presenta maggiori proposizioni. La brevità di turni svolti in sovrapposizioni sta
ad indicare spesso una competizione tra i parlanti per mantenere il controllo della parola e
dell'argomento.

1.5.6 Strategie grammaticali e lessicali del disaccordo in italiano e francese

L’ausilio del quadro di riferimento offerto da Scott (2002) permette di affrontare alcune delle
strategie grammaticali presenti nella formulazione del disaccordo da parte dei parlanti italofoni e
francofoni. Alcuni dei fenomeni più frequenti sono presentati in questo paragrafo per il loro aspetto
grammaticale:
- “Indessicalizzazione” del pronome di seconda persona “tu” o del pronome di seconda persona
plurale “ Vous” per i parlanti francofoni, in altri termini la marcatezza di questi pronomi è inclusa
tra le mosse portatrici di un “senso accusatorio”. Di fatto, se vengono utilizzati in posizioni
particolari nella frase e pronunciati in un modo particolare possono acquisire una valenza

45
conflittuale39.
- “Modals” (verbi modali). Sono intesi come verbi della possibilità, della necessità, della previsione
e sono stati inclusi da Biber (1988) come eventuali indicatori di disaccordo. Il contesto è l'elemento
più utile da considerare per conferire questa valenza di disaccordo ai verbi modali.
Per ciò che riguarda i fenomeni inerenti alle strategie lessicali nell’esprimere il disaccordo in
italiano possiamo annoverare le seguenti strutture:
- “Negation” (la negazione): la negazione è facilmente percepibile come indice di disaccordo perché
si esprime il dissenso rifiutando le idee e le asserzioni e rappresenta la strategia più esplicita per
esprimere le proprie intenzioni con l'uso della negazione “no” “ non è vero” o “ non pas du tout”,
nel caso francofono. Ad esempio:
- “Affixal negation” ( affisso negativo): in questa categoria lessicale ritroviamo gli affissi con
significato negativo come il dis- (disaccordo); anti- (ad esempio anticrimine); ir- (irresponsabile)
ecc.
- “Discourse marker” ( i marcatori discorsivi): questa strategia ha nei marcatori come “ma” e
“però” le forme più ricorrenti per segnalare un disaccordo tra due interlocutori in italiano mentre in
francese possiamo osservare la presenza dell'avverbio “d'abord”.

- “Emphatics” ( elementi utili ad enfatizzare il disaccordo): questi elementi possono assumere


questo valore all'interno di un contesto ben definito, il quale non deve essere trascurato durante
l'analisi come nel caso dei parlanti francofoni con “absolument pas” “complétement faux” “assez
profond” oppure in lingua italiana appare l'avverbio “affatto” .

1.6 Struttura del disaccordo e risoluzione del disaccordo

Come si può constatare dai lavori precedentemente citati, una vera e propria struttura
predefinita del disaccordo, non emerge in modo univoco e trasparente, perché nel caso di un
complimento oppure nella prospettiva di Kakava (2002) ad esempio il disaccordo può essere una
mossa preferita mentre nei lavori di Edstrom ( 2002) è da considerarsi come una mossa dispreferita
(Sacks, 1987). I disaccordi mitigati sono realizzati tramite delle affermazioni che fanno intendere
l'opinione contraria del parlante o vengono introdotte dalla congiunzione avversativa “ma”, la quale
svolge la funzione di presentare un dubbio e a volte serve per ritardare l'espressione del dissenso

39
Questa nozione di indessicalità viene spesso ripresa come elemento fondamentale per capire il ruolo del linguaggio
nella costruzione della realtà sociale secondo la prospettiva dei lavori di Duranti(1992, 2005).

46
(Caffi, 2001). Scott (2002:308) presenta un insieme di schemi tra i più ricorrenti quando si tratta di
formulare l’espressione del disaccordo:

1. La negazione isolata “No”


2. La negazione + la spiegazione nello stesso turno “No…..”
3. La negazione + la spiegazione nel turno successivo “No +…..”
4. La congiunzione “ma”+ la spiegazione
5. L’affermazione

Nella fase di risoluzione, in sintonia con Vulchinich (1990:120), il disaccordo è considerato


superato quando si giunge ad una soluzione cooperativa tra i vari interlocutori e si passa ad altre
attività comunicative. Questo momento della sequenza è molto importante per due ragioni: (1) il
disaccordo, inteso come conflitto verbale, rappresenta il momento che spezza l'equilibrio tra gli
interagenti per segnalare un problema; (2) il disaccordo è un attività non individuale perché
necessita due posizioni contrastanti e la stessa risoluzione è da considerare come un’attività
collettiva. Il disaccordo può diventare una disputa verbale solo se i parlanti sono tacitamente
consenzienti nel superare la soglia di risoluzione senza stabilire un nuovo equilibrio. Questa fase è
delicata perché nell'esprimere il disaccordo i partecipanti costruiscono delle posizioni opposte che
creano una situazione di “dominanza/sottomissione” (Vulchinich,1990). Tale equilibrio può essere
ritrovato in collegamento con le regole di cooperazione e di difesa della faccia.
Vulchinich (1990:120) propone nove modi per giungere alla chiusura di un disaccordo all'interno
della dicotomia tra “accettazione/rifiuto del disaccordo”:

- Parlante A “tralascia”: il primo parlante che ha ricevuto una critica da parte dell'altro parlante non
si esprime ulteriormente. Il silenzio può indicare accoglimento del dissenso dell'interlocutore o la
volontà di non proseguire il discorso.

- Parlante A accetta il disaccordo del parlante B: il primo parlante dimostra con chiarezza di voler
accettare la critica che gli è stata mossa.

-Parlante A cambia argomento: il primo parlante non prosegue il discorso su quell'argomentazione


ma indirizza la conversazione verso altre attività. Tale atteggiamento può indicare la volontà di
mitigare la critica e di non dare importanza alle affermazioni dell'interlocutore.

47
- Parlante B cambia argomento: la persona che ha proposto la critica si rende conto di aver creato
una situazione di conflitto e cambia argomento per riportare l'equilibrio senza ulteriori attacchi.

- Parlante B tralascia: il secondo parlante, dopo aver lanciato la critica, non si pronuncia
ulteriormente per evitare la continuazione del conflitto e nello stesso tempo per salvare la sua
faccia.

-Parlante B accetta l’enunciato del parlante A: il secondo parlante, nonostante il dissenso espresso,
dichiara la volontà di accettare l'enunciato del suo interlocutore, indebolendo la sua posizione.

-Parlante C risolve il disaccordo: un terzo interlocutore interviene per proporre una terza alternativa
che viene accettata da due interlocutori in questione.

-Parlante C cambia argomento: una terza persona interviene per cambiare argomento. Tale strategia
viene usata quando non si riesce a ottenere un compromesso tra i due interlocutori.

- Parlante A + Parlante B raggiungono un compromesso: i due partecipanti formulano una terza


soluzione che viene accettata in maniera cooperativa. Si raggiunge quindi un compromesso
abbandonando le posizioni iniziali e creando una nuova zona di equilibrio. Tale fase di chiusura
implica la considerazione per le posizioni iniziali dei partecipanti e delle posizioni finali. Di fatto,
occorre esaminare l'eventuale perdita della faccia di uno o più interlocutori prima di ripartire da
nuove posizioni.

1.6.1 Fattori che influenzano l'atto del disaccordo

1.6.1.1 Il destinatario e i fattori di potere e di severità

La segnalazione del disaccordo è spesso legata alle caratteristiche del destinatario a cui
viene rivolto. Quando il destinatario è una persona di pari status, secondo Grimshaw (1990) il
disaccordo può essere di tipo produttivo per la realizzazione di uno scopo comune e possiede
raramente un grado di conflittualità elevato come vedremo nel lavoro di Sanna (2005), oppure al
contrario essere inteso come attività che attacca la faccia dell'altra persona. Quando invece
l'interlocutore è in posizione di status superiore si crea un dislivello e la realizzazione del

48
disaccordo può essere una attività più difficile poiché implica un confronto che richiede competenze
elevate per il mantenimento delle posizioni prese. In breve possiamo dire che la scelta di una
segnalazione di disaccordo è influenzata da fattori di potere e di severità legati in modo
imprescindibile con quello del destinatario. A tal proposito, Rees-Miller (2000) parlando del potere
sostiene che in contesti istituzionalizzati

“more powerful participants use more direct forms of disagreement, including manipulative or loaded questions,
whereas less powerful participants use more hedges and mitigation” [Rees-Miller (2000:1095)]

In accordo con Rees-Miller (2000), sosteniamo che il grado di severità di un disaccordo si ottiene
quando viene minacciata l'identità personale o professionale, i valori e le credenze di un
interlocutore. Il disaccordo, per essere ben capito, va inteso nell'ambito del contesto delle relazioni
sociali e delle possibilità di azioni e d'interazione con i vari ruoli sociali assegnati agli interlocutori.
Nei lavori di Rees-Miller (2000) emerge che spesso la proposta è la forma più naturale tra le attività
del discorso per la manifestazione del disaccordo perché annuncia una potenziale alternativa e allo
stesso tempo mostra la volontà di proseguire la cooperazione tra i parlanti. In una ricerca di Sanna
(2005) si è messo in rilievo come il disaccordo tra giovani studenti italiani venga espresso in modo
diretto e frequente con la negazione “no” come nell’esempio seguente tratto da Sanna (2005:54):
(esempio 3) Studente1: il numero è questo !
Studente2: no questi .
Studente1: e: sì # ⌈zero cinque⌉

Con gli adulti, invece, il dissenso viene espresso in modo indiretto e ritardato da alcuni marcatori
linguistici come il “ma” che segnalano un “pre-disaccordo”. Ad esempio in Sanna (2005),
osserviamo come il non rifiutare esplicitamente possa essere considerata una strategia per evitare il
conflitto con l'adulto40 come vediamo dal corpus di Sanna a proposito della proposta dell’analista:
(esempio 4)
analista: eh. # dille che- # dille che la prossima settimana # sei lì e che
andresti # e che passeresti ⌈in agenzia
studente: ⌊eh a pagare eh a pa⌈gare
analista: ⌊mh #0_5 per quello
Studente1: ¿hhh mh #1_0
analista: o anzi che sei già lì #0_5
Studente2: son già in Sardegna
Studente1: mh hhh ⌈hh

40
Lo studio realizzato da Sanna (2005) nell’ambito della sua tesi di laurea intitolato “la variabilità dell’interlingua:
uno studio del disaccordo” rappresenta una ricerca sulla realizzazione del disaccordo tra studenti e docenti
nell’ambito scolastico di una scuola media italiana.

49
Studente 1: ⌊abbiamo ⌈detto di Modena ⌈hhh
analista: ⌊mh no ⌊cosa le hai detto che sei di ⌈modena [Sanna (2005:68)]

1.6.1.2 La correzione come precisazione nel disaccordo

Il disaccordo può manifestarsi anche con la negazione di affermazioni su dei fatti. Per
negazione intendiamo l'affermazione di qualcosa non vera e spesso questa mossa assume la forma
di correzione oltre che di precisazione. Le correzioni possono avere connotazioni molto diverse: ad
esempio, quando un docente corregge uno studente rientra nella routine della sua professione
(Norrick, 1991:72-75) mentre lo studente che corregge un professore compie, in alcuni contesti
(Duranti, Goodwin, 1992), una minaccia alla conoscenza del professore (Rees-Miller 2000: 1095).
In altri contesti, come nel caso delle situazioni istituzionali (Kangasharju 2002), la correzione può
essere un modo per non dare una idea sbagliata della propria conoscenza o per evitare dei
fraintendimenti. Una strategia spesso adoperata è quella dello “scetticismo” come modo di mettere
in dubbio la validità delle affermazioni dell'interlocutore dicendo “non dico che tu sbagli, non ho
un'alternativa da proporti, ma sono scettico sulla validità di quello che hai detto”.
Per esemplificare il disaccordo come negazione\scetticismo ( Rees-Miller, 2000) prendiamo questa
conversazione tratta da Sanna (2005) tra due studentesse che si trovano a discutere della gita
scolastica:
(esempio 5)
ST2: facciamo quale faccio #1_6
ST1: fai ci ti emme che ⌈secondo me sono più gentili
ST2: ⌊sìhh
TEA: mah ⌈hhh
ST2: ⌊ma #0_4 non so
TEA: dipende #0_5
ST1: sono stati ⌈i miei amici

In questo studio di Sanna (2005) condotto sull'interazione tra studenti delle scuole medie e
insegnanti in Italia, le forme del disaccordo tratte da questo corpus sono emerse nella fase di
presentazione, quando il parlante ha espresso una richiesta o un comando, una proposta, un dato di
fatto o una opinione. Per esempio, gli studenti generalmente hanno evitato di entrare in contrasto
con gli adulti e quando ciò è avvenuto si è cercato di limitare lo scontro e l'impatto conflittuale

50
mitigando l'espressione e ritardando l'elemento negativo oppure esprimendo il dissenso in modo
implicito. Invece tra studenti coetanei il disaccordo è stato espresso spesso in modo diretto ed
esplicito senza mitigazione come se fosse stato produttivo allo sviluppo della conversazione, mentre
con gli adulti viene considerato come deleterio per la difesa della faccia 41. Ad esempio nel corpus di
Sanna (2005) abbiamo un caso di disaccordo diretto tra due studenti che discutono di un cellulare:
(esempio5)

Studente1: il numero è questo !


Stendente2: no questi .
Studente1: e: sì # ⌈zero cinque
[Sanna (2005:75)]

Nelle attività collaborative fra studenti, le correzioni, le varie opinioni e le proposte sono percepite
come attività preferite (Sacks, 1987) e necessarie. Come in questo esempio:
(esempio 6)
Studente1: e:: scegliamo ?
Studente2: ⌈questo⌉ .
Studente1
: ⌊questo⌋ no ! aspetta sembra più ⌈top⌉ siamo più a a
molto chic #0_8
Studente2: ⌊questo:⌋
Studente1: nokia:: e nek ! #
Studente2: anche questo !
ST1: samsung , bello !
ST2: sì !
[Sanna (2005:68)]
Nello studio di Sanna (2005), le strategie adoperate da parte degli studenti e dai professori per
allentare la forza del disaccordo sono state: la minimizzazione, la mitigazione e la riparazione alla
forza del disaccordo. La minimizzazione rappresenta una strategia verbale o non verbale per
minimizzare le probabili tensioni comunicative e sociali per la faccia dell'interlocutore.
La mitigazione può essere definita come la riduzione di certi effetti negativi contenuti in particolari
espressioni di disaccordo. La mitigazione svolge la funzione di modificare la distribuzione dei diritti
e dei doveri tra i partecipanti tramite una riduzione dell'intensità. Inoltre, la mitigazione ha una
funzione di diminuzione del rischio di auto-contraddizioni, di rifiuto, di perdita della faccia e di
conflitti (Caffi, 1999: 882 ). In questo corpus di Sanna (2005) appare una prevalenza per l'uso della
mitigazione come strategia linguistica di fronte al disaccordo interpretata secondo Caffi (1999: 883)
41
Lo studio di Sanna (2005) non conferma i lavori di Rees-Miller (2000) dove si è notato che gli studenti usavano
meno forme di cortesia linguistica verso il professore. Questo comportamento è stato interpretato come indicatore di
una volontà di approfondimento del soggetto di studio da parte degli studenti, mettendo in risalto la faccia positiva
del professore. Nel contesto educativo italiano, a mio avviso, la considerazione per la faccia dei membri considerati
come “out-group” non permette tali forme di disaccordo esplicito e produttivo ma bensì solo forme di riparazioni
funzionali per il mantenimento della relazione interpersonale.

51
come la possibilità offerta dalla mitigazione di ridurre sia gli obblighi del destinatario così come
quelli del parlante.

1.6.2 Alcune Forme di mitigazioni

1.6.2.1 Mitigatori verbali: la prima persona al plurale, la riparazione e l’escalation

Un dispositivo molto utilizzato nella riduzione della forza del disaccordo è considerato l’uso
del pronome personale “noi”. Infatti Haverkate (1992), citato da Caffi (1999), afferma che l'uso del
“noi” nell'interazione ha la funzione di diminuire il contrasto perché riconduce tutta l'interazione ad
un piano di cooperazione, riducendo le responsabilità del parlante e quelle dell'ascoltatore. Il “noi”
ha la funzione di sostituzione di “io” e di “tu” rinunciando a compiere una richiesta troppo esplicita
verso l'altro interlocutore. Per esemplificare il fenomeno, propongo una conversazione tratta da
Sanna (2005:88) avvenuta tra due studentesse a proposito del prezzo di un cellulare:
(esempio 7)
Studente 2: prezzo::: ⌈scriviamo dopo::⌉ chiediamo
Studente1: ⌊eh il prezzo⌋ allora →dai centonovantanove ai
centosettanta euro .
Studente2: scriviamo quello preciso ! #0_5 °quello esatto° #
chiamiamo ⌈°ai negozi°⌉
Studente1: ⌊cento⌋ ↑ah ⌈chiamiamo loro⌉ okay !
Studente2: ⌊sì⌋ ¢ .
Studente2: ¥°okay°¥

Per quel che concerne la gestione della riparazione, all’interno del disaccordo, occorre capire
quando il disaccordo viene percepito come forte e che pertanto necessita di una spiegazione per
diminuire la sua forza contrastiva. La riparazione avviene solitamente negando il contenuto del
turno precedente facendo seguire l'espressione del “no” da una spiegazione.
(esempio 8)
Analista: ⌊e avete ancora una telefonata anche se volete # se volete chiedere
anche ad erica
Studente1: no no no
Studente: no
Analista: che ⌈cosa le ha colpito
Studente1: ⌊ce la facciamo da soli
[Sanna (2005:89)]

Anche in questo esempio, la spiegazione serve a motivare le ragioni del dissenso oppure ad

52
attenuare la sua forza negativa. Generalmente, la spiegazione si trova subito dopo la negazione o nel
turno successivo. Quindi il ruolo ricoperto dalla riparazione è di attenuare l'impatto della negazione
iniziale oppure di rafforzare il proprio dissenso come modo per avvalorare il proprio punto di
vista42.

1.6.2.2 L'escalation

Nella strategia detta di “escalation” la differenza di opinioni è talmente elevata tra i


partecipanti che il disaccordo viene ad occupare una parte consistente della conversazione. In
Grimshaw (1990) si nota come la particolarità della “escalation” risieda nell'alternarsi di turni brevi
e sovrapposti in cui i partecipanti palesano di non voler abbandonare la posizione assunta. In questo
genere di scambio di turni, l'elemento tipico consiste in una successione di disaccordi palesi, diretti
e molto forti tra i partecipanti. In questi turni di parola nessuno dei partecipanti vuole abbandonare
la propria posizione per giungere ad un compromesso e di conseguenza alla risoluzione della
discussione. In queste circostanze si può far ricorso alla risatina o all' umorismo ( Vulchinich, 1990)
per mitigare il contenuto forte delle affermazioni proprio per evitare attacchi alla persona superando
il limite della cortesia e del rispetto reciproco. In accordo con Vulchinich, la fase risolutiva può
avvenire dunque solo se i partecipanti sono concordi nel ricreare la precedente fase di consenso ed
equilibrio. Prendiamo un altro esempio tratto da Sanna (2005) per evidenziare l' “escalation” tra due
studentesse:
(esempio 9)

analista: il telefono #0_5 è questo , ve lo avvicino , aspetta


→tanto questo vi serve dopo← #1_0 il telefono è questo::
e funziona così , →ah ecco l' altra cosa:← # ↑chi
telefona # parla con la persona e l' altra scrive
Studente3: ⇠°sì° .
analista: ok⌈ay
ST3: ⌊io ⌈scrivo⌉ .
Studente4: ⌊tu parli⌋ .
ST3: ¥no¥ ¢ !
ST4: ¥tu parl(i)¥ .
ST3: ¥io preferisco scrivere¥ .
ST4: no ⌈°io (sono brava) a scrivere°⌉ .
Analista: ⌊↑e il telefono va in viva⌋ voce così
→così lo sentite tutt'e due← .
ST3: °sì° .

42
La problematica della riparazione è stata lungamente trattata nei lavori di Goffman nel testo Il rituale
dell’interazione (1971)

53
Analista: xxx uno parla: .

ST4: ↑tu ¥parla¥ .


ST3: →¥no no¥!
ST4: °tu parli° .

ST3: ⌈¥dai¥⌉ !
ST4: ⌊¢⌋ .
analista: →io non dico più niente← !
ST4: °dai telefona° .
ST3: ↑parli te !
ST4: ¥no °parli te°¥ ¢ # °vai° ! # io magari scrivo: !

analista: ¢.
ST3: ¥no ⌈¢ no¥⌉ .
ST4: ⌊¢⌋ .

[Sanna (2005:96)]

Secondo Simmer (1961), in questo tipo di conflitto verbale e di segnalazione del disaccordo,
i parlanti creano delle posizioni simbolicamente opposte. Una volta stabilite le posizioni, si crea di
solito una relazione di dominanza/sottomissione e la risoluzione implica una “vittoria” di una
posizione sull'altra posizione. Secondo Simmel, per giungere alla risoluzione del conflitto, i
partecipanti devono concordare e condividere i nuovi ruoli stabiliti nell'interazione verbale. È utile
osservare, come nel caso delle due studentesse, molti turni di parole siano incentrati sulla
negoziazione del proprio ruolo e la (non)risoluzione della discussione avviene soltanto con
l’introduzione di un nuovo argomento.
Di fatto, nessuna delle due studentesse abbandona la sua posizione iniziale e il disaccordo pertanto
viene risolto senza un chiaro abbandono delle posizioni assunte prima quasi per tralasciare lo
scambio di opinioni e di eventuali effetti negativi ( Scott, 2002). Prendendo in considerazione
Simmel (1961), appare che in questo esempio manchi la fase di risoluzione del disaccordo come
momento decisivo per la ricostruzione delle relazioni e per l'affermazione di nuovi ruoli sulla base
della relazione dominante/sottomesso.

1.7 Il disaccordo nella prospettiva degli atti linguistici di Searle

Cercando un modello di comprensione del disaccordo proveniente dalla teoria degli atti
linguistici, rileviamo nel lavoro di Searle (1976) che il disaccordo rientra nella categoria degli atti

54
linguistici con il valore illocutorio di tipo “assertivo”, in quanto ha come scopo di “impegnare la
responsabilità del parlante sull'esistenza di uno stato di cose e sulla verità della proposizione
espressa”43. In altri termini, si tratta di una rappresentazione che comprende il vero e il falso come
requisiti essenziali. Quando si compie un atto assertivo, il parlante negozia l'obbligo di dare una
descrizione dello stato delle cose tramite l'uso della parola. Lo stato psicologico quando si compie
un atto illocutorio non è altro che una condizione di sincerità, ossia il credere vero la proposizione
enunciata precedentemente. Il principio che muove il lavoro di Searle è il seguente: “ parlare
significa compiere degli atti seguendo delle regole”(1976:19). Questo significa che ogni atto
linguistico deve soddisfare un insieme di condizioni necessarie e sufficienti per la realizzazione di
alcuni particolari atti linguistici. Quindi per gli atti linguistici di tipo “assertivo” ritroviamo le
seguenti regole tratte da Searle (1976):

1. Ogni proposizione P

2. Preliminare: Il parlante A ha motivo di credere che P sia vero.


Non è sicuro né per A né per B che A sappia di P.

Sincerità: A crede in P.

Essenziale: significa affermare che P rappresenta una situazione reale.

Quindi il disaccordo rappresenta un “Non P” per il parlante, “ A ha dei motivi di credere che P non
sia vero”, “A crede che P sia falso”, “ A e B considerano questo atto come un atto di disaccordo.
Questo quadro ideato da Searle (1976) ha il limite di analizzare degli enunciati in forma isolata
rendendo difficile il suo utilizzo in un contesto conversazionale44. Il disaccordo, all'interno di una
prospettiva contestuale, va visto nell'ottica del contratto conversazionale o nel sistema di aspettative
del discorso stipulato tra i partecipanti. Ad esempio, nel contesto del dibattito di tipo mediatico
dovrebbe prevalere una preferenza per il disaccordo secondo Bilmes :

“ Once in a state of argument, disagreement is preferred in that if one does not explicitly disagree, it may be presumed

43
La teoria degli atti linguistici ideata da Austin (1962) e poi ripresa da Searle (1969) vede nel compimento di un atto
linguistico tre elementi in concomitanza,vale a dire ogni atto linguistico è locutorio ( per il solo fatto di esser
pronunciato), illocutorio ( per il fatto di volere influenzare un interlocutore) ed è perlocutorio ( per l’effetto concreto
che avrà sull’interlocutore) in Bettoni (2006:99).
44
Searle nel 1976 ha realizzato un articolo A classification of illocutionary acts dove ha compiuto una classifica degli
atti linguistici, definendo gli atti linguistici come assertivi, direttivi, commissivi, espressivi e dichiarativi.

55
that one has not found grounds to disagree and that one agrees. It is this preference for disagreement that drives
argument” [Bilmes (1988:466)].

Per Bilmes (1988), nell'ambito del dibattito mediatico, si è in attesa che gli interlocutori presentino
un'opinione discordante ed opposta a quella del proprio interlocutore dando vita in tal modo ad una
discussione tra i partecipanti. La domanda fondamentale per Bilmes è di capire se la motivazione
soggiacente alla produzione del disaccordo sia legata alla natura stessa dell'evento linguistico
(Hymes, 1972) oppure a concrete differenze nel merito dell’asserzione proposta dall’altro
interlocutore. Nel contesto del dibattito mediatico si potrebbe avanzare l'ipotesi che la norma
sociale che vuole il disaccordo come mossa dispreferita viene momentaneamente resa più flessibile
e tollerante. Tale ipotesi sarà analizzata nell’ambito di interviste televisive per verificare la validità
della preferenza per il disaccordo tra interlocutori italiani e francesi durante il dibattito mediatico45.

1.7.1 Cortesia linguistica e il disaccordo come atti linguistici

Nella teoria ideata da Brown e Levinson (1987), la scelta della strategia di cortesia
linguistica nel realizzare il disaccordo si compie in funzione di tre fattori:

- La distanza sociale (D) tra A e B

- il potere relativo (P) tra A e B

- il grado di imposizione (G) del disaccordo permesso in un dato contesto

Durante l’interazione linguistica, seguendo la teoria di Brown e Levinson (1987), l'atto linguistico è
codificato e decodificato dai partecipanti in un dato contesto tramite la D (distanza sociale), il P
(potere relativo) e il G ( grado di imposizione). Oltre la teoria di Brown e Levinson, abbiamo
l’innesto dei lavori di Kebrat-Orecchioni (1992) con l’ingresso del concetto di “ s-cortesia” per
segnalare un atto minaccioso che dovrà essere compensato da varie forme di “minimizzazione” per
ritrovare un equilibrio tra gli interlocutori. Infatti, la nozione di scortesia è stata definita da Lakoff
(2002) come un comportamento che non è conforme al sistema di aspettative dell'altro interlocutore
poiché viene posta od omessa la cortesia in modo non conforme alle regole di cortesia di un
45
Charaudeau (1991) sostiene nei suoi lavori che la descrizione scientifica del genere comunicativo mediatico è
abbastanza recente ed è di difficile descrizione a causa di una notevole eterogeneità dei discorsi.

56
partecipante all'interazione. Possiamo dire che la “scortesia” non risponde alla sotto-regola di
Lakoff che dice:

“ make a feel good- Be friendly” [Lakoff (1990:34)].

In termini di D (distanza sociale) e P (potere relativo), il genere di relazione interpersonale


rappresenta un fattore fondamentale per la scelta del comportamento linguistico. Ad esempio,
durante un'interazione di tipo conflittuale, l'espressione del disaccordo può esprimersi in un'ampia
varietà di modi e pertanto risulta difficile circoscrivere la sua natura in quanto è meno ritualizzato
per via di alcune costrizioni sociolinguistiche. Secondo Brown e Levinson (1987) appare difficile
contestare il fatto che il disaccordo dipenda ampiamente dal contesto sociale, dal rapporto
interpersonale stabilito sull'asse “verticale” del potere ed “orizzontale” della distanza sociale
durante l'interazione, così come non appare facile individuare l'insieme delle regole che sottostanno
al disaccordo dato che sono molto flessibili, individuali e variano da un contesto all’altro.
Se prendiamo l’esempio di un interlocutore la cui autorità è indiscussa e indiscutibile, allora in
questo caso il diritto al disaccordo è soltanto di chi detiene il potere in termini di grado di
imposizione in quel genere di relazione interpersonale e di costrizioni sociali presenti in una data
società (Grimshaw, 1990). L'espressione del disaccordo è molto più svincolata tra interlocutori pari
in diritti e in autorità. Praticamente, le costrizioni sociali generano rispettivamente, secondo la
prospettiva di Goffman (1967), il “rito dell'evitare” e il “rito di riparazione”46. In una società o in
una relazione interpersonale con un orientamento per il “rito dell'evitare” i temi difficili,
l'obbedienza e il silenzio possono funzionare come una specie di virtù sociale visto che l'atto del
disaccordo riconosciuto come una sfida non potrà essere riparato tramite dei procedimenti
linguistici. Al contrario, nelle società o nelle relazioni interpersonali orientate verso il “rito della
riparazione” sembra che tutto sia dicibile ma che non sia sempre appropriato per stabilire e
mantenere una buona relazione interpersonale. Per tale motivo, la riparazione è attesa in quanto fa
parte dell'essere socievole. Come dice Don Gabor:

“vous avez le droit de dire non sans vous sentir coupable” [Don Gabor(1989: 103-105)].

Quando queste modalità del disaccordo non vengono rispettate da un partecipante durante la
conversazione, si parla di s-cortesia, aggressività, volgarità, ecc.

46
Queste due nozioni fanno parte delle strategie identificate nei lavori di Goffman sul funzionamento della
comunicazione faccia a faccia nel suo testo Interactional rituals. Essays on the face-to-face behavior (1967)

57
1.7.2 Le espressioni linguistiche nel dibattito mediatico

Come si è visto finora, nell’approccio legato all’analisi della conversazione e alla teoria
degli atti linguistici, l’azione del disaccordo è intesa come una reazione linguistica ad un atto
iniziale che può avere un doppio bersaglio: l'interlocutore e il suo discorso. Questi due elementi
spesso coincidono durante l'interazione ed è proprio sul piano della relazione tra i partecipanti, in
modo particolare nelle società collettiviste (Hosfstede, 2001), che si focalizza maggiormente il
disaccordo piuttosto che sul contenuto dell’interazione. Quindi la scelta delle forme linguistiche per
esprimere il disaccordo dipende molto dalla relazione interpersonale e dal grado di imposizione
dell'atto del disaccordo presente nel contratto comunicativo tra parlante ed ascoltatore in una data
società. Questo motivo ci riporta ad una visione dell'atto linguistico retto da un sistema di diritti e
di dovere tra gli interlocutori (Spencer-Oatey, 2000)47. Quindi, dovendo analizzare il dibattito
politico48, nei prossimi capitoli potremmo verificare se i partecipanti saranno invitati a discutere le
loro posizioni come all'interno di una “guerra verbale” oppure se saranno attenti ai bisogni di faccia
dei loro interlocutori. Secondo Hutchby (1991) il dibattito mediatico rientra nel genere di relazione
“ufficiale” caratterizzato per l’uso della cortesia di tipo formale 49. Data la formalità dell'incontro
stabilita dalla distanza sociale tra i partecipanti e per la presenza di un pubblico, questo tipo di
contesto permette di accelerare o rallentare il confronto, di esporre il contenuto senza mostrare
troppe emozioni e di stabilire un equilibrio ritualistico tra le interruzioni e l'accavallamento. Questa
formalità funziona anche come mezzo per conservare l'immagine pubblica 50 mantenendo sia la
chiarezza dell'argomento così come la distanza per questo genere di confronto. Tuttavia, nel
contesto del dibattito rimane difficile sapere se il disaccordo viene percepito come un attacco sul
contenuto presentato oppure come un attacco personale che può essere valutato come fuori luogo o
di aperta minaccia alla faccia pubblica dei partecipanti.

47
La nozione di diritti-doveri è molto presente nell’esplicitazione del valore culturale delle azioni linguistiche nel
quadro di riferimento ideato da Spencer-Oatey.
48
È importante precisare che il presente lavoro non intende focalizzare la sua analisi in termini tecnici sul dibattito
mediatico, tuttavia per cogliere questo fenomeno si rimanda ai lavori di Patrick Chareaudeau su media e linguaggio
politico nei lavori del 2005. Le discours politique : les masques du pouvoir e in Rôles sociaux et rôles langagiers
(1995)
49
La cortesia di tipo formale è da intendersi quella cortesia dovuta alla distanza sociale tra gli interlocutori all’interno
del quadro teorico pensato da Brown e Levinson (1987).
50
L’immagine pubblica rappresenta una delle prime definizioni di faccia avanzate da Goffman per definire
l’importanza della riparazione (1967).

58
1.7.3 La questione del Setting e il tema conversazionale

La nozione di 'setting' rimanda ad un “quadro spazio-temporale” nel quale si svolge una data
interazione. Il setting rappresenta nel modello di Hymes (1972) la situazione fisica associata
all’evento linguistico. Il setting dell’intervista o del dibattito si può dire formale in quanto è una
situazione comunicativa che richiede la presenza di un pubblico, di una certa distanza sociale tra i
partecipanti e per il contenuto da affrontare. Al contrario, la situazione può dirsi informale quando
parliamo delle “quattro chiacchiere” (small talk) tra amici. Le varie norme sociali possono
richiedere il controllo di un atto linguistico in funzione della situazione conversazionale formale o
informale. Questo quadro di riferimento di Hymes (1972), a proposito del concetto di “setting”, va
collocato all'interno di un sistema di costrizioni nel contratto comunicativo, in quanto sistema
composto da diritti e doveri secondo la prospettiva che intendiamo adottare di Spencer-Oatey
(2000). Dal punto di vista comparativo, nei prossimi capitoli si analizzerà se i parlanti della
comunità francese si aspettano la produzione del disaccordo nel contesto del setting formale del
dibattito in modo simile o diverso da quelli della comunità dei parlanti italofona.
Nel produrre il disaccordo, in questa ricerca, andrà preso in considerazione sia la costituzione del
setting da interpretare come di tipo formale e pubblico per il dibattito mediatico così come il tema
della conversazione. La natura del tema conversazionale, con il grado di coinvolgimento e
l'interesse personale, sono tutti elementi molto importanti nella produzione del disaccordo. Schiffrin
(1984) esemplifica evidenziando che un enunciato sul meteo non provoca le stesse argomentazioni
del tema sull'aborto in Italia o negli Stati Uniti e aggiungerei anche in Francia (corsivo mio). I temi
conflittuali sono spesso presenti nella vita quotidiana, ma quello che spinge i parlanti a forme di
disaccordo più marcate è quando il tema viene associato con un interesse personale da parte dei
partecipanti. Questo avviene in accordo con Schiffrin (1984) in modo minore quando il tema è di
tipo impersonale o quando non tocca la sfera personale di nessuno dei partecipanti.

1.7.3.1 La norma socioculturale

La tesi che sarà difesa in questo lavoro è quella di vedere nelle varie attività linguistiche
dell'uomo le fondamenta di un “ethos” (Brown e Levinson ,1987, Béal, 1993) presente dentro una
data comunità di parlanti ( Gumperz, 1973, 1982). Applicando i principi sociopragmatici di

59
Spencer-Oatey51, con l'ausilio della teoria della cortesia di Brown e Levinson 52 nel descrivere la
natura del disaccordo nel dibattito mediatico della comunità linguistica 53 francese ed italiana,
dovremmo registrare come differenza il grado di frequenza, la sua realizzazione e la sua
valutazione.
Dato il quadro metodologico, le ipotesi di partenze intendono verificare se i parlanti francofoni
nella comunità linguistica francese sembrano avere oppure non una maggiore segnalazione di
disaccordo per via di un “ethos” di tipo “engagé” (Béal, 1993), al contrario dei parlanti della
comunità linguistica italiana, dove la segnalazione del disaccordo viene spesso mitigata o forse
evitata poiché percepita come minacciosa per l'”ethos” italiano fondato, a mio avviso, sulla
considerazione54 per l’interlocutore. Pertanto, riproponiamo alcune delle domande che saranno
affrontate nei prossimi capitoli a proposito dell'espressione del disaccordo: Quali sono le mosse
comunicative per esprimere il disaccordo nei contesti comunicativi italiani e francesi nei dibattiti
politici e di società? Come viene indessicalizzata la “persona” intesa come destinatario del
disaccordo nelle comunità di parlanti italiani e francesi? Quali sono le frequenze di forme di
disaccordo individualizzati nelle due comunità di parlanti? I francesi esprimono linguisticamente il
disaccordo più esplicitamente di quanto facciano gli italiani? E gli italiani, nell'esprimere il
disaccordo, usano maggiore lavoro di cortesia dei francesi o viceversa? E' possibile partendo
dall'analisi del disaccordo individuare un “ethos” differente nell'atteggiamento linguistico italiano e
quello francese?

51
Gli elementi centrali dei principi socioculturali nella teoria di Spencer-Oatey sono: la faccia, i diritti e i doveri e i
compiti\benefici, mentre sul piano secondario abbiamo la preferenza culturale di tipo: essere diretti-indiretti e/o chiari-
vaghi; cordiali-distanti; modesti-affermati; abitudinari-novità.
52
Il modello di cortesia di Brown e Levinson (1987) si fonda sulla formula: massimizza l'uso della cortesia negativa
e minimizza l'espressione della cortesia positiva
53
A questo riguardo, sarà interessante riprendere ed utilizzare la definizione di comunità linguistica ripresa da Labov
intesa come “gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua” (1973)
54
Ron Scollon ha definito in modo chiaro con la nozione di stile basato sulla considerazione come una preferenza per
l’evitamento dei temi difficili all’interno della relazione interpersonale.

60
2. La prospettiva sociopragmatica negli studi della pragmatica linguistica

2.1 La sociopragmatica: lo stato dell'Arte

Nel libro di Camilla Bettoni “Usare un'altra lingua”, la sociopragmatica viene collegata alla
sociologia e alle percezioni sociali che inducono gli interlocutori a compiere ed interpretare un atto
comunicativo in un determinato modo (Bettoni, 2006:92). Infatti, il termine “sociopragmatica” è
composto da una parte dal prefisso aggettivale “socio” in riferimento alle strutture sociali (contesto
culturale e percezione sociale) e dall'altra parte alla parola “pragmatica” che vuol dire azione
linguistica sul reale. Un'altra definizione della sociopragmatica ripresa da Leech (1983:10) vede la
sociopragmatica come "the sociological interface of pragmatics", vale a dire il peso delle proprie
convinzioni in termini di valori sociali e culturali nelle scelte linguistiche realizzate da parte dei
parlanti. Questa competenza sociopragmatica riguarda la capacità di adattare in modo appropriato le
proprie strategie linguistiche in consonanza con i diversi contesti sociali quali ad esempio: il grado
di imposizione, il potere e la distanza sociale tra i partecipanti di una conversazione ( Brown e
Levinson, 1987), ma anche i diritti e i doveri dei partecipanti nella comunicazione (Harlow, 1990).
La sociopragmatica è strettamente collegata con il comportamento sociale appropriato per una data
situazione, vale a dire che si intende la funzione sociale come il ruolo ricoperto dalla lingua dentro
una data società o tra gli individui. Pertanto, il linguaggio viene usato per comunicare e per
esprimere delle idee e/o attitudini. Riprendendo le parole di Crystal (1985:240) la sociopragmatica
rappresenta lo studio della comunicazione nel suo contesto socio-culturale. Crystal esemplifica la
sua definizione di sociopragmatica affermando che durante le nostre interazioni con altre persone
spesso non diciamo quello che pensiamo delle persone intorno a noi perché non vogliamo essere
costretti a ferire i loro sentimenti. Con la finalità di evitare questo comportamento, i parlanti
scelgono il proprio uso appropriato sul come agire e dire all’interno delle varie situazioni in
funzione della loro conoscenza del contesto culturale (Kramsch, 1993). Tale contesto culturale è al
centro delle attenzioni della sociopragmatica, la quale si occupa dell’impatto degli elementi extra-
linguistici legati all’uso della lingua nelle varie interazioni sociali e degli effetti delle varie scelte
linguistiche causate sui vari interlocutori all’interno della comunicazione. Ad esempio sono le

61
considerazioni sociopragmatiche che regolano la scelta delle nostre risorse linguistiche nell’usare in
un dato contesto e in modo appropriato il “TU o il LEI”oppure il nome di battesimo oppure il
proprio cognome accompagnato da un titolo. In questo lavoro ci serviremo del concetto di
sociopragmatica seguendo il metodo operativo di Spencer-Oatey e Jiang (2003) che illustreremo nel
prossimo paragrafo.

2.2 La sociopragmatica nei lavori di Spencer-Oatey

2.2.1 Dalle “Massime conversazionali” ai “principi sociopragmatici interazionali”

I lavori di Helen Spencer-Oatey nell'ambito della sociopragmatica (2000, 2001, 2003, 2005)
sono molto importanti per questa ricerca in quanto tentano di argomentare sul perché la nozione di
“massime conversazionali” di Grice (1975)55 deve essere ripensata in termini di principi
sociopragmatici interazionali (2003). Il contributo di questa studiosa si concentra sul come il
concetto di “cultura”56 possa essere adoperato come variante esplicativa negli studi di pragmatica
cross-culturale. Nel testo di riferimento di Brown e Levinson (1987) sulla cortesia linguistica, le
spiegazioni di tipo culturale non sono presenti ma vengono descritte soltanto le somiglianze e le
differenze nella realizzazione degli FTA. Prima dei lavori di Spencer-Oatey si è usato spesso in
pragmatica il modello di Leech (1983) per spiegare le differenze cross-culturali grazie al principio di
cortesia presente nelle massime di Leech 57.

Spencer-Oatey afferma la necessità di superare il modello di Leech utilizzando i principi


sociopragmatici interazionali (SIP) come metodo più efficace e fecondo per spiegare le differenze
cross-culturali dal punto di vista della pragmatica.

Molti studiosi di pragmatica (Grice, 1975; Leech, 1983; Gu, 1990) hanno sostenuto che l'uso della

55
Grice tratteggia quattro massime, con altrettante sottomassime:

- la massima di qualità ( Dì quello che credi essere vero),


- la massima di rilevanza (Dì quello che devi dire nel momento giusto e in maniera rilevante),
- la massima di quantità ( non dire di più o di meno di quello richiesto),
- la massima di maniera ( sii breve e chiaro).
56
Cf. Journal of pragmatics 35 (2003) per i contributi di Spencer-Oatey e di Jiang sul ruolo della
sociopragmatica come modalità per spiegare i fenomeni culturali.
57
In seguito sarà approfondita la nozione di cultura nel capitolo “lingua e cultura”.

62
lingua in contesto viene influenzato dalle massime conversazionali. Grice (1975) ha sostenuto il
principio di cooperazione all'interno della conversazione ed ha affermato l'esistenza di quattro
“massime conversazionali” che presiedono all’evento linguistico. Queste massime non vengono
sempre osservate dai parlanti, ma si può percepire quando non sono rispettate: ad esempio, se un
parlante produce una risposta breve dove invece servirebbe una risposta più articolata, allora
8
l’ascoltatore potrebbe implicare 5 un significato diverso da quello espresso linguisticamente.

Per esempio se chiedo ad un amico: Cosa hai fatto durante il week end? E lui mi risponde : “Niente
di particolare, sono andato a Roma”. In questo caso, il parlante cercherà di capire le “implicature”
conversazionali ( Grice, 1975) presenti nella risposta dell’interlocutore.

Leech (1983) invece sostiene che la comunicazione viene retta da un Principio di cortesia, composto
da sei massime di cortesia associate59 e dal principio di cooperazione.

Secondo Grice (1975), il principio di cooperazione è un principio universale nell'uso della lingua,
invece Leech (1983) e Gu (1990) hanno sostenuto che le massime di cortesia hanno un peso diverso
nelle varie società ed è per queste ragioni che i principi della cortesia di Leech sono stati adoperati
negli studi di pragmatica cross-culturale come una ricca fonte esplicativa delle varietà culturali.

Spencer-Oatey (2000, 2003) afferma invece la 'valenza universale' delle massime di cortesia pur
osservando e riconoscendo la presenza all'interno delle stesse culture di opinioni differenti sulla
realizzazione di un dato atto linguistico.

Secondo Spencer-Oatey (2003:1635) occorre riconcettualizzare le massime della cortesia alla luce
dei principi sociopragmatici interazionali (SIP) dove la nozione di “sociopragmatica interazionale”
rappresenta lo sviluppo della nozione di cortesia di Leech con l'aggiunta dei lavori di Kim (1994)
sulle costrizioni di tipo interattivo/conversazionali. Kim (1994:119) definisce nel suo lavoro le
costrizioni interattive come fondamentali per comprendere come un messaggio è costruito, in quanto
esse connotano il carattere generale di ogni conversazione tramite lo stile individuale del parlante.
Invece, in sintonia con i lavori di Spencer-Oatey e Jiang (2003:1635), in questa ricerca
abbiamo scelto di adoperare il termine “principio” piuttosto che “costrizioni”, in quanto il verbo
costringere implica una limitazione o una funzione restrittiva, mentre il termine “principio” è più
neutro e implica soltanto una guida o una influenza nel comportamento, pur essendo un termine

58
Le implicazioni nella conversazioni riguardano quelle informazioni che non sono presenti all’interno della
conversazione ma emergono dall’interpretazione dell’ascoltatore durante l’interazione.

59
Leech (1983 :132) aggiunge al principio di cooperazione di Grice 6 massime della cortesia: massima del tatto,
massima della generosità, massima dell’approvazione, massima della modestia, massima dell’accordo, massima della
simpatia.

63
associato con parole come valore e credenze. La sociopragmatica, nella prospettiva adottata da
Spencer-Oatey (2001, 2003) viene definita come un principio fondato sulla prospettiva
socioculturale, con un carattere di tipo graduale, capace di guidare o influenzare le persone nella
produzione e interpretazione del linguaggio. I “principi” nella sociopragmatica di Spencer-Oatey
sono collegati ai “valori” che possono essere quelli di una data cultura o di un contesto situazionale,
e che sono norme o preferenze in merito alla realizzazione di questi principi. Le preferenze per
determinate scelte linguistiche vengono sviluppate attraverso il processo di socializzazione e
attraverso l'esposizione alla naturale interazione, e queste preferenze variano frequentemente da un
contesto all'altro e da una cultura ad un'altra, tuttavia appare chiaro che ogni fallimento nella
realizzazione di questi principi viene valutato negativamente da parte degli altri partecipanti all’atto
linguistico. Il principio sociopragmatico interazionale pensato da Spencer-Oatey e Jiang (2003) aiuta
a gestire il rapporto con le persone e a comprendere il senso del conferimento di una “faccia” alle
persone con i loro diritti e doveri interazionali in sintonia con le norme e le preferenze presenti nelle
varie culture. Questo principio denominato da Spencer-Oatey (2003) “SIP”può essere integrato con
le tre prospettive sulla cortesia identificati da Fraser in un suo lavoro sulla cortesia linguistica(1990:
223) dove si mettono in rilievo alcuni punti essenziali della cortesia, vale a dire la prospettiva della
massima conversazionale, quella del “salvare la faccia” e quella del contratto conversazionale.

2.2.2 Le Costrizioni conversazionali nella sociopragmatica

Nel lavoro di Kim (1994) vengono proposte cinque costrizioni conversazionali in relazione
all'atto della richiesta. Le costrizioni presentate in questo elenco sono riportate in questo modo:

- evitare di ferire i sentimenti dell'ascoltatore ( elaborazione del concetto di “faccia positiva”


dell'ascoltatore espresso in Brown e Levinson, 1987);

- evitare l'imposizione all'ascoltatore (elaborazione del concetto di “faccia negativa ” dell'ascoltatore


espresso in Brown e Levinson, 1987);

- evitare la valutazione negativa dell'ascoltatore ( ripresa dalla faccia positiva del parlante in Brown
e Levinson, 1987);

- essere chiari ( massima di maniera di Grice, 1989);

- essere concreti ( raggiungimento dello scopo/ esecuzione del compito in Canary e Spitzberg, 1989);

64
Dai dati raccolti nei lavori di Kim a proposito dei parlanti sinofoni ed anglofoni (1994) emergono
chiaramente tre fattori di rilievo da entrambe le parti: l'importanza della gestione e\o rapporto della
faccia, l'importanza del compito e l'importanza della chiarezza. Dai dati sui parlanti cinesi ed inglesi,
che pure presentano costrizioni conversazionali differenti, riscontriamo alcune somiglianze tra i due
insiemi di risultati: entrambi i corpus evidenziano dei fattori relativi all'importanza per il compito e
per la gestione della faccia/rapporto. I fattori analizzati in questi due corpus da Kim (1994)
suggeriscono che le persone usano un numero limitato di principi nella comunicazione, per cui Kim
(1994) sostiene che per il parlante cinese il fattore chiave è la considerazione data per la
faccia/rapporto. Per il parlante britannico, secondo l'analisi di Spencer-Oatey viene conferita
importanza a questi due fattori ma l'elemento che caratterizza la differenza è da ricercare nella
nozione di diritto. Per i parlanti britannici, nella situazione di richiesta, l'importanza rivolta alla
faccia dell'interlocutore dipende se pensa di avere il diritto di chiedere una data cosa oppure se sta
chiedendo un favore (Kim, 1994). Spencer-Oatey (2000, 2001) afferma che i diritti nella socialità
sono un importante fattore che sottolinea la gestione della relazione, e che a tale nozione di diritto si
dovrebbe accordare molta più attenzione sistematica negli studi di tipo contrastivo. Per Spencer-
Oatey, un campo d'indagine interessante in termini sociopragmatici potrebbe riguardare le modalità
adoperate dalle persone per concordare i loro diritti in una data situazione e in quale misura esse
possono influenzare fattori culturali, quali, per esempio, la percezione dei propri diritti all’interno di
una conversazione. Spencer-Oatey (2003) avanza l'ipotesi che in alcune situazioni si potrebbe
rivelare una differenza tra pragmalinguistica e sociopragmatica in quanto nella relazione tra le
persone, fattori come la distanza e il potere, saranno espressi ad un livello pragmalinguistico, ossia
nella scelta delle risorse linguistiche, mentre in altri contesti potrebbe essere la sociopragmatica ad
essere chiamata in causa, visto che sarebbe il significato sociale conferito alle situazioni e ai contesti
ad influenzare le nostre scelte linguistiche.

Spencer-Oatey sostiene che l'uso del linguaggio fatto dalle persone non è soltanto influenzato da
fattori contestuali immediati, come la distanza (D), il potere relativo (P) e il grado di imposizione
(R) come viene sostenuto da Brown e Levinson (1987), ma anche dall'importanza di principi
socioculturali. Questi principi socioculturali nel lavoro di Spencer-Oatey (2003) agiscono ad un
livello più alto di altri fattori e ci aiutano a gestire le motivazioni basiche dell'interazione tra le
persone: l'importanza accordata alla faccia, i diritti e i doveri ( in termini di costi e benefici).

Ad un altro livello di operatività del modello adottato da Spencer-Oatey (2003), ci sono dei principi
di Sociopragmatica Interazionale (SIP ) che possiamo definire come secondari riflettono:

65
lo stile personale, l'essere diretti o indiretti, umili-affermati, calorosi/coinvolgenti oppure
freddi/distanti.

In sintesi, gli elementi centrali dei principi socioculturali introdotti nell'analisi di Spencer-Oatey
(2003) sono la faccia, i diritti\doveri e i compiti, mentre sul piano secondario della (SIP) abbiamo l'
essere diretti-indiretti e/o chiari-vaghi, cordiali-distanti, modesti-affermati, abitudinari-innovativi
(Spencer-Oatey, Jiang, 2003:1645).

2.3 La sociopragmatica e il mondo socioculturale: vari approcci al contesto

Il collegamento tra la sociopragmatica di Spencer-Oatey (2003) e il mondo socioculturale


viene realizzato con l'introduzione di due categorie analitiche della realtà sociale. Le categorie in
questioni sono state introdotte da Searle nel testo la costruzione della realtà sociale (1995):

1. - mondo esterno oggettivo

2. - mondo sociale con la sua visione interiore del mondo

Per Searle (1995) il mondo oggettivo è determinato da verità fattuali, il mondo sociale è determinato
dalla totalità delle relazioni interpersonali legittimate, mentre il mondo soggettivo è determinato
dagli ambiti espressivi ed emotivi. Ogni atto comunicativo deve essere ancorato almeno ad uno di
questi mondi e sempre al mondo oggettivo. Questa configurazione tripartita tra parlante, ascoltatore
e mondo rappresenta la condizione necessaria per i partecipanti per coordinare le loro azioni
comunicative (Searle, 1995).

Secondo Searle (1995) questo scenario rappresenta la parte macroscopica della comunicazione,
mentre per il micro-contesto è utile l’analisi fornita dal Principio di cooperazione di Grice (1975) e
dalle sue “ implicature conversazionali”( Grice, 1978) collegate al mondo sociale. Le implicature
conversazionali in Grice (1978) riguardano quelle informazioni che non sono presenti all’interno di
ciò che è detto ma sono trasmesse implicitamente ed emergono per guidare l’interpretazione
dell’ascoltatore durante l’interazione. In questo quadro di tipo griceano, la validità dell'affermazione
dipende dalla ratifica di quegli elementi che costituiscono il mondo, vale a dire la ratifica del mondo
oggettivo con le sue verità fattuali, il mondo soggettivo fondato sulla sincerità e il mondo sociale
basato sull'appropriatezza. Nel lavoro di Grice (1975) il mondo oggettivo viene definito in base alla
dicotomia vero/falso mentre il mondo soggettivo viene definito dalla sincerità, le intenzioni

66
comunicative di un parlante sono enunciate e interpretate come significative. Nel lavoro di Grice
(1975) il riferimento al mondo viene realizzato sia in modo esplicito che implicito durante la
realizzazione degli atti linguistici e tali atti vengono giudicati in base alla loro consistenza o
inconsistenza nell'ambito della coerenza discorsiva. Per Searle (1995) il risultato ottenuto da parte di
un enunciato inconsistente sarà l'attribuzione di un’intenzione comunicativa non sincera, la quale
sarà chiamata “menzogna” nei termini della conoscenza del mondo in quel contesto. Sempre
secondo il filosofo americano Searle (1995), il mondo sociale viene definito in termini di
appropriatezza, la quale viene calcolata in merito al collegamento attraverso i partecipanti, le
intenzioni comunicative e la loro realizzazione linguistica in un dato contesto. Il riferimento al
mondo viene realizzato in modo esplicito ed implicito. Il mondo sociale proposto da Searle (1995)
viene ancorato all'interno della comunicazione da una ripartizione tripartita composta da : sistema
interpersonale, interazionale e testuale.

Il sistema testuale viene determinato dal principio di cooperazione di Grice (1975) con le massime
di qualità, quantità, di maniera e di relazione, e con le inferenze conversazionali. Il sistema
interpersonale è determinato dai partecipanti dell’evento linguistico, dal loro ruolo e dalle funzioni
ratificate o meno tra loro e dal come viene dato senso alla faccia di ciascuno. Il sistema interazionale
è determinato dall'organizzazione sequenziale del discorso e si basa sulla rilevanza e su coppie
adiacenti (Sacks, 1987).

2.3.1 Relazione interpersonale e cultura

Nei lavori di Spencer-Oatey (2001, 2003) emerge l’idea che il rapporto idealmente
armonioso tra le persone può essere minacciato da due fattori: il primo fattore si associa ad un
comportamento minaccioso per la faccia e l’altro fattore è un comportamento minaccioso per i nostri
diritti.

Spencer-Oatey sostiene che quando le persone minacciano i nostri diritti, esse infrangono le nostre
prerogative sociali e questo succede quando qualcuno ci spinge a fare qualcosa, ma avvertiamo che
in quel dato contesto quel parlante non ha il diritto di avanzare una tale richiesta. In questa
circostanza, secondo l'approccio adottato da Spencer-Oatey (2001, 2003), l'altra persona sta
minacciando i nostri diritti di uguaglianza, mentre se qualcuno parla con noi in un modo troppo
personale, secondo il nostro giudizio, noi ci sentiamo come minacciati nel nostro diritto di
associazione con gli altri.

67
Il risultato durante questa tipologia di incontri è che ci sentiamo offesi, in imbarazzo, irritati o
arrabbiati, anche se non sentiamo necessariamente di aver “perso la faccia”. Appare come
fondamentale nell'approccio di Spencer-Oatey credere che la cortesia riguardi la (dis)-armonia nelle
relazioni sociali e che la percezione di questo fenomeno sia soggetta ai giudizi sociali (Spencer-
Oatey, 2005:97).

Passiamo ora ad un’analisi dettagliata della teoria di Spencer-Oatey.

Il compito centrale di questo approccio non è solo concentrato sulle strategie linguistiche ma vuole
anche esplorare le basi sulle quali poggiano i giudizi sociali delle persone durante l'interazione.
Questo lavoro suggerisce che, mentre la faccia rimane un fattore cruciale, dobbiamo estendere la
nostra comprensione della teoria di Brown e Levinson (1987) concettualizzando e aggiungendo altri
elementi.

In merito alla concettualizzazione della faccia, Spencer-Oatey (2001, 2003) ha messo in rilievo
l'importanza di incorporare nelle due tipologie di faccia una doppia prospettiva:

da una parte una prospettiva “personale/indipendente” e dall'altra parte una prospettiva


“sociale/interdipendente”, che si traduce in due diverse tipologie di facce: qualità della faccia e
identità sociale della faccia (2001, 2003). Per svolgere questo lavoro, Spencer-Oatey si è ricollegata
al lavoro sui valori personali di Shalom Schwartz (1992,2001) in relazione alla comprensione della
faccia. Mentre la definizione di Goffman (1967) si rifà alla faccia come “ un valore sociale positivo
che una persona effettivamente afferma per se stesso nei riguardi degli altri durante una particolare
situazione sociale”, invece Schwartz (1992) ha sviluppato un quadro di riferimento per esplorare i
valori delle persone, testato all’interno di 44 diversi gruppi culturali. I termini utilizzati per esplorare
alcuni dei valori presi in considerazione si rifanno ai seguenti concetti: per l'indipendenza abbiamo
come valori collegati la competenza, l’intelligenza, l’autonomia di iniziativa, la libertà; invece altri
valori ritenuti correlati al concetto di interdipendenza sono la lealtà, l’essere servizievole, la
giustizia, l’obbedienza. Questo modello disegnato da Schwartz (1992) impiegato da Spencer-Oatey
nelle sue analisi sociopragmatiche sarà utile per concettualizzare le varie facce che le persone hanno
in diversi contesti e in momenti diversi cercando di superare il quadro d'analisi fornito da Brown e
Levinson (1987). Un nuovo elemento introdotto dall'inserimento di Schwartz (1992) è stato quello di
mettere in luce la possibilità per le persone di avere “faccia” o di perdere la “faccia” non solo in
relazione a se stessi come individui, ma anche in relazione al gruppo di appartenenza in termini di
faccia collettiva.

Nei lavori di Schwartz (1992) è stato osservato come una forte correlazione in termini di FTA esista

68
tra il proprio senso di vicinanza personale con il “gruppo di appartenenza attaccato” e la propria
faccia in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987). Nei lavori di Spencer-Oatey (2005)
si nota che un elemento che colpisce le persone dal punto di vista del giudizio sociale
nell'interazione è la percezione che le persone hanno dei diritti sociali, la distinzione tra questi diritti
e la loro faccia individuale. L'obiettivo di questo approccio è di identificare i fattori chiave che le
persone utilizzano per emettere dei giudizi in riferimento all'armonia o al conflitto presente nella
relazione interpersonale. Questo approccio non si concentra soltanto sull'ascoltatore ma su entrambi
i partecipanti dell'interazione, dato che occorre tenere presente nell'interazione non soltanto i propri
diritti ma anche i diritti interazionali dell'interlocutore, così come i nostri doveri verso il nostro
interlocutore. Una buona gestione del rapporto relazionale dipende dalla reciproca sensibilità e da un
appropriato equilibrio tra gli interlocutori sui propri bisogni e quelli dell'altro interlocutore.

2.3.2 La nozione di “cultura” per Spencer-Oatey

Il termine “cultura” secondo Spencer-Oatey (2005:108) rinvia ad un insieme di attitudini,


credenze, convenzioni comportamentali, supposizioni di base e valori che sono condivisi da un dato
gruppo di persone e che influenza il comportamento di ogni membro, così come l'interpretazione del
comportamento di altri gruppi di persone.

Spencer-Oatey afferma che la cultura si occupa delle regolarità all'interno di un gruppo di persone e
che tali regolarità vanno di pari passo con la presenza di variabilità, pertanto le regolarità che
costituiscono la cultura di un gruppo secondo Spencer-Oatey (2001, 2003, 2005) possono variare e
vengono identificate dai seguenti elementi:

- supposizioni di base e i valori

- credenze, attitudini e ideologie

- leggi, regole, regolamenti

- scopi e missione

- obiettivi e strategie

- percezione del proprio ruolo nell'interazione, includendo i diritti e doveri collegati al proprio ruolo

69
- riti comportamentali, le convenzioni, le routine (linguistiche e non linguistiche), la loro
comprensione e interpretazione

- artefatti e prodotti

Questa concezione della cultura di Spencer-Oatey è in accordo con quanto espresso da Halliday,
Matthiessen (1999) in un precedente lavoro sulla costruzione della realtà sociale tramite il
linguaggio, dove si afferma che possiamo riconoscere ad un gruppo sociale una propria cultura
quando riscontriamo delle regolarità, le quali permettono ai membri di sentirsi parte di un gruppo.

Un approccio critico alla nozione di “cultura” utilizzata da Spencer-Oatey (2005) è quello dello
studioso belga Blommaert (1998), il quale sostiene che bisogna situare la cultura sempre in maniera
situazionale e dipendente dal contesto specifico nel quale si svolge concretamente l'interazione.
Spencer-Oatey (2005) sostiene, invece, che le convenzioni comportamentali e comunicative possono
essere tipicamente dipendenti dalle situazioni, mentre le supposizioni e i valori possono essere pan-
situazionali, anche se la loro operatività avviene in modo diverso nei vari contesti. Per sostenere la
sua idea di cultura, Spencer-Oatey rinvia ai lavori di Avruch (1998) nei quali la cultura è intesa come
un derivato delle esperienze individuali, qualcosa di imparato o creato da altri individui o
tramandato tramite dei contemporanei o degli antenati. Collegando la cultura agli individui e
mettendo in rilievo il numero e la diversità dal punto di vista sociale e di esperienze che l'individuo
incontra, noi riusciamo ad espandere l'ambito della cultura a partire da quella di un gruppo o di un
quasi gruppo ( tribù, gruppi etnici e nazioni sono i più noti) fino a gruppi costituiti dalle professioni,
occupazioni, classe sociale, religione e regione.

In questa prospettiva Avruch (1998) sostiene l'idea che gli esseri umani riflettano o incorporino
molteplicità di culture e che la loro “cultura” sia sempre psicologicamente e socialmente distribuita
all'interno di un gruppo. La variabilità si ritrova tra membri di un dato gruppo sociale, attraverso i
contesti situazionali e nelle manifestazioni culturali che sono in comune in un dato gruppo sociale.

Tuttavia, Spencer-Oatey, a differenza di Blommaert, continua a non credere che ogni individuo
faccia “cultura” in un solo incontro, ma piuttosto che la cultura emerga quando le strutture
cominciano a svilupparsi raggiungendo una visione già presente in Gumperz (1991), il quale ha
sostenuto chiaramente che considerava le convenzioni in comunicazione come manifestazione della
cultura. Blommaert (1998) aggiunge che la sua visione dell'identità del parlante risulta essere la
somma dello schieramento dei vari repertori comunicativi di un parlante. Da questo dibattito sulla
nozione di cultura presente nella pragmatica linguistica sarà molto importante capire se l'uso della

70
parola “cultura “ sarà usato in riferimento alla gestione della disarmonia nelle relazioni tra gruppi e
per raccogliere le percezioni delle persone in termini di giudizi sociali.

2.4 Collegamento tra contesto e uso linguistico

2.4.1 Contesto socioculturale e uso linguistico culturalmente preferito

In sintonia con il lavoro di Duranti, il contesto è un concetto relazionale relativo ad azioni


sociali e ai partecipanti dell’evento linguistico ed è in questa prospettiva che i partecipanti
selezionano e costruiscono il contesto appropriato per le loro azioni comunicative (Duranti,1992). In
questo lavoro noi non consideriamo il contesto come un elemento dato ed omogeneo ma piuttosto
come parte costitutiva dell'evento linguistico (Hymes, 1972) dove le “condizioni di felicità” secondo
la terminologia degli atti linguistici ( Sbisà, 2002) vengono osservate in quanto categorie del
contesto sociale e linguistico. Il contesto non è soltanto concettualizzato come presupposto e dato
ma viene anche organizzato interazionalmente, come si evince nel paradigma di ricerca dell'analisi
conversazionale (Heritage 1984), dell'etnometodologia (Garfinkel 1994) e l'etnografia della
comunicazione (Saville-Troike 1989). In questi paradigmi di ricerca, il contesto viene generalmente
differenziato inglobando l'azione sociale e gli interagenti come elementi dipendenti dal contesto. Nel
paradigma dell'analisi conversazionale e in quello della sociopragmatica l'enunciato rappresenta un
altro tipo di contesto, vale a dire rappresenta un contesto linguistico o un co-testo (Duranti, 1992) .
L'enunciato si rifà al contesto già esistente per la sua produzione e interpretazione e così facendo
diventa un evento che condivide un nuovo contesto per le azioni che lo seguiranno. Contrariamente
a chi intende il linguaggio come un sistema autonomo, il quadro teorico dell'etnografia e
dell'etnometodologia conferiscono alla lingua uno status di tipo socioculturale e di dipendenza dal
contesto nel suo significare comunicativo. In questa cornice teorica, il contesto sociale viene
congiuntamente costruito e negoziato. Questo approccio dinamico sul contesto, che ritroviamo
anche nei lavori di Duranti e Goodwin (1992) vede il contesto basarsi sulle premesse che l'azione
sociale e l'uso linguistico sono incorporati in un contesto di situazione, il quale costituisce un’azione
pratica ed è socialmente situato in una forma culturale. La domanda centrale per Duranti e Goodwin
(1992) rimane di comprendere cosa si intende esattamente per contesto socioculturale?

Il contesto sociale è frequentemente usato come sinonimo di contesto extra-linguistico, includendo i


partecipanti, le loro disposizioni psicologiche e fisiche, e la conoscenza specifica o le supposizioni

71
sulle persone esplicitamente o implicitamente coinvolte nello scambio, la conoscenza linguistica, le
routine e le tipologie di attività (Levinson 1979 e Hymes, 1972), le loro intenzioni e obiettivi
comunicativi, e il loro retroterra di conoscenza. L'uso sinonimico di “contesto extra-linguistico” e di
“contesto sociale” rappresenta nei lavori di Duranti e Goodwin (1992) una forma di
ipersemplificazione della ricerca in ambito della sociolinguistica, antropologia e studi culturali. Il
contesto sociale, con tutte le sue parti costitutive, può essere concepito come un contesto non
pregnante o come difettivo e allo stesso tempo il contesto socioculturale può essere concepito come
un tipo di contesto pregnante dove delle varianti come il tempo, il luogo o l'attitudine vengono
interpretate in un determinato modo. In altre parole, la cultura ci fornisce, tramite un meccanismo di
filtro, una modalità per interpretare il contesto sociale in accordo con le particolari costrizioni e
requisiti di un dato contesto socioculturale (Duranti e Goodwin, 1992).

2.4.2 L'appropriatezza nel contesto

Il concetto di “appropriatezza” viene discusso da Duranti (2003) che collega questo tema
con la nozione di contesto culturale e soprattutto pone in rilievo la necessità di trovare delle
premesse fondamentali per un terreno comune culturale dove produrre ed interpretare le azioni
sociali all'interno di un dato evento linguistico. Ripartendo dai lavori di Grice (1975) il concetto di
appropriatezza viene adoperato per integrare e ridefinire la nozione di dipendenza dal contesto in
termini di significato pragmatico, tramite una prospettiva sociale e socioculturale del contesto
presente all'interno dei lavori di Duranti e Goodwin (1992, Duranti 2003). Nella prospettiva di
Duranti (2003) il significato pragmatico non è soltanto calcolato con riferimento agli scopi illocutori
e di forza dell'atto linguistico, ma anche in riferimento al collegamento esistente tra significato
pragmatico, partecipanti, il loro status sociale, le loro relazioni interpersonali e la situazione
comunicativa.

Quindi la nozione di “appropriatezza” non è soltanto concepita alla luce della dipendenza dal
contesto, ma anche dal punto di vista della nozione socioculturale, secondo il paradigma etnografico
di Garfinkel (1967) ma anche quello di Saville-Troike ripreso in questo passaggio:

“la condivisione della conoscenza culturale è essenziale per spiegare i presupposti condivisi e i
giudizi di valori, i quali sono elementi essenziali che circondano le strutture della lingua, così come
l'uso appropriato contestuale e l'interpretazione.” (Saville-Troike 1989:22).

Un altro approccio da considerare utile per analizzare il concetto di appropriatezza è caratterizzato

72
dal lavoro di Habermas (1998) sulla pragmatica della comunicazione, vale a dire la lingua viene
vista come un mezzo particolare per raggiungere una comprensione socioculturale, la quale avviene
nella validità delle proprie affermazioni, tramite la formulazione, la ratificazione, l'accettazione, il
rifiuto o la neutralità dell'affermazione. Secondo Duranti e Goodwin (1992) quando si parla di
contesto, la situazione pragmatica può essere distorta nel campo della formulazione e della ratifica
attraverso un'accettazione o un rifiuto delle proprie affermazioni che si fonda su fattori sociali e
socioculturali come ad esempio: le differenze nazionali, regionali, sociali, varietà linguistiche dei
partecipanti, una distribuzione del potere iniqua, le differenze di burocrazia, di istituzioni oppure su
divergenti concezioni dei ruoli e dei doveri attribuiti agli uomini e alle donne. Quindi, nonostante la
complessità del termine “nazione” in ambito etnografico, le differenze tra italiani e francesi sono da
ricercare nelle differenti costrizioni e requisiti dei vari contesti socioculturali presenti dentro le loro
culture. Il mondo sociale composto dal suo sistema testuale, interpersonale e interazionale è di
immediata importanza nell'indagine sociopragmatica, in quanto emerge che le differenti comunità di
parlanti usano modalità diverse, culturalmente preferite per formulare e interpretare il significato
degli eventi linguistici (Duranti, 2007).

2.5 L'approccio di Goffman per analizzare la situazione sociale

Il sociologo Goffman in un lavoro intitolato The presentation of Self in Everyday Life (1959)
inizia la sua riflessione senza concentrarsi sul contesto, ma piuttosto domandandosi cosa sia una
“situazione sociale” nella vita quotidiana. A questa domanda Goffman risponde definendo una
“situazione sociale” un ambiente capace di permettere il controllo reciproco, all'interno del quale un
soggetto, in un qualsiasi punto si trovi, è accessibile, senza ricorso a strumenti particolari, a tutti gli
altri che sono altresì “presenti” e che sono accessibili a lui. Per le persone che si trovano in quella
situazione è appropriato il termine di “raggruppamento” (Giglioli. P.P. e Fele. G, 2000). In accordo
con Goffman (1967) esistono delle norme culturali che prescrivono come i soggetti debbano
comportarsi per il fatto di far parte di un raggruppamento e che tali norme, quando sono accettate,
organizzano socialmente il comportamento di coloro che sono in quella situazione.

Goffman prende ad esempio, nei suoi primi lavori, la situazione sociale in “presenza” nell'incontro
faccia a faccia (1959, 1967), dove sono presenti come necessità primaria una reciproca disponibilità
e un ravvicinamento fisico. Secondo Goffman, durante l’interazione ci sono delle regole ben precise
che determinano il modo di iniziare e terminare gli incontri, l'ingresso e l'uscita dei partecipanti,

73
cosa si può chiedere e quale comportamento è ritenuto corretto.

Nella prospettiva interazionale di Goffman si richiama l'attenzione sul fatto che l'atto del parlare
deve sempre essere riferito allo stato della conversazione (talk) e che essa implica la presenza di altri
partecipanti. L’unica eccezione alla norma, secondo Goffman (1975) è rappresentata dal fenomeno
del parlare da solo, mentre per il resto la conversazione è organizzata sul piano sociale non solo in
termini di chi parla, a chi e in che lingua, ma come un vero e proprio sistema di azione accettato da
tutti coloro che vi partecipano e retto dalla situazione sociale. Una volta che la conversazione è stata
ratificata è necessario che siano disponibili dei segnali per prendere o rinunciare alla parola e
bisogna evitare le eccessive interruzioni nei riguardi di chi parla o che non gli vengano a mancare
argomenti inoffensivi di conversazione dato che nella concezione di Goffman (1975) solo una
persona alla volta è autorizzata a parlare. Inoltre, se in una situazione sociale vi sono persone che
non sono accettate nell'incontro, bisognerà regolare la disposizione dello spazio e il volume dei
suoni in modo tale da dimostrare rispetto per queste altre persone ugualmente accessibili, senza
mostrare di nutrire diffidenza nei loro confronti. Le analisi di Goffman concepiscono le espressioni
linguistiche non soltanto in relazione alla loro natura linguistica, ma anche per il compito attribuito
alla conversazione dai partecipanti durante la conversazione.

2.6 Dal contesto all'uso del termine “cultura” negli studi di pragmatica linguistica

All'interno degli studi di pragmatica cross-culturali, il termine “cultura” riveste un ruolo molto
importante per il suo valore esplicativo dei fatti linguistici rinvenuti durante un certo evento
linguistico. Tuttavia esistono molteplici modi di affrontare questo campo d'indagine da parte dei vari
esperti in pragmatica cross-culturale. Ad esempio Verschueren (1999), pur adoperando la categoria
analitica della “cultura” nei suoi lavori, ha una posizione molto critica a riguardo del concetto di
“cultura” perché secondo lo studioso belga, attraverso la letteratura di riferimento nel campo della
pragmatica, si potrebbe pensare che le culture veramente “esistano” come vere e proprie persone
fisiche che rischiano di scontrarsi fisicamente le une contro le altre. Secondo Verschueren (1999), i
termini come “schemi culturali”,“aspettative culturali” uniti con il concetto di “stile comunicativo”
come termine esplicativo a valore “passe-partout” dei conflitti comunicazionali mette in rilievo
l'esistenza di una predominanza dell'armonia come modello. Da questa premessa nasce la richiesta
di una chiave interpretativa speciale per la comprensione della disarmonia. La nozione di “cultura”
in questo paradigma scientifico viene ragionevolmente usata per descrivere gli aspetti del

74
comportamento che non possono definirsi come strettamente “naturali”, e in modo provocatorio
Verschueren (1999) sostiene che le culture (al plurale) non esistono come entità fisiche, ma piuttosto
sono dei puri costrutti retorici.

Altro punto criticato dallo studioso Verschueren all’interno della pragmatica è la fede predominante
per la conversazione faccia a faccia introdotta da Goffman (1959) come modello di comparazione
per tutte le forme di comunicazioni umane. Questo modo di ritagliare lo studio della comunicazione
incentrato sulla conversazione come vero “locus” per lo studio del linguaggio in situazioni reali,
spinge ad ignorare le molte altre modalità di conversazione presenti nella vita quotidiana come ad
esempio le chat, le telefonate, le video-conferenze, a causa di una loro rimozione dell'evento
comunicativo da uno spazio e da un posto reale. Tuttavia Verschueren (1999) è in accordo con
Duranti (2007) nel conferire peso alla nozione di intertestualità e di intersoggettività, affermando
che tali fenomeni sono costruiti e negoziati nel discorso stesso e non all'esterno del discorso,
pertanto lasciano delle tracce che possono essere indagate per capire il tipo di cultura presente in
quel determinato evento comunicativo.

2.6.1 Le premesse culturali nella pragmatica di Claire Kramsch

Il concetto di premesse culturali viene messo in evidenza dai lavori di Wierzbicka (1985, 1991)
attraverso la nozione di “cultural script” come fenomeno invisibile agli stessi membri della società e
presente come guida in ogni cultura. Il ruolo del “cultural script”assegnato da Wierzbicka nel suo
lavoro Cross-cultural pragmatics (1991) è di informare le persone sul loro modo di intendere il
mondo, i loro valori e la loro “verità” su come stare al mondo (Duranti, 2007). Secondo Anna
Wierzbicka (1991), le premesse culturali sono recuperate all’interno delle norme pragmatiche dove
si riflettono differenti gerarchie di valori come indicatori delle differenti culture. Anche se i valori
culturali sono generalmente invisibili, le premesse culturali possono essere studiate tramite un
collegamento con la nozione di “ethos” adoperata da Kramsch (1993) e nei lavori di Brown e
Levinson (1987), dove gli atti linguistici sono ricondotti, in chiave interculturale, a svolgere un ruolo
euristico ricco di significato. Si possono così cogliere le premesse culturali di determinati atti
linguistici come ad esempio: la richiesta, la protesta, collegati a valori culturali come la spontaneità,
l’essere diretti, intimi, tolleranti o dogmatici. Ad esempio, nel libro “Context and Culture in
Language Teaching” di Claire Kramsch (1993) viene sostenuto con forza il valore “pragmatico”
della lingua, vale a dire che il senso di ogni azione è attribuito all'interno dell'enunciato attraverso lo

75
scambio e l'interazione verbale tra parlanti e ascoltatori. La prospettiva pragmatica vede nel
linguaggio e nel contesto la chiave di comprensione del significato delle azioni sociali, in quanto il
parlante deve avere le capacità di capire perché viene detto quello che viene detto, e “come” viene
detto, e in quale specifico contesto di situazione viene detto (Gumperz, 1989). Occorre aggiungere a
questi elementi la capacità di collegare le parole, le credenze e gli schemi mentali ad un ampio
contesto culturale come ad esempio: il sistema economico, l'organizzazione sociale, il rapporto nelle
relazioni personali, il concetto di tempo e di spazio. Il significato semantico dell'interazione verbale
va integrato con il significato pragmatico dell'azione linguistica raggiunto in quel dato contesto e e
tale significato pragmatico pone un interrogativo a Kramsch (1993) sul “come” venga realizzato il
significato pragmatico durante l'interazione verbale? A tale interrogativo, Kramsch (1993) risponde
che il significato viene creato non soltanto attraverso quello che i parlanti si dicono reciprocamente,
ma attraverso quello che 'fanno' con le parole e con la finalità di rispondere alle aspettative del loro
ambiente.

In accordo con le tesi di Kramsch (1993) le nostre aspettative vengono codificate tramite la nostra
socializzazione ed acculturazione all'interno di una data società: durante la nostra infanzia
impariamo a compiere alcuni atti linguistici in modo culturalmente appropriato, come dire “prego”
dopo un “grazie” oppure dire “ciao” quando salutiamo un amico. Kramsch per dare peso alla sua
tesi fa l'esempio di come le persone abbiano imparato a parlare in modo diverso con persone con
posizioni sociali diverse siano capaci di distinguere un insulto da un complimento. Queste
esperienze filtrano la nostra percezione, la nostra capacità d'interpretare il mondo e le persone che ci
circondano: in modo pratico, queste esperienze fanno in modo che ci aspettiamo di essere salutati
quando incontriamo qualcuno che ci conosce, di essere ascoltati quando parliamo, di avere delle
risposte alle nostre domande. Secondo Kramsch (1993) è proprio nella struttura delle aspettative il
luogo dove risiedono molte delle differenze culturali presenti tra i membri di comunità discorsive
differenti: per esempio, un ragazzo francese in molte regioni della Francia può aspettarsi di salutare
e di essere salutato da un suo amico/a con due baci sulle guance, mentre in Italia è sufficiente una
stretta di mano o un semplice saluto verbale. In Italia solo per amici più intimi viene riservato
l'abbraccio caloroso per siglare un rapporto di amicizia più intenso. Partendo dalle esperienze
effettuate nel contesto culturale dell'infanzia, le persone organizzano la loro conoscenza sul mondo
usando queste conoscenze per anticipare le interpretazioni e le relazioni che riguardano ogni nuova
informazione, evento ed esperienza. Questo sistema di aspettative è presente nella mente delle
persone tramite il proprio “cultural script”, come è analizzato nei lavori di Wierzbicka ( 2001).
L'approccio adottato da Kramsch (1993) esamina le parole che vengono scambiate durante

76
un'interazione verbale, collegandole in una miriade di modi con il contesto situazionale e culturale
nel quale si svolge l'incontro.

Se prendiamo il seguente esempio il caso di un parlante A che si rivolge a B:

' Ho bisogno di andare di là. Potresti aprire la porta?'

Dietro il significato semantico dell'enunciato, l'ascoltatore B deve comprendere come queste parole
sono collegate al contesto pragmatico della situazione. Le parole come 'ho, 'la', 'la porta', gli
elementi paraverbali come l'accento, l'intonazione, il tono di voce, la velocità e le risate, così come
gli elementi non verbali ( direzione degli occhi, gesti del corpo, etc.) sono tutti elementi che aiutano
i parlanti ad interpretare correttamente quello che viene detto.

Questi elementi, messi in rilievo da Gumperz (1989), sono denominati come indici contestuali e
permettono di aiutare l'ascoltatore nel compiere delle inferenze sulla data situazione, evocando il
retroterra culturale e le aspettative sociali necessarie per interpretare il discorso. Quando si
incontrano parlanti provenienti da diverse comunità linguistiche, i vari indici di contestualizzazione
possono condurre a differenti inferenze e possono creare dei malintesi, i quali vengono attribuiti
spesso alle caratteristiche ed attitudini della persona e non al gruppo linguistico di appartenenza. Ad
esempio, il tono di voce viene interpretato come un indicatore legato direttamente all'attitudine del
parlante, e quindi un elemento per capire il comportamento di tale persona. Gumperz (1989) ha
messo in rilievo come lo studio di questi indici di contestualizzazione permetta anche lo studio di
come si costruisce il proprio ruolo culturalmente all'interno dell'interazione verbale e di come questi
indici di contestualizzazione possano causare forme di malintesi. Questi malintesi sono stati
analizzati da Grice (1975), il quale sostiene che questo fenomeno prende origine dal fatto che non
tutti i parlanti partono dal presupposto che l'interazione verbale debba essere conforme al principio
di cooperazione. Nella concezione classica della pragmatica, concepita da studiosi di filosofia del
linguaggio (Austin,1962, Grice, 1975), i parlanti si aspettano che quello che dirà l'interlocutore sarà
rilevante per il tema della discussione e che il messaggio sarà chiaro, comprensibile, veritiero e
credibile da parte del parlante. Proprio queste aspettative sono le Massime Conversazionali su cui si
basa il Principio di Cooperazione e la cui violazione può portare ad un fallimento dello scambio
comunicativo, oppure, se si tratta di violazione intenzionale, alla realizzazione di “figure del
discorso” (l’ambiguità, l’ironia, etc.). La frustrazione da parte dell'ascoltatore si manifesta quando si
accorge che l'interlocutore sta cercando di dare delle informazioni non necessarie, irrilevanti o non

77
pertinenti, in altre parole si sta allontanando dal tema principale. Dal punto di vista del Principio di
Cooperazione, le differenze di parlanti appartenenti a comunità linguistiche non sono prese in conto,
mentre nell'approccio di Kramsch e in questo lavoro si sostiene che parlanti di diverse comunità
linguistiche60 possono avere una diversa interpretazione di quello che viene percepito come vero,
rilevante, breve, lungo o chiaro in una conversazione.

La stessa attività linguistica potrebbe avere un valore sociale diverso, così come i suoi partecipanti
potrebbero avere un ruolo sociale diverso nelle diverse comunità di parlanti.

Oltre al ruolo istituzionale che i parlanti posseggono in relazione alla loro occupazione o status, ci
sono altri indizi sul ruolo sociale o sulla persona: ad esempio, l'uso di un registro formale o
informale, il tono di voce (serio, giocoso, sarcastico), la frequenza delle interruzioni, il modo nel
quale si prende la parola, i segnali di feedback offerti nell'interazione, le scelte lessicali e
grammaticali, l'uso del silenzio. Tutti questi elementi citati da Kramsch (1993) sono utili per capire
quale tipo di persona si vuole apparire e quale genere di relazione si vuole assegnare al nostro
interlocutore. Quando parliamo con un interlocutore possiamo instaurare diverse forme di rapporti
che possono essere di tipo confidenziale o silenzioso, interessato o disinteressato, di vicinanza o di
distanza, di collaborazione o sfuggente oppure ancora un rapporto amichevole, competitivo,
superiore o materno.

Se prendiamo come esempio il ruolo di chi parla “al posto dell'altro” citato nei lavori di Duranti sul
concetto di “persona” (Duranti, 2007), tale ruolo potrebbe essere percepito come un segnale di non
solidarietà, un gesto di potere e di autorità, come quando una madre parla al posto del figlio, un
marito al posto della moglie, un professore al posto di uno studente. La stessa situazione si ritrova
quando un preside di scuola parla in virtù del potere sociale assegnato alla sua istituzione, quando un
autore parla in nome dei suoi tanti lettori assumendosi la propria responsabilità oppure quando un
amico parla al posto nostro per dimostrare il suo sostegno. Per Duranti (2007) e Kramsch (1993) è
nella realizzazione di questi ruoli che la cultura si evidenzia come fortemente legata alla lingua nel
suo contesto. Ad esempio, i genitori parlano al posto dei bambini, i professori “animano” gli
enunciati pronunciati dagli studenti. Il ruolo maschile o femminile non è legato soltanto ad un
fenomeno, quanto piuttosto alla realizzazione sociale di ruoli partecipativi diversi nella
conversazione.

Questi ruoli sono realizzati tramite piccoli indizi (Gumperz, 1989) e dichiarano all'interlocutore la
fiducia in se stesso o l'incertezza, il potere o la sottomissione nell'adesione ad un dato ruolo sociale

60
Per una discussione più dettagliata sul tema della comunità linguistica si veda il lavoro di Berruto in Fondamenti di
sociolinguistica (2003), La terza Editori, Roma-Bari

78
da parte del parlante. Questi ruoli sono attribuibili secondo la prospettiva dell'analisi
conversazionale ( Sacks , Jefferson Schegloff, 1974) in funzione del contesto e cotesto per Duranti e
Goodwin (1992). Per esempio, nei lavori condotti da Gumperz (1989) si giunge alla conclusione che
l'intonazione di tipo interrogativo della donna veniva percepita come segno di mancanza di fiducia
personale mentre le interruzioni dell'uomo venivano viste come segno della sicurezza maschile; allo
stesso modo, alcuni contributi all'analisi della conversazione ( Atkinson, Heritage, 1984)
interpretano la scelta del parlante di cambiare tema di conversazione e di seguire la propria agenda
come indicatori di potere.

L'uso della lingua non soltanto rappresenta un atto culturale in quanto riflette il modo nel
quale gli individui di una comunità realizzano diversamente nelle varie culture atti linguistici come
quelli di ringraziare, salutare, complimentarsi, ma rendono la lingua stessa un atto culturale perché i
parlanti costruiscono il loro ruolo sociale nella comunità discorsiva tramite l'utilizzo di variegati
reportori linguistici come indici della propria identità personale (Duranti, 1992). Kramsch (1993)
in“ Context and Culture in Language Teaching “ afferma che la cultura viene attivamente costruita
attraverso la lingua impiegata durante le interazioni sociali con i vari interlocutori. Il contesto
situazionale e culturale è costitutivo delle azioni linguistiche svolte in esso. Gli interagenti riescono
a capirsi o meno, quando parlano, se hanno una struttura di aspettative in comune con altri membri
di un gruppo sociale con il quale condividono la stessa storia sociale e un ampio contesto culturale. I
parlanti basandosi su queste aspettative si posizionano nei confronti del contesto situazionale di un
dato scambio verbale tramite l'uso degli indici di contestualizzazione. Questi indici sono la prova
delle varie inferenze svolte dal parlante in quella situazione basandosi sulla cornice condivisa dal
suo gruppo culturale e applicandola alla data situazione locale dell'interazione verbale. Sono proprio
questi indici che conferiscono una coerenza pragmatica al testo conversazionale tra gli interlocutori.

2.6.2 Il parlato conversazionale come matrice culturale della lingua.

Nei lavori di Kramsch (1993) vengono elencate alcune particolarità riscontrate nel parlato
conversazionale come elementi che trovano applicazione nella matrice culturale della lingua. Per
Kramsch, la lingua permette di verificare come la struttura sociale di una comunità discorsiva venga
riflessa, costruita e mantenuta tramite il modo di parlare dei suoi membri, di definire se stessi vis-à-
vis degli altri, di salvare reciprocamente la loro faccia sociale e di percepire la lingua per cogliere lo

79
stile appropriato presente nelle convenzioni del proprio gruppo di appartenenza. Le caratteristiche
messe in luce dal lavoro di Kramsch (1993) a proposito delle caratteristiche del parlato
conversazionale sono così elencate:

1. Il parlato è “transitivo” e non è permanente. I parlanti non possono parlare tutti insieme se
vogliono sentire quello che l'altro dice e per questo motivo il parlato viene svolto tramite dei turni di
parola.

2. Il parlato è “additivo” per via della natura dialogica dell'interazione orale e si riprendono spesso
degli elementi provenienti dal precedente turno di parola ( e...e....e dopo.... e allora....) dimostrando
in tal modo la costruzione cooperativa della conversazione.

3. Il parlato è “aggregativo” con le sue formule verbali e lessicali, i suoi gruppi di parole adoperati
anche nella funzione di mantenimento del contatto con gli altri parlanti, definita anche come
funzione fatica.

4. Il parlato è “ridondante” e copioso perché i parlanti non sono mai sicuri se l'altro ascoltatore sta
ascoltando effettivamente, pone attenzione, capisce e ricorda quello che stiamo dicendo. Per tutte
queste ragioni, il parlato fa uso della ripetizione, della parafrasi e della rielaborazione.

5. Il parlato è grammaticalmente scarsamente strutturato ed è invece ricco lessicalmente con la


conseguenza che il parlante deve essere costantemente attento alla situazione per quanto viene detto
e sul “come” viene detto. Per questo motivo, il parlato è caratterizzato da false partenze, pause
segnate o non segnate, esitazioni e frasi non completate.

6. Il parlato tende ad essere “centrato sulla persona” ed è la presenza di un interlocutore che spinge il
parlante a cercare di coinvolgere il suo ascoltatore tentando di sollecitare i suoi sensi e le sue
emozioni.

7. Il parlato, essendo collegato alla situazione, è dipendente del contesto. Dato il carattere dialogico
degli scambi orali, il parlato costruisce congiuntamente la verità o la fiducia durante l'interazione
basandosi sul comune senso dell'esperienza.

80
2.6.3 Stile conversazionale: l'intonazione e la pronuncia come indicatori culturali

Kramsch (1993) trattando lo stile conversazionale si rifà ai lavori sull'interazione faccia a


faccia di Goffman (1967) dai quali emerge la possibilità per i parlanti di indicare il proprio ruolo,
non soltanto a traverso i termini di allocuzione, i pronomi personali e\o dai nomi, ma tramite il
cambio di intonazione e di pronuncia. Questi elementi sono chiamati da Goffman “footing” (1967)
in quanto permettono una diversa gestione della produzione e della ricezione degli enunciati.
Goffman (1967) aveva osservato che tale cambiamento di identità sociale viene espresso tramite un
cambio di registro linguistico, di tono di voce o di posizionamento del corpo.

Nei lavori di Goffman viene evidenziato come il cambiamento di registro e di pronome personale
agentivizza61 in maniera diversa il ruolo sociale che stiamo adoperando nel contesto situazionale.
Con un cambiamento di posizionamento culturale secondo Kramsch (1993), si può passare dal
proprio ruolo istituzionale, a quello individuale, a quello di adulto: ad esempio il passaggio dal
registro linguistico amichevole a quello formale durante una riunione è un esempio di
posizionamento culturale. Questi cambiamenti di posizionamento corrispondono ad un cambiamento
nel modo di percepire la cornice dell'evento e la condivisione di una stessa cornice di interpretazione
fa capire il senso della situazione alle persone che condividono la stessa cultura. Kramsch (1993:47)
sostiene che spesso quello che fa la differenza tra persone provenienti da diverse culture sono i modi
diversi di usare lo stile discorsivo nei vari generi di comunicazione per svariate ragioni sociali.

Nello scambio conversazionale di tipo “faccia a faccia” studiato da Goffman (1967), il parlato può
trasmettere all'interlocutore varie sensazioni che possono essere di coinvolgimento interpersonale, di
distacco e\o di obiettività. I diversi contesti situazionali e i diversi contesti culturali inducono alla
scelta di differenti stili conversazionali e fanno nascere alcune domande a Kramsch, domande che
qui abbiamo scelto di riportare fedelmente poiché centrali nel mio campo d'interesse scientifico:

qual è il legame tra la lingua e la sua comunità discorsiva ? Quale è il legame tra la lingua con la
nozione di persona incorporata in quella lingua-cultura?

In sintonia con Kramsch, in questa ricerca viene accettata l'esistenza di un legame naturale tra la
lingua parlata dai membri di un gruppo sociale e l'identità di quel gruppo: avendo un tale accento,
usando quel vocabolario, quella particolare struttura discorsiva, i parlanti identificano se stessi e
vengono identificati come membri di quella comunità discorsiva. Nel lavoro di Kramsch (1993) si
definisce l'identità sociale e culturale di una persona come un prodotto che viene culturalmente

61
Il termine agentività sarà trattato dal lavoro di Duranti “Etnopragmatica. La forza nel parlare, Carocci, 2007

81
determinato e condizionato da questioni legate alla focalizzazione e propagazione di concetti etnici,
razziali, nazionali o di stereotipi.

In sintonia con le affermazioni di Kramsch (1993) si sostiene che le pratiche discorsive dei parlanti
di gruppi culturali diversi riflettano le modalità di istituzionalizzare le relazioni interpersonali, le
quali vengono definite all’interno della famiglia, della scuola, del lavoro, nelle associazioni di
categoria, nel mondo spirituale, nel mondo della chiesa. Tutte queste istituzioni sono cariche di
potere gerarchico, di aspettative sui vari ruoli e gli statuti, di valori e di credenze caratteristiche,
delle attitudini ed ideologie particolari ad ogni individuo. Dalla prospettiva adottata da Kramsch
emerge una domanda legata alla necessità di capire a quale comunità vogliamo aderire soprattutto
nella società odierna dove i confini tra i gruppi sociali non definiscono l'identità linguistica e
culturale dei parlanti.

2.6.4 Il termine “ethos” nella prospettiva di Kramsch

Il termine “ethos” ripreso da Kramsch (1993 si rifà alla Retorica di Aristotele, e


precisamente alla famosa triade logos/ethos/pathos, la quale rappresenta le qualità morali che
l'oratore deve “esibire” nel suo discorso, in altri termini bisogna mostrare in maniera implicita
piuttosto che “dire” di essere moderato, onesto e ben intenzionato, affinché l'impresa oratoria possa
ottenere i suoi effetti (Barthes, 1972).

Nella letteratura pragmatica ed interazionalista di oggi possiamo ritrovare due continuazioni di


questa nozione: - nella psicologia sociale ed in Goffman (1957, 1969), anche se il termine “ethos”
non compare, la nozione equivalente è presente sotto altre formulazioni, come per esempio
“presentazione di sé” (demeanor) o “gestione dell'identità” ( identity management);

Nella pragmatica contrastiva, la parola “ethos” viene adoperata con un senso abbastanza distante dal
suo significato originario. Brown e Levinson (1978:248) ne parlano in questo modo nel libro
dedicato alla cortesia linguistica:

“Ethos”, in our sense, is a label for the quality of interaction characterizing groups, or social
categories of persons, in a particular society [ ....] In some societies ethos is generally warm, easy-
going, friendly; in others it is stiff, formal, deferential; in others it is characterized by displays of
self-importance, bragging and showing off [ ....] ; in still others it is distant, hostile, suspicious”.

82
Questa concezione dell’ethos ha qualche punto di convergenza con la nozione aristotelica dell'ethos
secondo la quale alcune qualità astratte si ritrovano nei soggetti sociali e si manifestano tramite dei
comportamenti discorsivi, ad esempio i parlanti hanno interiorizzato alcuni “valori” che fuoriescono
durante l'interazione. Alcune caratteristiche si ritrovano quasi identiche, come per esempio la
“benevolenza” che diventerà in seguito “face-work” nei lavori di Goffman (1969), la franchezza, o
la modestia. Inoltre riappare la vecchia domanda di sapere se le virtù dimostrate intese come “abilità
oratorie”devono o meno coincidere con le “ abilità reali”del soggetto. A tal proposito possiamo
prendere un esempio riguardante la qualità dell'umiltà, secondo quanto Chen (1993: 67-68) afferma
a proposito dei parlanti cinesi:

“ we may be able to categorize cultures according to how they view humbleness and modesty”, ed
aggiunge parlando dei cinesi, i quali sembrano avere la fama di essere particolarmente umili: “ nor
does it mean that Chinese do not think positively of themselves. All they need to do is to appear
humble, not necessary to think humbly of themselves”.

Nello stesso tempo, alcune differenze emergono tra la concezione retorica e quella pragmatica
dell'ethos; la principale differenza risiede nel fatto che la retorica aristotelica applica il concetto di
ethos all'individuo, mentre la pragmatica cross-culturale applica questa nozione a comunità di
persone ( Brown e Levinson, 1987). Tale differenza di applicazione trova una sua spiegazione se si
pensa che l'ethos individuale sia ancora nell'ambito di un ethos collettivo: l'oratore/parlante deve
trarre da un insieme di valori condivisi il suo “ethos” affinché la comunicazione funzioni, mentre
l'ethos collettivo non può essere motivo di analisi che tramite il comportamento individuale, sono
infatti gli individui tramite i loro comportamenti a confermare e consolidare i valori di un gruppo,
dimostrando allo stesso tempo di aderire a questi valori collettivi. In altre parole, nella visione
dell'ethos presente in Kramsch, il parlante è preoccupato di presentarsi nel miglior modo possibile,
conformandosi ad alcune norme in vigore nella società di appartenenza perché la non-conformità
può essere intesa come una forma di suicidio sociale (Kramsch, 1993). Tuttavia, lo spostamento
della nozione dall'individuale al collettivo ha causato numerose riflessioni e a sollevato molte
domande all'interno della pragmatica cross-culturale o contrastiva.

83
3. La cortesia linguistica e il suo ruolo nella comprensione sociale
dell'interazione

3.1 Un excursus nella cortesia linguistica

Prima del lavoro di Brown e Levinson (1978, 1987), la cortesia è stata trascurata come
elemento importante per la gestione della conversazione e per le sue importanti ricadute presenti
nella correlazione tra comportamento linguistico e variabili sociali. Nel pensiero di Brown e
Levinson, la comunicazione avviene con l'affermazione di opinioni legate attraverso un gioco di
ruolo che risiede nel concetto di “faccia”, vale a dire di quel ponte tra l'uso della lingua e la
psicologia sociale. In accordo con Goffman (1967), il testo “Politeness. Some universals in
language usage” considera la faccia come l’identità pubblica delle persone sempre in gioco quando
i parlanti si trovano in situazione di relazione con gli altri. Questo punto della teoria di Brown e
Levinson (1978, 1987) rappresenta il motivo principale di difesa della propria faccia unito con l'
interesse dei parlanti di attribuire rispetto alla “faccia” dell'altro interlocutore.

Secondo Goffman (1959, 1967) questo implica un particolare “face-work” da parte del parlante, il
quale adotta sia strategie per evitare di violare il territorio dell’altro sia strategie di
“avvicinamento”, ad esempio con i saluti e i ringraziamenti. Tutto l’ordine sociale nei lavori di
Goffman si fonda sul rispetto di queste leggi implicite che si pongono come meccanismo regolatore
dei rapporti sociali.

La teoria di Brown e Levinson sulla cortesia linguistica si presenta come prosecuzione della visione
di Goffman, nella quale la cortesia è vista come uno strumento linguistico per salvaguardare la
faccia di chi parla e di chi ascolta.

I due studiosi riprendono, dal lavoro di Durkeim “The Elementary Forms of the Religious Life”
(1915), la suddivisione in negative-face e positive-face: la prima nozione indica essenzialmente il
desiderio di avere autonomia di azione mentre la seconda indica il desiderio di mantenere e
rafforzare i rapporti con gli altri.

Inoltre, in accordo con Goffman, Brown e Levinson (1987) sostengono l'idea della “fragilità” della

84
faccia, la quale viene potenzialmente sempre minacciata durante le interazioni 62. Infatti dalla teoria
di Brown e Levinson emerge come ogni atto linguistico possa attaccare la faccia di chi ascolta, e
pertanto la cortesia linguistica si pone come l'unica strategia utile per la sua difesa.

In questo senso, la “cortesia linguistica” può essere considerata come un espediente che va contro le
massime di cooperazione proposte da Grice (1975): ad esempio, la dimostrazione di cortesia da
parte di un parlante si compie esprimendosi in modo implicito, violando perciò la massima di
maniera ovvero “sii chiaro” (Grice, 1975). Al contrario, una persona si può dimostrare
esageratamente esplicita ed attaccare la faccia di chi ascolta rispettando la massima di qualità di
Grice. In relazione al grado di esplicitezza con cui si esprime un enunciato, Blum-Kulka (1987) ha
sottolineato che, spesso, le forme implicite non sono avvertite come le più cortesi perché possono
essere considerate strategie di manipolazione ed intaccare di nuovo la massima di qualità di Grice.

Contemporaneamente molti ricercatori ( Tannen, 1984, Kakava, 1993, Blum-Kulka, 1987) si sono
interrogati sul fatto che non esista una regola generale che permetta di affermare che la “negative-
face” sia maggiormente auspicabile nei confronti della “positive-face” nella produzione di atti
linguistici rivolti alla “faccia”. Una spiegazione a favore della “faccia positiva” viene avanzata da
Holtgraves (2005), il quale sostiene che una strategia orientata verso la tutela della faccia positiva di
chi ascolta può essere considerata cortese, mentre una strategia che attacca la faccia negativa
dell’interlocutore viene classificata come scortese, ossia non in linea con le aspettative di
appropriatezza presente in quella data comunità di parlanti (Lakoff, Sachido, 2002).

Le variazioni nella produzione di un atto linguistico sono in relazione con una serie di fattori nel
lavoro di Brown e Levinson (1987), riconducibili ad alcune ipotesi legate al grado d'imposizione
dell’atto, la distanza nella relazione tra gli interlocutori e il potere tra l’ascoltatore e il parlante.

Dalla prospettiva di Brown e Levinson, viene messo in evidenza che più elevato è il potere di chi
parla su chi ascolta meno cortesi saranno i suoi enunciati in termini di faccia positiva e allo stesso
tempo un maggiore grado d'imposizione è spesso correlato con una minore cortesia in termini di
cortesia negativa. Per quanto riguarda le relazioni tra distanza sociale e cortesia risulta difficile
potere definire tutte le dimensioni che intervengono nella gestione della cortesia, in quanto la
distanza sociale si colloca all'incrocio di fattori di natura culturale, sociali, linguistici e cognitivi.

Holtgraves (2005) ha messo in rilievo come la percezione del parlante all'interno dello scambio
interpersonale possa cambiare durante l'interazione per via delle informazioni emerse sullo status

62
Goffman, a questo proposito, parla di face-work per indicare “undertaking behaviors designed to create, support, or
challenge a particular line”. (1971) ripreso dal lavoro di Holtgraves (2005: 74)

85
dei parlanti tramite l'uso di certe strategie linguistiche riconducibili alle varianti indicate da Brown e
Levinson come il potere, la distanza sociale e il grado di imposizione.

Inoltre, la dimensione culturale, pur non essendo al centro della prospettiva di lavoro di Brown e
Levinson, ricopre la dimensione della variabilità presente nell'attribuzione di potere e di distanza
sociale tra le culture.

3.2 La visione della cortesia in Brown e Levinson

La cortesia linguistica intesa da Brown e Levinson (1978, 1987) riconosce un valore


importante alla sua formulazione teorica come sostenuto ad esempio in questo passaggio del libro
“ Politeness. Some universals in use”:

“..... is at heart of Grice's proposals, namely that there is a working assumption by conversationalists
of the rational and efficient nature of talk. It is against that assumption that polite ways of talking
show up as deviations, requiring rational explanations on the part of the recipient, who finds in
considerations of politeness reasons for the speaker's apparent irrationality or inefficiency”.
(1987:4).

Per Brown e Levinson, una forte motivazione per non parlare in modo diretto, contravvenendo al
rispetto delle massime conversazionali di Grice è da ricercare nel mantenimento della “faccia”
come immagine pubblica di sé ( Goffman, 1967). Brown e Levinson riconoscono che la cortesia
non è l'unica fonte di “deviazione” ai principi di cooperazione introdotti da Grice (1975) ma
possiamo ritrovarli anche nell'umorismo, il sarcasmo e l'ironia (Brown e Levinson, 1987).

Brown e Levinson sostengono che la cortesia linguistica dovrebbe essere comunicata e che la sua
non comunicazione costituisce un messaggio che comporta un’implicatura conversazionale secondo
la teoria griceana (1975). Nel modello di Brown e Levinson, la presenza o mancanza di cortesia si
spiega alla luce della cornice ideata da Goffman (1967), ripresa da Brown e Levinson (1987), sul
concetto di “faccia” inteso come un costrutto universale elaborato culturalmente per “la propria
immagine pubblica, che ogni membro di una società vuole affermare per se stesso” (1987:61).
Brown e Levinson (1987) caratterizzano la “faccia” come qualcosa che si può perdere, mantenere,
o rinforzare durante l'interazione e dato il carattere di vulnerabilità sempre presente della faccia, i
parlanti saranno impegnati a difendere la loro faccia se dovesse essere minacciata. Dato il
pessimismo secondo Kebrat-Orecchioni (1992, 1996) dello scambio conversazionale nell'approccio

86
di Brown e Levinson, il presupposto è che sia generalmente meglio per l'interesse di tutti di
conservare la faccia dell'altro e di agire in modo tale che gli altri siano coscienti di questo elemento.

L'idea di fondo che governa la teoria della cortesia di Brown e Levinson è vedere che alcuni atti
sono di per sé minacciosi per la faccia (es: il disaccordo e la protesta) e pertanto necessitano di
essere mitigati. (1987:24). Tuttavia, saranno i lavori di Wierzbicka (1991) ha mettere in luce come
ogni gruppo linguistico sviluppi dei principi di cortesia dai quali derivano alcune strategie
linguistiche che si rifanno alle norme comunicative presenti in un dato gruppo sociale (Wierzbicka,
1991).
Per Brown e Levinson (1987) è attraverso la conoscenza di queste strategie di cortesia di natura
universale che il parlante ha successo nel comunicare il suo messaggio principale dimostrando in
questo modo la sua intenzione di essere cortese e allo stesso tempo di non voler perdere la faccia.
In Brown e Levinson vengono presentati degli atti che sono intrinsecamente minacciosi per la faccia
del parlante, dell'ascoltatore o per entrambi: ad esempio, il disaccordo viene definito come un atto
minaccioso per la faccia positiva dell'ascoltatore insieme ad altri atti linguistici come lamentarsi,
criticare o parlare di argomenti tabù. Quando si è costretti a produrre questi atti di minaccia per la
faccia degli interagenti, il lavoro di “face-work” deve concentrarsi sulla riduzione della minaccia
come affermano Brown e Levinson:

“we have claimed that a face-bearing rational agent will tend to utilize the FTA-Minimizing
strategies according to a rational assessment of the face risk to participants. He would behave thus
by virtue of practical reasoning, the inference of the best means to satisfy stated ends” (1987:91).

Per Brown e Levinson compiere un atto in modo diretto, senza compiere atti di mitigazione, è il
modo più chiaro e inequivocabile per compiere un atto di minaccia alla faccia. Invece, in questo
modello teorico della cortesia, le strategie di riparazioni possono coinvolgere la cortesia positiva
(mostrando solidarietà ) oppure la cortesia negativa ( mostrando distanza).
Così come aveva affermato Leech (1983) nel suo modello di cortesia, Brown e Levinson riprendono
l'idea di varianti che potrebbero colpire un parlante tramite un FTA ( atto di minaccia per la faccia).
Queste varianti sono indipendenti e sensibili al contesto culturale e giocano un ruolo importante nel
modello di Brown e Levinson:

1. la distanza sociale (D) tra il parlante e l'ascoltatore: in pratica, si tratta di capire il grado di
famigliarità e di solidarietà condivisa.

87
2. Potere relativo (P) del parlante nei confronti dell'ascoltatore: di fatto stiamo parlando del grado
d'imposizione del parlante sull'ascoltatore.
3. Grado d'imposizione ( R) in quella cultura, in termini sia di richiesta di bene e di servizi da parte
dell'ascoltatore: in altre parole, il diritto di realizzare alcuni atti e il grado di imposizione che
l'ascoltatore può accettare.

Il modello teorico pensato da Brown e Levinson (1987) riconduce “il peso” (indicato come W nella
formula) dei nostri atti in termini di “faccia” positiva o negativa durante la realizzazione di un FTA
attraverso una formula, in cui S indica il parlante, H indica l'ascoltatore e R indica il grado
d'imposizione da calcolare in questo modo:

Wx = D (S, H) + P ( H,S) + R x

In Brown e Levinson (1987) sarà il valore di Wx ha determinare il grado di cortesia necessario per
salvare la propria faccia e queste varianti non devono essere viste come delle costanti tra gli
individui. Durante l'interazione, i partecipanti vacillano nella loro distanza sociale quando si
trovano ad esempio in situazione di lavoro, oppure in una situazione di nervosismo e allo stesso
modo il potere relativo cambia quando i ruoli e le responsabilità cambiano. Quindi la scelta di una
data forma linguistica va vista come una realizzazione specifica di una strategia di cortesia alla luce
della valutazione del contesto della frase. Questo modello esplicativo di Brown e Levinson può
essere riassunto in questi passaggi (1987:90-91):

− anche se il parlante intende compiere un FTA ( atto minaccioso per la faccia) con la massima
efficienza, il parlante deve determinare se si augura di raggiungere il bisogno di faccia
dell'ascoltatore tramite la cooperazione dell'ascoltatore oppure con la conservazione della sua
faccia.
− Il parlante dovrebbe determinare la minaccia alla faccia di un dato FTA e determinare fino a
quale estensione minimizzare la perdita di faccia dovute all'atto di minaccia, considerando i
fattori come il bisogno di chiarezza e quello di non sopravvalutare il grado potenziale di perdita
della propria faccia.
− Il parlante deve scegliere una strategia che provveda al grado di “salvare la faccia” con quello
menzionato sopra (2). La presa in considerazione della cooperazione dell'ascoltatore determina
la strategia scelta per realizzare le aspettative richieste per quell'atto da parte dell'ascoltatore.
− Il parlante deve allora scegliere un significato linguistico che lo soddisfi per la conclusione di

88
quella strategia. Ogni strategia abbraccia un'ampia gradualità di cortesia dove al parlante sarà
richiesto di considerare la specifica forma linguistica usata per coglierne gli effetti quando viene
usata insieme ad altri elementi linguistici.

Un elemento importante è capire che la scelta di una forma linguistica è determinata dalla
responsabilità da parte del parlante verso il suo interlocutore durante l'interazione. Nell'ambito
degli studi di pragmatica contrastiva appare necessario integrare la formula pensata da Brown e
Levinson per definire il come si conferisce “faccia” all'interno di varie culture.

3.3 Rivisitazione della cortesia linguistica da parte di Kebrat-Orecchioni

Kebrat-Orecchioni (1992, 1996) rappresenta l'autrice che ha maggiormente affrontato in


maniera sistematica la cortesia linguistica nel contesto accademico francese. Il modello di Kebrat-
Orecchioni, costruito in gran parte riprendendo i lavori di Leech (1983) e sopratutto quelli di Brown
e Levinson (1987), tenta di rivisitare questi modelli e di stabilire un modello di cortesia sistematico
e globale, introducendo la nozione di FFA (' Face Flattering Act') e allo stesso momento tenta di
ridefinire la nozione di cortesia negativa e positiva con la considerazione dei principi “orientati
verso A” ( A inteso come allocuto) e “orientati verso L” (L inteso come locutore). Per Kebrat-
Orecchioni (1992, 1996), la teoria di Brown e Levinson (1987) affronta la cortesia da un punto di
vista “pessimista” dell'interazione a tal punto da giungere nel considerare tutti gli atti linguistici
come dei potenziali FTA. Secondo Kebrat-Orecchioni ( 1992), in questa teoria, vengono presi in
considerazione soltanto degli atti linguistici che sono potenzialmente minacciosi per le facce
negative e positive degli interagenti. Nella prospettiva di Kebrat-Orecchioni (1992) esistono degli
atti linguistici che possono essere identificati come cortesia attiva, ad esempio i complimenti, i
ringraziamenti e gli auguri che sono fondamentalmente diversi dagli atti come la richiesta o la
critica. Questi atti linguistici, denominati “ face flattering act o FFA” o (anti-FTA), valorizzano la
faccia degli interlocutori sia nella loro produzione così come nel loro ricevimento. Nella prospettiva
adottata da Kebrat-Orecchioni (1992, 1996) gli atti linguistici vengono suddivisi in due categorie di
cortesia, vale a dire gli FTA e gli FFA in modo da osservare in maniera più completa il fenomeno
della cortesia linguistica. Secondo la studiosa francese, l'utilizzo di queste due categorie permette di
chiarire le nozioni di cortesia negativa e cortesia positiva introdotte da Brown e Levinson (1987).

89
3.3.1 La nozione di cortesia negativa e positiva in Kebrat-Orecchioni

Secondo Kebrat-Orecchioni (1995) un elemento concettuale che crea confusione nel lavoro
di Brown e Levinson riguarda la distinzione netta tra cortesia negativa e cortesia positiva. Nel
lavoro di Brown e Levinson (1987), la cortesia negativa viene rivolta alla faccia negativa intesa
come bisogno di autonomia della persona, mentre la cortesia positiva è intesa come la
valorizzazione della persona in termini di faccia positiva, considerando soltanto la faccia in
funzione di un FTA. Questa distinzione, secondo Kebrat-Orecchioni (1995), può essere percepita
come ambigua perché ci sono dei FTA che possono essere minacciosi sia per la faccia positiva che
negativa. Secondo Kebrat-Orecchioni (1995), questa confusione è da attribuire all'assenza nel
modello teorico di Brown e Levinson (1987) della categoria di atti linguistici intesi come gli FFA
( atti di valorizzazione della faccia). Questa nozione di FFA, nell'analisi della cortesia, permette di
cogliere meglio il fenomeno della cortesia e di stabilire un modello teorico produttivo ed efficace.
Nello stesso tempo, l'introduzione del FFA permette di distinguere la cortesia negativa da quella
positiva:

“ la politesse négative est de nature abstentionniste ou compensatoire: elle consiste à éviter de


produire un FTA, où à en adoucir par quelque procédé la réalisation – que ce FTA concerne la face
négative ( ex: ordre) ou la face positive ( ex: critique) du destinataire”. (1995 : 4)

Nel modello di Kebrat-Orecchioni (1992, 1995), la concezione della cortesia negativa coinvolge sia
la cortesia positiva che negativa, intesa come in Brown e Levinson, ma la rivisitazione di Kebrat-
Orecchioni (1992) consiste nella percezione del FTA e del FFA come due famiglie diverse di atti
linguistici tramite l'introduzione dei principi “orientati verso A (allocuto)” e “orientati verso
L( locutore-parlante)”. Nel testo “Interactions verbales ” tomo secondo di Kebrat-Orecchioni
(1992) viene proposto un sistema di cortesia che si fonda su due categorie essenziali: i principi
“orientati verso A (allocuto)” e “orientati verso L (locutore)”, dove il primo principio di cortesia si
rivolge all'allocutore e il secondo principio si rivolge al locutore (parlante), in modo tale da
preservare le loro facce.
Questi principi vengono definiti in questa maniera nel libro di Kebrat-Orecchioni (1992:185):

“les principes A-orientés représentent la politesse au sens strict: avec ses deux versants, négatif et
positif, elle consiste à ménager ou valoriser les faces d'autrui.”

90
“Quant aux principes L-orientés, leur rôle est secondaire, mais néanmoins nécessaire si l'on veut
rendre compte dans sa globalité du fonctionnement de la politesse”.

I principi che sono rivolti all'allocutore hanno come scopo di essere favorevoli all'interlocutore
risparmiando o valorizzando la sua faccia, e si suddividono in due tipologie di cortesia: la cortesia
negativa e quella positiva. Al contrario, i principi rivolti al parlante (L) permettono di essere
sfavorevoli all'allocutore, svalorizzando la sua faccia a beneficio dell'allocuto. Tuttavia, questo
modello di cortesia rivisitato da Kebrat-Orecchioni deve essere adattato ai valori socioculturali
soggiacenti in una data società, i quali possono essere fondati su di un “ethos” della deferenza, della
reverenza, della modestia, della considerazione, dell’egualitarismo (Wierzbicka, 1985, 1991, 1999).

3.3.2 Cortesia e s-cortesia in Kebrat-Orecchioni

Kebrat-Orecchioni (1995), in una successiva elaborazione del suo lavoro sulla cortesia,
stabilisce un modello che tenga conto sistematicamente di un altro versante non preso in
considerazione inizialmente nella teoria della cortesia linguistica, ossia la scortesia.
Secondo Kebrat-Orecchioni (1995:77) i fenomeni dell'interazione legati alla scortesia possono
compiersi in modo positivo o negativo e vengono offerte alcune descrizioni delle caratteristiche
fondamentali:

“ impolitesse positive: elle consiste à accomplir un FTA non adouci, ou même ‘durci ' ”.
“impolitesse négative: elle consiste à s'abstenir de produire un acte rituel attendu ( salutation,
excuse, remerciement, compliment, etc.). »

Quindi la realizzazione della scortesia positiva e negativa implica una strategia di tipo “on record”
producendo degli FTA senza nessun tipo di azione di riparazione come previsto da Brown e
Levinson ( 1987:72). La scortesia negativa consiste nell'astenersi nella produzione della cortesia
positiva aspettata mentre la scortesia negativa si produce quando non si compie la cortesia negativa
(Kebrat-Orecchioni, 2001).
Questo modello di analisi della cortesia linguistica è stato adoperato da Kebrat-Orecchioni (2001),
nell'ambito di una ricerca sull'uso della cortesia all'interno dei piccoli negozi in Francia, per
descrivere in modo comprensibile i fenomeni della cortesia linguistica rinvenuti in quel dato
contesto commerciale.
Dai dati raccolti, all'interno della panetteria, vengono fuori alcune conclusioni secondo le analisi di

91
Kebrat-Orecchioni:

(A) La cortesia, in Francia, si rivela essere molto pervasiva all'interno dei vari incontri sociali e non
certamente un fenomeno periferico o marginale: più della metà della produzione linguistica dentro
il corpus della panetteria è il risultato di funzioni rituali piuttosto che di tipo transazionale.
(B) La strategia principale della cortesia alla “francese” è un “merçi” associato con espressioni di
cortesia positiva; l'uso del condizionale (je voudrais) accompagnato da elementi di cortesia
negativa; oppure l'uso di minimizzatori che ritroviamo all'interno di tutta la transazione, con parole
come “petit”, “un peu”, “juste”.

Le forme allocutive prodotte con l'uso dei titoli e/o onorifici sono raramente adoperati nelle
situazioni comunicative della Francia odierna, ma dietro il loro uso tradizionale di identificazione e
di riconoscimento, possono nascondere o fare emergere una “tensione” in aumento tra i due
parlanti, raggiungendo i toni della polemica. Per Kebrat-Orecchioni (2001) sarebbe errato valutare
sistematicamente come non cortese nel contesto francese una mancanza di forme di allocuzione
oppure un mancato “grazie” all'interno di una interazione.

3.3.3 Individuazione di un ethos francese nell'analisi di Kebrat-Orecchioni

L'analisi dei dati raccolti da Kebrat-Orecchioni (2001) sulla cortesia in Francia vuole
arrivare ad individuare un“ethos” (Barthes, 1972, Bateson, 1972, Brown e Levinson (1987),
Kramsch (1993)) come principio soggiacente all'interno di una data comunità di parlanti
( Gumperz,1982).
La prima difficoltà da affrontare per Kebrat-Orecchioni (2001) è di capire se la Francia si
colloca tra i paesi con un uso prevalente della cortesia negativa con una preferenza per l'autonomia
del parlante( tipica delle nazioni del nord Europa) oppure tra i paesi con cortesia positiva con una
prevalenza per il coinvolgimento del parlante ( tipica dei paesi del sud europeo). Kebrat-Orecchioni
(2001) sostiene che in Francia la cortesia negativa è ben rappresentata dalla produzione di “ scuse”
sistematicamente impiegate per 'riparare' l'incursione fatta nel territorio dell'interlocutore, per
scusare un contatto fisico 'fuori luogo', un ritardo oppure un fastidio; inoltre, le domande vengono
regolarmente mitigate con formulazioni indirette, giustificate e con altre forme di distanziamento.
Tuttavia, per l'autrice francese, nell'ambito della cortesia linguistica tutto è questione di relatività
dato che le richieste fatte in francese sembreranno spesso troppo dirette ( Wierzibicka, 2001) per

92
l'orecchio inglese e la nozione di puntualità è differente da quella tedesca. Inoltre Kebrat-Orecchioni
(2001), sottolinea il ruolo giocato dalla cortesia positiva nel contesto culturale francese dove con
molta frequenza ritroviamo forme di complimenti, ringraziamenti e di auguri. Per parlare della
gestione delle relazioni interpersonali in Francia, ad esempio si cita il lavoro di Hofstede (1997) a
proposito del famoso senso della gerarchia presente nel mondo professionale francese. Tuttavia,
Kebrat-Orecchioni critica questo approccio per avere generalizzato questo modello all'intera società
francese, dimenticando ad esempio che nel mondo accademico francese, l'uso delle forme allocutive
per rivolgersi ai docenti è virtualmente sparito, mentre sono molto rare quelle situazioni
asimmetriche con l'uso dei pronomi “tu-vous” per esprimere una relazione gerarchica, mentre sono
maggioritarie quelle relazioni simmetriche dove i parlanti usano lo stesso pronome per esprimere
distanza o famigliarità. Un fenomeno tipico e frequente della realtà conversazionale francese è l'uso
del pronome “vous” anche tra studenti universitari mentre questo non è presente nel caso dell'Italia
e della Spagna. Quindi, forse nell'ethos francese, possiamo avanzare l'ipotesi che non è prevista una
solidarietà immediata tra persone appartenenti allo stesso gruppo sociale o generazionale, valore
invece presente nel contesto culturale italiano.
Allo stesso tempo, la prossemica francese tollera maggiormente la vicinanza fisica come viene
dimostrato dalla presenza della “bise” come prima manifestazione di contatto fisico tra persone che
sono conoscenti o appena conosciuti, mentre nel contesto italiano questa possibilità di contatto
fisico è ratificata da una stretta di mano o da un semplice saluto privo di contatto fisico.
Kebrat-Orecchioni (2001) conferma la prevalenza di uno stile conflittuale dei francesi, ad esempio
con l'uso di espressioni assertive come “moi je pense que” e con la presenza di molti disaccordi con
espressioni come “oui mais”, “mais non”, “oui mais attends”, con un gusto per il contrattacco ed
un'incapacità al compromesso e alla mancanza di rispetto per il diritto dell'altra persona di parlare e
di essere ascoltata ( interruzioni permanenti, continui accavallamenti durante la conversazione).
Tutti questi elementi sono stati ripresi da uno studio comparativo tra parlanti francesi ed inglesi
condotti da Geoffroy (2001) nell'ambito della comunicazione al lavoro confermando questa visione
che ha reso i francesi portatori di una certa “arroganza” nella letteratura sugli stereotipi nazionali
(Geoffroy, 2001). Dal mio punto di vista, occorre contestualizzare questa nozione di “arroganza”
come una modalità di conferire “faccia” (Goffman, 1967) diversa da quella dei paesi anglosassoni e
da quella italiana, avvicinando il modello conversazionale francese al modello a “mitraglietta” della
comunità ebraica di New York (Tannen,1984) oppure nel lavoro di Katriel (1986)63 a proposito
dello stile “Dugri”come uno stile conversazionale molto diretto in Israele.
63
Katriel (1986) afferma il valore culturale del “dugri” come modo di affrontare la conversazione in alcune circostanze
in Israele anteponendo uno stile molto diretto al valore della mitigazione come forma indiretta nel parlato presente come
principale nel mondo anglosassone.

93
Kerbrat-Orecchioni sottolinea il ruolo conferito alle interruzioni nella società francese come un
modo per rendere più viva la conversazione, conferendo più calore, spontaneità e un senso di
coinvolgimento da parte di tutti. Queste caratteristiche sono valutate come positive da parte della
società francese come sottolinea un lavoro di Geoffroy (2001) in merito ad un'analisi comparata dei
parlanti francofoni e anglofoni nel contesto lavorativo.
Nella riflessione di Kebrat-Orecchioni (2001), una conversazione con turni di parola lenti e
rispettati in modo meccanico senza nessun tipo di interruzioni e di accavallamenti può essere
valutata come noiosa da parte dei membri di una comunità di parlanti come quella francese dove si
valutano positivamente le interruzioni e gli accavallamenti. La parte problematica per l'autrice
francese rimane il permanere di un giudizio negativo da parte dei paesi nordici, i quali pur consci di
queste caratteristiche culturali continuano a valutare e percepire in modo negativo la presenza di
interruzioni durante un proprio turno di parola. In definitiva, Kebrat-Orecchioni (2001) colloca la
cortesia linguistica francese a metà strada tra paesi del nord europeo e quelli dell'Europa del sud,
ponendo in luce come durante gli incontri interculturali non sia soltanto il comportamento che vari
da una cultura ad un'altra ma anche il modo nel quale viene giudicato ed interpretato quel
comportamento comunicativo dentro il sistema di valore della propria e dell'altra cultura. Di fronte
a questa situazione, la prospettiva di questa ricerca, in accordo con Kebrat-Orecchioni e Traverso
(2001), sostiene rigorosamente che le prove empiriche costituite dai dati rimangono il modo
migliore per evitare di compiere delle generalizzazioni non puntuali che possono condurre alla
creazione di stereotipi culturali tra membri di comunità linguistiche differenti.

3.4 La cortesia di Leech e il suo ruolo nella comprensione del sociale

Nella prospettiva di Leech (1983), la cortesia linguistica integra i principi di cooperazione di


Grice (1975), considerati come fondamentali nell'interazione interpersonale sul piano del contenuto,
e il principio di cortesia ideato da Brown e Levinson (1978) considerato come fondamentale sul
piano relazionale. Leech (1983) propone un principio di cortesia con la finalità di offrire delle
spiegazioni sulle cause del non rispetto da parte dei parlanti delle massime di conversazioni. La
prospettiva di Leech (1983) intende dettagliare alcuni principi della cortesia sotto la forma di
massime con aspetti positivi e negativi, che vengono definiti come “costi “ e “benefici” secondo una
terminologia di natura economica criticata da Kebrat-Orecchioni (1992). La cortesia di Leech si rifà
a 6 massime che vengono ulteriormente suddivise in sotto-massime rappresentate in questa
sequenza:

94
1. Massima di tatto

a. minimizza i costi per l'altro


b. massimizza i benefici per l'altro

2. Massima di generosità

a. minimizza i benefici per sé


b. massimizza i costi per sé

3. Massima di approvazione

a. minimizza il dispiacere per l'altro


b. massimizza il piacere dell'altro

4. Massima di modestia

a. minimizza il piacere di sé
b. massimizza il dispiacere per sé

5. Massima di accordo

a. minimizza il disaccordo tra sé e l'altro


b. massimizza l'accordo tra sé e l'altro

6. Massima di simpatia

a. minimizza antipatia tra sé e l'altro


b. massimizza la simpatia tra sé e l'altro

Secondo il modello di Leech (1983: 81), il principio di cortesia si formula seguendo questa regola
di base:

95
“ massimizza l'espressione della cortesia e minimizza l'espressione della non cortesia”

Le massime di Leech operano sul piano dei “costi” e dei “benefici”, e la cortesia risulta maggiore
quando il costo più grande ricade sul parlante e il beneficio più grande ricade sull'interlocutore.
Anche per Leech (1983), appare evidente che diverse società hanno delle proprie norme di cortesia,
ovvero per Leech esiste un diverso ordine di priorità nella realizzazione delle massime. Ad esempio,
un'ipotesi di lavoro potrebbe essere focalizzata sulla priorità di realizzazione delle massime di
accordo e di approvazione nella società italiana, mentre in quella francese rivestirebbe forse
maggiore importanza la massima di approvazione e poi di accordo.
Nel pensiero di Leech (1983), queste due massime vengono correlate tra di loro in quanto
l'espressione del proprio disaccordo è un atto dove il parlante sembra esporre le sue conoscenze con
ostentazione opponendosi a quello che è stato detto precedentemente dall'interlocutore.
Questa realizzazione linguistica è stata interpretata in termini di “cultural script” da part di Béal
(1993) a proposito del “cultural script” australiano dove il disaccordo può segnalare in termini
cross-culturali che “sono diverso da voi e mi sento migliore” del mio interlocutore. Se all'interno di
una data comunità di parlanti esiste questa interpretazione dell'espressione del disaccordo, in
termini di “cultural script”, allora le massime di accordo e di approvazione possono pesare in
modo maggiore in modo diverso nelle varie comunità di parlanti. Nel suo modello sulla cortesia,
Leech propone un'ulteriore distinzione tra cortesia 'assoluta' e 'relativa': la cortesia ‘assoluta’ risiede
nella prospettiva che vede alcuni atti linguistici intrinsecamente 'cortesi' mentre altri atti linguistici
possono invece essere 'non cortesi'.
Il modello di cortesia di Leech (1983) utilizza a sua volta le nozioni di cortesia positiva e negativa
riprese da Brown e Levinson, dove la cortesia negativa consiste nel minimizzare la natura “non
cortese” di un atto linguistico, mentre la cortesia positiva serve a massimizzare le conseguenze
positive della cortesia. Nella cortesia ideata da Leech (1983), la cortesia ‘relativa’ è funzionale al
contesto e co-testo (Duranti, Goodwin, 1992) perché la natura di un atto linguistico può variare
secondo la relazione interpersonale tra i partecipanti, la tipologia d'interazione e la comunità di
parlanti. Invece la cortesia 'assoluta' sembra preoccupata dagli aspetti generali dell'impiego del
linguaggio in una prospettiva di tipo universalista. Al contrario, la cortesia ‘relativa’ si riferisce agli
elementi più specifici delle particolari condizioni d'uso del linguaggio, e viene definito da Leech
sotto il nome di “socio-pragmatica”(1983:11). Un fenomeno singolare, citato nei lavori di Leech, è
la “cortesia paradossale” dove un insieme di scambi cortesi possono sfociare all'inattività in
situazioni idealmente cortesi, come nell'esempio tra due persone che devono varcare la soglia della
porta e rimangono bloccate per voler ciascuno dare la precedenza all'altra persona. In accordo con

96
Leech (1983:15) queste situazioni nella vita reale avvengono raramente perché esistono delle
possibilità di negoziare tra le persone tramite lo status, il sesso e l'età.

3.5 La visione sociale della cortesia

3.5.1 Strutture sociali, gruppo e interazione

La visione sociale della cortesia, messa in rilievo da Levinson (1977) nel suo lavoro “Social
deixis in a Tamil village”,sostiene che ogni società possiede un insieme di norme sociali che
consistono in regole più o meno esplicitate che prescrivono un certo comportamento o un modo di
pensare in un contesto. Secondo Levinson (1977), una valutazione positiva della cortesia viene
raggiunta quando un'azione è in consonanza con le norme sociali, mentre una valutazione negativa
si ottiene quando un'azione viene svolta in opposizione a queste norme sociali.

Gli interrogativi legati al nesso tra strutture sociali e lingua formulati da Levinson (1977)
riguardano ad esempio la natura dei marcatori linguistici validi per indicare le varianti sociali
presenti tra i parlanti oppure capire come le strutture sociali vengono riflesse all'interno delle
interazioni verbali. Nell'interazione tra parlanti, Brown e Levinson (1979) affermano che le
informazioni sociali vengono generalmente dimostrate dalla presenza di alcuni marcatori linguistici,
i quali non sempre vengono presi in considerazione come segnali di fattori sociali, mentre saranno
tenuti in considerazione degli elementi del contesto sociale e della relazione interazionale.
In questo ambito di studio, ricopre un ruolo molto importante la nozione di struttura, presa in
prestito dal modello saussuriano (1916) della linguistica, il quale afferma che ogni componente
della struttura sociale può essere isolata e definita, e la loro importanza viene valutata in relazione al
loro ruolo all'interno di quel sistema. Nel lavoro di Levinson (1977) si intende dimostrare come i
parlanti/partecipanti affinché possano capire il significato sociale di alcuni elementi linguistici
debbano avere precedentemente capito la struttura sociale del contesto (Duranti, Goodwnin , 1992)
dell'interazione e debbano possedere una conoscenza delle relazioni strutturali tra i vari aspetti
organizzativi dell'interazione. Per esemplificare, Levinson (1977) analizza un caso proveniente da
un villaggio Tamil dell'India del Sud attraverso l'uso dei pronomi T (tu)/ V (lei) come modalità di
gestione delle relazioni interpersonali. In questo villaggio Tamil dove esistono all'incirca 20 caste, i
membri usano un sistema pronominale T/V, dove l'uso asimmetrico dei pronomi “ T” e “V” indica
la superiorità di chi produce il pronome “ T” e indessicalizza l'inferiorità della persona che riceve il

97
pronome “ V”. Per approfondire le varianti sociali, Levinson (1977) ha pensato di isolare i membri
di ogni casta per verificare la correlazione tra il sistema pronominale e la propria posizione
gerarchica all'interno della propria casta. I parlanti del villaggio con una posizione superiore nella
gerarchia della casta hanno dimostrato una tendenza ad usare maggiormente il pronome “T”
mentre i membri con posizione bassa nella gerarchia della casta hanno adoperato maggiormente il
pronome “V”. Con questo esempio, Levinson (1977) non vuole concludere che questi pronomi
siano dei marcatori assoluti all'interno delle caste, ma piuttosto sono soltanto la prova di status
relativi presenti all'interno di quella data comunità di parlanti; a tal proposito, per sostenere questa
tesi, afferma che nel villaggio è prevista la possibilità di rivolgere la parola ad una persona
producendo un pronome “ T” e ricevere a sua volta un pronome “T” come segnale di solidarietà.
Brown e Levinson ( 1979) vogliono dimostrare che il “significato sociale” di una scelta
pronominale dipende da tanti aspetti presenti all'interno della struttura interazionale e che non esiste
una diretta correlazione tra uso del sistema pronominale e l'appartenenza ad una casta. In questo
primo lavoro di Brown e Levinson (1979), si fa intendere che l'uso del sistema pronominale “T/V”
dipende dal suo uso reciprocato in primo luogo, ma anche dalla sua distinzione tra un uso normale
oppure marcato, come ad esempio può avvenire nella produzione ultrà-cortese in termini di cortesia
positiva realizzata per alcune richieste. In questo lavoro di Levinson (1977), svolto nel contesto
della comunità tamil, il termine “struttura sociale” viene usato per inglobare e descrivere le
relazioni strutturali presenti tra i maggiori “gruppi”64 della società, nei quali ritroviamo la nozione
di gruppo. Per Levinson (1979), i membri dei gruppi giocano un ruolo importante nell'interazione
sociale per il fatto di costituire delle regolarità sociali dovute a regole di appropriatezza di
comportamento,le quali vengono seguite dai membri di un dato gruppo. L'appartenenza ad un
gruppo provvede una utile categorizzazione e questi gruppi giocano spesso un ruolo importante nel
collegare le strutture sociali con i dettagli dell'interazione sociale ( Levinson, 1977).

3.5.2 Elementi di appartenenza ad un gruppo

In modo critico Gaetano Berrutto (2003) ha affermato che in molti studi sociali si usa la
parola “gruppo” con differenti definizioni, come ad esempio “ piccolo gruppo, gruppo di
riferimento, gruppo corporativo, gruppo etnico, gruppo d'interesse. Da queste diverse definizioni sul
concetto di “gruppo” appare difficile non vedere come unico elemento in comune quello di essere

64
La nozione di gruppo viene trattata in modo ampio nel lavoro di Berrutto, G. (2003) Fondamenti di sociolinguistica,
Laterza Editori, Roma-Bari

98
un “insieme”. Una definizione più forte del gruppo è stata offerta da Deutsch (1968:265) definendo
il gruppo come una entità che consiste nell'interazione di persone che sono coscienti di far parte di
un insieme in termini di interesse reciprocamente collegati. Negli studi di sociolinguistica, la
nozione di “gruppo” può essere adoperata come termine teorico molto importante nella propria
analisi della struttura sociale oppure come una nozione relativa soltanto ad una data situazione
sociale ( vedi Berruto, 2003). In questa ricerca, l’idea di gruppo è una parte integrante e rilevante
nell'analisi perché pone in relazione in termini contrastivi i parlanti francesi e quelli italiani come
membri di una comunità di parlanti. L’appartenenza ad un dato gruppo può realizzarsi in vari modi
dal punto di vista della lingua: ad esempio, tra le competenze comunicative ci sono i marcatori
diretti che vengono definiti come “indessicali”, nel senso di indicativo dell'appartenenza ad un dato
gruppo, come potrebbe essere il gruppo “operaio” o essere membro della comunità ebraica di New
York. Questi elementi di indessicalità (Duranti, 2007) avvengono ampiamente in modo non
intenzionale, vale a dire senza il controllo cosciente del parlante e avvolte anche a discapito della
sua intenzione di mascherarli. Gli elementi indessicali della lingua, in accordo con Levinson (1977),
non ci dicono che tipo di gruppo di parlanti abbiamo ma piuttosto che tipo di relazione sociale
osserviamo tra parlante e ascoltatore. In accordo con Levinson (1977) queste informazioni sono utili
per identificare la natura delle relazioni tra membri di tipo “ingroup” e/ o “outgroup”, la rilevanza
del gruppo nella comunità di parlanti oppure la rispettiva struttura sociale all'interno del gruppo.
Questi tratti di “indessicalità” presenti in ogni gruppo diventano delle possibilità d’implicature
conversazionali (Grice, 1975) sulle caratteristiche di un dato gruppo ma detengono secondo
Gumperz (1989), data la sottigliezza e la complessità del fenomeno inferenziale, il rischio di
esposizione a varie forme di manipolazioni intenzionali da parte dei parlanti. Nel pensiero di Brown
e Levinson (1987), la relazione sociale ha una rilevanza importante poiché permette di cogliere
partendo da una coppia di partecipanti le scelte e le restrizioni presenti all’interno delle relazioni
sociali di un dato gruppo. Nell'ambito sociologico e antropologico, la definizione di relazione
sociale che mi è parsa interessante da riprendere proviene da Goodenough (1969) dove la relazione
sociale è intesa come il modo determinato di agire verso e nei riguardi di un altro, enfatizzando le
aspettative dal punto di vista dei diritti, delle proprie abilità e delle maniere di comportarsi. Le
relazioni sociali, all'interno di una data interazione, in accordo con Goffman (1967) rappresentano
la base più piccola della struttura sociale, ma allo stesso tempo il modo più diretto di collegare la
struttura sociale all'uso della lingua fatto da un dato gruppo sociale.

99
3.5.3 I confini del gruppo

Secondo Gumperz (1989) i confini del gruppo sono da ricercare nell'interazione e vengono
espressi in molte occasioni tramite dei segnali verbali e per esemplificare il suo pensiero compie
questo esempio: se A percepisce B come membro del proprio gruppo, allora in quel caso potrebbe
usare un linguaggio o un dialetto o un registro appropriato condiviso da quel gruppo, o qualche
marcatore che viene utilizzato all'interno del gruppo. Oltre alla presenza di codici differenziati, ci
sono numerosi marcatori attitudinali che funzionano come segnali di appartenenza di tipo “ingroup”
tra gli interlocutori. Ad esempio, Labov (1972) ha studiato dei segnali di facilità e di rilassamento
( parlato allegro, risate) come indicatore di uno 'stile casuale' o ' parlato vernacolare' tipico delle
persone che fanno parte dello stesso gruppo.
Nel lavoro di Brown e Levinson (1987) ci sono numerosi indicatori di membri “in-group” nelle
formule verbali che vanno sotto il nome di “cortesia positiva”: ad esempio, i termini famigliari di
allocuzione ( darsi del tu, i sopranomi), la retorica esagerata nell'affermazione ( Quanto sono belle
le tue rose, Rosina!), l'immediatezza, le presunte forme di richiesta. Tutte queste forme presenti
all'interno degli incontri di tipo “ ingroup ” rivela il lavoro di Brown e Levinson (1987) sembrano
scomparire quando occorre scegliere il codice e l'attitudine per interagire con un membro
“outgroup”, senza tuttavia dimenticare che l'appartenenza ad un gruppo continua a farsi sentire e a
giocare un ruolo durante l'interazione. In alcune circostanze, un gruppo può avere già una
caratteristica particolare e una già definita relazione con un altro gruppo e spesso secondo Levinson
(1977) questo genere di incontro eredita di questa situazione iniziale. Un elemento che si ritrova con
una certa costanza in questo ambito di studio nelle interazioni “in-group” v “out-group” è una forma
di negoziabilità tra i membri dei vari gruppi sociali, pur mantenendo tale possibilità nei limiti degli
interessi del gruppo sociale in posizione superiore. Dai lavori di Levinson (1977) emerge che il
modo di trattare una persona da parte di un' altra persona nell'interazione, con una attenta
conoscenza delle strutture sociali del contesto dell'interazione, sono forme di indessicalizzazione
del rapporto che permettono di inferire l'appartenenza ad un gruppo o ad un determinato
sottogruppo. Dai lavori di Levinson (1977) e con Penelope Brown (1987) traspare che i marcatori
linguistici sono degli indicatori privilegiati per cogliere l'appartenenza a determinati gruppi sociali
e nello stesso tempo per offrire delle informazioni sul retroterra vigente nell'interazione presente
nelle varie culture.

100
3.6 Il fenomeno della deissi sociale

Un lavoro importante sul ruolo della deissi sociale all'interno delle relazioni sociali è stato
compiuto da Levinson (1977), a proposito dei modi di codificare i rapporti tra membri di un
villaggio Tamil del sud dell'India. Questo lavoro ha dato vita in seguito al testo sulla cortesia
linguistica da parte di Brown e Levinson (1987) intesa come modo di dire le cose tramite
determinate espressioni linguistiche. Un altro caso di deissi sociale, studiata da Lakoff (1990), è la
categoria degli onorifici come strumento linguistico per codificare una relazione di natura
asimmetrica assegnando una disparità tra il parlante e l'ascoltatore. Nel lavoro “Talking power” di
Lakoff (1990) si distinguono due modi di utilizzare gli onorifici all'interno delle relazioni sociali:
- gli onorifici rivolti all'ascoltatore, dove il rispetto all'interlocutore può essere dimostrato tramite la
scelta di forme linguistiche in merito al contenuto del messaggio.
- gli onorifici di riferimento, dove il rispetto può essere soltanto dato alle cose o alle persone che
sono chiamate in causa (Lakoff, 1990).

Per Lakoff (1990) questa distinzione è dovuta alla presenza di alcune lingue che compiono una
differenza tra le due forme di manifestare rispetto al proprio interlocutore tramite la realizzazione
degli onorifici. Nella lingua italiana sono gli onorifici di riferimento alla persona che vengono
realizzati tramite i titoli di onorificenza come ad esempio: dottore, ingegnere, commendatore,
illustrissimo, onorevole, devotissimo (Held, 1999, 2005)
Questo sistema di onorificenza e la presenza del sistema pronominale di allocuzione T/V
rappresenta per Lakoff (1990) un modo per vedere più chiaramente come i membri di un gruppo
possono indirettamente determinare un uso linguistico come modalità indiretta di segnalare la
propria appartenenza ad un altro gruppo. Lakoff (1990) cita l'esempio di come un operaio, un
portiere o un bidello possano dire ' dottore' o ' preside' a qualcuno che si trova in un gruppo con una
posizione superiore, mentre il dottore è più difficile che rivolga la parola ad un altro dottore dicendo
“dottore”, “paziente” o “meccanico”. Lakoff evidenzia che oltre alla presenza della deissi sociale
esistono dei registri di lingue (Gumperz, 1982) durante le relazioni sociali che possono dare il senso
del tipo di rapporto presente in quella data relazione sociale. In questo caso, gli elementi vanno
inferiti durante l'interazione tra i partecipanti, ad esempio un certo modo di dire le cose, la scelta
strategica delle forme del messaggio possono in modo indiretto implicare la natura della relazione
sociale tra il parlante e l'ascoltatore (Lakoff, 1990).

Se poniamo a confronto un esempio di atti linguistici di richiesta tratto da Lakoff (1990: 124):

101
(A) You' ll lend us a fiver, won't you mate.
(B) You wouldn't by any chance be able to lend me five pounds, would you?

Nella prima richiesta, in modo intuitivo per Lakoff, viene implicato un certo ottimismo
interazionale facendo ricorso ad una cortesia di tipo positiva, mentre la seconda richiesta sembra
essere di tipo più pessimista incentrata sul modello della cortesia negativa.
Lakoff osserva che la scelta della strategia linguistica dipende in modo cruciale dalla valutazione
conferita alla relazione tra gli interlocutori e che tale valutazione diventa un marcatore di quella
relazione. Al contrario, nella scelta (B) l'interlocutore indica tramite la scelta del suo linguaggio che
la relazione sociale con il suo interlocutore non è di natura informale. L'uso di queste strategie del
linguaggio, intesi come marcatori della relazione sociale, e la capacità dei partecipanti durante un
dato evento linguistico ( Hymnes, 1972) di fare delle inferenze e di comprendere le
“contextualization cues” (Gumperz, 1982, 1992) indicano la qualità dell'interazione sociale.
Un altro modo di studiare le relazioni sociali presenti nell'interazione è stato usato da Irvine (1975)
nell'ambito della realizzazione dei saluti nella società Wolof del Senegal. In questo contesto, Irvine
ha osservato che la persona che inizia i saluti è nella posizione inferiore dal punto di vista dello
status sociale e la lunghezza nell'elaborazione del saluto da parte di chi detiene minore potere nella
relazione sarà segnalato come un atto di deferenza. Allo stesso tempo, questi stessi saluti possono
innescare un rifiuto da parte dell'ascoltatore presunto come membro di un gruppo sociale più
influente, in modo da restituire un riequilibrio nella gestione del conferimento di status.
Un’altra tipologia di marcatori di relazione sociale, all'interno dell'interazione, sono le strutture
distintive del linguaggio usate da gruppi con alto o basso potere in un sistema sociale stratificato: ad
esempio, Irvine (1975) ha constato che nelle società stratificate dove esiste un sistema “T/V” esiste
una tendenza per un uso reciproco del pronome “T” nei gruppi a status più basso mentre nei gruppi
sociali a status elevato ritroviamo un uso reciprocato del pronome “V” anche tra membri
intragruppali. Irvine (1974, 1975) ha analizzato questa situazione suggerendo che i segmenti della
popolazione con basso status costituiscono delle comunità dove le persone interagiscono
intensamente l'uno con l'altro in molti modi e ruoli diversi e Irvine (1974, 1975) sostiene che la
relazione di uguaglianza e di solidarietà viene raggiunta tra gli adulti simbolicamente con l'uso
reciproco del T. Al contrario, i gruppi sociali con status elevato tendono ad essere frammentati in
piccoli gruppi o famiglie per via del loro prestigio, non hanno fiducia negli altri gruppi per ottenere
aiuti e sostegni previsti dai gruppi più deboli. La conseguenza è per Irvine che tali gruppi nel
contesto della cultura Wolof sono socialmente distanti e tale distanza sociale viene

102
appropriatamente simbolizzati dall'uso del pronome “V” e dalla preclusione del pronome “T” come
modo di enfatizzare la gerarchia all'interno della famiglia. Ulteriori esempi di marcatori sociali
vengono forniti in un lavoro dedicato ai marcatori sociali nella lingua della comunità di New York,
da parte di Becker e Coggshall (2009), dove ad esempio: un certo modo di pronunciare /r/ dai
parlanti di New York conferisce un certo tipo di prestigio all'interno di quella comunità linguistica.
In un altro lavoro condotto da Paulston (1975), si è osservato ad esempio che l'uso di “Sir” in
inglese da solo detiene un valore ma usarlo con un nome come “Sir Arthur” ha un senso differente
nella comunità dei parlanti britannici. Sempre in Paulston, si è notato che nei pronomi svedesi “du”
T e “ni” V il significato sociale dipendeva fortemente dalla presenza o assenza di altre forme di
allocuzione nella frase: ad esempio un pronome “du” accompagnato dal nome conferisce intimità,
mentre un pronome “du” senza il nome conferisce solidarietà formale, invece il pronome“ni” con il
nome è una forma rurale di rispetto, “ni” senza il nome può essere considerato un po' brutale,
mentre “ni” con titolo e nome indica una riserva personale (Paulston, 1975). Un altro modo di
segnalare la propria appartenenza ad un gruppo viene offerto dai lavori sui repertori linguistici di
Bernstein (1971) dove l'utilizzo differenziato della cortesia, all'interno della società, si manifesta
con alcune rigide strategie linguistiche in certi gruppi sociali con basso status, mentre uno stile
strutturato e retoricamente elaborato viene usato dai gruppi con maggiore prestigio sociale.
Bernstein aveva sostenuto, in un suo lavoro, che tali differenze di stili comunicazionali erano
associati ad esempio nella classe media britannica e in quella operaia a diversi orientamenti
psicologici durante la loro socializzazione. Questa interpretazione è stata fortemente criticata da
Danzig (1995) sostenendo che tali distinzioni di stili erano legate alla qualità delle relazioni sociali,
e non sono determinate né dalla posizione sociale né tanto meno da motivazioni di tipo
psicologiche.

3.6.1 I pronomi del potere e della solidarietà

Sempre nell'ambito della deissi sociale raffigurata dai pronomi di seconda persona “T\V”
sono interessanti i lavori di Brown e Gillman (1960) per studiare la loro associazione con due
dimensioni importanti nella vita sociale, vale a dire il potere e la solidarietà. In questo lavoro, il
pronome si intende come tipologia di relazione che viene ad instaurarsi tra parlante ed ascoltatore.
Lo sviluppo europeo dei due pronomi per la seconda persona singolare e plurale inizia col latino
“tu” e “vos”. In italiano diventano “tu” e “voi” ( poi verrà sostituito da Lei); in francese “tu” e
“vous”; in spagnolo “tu” e “vos” ( più tardi usted). In tedesco, la distinzione è all'inizio tra “du” e

103
“ihr”, poi quest'ultimo è sostituito prima da “er” “ poi da “Sie”. Roger Brown e Albert Gillman
(1960) sostengono che una persona ha potere su un'altra persona quando possiede i mezzi per
controllare il suo comportamento. Il potere è una relazione fra almeno due persone di natura non
reciproca, in altri termini le persone non possono avere potere nella stessa area di comportamento.
In questo lavoro di Brown e Gillman (1960) vengono indicati come fattori di potere: la ricchezza, il
ruolo sociale, l'età, il sesso e la forza fisica.
Brown e Gillman fanno notare come il pronome V ( lei) di riverenza è entrato nelle lingue europee
come una forma con cui rivolgersi alle più alte cariche dello Stato e successivamente si è
generalizzato ai potenti della propria comunità e|o famiglia mentre tra persone di pari status sociale
sin dal medioevo si è usato la stessa forma pronominale per reciprocare la stessa posizione sociale.
Invece, la solidarietà pronominale, sempre in Brown e Gillman (1960), viene introdotta nel sistema
pronominale europeo come mezzo di caratterizzazione del modo di rivolgersi tra persone dotate di
eguale potere, mentre la non reciprocità, tipica del potere, è legata a una società relativamente
statica nella quale il potere è distribuito sulla base del diritto di nascita e non è sottoposto ad una
reale redistribuzione. Il significato del potere era strettamente legato al sistema feudale e nel
contesto italiano, il pronome “Lei” era originariamente un'abbreviazione di “la vostra signoria” e in
spagnolo “usted” era precedentemente “vuestra merced”. La staticità della struttura sociale era
rinforzata dall'insegnamento della Chiesa dove ad ogni uomo era assegnato il suo posto nella
società e non doveva desiderare il cambiamento della propria posizione assegnata dalla nascita.
La solidarietà tra le persone, intesa come attitudine alla comprensione e al reciproco sostegno, si è
sviluppato con l'arrivo della mobilità sociale e con un'ideologia egualitaria diffusasi soprattutto in
città e con l'avvento della rivoluzione francese si condannò l'uso del “V” come una sopravvivenza
feudale e si impose l'uso universale del reciproco “T” tra le persone. Per un certo periodo di tempo
la “fraternità” rivoluzionaria trasformò i modi di rivolgersi alle persone utilizzando forme
reciprocate di “citoyen” (cittadino) e nell'uso generalizzato del reciproco “tu”. Purtroppo, come
sottolineano Brown e Gillman (1960), questa solidarietà andò diminuendo con il tempo e le
differenze di potere che esistevano prima furono di nuove espresse. Questo esempio, citato da
Brown e Gillman, mette in luce come il concetto di violare le norme del potere significhi per il
parlante considerare il suo interlocutore come il suo inferiore, superiore o uguale secondo i criteri e
le abitudini del parlante. Invece, la violazione delle norme di solidarietà significa generalmente che
il parlante pensa momentaneamente al suo interlocutore come a un intimo o a un estraneo, vale a
dire che la simpatia viene estesa o ritirata durante l'interazione.

104
3.7 La cortesia nelle varianti interculturali

Il modello della cortesia, ideato da Brown e Levinson (1987), rappresenta


incontestabilmente il modello teorico maggiormente adoperato nell'analisi contrastiva della cortesia
linguistica, anche se numerose critiche sono e sono state indirizzate a questo modello per la sua non
applicabilità a molte società non occidentali ( Bargiella-Chiappini, 2003; Ide, 1989; Matsumoto,
1988; Spencer-Oatey, 2005). In sintonia con questi autori si sostiene che la scelta delle strategie
linguistiche degli interagenti sono dovute in molti casi al contesto culturale nel quale si produce lo
scambio linguistico. Nell'ambito dell'osservazione del principio di cortesia nel contesto cinese, Gu
(1990) sostiene che il modello di Brown e Levinson è difficilmente applicabile alla lingua cinese
perché la nozione di faccia negativa definita da Brown e Levinson non conviene alla cultura
cinese: per esempio, l'offerta, l'invito, la promessa non costituiscono nel contesto cinese nelle
situazioni ordinarie delle azioni minacciose per la faccia negativa del parlante.
Matsumoto (1988), analizzando la cortesia in Giappone, giunge alle stesse conclusioni di Gu (1990)
affermando che la teoria della cortesia pensata da Brown e Levinson non è convincente in
Giappone. Per Matsumoto (1988), il parlante nipponico tenterà generalmente di minimizzare la
minaccia per la faccia scegliendo una strategia appropriata come la deferenza che serve a smorzare
un potenziale FTA ( face threatening act). La critica mossa al modello di Brown e Levinson risiede
nel non riuscire a spiegare il fatto che i parlanti giapponesi impieghino la deferenza e gli onorifici
anche negli enunciati che non sono intrinsecamente minacciosi per le loro facce. Secondo Gu
(1990) e Matsumoto (1988), la differenza non è da ricercare nella diversa realizzazione delle
strategie di cortesia quanto piuttosto nella motivazione soggiacente alla teoria di Brown e Levinson
che non è adattata alla lingua e cultura giapponese.
In modo fondamentale, Matsumoto (1988:405) mette in discussione lo statuto della faccia e in
modo specifico il concetto di faccia negativa nella cultura giapponese:

“acknoledgment and maintenance of the relative position of others, rather than preservation of an
individual's proper territory, governs all social interaction”.

Nella cultura giapponese, secondo Matsumoto (1988) l'interesse principale degli interlocutori non è
di chiedere e preservare il proprio territorio quanto piuttosto di trovarsi e di rimanere accettati dagli
altri membri del gruppo. Pertanto il concetto di faccia negativa di Brown e Levinson (1987) non
permette di descrivere la pratica conversazionale giapponese. Ad esempio, questo modello teorico
della cortesia non può dare una sufficiente spiegazione per l'uso delle forme onorifiche o della

105
deferenza presente nella società nipponica e cinese. Questa critica si ritrova nel lavoro di Ide (1989)
dove viene proposto di classificare i fenomeni della cortesia linguistica riscontrati in Giappone in
due tipologie: il primo è il “discernimento” che si compie in gran parte nell'uso di forme
linguistiche formali legate alla produzione di deferenza ed onorifici. Queste forme di espressioni
linguistiche si rifanno alle convenzioni sociali riguardanti la differenza di status tra il parlante, il
tema e l'interlocutore ma non devono essere categorizzate come delle strategie di cortesia.
Il secondo piano per Ide (1989) presente nella cortesia giapponese è il piano “fatico” che si compie
in gran parte con delle strategie verbali che permettono di entrare in comunione con l'altro
interlocutore tramite la scelta di onorifici e di convenzioni linguistiche.
Proseguendo all'interno delle varianti interculturali presenti nella realizzazione della cortesia,
abbiamo un lavoro inerente alla comunità linguistica Igbo presente in Nigeria compiuto da Nwoye
(1992) dove si mette in luce l'importanza di appartenere ad un gruppo, con i suoi privilegi e le sue
responsabilità, come valori più importanti della considerazione sulla faccia positiva rendendo
inappropriato il concetto di “face-want” dell'individuo presenti nel modello di Brown e Levinson
(1987). Nwoye (1992) dimostra che la critica diretta e sincera non è minacciosa nella comunità dei
parlanti di Igbo ma viene considerata positivamente in quanto conferisce un effetto di socievolezza
e di correzione per la propria comunità, mentre la stessa produzione di critica diretta e aperta nel
quadro di lavoro di Brown e Levinson rappresenta un FTA che costituisce un atto di minaccia per la
faccia dell'ascoltatore. Nella comunità dei parlanti Igbo, secondo Nwoye (1992), la produzione
attenuata della critica tramite un uso indiretto di FTA, da parte del parlante, potrebbe essere
considerato come deviante perché metterebbe in discussione il sentimento di reciprocità presente
nella stessa comunità. Anche nel caso della lingua coreana, viene sostenuta l'inapplicabilità del
modello di Brown e Levinson da parte di ricercatori come Hwang (1990), Cho (1982), Sohn
(1986). Innanzi tutto, Hwang (1990) afferma che la cortesia e la deferenza sono due concezioni
sociolinguistiche differenti in Corea in quanto la cortesia viene considerata come una strategia
linguistica che gli interlocutori utilizzano per diversi scopi pragmatici mentre la deferenza viene
definita come un codice sociale che permette di scegliere il repertorio linguistico appropriato, la
forma onorifica e il rispetto in funzione dello status relativo dei partecipanti nell'ambito di una
dimensione gerarchizzata:

“Deference levels are encoded by honorifics which are 'based on closed, language-specific system
consisting of a limited set of structural and lexical elements', but politeness markers are based
largely on universal pragmatics and are from an open-ended pattern of language usage that is
applicable, in principle, to any speech participants regardless of their age, sex, kinship or social

106
status.”Hwang (1990: 45)

In evidenza, va ricordato che la deferenza viene realizzata sotto due modalità: la prima modalità,
vede il parlante umiliarsi ed abbassarsi, e l'altra modalità vede il parlante innalzare il proprio
interlocutore. In coreano ritroviamo come marcatori di cortesia: l'atto linguistico indiretto, il
modalizzatore e le forme di iper-rispetto.
Con i lavori sui deittici e la cortesia linguistica coreana, Cho (1982:127) considera la deferenza
come una forma particolare di cortesia in quanto rappresenta un dispositivo che permette
l'attenuazione della forza illocutoria di un atto linguistico. Nel suo lavoro sulla cortesia linguistica
coreana, Cho (1982) evidenzia nelle sue conclusioni che il principio di “ umiliazione di sé”
rappresenta il principio soggiacente che sottende i fenomeni della cortesia.
Un altro lavoro critico nei confronti di Brown e Levinson (1987) viene condotto da Blum-kulka
(1992) a proposito del comportamento linguistico degli israeliani dove viene conferito un valore
sociale più importante alla sincerità piuttosto che al valore di non imposizione all'interno
dell'interazione tra i parlanti israeliani. Da questi presupposti, nasce in Wierzbicka (1991) la
riflessione di capire le differenze di priorità in termini di valori culturali dentro una data comunità
culturale come approccio per rendersi conto delle differenze culturali e delle differenti motivazioni
nel fare ricorso alla cortesia. Wierzbicka (1991) attribuisce, allo stesso modo, una grossa
importanza al valore culturale che può essere espresso nel “cultural script”65 presente in una data
comunità di parlanti.

3.8 La cortesia italiana: una prospettiva storica

L’approccio storico alla cortesia italiana, ripreso in questo lavoro, si rifà al lavoro di Held
(2005) sulla cortesia italiana all'interno del testo Politeness in Europe (2005) dove sono poste in
rassegna le cortesie linguistiche di ventidue comunità di parlanti presenti all'interno del continente
europeo. Nel suo lavoro dedicato alla cortesia italiana, Held (2005) parte dal periodo medievale per
sostenere la tesi che la cortesia linguistica ha giocato un ruolo primordiale nella vita culturale
italiana. Held (2005) definisce la cortesia linguistica praticata nel contesto italiano, sin dai tempi del
medioevo, come il fulcro centrale delle buone maniere e del “come” comportarsi in termini
65
Il termine "Cultural scripts" viene inteso in Wierzbicka (1991) come un modo per fare emergere le differenti
convenzioni locali presenti nel modo di parlare di una data comunità di parlanti.

107
linguistici nella vita sociale. Held sostiene che proprio dal contesto italiano si diffonderà in seguito
in tutta Europa questo senso comune di “cortesia e di pulitezza”, il quale rappresenta da un lato le
buone maniere ma riflette in modo particolare la costituzione di una gerarchia sociale fatta da status
sociale e dai desideri individuali dei membri della comunità di parlanti.
Tali aspetti sono stati precedentemente trascurati dalla linguistica italiana perché secondo Held
(1995) permane una questione della lingua non risolta, la quale impedirebbe i linguisti italiani di
trattare temi di interessi universali o di ordine antropologico come può essere la cortesia linguistica.
Secondo Held, pur conoscendo il contesto linguistico italiano marcato storicamente da una
discrepanza tra oralità e scrittura, da una forte differenziazione geopolitica della realtà linguistica,
questo non spiegherebbe la scarsità di interesse verso la cortesia linguistica in Italia ( Benincà 1977,
Bates e begnini, 1975, Mullini 1982, Stati 1983, Pierini 1983, Elwert 1984).
L'approccio metodologico di Held utilizza il testo letterario del Castiglione (1528) Il Libro del
cortegiano come manuale essenziale per capire quel continuum tra la grazia e la sprezzatura66,
intese come caratteristiche tipiche del modo di comportarsi degli italiani.
Queste caratteristiche, usando l'approccio metodologico di Held (1995), riportano l'analisi della
cortesia direttamente al famoso culto della “facciata” o della “bella figura” accompagnato da un
senso di teatralità, composto da un forte bisogno di rappresentazione della persona e di
confidenzialità. Tali caratteristiche sono presenti nel concetto di intimità e di espressività
sviluppatosi in vari paesi del mediterraneo (Wierzbicka, 1991). Tuttavia, Held è accorto a tenere a
mente il bisogno di analizzare la cortesia in Italia mantenendo vivo la tensione tra l'universalità
antropologica e la specificità culturale, la dimensione storica e la dimensione comparativa.
Le parole centrali per analizzare la cortesia italiana in termini di implicazioni culturali sono per
Held (1993, 2005): grazia, sprezzatura, disinvoltura, affettazione, sociabilità e prudenza.
Partendo da queste parole chiave emerge un elemento rappresentativo della cultura italiana, vale a
dire la diffusione dell'idea che lo stile o “ethos” interazionale italiano sia uno stile di tipo aperto,
centrato sulla persona, divertente ed amichevole (Barzini, 1964).
Proprio questa attitudine alla cortesia, fondata nel periodo rinascimentale, tende oggi ad essere
tradotta nella realtà moderna nel modello odierno di tipo cooperativo e diplomatico, con una forte
tendenza ad evitare il conflitto (Held, 2005). Nel contesto italiano, a differenza di quello francese
caratterizzato storicamente dal culto per la galanteria, il lavoro di Held sostiene che si è diffuso il
culto della cortesia come il risultato di una forte gerarchia sociale e di un rigido rispetto dei ruoli
66
La parola sprezzatura viene dal verbo sprezzare, derivato dal latino parlato expretiare (composto da ex e pretium,
"stima"), che significa letteralmente "disprezzare". La sprezzatura è la qualità di chi compie un’azione in maniera
disinvolta, con noncuranza. Invece la parola grazia prevede un comportamento che nasconde ogni artificio con uno stile
naturale ( vedi Edoardo Saccone, "Grazia", "Sprezzatura", "Affettazione", in Le buone e le cattive maniere. Letteratura
e galateo nel Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 1992.

108
sociali, trasformando il bisogno di rappresentazione della propria persona in forme esagerate di
stilizzazioni del sé.
Nell'ambito di una ricerca di tipo etnografica, lo studioso Burke (1988) a ricollegato il concetto di
“fare bella figura” ad una attitudine presente nelle interazioni delle persone durante il periodo di
“rifeudalizzazione”dell'Italia avvenuta nel diciassettesimo e diciottesimo secolo: per esemplificare
annovera il concetto di “bella figura” definito come la costante preoccupazione per la propria
immagine e il proprio aspetto. Date queste premesse, Held (2005) fa rientrare in gioco il concetto di
faccia di Goffman collegandolo a specifici elementi culturali italiani, come ad esempio i concetti di
attitudine, di facciata, di teatralità e di simulazione.
Nel lavoro di Burke (1988) vengono considerate le interazioni di ogni giorno, composte da saluti,
discorsi, auguri, richieste, consigli, rifiuti o critiche per giungere ad osservare un inventario di
espressioni di cortesia che riflettono le strutture sociali del potere con le varie modalità di
costruzioni del modello sociale d'interazione collocandole nell'alveo di tipo “padrone-servo”.
Tale effetto viene ottenuto con l'uso di forme verbali e non verbali che creano un clima di
uguaglianza sociale e un clima di armonia che viene ritrovato nel lavoro di Held (1999) tramite
delle formule di cortesia presenti nel recente passato della storia culturale italiana che traggono
origine dal periodo goldoniano: ad esempio, le formule come bacio le mani, vostro (schiavo > ciao)
(De Boer 1999), servo umilissimo, per obbedirla, obbligatissimo, la riverisco divotamente, sono a'
vostri comandi, mi raccomando. Per Held, questi elementi sono portatori di una 'grammatica
sociale', rappresentata dal sistema del 'tu/lei' e dagli allocutivi composti da titoli onorifici presenti in
Italia con le varie forme note come: dottore, ingegnere, ragioniere, professore, Direttore, Ministro,
Eccellenza, Presidente, Cavaliere.
Da questi elementi nascono le considerazioni sulla 'cortesia sociale' condotte da Arndt e Janney
(1994), dove viene sostenuto che le espressioni linguistiche menzionate prime come forme di
cortesia vivono una forte perdita di significato nel contesto contemporaneo.
Tale situazione ha portato, nell'analisi di Haferland e Paul (1996), ad un'inflazione delle forme di
cortesia dovuta ad un eccesso di utilizzo che ha condotta ad una totale desemanticizzazione delle
parole ( ciao, dottore, professore, mi raccomando) con la conseguenza sociale naturale di dover
rivisitare questo ambito di studio.
Eelen (2001) fa risalire ai secoli del diciassettesimo e diciottesimo secolo la comparsa di questa
cortesia sociale, definito dall'autrice come una “first-order politeness”67, nella quale ogni membro
della società era obbligato ad usare un numero limitato di forme di cortesia in conformità alla sua

67
Eelen (2001) intende la “ first order cortesia “ come il modo comune di interpretare la cortesia nelle sue
manifestazioni durante le interazioni.

109
provenienza sociale e alle sue intenzioni sociali. Da qui nasce il cosiddetto “social tact” dove gli
italiani secondo Eelen (2001) hanno sviluppato notevoli competenze nel combinare garbo e
virtuosità raggiungendo anche il compiacimento di se stesso. Secondo Barzini (1964) e Kainz
(1965), tali elementi vengono ricondotti come elementi culturali associati alla felicità e al
proverbiale senso della vita che caratterizza la civiltà italiana. Per Held (2005) l'unicità della
cortesia italiana risiederebbe in una specifica sensibilità interpersonale, creata dal desiderio di
rappresentazione di sé e di assertività coniugata allo stesso tempo, in linea con il principio di
reciprocità, con la stima e la preoccupazione per l'altra persona.

110
4. Le varie manifestazioni del rapporto tra lingua e cultura

4.1 Osservazioni introduttive sul binomio lingua e cultura

Partendo dal lavoro di Cardona (1976, 2006), con il saggio “Introduzione


all'etnolinguistica”, poniamo le basi per capire l'importanza della lingua come elemento centrale per
veicolare la cultura di una comunità, in altri termini la lingua è lo strumento per gli scambi
quotidiani nell’interazione tra uomo e uomo dentro una comunità di parlanti. Nel mondo
contemporaneo, in sintonia con Cardona (1976, 2006), sosteniamo che il peso della comunicazione
ricade prevalentemente sulla lingua orale e per esemplificare prendiamo il caso dell'educazione dei
bambini come modalità di trasmissione del sapere che si svolge principalmente tramite la lingua
orale: ad esempio, vengono insegnati i criteri organizzativi, le regole di comportamento, le norme
dell’agire e del pensare che governano la collettività nella quale ci riconosciamo. Durante il periodo
dell'infanzia, i bambini imparano concetti come bene, buono, male, cattivo per integrare una
gerarchia di valori e di comportamenti sociali legati a questi concetti che saranno validi come
norma di condotta per il comportamento futuro (Duranti, 1992,Ochs, 2006). Eppure, nonostante il
suo ruolo fondamentale, l’aspetto culturale dell’uso della lingua è stato spesso trascurato nello
studio linguistico per via di un approccio della linguistica di tipo cartesiano come afferma Duranti
(2007). La finalità di questa ricerca in sintonia con Cardona (2006) è di recuperare un rapporto tra
lingue della comunità ed un insieme di conoscenze, di regole di comportamento valide e condivise
da una comunità di parlanti per affrontare il mondo. In Cardona si mette in luce come viviamo il
paradosso di avere accumulato una notevole letteratura proveniente da popoli molto distanti mentre
il nostro modello culturale e quello dei paesi vicini sembra essere noto e scontato a tutti,
dimenticando che la parola noto non vuol dire analizzato. Il lavoro di Cardona, riprendendo
Malinowsky (1923), sostiene che le culture variano nel grado di riconoscimento dato alle varie
costanti del comportamento umano presente tra le interazioni dei vari membri della comunità di
parlanti e che ogni enunciato prodotto ricava il suo senso globale dal contesto in cui ha avuto
origine. Questa definizione di Malinowsky, subisce certamente l'influenza di un noto antropologo e
linguistica americano come Sapir (1929, 1972), il quale aveva sostenuto a proposito del rapporto tra

111
lingua e cultura: la lingua è il tramite tra l’individuo e la sua cultura, e lo stesso mondo reale non è
interamente dato in maniera obiettiva, ma è “in gran parte costruito a partire dalle abitudini
linguistiche del gruppo”. In seguito, ha aggiunto che “non esistono due lingue tanto simili da poter
essere considerate rappresentanti di una stessa realtà sociale. I mondi in cui vivono società diverse
sono mondi diversi e non semplicemente lo stesso mondo con differenti etichette” (Sapir, 1972: 13).
Whorf (1941) riparte dalla tesi di Sapir aggiungendo che la lingua che parliamo modifica e modella
interamente il nostro comportamento, con il risultato di aver ottenuto molte critiche per le sue
conclusioni soprattutto da parte di Bloomfield (1974) e Chomsky ( 1965, 1968). In questo lavoro,
l'approccio di Whorf (1941) viene superato dall'approccio di Hymes (1972) e da Duranti (2007)
mettendo in evidenza il rapporto tra parlante inteso come “persona” e contesto culturale. Tuttavia,
credo che vada menzionato anche il lavoro dell'antropologo Aberle (1960) come tentativo di
conciliare il rapporto tra lingua e cultura proponendo una serie di principi che recitano:

1. La lingua come la cultura sono fenomeni selettivi in quanto utilizzano solo una parte dell’infinito
insieme delle possibilità: ad esempio, la lingua utilizza solo certi suoni, la cultura solo certi tipi di
comportamenti.
2. Sia la lingua che la cultura si regolano secondo modelli o strutture (patterns);
3. Molte di queste strutture (pattern) sono inconsce.
4. Ogni lingua, come ogni cultura, costituisce una configurazione unica;
5. Lingua e cultura tramutano secondo un ‘drift’ (deriva).
6. Le lingue e le culture non sono migliori o peggiori, sono sempre adeguate alle necessità.
7. La grammatica è l’insieme dei modelli linguistici condivisi dalla comunità (‘shared speech–
patterns”); in questo modo la cultura è l’insieme dei comportamenti condivisi.

Sempre nel tentativo di fornire un quadro ampio, nell'ambito del termine cultura, mi sembra dovero-
so citare Hall (1959) con la sua riflessione sulla cultura come di un fenomeno presente sempre nel-
lo spazio che ci circonda, che coinvolge la nostra vita, parzialmente visibile e interpretabile soltanto
posta in comparazione con un'altra cultura. In seguito Hall (1977) ha affermato che: “capire l'uomo,
la sua cultura, capire il mondo, cogliere l'irrazionale sono tutti aspetti inseparabili della stessa pro-
cedura” per cogliere il modo dell'uomo di “dare senso” alle cose.
Un'ulteriore definizione emerge dal lavoro dall'antropologo e linguista Hymes (1972) quando
definisce il rapporto tra lingua e cultura come “l’economia linguistica di una comunità, in cui quella
data lingua non è che una delle componenti, insieme alle altre varietà linguistiche e ai modi di

112
comunicare, all’interno di un sistema di scene, partecipanti, canali e generi linguistici”. Il lavoro di
Hymes introduce il metodo etnografico all'interno della linguistica denominando tale metodo
“SPEAKING”, vale a dire un insieme di elementi per analizzare un evento linguistico. Questi
elementi sono rappresentati nel lavoro di Hymes dalla scena, dai partecipanti, le finalità, gli atti
linguistici, la chiave d'interpretazione, le intenzioni, le norme e il genere di evento.
Questi elementi di caratterizzazione del modello SPEAKING di Hymes (1972) sono strumenti
conoscitivi molto validi quando vengono collegati con la dimensione della comunità dei parlanti di
Gumperz (1982).

4.2 Il concetto di comunità linguistica all'interno del binomio tra lingua e cultura

La nozione di comunità linguistica (Berruto, 2003) adoperata in questo lavoro, in accordo con
il pensiero di Gumperz (1973, 1982), è intesa come ogni aggregato umano caratterizzato da
un'interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme condiviso di segni verbali e distinto da
altri aggregati simili a causa di differenze significative nell'uso del linguaggio.
La nostra premessa è quella di cogliere il fenomeno linguistico all'interno dell'interazione sociale
dove gli enunciati vengono selezionati in accordo a norme e aspettative socialmente riconosciute in
quella data comunità di parlanti. In sintonia con Gumperz (1973, 1982) pensiamo che la maggiore
parte dei gruppi con una certa stabilità di contatti e con particolarità linguistiche possano essere
considerati come comunità linguistiche. In Gumperz (1973, 1982) l'uso del linguaggio, da parte dei
singoli individui, rappresenta la precondizione per iniziare a studiare le scelte linguistiche permesse
in una data comunità come modo di rivelare l'origine geografica e l'intento sociale del parlante,
vale a dire da una parte può indicare la sua provenienza geografica, la sua appartenenza al mondo
cittadino oppure della provincia, essere colto o incolto, ma allo stesso tempo può indicare se vuole
essere amichevole, distaccato, famigliare, rispettoso, superiore o inferiore.
Il concetto di comunità linguistica di Gumperz (1973, 1982) pone in evidenza il bisogno di
conoscere le regolarità e il legame sottostante tra linguaggio e struttura sociale poiché prima di
poter giudicare l'intento sociale di un parlante dobbiamo sapere le norme che definiscono le
alternative linguisticamente e socialmente accettabili per particolari tipi di parlanti.
In sintonia con Gumperz (1973, 1982) sosteniamo che le norme variano nelle comunità linguistiche
in funzione del contesto extralinguistico (Duranti, 1992, Hymes, 1972), tuttavia soltanto quando le
relazioni fra scelte linguistiche e appropriatezza sociale diventano formalizzate, diventa possibile
raggruppare queste forme linguistiche per studiarne le somiglianze e differenze con altre comunità
linguistiche in una prospettiva comparativa.

113
Gumperz (1973, 1982) ha affermato che nelle società linguisticamente omogenee, gli indicatori
verbali delle distinzioni sociali tendono ad essere confinati in tratti strutturalmente marginali della
fonologia, della sintassi e del lessico mentre le risorse comunicative variano fortemente in relazione
alla posizione dell'individuo nel sistema sociale in cui si trova ad interagire: ad esempio, le
casalinghe, gli agricoltori o gli operai usano una gamma di repertori linguistici limitati al loro
ambiente sociale, mentre gli attori o gli uomini d'affari controllano una vasta gamma di stili
linguistici in quanto esposti a contesti sociali variegati.

4.3 Rapporto tra sistema linguistico ed ethos comunicativo

Nel lavoro di Kebrat-Orecchioni (2002) intitolato “ethos et système linguistique” si mette in


rilievo la natura complessa dei rapporti tra lingua e cultura, dove la lingua è nello stesso tempo una
componente e un veicolo della cultura intesa come l'insieme dei saperi e delle credenze, attitudini,
norme, modi di dire e di fare tipici di una data comunità di parlanti. In concordanza con Kebrat-
Orecchioni (2002) viene affermato che le considerazioni di natura culturale sono inevitabili per chi
lavora sulla pragmatica contrastiva come intendiamo fare in questo lavoro. La tesi difesa in accordo
con Kebrat-Orecchioni (2002) è quella di notare l'impatto della cultura nella lingua partendo da
semplici forme grammaticali fino a raggiungere la parte più evidente nel lessico, dove i ritagli
concettuali operati dalla lingua, l'organizzazione dei campi semantici in termini di importanza per
un dato gruppo umano, l'esistenza di alcune “parole chiavi” rappresentano dei validi rivelatori della
traccia della cultura nella lingua. Inoltre, Kebrat-Orecchioni sostiene la necessità di prendere in
considerazione, per meglio intendere il ruolo della cultura nella lingua, il funzionamento di
meccanismi come gli atti linguistici diretti ed indiretti, i meccanismi inferenziali, il sistema dei turni
di parola, la concatenazione di interventi e di scambi, i connettori pragmatici, i marcatori della
relazione interpersonale e i rituali della cortesia, ecc.
La posizione assunta in sintonia con Kebrat-Orecchioni, in merito al rapporto tra lingua e cultura, è
in linea con la versione debole dell'ipotesi di “Sapir-Whorf” dove la lingua riflette la cultura ma non
condiziona la nostra visione del mondo come vuole la versione forte di questa ipotesi di relatività
linguistica. Per Kebrat-Orecchioni, la cultura circoscrive i discorsi prodotti da una data comunità di
parlanti perché la cultura è incapsulata nel sistema linguistico, attraverso delle norme comunicative
presenti in quella data società. Queste norme comunicative, sembrano in modo aprioristico,
contenere qualcosa che riguardi la lingua, ma allo stesso tempo confermano che la lingua e la
cultura sono due momenti indipendenti. Per esemplificare possiamo constatare come il

114
funzionamento della comunicazione differisca sensibilmente da un paese anglosassone all'altro
(vedi Renwick (1983), Herbert (1989)), oppure possono assomigliarsi in società che non parlano la
stessa lingua come nel caso delle somiglianze culturali presenti nelle società “arabo–musulmane”.

4.3.1 La “prova lessicale” come riflesso della cultura

Proseguendo la tradizione whorfiana, Wierzbicka (1991) riprende in vari momenti l'idea per cui
i ritagli concettuali presenti in una lingua, così come si cristallizzano nel lessico, differiscano da una
lingua ad un'altra. Nell'analisi di Wierzbicka (1991) questi ritagli concettuali si applicano sia per
l'insieme dei termini presenti dentro un dato Speech act (Austin, 1962, Searle, 1969) oppure
soltanto per dei termini isolati come ad esempio il termine inglese privacy o la parola giapponese
enryo. Questi ritagli concettuali vengono considerati da Wierzbicka (1991) come indicatori di
“valori culturali centrali” di quella società emersi perché condensano alcuni aspetti specifici
dell'ideologia collettiva in ambito della comunicazione e per le difficoltà che si incontrano nella loro
traduzione. Nel lavoro di Wierzbicka (1991: 48- 49) si prende l'esempio della parola compromise
intesa come neutra in inglese in termini di connotazione ( Kebrat-Orecchioni, 1977), mentre il suo
equivalente tedesco viene colpito da una connotazione negativa, invece nella lingua francese un
“compromis” è piuttosto una cosa buona se non implica un elemento di “compromissione” secondo
Kebrat-Orecchioni (2002). Anche nella comunità italofona, a mio parere, il termine compromesso
detiene una connotazione positiva tranne quando si intende raggiunto un compromesso troppo al
ribasso. Da queste analisi forse dovremmo problematizzare l'ipotesi di Kebrat-Orecchioni che vede
la società francese ed aggiungo quella italiana caratterizzati da un ethos di tipo “consensuale”. Nella
stessa direzione sono andati i lavori di Underwood (1977:7) a proposito della connotazione negativa
data alla parola “individuo” nella società coreana, nella quale vige una cultura diffusa di tipo anti-
individuale. Kebrat-Orecchioni in alcuni lavori (2000, 2002) ha sostenuto che anche in Francia
l'individualismo non possiede certamente una connotazione positiva all'interno della società.
Proseguendo sul campo delle “prove lessicali”, Wierzbicka (1991) segnala che alcune lingue
posseggono una parola con il significato di “menzognero” come il sostantivo francese menteur o in
italiano bugiardo, invece non esiste nessun equivalente per la persona che dice sistematicamente
sempre la verità. Questa carenza lessicale, spinge Wierzbicka ha pensare che le culture in questione
non valorizzano il concetto di verità, ma a nostro avviso in accordo con Kebrat-Orecchioni (2002),
pensiamo che se la lingua non ha sentito il bisogno di dotarsi di un termine del genere è forse
perché considera questo stato di cose come un qualcosa che “va da sé”, ovvero un rispetto della
massima di qualità di Grice (1975) che sottende il principio stesso della comunicazione umana.

115
Nell'approccio di Kebrat-Orecchioni (2002), tenendo conto della redditività del lessema, le
“lacune” lessicali vengono ricondotte a due principi esplicativi: il concetto corrispondente viene
giudicato troppo “ anomalo” per meritare l'attribuzione nella lingua di una propria copertura
lessicale come ad esempio l'assenza dell'antonimo di “misogeno” con “misandropo” che forse
esiste soltanto allo stato di neologismo, oppure al contrario corrisponde ad uno stato di cose troppo
“normali”, in quanto la lingua tende a non verbalizzare tutto quello che 'va da sé'.

4.3.2 La ricerca di una definizione dell'ethos

Nei lavori di Wierzbicka (1991) e di Kebrat-Orecchioni (2002) appare possibile sfruttare


questa correlazione tra lingua e cultura per ricostituire almeno parzialmente questo ethos
comunicativo tipico di una data società. La nozione di ethos, come detto precedentemente, trova la
sua origine nella Retorica di Aristotele (Barthes, 1972), dove si colloca all'interno della famosa
triade logos/ethos/pathos con la funzione di indicare delle qualità morali che l'oratore “mostra” nel
suo discorso in maniera implicita, vale a dire che non si tratta di dire apertamente che si è ponderati,
onesti o benevoli, ma di mostrarlo tramite l'insieme del suo comportamento, con lo scopo di
assicurarsi il successo dell'impresa oratoria.
Nella letteratura pragmatica e conversazionalista contemporanea, si possono vedere due
prolungamenti distinti di questa nozione:

− In Goffman (1959, 1967), il termine di “ethos” anche se non compare, la nozione


corrispondente è ben presente sotto altre forme, come possono essere la “presentazione di
sé” o la “ gestione dell'identità” (identity management);
− In pragmatica contrastiva ( tramite l'etnologia, soprattutto con Bateson che introduce il
termine nel 1936 e con l'etnografia della comunicazione), la parola “ethos” viene definita,
con un significato abbastanza lontano dal suo significato originario, nei lavori di Brown e
Levinson (1978:248), riprendendo i termini da Bateson (1972), in questa maniera:
− “ 'Ethos', in our sense, is a label for the quality of interaction characterizing groups, or social
categories of persons, in a particular society. {...} In some societies ethos is generally warm,
easy-going, friendly; in others it is stiff, formal, deferential; in others it is characterized by
displays of self-importance, bragging and showing off {...}; in still others it is distant,
hostile, suspicious”.

In accordo con Kebrat-Orecchioni (2002), l'ethos concepito in pragmatica linguistica da Brown e

116
Levinson (1978) presenta alcuni elementi in comune con la nozione aristotelica dato che rinvia
l'ethos ad alcune qualità astratte dei soggetti sociali, le quali si manifestano concretamente nei loro
comportamenti discorsivi individuali. In sintesi, la differenza tra retorica antica e pragmatica
linguistica nel definire l'ethos riguarda il fatto che la nozione aristotelica si applicava a degli
individui, mentre in pragmatica linguistica si applica a gruppi di persone o a intere “speech
communities” (Gumperz,1989). Kebrat-Orecchioni (2002) afferma che questa differenza, pur con
delle problematiche, non compromette totalmente la sua validità teorica perché l'ethos individuale si
ancora nell'ethos collettivo, vale a dire in quel deposito di valori utili per rendere efficace le parole
dell'oratore, e allo stesso tempo l'ethos collettivo non è comprensibile da solo ma sempre tramite
l'analisi di comportamenti individuali nei quali si incarnano e si confermano i valori soggiacenti del
gruppo. Tuttavia, questo spostamento della nozione dall'individuale al collettivo solleva certamente
un certo numero di implicazioni e di problematiche (Kilani-Schoch, 1997) che non vengono
trascurate da Kebrat-Orecchioni, ma che al contrario mantengono elevato il livello di guardia di
fronte a rischi di iper-generalizzazioni presenti durante le proprie analisi.

4.3.3 Problematiche legate alla nozione di ethos

Il primo punto critico è rappresentato dal ritaglio di queste speech communities (1982),
costituite da un insieme di individui che condividono non soltanto la stessa lingua ma anche le
stesse norme comunicative, rischia di essere un concetto condannato ad una certa circolarità dove la
comunità di partenza e la stessa di quella dell'arrivo. Per Kebrat-Orecchioni occorre evitare di fare
dei ritagli aprioristici di grandi aree culturali o nazionali, ma puntare piuttosto ad individuare
l'esistenza di grandi “ tendenze generali”che trascendono le variazioni sociolinguistiche o “sotto-
culturali” (legate per esempio al sesso del soggetto, alla sua età, alla sua professione, cittadino o
uomo di provincia). Questo approccio di lavoro resta valido per Kebrat-Orecchioni (2002) quando
si lavora su gruppi di parlanti più omogenei o più sorvegliati nell'uso della lingua in un dato evento
linguistico (Hymes, 1972). Un altro interrogativo, presente nell'analisi di Kebrat-Orecchioni,
riguardo il punto di collocazione dell'ethos e le procedure di attuazione da un livello ad un altro
all'interno di quel gruppo di parlanti. Per rispondere a tali quesiti viene in aiuto il lavoro di
Wierzbicka sostenendo che (1991:64):

“It seems to me that it is very important to try to link language-specific norms of interaction with
cultural values, such as autonomy of the individual and anti-dogmatism in Anglo-Saxon culture or

117
cordiality and warmth in Polish culture”

Tale risposta non soddisfa ad esempio l'analisi di Kilani-Schoch (1997:85) la quale si domanda:
“Come dei microfenomeni discorsivi vengono ricollegati a delle macrostrutture culturali più ampie?

Per rispondere a questa domanda, sembra per Kebrat-Orecchioni necessario compiere una doppia
distinzione tra un piano più “superficiale” dove incontriamo parole chiavi, forme allocutive,
formule ritualizzate, atti linguistici per giungere in seguito ad un piano più “profondo”, dove la
difficoltà maggiore risiede nell'interpretazione dei fatti rinvenuti, come ad esempio le formule di
benedizione presenti nell'arabo,oppure gli onorifici giapponesi o gli inviti a casa dei parlanti urdu.
L'interpretazione di questi fenomeni può essere realizzata ponendo in evidenza sia la natura
pragmalinguistica68 oppure quella sociopragmatica69 dell'evento linguistico, soprattutto in ambito
interculturale. Per esemplificare, Kebrat-Orecchioni cita un aneddoto avvenuto all'uscita di un
museo in Italia, dove una giovane custode si è congedata con un saluto informale come
“Salut!”definito da Kebrat-Orecchioni (2002) come amabile ma inappropriato per quel dato evento
linguistico. Kebrat-Orecchioni ipotizza che la produzione del saluto “Salut” sia un calco del saluto
“Ciao” con le difficoltà di interpretazioni legate forse da un' inadempienza pragmalinguistica dove
il “ciao” della lingua italiana ricopre il “salut”della lingua francese oppure l'aspetto inappropriato è
di natura sociopragmatica, rinviando ad una concezione leggermente differente della relazione
sociale in quel contesto.

4.4 Tra strategie conversazionali e divergenze culturali

4.4.1 Il caso delle strategie conversazionali nella lingua francese ed inglese: convenzioni o
riflessi di profonde divergenze culturali

Nel lavoro di Béal (1993) si parte dal presupposto che ogni cultura detiene una concezione
differente della conversazione tra i suoi parlanti e che questo contesto culturale ricopre un'influenza
diretta sullo scambio conversazionale.
Per contesto culturale nella prospettiva di Béal (1993) si intende che due comunità di parlanti

68
La pragmalinguistica si riferisce secondo la definizione offerta da Leech (1983:11) alle risorse offerte da una lingua
per realizzare determinati atti perlocutori.
69
La definizione che adottiamo in questo lavoro si rifà a Leech (1983) definendo la sociopragmatica come “the
sociological interface of pragmatics"

118
possono avere degli scenari differenti nella realizzazione di uno stesso evento linguistico. Béal
(1993) cita come il tono di voce, la velocità e l'intensità negli scambi interazionali vengano
interpretati come degli indici per il riconoscimento di uno stile conversazionale tra membri di
diverse comunità linguistiche.
Queste differenze tra le comunità linguistiche spinge Béal (1993) a porsi alcune domande sulla
natura di queste differenze culturali per capire se tali differenze siano il risultato del caso, di
convenzioni arbitrarie oppure riflettono alcuni “a priori” culturali. Un altro interrogativo molto
importante nel lavoro di Béal (1993) è di capire se tali convenzioni possono essere interpretate
evitando di compiere delle stereotipizzazioni. Una spiegazione a queste domande viene fuori da
Wierzbicka (1991: 70) quando afferma che nella pragmatica interculturale i termini di valore come
“essere diretti”, “indiretti”, “la solidarietà”, “la spontaneità”, “la sincerità”, “ l'armonia sociale”, “la
cordialità”, “l'affermazione del proprio io”, “l'intimità”, “ l'espressione del proprio io” rivestono
spesso una accezione differente all'interno delle varie comunità di parlanti con la conseguenza che il
senso attribuito a questi termini è diverso e avvolte anche in conflitto. Il risultato di questa
situazione è secondo Wierbicka (1991) la descrizione di strategie discorsive che per alcune
comunità di parlanti sono di tipo “dirette” mentre per altri sono di tipo “indirette”, cosi come la
presenza o assenza di “ affermazione di sé” oppure una espressione o soppressione di individualità.
Questa situazione è al cuore del dibattito della pragmatica cross-culturale come sostiene un lavoro
di Traverso (2001) dove vengono problematizzate le tematiche del comparatismo all'interno della
pragmatica contrastiva.

4.4.2 L'interazione come luogo del “cultural script”

L'interazione per Kerbrat-Orecchioni (1990: 214) consiste in una serie di repliche tra due o
più persone su un tema particolare realizzate tramite una sequenza di apertura, un corpus
d'interazione e una sequenza di chiusura. La sequenza di apertura, nell’interazione di cultura
anglosassone, riflette in Béal (1993) e Wierzbicka (1991) un valore fondamentale di quella data
cultura, vale a dire l'autonomia della persona che vede il suo massimo ideale nella possibilità di
obbedire a nessuno. Secondo Wierzbicka (1991), la natura dell’interazione nel “cultural script”
anglosassone non permette una forte restrizione nell'espressione della volontà poiché risulta
culturalmente poco accettabile dire a qualcuno “voglio che tu faccia questa cosa”. In questo dato
contesto culturale non si può obbligare nessuno a parlare con voi oppure bisogna dare la possibilità
di rifiutare.

119
Nel suo lavoro, Béal (1993) cerca di fornire una valida interpretazione di questo comportamento
linguistico cercando di individuare un “cultural script” presente all'interno dell’interazione
linguistica. In altri termini, Béal sostiene che per avvicinare una persona nel contesto anglosassone
esiste questo canovaccio culturale:

voglio parlare con lei


so che l'altra persona potrebbe anche rifiutare di parlarmi
vorrei sapere se volete parlare con me

Secondo Béal (1993) e anche Kebrat-Orecchioni (2002) sembra che nella comunità di parlanti
francese, l'autonomia della persona non è sempre una qualità essenzialmente buona e trova una sua
prova lessicale secondo Wierzbicka (1991) nell’espressione “n'en faire qu'à sa tête”, carica di
connotazione negativa nel contesto culturale francese , nel quale si tende a pensare che se tutto il
mondo “n'en faisait qu'à sa tête” si giungerebbe facilmente all'anarchia. Invece, per Béal (1993)
l’attitudine francese può essere interpretata adoperando l’espressione lessicale “ à chacun sa place”
soprattutto nel contesto culturale lavorativo.
Un ulteriore modo di interpretare l'attitudine francese nel contesto del lavoro è offerta da Béal
(1993) attraverso l’espressione “ entrer dans le vif du sujet” che viene analizzata come modalità per
entrare in contatto con l'altro:

“Entrer dans le vif du sujet”

voglio parlare con lei


so che siete qui per parlare con me ( tra le altre cose)
può parlare con me anche quando vuole lei
pensiamo che sia giusto così

Nel contesto francese delle relazioni quotidiane tra persone con poca distanza sociale ( Brown e
Levinson, 1987) non è necessario secondo Béal (1993) e anche nel lavoro di Wierzbicka “di
riconoscere verbalmente l'autonomia dell'interlocutore invitandolo a dire se è pronto o meno a
rispondere alla richiesta ( Wierzbicka, 1991:78).
Nel contesto della conversazione francese, Kebrat-Orecchioni (1992, 2000) sostiene che
l'accavallamento e il concatenarsi del turno sono abbastanza frequenti senza pertanto causare una
fonte di disturbo per i partecipanti, all'interno dell'interazione verbale. Data questa premessa offerta

120
dai lavori di Kebrat-Orecchioni sullo stile conversazionale dei francesi, emerge secondo Béal
(1993) che i francesi e gli australiani hanno una percezione differente di cosa significa “rubare il
proprio turno di parola”. Nel caso degli australiani, il parlante deve potere dire tutto quello che
vuole e soltanto quando fa chiaramente sapere che ha finito con una lunga pausa sarà concesso
all'interlocutore di entrare in gioco. Dai lavori di Béal (1992, 1993) viene fuori che nello stile
conversazionale australiano viene contemplata la possibilità di svolgere alcune pause durante il
proprio turno di parola, mentre nel caso dello stile conversazionale francese questa possibilità
sembra evitata, perché si vuole evitare il silenzio durante il turno di parola, sostituendo le pause con
delle ripetizioni che ricoprono la funzione di offrire la possibilità di pensare a quello che si intende
dire. Nella conversazione francese, secondo Béal (1993) e Kebrat-Orecchioni (2000), il parlante
non soltanto tollera ma si aspetta una serie di interruzioni, le quali vengono prevalentemente
considerate come delle strategie di collaborazione e di coinvolgimento tra i parlanti.
Secondo Wierzbicka (1991) solo nella produzione del disaccordo vengono identificate le rare forme
di interruzioni praticate dai parlanti anglosassoni, e da questo comportamento linguistico proviene
la percezione degli anglosassoni delle interruzioni come atti di ostilità, di conflitto e di non cortesia.
Nel contributo di Béal (1993) emerge che i parlanti francesi si trovano in imbarazzo in un incontro
di natura interculturale quando riscontrano l'assenza di interruzioni cooperative da parte degli
australiani e i parlanti francesi percepiscono il silenzio del loro interlocutore come una forma di
disapprovazione, indifferenza o incomprensione.
Wierzbicka (1991) fornisce una interpretazione del turno di parola nella cultura anglosassone come
un indicatore del principio di rispetto dei diritti dell'individuo e prova a riassumere il suo
funzionamento attraverso l’espressione lessicale “to take turns”:

“to take turns” =

qualcuno sta parlando in questo momento


non posso parlare nello stesso tempo
posso dire qualcosa solo dopo

Questo sistema di attribuzione della parola non è universale secondo Wierzbicka (1991) sostenendo
tramite l'esempio del termine giapponese “aizuchi”, il quale indica il sostegno da parte
dell'ascoltatore al parlante offrendo, durante l'interazione, delle parole di incoraggiamento ( un po '
come il fare eco presente nella conversazione italiana e francese) e viene considerato come cortese
in giapponese lasciare in sospeso la propria frase per dare la possibilità al proprio interlocutore di

121
concluderla.
Nel tentativo di analizzare le particelle di coordinazione avversativa, gli avverbi “but” e “mais”,
Béal (1993) offre la seguente spiegazione:

But =
avete detto qualcosa in merito ad X
penso che quello che avete detto non è buono (giusto/vero/corretto)
voglio dire qualcos'altro

Mais =
avete detto qualcosa in merito ad X
è una parte di quello che si può dire di X
non è tutto quello che si può dire di X
voglio dire qualcos'altro in merito ad X

Nelle ricerche di Wierzbicka (1991), sull'individuazione di un “cultural script” implicito


nell'interazione in lingua inglese, sembra essere che “ognuno ha il diritto di avere i propri
sentimenti, desideri, opinioni” (1991:83). In termini comparativi, l’analisi condotta da Wierzbicka
(1991) porta a pensare che nella cultura conversazionale anglosassone la volontà di mostrare i
propri sentimenti, desideri, opinioni da parte di un parlante è una cosa accettabile, mentre se
intendo influenzare qualcuno nella conversazione, devo prendere in considerazione il fatto che
l'altra persona ha anche il diritto di aver i propri sentimenti, desideri ed opinioni, i quali non
necessariamente devono coincidere con quelli del parlante.
A sua volta Béal (1993:103) avanza questa formulazione per interpretare il comportamento dei
parlanti francesi:

Ognuno ha il diritto di avere i propri sentimenti, le proprie opinioni, i propri desideri. Ognuno ha il
diritto di esprimere i suoi desideri, sentimenti e opinioni in modo chiaro agli altri, e se gli altri
vogliono influenzarmi dovranno difendere e giustificare i propri sentimenti, desideri ed opinioni.

Dai contributi provenienti da Béal e Wierzbicka emerge che il “cultural script” anglosassone sembra
essere quello della “non-interferenza” mentre il “cultural script” francese sembra essere quello dell'
“impegno/ prendere posizione” tra i parlanti.

122
4.4.3 Caratteristiche di queste due attitudini culturali

Secondo Béal (1993), Il verbo francese “s'engager” con il significato di “ impegno” e\o
prendere posizione” rendendo pubbliche le proprie opinioni e difendendole se necessario durante
l’interazione verbale, esprime molto bene le caratteristiche culturali della conversazione nella
comunità linguistica francese. Per dimostrare questa analisi, Béal sostiene che nella stessa vita
quotidiana, la parola “s'engager” viene incoraggiata ad ogni occasione e non avere un'opinione su
un argomento o non dire chiaramente quello che si pensa non è una cosa ben vista nella cultura
francese. Per provare questo tipo di atteggiamento, Béal ha riscontrato la presenza di alcune prove
lessicali che attaccano il disimpegno nella vita quotidiana:

“donner une réponse de Normand”; “ménager la chèvre et le chou”; “ne pas vouloir se mouiller”.

Nella conversazione francese, Kebrat-Orecchioni (2000) e Béal (1992, 1993) sostengono che
l'affermazione vigorosa dei propri punti di vista, lo scontro delle convinzioni e degli interessi fanno
parte dello svolgimento normale dell'interazione. La nozione di consenso non gode di ottima
reputazione nel contesto culturale francese perché implica passare sotto silenzio determinati aspetti
della questione con la conseguenza di non difendere fino in fondo la propria opinione, accettando di
fatto la restrizione operata dal gruppo sull'individuo.
Da canto suo, secondo Wierzbicka (1991), la cultura conversazionale anglosassone non condivide
questi valori perché le persone che prendono posizione in modo molto chiaro sono viste come un
po' ridicole e rischiano di prendere dei rischi inutili visto che la tendenza generale vuole che si
presenti le proprie opinioni con prudenza e in modo non impositivo verso gli altri. La logica
culturale, intesa come gerarchica preferenza nella conversazione, per usare le parole di Gumperz
(1989), è di mantenere una certa riserva, di fare attenzione di non intromettersi negli affari degli
altri come recita l'espressione “It's none of my business”, “I don't want to know”. Nel “cultural
script” anglosassone la persona che prende un “impegno” si trova nella posizione di rivelare agli
altri i propri sentimenti, le sue emozioni e tale comportamento infrange secondo il lavoro di
Wierzbicka (1991) un'altra logica della società australiana, vale a dire di non essere “emotional”
durante l'interazione. Secondo Wierzbicka (1991), questo termine detiene una connotazione
negativa nella cultura anglosassone dove viene disapprovata la dimostrazione in pubblico delle
proprie emozioni. Queste due attitudini, secondo Béal (1993), possono aiutarci nella spiegazione di

123
un insieme più ampio di strategie conversazionali: i francesi si impegnano cercando con
l'interlocutore la parola giusta, concludendo la frase dell'altro parlante, interrompendo, cominciando
le frasi con “mais”, utilizzando spesso le parole “moi, je, en fait”. Nel caso degli australiani,
notiamo una tendenza “non-committal” ossia una preferenza per fare finire l'altro di parlare, di
rispettare l'autonomia dell'altro, non prendere rischi, cominciare le frasi con “well”, proteggersi
dalle obbiezioni. Questa attitudine australiana, e in modo particolare anglosassone, rientra
ampiamente nel quadro teorico della cortesia negativa ideato da Brown e Levinson (1987), in cui si
protegge la propria faccia e il proprio bisogno di autonomia dagli altri. Allo stesso tempo, si nota
come l'attitudine francese utilizzi un’altra logica spiegabile tramite una “pretesa solidarietà” che
rientrerebbe nella cortesia positiva dato che il prendere posizione necessita il coinvolgimento
dell'altro parlante.
Alcuni intervistati francesi da parte di Béal (1993) hanno sostenuto che tra francesi quando si ha
qualcosa da dire bisogna dirlo anche se c'è il rischio di perdere la faccia perché perdere la faccia tra
francesi sarà considerato come qualcosa di momentaneo, mentre nel contesto anglosassone la
perdita di faccia sembra essere un fenomeno con conseguenze più definitive tra i parlanti.
Di conseguenza in Francia, secondo Béal, si preferisce una persona sincera in termini di massima di
qualità (Grice, 1975) anche se questa attitudine ci porta a perdere la faccia momentaneamente: la
nozione di salvare la faccia, nel contesto francese, si colloca nella considerazione generale che gli
altri hanno di me e questa considerazione non viene modificata immediatamente durante
l'interazione. Secondo Béal (1993) sarà più produttivo perdere momentaneamente la faccia
riconoscendo i propri torti per conservare una buona immagine a lungo termine. In questo caso,
nell'immediato prevale un'altra norma nel “cultural script” francese, vale a dire la franchezza.

4.4.4 La franchezza contro il tatto come “cultural script”

Secondo Béal (1993) la franchezza come corollario inevitabile per prendere posizione prevale
sulle considerazioni per la faccia altrui nel contesto culturale francese. Ad esempio, per Béal (1993)
l'espressione francese “ trop poli pour être honnête” non trova equivalente in lingua inglese
rappresenta in termini di evidenze lessicali (Wierzbicka, 1991) un indicatore della presenza di un
altro “cultural script” all'interno della comunità dei parlanti francofoni. Nel lavoro di Béal vediamo
come le espressioni idiomatiche francesi abbondino nel celebrare le virtù della franchezza: “on se
livre, on joue cartes sur table, on dit le fond de sa pensée”. L'interlocutore a sua volta è nell'obbligo
di “savoir où on en est” oppure “ a horreur d'être ménagé” e si diffida di una persona che “garde son
quant à soi” o “ dont on ne sait pas ce qu'il a dans le ventre”.

124
Béal offre come spiegazione l'analisi secondo cui nella comunità dei parlanti francofoni si ha
l'impressione che l'uso del tatto sia pericoloso e che sia un elemento che prima o poi bisognerà
pagare all'interno della conversazione. Questa attitudine viene interpretata in questo modo da Béal
(1993: 109):

in genere è una pessima cosa di dire quello che non è vero


qualcosa di brutto può accadere quando si fa questo

Invece per Wierzbicka (1991), la cultura anglo-americana sembra avere un approccio realista nella
sua attitudine nei confronti della verità paragonata alla cultura europea, dove la nozione di “white
lie” non trova equivalente in tedesco, francese, italiano e polacco.

Il prendere parte e la franchezza nei parlanti francofoni fa parte di una concezione più ampia della
“persona”(Duranti, 2007), la quale si rifà alla nozione di onore secondo il lavoro di Iribarne (1989)
la “logique de l'honneur”, dove si spiega come i francesi abbiano conservato una mentalità di tipo
corporativista, in altre parole “i doveri e i privilegi caratterizzano l'identità di ogni gruppo”. L'onore
risiede quindi nell'idea che la persona si fa del suo posto e del suo ruolo nel contesto lavorativo
francese ed è intimamente legato alla fierezza del proprio rango e dal timore di deludere le
aspettative. Secondo Iribarne (1989), il proprio onore non deve abbassarsi, avvilirsi o piegarsi ma
non può neppure sottrarsi ai propri doveri e deve accettare di sottomettersi all'autorità, la quale deve
essere esercitata da chi “ est plus noble que soi”, vale a dire che tale autorità deve essere esercitata
da una persona più esperta e competente di me.
Questa visione della “persona” descritta da Iribarne (1989) si trova in sintonia con Béal (1993) a
proposito di alcune strategie conversazionali presenti nel “cultural script” francese: ad esempio,
l'entrare subito nel vivo della discussione non costituisce un problema dato che siamo tra persone
che “sono qui per questo” e che svolgono la loro funzione; le discussioni possono essere molto forti
perché si ha coscienza di rappresentare qualcosa di più del solo interesse immediato ma stiamo
parlando per rappresentare un insieme di principi.
Nel caso degli australiani, secondo Wierzbicka (1991) le persone sono fondamentalmente uguali e
le persone restano delle persone a prescindere dalle loro funzioni. Nel contesto culturale austrialiano
non viene conferito rispetto in modo aprioristico per la gerarchia e per le persone con titoli di studio
(Béal, 1992). In Wierzbicka (1991) questo ideale egualitario si ritrova nelle strategie
conversazionali in cui non si vuole correre il rischio di dire o di fare qualcosa che possa dare

125
l'impressione che si sappia di più degli altri, mostrando di sentirsi superiore all'interlocutore.
Queste differenze culturali, sul piano delle strategie conversazionali, sono raramente percepite come
dei veri e propri malintesi ma vengono percepite piuttosto come forme momentanee di disagio, di
fastidio e di irritazione verso il parlante appartenente ad un'altra comunità di parlanti ( Wierzbicka,
1991, Béal, 1993, Kebrat-Orecchioni, 2002).
Queste diverse strategie conversazionali vengono interpretate usando il proprio “cultural script” di
lettura, vale a dire attribuendo all'altro parlante le intenzioni che si attribuirebbero per sé se ci
comportassimo nello stesso modo. Secondo i lavori di Gumperz (1989), nella conversazione non è
importante quello che si dice inteso come atto locutorio (Austin, 1962), ma piuttosto conta
l'intenzione nel quale si è detto, vale a dire con quali effetti ricercati sull'interlocutore si è detto una
certa cosa in termini illocutori. Da questi errori comunicativi, i parlanti compiono delle conclusioni
di tipo psicologiche: ad esempio sulla personalità dell'altro e sui tratti nazionali di quella persona.
L'analisi contrastiva, in termini più generali, secondo Kebrat-Orecchioni (2002) può aiutare a capire
meglio i valori di ogni cultura ma deve utilizzare il concetto di cultura come spiegazione delle
differenze conversazionali in modo rigoroso, senza dimenticare di comprendere le ragioni politiche
e storiche soggiacenti a determinati valori culturali.

4.5 La cultura come “massima interazionale” nel caso dei parlanti cinesi ed australiani

Nel campo della linguistica, un modo frequente di analizzare il termine di cultura è stato quello
offerto dal modello di cortesia pensato da Leech (1983) con i “Principi di cortesia” suddivisi in sei
massime69 integrate nel quadro del Principio di cooperazione di Grice 70. Secondo Leech (1983),
queste massime riflettono le norme che le persone sembrano seguire nella gestione dei rapporti
interpersonali e in modo particolare ha sostenuto che le massime di cortesia variano d'importanza da
cultura a cultura esemplificando con il caso della massima di modestia capace di aver un peso
maggiore in Giappone mentre la massima dell'accordo ha un peso maggiore in Inghilterra. In
sintonia con la visione di Leech della cortesia, abbiamo un lavoro compiuto da Yeung (2000) a
69
Le massime della cortesia di Leech (1983) vengono suddivise in questa maniera: la Massima del Tatto, la Massima
di Generosità, la massima di Approvazione, la massima di Modestia, la Massima dell'Accordo e la Massima di
Simpatia.
70
Le massime conversazionali di Grice, dette anche “Principio di Cooperazione” sono organizzate in questo ordine: la
massima di Quantità ( sii informativo quanto basta); la massima di qualità ( non dire cose che consideri come false o
inadeguate); la massima di relazione (sii rilevante); e la massima di maniera ( sii breve, ordinato, evita l'ambiguità e
l'opacità nelle tue espressioni).

126
proposito del “cultural script” presente tra cinesi ed australiani durante la produzione del
disaccordo. In questo studio di Yeung (2000), la massima di accordo viene collegata direttamente
alla produzione dell'atto linguistico del disaccordo. Per Yeung (2000) la sua tesi è che nella struttura
comunicativa cinese il valore culturale dell'armonia riveste un peso notevole dimostrato dal peso
attribuito alla massima di accordo di Leech (1983). Per dimostrare ciò, Yeung (2000) utilizza le
costrizioni conversazionali di Kim (1994: 121), adoperate anche da Spencer-Oatey (2000), le quali
sono fondate su questi principi:

− la chiarezza
− l'effettività
− il non ferire i sentimenti degli altri
− la minimizzazione dell'imposizione
− evitare le valutazioni negative sul proprio ascoltatore.

Il contesto sociale e il suo ruolo nell'interazione tra i parlanti influenzano sia l'applicazione delle
costrizioni conversazionali ideate da Kim (1994) sia la stessa nozione di contesto. In uno studio
precedente di Wish, Deutsch e Kaplan (1976) sono stati identificati vari fattori contestuali legati
all'uso linguistico, ed in modo particolare si è analizzato la concezione delle persone delle relazioni
interpersonali e sono giunti a quattro dimensioni per interpretare questa visione delle relazioni
interpersonali:

1. Cooperativa e amichevole / competitiva e ostile


2. di tipo egualitaria/ non egualitaria
3. intensa/ superficiale
4. socio-emotiva/informale – orientato ad un obiettivo/formale

Le dimensioni identificate da questi studiosi possono essere unite con i concetti linguistici dando
vita a questo genere di corrispondenza:

− regolarità/da copione – apertura: si tratta di attività comunicative che possono essere molto
regolate ed altre maggiormente aperte.
− Visibili (con pubblico) – private, vale a dire situazioni legate al numero di partecipanti;
− socio-emotivo - orientato ad un compito: attività comunicativa legata ai concetti linguistici

127
della funzione “interazionale” v “ transazione” della lingua.
− cooperativa- competitiva, vale a dire situazioni legate al tipo di rapporto.
− intense – superficiale, ossia attività legate agli scopi e alla loro importanza per le persone
coinvolte nell'attività comunicativa.
La nozione di “script” risiede nel modo in cui le “regole” o le massime di comportamento sociale
sono collegate alle situazioni. Nel lavoro di Yeung si lavora sul “cultural script”(Wierzbicka, 1991)
del disaccordo e si tenta di spiegare il rapporto tra essere indiretti nella comunicazione e la
dipendenza alla situazione in rapporto alle massime di costrizioni ideate da Kim (1994).
Yeung (2000) parte definendo il “disaccordo” come la non accettazione da parte di un partecipante
all'interazione della proposizione precedentemente affermata dall'altro interlocutore ( Sornig, 1977).
Questa definizione del disaccordo, utilizzata da Yeung (2000), ricopre le interazioni dove il
disaccordo viene comunicato in modo esplicito con formule linguistiche del tipo “ no, ma, sono in
disaccordo” mentre in molti casi il disaccordo viene espresso in maniera implicita, ossia il “come” il
disaccordo viene comunicato è determinato da una serie di fattori presenti dentro l'interazione: il
primo fattore è spesso il principio di cooperazione di Grice (1975), la diversa realizzazione
culturale delle massime di Kim (1994) e dal modo nel quale queste massime sono
convenzionalmente associate con particolari espressioni linguistiche. Dato questo quadro
concettuale, Yeung (2000: 225) prova ad evidenziare le regole dei parlanti dei parlanti cinesi in
termini di “cultural script” quando esprimono un disaccordo all'interno di un incontro d'affare in
questi termini:

è più importante far emergere dei suggerimenti, opinioni costruttive piuttosto che mostrare rispetto
per lo status più elevato degli altri, anche se questo significa esprimere un disaccordo.

Invece per i parlanti australiani secondo Yeung (2000: 225) nell'esprimere il disaccordo nell'ambito
di un incontro d'affare seguono la seguente regola:

è importante la non espressione del disaccordo con un superiore anche se questo significa non
esprimere le proprie opinioni.

Nella ricerca di Yeung (2000), appare che la differenza nel comunicare il disaccordo tra parlanti
australiani e cinesi risulta nel fatto che due parlanti su tre cinesi ha espresso il disaccordo con
marcatori di contrastività e negatività come “but or no” e solo un quarto a espresso il suo disaccordo
esprimendo delle opinioni diverse, dei fatti contrari, dubbi e perplessità. Invece i parlanti australiani

128
hanno adoperato la struttura linguistica “yes, but”, dando conferma ad uno “script” per esprimere il
disaccordo che vede il riconoscimento delle opinioni degli altri, indicando soltanto di essere in
disaccordo soltanto con alcune parte di quello che è stato precedentemente affermato.
La parola “yes”indica l'accordo generale espresso dal parlante verso l'altro interlocutore, mentre il
significato di “but” rappresenta un rifiuto delle aspettative dell'altro parlante. Dicendo 'yes, but...' il
parlante comunica qualcosa di questo tipo:

“a prescindere dal mio accordo generale con le tue vedute, ci sono alcune
conseguenze/conclusioni/implicazioni con le quali sono in disaccordo con loro”

Nel caso dei parlanti cinesi viene riscontrata una tendenza ad esprimere delle domande retoriche nel
contesto dove appare evidente essere in contraddizione con il loro parlante. Questa domanda
retorica risulta un utile dispositivo comunicativo per il proprio interlocutore perché offre un indizio
per far emergere in modo diverso la sua opinione.
Questo lavoro parte dall'ipotesi dove la massima dell'accordo è prevalente nella cultura cinese in
una prospettiva globale di “evitare il disaccordo”, ma tale ipotesi non troverà un effettivo riscontro
nella ricerca condotta da Yeung (2000). Pertanto queste osservazioni ci portano a considerare questo
“cultural script” piuttosto come una interpretazione generale della comunicazione e non come un
criterio da applicare sistematicamente per ogni tipo di interazione.
L'aspetto interessante in Yeung (2000) è l'utilizzo della nozione di “script” come strumento
metodologico per comparare le culture, utilizzando le costrizioni conversazionali di Kim (1994) e
gli elementi contestuali forniti dai lavori di Wish, Deutsch e Kaplan (1976). L'aspetto produttivo del
“cultural script” unito alla nozione di “ethos”(Wierzbicka, 1991, Béal, 1992) consiste in una
comprensione delle varianti dei ruoli delle persone e di come vengono concettualizzati nelle
differenti culture adoperando le varie massime conversazionali.
Tale approccio dovrebbe consentire di teorizzare sul “come” le culture influenzano i ruoli sociali e
l'impiego delle massime conversazionali. Nel caso specifico di Yeung (2000), è importante capire
come viene realizzato culturalmente il principio conversazionale dell'essere indiretto e non soltanto
limitarsi a registrare la presenza della formula linguistica “yes, but” per gli australiani e l'uso della
“domanda retorica” da parte dei cinesi.

129
4.6 Analisi delle forme linguistiche per “essere indiretti”

Nello studio di Yeung (2000) sulla segnalazione del disaccordo tra parlanti cinesi ed
australiani emerge che le forme linguistiche per manifestare l' “essere indiretti” sono rappresentate
nel seguente modo: uso di domande, la presenza di avverbi di gradualità come “qualcosa”,
“piuttosto”, “abbastanza”, l'assenza del pronome di prima persona al singolare, la tendenza a
riconoscere anticipatamente il punto di vista dell'altro, la ripetizione delle affermazioni dell'altro
parlante e l'uso di domande retoriche. Yeung (2000) definisce come comunicazione di tipo indiretta
la scarsità di elementi noti presenti in una data interazione rendendo tale definizione facilmente
collegabile con la nozione di “high context” di Hosftede (1997), mentre la comunicazione diretta
sembra risiedere in una interazione percepita come nota dalle altre persone presenti in quel contesto,
in sintonia con la nozione di “low context” di Hosftede (1997).
Partendo da questa definizione della comunicazione indiretta, la “domanda retorica”cinese per
evidenziare il disaccordo sembra per Yeung (2000) più indiretta della strategia linguistica del “yes,
but” australiano poiché sembra essere valida soltanto in una particolare interpretazione della
comunicazione. Invece la realizzazione del disaccordo con la formula “yes, but...” enuncia in modo
esplicito che in primo luogo riconosco il punto di vista del mio interlocutore e in secondo momento
sono in disaccordo con alcuni presupposti enunciati precedentemente dall'interlocutore.
Da tenere sempre ben presente, come viene sottolineato da Traverso (2001), l'impossibilità di
trovare due comportamenti linguistici perfettamente uguali per realizzare una certa azione
linguistica. Ad esempio, le forme linguistiche come “ can you...” e “could you” rappresentano degli
indici convenzionali di comportamento linguistico anche quando non sono adoperati all'interno di
un enunciato di tipo interrogativo. Secondo Wierzbicka (1991) queste forme non indicano niente
della cortesia di un parlante quanto piuttosto il fatto di aver aderito a una convenzione sociale
presente dentro la comunità dei parlanti anglosassoni. Allo stesso tempo, Wierzbicka (1991) fa
notare come la convenzionalità di una forma linguistica ha delle conseguenze dirette sullo studio
della produzione dell'“essere indiretto” perché più un'espressione è fortemente convenzionalizzata
di tipo “ indiretto”, meno indiretta sarà la comunicazione del messaggio. La ragione di tale
comportamento è da ricercare nel fatto che se una espressione è diventata un modo convenzionale
di comunicare il disaccordo, allora ci saranno abbastanza evidenze per capire che il parlante stia
osservando una norma sociale appropriata dal punto di vista del comportamento linguistico. In tali
circostanze, in accordo con Wierzbicka (1991) possiamo sostenere che la forma linguistica definita
come “indiretta” e le convenzioni linguistiche sono molto importanti nelle “implicature

130
conversazionali” (Grice, 1975) di descrizione e di spiegazione della comunicazione indiretta
attraverso la comparazione delle culture.

4.7 La cultura come variante esplicativa nella comunicazione

Nel lavoro compiuto da Sperber e Wilson (1995) sulla massima di pertinenza introdotta da
Grice (1975) nella comunicazione, la cultura viene caratterizzata come un sistema di
rappresentazioni culturali, ossia un tipo particolare di “meta-rappresentazione”, vale a dire una
rappresentazione della rappresentazione. Questa rappresentazione è una credenza in merito ad
un'altra rappresentazione mentale, la quale ha cominciato a diffondersi attraverso un dato gruppo
sociale per un periodo di tempo abbastanza significativo. Queste rappresentazioni per Sperber e
Wilson (1995), possono essere elementi intangibili, come ad esempio: la nostra rappresentazione
dell'amicizia oppure la rappresentazione del matrimonio, nel quale sono coinvolte delle credenze in
merito ai doveri e ai diritti reciproci che entrano a far parte della relazione, e queste credenze sui
diritti e doveri sono differenti nelle varie culture (Spencer-Oatey, 2001).
Nel lavoro di Sperber e Wilson (1995), la cultura viene considerata come lo studio di un virus
epidemico che si diffonde con la propagazione delle meta-rappresentazioni di credenze locali su
determinati oggetti e comportamenti presenti nella società. Questo approccio intende la cultura sia
come costrutto sociale così come individuale perché interpreta la cultura come un “virus”72 inserito
nelle menti delle persone, tramite delle infezioni presenti nella mente e nel corpo, ma allo stesso
tempo queste rappresentazioni mentali sono rappresentate in modo ampio all'interno di un dato
gruppo di parlanti. La distribuzione delle rappresentazioni culturali, per Sperber e Wilson (1995),
viene offerta cercando di analizzare l'interazione o la comunicazione tra le persone e il loro
ambiente. Questo concetto di cultura permette di analizzare gruppi culturali anche più piccoli
all'interno di culture più ampie, senza dimenticare che non tutti i membri di una cultura condividono
le stesse rappresentazioni culturali. L'approccio alla cultura di Sperber e Wilson (1995) si focalizza
maggiormente sulle regolarità culturali legate ai seguenti temi:

- Orientamento alla vita e alle credenze

- valori e principi

72
Sperber e Wilson nel libro del 1995“Relevance: Communication and Cognition “ utilizzano la metafora del virus
tratta dal lessico epidemiologico per definire il concetto di cultura.

131
- percezione del ruolo nelle relazioni, con l'inclusione dei “diritti e doveri” associati con loro

- comportamenti ritualizzati, convenzioni e routine nel quale viene utilizzato il linguaggio

- varie norme e convenzioni di comunicazione

- istituzioni di tipo formali come il sistema legale, politico e educativo, come la lettura di gruppo di
poesie, una festa o frequentare un club.
Queste regolarità o differenze culturali, in termini di rappresentazioni culturali, vengono distribuite
in modo diverso tra le comunità dei parlanti, secondo Sperber e Wilson (1995), con la conseguenza
in termini di “aggiustamento” duranti gli incontri interculturali.

4.7.1 Alcuni assiomi sulla cultura e sulla “cosa culturale”

Nel lavoro di Sperber e Wilson sulla teoria della pertinenza (1985, 1995) vengono elencati
alcuni assiomi in merito alla nozione di cultura e di “cosa culturale” che riportiamo fedelmente in
questo elenco:

A. La cultura non consiste soltanto di oggetti fisici.


B. La cultura riguarda rappresentazioni fisiche e mentali del mondo.
C. Soltanto quelle rappresentazioni stabili e condivise dai membri del gruppo sociale possono
definirsi come “cultura”.
D. La cultura distingue un gruppo sociale da un altro gruppo sociale.

In seguito, viene compiuto un altro passaggio che spinge un elemento tangibile o intangibile a
diventare una “cosa culturale” all'interno di un gruppo di persone:

E. alcune cose per diventare “cose culturali”hanno bisogno di essere rappresentate mentalmente.

F. alcune persone devono formare delle credenze a proposito di queste rappresentazioni di cose.

G. queste credenze hanno bisogno di essere condivise da un numero consistente di persone per un
certo periodo di tempo.

132
4.7.2 Il concetto di “script” per analizzare la cultura

Il concetto di “script”, come abbiamo visto in Wierbicka (1991), ricopre una grossa
importanza per l'analisi della comunicazione cross-culturale perché permette di cogliere la credenza
locale presente tra quei parlanti su un determinato evento linguistico. Da qui la premessa che nelle
situazioni di comunicazione interculturale, questa non condivisione aprioristica della stessa cornice
potrebbe essere fonte di problema durante l'evento linguistico. I lavori di Wierbicka (1991, 1995)
pongono questo strumento del “cultural script” per analizzare i valori impliciti interiorizzati come
meta-rappresentazioni (Sperber, 1995) soggiacenti all'interno della comunicazione. Nel lavoro di
Sperber, viene citato come esempio di schema mentale 73 la parola “università”, la quale attiva il
nostro sapere su chi va all'università, perché la gente si reca in quel posto, che tipo di vita gli
studenti hanno all'università, dove vivono, come vivono, dove studiano.
Quando sentiamo la parola “università”,in accordo con Sperber (1995), affermiamo che lo schema
mentale di “università” viene attivato e tutte le inferenze presenti ed immagazzinate in questo
schema diventano salienti per noi in termini di rappresentazioni mentali durante l'atto comunicativo.
Ad esempio, se parliamo di un giovane di 18 anni, il nostro script ci indicherà che l'università per
essere completata necessita di alcuni anni, bisognerà superare degli esami, fare dei compiti scritti e
probabilmente altre forme di “verifiche”; studiare all'università significa anche vivere vicino
all'università per facilitare la frequenza dei corsi e di altre forme di presenza all'interno
dell'università. Quindi nel caso di un giovane di 18 anni, la nostra inferenza si concentrerà sul fatto
che questo giovane andrà all'università per avere una laurea, dovrà vivere probabilmente fuori dalla
sua città e dalla sua casa di famiglia, e soltanto dopo questi anni di studio otterrà il titolo di
“dottore” nella sua materia di studio.
Questo esempio mostra bene come il “cultural script”sia una credenza in merito ad una
rappresentazione mentale, la quale è diventata molto diffusa tra la popolazione di un dato gruppo
umano.

73
Sperber e Wilson utilizzano in modo sinonimico la parola schema mentale e cultural script nel lavoro dedicato alla
teoria della pertinenza (1995)

133
4.8 L'esempio di un elemento culturale nella comunicazione

Partendo da un lavoro proveniente da Richerson, Boyd, Henrich (2003) incentrato sul binomio
tra comunicazione e cultura vengono enunciati alcuni principi utili per collegare le differenze
culturali all'interno dei meccanismi della comunicazione. Il punto di partenza è la definizione della
comunicazione come una forma d'interazione sociale la quale implica la produzione e
l'interpretazione delle evidenti intenzioni dell'altro parlante. Nell'approccio di Richerson, Boyd e
Henrich (2003) si pone in evidenza come l'interpretazione di un atto comunicativo sia un processo
di ragionamento che comincia dall'input del segnale prodotto dal parlante e dal contesto, vale a dire
le conoscenze generali dell'interlocutore e le percezioni legate all'ambiente. In altre parole si postula
in questo lavoro che la comunicazione viene influenzata da principi generali e da alcune specificità
culturali, le quali sono più o meno standardizzate nelle proprie strategie. Tale comunicazione è resa
più facile dall'organizzazione generale della conoscenza, da cui derive il contesto, il quale viene
interpretato sulla base di strutture mentali conosciute precedentemente come “script”.
Prendiamo il caso della comunicazione indiretta come modalità effettiva di correlare la
comunicazione con il sapere contestuale fondato principalmente su aspetti culturali. Consideriamo il
seguente esempio tratto dal lavoro di Richerson, Boyd e Henrich (2003) per capire meglio come la
cultura gioca un ruolo importante nella comunicazione:

Mary: Hai fatto un buon viaggio per venire a Londra?

Peter: Si, ma ho dimenticato di pagare la tassa d'ingresso.

L'abilità di Peter, nell'interpretare la risposta di Mary, dipende dalla sua conoscenza in merito alla
“tassa d'ingresso” inteso come elemento culturale: vale a dire possedere la rappresentazione mentale
di un tipo di tasse che i cittadini motorizzati devono pagare quando vogliono entrare con la
macchina nel centro di Londra. Data questa conoscenza contestuale, Peter può implicare (Grice,
1975) che tutte le persone che hanno guidato nella zona centrale di Londra, senza aver pagato la
tassa d'ingresso, sanno di rischiare una multa. Questo esempio evidenzia come la disponibilità a
capire i presupposti contestuali richiesti per l'interpretazione di un atto comunicativo dipendono da
elementi culturali inferiti implicitamente dalla comunicazione. Per Richerson, Boyd e Henrich
(2003) questo esempio conferma che la non conoscenza di un determinato “cultural script” rischia
fortemente di compromettere l'esito felice dello scambio comunicativo.

134
Questo esempio di comunicazione può essere malinteso tra i parlanti quando non si detengono i
presupposti culturali per la comprensione del messaggio.
Spesso il malinteso viene causato dai diversi presupposti culturali in merito ad oggetti e soggetti che
rivestono un valore diverso nei differenti contesti culturali. Quindi la comunicazione indiretta
permette di capire come l'evento linguistico sia legato a funzioni sociali nella comunità dei parlanti,
le quali avvengono nel rispetto di certi comportamenti convenzionali di quella data comunità.

4.8.1 Rapporto tra informazioni e valori culturali dentro l'interazione

Nel lavoro di Richerson, Boyd e Henrich (2003), il termine “cultura” viene inteso come
informazione capace di coinvolgere il comportamento individuale ricavato dagli altri membri della
specie umana attraverso l'insegnamento, l'imitazione e altre forme di trasmissione sociale.
Le informazioni culturali si espandono attraverso la popolazione tramite le loro interazioni, la loro
produzione, nel loro ambiente con degli eventi e oggetti che portano con sé delle informazioni che
altre persone possono raccogliere. Nel lavoro condotto da Richerson, Boyd e Henrich (2003), le
informazioni rappresentano ogni forma di stato mentale, cosciente o meno che viene acquisito o
modificato dall'apprendimento sociale influenzato dal comportamento degli altri membri della
comunità. Le informazioni sono una proprietà relazionale astratta e il loro potere è legato alla loro
distribuzione tra la popolazione, in termini di propagazione di immagini e di stati mentali come
sostenuto da Sperber (1995). Le rappresentazioni mentali sono molto importanti, anche per
Richerson, Boyd e Henrich (2003), per capire il termine “cultura” intesa come la diffusione felice di
un'informazione meta-rappresentata all'interno di una comunità. Il passaggio successivo di questo
lavoro è di capire come possiamo distinguere la formazione di rappresentazioni che otterranno
successo diventando fenomeni culturali da quelle che rimarranno confinate all'ambito personale.
Per compiere questo passaggio, Richerson, Boyd e Henrich (2003) fanno ricorso alla teoria degli
schemi culturali, rappresentati come delle strutture concettuali, che permettono ad un individuo di
conservare le informazioni percettive e concettuali della sua comunità linguistica, e di fare delle
interpretazioni sull'esperienza e sulle espressioni culturali di altri gruppi di parlanti. Data questa
premesssa, Richerson, Boyd e Henrich (2003) propongono una lista di valori culturali come esempi
ricavati dal comportamento linguistico durante delle attività conversazionali:

A. Le relazioni sono più importanti dei risultati.


B. La realtà interpersonale emerge all'esterno in più di un modo.
C. Le cose che sono incontrollabili e inconcepibili sono abbastanza ampie.

135
D. Le cose possono andare male o peggio ad ogni momento.
E. Non bisogna aver fiducia nei metodi obiettivi di analisi e di causalità.
F. Esiste una tendenza a dare una importanza alla valutazione etica.

Questi valori culturali, presentati in questo lavoro da Richerson, Boyd e Henrich (2003),
rappresentano un ulteriore modello di comprensione dei fatti culturali all'interno dei comportamenti
linguistici e che pertanto potrebbe trovare una sua applicazione durante l'interpretazione dei vari
materiali audiovisivi incentrati sull'interpretazione del disaccordo in chiave sociopragmatica
( Brown e Levinson, 1987; Kebrat-Orecchioni, 1992, 2002; Spencer-Oatey, 2000) con l'ausilio della
nozione di persona (Duranti, 2007) presente in un dato evento linguistico ( Hymes, 1972).

136
5. La nozione di persona nel progetto etnopragmatico di Duranti

5.1 Elementi preliminari sulla nozione di persona

All’interno del lavoro di Duranti intitolato “Etnopragmatica” (2007) così come all'interno di
questa ricerca, il concetto di “persona” rivestirà un ruolo centrale collocandosi all'intersezione di
alcuni ambiti disciplinari. Negli ultimi anni, la classificazione e l’individualizzazione della
“persona” è al cuore degli interessi delle scienze sociali. Tale nozione riveste un notevole interesse,
in termini comparativi, per chi intende lavorare nell'ambito della pragmatica cross-culturale perché
dovrebbe permettere di stabilire una relazione feconda tra cultura, struttura sociale e gli usi
linguistici. Dal punto di vista linguistico, la lingua offre l'accesso alle varie modalità di riferirci ad
una “persona” all’interno di una comunità linguistica, mentre sul piano pragmatico, la finalità è di
cogliere il “senso” conferito a questa persona tramite le scelte linguistiche effettuate dagli altri
parlanti. Un primo elemento, da prendere in considerazione, sono le tante modalità offerte dalla
lingua ad un parlante per riferirsi e conferire “senso” ad un'altra persona. Possiamo prendere
qualche esempio con alcune formule allocutive per identificare una persona: dal semplice nome
come “Laurie”, oppure l'uso del nome e cognome come “Serena Edwards”, il titolo più il cognome
“Miss Hallman” oppure l'uso del titolo “Monsieur” con o senza il cognome o con le varie funzioni
ricoperte da quella persona. Possiamo anche incontrare dei titoli di parentela come “Mommy” o
“granny” (nonnina). Una possibilità più complessa è rappresentata dalla triangolazione del termine
di parentela con un’altra persona: come per esempio il marito di Susanna, il padre di Laurie. Altre
descrizioni possono essere realizzate indicando un luogo di riferimento per ancorare una persona,
come ad esempio “ quel tipo che fa la pubblicità”oppure possiamo incontrare dei nomi e delle
descrizioni che vengono combinate insieme, ad esempio “ Laurie, quella della nostra classe”,
oppure “ quel pazzo di Dan ” dove viene usato un descrittore come elemento di estensione e la
contrazione viene adoperata come diminutivo del nome di battesimo di “Daniele”. La prospettiva
cross-linguistica, intende verificare la presenza di specificità di tipo culturali per categorizzare e
nominare le persone, e queste stesse specificità possono mettere in risalto una modalità particolare
di riferimento ad una persona all’interno di una data comunità di parlanti. Secondo Brown e

137
Levinson (1987) esisterebbero forti elementi per mantenere una visione “universalista” di
riferimento alla persona, suggerendo in qualche modo una fondamentale condivisione
nell'organizzazione e nell'interazione sociale della vita umana. La mia prospettiva di lavoro intende
sfidare questo approccio avvalendosi dei lavori di Duranti (1992, 2007), in cui la nozione di persona
viene intesa come modalità di essere “con e per gli altri” portandoci a chiedere quale sia la nozione
di persona che viene fuori “con e per gli altri” nel dibattito mediatico tra parlanti italiani e francesi.

5.1.1 Identificazione e categorizzazione degli individui

Molte ragioni spingono Duranti (2007) a pensare che il riferimento alla persona sia un
fenomeno fondamentale nell'intersezione tra il linguaggio e la struttura sociale. Nella dimensione
sociologica, tutte le forme di analisi della socialità si rifanno nella distinzione presente tra gli
individui, in modo tale da ottenere un ruolo sociale distintivo. Oltre a ciò, il sistema sociale può
lavorare nell'assegnazione delle persone a categorie assolute ( “contadino” vs “ re” ad esempio)
oppure di tipo relazionale come (ad esempio “senior” vs “junior”). Queste distinzioni sono riflesse
nelle pratiche linguistiche con l’uso dei nomi ( Mary, Rose) per alcune persone, mentre per altri
vengono usati i ruoli come “ bambino, postino” oppure dei termini relazionali come “ zio, figlia,
leader”. Nell'ambito cross-culturale, queste distinzioni possono essere soggette a realizzazioni
differenti perché nelle diverse comunità di parlanti esistono modi diversi di agentivare 74 una
persona. Kebrat-Orecchioni (1995) sostiene che abbiamo a nostra disposizione varie possibilità di
categorizzare le persone ma che non sono tutte equivalenti poiché possono instaurare relazioni
diverse con lo stesso interlocutore. Kebrat-Orecchioni (1995), oltre a sottolineare come questi
allocutivi diventino “reali” soltanto all'interno di un discorso, ci fornisce anche alcune forme
allocutive presenti nel contesto francese che ritroviamo anche in un lavoro di Maingueneau (1981):

a. I nomi di persona ( cognome, nome, diminutivi o sopranome)


b. Le forme “monsieur/madame/mademoiselle” da intendere come termini di allocuzione “passe-
partout” in ambito non famigliare
c. I titoli: i titoli possono essere ereditati ( titoli di nobiltà) o conferiti “capitaine”, “chef”, “patron”,
“Maitre”, e hanno sempre un valore onorifico
d. I nomi di professione e di funzione: “taxi”, “chauffeur”, “garçon”, “maçon”, “électricien”
e. I termini relazionali: termini di parentela “papa”, “grand-mère”, “oncle”, “cousin” ma anche delle

74
In Duranti (2007) il termine agentività significa il nostro controllo sulle nostre azioni e parole, le quali hanno un
riscontro sulle altre persone in termini di valutazione, ossia il “fare” deve essere “efficienza” sulle cose.

138
espressioni come “ cher collègue”, “mes chers compatriote”, “cher amis”, “camarade”.
f. I labels, ossia una catalogazione dell'interlocutore e hanno un carattere improvvisato e
occasionale: “la blonde”, “le gros”, “le pull vert”, “la clope”.
g. I termini affettivi, con valori negativi ( “ du con”, “ salut connard” oppure positivi “ ma belle”, “
ma cherie”, “ mon ange”, “mon chou”, “mon lapin”.

Kebrat-Orecchioni (1995) mostra che queste forme allocutive sono poste in combinazione
con articoli, possessivi, oppure combinati tra di loro come in “ Monsieur le Premier ministre”,
“madame la juge” ma soprattutto pone la questione della frequenza della presenza degli allocutivi in
funzione del genere interazionale.

5.1.2 Dall'individualizzazione al riferimento: I nomi e le descrizioni

Secondo Duranti (2003), un elemento significativo nell’affrontare la nozione di “persona” è


la possibilità offerta dal linguaggio di dislocarsi, vale a dire di parlare di persone che non sono
presenti in quel momento. Duranti (2003)sostiene che le lingue offrono essenzialmente due
modalità per fare questo tipo di operazione, ossia i nomi e le descrizioni. Duranti fa l'esempio del
nome “Georges Washington” dove notiamo che il nome non è di tipo composizionale ( non descrive
la persona) mentre il riferimento è ottenuto tramite un collegamento convenzionale diretto tra
l'individuo e il nome.
Searle (1958: 591) a proposito della descrizione di una persona, ha parlato dell'unicità e
dell'immensa convenienza pragmatica di avere dei nomi propri nelle lingue naturali perché
permette di riferirci pubblicamente all'oggetto senza essere costretti a raggiungere un compromesso
o un accordo sulle caratteristiche esatte che costituiscono l'identità dell'oggetto. Quindi il nome
proprio è una condizione necessaria per isolare le funzioni referenziali dalle funzioni descrittive del
linguaggio. Dal punto di vista cross-culturale, l'uso del nome proprio per identificare una persona
sembra universale, ma potrebbe non avere le stesse qualità nelle varie culture, ovvero potrebbero
essere dei verbi o delle intere frasi e non dei nomi (Duranti, 2003). Quindi il nome personale potrà
essere universale soltanto sotto l'ampia nozione di 'famigliare somiglianza' secondo il pensiero di
Wittgenstein (1953). In antropologia linguistica (Duranti, 2001) si è posto in evidenza come un
meccanismo molto importante nell’identificazione di una persona sia la distinzione tra modi di
formulare il nome in modo marcato e non marcato: il modo non marcato è quello che viene
adoperato regolarmente per compiere un’identificazione standard ad esempio “ ciao Pietro”, al

139
contrario dire la stessa cosa in modo diverso ad esempio “ciao Manager” diventa un modo marcato
di agentivare una persona. L'elemento di marcatezza nella realizzazione di due atti linguistici
differisce pertanto per la presenza di qualche elemento di extra specificazione.

5.1.3 Preferenze per il nome proprio come forma di riconoscimento sociale

Secondo Duranti (2003) le lingue differiscono nel genere di espressioni usate per il
riconoscimento non marcato delle persone durante le interazioni verbali.
Per esempio, Heritage ( 1978) ha dimostrato che realizzare il riconoscimento è strettamente
collegato con il principio di realizzazione dell'intersoggettività (Duranti, 2007) sostenendo che
quando il riconoscimento non è raggiunto, i parlanti tendono a bloccare la progressione del turno
con lo scopo di raggiungere il riconoscimento dei parlanti. Secondo Duranti (2003), un elemento di
comunanza nella comparazione tra lingue e culture è vedere come i parlanti lavorino per realizzare
il riconoscimento durante l’interazione verbale, anche quando questo comporta un indugio nella
progressione dell'interazione. Le lingue possono differire nell'uso non marcato del riferimento alla
persona tramite un nome o un termine di parentela. L'uso del nome sembra essere la soluzione
principale, come viene evidenziato dall'uso non marcato in molte lingue e culture. Alcune
considerazioni, tratte dai lavori di Stivers, Enfield e Levinson (2007), parlano di una preferenza di
tipo universale per la minimizzazione ma che tale preferenza per la minimizzazione viene realizzata
in modo molto specifico nelle varie culture. Per esempio, due culture possono seguire insieme un
dato principio nel riferirsi alla persona mentre differiscono nei dettagli sul “come” viene espressa in
modi standardizzati. Nel riferimento ad una “persona” vengono adoperati, secondo Stivers, Enfield
e Levinson (2007), tre principi che si possono elencare in questo modo: il riconoscimento della
persona, la minimizzazione e l’associazione. Tali differenze nella gerarchia delle priorità delle varie
lingue e culture possono avere delle conseguenze nell'ambito dell'interazione.
In Stivers, Enfield e Levinson (2007) viene osservato il ruolo dei nomi intesi come veicolo di
informazioni a proposito della persona, così come il ruolo della cultura nel determinare
precisamente la quantità e il tipo di informazione presenti all'interno dei nomi. In modo particolare,
l'elemento caratteristico dei nomi sono gli attributi della persona quando non si usa il nome della
persona, come ad esempio “la ragazza vestita in arancione”, “mia zia” o altre forme di
triangolazione come “ l'avvocato di Roberto” sono tutte scelte deliberate di elementi presi come
attributi per esplicitare le associazioni con la persona in questione (ogni persona può essere
esplicitamente collegata ad un ampio numero di altre persone ( sorella, figlia, moglie, amica,

140
collega, vicino, mamma).

L'ipotesi fatta da Stivers, Enfield e Levinson (2007) è di pensare all'uso del nome proprio come un
riferimento assoluto, mentre un termine di parentela o altre triangolazioni può esser visto come un
riferimento relativo. Gli interrogativi che vengono posti da Stivers, Enfield e Levinson (2007) sono
legati all'ipotesi di comprendere se queste varianti sul nome ci rivelano qualcosa sul sistema di
riferimento alla persona e se tali varianti possono essere attribuite alla struttura sociale o alla
cultura? Per rispondere a queste domande, l'articolo di Stivers, Enfield e Levinson (2007) prende in
prestito il modello di Toennies (1961) a proposito della differenza tra Gemeinschaft (comunità) e
Gesellschaft ( società), argomentando che le persone che vivono in piccole comunità dove le
relazioni parentali sono generalmente note, le loro relazioni sociali tenderanno ad enfatizzare il loro
senso di appartenenza attraverso forte fiducia nei termini di parentela, mentre le persone che vivono
in contesti urbani dove le relazioni parentali non sono note, ritengono inutile per la comunità
proseguire nell'usare questi termini per riferirsi alle persone. Dal punto di vista dell'analisi culturale,
le diverse pratiche per riferirsi a una persona saranno motivate, in questo lavoro, utilizzando come
spiegazione i valori locali e le credenze sulle persone e sulla loro posizione nel mondo sociale. In
questo lavoro, l'aspetto interessante è la visione dell'individualità di una persona differire per motivi
culturali, vale a dire la scelta del riferimento alla persona di tipo assoluto a discapito di quello di
tipo relativo significa trattare la persona come una categoria discreta piuttosto che vedere questa
persona all'interno dell'ambito di responsabilità di altre persone o gruppi. Secondo Enfield (2007),
usare il nome anticipandolo con un termine di parentela “indessicalizza” ossia rende nota la
relazione gerarchica presente tra il parlante e l'ascoltatore: ad esempio, per Enfield i nomi non
marcati inglesi possono indicare un valore culturale di una struttura sociale di tipo leggera, dovuta
dal fatto di concedere lo stesso trattamento a tutti senza fare distinzione per le relative posizioni
sociali. Quindi Enfield (2007) giunge ad affermare che nell'usare espressioni marcate per riferirsi ad
un parlante realizziamo delle azioni che sono culturalmente presenti nel contesto culturale nel quale
operiamo e che tale riferimento alla persona potrebbe variare nelle diverse lingue. I lavori di
Stivers, Enfield e Levinson (2007) hanno come punto essenziale quello di vedere il linguaggio
come strumento di gestione delle relazioni sociali e come sostenuto anche da Nettle e Dunbar
(1997), il concetto di riferimento alla “persona” rappresenta uno di quei ambiti nel quale la lingua e
l'interazione sono legati in modo cruciale nel trasferire sia delle informazioni di tipo culturale così
come la natura della nostra relazione con la persona. In tutte le comunità, le persone sono
confrontate secondo Levinson (1979) partendo dai suoi lavori sui Tamil con il costante e generico
problema comunicativo di come fare riferimento alla fiducia delle persone in modo efficiente e

141
rapido nelle nostre conversazioni quotidiane.

5.2. Il concetto di “persona” nell'opera di Duranti

L’ introduzione della concezione secondo cui le culture si diversificano nel modo in cui
gestiscono le identità sociali è stata introdotta dall'antropologo Clifford Geertz (1987). Tuttavia sin
dai lavori del sociologo francese Marcel Mauss (1938) è presente il concetto di “persona” in
riferimento alla parola latina “persona” e quindi all’idea di maschere del teatro dell'antichità
(dramatis personae), le quali definivano dei tipi particolari di personaggi. Nel teatro romano, queste
maschere dimostravano che l'elemento che contava non era l'individuo particolare, ma l'universale
che l'individuo rappresentava tramite una classe di comportamenti. Questo conflitto tra particolare e
universale non è che una versione del rapporto tra soggettivo e intersoggettivo, tra mente del
singolo e mente del gruppo e, spesso, del genere umano. Alcune culture ne danno una
rappresentazione e offrono soluzioni particolari ( Mauss, 1938).
Nell'approccio di Duranti e Goodwin (1992), il modo con cui si designa qualcuno
rappresenta a sua volta un modo di definire e ripensare il contesto, ovvero il modo in cui
identifichiamo linguisticamente un individuo non solo attiva delle conoscenze che l'ascoltatore ha di
tale individuo, ma mette anche in movimento una serie di aspettative che contribuiscono alla
costruzione di un particolare contesto. Duranti (2007) identifica ad esempio dei nomi propri come
“Benedetto Croce” o “Carlo Azeglio Ciampi” e/o le descrizioni di persone come “il fratello di mia
moglie”, “gli studenti del primo anno” non sono soltanto delle etichette identificative di chi o di che
cosa si sta parlando, ma sono soprattutto dei modi per collocare le persone, i luoghi e gli eventi in
un mondo sociale con caratteristiche particolari. Queste collocazioni, tramite le forme di
riferimento, rendono il mondo sociale non solo possibile ma anche dotato di significati che possono
essere interpretati ed analizzati. Per Duranti (2007) queste formule di identificazioni della persona
contribuiscono alla sua costruzione e riproduzione rientrando nella prospettiva che vede il “parlare”
come una forma di organizzazione sociale, in cui si rende necessario indagare il ruolo della
comunicazione come attività fondativa del mondo sociale. In fondo, l’interrogativo di Duranti
(2007) si concentra su quale sia l'idea di persona “con e per gli altri” al centro della nostra
attenzione.
Il concetto di persona di Duranti si rifà a qualcosa degno di “rispetto” per riprendere i
termini provenienti da Goffman (1959, 1967) e Levinas (1980, 1982) e si ricollega all'idea di
fiducia verso l'altro, da qui l'ipotesi di Duranti (2007) dove la nostra stessa rappresentazione della

142
fiducia può variare tra le comunità linguistiche, vale a dire che il nostro “essere con e per” la
persona varia seguendo le norme comunicative presenti in una data comunità di parlanti.
In questa ricerca, la segnalazione del disaccordo viene problematizzata seguendo la traccia
di Duranti, cercando di vedere ad esempio nella “persona” come un qualcosa di degno e fiducioso
di ascoltare il mio attacco in tutta franchezza, senza modificare lo stato precedente di relazione
interpersonale e di conseguenza senza sentirsi contemporaneamente minacciato nella mia cortesia
positiva per ciò che riguarda i parlanti francofoni; oppure la nozione di “persona” nei parlanti
italofoni concentra la sua attenzione sulla necessità di risparmiare la persona e quindi di evitare il
pronunciamento di atti linguistici minacciosi per la faccia positiva dell’altra persona per via della
considerazione che si attribuisce alla “persona” in questa data comunità di parlanti .

5.2.1 La socialità umana come ambito di ricerca

Duranti (2007) parte dalla concezione che in questo mondo esistano tante aspettative sul
comportamento umano fondato sulle intenzioni e motivazioni presenti durante l'interazione sociale
tra i soggetti. La comunicazione media mentalmente le nostre interazioni, le quali sono il risultato
dell'accumulazione del nostro capitale culturale e dell'emersione storica delle culture. Duranti
(2007) sostiene che il capitale culturale viene condiviso all’interno di uno stile interazionale
presente in gruppi sociali locali, il quale nasconde gli elementi di comunanza dietro il velo delle
diverse lingue, degli stili culturali e delle forme di organizzazioni sociali. Questi elementi sono
centrali per i lavori di Duranti sulla fondazione della socialità umana.
Partendo dalle abilità uniche dell'essere umano legate alla sua sensibilità nel rispondere alle
motivazioni del contesto e all'accumulazione di convenzioni culturali, l'interazione sociale umana
evidenzia delle proprietà che non sono presenti nel mondo degli animali.
L'elemento che caratterizza qualitativamente l'interazione umana è l'intersoggettività (Duranti,
2007:59-60), vale a dire il compimento di azioni congiunte strutturate per la finalizzazione di
obiettivi specifici75. Questo elemento, denominato da Duranti “intersoggettività”, costituisce il
punto di partenza della diversità culturale umana. In altri termini, secondo Duranti (2007) la
capacità di cooperare, di attribuire delle intenzioni, di essere delusi o inibiti durante un’interazione
sono elementi ben presenti nell’interattività umana. Nel progetto di Duranti (2007)
“Etnopragmatica. La forza nel parlare”76 si sostiene che la vita sociale umana è intrinsecamente
75
Duranti (2007:60) definisce l'intersoggettività con la seguente formula: “ l'intersoggettività ovvero il nostro essere-
con ed essere-per gli altri.
76
Duranti definisce l'etnopragmatica (2007:13) come un metodo che permette di documentare i diversi modi in cui il
linguaggio “fa differenza” tra le persone e rende possibile un particolare tipo di socialità, che caratterizza l'essere nel
mondo dell'homo sapiens.

143
strutturata attraverso l'attribuzione di azioni, motivazioni, intenzioni e credenze da parte dei vari
interagenti. Tale contributo di Duranti (2007) riparte dalla concezione della pragmatica di Grice
(1975) con l'idea che il significato sociale sta alla base del riconoscimento delle intenzioni. Questo
sistema di riconoscimento delle intenzioni funziona se si calcola correttamente la capacità dell'altro
interlocutore di riconoscere le intenzioni presenti dietro il piano d’azione. Il riconoscimento di
queste intenzioni rappresenta, secondo Grice (1975), l’unico modo di capire se l’interlocutore ha
capito le intenzioni del locutore. L’ utilità teorica di Grice per Duranti (2007) si ricava dal fatto che
mette in evidenza il significato in un senso ampio, indipendentemente dal linguaggio o dalle
convenzioni. In questa prospettiva griceana, il significato non è una proprietà del segno o del
simbolo, ma una proprietà della mente durante l'interazione con delle altre menti.
Grice (1975) suggerisce, con il Principio di cooperazione, il retroterra essenziale degli assunti con i
quali i partecipanti guidano e restringono le loro inferenze in merito alle intenzioni del parlante.
Invece, nel contributo di Charles e Marjorie Goodwin (2004) si suggerisce che l'intera struttura dei
ruoli sociali nella società dovrebbe essere capita provvedendo a sistematiche costrizioni
nell’attribuire senso alle intenzioni sociali. Tali costrizioni, nell’ambito delle intenzioni sociali,
sono l’oggetto privilegiato della ricerca conversazionale ordinaria. Per Goodwin (2004) numerose
pratiche presenti nella conversazione possono essere definite come sequenze che incorporano
l'azione sociale: ad esempio, il turno di parola viene interpretato come associato a specifiche
aspettative e preferenze (qualche volta anche di tipo culturale). La presa del turno di parola,
l'apertura e la chiusura della conversazione, la struttura della sequenza per la richiesta, le pratiche di
correzioni o di riparazione dell'enunciato sono state attentamente esplorate dagli analisti della
conversazione soprattutto in lingua inglese, anche se stanno aumentando le ricerche di questo tipo
anche per le altre lingue. Queste ricerche possono aiutarci a capire se esiste un meccanismo di tipo
universale nell'organizzazione dell'interazione umana, quali sono i dispositivi per i passaggi dei
turni di parola nelle conversazioni di tipo informale, come gli interlocutori correggono e riparano i
propri enunciati e quelli degli interlocutori. Tutti questi fenomeni, all’interno dell’interazione
verbale, sono da intendersi come meccanismi cruciali per il mantenimento dell'intersoggettività
(Goodwin, 2004). Nel lavoro di Duranti, si mette in luce come i lavori degli analisti della
conversazione, pur essendo interessati alla comprensione condivisa con i lavori di Schegloff (1992)
sul sistema di riparazione come principale garanzia di comprensione intersoggettiva, abbiano di
fatto evitato la svolta psicologica che ha caratterizzato la pragmatica griceana, trascurando secondo
Duranti (2007) il fatto che le interazioni sociali assumano caratteristiche peculiari in sintonia con le
convenzioni della propria comunità di parlanti.

144
5.2.2 Proprietà e principi dell'interazione umana secondo Levinson

Nel lavoro di Levinson (2003) “Space in Language and Cognition” si sostiene che il
principio sottostante che governa l'interazione umana sembra essere indipendente da una lingua
specifica o da una specifica cultura e che tale meccanismo sembra continuare a funzionare dove non
sussiste una lingua e una cultura in comune. Per Levinson (2003), seguendo la teoria di Grice
(1993), un elemento cruciale è rappresentato dall'abilità di riconoscere le intenzioni
dell’interlocutore basandosi su segnali che sono stati formulati con la finalità di essere riconosciuti.
A detrimento di questo assunto di tipo universalista, Duranti (2003, 2007) riprendendo i lavori di
Sapir e Whorf (1956), sostiene che la struttura dell'interazione può variare notevolmente tra le
culture.
Tale dicotomia di approccio, osserva Duranti (2007), crea delle difficoltà nel tentativo di
riconciliare le differenze culturali dentro una teoria che inglobi una ricca base universale (Levinson,
2003) nella comprensione dell’interazione. Tuttavia l'idea di Levinson (2003), quando esplora le
differenze cross-culturali nel “nominare” le persone, è di non ricercare una presunta uniformità
cross-culturale ma piuttosto di cercare un modo di edificare la diversità culturale nell'interazione
umana. Un ulteriore approccio per analizzare la socialità umana è quello condotto dai Goodwin
(2004) dove viene posta l'attenzione sul ricco ambiente semiotico che circonda la socialità umana.
Ad esempio, gli interagenti hanno accesso simultaneamente a molte informazioni provenienti da un
ampio raggio di fonti: i dispositivi lessicali, le costruzioni grammaticali, la prosodia, il tono di voce,
le espressioni facciali, il comportamento del corpo e i gesti delle mani. Le stesse “imperfezioni” del
parlato naturale come gli “errori” e le loro riparazioni portano con sé molte informazioni, e possono
essere adoperate in modo strategico. Per esempio, un parlante può interrompere il proprio discorso
prima della sua ultimazione per assicurarsi l'attenzione visiva (contatto oculare) degli altri
partecipanti all'evento linguistico.
Nei lavori di Duranti (2007), la socializzazione linguistica rappresenta la portavoce del
retroterra condiviso per organizzare e dare una cornice all'interazione attraverso le modalità offerte
da una data comunità di parlanti. In questa prospettiva di Duranti (2007) la socializzazione
linguistica e il concetto di cultura sono intesi come risorse utili per i parlanti per adottare
culturalmente un ruolo partecipativo rilevante. Questo approccio spinge i partecipanti ad essere
capaci di riconoscere la specifica cornice culturale e il ruolo ricoperto all'interno dell'interazione.
Questa prospettiva pone dei problemi per gli interagenti dato che in molte situazioni riscontriamo
molte discrepanze tra i parlanti, vale a dire la mancanza di un terreno comune di condivisione.

145
L'approccio scelto da Duranti (2007) solleva l'interrogativo sul come integrare l'istinto sociale
dell'uomo con le specifiche culture e le diverse rappresentazioni ed intenzioni presenti in un dato
evento linguistico.

5.3. I Parlanti, il pubblico e la costruzione del sé politico

Le premesse del pensiero di Duranti (2007), condivise in questo lavoro, vedono la


corrispondenza tra parole e azioni fortemente influenzate dal contesto e dal presupposto che per fare
cose diverse occorrano usi linguistici diversi: in altre parole, il linguaggio non solo è il “veicolo”
tramite cui fare viaggiare le idee, ma anche lo strumento fondamentale per l'attuazione di tali idee.
Le forme e i contenuti del dire aiutano il parlante a rendere possibili diversi contesti possibili o
effettivi di una data visione locale della parola come viene confermato dall'analisi dettagliata svolta
dai lavori di Duranti (1994) sui discorsi politici-giudiziari in Samoa. Per analizzare questo caso
specifico, Duranti (1994) ha fatto ricorso ad una concettualizzazione del dire come azione (Austin,
1962; Searle, 1969) conferendo maggiore importanza al contesto (Goodwin, 1992). Nel caso dei
discorsi politici-giudiziari, il loro stesso significato è il prodotto di un'interazione, quindi è
proiettato sia verso gli effetti del dire ( atto illocutorio) così come verso quello che si vuole ottenere
nel dire (atto perlocutorio). Questa teoria della prassi verbale può essere illustrata con un caso di
conflitto studiato da Duranti (1987) in Samoa dove abbiamo un oratore di nome Loa accusato per le
parole e le azioni formulate da un’altra persona. Infatti, Loa è stato accusato per la promessa non
mantenuta da parte di un suo parente (un parlamentare appena rieletto), il quale aveva promesso dei
doni che non sono mai stati consegnati ai capi e agli oratori del villaggio. In questo esempio si
evidenzia il fatto che né Loa né altri oratori presenti hanno fatto ricorso a un discorso
intenzionalista, ad esempio Loa non dice mai “ma io che c'entro? Mica l'ho fatta io la promessa!”.
Questo è un indice importante per avvicinarci ad una logica dell'interpretazione del dire come fare
che non può essere spiegata secondo Duranti (2007) tramite le teorie intenzionaliste tradizionali. In
questo tipo di interazione, Duranti (2007) parla di un'intenzionalità distribuita dove il dire di un
individuo acquista forza tramite una rete di scambi e di rapporti sociali che si rinforzano e
ridefiniscono a vicenda. In questo esempio, vediamo come la versione samoana del dire come fare
utilizzi una teoria del significato fortemente dialogica e interazionale, spiegandoci come una
“persona” possa essere coinvolta nella responsabilità del dire come fare altrui. Certamente,
nell’esempio di Loa entrano in gioco rapporti sociali e aspettative locali, ricollegabili al concetto di
famiglia “estesa” samoana e al tipo di stratificazione locale che dà senso alle responsabilità dei

146
singoli membri della comunità. Questa stessa situazione può essere ritrovata secondo Duranti
(2007) nel ruolo svolto dai genitori che sono legalmente e moralmente responsabili delle azioni dei
loro figli, così come per i membri di un partito, i quali dovrebbero pagare le conseguenze politiche
per le promesse non mantenute o per le bugie dette dai loro dirigenti. Il presupposto di Duranti
(2007) è di vedere il significato delle parole non soltanto legate alle intenzioni di un individuo, ma
piuttosto come il risultato di un'interazione dove l'interlocutore è coinvolto nell'atto del dire e
nell'interpretare le conseguenze del suo dire.
Questo esempio pone il quesito in Duranti (2007) di capire come studiare ed identificare i diversi
modi e gradi con i quali il prodotto collettivo del dire in quanto fare si realizza nella vita sociale.

5.3.1 Il caso della costruzione narrativa del Sé politico

All'interno del libro “Etnopragmatica. La forza nel parlare”, Duranti (2007) analizza il
ruolo del discorso e della sua capacità di trasformare l'identità di una “persona” attraverso varie
strategie comunicative. In modo particolare, il lavoro di Duranti si riferisce alla campagna elettorale
del 1993-1994 dove la nozione di “persona” di Walter Capps come professore universitario dovrà
trasformarsi per diventare un valido candidato politico, all'interno di una circoscrizione della
California. Le domande di partenza per Duranti sono riconducibili a questi interrogativi: Come
avviene il procedimento di trasformazione dal ruolo di docente a probabile candidato politico?
Quali dispositivi o registri linguistici vengono adoperati? Come cambia la “persona” che pronuncia
questi discorsi? Quali sono le strategie discorsive che permettono questo cambiamento del Sé?
La trasformazione della “persona”, nel caso dei politici, avviene secondo Ochs (2006) solitamente
tramite la narrazione e la creazione di mondi possibili, tra cui un mondo che comprende un loro
ruolo nella vita pubblica di una determinata comunità. La costruzione del Sé politico non avviene
nel vuoto interazionale perché il fare del linguaggio vive proprio della tensione tra le azioni
dell'individuo e quelle dei suoi interlocutori. Quindi il progetto di una costruzione del sé, come
uomo politico, deve fare i conti con la forza che le parole hanno al di là delle intenzioni esplicite o
implicite presenti nel parlante. Il contrasto tra il potere delle parole usate e le intenzioni
comunicative del parlante sono un tema di notevole importanza nell'interpretazione delle azioni
sociali in chiave contrastiva (Duranti, 2003). Ad esempio nel caso del discorso politico viene fuori
in Duranti (2007) che oltre alla questione delle condizioni appropriate per fare una promessa, la
“felicity condition” di Searle (1969) e Austin (1962)), è fondamentale per il parlante che si
preoccupa della costruzione della propria persona. Un determinato atto può fare apparire il parlante
come un determinato personaggio in ambito politico e conferire di conseguenza un'identità che non

147
gli appartiene. Quindi, ogni cosa detta, in un discorso politico contribuisce sempre alla costruzione
di una particolare persona politica. Prendiamo ad esempio l'atto linguistico della promessa, in
campagna politica, è un atto linguistico importante sia come realizzazione così come nella
costruzione di un’identificazione da parte degli elettori. Questo progetto di Duranti, intende vedere
gli atti linguistici come rivelatori dei modi in cui il linguaggio costruisce la realtà sociale, e mette in
risalto come la lingua realizza queste differenze sul piano dei rapporti interpersonali. Questi aspetti
possono essere colti, secondo Duranti (2007), allargando il campo di studio al concetto di
“indessicalità”.

5.3.2 L'indessicalità

La necessità di introdurre il termine “indessicalità” nasce dal fatto che la teoria degli atti
linguistici non ricopre interamente la vasta gamma della valenza del “fare” del linguaggio, ad
esempio, il tono di voce oppure l'accento di una persona sono tutte forme del “fare” del linguaggio
che non sono contemplate dalla teoria degli atti linguistici. Per risolvere questa situazione, gli
antropologi del linguaggio hanno adottato il concetto di “indessicalità” proveniente dalla teoria
semiotica del filosofo Charles Peirce (1980). La definizione operativa qui adottata in sintonia con
Duranti (2007) è quella di Hanks (2001:168) dove il termine “indessicalità” viene definito in
questo modo:

“ Il termine “indessicalità” indica l'onnipresente dipendenza dal contesto degli enunciati di


qualunque lingua naturale, e comprende fenomeni diversissimi come l'accento regionale ( indice
dell'identità del parlante), gli indicatori verbali di etichetta ( indici di deferenza e contegno), l'uso
referenziale dei pronomi (io, tu, noi, lui), dei dimostrativi ( questo, quello), degli avverbi deittici
(qui, là, ora, dopo) e del tempo verbale. In tutti questi casi, l'interpretazione della forma indessicale
( o indicale) dipende strettamente dal contesto in cui è enunciata”

Secondo Ochs (1996), un'analisi attenta del valore dell'indessicalità durante l'interazione quotidiana
deve aiutare a capire come diversi tipi di fenomeni arrivino a costituire fenomeni complessi come
l'identità sociale del parlante o di altri partecipanti. Secondo Ochs (1996), le identità sociali sono
costruite sulla base di atti linguistici e non sugli atteggiamenti che hanno acquisito col tempo
particolari valenze indessicali: ad esempio, per Ochs far parte di una comunità linguistica implica la
capacità di riconoscere tali valenze, una capacità che si raggiunge attraverso la socializzazione
(Ochs, 2006). In altri termini, certi tratti linguistici come l'accento, certi suffissi (in -ino, - etto in

148
italiano), certi tratti prosodici o certi lamenti dei bambini per ottenere delle cose, l'uso di parole che
si usano in famiglia o tra amici intimi, l'uso di parole burocratiche per segnalare che stiamo
passando da una conversazione informale a una riunione di ufficio. In accordo con Ochs (2006)
sosteniamo che la capacità di queste espressioni linguistiche di evocare determinati contesti
costituisce la loro valenza indessicale. Questa argomentazione resta valida per Ochs (2006) anche
per particolari atti linguistici, come ad esempio il disaccordo, le promesse, le minacce, le offerte, le
scuse, i quali sono associati a certe attività ma anche al tipo di persone che può adoperare questi atti
linguistici. L’utilizzo di certi atti contribuisce di conseguenza alla costruzione di una particolare
identità. Ochs (2006) fa notare che l'identità di una persona subordinata può essere costituita tramite
atti di adattamento, come l'uso di scuse o di offerta di servizi, mentre l'identità di una persona di
potere potrà essere costituita da una certa facilità o tendenza a dare ordini, a richiedere la
collaborazione degli altri per ultimare un certo compito. In sintonia con Ochs (2006) e Duranti
(2007) affermiamo che un particolare modo di esprimere un certo atto linguistico fa inevitabilmente
capire l'identità della persona.

5.3.3 Il problema con le teorie intenzionaliste

Per Duranti (2007) quando si affronta la nozione dell’intenzionalità dei parlanti si incorre
inevitabilmente nella difficoltà di ricostruire o reinterpretare le intenzioni dei parlanti all’interno di
contesti non ben determinati. Un altro elemento di criticità con le intenzioni è il fatto che non
vengono analizzate le condizioni contestuali che permettono l'uso di un tale termine, spesso
riconducibile all’uso sistematico del termine “intention” presente in tante lingue storico-naturali
particolari. In altre parole, il termine “intenzione” nella sua etimologia latina possedeva anche una
connotazione di movimento del corpo e di sforzo e non soltanto una descrizione di stati mentali. In
Duranti (2007), la rivisitazione del termine “intenzione” rinvia ad una definizione legata al concetto
di persona intesa come “essere per-gli-altri e con-gli-altri” rifacendosi ai lavori di Husserl (1960),
dove l'intenzionalità è vista come una proprietà universale dell'umanità di attribuzione di pensieri,
di emozioni e di azioni orientate verso qualcosa o qualcuno (Husserl, 1968).
L'intenzionalità come fenomeno legato ad atti comunicativi come il “promettere”, il “chiedere
scusa” o altro non prende in considerazione il fatto che tali atti linguistici siano condizionati da
aspettative culturali relative a contesti d'uso e d'interazione, istituzionali o meno. La stessa
intenzionalità non facilita la comprensione degli aspetti interattivi del comunicare e non apre il
discorso sulla forza degli strumenti comunicativi. Inoltre, l'essere intenzionale è spesso descritto
come un essere che ha capacità di agire sul mondo circostante e su se stesso senza una

149
chiarificazione della differenza tra intenzionalità e agentività. Inoltre, il concetto di “intenzione”
non mette in rilievo l'importanza del contesto nella costruzione del significato, compreso il
significato di essere-nel-mondo. In altre parole, per Duranti (2006, 2007) è il contesto che
conferisce il riconoscimento di una qualità fondamentalmente intersoggettiva e quindi sociale
dell'intendere umano facendo emergere la componente affettiva e morale dei propri atti linguistici,
come ad esempio quando il candidato Capps non vorrebbe usare in un suo discorso l'espressione
“restaurare la fede in politica” come gli viene suggerito dal suo staff perché si rende conto che le
sue parole hanno una forza a cui nessuno può sottrarsi.

5.3.4 Le critiche antropologiche alla teoria degli atti linguistici

Nei lavori di Ochs (1982) e Duranti (1993) è stato messo in rilievo come i parlanti samoani,
in numerose pratiche interpretative, sembrino più interessati alle conseguenze degli atti linguistici
piuttosto che alle motivazioni personali. Sempre in “Etnopragmatica. La forza nel parlare” di
Duranti (2007) viene presentata una teoria pragmatica del linguaggio fondata sull'analisi sia
grammaticale che etnografica degli scambi verbali (2007: 9). Il metodo etnografico usato da Duranti
(2007) permette di avere occasioni specifiche per cercare di cogliere altri modi di essere “con e per-
gli-altri”. Duranti tiene conto sia dell'aspetto interazionale del fare del linguaggio sia dell'aspetto
grammaticale, inteso come organizzazione della codificazione dell'esperienza resa possibile da una
particolare tradizione linguistica e culturale (2007:12).
L'etnopragmatica di Duranti cerca di cogliere come il linguaggio “fa differenza” tra le persone, con
l'idea forte che il contesto sia un prodotto della stessa comunicazione e non solo una cornice o uno
sfondo che aiuta a dare senso agli enunciati linguistici. In altre parole, il contesto non è solo
qualcosa che va aggiunto a un testo, altrimenti indipendente da esso, ma rappresenta piuttosto anche
quello che il testo “fa”, raggiunge, ottiene, in altri termini il contesto equivale al prodotto del testo.
Secondo Duranti (2007), le intenzioni del parlante sono da attribuire in maniera collaborativa tra gli
interlocutori durante l'evento linguistico e non da intendere come una proprietà del significare
fondamentale individuale. Il metodo etno-logico di Duranti tenta di afferrare il rapporto tra azioni
particolari e la loro collocazione all'interno di specifiche pratiche culturali di determinati gruppi
umani, per esempio lo scambio di saluti, la narrazione di esperienze vissute, la richiesta di un
favore, l'offerta di cibo. Questo modo di lavorare di Duranti (2007) vede il “parlare” come
un'attività che organizza il sociale, nel quale si arriva a capire la comunicazione e il suo ruolo nella
costituzione dell'esistenza umana in quanto “essere-con e per gli altri” (2007:14) .
In ampio accordo con il metodo investigativo di Duranti (2007), questa ricerca vorrebbe dimostrare

150
la presenza di differenze culturali nel modo di essere “con e per gli altri” all’interno della comunità
di parlanti italofona e francofona. Queste differenze saranno indagate dal punto di vista della
sociopragmatica con i lavori di Spencer-Oatey (2000, 2001, 2003, 2005). L' “essere-per” è inteso
come ciò che permette all'agire umano di essere sempre una presentazione del Sé che si presta a un
giudizio sia estetico che morale. Questa presentazione del sé presuppone una nozione di “persona”
intesa come oggetto di “rispetto” e di “faccia” così come veniva intesa da Kant quando afferma la
sua idea stessa di persona come “ a determinare quello che l'uomo, come essere libero, fa oppure
può e deve fare di se stesso” (Kant, 1969:3). Duranti (2007) interpreta l'approccio antropologico di
Kant vedendoci soprattutto una documentazione del modo in cui i membri di diverse comunità si
pongono di fronte al progetto di costruzione del proprio avvenire. Quello che non troviamo
nell’approccio pragmatico di Kant ma che ritroviamo invece nel pensiero di Herder o Humboldt, è
la consapevolezza che tale progetto antropologico ha nel linguaggio un suo attore fondamentale.
Gli studi di Ochs e Schieffelin (1984, 1994) sulla socializzazione dei bambini, tramite il linguaggio,
hanno rivelato in modo evidente che dal momento in cui gli adulti prestano attenzione ai tentativi
comunicativi dei bambini, essi vengono giudicati per quello che dicono secondo categorie
essenzialmente morali, vale a dire giudicando le loro azioni come buone, cattive, gentili, affettuose,
sgarbate, coraggiose, paurose, generose, gelose. Questo processo interpretativo continua per il resto
della vita facendo diventare il parlare sia strumento che criterio fondamentale per giudicare e farsi
giudicare nelle proprie azioni. In Duranti (2007) ritroviamo una critica alla teoria degli atti
linguistici, così come alle massime conversazionali di Grice (2007:17) per il fatto di aver ignorato la
dimensione etica del parlare. Questa mancanza si ritrova anche nei lavori di Austin (1962) e Searle
(1969) dove si rimane nella tradizione filosofica analitica evitando di affrontare la dimensione
esistenziale del parlare, ovvero quelle proprietà che conferiscono potenziale o effettiva agentività
alla persona. D'altro canto, per Duranti questa tradizione di pensiero ha trattato in modo molto
selettivo la dimensione denotativa delle lingue, in altri termini la proprietà che gli enunciati hanno
di rappresentare l'esperienza “in particolari modi”. Dallo sviluppo della linguistica moderna, intesa
come quella che ha diffuso le idee di Saussure (1916), il progetto è stato quello di vedere la lingua
come invenzione indipendente dall'origine e dal destino degli uomini. Questo tipo di interesse di
tipo sincronico della lingua ha evitato qualsiasi progetto di vedere le lingue storico-naturali come
strumenti fondamentali per la costruzione di qualsiasi idea e pratica di “civilizzazione” intesa come
“cultura”. Invece in Duranti (2007), quando vogliamo studiare quello che il linguaggio “fa” nella
vita degli individui e delle comunità, dobbiamo affrontare un doppio lavoro: lo studio del contesto
socioculturale degli usi linguistici e l'analisi sistematica delle formule linguistiche impiegate in
particolari contesti. L'approccio di Duranti mira a integrare l'interesse per la codifica linguistica con

151
l'analisi dell'azione sociale, dove la lingua non è vista solo come codice, ma come una fonte di
risorse per l'agire sociale e per l'interpretazione di quest'agire secondo modelli culturali particolari.
In questo modo, l'etnopragmatica di Duranti (2007) cerca nelle grammatiche delle lingue le tracce
di soluzioni a problemi che gli uomini hanno avuto nella propria storia.
In questo approccio è forte l'interessamento per la dimensione socioculturale della comunicazione
come strumento per la conservazione di una data comunità e per la gestione della vita quotidiana da
parte di un qualsiasi individuo. In questo testo di Duranti, riprendendo una definizione di Leach
(1972), la cultura viene intesa come un modo di gestire la continuità della vita del gruppo di fronte
alla finitezza della vita dell'individuo e del ruolo fondamentale che la comunicazione ricopre nella
esistenza umana ed individuale.

5.3.5 La forza nel parlare

Duranti parte da una domanda per impostare la natura del problema: Che cosa vuol dire che
esiste una forza nel parlare? Questa domanda centrale, nella riflessione di Duranti (2007), prova a
trovare una esplicitazione spiegando se il parlare “ha” una sua forza oppure se il parlare non è che
uno strumento o un canale tramite il quale tale forza si manifesta o si realizza. Per capire se c'è una
forza nel linguaggio occorre secondo Duranti (2007) comprendere con che cosa si confronta il
linguaggio e soprattutto quali sono le sue prerogative. Per queste ragioni per Duranti (2007)
dobbiamo occuparci del tessuto sociale che dà vita al linguaggio costituito dagli incontri che
avvengono nelle situazioni e nelle comunità più diverse. Da questo tessuto sociale, in concordanza
con Duranti, nasce quel “vissuto” che chiamiamo “significato”. In altri termini, è l'interazione con e
per gli altri che conferisce significati codificabili alle parole dette e a quelle sottintese. Inoltre, in
sintonia con Duranti (2007), non va dimenticato che l'interazione si fonda sugli individui come
esseri particolari, ed è tramite l'analisi di questi “vissuti” particolari che le persone diventano degli
“oggetti di rispetto” per tornare alla terminologia di Kant (1969) e Goffman (1959). Il metodo
etnografico viene pensato da Duranti (2007) come tramite per raggiungere l'Altro per portarlo verso
il Sé e così facendo si concettualizza l'idea di incontro, dato che l'etnografia è l'esperienza di tanti
incontri, con persone diverse e con le stesse persone in periodi diversi. Quei momenti con l'Altro
sono dei momenti in cui quello che prima ci appariva come forma, ossia un saluto, un arrivo, lo
scambio di dono, un rapido sguardo, ora ci appare come contenuto, vale a dire come parte di un
mosaico dell'essere che cominciamo a ricostruire.
Per svolgere questo lavoro di ricerca dobbiamo cercare di costituire dei legami trasparenti tra i

152
“dati” e le “interpretazioni”, in modo che altri possano tentare di ricostruire come si è giunti a una
data analisi. Per applicare il massimo di aderenza all'analisi del linguaggio parlato farò ricorso a
filmati rinvenuti da vari siti internet che mi permetteranno di riprodurre e interpretare gli scambi
verbali e non verbali nel modo più fedele possibile.
L'interesse per la documentazione audiovisiva si accompagna all'idea che esistono comportamenti e
pratiche culturali ricorrenti dotati di significato che non sono immaginabili sulla base dell'intuizione
né sulla base di osservazioni e interviste dirette.
L'uso di queste tecniche deve servire al miglioramento della comprensione del ruolo della lingua
parlata e più in generale della comunicazione negli incontri sociali. Per capire al meglio la
comunicazione, all’interno degli incontri sociali, occorre superare il malinteso che consiste nel
vedere la comunicazione come qualcosa di già dato e di trasparente, mentre solo da un’attenta
analisi del contesto situazionale ed interazionale ci viene offerta la possibilità di capire il significato
di ciò che viene effettivamente “detto” o “vissuto”. Ad esempio, la trasformazione del discorso in
genere narrativo, come quando un informatore si racconta tramite l'intervista, oppure quando il
ricercatore narra la ricostruzione del proprio lavoro è un processo che va analizzato attentamente.
La lingua, con le sue qualità strutturali, offre già delle particolari scelte, ma non va dimenticato che
i parlanti, intesi come esseri sociali, fanno sempre parte di sistemi di significazione che li
precedono, sia storicamente che epistemologicamente.
Per tale motivo, qualsiasi lingua, in qualità di processo e prodotto sociostorico, è anche una
“traccia” dei percorsi sociali e cognitivi fatti dai suoi utenti. Questo significa che i parlanti possono
tentare di “forzare” il sistema linguistico, ma nella maggioranza dei casi, ciascuna lingua ha delle
sue proprie modalità per caratterizzare la realtà che i parlanti, in quanto agenti sociali, adottano per
rappresentare la loro “particolare” esperienza del mondo, indipendentemente che ciò avvenga in
modo consapevole o inconscio. Questi “modi” d'esprimersi sono veri e propri “metodi” che i
sistemi linguistici ci propongono, si pensi alle metafore di Lakoff e Johnson (1998) oppure al lavoro
di Whorf sulla semantica del tempo presso gli Hopi. Sono proprio questi “metodi nativi” che hanno
ispirato le ipotesi sulla “relatività linguistica”, vale a dire l'idea che il codice che usiamo in qualche
modo influenzi quello a cui prestiamo attenzione. Si parte dall'idea che il quotidiano rappresenti il
tempo-luogo della socialità e che il linguaggio ne ricopra un ruolo fondamentale, con la finalità di
arrivare a descrivere il ruolo del linguaggio nella vita quotidiana. In consonanza con Duranti (2007)
sosteniamo la necessità di avvalersi di una combinazione di metodi provenienti da diverse tradizioni
e allo stesso tempo di porre in modo chiaro le proprietà e gli scopi di quel metodo. In altre parole,
ogni metodo ha i suoi vantaggi e i suoi limiti, ed è compito del ricercatore capire le proprietà del
metodo usato e le finalità perseguite.

153
154
6. Analisi sociopragmatica dei dati: i casi di segnalazione dei disaccordi

6.1 Presentazione del corpus

Come si è avuto modo di anticipare, il corpus di dati su cui poggia la presente ricerca risulta
composta da 235 minuti di registrazione di materiale audiovisivo raccolto all’interno della
programmazione televisiva italiana e francese77 nel periodo compreso tra il 2006 e 2009.
Vi è proposto un elenco qui di seguito del materiale scelto per costituire il corpus d’analisi.

Video Contenuto Durata del video Data Programma televisivo Segnalazione del
disaccordo (in
minuti e secondi)
1 Fabio Fazio e 10 minuti e 6 04/04/09 Che tempo che fa 6 sec.; 20 sec.; 2
secondi min. e 10 sec.; 2
Antonio Di
min. e 34 sec.; 9
min. e 15 sec.
2 Ségolène Royal et 9 minuti e 20 11/06/07 Le journal de 20 Dal min. 2 e 5
secondi heures sec. fino a 3 min.
le journaliste
45; 5 min. e 20
David Pujadas sec.
3 Michele Santoro e 7 minuti e 4 09/04/09 Anno Zero 3 min. e 55 sec.;
secondi 4 min. e 30 fino a
Mario Giordano
5 min. e 30; 6
min. e 30 sec.
4 Immigration et 8 minuti e 13 08/03/08 Ce soir ou jamais 4 min. e 50 sec.;
secondi 6 min. e 20 sec.
Tony Gatlif
fino a 7 min. e
50 sec.
5 Michele Santoro e 2 minuti e 35 16/04/09 Anno Zero 0 sec. fino a 50
secondi sec.
Marco Travaglio
6 Renato Brunetta 9 minuti e 36 24/4/09 Era Glaciale 5 sec. fino a 30
secondi sec.; 1min. e 3
vs Daria Bignardi
sec.; 2 min. fino a
2 min. e 25 sec.;
2 min. e 50 sec.
(maestro); 3 min.
77
Qui di seguito si pone a conoscenza l’elenco del materiale che costituisce il corpus, come si può vedere, ad ogni
materiale audiovisivo è stato dato un titolo, una durata, una data, una programmazione televisiva e i vari secondi e\o
minuti dove viene segnalato il disaccordo all'interno del corpus.

155
e 40 sec. fino a 4
min.; 7 min. 35
sec. fino a 7 min.
e 45 sec.
7 Crise 8 minuti e 37 21/03/08 C' dans l'air 0 sec. fino a 10
secondi sec.; 1 min. e 45
économique/banca
sec.; 3 min. e 3
ire sec.; 6 min. e 18
sec.; 7 min. e 8
sec. fino a 7 min.
e 40 sec.
8 Ségolène Royal 8 minuti e 33 28/04/07 Présidentielle 7 sec. fino a 13
secondi sec.; 2 min.; 2
vs François
min. e 17 sec.; 3
Bayrou min.; 3 min. e 15
sec.; 3 min. e 30
fino a 3 min. e 50
sec.; 5 min. e 20
min. fino a 5 min.
e 35 sec.
9 Marco Travaglio e 5 minuti e 35 05/02/09 Anno Zero 2 min. e 20 sec.
secondi fino a 2 min. e 50
Niccolò Ghedini
sec.; 3 min. e 33
sec.
10 Nicolas Sarkozy 84 minuti e 45 04/03/07 Riposte 68 min. e 20 sec.
secondi fino a 68 min. e
et le juge Serge
45 sec; 71 min. e
Portelli 21 sec. fino a 71
min. e 30 sec; 73
min. fino a 73
min. e 30 sec. ;
75 min. e 15 sec.
fino a 75 min. e
45 sec. ; 80 min.
e 40 sec. fino a 81
min. e 30 sec.
11 Nichi Vendola e 4 minuti e 38 03/05/09 In Mezz'ora 55 sec. fino a 1
secondi min. e 30 sec.; 2
Paolo Ferrero
min. e 20 sec.; 3
min. e 12 sec.
fino a 4 min.
12 Silvio Berlusconi 7 minuti e 36 12/03/06 In Mezz'ora 23 sec. fino al 2
secondi min.; 2 min. e 24
vs Lucia
sec.; 4 min. fino a
Annunziata 4 min. e 10 sec.;
5 min. e 20 sec.
fino a 7 min. e 30

156
sec.
13 Philippe De 18 minuti e 49 28/01/07 Riposte 4 min. e 55 sec.;
secondi 7 min. e 10 fino a
Villiers vs Tariq
7 min. e 20 sec.;
Ramadan 9 min. e 15 sec.
fino a 9 min. e 55
sec.; 11 min. e 20
sec. fino a 12
min.; 12 dodici
min. e 10 sec.
fino a dodici min.
e 25 min.
14 9 minuti e 58 17/04/09 Era Glaciale 1 min. e 8 sec.
secondi fino a 2 min.; 5
Massimo D’Alema
min. e 25 sec.
vs Daria Bignardi fino a 5 min. e 35
sec. ; 7 min. e
dieci sec. fino a 7
min. e 30 sec.
15 Violence dans 2 minuti e 48 04/12/07 Ce soir ou jamais 15 sec. fino a 25
secondi sec. ; 1 min. e 50
les stades
sec. fino a 2 min.
e 40 sec.
16 Monsieur 19 minuti e 48 24/05/09 La tribune 45 sec. fino a 55
secondi sec.; 2 min. e 45
Mazerolle et
sec.; 3 min. e 30
Monsieur sec.; 5 min. e 45
sec.; 7 min. e 20
Mélenchon
sec. fino a 7 min.
e 30 sec.; 11 min.
e 33 sec.; 12 min.
e 48 sec. fino a 13
min. e 35 sec.; 16
min. e 40 sec.; 18
min. e 15 sec.
fino a 18 min. e
45 sec.
17 Collon vs 18 minuti e 50 03/12/08 Ce soir ou jamais 1 min. e 10 sec.
secondi fino a 1 min. e 45
Amérique
sec.; 8 min. e 53
sec.; 16 min. e 45
sec. fino a 17
min. e 45 sec.

157
Leggenda: minuto\i viene abbreviato con min. ; secondo\i viene abbreviato con sec.

6.1.1 Convenzioni adottate nella trascrizione delle conversazioni

Vengono proposte per l'analisi di questo corpus le convenzioni utilizzate da Duranti (1997)
in Linguistic Anthropology e da Schieffelin (1990) in The Give and Take of Everyday Life:
Language Socialization of Kaluli Children per trascrivere le conversazioni seguendo la tradizione
proveniente dai lavori dell'analisi conversazionale di Sacks, Schegloff, and Jefferson (1974).

Fazio; i nomi dei parlanti vengono separati dagli enunciati tramite un punto e virgola lasciando
alcuni spazi in bianco.

?; un punto interrogativo seguito da un punto e virgola all'inizio di un enunciato indica la difficoltà


nell'attribuire l'identità del parlante.

??; doppio punto interrogativo seguito da un punto e virgola indica la difficoltà di attribuzione
dell'identità del parlante ma ci sono ragionevoli elementi per pensare che sia un altro parlante da
quello precedentemente non identificato.

? Fazio; un punto interrogativo davanti al nome indica una probabilità sull'identità del parlante
senza possederne la certezza.

(1.5) i numeri all'interno della parentesi indicano la durata della pausa in termini di secondi o
decimi di secondi.

… tre punti indicano una pausa non definita in termini di tempo

[…] tre punti tra parentesi quadre indicano che alcune parti del materiale o della trascrizione sono
state omesse oppure che la trascrizione comincia all'inizio o alla fine di una precedente
conversazione.

= il segno uguale significa la non presenza di una pausa percettibile tra due enunciati in
successione.

[ una parentesi quadra tra due turni indica il punto nel quale si sovrappone l'altro parlante.

// una doppia barra indica il punto nel quale si sovrappone l'inizio dell'altro parlante.

(senta) le parole all'interno della parentesi nella trascrizione rappresentano la migliore probabilità
per una stringa di parole di difficile comprensione.

( ? ? ) i punti interrogativi all'interno della parentesi indicano l'incertezza o la non chiarezza del

158
parlato.

(( ride)) materiale contenuto all'interno delle doppie parentesi indica la presenza di informazioni di
tipo extralinguistico, es: movimento del corpo.

e:::: triplo doppio punto indica la durata dell'ultimo suono.

6.2 Analisi sociopragmatica dell'intervista tra Fabio Fazio e Antonio Di Pietro

L’intervista avvenuta tra Fabio Fazio e Antonio Di Pietro, durante il programma “Che tempo
che fa”, in onda su Rai 3 il 4 Aprile 2009 in prima serata, rappresenta un classico esempio di
interazione formalizzata ed istituzionalizzata (Orletti 1994 e 2000), nella quale il controllo della
gestione della parola da parte dell’intervistatore genera un rapporto di asimmetria capace di
influenzare molti aspetti dell’evento linguistico. L’intervistatore, infatti, detiene teoricamente in
questa intervista il potere di influenzare l’interazione verbale non soltanto sul piano dello sviluppo
sequenziale ( decidendo la durata dell’intervista e dei turni di parola), ma anche sul piano delle
tematiche, la formulazione di domande o di offerte di risposta. Andando ad adoperare i principi
sociopragmatici di Spencer-Oatey e Jiang (2003), all’interno dell’intervista tra Fabio Fazio e
Antonio Di Pietro, possiamo provare a definire lo stile dell’intervistatore di tipo distante, diretto,
cordiale e modesto mentre l’ospite intervistato mostra uno stile diretto, affermato e coinvolgente. In
termini di costrizioni sociopragmatiche dei diritti e doveri/compiti interazionali, seguendo la
terminologia di Spencer-Oatey e Jiang (2003), l’ospite Di Pietro esprime il diritto dei magistrati di
poter cambiare ruolo professionale per trasformare la “persona” del magistrato in uomo politico,
mentre per l’intervistatore Fabio Fazio risulta più costosa che benefica (Spencer-Oatey, 2001)
questa scelta in termini di diritti per la persona del Magistrato, all'interno del contesto culturale
italiano dove si tende a delegittimare i magistrati che rivestono anche degli incarichi di tipo politico.
Davanti al disaccordo del presentatore, vediamo come l’ospite Di Pietro contrappone il beneficio
sicuro per i più furbi quando non c’è la discesa in campo del magistrato con il costo maggiore in
termini di faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987) subito da parte della cittadinanza come faccia
collettiva ( Schwartz, 1992) nel mantenere all’esterno della politica i magistrati interessati a fare
politica. L'intera durata del video può essere interpretata alla luce di un lungo disaccordo ( Scott,
2002) mantenuto tra i due protagonisti per colpa di due stili conversazionali divergenti in termini
sociopragmatici segnalato dal persistente disaccordo sulla natura della “persona” del magistrato e
sull'andamento stesso dell'intervista.

159
Durante lo scambio verbale, in termini di massima di quantità (Grice, 1975)78 non viene
ratificato tra i due parlanti una condivisione sul come interpretare le intenzioni presenti nelle
domande e nelle risposte offerte dall’intervistato e dall’intervistatore. Inoltre, questo lungo
disaccordo sostenuto viene segnalato da parte degli interagenti non tanto sul contenuto offerto
dall'intervistatore quanto sullo scopo delle domande che secondo l'intenzione di Di Pietro servono a
screditare il ruolo del magistrato che decide di fare politica.

(esempio1) Fabio Fazio e Antonio Di Pietro

Fazio; però
Di Pietro; senta a me senta a me
Fazio; ma... non sono d'accordo con lei. Non sono affatto d'accordo ((gesto per indicare
contrarietà))
Di Pietro; a lei.... preferisce mandarci i criminali?
Fazio; io //
Di Pietro; (??)
Fazio; ( ? ? ) Aspetti, aspetti, mi faccia dire, però scusi
Di Pietro; // a lei...... lo sa approfittiamo di questa trasmissione
Fazio; però non sono d'accordo con lei nel senso che considero il diritto [...]

[...]

Di Pietro; io mi sono dimesso prima di entrare in politica


Fazio; aveva detto che non sarebbe mai entrato in politico però lei
Di Pietro; e::: certo quando facevo il magistrato non sarei mai entrato
Fazio; [ non subito dopo nel 97
Di Pietro; a 50 anni finito di aver fatto il magistrato dopo 2 anni che faccio il cittadino normale
mi spiega qual è la ragione per chi non debba fare politica per permettere a tutti
Fazio; = // ma lei l'aveva detto non io
Di Pietro; l'ho detto in riferimento che facevo il magistrato
Fazio; ma
78
Secondo l'intervistato Di Pietro, la massima di quantità di Grice (“ Rendi il tuo contributo informativo quanto
richiesto.Non rendere il tuo contributo più informativo di quanto richiesto”) non viene rispettata da Fabio Fazio perché
viene concesso troppo tempo secondo l'ospite nello screditare l'operato dei magistrati mentre poco tempo viene dedicato
alla critica del malcostume di tanti politici italiani.

160
Di Pietro; [ mi sono dimesso, per due anni ho fatto il magistrato. Ma si rende conto che una
trasmissione come questa la sta dedicando al fatto che critica i magistrati che vanno a fare politica
Fazio; veramente no
Di Pietro; ma dedichi una bella trasmissione a criticare questi delinquentoni che fanno politica

Fazio; (( gesto per sottolineare la sua contrarietà)) ’ veramente no, non è così e esattamente
l'opposto’ (( applauso del pubblico))

L’intervistatore usa questa congiunzione avversativa “però“ come elemento linguistico che fa da
premessa al disaccordo nello scambio verbale tra il presentatore e l’intervistato.
L’intervistato Antonio Di Pietro adopera in modo ripetitivo la formula “ senta a me senta a me”
dove il verbo “sentire” è utilizzato come marcatore discorsivo (Bazzanella, 1996) per indicare in
termini di forza illocutoria ( Searle, 1969) una rimessa in discussione dell'affermazione precedente
realizzata dall'intervistatore. Il raddoppiamento dello stesso enunciato rappresenta un rafforzativo
della propria posizione e allo stesso tempo indica un disaccordo non marcato sull’enunciato
precedente perché non viene accettato il contenuto delle domande e gli ends (Hymes, 1972)
dell’intervista. L’interazione verbale dei due protagonisti dell’evento linguistico prosegue con una
rimessa in discussione da parte dell’intervistatore con:

Fazio: “ma... non sono d'accordo. Non sono affatto d'accordo.”

In questo turno di parola ( Duranti, 1997) di Fabio Fazio, il “ ma” come congiunzione avversativa
viene usato come elemento linguistico di prefazione al disaccordo ( Caffi, 1999, Testa, 1988)
seguito dal raddoppiamento della propria affermazione, riprendendo in modo similare la mossa
compiuta da Di Pietro. In questo turno di parola, il disaccordo viene segnalato in modo severo
( Grimshaw, 1990) con l'atto linguistico “non sono d'accordo “ e poi con l'avverbio di quantità
“affatto” per marcare maggiormente il disaccordo in atto tra l’interpretazione delle domande poste
da Fabio Fazio e l'interpretazione eseguita da Antonio Di Pietro. Nel turno di parola successivo,
Fazio pronuncia “però” facendo ricomparire questa congiunzione “però” come indicatore del
disaccordo e allo stesso tempo mostrando la volontà di riprendere il turno di parola per portare al
termine il proprio pensiero su quello che sta accadendo all’interno dello scambio conversazionale
( Duranti, 1997) tra il presentatore e l’ospite. Il disaccordo prosegue con il successivo turno di
parola di Di Pietro, eseguito con la forma impersonale del verbo “ scusarsi”, vale a dire “scusi” il
quale riveste in questo contesto la funzione di disaccordo dato che l'ospite continua a non accettare

161
e sottoscrivere la visione di “persona” a proposito del magistrato conferita da parte di Fazio. In
seguito Di Pietro utilizza il raddoppiamento della formula “Senta a me” come marcatori linguistici
funzionali per cambiare il tema dell'argomentazione proposta dall'intervistatore e segnalare di
conseguenza un prolungato disaccordo presente tra i due interagenti. Nel successivo turno di parola
del presentatore eseguito con “ scusi non sono d'accordo con lei nel senso che....” viene segnalato
un disaccordo severo seguito da spiegazione (Scott, 2002) che ha la funzione di mitigare la
minaccia per la cortesia positiva dell'intervistato. Questa scelta di esprimere in modo esplicito il
proprio disaccordo può essere interpretato come il bisogno di difendere la propria faccia in termini
di cortesia positiva dato che l'andamento dell'intervista mette in pericolo l'identità professionale del
conduttore, confermando la produzione del disaccordo forte quando la propria identità viene messa
in pericolo (Rees-Miller, 2000).

Nel turno di parola di Antonio Di Pietro costituito dai seguenti elementi linguistici:

‘ lei sta dedicando una trasmissione come questa nel criticare i magistrati che decidono di fare
politica’

Si ritrova in questo enunciato come l’intervistato Di Pietro reagisca alla spiegazione offerta da
Fazio con l'argomentazione della massima di quantità di Grice (1975), vale a dire che viene
adoperato, secondo Di Pietro, un contributo di tempo eccessivo per parlare della partecipazione alla
vita politica di alcuni magistrati, mentre non viene dedicato la stessa massima di quantità per
criticare i tanti delinquenti che siedono nel parlamento italiano.

La replica di Fazio; veramente no, non è così e esattamente l'opposto’

Di nuovo, in questo turno di parola, l'intervistatore ribadisce la propria contrarietà segnalando il


disaccordo in modo ancora più forte negando il “cultural script”79 offerto da Di Pietro, vale a dire
esplicitando che il suo “cultural script”80 è il contrario da quello fornito da Di Pietro.
79
La nozione di “cultural script” offerta da Wierzbicka (1991) e ripresa da Béal (1993) rappresenta un modo originale di
tradurre le intenzioni attribuibili a Di Pietro in quanto il cultural script di Di Pietro potrebbe essere sintetizzato in questo
modo:
- i magistrati hanno diritto di fare politica
- quelli che si oppongono a questo fatto sono complici dei politici
- quindi non sei degno di meritare il mio rispetto e di quello della gente normale
80
Il cultural script di Fabio Fazio potrebbe essere ripreso in questi termini:
- Voglio parlare di questo tema in un altro modo
- so che questo tema è complicato da vedere in modo neutro
- ma non voglio essere considerato come complice del potere politico

162
L’uso dell'avverbio “veramente” ricopre la funzione di segnalare la propria verità, l’enunciato ‘non
è così’ composto dall'avverbio di negazione e dall'avverbio di modo indica il rifiuto dell'analisi fatta
da Di Pietro, così come l'avverbio ‘esattamente’ è di nuovo un elemento che tende ad indicare la
verità e la precisione delle proprie affermazioni. Infine, l'aggettivo “opposto” viene utilizzato per
segnalare il proprio disaccordo di fronte alle minacce di Di Pietro in termini di cortesia positiva
( Brown e Levinson, 1987).
Per uscire da questa situazione, l'intervistatore cambierà argomento introducendo una nuova
domanda come elemento per sancire la fine del disaccordo incentrato su un tema preciso della
conversazione. Di fatto, la risoluzione del conflitto interazionale tra i due interagenti si risolve con
un disaccordo tralasciato ( Vulchinich, 1990) che porta al cambiamento di argomento per proseguire
l’andamento dell’intervista come forma di riparazione alla faccia positiva di Fabio fazio.
Di fatto, emergerà una visione contrapposta della “persona” del Magistrato intesa da Fazio secondo
le intenzioni dell’ospite Di Pietro come un principio divino, mentre la visione di Di Pietro è una
giustizia dal volto umano dove solo nella legalità le persone possono vivere una condizione di
sviluppo sociale ed economico.
Ecco l'interazione dove si tralascia il disaccordo severo ( Grimshaw, 1990) tra i due interlocutori,
segnato dall’imbarazzo di Fazio e dalla comunicazione non verbale proveniente dallo sguardo
severo di Di Pietro, per cambiare argomento per parlare di Mario Chiesa:

Fazio; parliamo ancora di magistrati, e obbligatorio il revival?


Di Pietro; come?
Fazio; dico è obbligatorio il revival? Mario Chiesa da cui tutto era cominciato. Di nuovo, ma è.
Di Pietro; guarda, grazie davvero per la domanda. Non tanto per la situazione di Chiesa, ma
Fazio; questo che vuol dire?

Anche se l’intervistatore intende continuare a parlare di magistratura come indica nella sua
prefazione alla domanda, la domanda possiede un elemento linguistico come la parola “revival” che
ha la funzione pragmatica di alleggerire il contenuto della domanda, tramite l'utilizzo di un
repertorio linguistico che indessicalizza (Duranti, 2007) la conversazione in maniera differente
adoperando un cambiamento di prosodia in termini intonativi81. Infatti, il termine “revival” appare a
prima vista come non conosciuto o non capito da Di Pietro e vediamo apparire l’aiuto rapido di
Fazio con la ripetizione della domanda, per aumentare i benefici della sua domanda, tramite una
81
La prosodia rappresenta un mezzo linguistico molto utile per segnalare le proprie emozioni durante l'interazione
verbale come viene sottolineato in Bettoni (2006:19) attraverso lo studio dell'intonazione, del ritmo, la durata e
l'accento nel linguaggio parlato.

163
ulteriore esplicitazione con lo scopo di agevolare la risposta di Di Pietro. Questa domanda offre la
possibilità per la faccia dell’ospite di mettere in rilievo la faccia positiva del suo intervistatore
tramite l’enunciato “grazie davvero per la domanda”, il quale permette di ritornare ad un equilibrio
interazionale tra i due interagenti, in termini sia di costi/beneficio ma soprattutto in termini di
diritti/dovere che competono alla persona dell'ospite, all’interno di un'interazione verbale compiuta
in uno studio televisivo. Questa offerta di faccia positiva, espressa con la formula “ la ringrazio per
la domanda”, potrebbe sancire anche un gesto di riconoscimento in termini di cortesia positiva
(Brown e Levinson, 1987) verso l’intervistatore per aver individuato una domanda interessante,
secondo l’opinione dell’ospite. Nel comportamento linguistico ed extralinguistico di Di Pietro
appare interessante evidenziare una preoccupazione per la presenza del pubblico che si manifesta
con l’indirizzare gli occhi verso il pubblico, quasi come se volesse interpretare l’umore e la vita
quotidiana del pubblico inteso come concetto di faccia collettiva ( Schwartz, 1992). Questo
atteggiamento dimostra una attenzione verso il reale destinatario di questa interazione, ossia il
pubblico in studio e soprattutto quello di casa.

Un altro disaccordo viene rappresentato dalla seguente sequenza di conversazione ( Duranti, 1997):

Fazio; è interessante la sua analisi capire come mai un uomo d’ordine, dopo la sua carriera, la sua
vicenda professionale precedente non vada più a dare fastidio, a togliere voti al centro destra che al
centro sinistra?
Di Pietro; E chi l’ha detto? E quello sto facendo ?io le sto dicendo. Elettori del centro destra,
guardate, non è che votando quel governo state meglio di prima ma è come prima e peggio di
prima.

In questo esempio vediamo una presentazione di una realtà tramite una riformulazione del
presentatore, dove si propone l’azione dell’ospite Di Pietro come di fatto un’azione che va a togliere
dei voti al centro-sinistra, compiendo da parte di Fabio Fazio un'implicatura conversazionale (Grice,
1975) di questa natura, vale a dire che un uomo di giustizia dovrebbe attingere i suoi voti soprattutto
nell’elettorato politico del centro-destra. Possiamo interpretare l’intervento dell’intervistatore come
un tentativo di indicare l’azione politica di Di Pietro come una azione benefica soprattutto al centro-
destra poiché di fatto indebolisce il centro-sinistra facendo pagare un costo per il proprio alleato.
La risposta di Di Pietro, davanti ad una riformulazione percepita come un attacco alla sua faccia in
termini di cortesia negativa (Brown e Levinson, 1987), avviene con la formula “E chi l’ha detto”, la
quale rappresenta un modo di capovolgere totalmente la presentazione dei fatti, dove la presenza di

164
quella congiunzione coordinativa copulativa “e” descrive un modo per riagganciarsi al contesto
(Duranti, Goodwin, 1992) precedente in termini di sfida del contenuto presentato
dall’intervistatore. Quindi l’ospite esprime il suo dovere di difendere i benefici della sua azione,
compiendo di fatto un’azione che sancisce dei costi per la faccia collettiva del centro-sinistra,
rivolgendo una richiesta in diretta all’elettorato di destra con uno stile di tipo affermato82 e
aggiungerei un po’ ironico-comico. Questa azione, condotta senza tenere conto che il pubblico
complessivo del programma di Fazio tende ad un orientamento politico prevalentemente di centro-
sinistra, fa scaturire un effetto di paradosso che provoca l’ilarità del pubblico in studio.
Anche se l’intervista ha avuto molti momenti di conflittualità evidenziati dalla presenza di elementi
di disaccordi precedentemente citati, l’ospite Di Pietro non perde di vista la necessità di
riequilibrare il rapporto interpersonale tramite forme di risposte che si rifanno ad uno stile
coinvolgente e/o caloroso ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) come nel seguente frammento:

Fazio; Le devo porre tre domande e la prego di assecondarmi nelle risposte?


Di Pietro; (Pausa) nel senso che devo dire di sì?
Fazio; Non nel senso che deve cortesemente rispondere nel modo breve.

In questo scambio, vediamo la domanda di Fazio come un tentativo apparente di cordialità verso
l’ospite Di Pietro, attraverso un compito da svolgere da parte dell’ospite. Questo tentativo di
coinvolgimento dell’intervistatore viene colto da Di Pietro tramite una risposta con un tono
scherzoso e caloroso. Questa risposta non troverà un riscontro caloroso da parte di Fazio, il quale
cerca di rimettere una certa distanza sociale (Brown e Levinson, 1987) e freddezza interazionale per
segnalare che la direzione dell’intervista ricadde nelle sue mani e che pertanto occorre rispettare il
dovere/compito dell’intervistatore (cortesia negativa, Brown e Levinson, 1987).
Appare in questa prossima sequenza converzazionale (Duranti, 1997) un passaggio singolare
dell'intervista tra Fabio Fazio e Antonio Di Pietro dove emerge con chiarezza la nozione di persona
quando durante l'intervista riscontriamo questo turno di parola da parte di Di Pietro:

Di Pietro; torno a ripetere...e allora mi lasci fare un attimo il Fazio della situazione. Lei un
condannato con sentenza panale passata ingiudicata lo ricandiderebbe o no?
Fazio; io::: no
Di Pietro; e diglielo a Berlusconi
82
Vedi Spencer-Oatey e Jiang (2003) a proposito delle costrizioni sociopragmatiche come indicatori per analizzare lo
stile interazionale del parlante. In questo lavoro il termine stile interazionale viene adoperato in modo sinonimico con il
termine “ethos”..

165
In questo turno di parola, vediamo come l'intervistato cambia nozione della persona ( Duranti,
2007) rivestendo il ruolo di intervistatore, in modo tale da poter configurare al meglio la sua
intenzione di mettere in risalto il diritto di criticare il malcostume di numerosi dirigenti politici
italiani, con lo scopo di ottenere dei benefici in termini di faccia positiva da parte del pubblico in
studio e di casa. Questa mossa comunicativa conferma molto bene la riflessione di Orletti (1994) sul
ruolo asimmetrico e di potere conferito alla persona che gestisce l'intervista.

6.3 Intervista tra Ségolène Royal et David Pujadas

6.3.1 Setting e scena culturale dell'intervista

L’intervista televisiva tra Ségolène Royal e David Pujadas si svolge il giorno 11 giugno
2007, durante il telegiornale delle ore 20 di France 2, nell’ambito della campagna elettorale
presidenziali francese del 2007. Il setting o scena fisica (Duranti 1992) è uno studio televisivo
caratterizzato dalla presenza di luci, microfoni, telecamere e arredi collocati in modo tale da
configurare uno spazio di confronto tra l’intervistatore e l’ospite. Nel setting fisico notiamo una
distanza spaziale tra la posizione del giornalista e dell’ospite come indicatore di una necessaria
distanza sociale per svolgere con credibilità l’intervista all’ospite. A sostegno di questa
interpretazione, abbiamo Bateson (1972) e Hall (1959) che definiscono l’organizzazione dello
spazio molto importante per capire un evento linguistico. Il modello comunicativo è quello
tradizionale dell’intervista faccia a faccia dove il giornalista dirige l’evento determinando l’inizio e
la fine dell’evento linguistico ( Hymes, 1972). In modo particolare, in questa intervista tra il
giornalista David Pujadas e Ségolène Royal, vediamo come la scena culturale venga segnata dalla
collocazione temporale di questo evento linguistico alle ore 20 di sera, orario di massimo ascolto
televisivo, caricando questo evento linguistico di importanza nella memoria collettiva (Van Diijk,
2002)83 di una nazione perché si rende questo evento un’esperienza collettiva per i membri di una
data comunità di parlanti. La stessa cosa accadrà in dimensioni minori con le interviste realizzate
dalla giornalista Lucia Annunziata agli ospiti della trasmissione televisiva “In mezz’ora”, così come
per Fabio Fazio e gli ospiti di “Che tempo che fa”, i quali rappresentano due eventi linguistici

83
Van diijk (2002) presenta un lavoro intitolato Political discourse and ideology dove si concentra sul rapporto tra
lingua ed identità presentato durante una conferenza sul Anàlisi del discurs polític presso l' Universitat Pompeu Fabra di
Barcelona.

166
presenti nella memoria collettiva di un certo gruppo di parlanti, all’interno della comunità dei
parlanti italofoni. Tale evento linguistico si colloca all’interno di un periodo storico caratterizzato
dalla campagna elettorale presidenziale del 2007. Le risposte di Ségolène Royal sono cariche di
significato poiché sono fondamentali per l'elezione del prossimo presidente francese.
Lo scopo ufficiale dell’ospite è quello di rivolgere un appello all’elettorato che non ha votato
al primo turno di recarsi alle urne per il ballottaggio, mentre lo scopo non dichiarato ( Duranti,
1992) potrebbe essere quello di dimostrare ai membri del partito socialista che lei rappresenta il
candidato capace di difendere tutti i candidati socialisti del partito, nonostante le tante critiche
venute dall’interno del partito stesso. Questo scopo non dichiarato appare chiaro quando cerca di
ristabilire un equilibrio conversazionale affermando che:

Royal d'abord tout les candidats socialistes sont mes proches

Questo enunciato, in sintonia con il pensiero di Schwartz (1992), appare in termini di cortesia
positiva un modo di difendere la faccia collettiva dei membri del proprio partito perché si ritiene la
propria persona come collegata alla comunità politica del partito socialista.

6.3.2 Analisi sociopragmatica dell’intervista tra il giornalista David Pujadas e Ségolène


Royal

Il primo turno di parola viene compiuto dall’intervistatore dopo la visione del servizio
televisivo sulla campagna elettorale di alcuni candidati socialisti in alcune regioni della Francia.
L’intero scambio interazionale ( Duranti, 1997), tra l’ospite Royal e il giornalista Pujadas, sarà
incentrato sul dovere/compito da parte dell’ospite di ristabilire un equilibrio in termini di cortesia
positiva84 per l’intero partito socialista definito come “battu d’avance” causando la definizione
dell’intero servizio televisivo come “scandaloso” da parte dell’ospite. L’intera intervista può essere
analizzata secondo i principi sociopragmatici, dove si vedono i costi subiti dall’ospite per la messa
in onda di questo servizio e i benefici previsti dall’ospite nel produrre un lungo disaccordo come
dovere e capacità di difesa all’interno di un evento linguistico (Hymes, 1972) come quello di uno
studio televisivo. Possiamo interpretare come la difesa della propria faccia attraverso la persona del
“partito socialista” o dell”opposizione” avvenga da parte dell’ospite per sottolineare uno stile

84
Vedere il concetto di cortesia negativa e positiva all’interno del lavoro di Brown e Levinson (1987)Politeness: Some
universals in language usage.

167
“affermato” in termini di principi sociopragmatici (Spencer-Oatey, 2001), davanti ad un attacco
subito durante l’arco di tutto il servizio. Di utile confronto contrastivo, in quanto non riscontrato nel
corpus italiano, è da osservare la reazione di Ségolène Royal, davanti all’espressione del disaccordo
del giornalista interpretato come un atto linguistico inutile, e di conseguenza come un’azione
linguistica dalla realizzazione infelice o nulla secondo la terminologia degli atti linguistici di Searle
(1969).
Questo comportamento linguistico indica che lo scopo effettivo dell'evento linguistico non è
l’interazione con il giornalista ma con il pubblico, il quale diventa l’unico giudice di questo scambio
verbale e del suo dovere/compito di difesa della sua persona come portavoce del partito socialista e
dei tanti telespettatori di fede socialista. Tale comportamento viene reso più chiaro e trasparente nel
proseguo della conversazione, in quanto lo stile di Royal diventerà sempre più indiretto quando si
riferirà a delle persone assenti, come nel caso di Sarkozy per le riforme legate al mondo scolastico e
al primo ministro Fillon a proposito del tema della “TVA sociale”. L’ospite, quando risponde sul
tema della “TVA sociale” (in italiano sarebbe un'imposta come l'IVA a favore della spesa sociale),
rivolge il suo disaccordo a questa proposta verso il Ministro Fillon, ma anche verso i cittadini,
compiendo di nuovo un atto indiretto all’attenzione di un interlocutore assente. Questo stesso stile
indiretto in termini di principi sociopragmatici ( Spencer-Oatey, 2001), sarà presente quando si
parlerà della telefonata fatta da Ségolène Royal al presidente di un altro partito dell’opposizione
denominato “ MODEM” di François Bayrou, dove l’ospite manifesta il fatto che non sia necessario
parlare in modo diretto con il presidente di un partito dell’opposizione in questo dato momento
della campagna elettorale. Durante questa intervista, osserviamo una tendenza da parte del
giornalista David Pujadas di rivolgere delle domande con lo scopo di parlare di contenuti privati,
ponendo in secondo piano il contenuto politico delle risposte, come se la notizia importante fosse
conoscere il rapporto personale tra i politici François Bayrou e Ségolène Royal. Tale domanda, non
trovando diretta risposta nell’ospite Royal viene ribadita per una seconda volta, con lo scopo non
dichiarato (Duranti, 1992) di difendere la sua faccia positiva per il fatto di non aver ottenuto una
risposta da parte dell’ospite. Possiamo interpretare in una prospettiva sociopragmatica, la
ripetizione della domanda da parte del giornalista come una modalità di riduzione dei costi davanti
ai benefici ottenuti dall’ospite nel non avere offerta una risposta. Notiamo nella domanda di tipo
privatistico realizzata dal giornalista con l’intenzione di parlare “de la vie du parti autour d’un
couple” un tentativo di attacco alla faccia dell’ospite in termini di cortesia negativa ( Brown e
Levinson, 1987), ossia nel suo diritto di non essere coinvolto in fatti che riguardano l'autonomia
della persona. La risposta di Ségolène Royal evidenzia il dovere, ma anche il compito, di dividere la
vita affettiva e le scelte politiche, esibendo un notevole grado di autonomia nelle sue scelte politiche

168
all’interno della sua vita di coppia. Questa risposta ha lo scopo dichiarato di informare coloro che
non sanno che questa situazione esiste ormai da 20 anni tra il segretario François Hollande e
Ségolène Royal, mentre lo scopo velato è di mettere a tacere i commenti poco lusinghieri presenti
all’interno del partito socialista. La formulazione di questa domanda rappresenta, nello stesso
tempo, una minaccia indiretta in termini di cortesia negativa per l’altra coppia di quel dato momento
storico, ossia la coppia Nicolas Sarkozy e Carla Bruni.

6.3.3 Analisi del disaccordo nell’intervista tra Ségolène Royal e David Pujadas

Pujadas; merci d'être avec nous Ségolène Royal


Royal; oui
Pujadas; vos proches sont en difficultés pour beaucoup. Ça vous affecte, ça vous déstabilise?
Royal; d'abord tout les candidats socialistes sont mes proches. Permettez moi de vous dire que le
reportage que vous venez de passé est assez scandaleux pour les candidats que vous annoncé perdu
d'avance, battu d'avance.
Pujadas; // non pas perdu d'avance, en difficulté.
Royal; No, no vous avez dit plusieurs fois ballotage défavorable, vous avez dit sur un lot ils
s’effondrent . Je crois que le pluralisme dont parlé tout à l'heure François Bayrou est plus que
jamais nécessaire y compris sur les médias.
Pujadas; c'est la réalité Ségolène Royal
Royal; [ non je crois que vous avez abusé. Écouté laissé les électeurs trancher si vous voulez
bien.
Pujadas; ‘ bien sûr’
Royal; il y a déjà comme vous l'avez dit une majorité de droite. Laissez les candidats socialiste se
battre entre les deux tours. Ce n'est pas encore terminé. Vous avez aussi, si vous le permettez,
passer à l'instant un reportage sur Bordeaux. Vous avez cité le candidat de l'UMP 5 fois et la
candidate socialiste pas une seule fois. Elle s'appelle Michèle Deloné Michèle Deloné et je serais
Pujadas; [ et on l'a entendu dans ce reportage
Royal; et je serais oui mais vous ne l'avez pas cité une seule fois et vous avez cité 5 fois le
candidat de l'ump.’
Pujadas; son nom paraissez à l'écran
Royal; peut être mais vous ne l'avez pas cité. On s'est comment marche la communication. Et bien
je serais avec elle demain soir

169
Pujadas; et laissé moi simplement précisé Ségolène royale que le CSA encadre les temps de
paroles et tout cela fait l'objet d'un contrôle très strictes.
Royal; ne vous défendez pas, la réalité est là. Et ce journal prouve en effet qu'il y a beaucoup
d'effort à faire sur le pluralisme de la presse et sur le pluralisme politique. J'en viens maintenant
Pujadas; [ vous permettrez d'exprimer mon désaccord et de répéter ma question
Royal; vous vous… écouté. les spectateurs jugeront par eux-mêmes

In questa sequenza conversazionale (Duranti, 1997), la candidata Ségolène Royal produce un


avverbio affermativo ( Grevisse, 1982) come “oui” che possiamo interpretare, a mio parere, come
una prefazione di un atteggiamento di contrarietà causato dalla visione del servizio mandato in
onda. Il giornalista David Pujadas prosegue dicendo: ‘ vos proches sont en difficultés pour
beaucoup. Ça vous affecte, ça vous déstabilise?’La risposta di Royal : ‘d'abord tout les candidats
socialistes sont mes proches. Permettez moi de dire que le reportage que vous venez de passé est
assez scandaleux pour les candidats que vous annoncé perdu d'avance, battu d'avance.’

L’avverbio introduttivo ‘d'abord’ ricopre il ruolo di rimettere dell’ordine nelle vicende raccontate
durante il servizio televisivo. Il suo turno è un lungo disaccordo ( Grimshaw, 1990), nel quale
intende fare capire che non accetta la rappresentazione della realtà ( Searle, 1995) offerta dal
giornalista-intervistatore puntualizzando che lei è coinvolta in uguale misura con tutti i candidati
socialisti.
Inoltre, Ségolène Royal tiene a precisare che il servizio mandato in onda era a suo modo di vedere
di tipo “scandaloso”, argomentando che il servizio parla di sconfitta netta per tutti i candidati
socialisti in modo preventivo. Il giornalista Pujadas prova a riparare con il turno di parola ‘ pas
perdu d'avance, en difficulté’ mostrando di correggere il turno di parola precedente, affermando che
non viene detto che i candidati socialisti hanno già perso in anticipo.
L’ospite replica a questo turno di parola ribadendo la sua contrarietà: ‘No, non” vous avez dit
plusieurs fois ballotage défavorable, vous avez dit sur un lot ils s’effondrent”. Je crois que le
pluralisme dont parlé tout à l'heure François Bayrou est plus que jamais nécessaire y compris sur les
medias. In questo caso, vediamo come il disaccordo continua con il raddoppiamento dell'avverbio
di negazione ‘No No’ riutilizzando il contenuto delle parole adoperate nel servizio televisivo e
criticando in modo aperto la mancanza di obiettività del telegiornale. Possiamo tentare di
interpretare il significato di questo turno di parola come una risposta utile per chi intende riformare
il servizio pubblico televisivo e quindi rappresenta un attacco alla cortesia positiva di tutti quelli che
pensano che il servizio pubblico televisivo sia sempre obiettivo ed imparziale. Vediamo la replica

170
del giornalista Pujadas in questo turno:

‘c'est la réalité Ségolène Royal’

La risposta al disaccordo evidenziato da Royal è offerta con un enunciato che mette in risalto il lato
di ovvietà e di evidenza della situazione come se fosse un dato di fatto. ‘C'est’ come presentativo
invariabile ( Grevisse, 1982) mette in rilievo il sostantivo “realité” introducendo molto bene una
presentazione del reale e una certa visione della realtà come se fosse un elemento dato per scontato
esemplificando in tal modo il concetto di forza e di agentività nel parlare introdotto da Duranti
(2007).
Royal replica davanti alla visione della realtà offerta da Pujadas in questo modo:

‘no je crois que vous avez abusé. Écouté laissé les électeurs trancher si vous voulez bien.

In questo turno, viene contestata la visione dei fatti offerta dal giornalista con la negazione iniziale
offerta dall'avverbio di negazione ‘ No’ ed aggiungendo che il servizio ha esagerato la sua
rappresentazione degli avvenimenti in corso. Il verbo ‘écouté’ viene adoperato per segnalare che il
disaccordo non deve essere risolto tra i due interagenti durante questa intervista televisiva, ma deve
essere il compito del cittadino-telespettatore, inteso come faccia collettiva ( Schwartz, 1992), a
decidere se i fatti sono presentati in modo obiettivo dal giornalista Pujadas oppure se i fatti
corrispondono alla visione presentata dalla candidata Ségolène Royal.
La replica del giornalista David Pujadas sarà molto breve con l'avverbio ‘ bien sûr’, indicando il
carattere scontato delle affermazioni di Ségolène Royal e di conseguenza diminuendo l'aspetto
illocutivo ( Searle, 1969) delle affermazioni dell’ospite. Questo avverbio ‘ bien sûr’ rappresenta la
presenza di un accordo circoscritto sul ruolo che svolge il telespettatore all’interno di questo
prolungato disaccordo avvenuto tra la candidata socialista e il presentatore. La candidata Royal
prosegue il suo turno di parola replicando:

“ il y a déjà comme vous l'avez dit une majorité de droite. Laissez les candidats socialiste se battre
entre les deux tours. Ce n'est pas encore terminé. Vous avez aussi, si vous le permettez, passer à
l'instant un reportage sur Bordeaux. Vous avez cité le candidat de l'UMP 5 fois et la candidate
socialiste pas une seule fois. Elle s'appelle Michèle Deloné Michèle Deloné »

Pujadas; ‘et on l'a entendu dans ce reportage’ replica con una difesa dell’operato di chi ha svolto il

171
servizio in termini di cortesia negativa affermando che la candidata ha avuto la possibilità di parlare
durante il servizio messo in onda.

Royal; ‘oui mais vous ne l'avez pas cité une seule fois et vous avez cité 5 fois le candidat de
l'UMP.’

In questo turno di parola, Ségolène Royal concorda sul fatto che la candidata ha parlato durante il
servizio ma il disaccordo ( Scott, 2002) rimane inalterato dato che per la candidata socialista
Ségolène Royal non è stato mai menzionato il nome della candidata socialista per la città di
Bordeaux.

Pujadas; ‘son nom paraissez à l'écran’ .

Anche in questa replica, abbiamo una difesa da parte del giornalista della qualità e dell’obiettività
del servizio, e di conseguenza il giornalista non concorda con la visione dei fatti e della realtà
offerta dall'ospite intervistata. Questo stile conversazionale rappresenta un modo di preservare la
cortesia negativa del proprio lavoro e allo stesso tempo indica in termini sociopragmatici uno stile
affermato ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003).

Royal; ‘ peut être mais vous ne l'avez pas cité. On s'est comment marche la communication. Et bien
je serais avec elle demain soir.’

L’elemento di dubbio introdotto dall'avverbio modale ‘ peut être’ introduce un elemento che
possiamo interpretare come una formulazione di apertura di tipo scettica ( Caffi, 1999) con funzione
di mitigazione nel turno di parola di Ségolène Royal.
La replica di Royal mette in discussione l'operato dei giornalisti segnalando che anche lei sa come
funziona il meccanismo della comunicazione, compiendo un atto molto costoso in termini di faccia
negativa per il giornalista, ma allo stesso tempo, rappresenta un tentativo di ottenere dei benefici per
la propria faccia positiva intesa come capacità di rappresentare tutto il partito socialista.

Turno di parola di Pujadas: ‘et laissé moi simplement précisé Ségolène royale que le CSA encadre
les temps de paroles et tout cela fait l'objet d'un contrôle très strictes’.

Il giornalista maschera il suo disaccordo affermando che i tempi di parola dei candidati politici

172
vengono stabiliti e regolamentati da un ufficio competente detto CSA ( Conseil Superieur de
L'Audiovisuel) e pertanto non è consentito il diritto di superare i tempi di parola per ogni candidato
politico dato che tutto viene controllato con molta attenzione.

Royal; ‘ ne vous défendez pas, la réalité est là. Et ce journal prouve en effet qu'il y a beaucoup
d'effort à faire sur le pluralisme de la presse et sur le pluralisme politique. J'en viens maintenant »

Il disaccordo prolungato ( Vulchinich, 1990) continua a proposito delle ragioni della difesa date dal
giornalista percepite come un atto linguistico infelice ( Searle, 1969) poiché secondo Ségolène
Royal, la mancanza di obiettività del servizio mandato in onda è talmente chiara, evidente che sarà
il cittadino ha decidere sulla serietà ed obiettività di questo telegiornale.

Il seguente turno di parola di Pujadas è breve ma significativo : ‘ vous permettrez d'exprimer mon
désaccord’

Il giornalista tiene a precisare in uno stile “umile” (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) ma risoluto di
essere in disaccordo con tutta l'argomentazione offerta dalla candidata Royal durante tutta
l'intervista perché il disaccordo nasce dal fatto che il giornalista è convinto che il servizio sia fatto
bene e tiene a difendere il diritto di cortesia negativa del proprio operato e di quelli che lavorano
con lui.
Viene adoperato come allocutivo il pronome di cortesia ‘vous’ per segnalare distanza sociale
( Brown e Levinson, 1987) e il verbo di richiesta ‘permettre’ insieme all'espressione diretta del
proprio disaccordo, adoperando un'intonazione abbastanza debole come elemento di prosodia con
una funzione di mitigazione (Caffi, 2001) verso la faccia positiva dell'interlocutore.

Royal; ‘ vous vous écouté. Les spectateurs jugeront par eux-mêmes’.

Di nuovo, tramite la ripetizione di “VOUS VOUS” come formula allocutiva della persona, la
candidata socialista intende segnalare il suo disaccordo e l'inutilità del disaccordo offerto dal
giornalista, visto che non è compito del giornalista affermare il suo disaccordo ma piuttosto è il
compito del cittadino di certificare se il giornale è obiettivo oppure non. Quindi si ripete di nuovo la
segnalazione da parte di Ségolène Royal dell'inutilità dell'atto linguistico della giustificazione da
parte del giornalista Pujadas come elemento di disaccordo tra i due interagenti. In questo turno di
parola, Ségolène Royal ricerca il proprio beneficio in termine di cortesia positiva ricercando nel

173
pubblico il suo diritto di difendere le sue posizioni.

Nel prossimo turno di parola compare un disaccordo espresso in modo forte ( Grimshaw, 1990), da
parte di Ségolène Royal, a proposito della presunta telefonata avvenuta tra lei e il segretario del
partito del Modem:

Royal; “ Non. Pas du tout”.


Pujadas; vous ne le rencontrerez pas? Il n’y aura pas de discussion sur des possibles accords?
Royal; non, ce n’est pas prévu ? no, non, ce n’est pas du tout prévu.

Questa segnalazione del disaccordo che apparentemente può sembrare abbastanza dura rappresenta
una strategia linguistica per allontanare delle ipotesi che non sono previste da parte dell’ospite e per
allontanare in modo chiaro qualsiasi attacco per la propria faccia negativa proveniente da altri
candidati. Di fatto, sono delle risposte che hanno lo scopo di difendere il proprio diritto di
associazione ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) della propria persona con altre persone. La stessa
tipologia di disaccordo viene ripetuta dall’ospite Royal, quando il giornalista evoca le critiche
mosse alla sua vita di coppia con il segretario del partito socialista François Hollande, allontanando
in modo chiaro la possibilità di sentirsi minacciata in termini di scortesia (Kebrat-Orecchioni, 2005)
da questi atti di minaccia alla sua persona. Ecco il passaggio dell'intervista tra il giornalista Pujadas
e l’ospite Royal a proposito della critica sulla sua vita di coppia come punto centrale della vita del
partito socialista:

Pujadas; […] ces critiques ne vous affecte pas?


Royal; Non pas du tout.

Il disaccordo, in questo contesto, svolge il ruolo di difesa della faccia negativa della persona
esprimendo, allo stesso tempo, l’inutilità e l’incapacità dei propri oppositori di formulare degli
attacchi “minacciosi” per la persona dell’ospite. Possiamo dire che in termini di benefici\costi
(Spencer-Oatey, 2001), queste domande risultano avere dei costi maggiori per chi attacca la
candidata socialista dall'interno del suo stesso partito. Questo disaccordo di tipo severo ( Grimshaw,
1990) rappresenta, a mio avviso, un esempio molto interessante di come un'abitudine linguistica
( Whorf, 1956) formulata nel disaccordo “ Non pas du tout” possa innescare in una prospettiva
interculturale dei problemi di ricezione, in termini di faccia positiva, da parte di un parlante di

174
lingua madre italiana.

6.4 Il ruolo del contesto nella segnalazione del disaccordo tra Michele Santoro e il
giornalista Mario Giordano

L’intervista avviene durante la trasmissione “Anno Zero” presentata da Michele Santoro


sulla rete televisiva pubblica italiana Rai 2 il giovedì 9 Aprile 2009 in prima serata. Tale puntata,
andata in onda durante il periodo del terremoto dell’Aquila, renderà il contesto definito con il
termine di “clima” nella trasmissione televisiva altamente rilevante (Hosftede, 2001) nella
realizzazione e/o determinazione dei propri atti linguistici da parte dei vari partecipanti. Lo stile
conversazionale in termini sociopragmatici del conduttore Michele Santoro appare di tipo personale
e diretto, mentre lo stile di Mario Giordano può essere interpretato come di tipo distante (Spencer-
Oatey, 2001).
Il contesto extra-linguistico è molto importante in questa conversazione dato che il disaccordo si
fonda sull’opportunità o meno di fare conoscere, in un dato momento temporale, i lavori di uno
studioso che lavora sulla previsione del terremoto tramite delle ricerche sul Radon, ossia un gas
radioattivo che viene liberato dal sottosuolo quando le faglie terrestre vengono attivate (Moroni,
2001).
Questi elementi servono per caratterizzare un evento linguistico ( Hymes, 1972) ad un alto
indice contestuale (Hosftede, 2001), dove le scelte linguistiche sono realizzate in funzione del
protocollo da rispettare e muovono da direttive generali verso il caso specifico del terremoto,
mentre nei contesti a basso indice contestuale la comunicazione rimane centrata sul in discussione
senza dare peso a fattori esterni alla comunicazione. In questo dato contesto, i partecipanti
istituzionali ( governo, politici, giornalisti) di questa scena culturale hanno deciso di dover
tranquillizzare la popolazione con i loro messaggi, non permettendo o mal tollerando la
formulazione di atti linguistici che portavano elementi di critica o di ulteriori informazioni ritenute
essere in conflitto con la creazione di un contesto culturale ( Hofstede, 2001) di tipo rassicurante.
La creazione di questo contesto, viene mascherata dalla riformulazione svolta dal giornalista
Michele Santoro, dopo il servizio mandato in onda, inteso come una linea di confine esterno in
Duranti ( 1992), poiché rappresenta la prova della necessità da parte del governo di tenere la
situazione sotto-controllo per l’intera collettività in termini di contesto culturale ad alto indice
contestuale (Hofstede, 2001), senza voler dare voce ad elementi di critica. Ecco il frammento in
questione:

175
Santoro; la mia preoccupazione è che la sua storia la sua storia dimostri il fatto che noi avevamo
assoluto bisogno di::: creare un atmosfera tranquilla. Avevamo l'assoluto (bisogno) non stava
succedendo niente
Giordano; [ Ma c’era il terremoto a Sulmona. // ma c'era il terremoto a Sulmona
Santoro; e ho capito. Ha sbagliato ( ? ? )
Giordano; e ho capito. E ho capito. E bé. E poco?
Santoro; e quelli che dicevano che non stava succedendo niente hanno sbagliato più di lui.
Giordano; no, no, però

Dalla riformulazione dei fatti compiuti da Michele Santoro possiamo interpretare, seguendo i
principi sociopragmatici di Spencer-Oatey (2001) e Hymes (1972), come il governo abbia valutato
come maggiormente benefico per la sua azione politica intesa come faccia pubblica ( Goffman,
1971) mantenere l'evento linguistico post-sismico il più tranquillo possibile per l'intera collettività,
in modo tale da mettere in rilievo la capacità del governo, in termini di cortesia positiva (Brown e
Levinson, 1987), di gestire il fenomeno post-sismico. Invece la diffusione di ulteriori informazioni è
stata immediatamente percepita come troppo costosa in termini di cortesia negativa per il gestore
politico dell’evento sismico poiché intesa come sinonimo di ammissione, in questo contesto
culturale (Hofstede, 2001), di non avere fatto tutto per prevenire il fenomeno sismico.
Tale divergenza di veduta è alla base di un lungo disaccordo sostenuto (Rees-Miller, 2000) tra il
giornalista Santoro e l'ospite Mario Giordano sul valore conferito da parte della comunità scientifica
per una ricerca svolta sul gas Radon da parte di uno studioso abruzzese. La posizione sostenuta
dall’ex-direttore del Giornale Mario Giordano è quella di ribadire la non fondatezza di queste
ricerche da parte della comunità scientifica, mentre la posizione di Michele Santoro si fonda sul
diritto-beneficio della gente di conoscere altri elementi per meglio capire se si poteva prevenire il
fenomeno sismico a prescindere dalla completa legittimità scientifica della ricerca condotta dallo
studioso abruzzese. Da questa posizione viene fuori una segnalazione del disaccordo dove il
giornalista Mario Giordano tralascia il proprio disaccordo ( Vulchinich, 1990):

Santoro; […] quale interesse abbiamo come collettività per (1) diciamo scatenare contro di lui una
polemica’
Giordano; ma io… non ho scatenato nessuna polemica non. Non Le falsità che [ non voglio dire
ma qualcuno l’ha fatto.
Giordano; // le falsità no piuttosto è stato accusato di dire falsità, le falsità che io il sindaco di

176
Sulmona e alcune altre decine di persone dicono stanno su internet perché queste cose sono
registrate e sono sentite… io non sono un tecnico io faccio il giornalista di mestiere. Se sento una
persona che lancia un allarme, la mia funzione è quella di andare a cercare altri esperti e sentire
cosa dicono. Se diciamo la comunità scientifica dice che di queste ricerche non ha notizie, non ha
contezza, non le ritiene attendibili, io non è che possa…
Santoro; ma la comunità scientifica non dice questo’.
Giordano; si la comunità scientifica ha detto esattamente questa cosa
Santoro; e no no. la comunità scientifica non dice proprio questa cosa. La comunità scientifica
dice che la ricerca sul radon sono nell’ambito delle ricerche che c'è in questo ambito…
Giordano; ‘ma non ci sono.
Santoro; quindi questo signore, a modo suo, da Archimede pitagorico, sta facendo la sua ricerca.
Giordano; ma la ricerca che vivaddio chiunque può fare la sua ricerca.

In questi turni di parola (Duranti, 1997), vediamo come l’intervistato Mario Giordano non intenda
difendere la sua posizione in modo “affermato”85 perché il costo di tale difesa viene valutato come
maggiore dei benefici per la propria faccia positiva, dove si ritengono le posizioni tra i due
interlocutori molto distanti e quindi difficilmente si raggiungerebbe un accordo sul senso da
conferire alla gestione dell’evento sismico inteso come evento linguistico ( Hymes, 1972).
Un punto interessante è quello di notare la ripetizione del sintagma nominale “la comunità
scientifica” da parte del Direttore Giordano come formulazione linguistica a carattere perlocutorio
( Austin, 1962) con la finalità di dare più peso alle proprie parole attraverso un diritto all'ufficialità,
mentre per Michele Santoro prevale il dovere in termini di cortesia positiva verso il pubblico a casa
di fare conoscere tutte le ricerche a prescindere dall’ufficialità. Inoltre, vorrei evidenziare il
cambiamento di “persona” effettuato da Mario Giordano quando afferma “ di non essere un tecnico
ma di essere un giornalista” con l'intenzione di agentivare (Duranti, 2007) la sua persona come non
esperto della materia. Questo cambiamento di “persona” (Duranti, 2007), permette di porre una
certa distanza dalle sue posizioni e di mitigarle ( Caffi, 1999), in un certo modo, dato che il suo
disaccordo si poggia sulla posizione della comunità scientifica, la quale non riconosce le ricerche
condotte dallo studioso abruzzese. Dal punto di vista dell’analisi sociopragmatica, vediamo in
questo turno conversazionale un elemento di doppio interesse nell’uso dell’allocutivo di cortesia
“lei” :

85
Il termine affermato o stile affermato viene adoperato in conformità all'uso fatto in Spencer-Oatey e Jiang (2003) a
proposito dei principi sociopragmatici adoperati per analizzare l'interazione conversazionale.

177
Santoro: ‘ lei ha scatenato una polemica’

Nelle parole di Michele Santoro abbiamo la presenza dell'allocutivo “lei” per indicare una certa
considerazione dei ruoli in chiave di cortesia positiva per la faccia dell’ospite, ma allo stesso tempo
rappresenta anche un allocutivo portatore di una distanza sociale ( Brown e Levinson, 1987) da
mantenere e preservare durante l’evento linguistico dell’intervista. L’uso del pronome di cortesia
“lei” potrebbe essere interpretato come una forma di mitigazione in termini di costi per chi lo
produce e in termini di benefici per chi lo riceve perché offre la possibilità di svolgere un attacco
all’ospite, diminuendo i rischi di minaccia in termini di cortesia positiva per la faccia dell'ospite
Mario Giordano.
Di fatto, in correlazione all’uso di “lei” da intendere come diritto per la faccia positiva dell'ospite
Giordano, il presentatore usa un verbo come “scatenare”, con forte effetto perlocutorio sulla
persona del giornalista Giordano, con l'intenzione di ribadire il suo diritto\dovere di porre delle
domande scomode all'interno di un evento linguistico dove il disaccordo è atteso tra i vari
partecipanti (Holmes, Stubbe, 2003). Tuttavia, Giordano non accetta le accuse mosse dal conduttore
Michele Santoro ribadendo che la comunità scientifica, a suo dire, non ha tracce di queste ricerche:

Giordano; io non ho scatenato nessuna polemica la comunità scientifica dice che non ci sono
tracce di queste ricerche.’

Santoro; Ma la comunità scientifica non dice questo

Nella replica di Santoro, si sostiene che la comunità scientifica non dice quello che sostiene
Giordano, marcando un disaccordo severo ( Rees-Miller, 2000) con la posizione mantenuta dal
giornalista Giordano, affermando invece che le ricerche compiute dallo studioso locale rientrano nel
quadro delle ricerche inerenti al fenomeno sismico. Questo disaccordo rappresenta il dovere del
presentatore di difendere la posizione dello studioso abruzzese e il disaccordo segnala il dovere di
attaccare una posizione dell'ospite ritenuta non veritiera in termini di massima di qualità (Grice,
1975), mentre l’ospite, tralasciando la realizzazione del disaccordo, dimostra di percepire i costi di
difesa della sua faccia maggiori dei possibili benefici per la sua faccia (Holmes, Stubbe, 2003).

Giordano; [ ma non c'è

In questo turno di parola non avviene la ratificazione del precedente turno di parola di Santoro.

178
Santoro; ‘e no no. la ricerca dice proprio questa cosa ‘.

Invece in questo caso abbiamo la presenza di un forte disaccordo evidenziato con la premessa della
congiunzione coordinativa ‘e’ come indicatore di non accettazione di quello che viene presentato
precedentemente, seguito dal marcatore avverbiale di negazione ‘No’ formulato senza lavoro
rimediale ( Zorzi, 1990) da parte di Santoro, il quale argomenta che la ricerca sostiene la posizione
che lui sta portando avanti.
I prossimi turni conversazionali (Duranti, 1997), presi in considerazione sono incentrati sulla
presenza di un disaccordo sulla nozione di persona (Duranti, 2007) del presentatore, il quale non
accetta il titolo di “dottore” per agentivare (Duranti, 2007) la sua persona da parte dell’ospite Mario
Giordano. L'enunciato (‘ scusi dottore Santoro’) inteso come atto linguistico volto, a ristabilire
un’importanza alle ragioni del disaccordo in termini di faccia negativa per l'ospite, e lo stesso
termine “dottore” in questo evento linguistico servono per riequilibrare il “face-work” (Brown e
Levinson, 1987) tra i due interagenti, facendo pagare un costo alla faccia positiva di Michele
Santoro.

Giordano; scusi dottore Santoro, un conto è fare la ricerca


Santoro; [ mi chiami Michele che è meglio
Giordano; no, io non ho mai fatto europarlamentare con lei abbi pazienza
Santoro; allora mi chiami onorevole
Giordano; onorevole va benissimo

Questo cambiamento di nozione della “persona” viene rifiutato dal presentatore perché viene
percepito forse come un titolo poco qualificante per la sua persona e pertanto suggerisce una
soluzione di tipo informale come quella del proprio “nome”( “non mi chiami dottore, mi chiami
Michele’) . Tale scelta è percepita dall’ospite Giordano come una richiesta di informalità o di stile
coinvolgente (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) non presente in questo contesto culturale (Hofstede,
2001) attraverso l'enunciato (‘ no, io non sono mai stato onorevole’ ), soprattutto per una persona
come il giornalista Michele Santoro il quale è stato “onorevole”, ponendo in evidenza da parte
dell’ospite lo scopo non-dichiarato di fare capire che l’intervistatore non è neutro e che detiene un
certo potere soprattutto nel “cultural scritp”( Wierzbicka, 1991) italiano, dove i titoli e il
posizionamento politico hanno una grossa importanza anche una volta terminata la propria
esperienza politica. Data la segnalazione del disaccordo (Sornig, 1977), il presentatore compie un

179
atto di imposizione ( Brown e Levinson, 1987) chiedendo di farsi chiamare “onorevole” compiendo
una mossa linguistica minacciosa sia per la sua faccia in termini di cortesia positiva così come per
la faccia dell'ospite in termini di cortesia negativa. Tuttavia tale mossa, realizzata in modo ironico e
con l'intenzione di cambiare la “key” (Hymes, 1972) interpretativa dell'evento linguistico, viene
riparata perché viene valutata come troppo costosa la forma allocutiva di “onorevole”, e di
conseguenza, si ritiene come poco benefica questa indessicalizzazione della propria persona
(Duranti, 2007), soprattutto alla luce di ristabilire un equilibrio in termini di diritto e dovere
nell'interazione tra il presentatore e l'ospite. Un altro momento che ha destato il mio interesse è
questo passaggio della conversazione dove la persona del presentatore e quella dell’ospite Mario
Giordano si trasformano per diventare rispettivamente un “voi” per l’ospite Giordano e “noi
onorevoli di Bruxelles” per parlare dell’intervistatore Santoro:

Giordano; […] noi è tutta la serata che stiamo passando, anzi che state dicendo che ci sono stati
dei ritardi.
Santoro; chi voi?
Giordano; voi ono (??)
Santoro; noi noi noi onorevoli di Bruxelles
Giordano; voi … voi onorevoli di Bruxelles che state dicendo che ci sono stati dei ritardi che avete
visto…
Santoro; noi stiamo dicendo che è stato sottovalutato [per altro per altro] un evento sismico che
aveva forti elementi di preoccupazione […] .

In questa conversazione, vediamo apparire i pronomi personali di “noi” onorevoli di Bruxelles


come modalità di indessicalizzare86 un gruppo di riferimento, in questo caso un presunto partito
dell’opposizione, il quale mette in discussione la gestione del terremoto dell’Aquila da parte del
governo, per il fatto di non aver dato riscontro alle ricerche condotte da uno studioso locale. Si può
notare come l’intervistatore Michele Santoro accetti la nozione di persona di “noi onorevoli di
Bruxelles” con un'intonazione vocale di tipo ironica per caratterizzare il suo dovere e compito di
accertare una versione della verità differente, mentre Giordano non vuole aderire a questo noi
rimarcando la propria distanza dalla visione dei fatti dell’Aquila per evidenziare il suo diritto alla
difesa dell’operato del governo poiché la propria faccia positiva si ricollega con la faccia collettiva
di Schwartz (1992) del governo.
86
Il termine indessicalità è stato precedentemente definito partendo dai lavori di William Hanks (2001) come la
onnipresenza dalla dipendenza del contesto di alcuni fenomeni linguistici, come ad esempio: l'accento, gli allocutivi,
l'uso dei dimostrativi, dei pronomi e degli avverbi deittici ( qui, là, ora, dopo).

180
6.5 Disaccordo severo come segnale di stile conversazionale

6.5.1 L'intervista come evento linguistico

La conversazione presa in esame si svolge all'interno del programma televisivo “ce soir ou
jamais” andato in onda su France 3 nella giornata del 8 Marzo 2008. Riprendendo il metodo di
analisi “speaking” di Hymes (1972) possiamo descrivere il setting di questo studio televisivo, con la
presenza fisica di due divani che hanno la funzione di ricercare un rapporto di informalità (Hall,
1959 ) e di agiatezza tra i partecipanti, mentre la collocazione dell’intervistatore separato dagli
invitati assegna un’idea di neutralità della sua posizione all’interno del dibattito. La collocazione nel
tempo, in tarda serata, conferisce un senso di maggiore libertà offerta ai parlanti perché gli
ascoltatori di questo dibattito vogliono sentirsi dire delle cose che solitamente in altri contesti
televisivi non vengono prese in considerazione. I partecipanti al dibattito fanno parte della vita
culturale francese e sono portatori di punti di vista differenti sul tema dell'immigrazione in Francia.
Lo scopo per i partecipanti è di contribuire, con maggiori elementi di comprensione e di verità, ad
un tema controverso come l'immigrazione, mentre lo scopo del programma televisivo potrebbe
essere quello di confermare una meta-rappresentazione87 della capacità degli intellettuali in Francia
di decifrare gli eventi dell'attualità in maniera originale e profonda. La chiave di comprensione di
questo dato evento linguistico è da intendersi di tipo polemico tra i vari interlocutori, soprattutto
quando prende la parola Toni Gatlif per difendere la sua posizione sul tema dell'immigrazione. Il
canale di comunicazione tra i vari interagenti è di tipo orale con la presenza di uno stile
interazionale divergente tra il regista Toni Gatlif e gli altri partecipanti alla conversazione, segnale
di un'appartenenza sia culturale che linguistica ad un altra comunità di parlanti. Lo stile
conversazionale di Toni Gatlif è di tipo diretto e affermato mentre quello degli altri partecipanti
sembra distante e cordiale.

6.5.2 Analisi sociopragmatica del disaccordo

Durante questo programma incentrato sul dibattito sull’immigrazione, l’analisi sarà condotta
87
Il termine di meta-rappresentazione viene adoperato in linea con la visione di Sperber e Claidière (2008) a proposito
della definizione della cultura intesa come la rappresentazione di una rappresentazione che si è diffusa con successo
all'interno della società.

181
sul disaccordo segnalato in modo prolungato e severo ( Rees-Miller, 2000, Grimshaw, 1990) da
parte di Tony Gatlif come modalità di espressione del proprio diritto di difendere la propria cortesia
negativa in termini di costi troppo elevati da sostenere di fronte a delle argomentazioni che hanno
come unico beneficio quello di difendere dei comportamenti razzistici verso gli immigrati.
L’espressione “je suis désolé” può essere interpretata come una scelta dettata dai costi troppi elevati
da pagare in termini di cortesia negativa ( Brown e Levinson, 1987) di fronte ai benefici ( Spencer-
Oatey, 2000) previsti dall’ascolto di questi propositi tenuti dagli altri invitati. Dal punto di vista
della sociopragmatica di Spencer-Oatey (2001), possiamo denotare uno stile diretto, caloroso ed
affermato che si antepone, in netto contrasto, con lo stile abbastanza vago e distante esibito dagli
altri interlocutori. Alla luce dell’analisi di Spencer-Oatey (2001), possiamo vedere nella produzione
del disaccordo forte di Gatlif “N'écouté pas’, Je vous assure que c'est pas vrai” un modo per non
dover pagare i costi di subire una verità soggettiva come afferma Habermas (1987) che porta dei
vantaggi soltanto per quelli che vedono negli immigrati un nemico, un invasore da combattere. In
questo caso, possiamo essere in accordo con Grimshaw (1990), quando osserviamo il regista Tony
Gatlif produrre un disaccordo forte come replica alla realtà dell’altro interlocutore percepito come
un attacco diretto alla propria identità o alle proprie convinzioni etiche e morali. Il disaccordo
prolungato da parte di Tony Gatlif nasce dall'indessicalizzazione ( Duranti, 2007) del migrante
come “ petit voyou de banlieue” da parte di un interlocutore, causando una netta reazione da parte
del regista. La stessa cosa si ritroverà nel caso del terremoto di Sulmona dove l'indessicalizzazione
della persona dello scienziato abruzzese come “imbecille” ha scatenato un lungo disaccordo sulla
necessità da parte del governo di tenere il clima post-sismico sotto-controllo. In questa
conversazione, lo scopo dichiarato degli interventi di Tony Gatlif è quello di rifiutare una certa
rappresentazione compassionevole\paternalistica dell’immigrazione e nello stesso tempo di porre in
evidenza la situazione del popolo rom in Francia percepito come straniero pur essendo francese.
Dall’altro canto, lo scopo degli altri interlocutori potrebbe essere quello di fare capire che capiscono
le dinamiche dell’immigrazione, esibendo di fatto la propria intelligenza e superiorità come difesa
della propria cortesia positiva (Brown e Levinson, 1987), di fronte ad uno stile coinvolgente ed
affermato ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) di Tony Gatlif. Invece, per la parte di scopo non dichiarato,
in questa conversazione ( Hymes, 1972) si potrebbe ipotizzare il bisogno di fare emergere la
necessità per la società francese di accettare gli immigrati come un elemento insostituibile per lo
sviluppo economico del proprio paese.

Tony Gatlif; Non. N'écouté pas

182
Tony Gatlif; Je vous assure que c'est pas vrai
Tony Gatlif; c'est pas des nomades
Tony Gatlif; no

L’espressione del disaccordo realizzata tramite l'utilizzo dell'avverbio di negazione “ non” con
l'aggiunta della particella di negazione “ne pas” all'interno del verbo “écouter” seguita dalla formula
(‘ Je vous assure que c'est pas vrai’ ) segnala la necessità di avvertire i conversanti, ma soprattutto
il pubblico dell’impossibilità per i diritti della propria faccia di ascoltare il contenuto di ciò che
viene presentato come la realtà da parte dell’altro interagente. È interessante cogliere in questo tipo
di disaccordo una totale rimessa in causa dei propositi dell’altro interlocutore, in sintonia con la
visione di Grimshaw (1990), quando sostiene che il disaccordo viene espresso in modo duro quando
si percepisce la minaccia forte per la propria identità e\o identità professionale.
Anche in questo enunciato, pronunciato da Tony Gatlif (‘ c'est pas des nomades’), vediamo un
disaccordo ancora sostenuto con l'ausilio di “c'est” come presentativo accompagnato dalla particella
di negazione “pas” come una replica che segnala come insostenibile in termini di costi
l'accettazione del contenuto offerto dalle precedenti affermazioni e pertanto viene privilegiata una
difesa della propria faccia positiva con lo scopo di non dare benefici ad una verità alla quale non si
vuole aderire. La negazione espressa in modo forte con l'avverbio di negazione ‘no’ di Tony Gatlif
come marcatore di negazione rappresenta il diritto di esprimere un netto rifiuto su tutto il contenuto
affermato all’interno del dibattito sui “rom” in Europa, poiché si percepisce l'attacco al gruppo
“nomades” come una minaccia alla faccia individuale e collettiva dell'autore visto che la sua
persona si ricollega alla faccia collettiva (Schwartz,1992) dei rom.

6.6 Disaccordo tra il giornalista Marco Travaglio e Michele Santoro

La seguente sequenza conversazionale tra Marco Travaglio e Michele Santoro è tratta dal
programma televisivo “Anno zero” del 16 Aprile 2009, andato in onda sulla rete pubblica italiana
Rai 2 in prima serata. Questo evento linguistico inizia con un confine esterno ( Duranti, 1992)
costituito dal comunicato scritto inviato dall’azienda di costruzione “Todini SPA” letto dal
presentatore all’inizio del programma. Tale comunicato scritto rappresenta una richiesta di
riparazione per la Todini spa in termini di cortesia negativa conferendo, tramite il genere del testo
“scritto”, un maggiore grado d'imposizione ( Brown e Levinson, 1987) a questa comunicazione e

183
allo stesso tempo un certo potere di indessicalizzare ( Duranti, 2007) il mittente come “Todini
spa”88. Tale confine esterno, inteso come presentazione dei fatti, rende la produzione del disaccordo
più difficile per la persona che intende dissentire sul contenuto del comunicato scritto. In una
prospettiva contrastiva, possiamo annotare la non presenza di questo genere di comunicazione nel
corpus di lingua francese, come se questo genere di riparazioni non fossero riconosciute o ammesse
nell'evento televisivo dell'intervista, dove la persona che intende difendere la sua posizione deve
“impegnarsi” in prima persona per difendere la sua faccia negativa, in linea con l'ethos delineato da
Béal (1993) a proposito dei parlanti francofoni.
Ecco il frammento di conversazione dove possiamo osservare la segnalazione del disaccordo tra i
due conversanti:

Santoro; Va bene?
Travaglio; Ma direi di no

A tal proposito, vediamo come la formulazione della domanda da parte di Michele Santoro verso
Travaglio avvenga con una domanda del tipo “ va bene?” con un'intonazione esortativa e
consensuale, come se volesse indicare la conclusione naturale di questo lungo comunicato. Questo
confine esterno (Duranti, 1992) ha lo scopo ufficiale di “chiedere riparazione” per il danno subito in
termini di cortesia negativa, ma allo stesso tempo potrebbe avere lo scopo non dichiarato di
“mostrare i limiti” delle conoscenze giudiziarie del giornalista Marco Travaglio, causando un atto di
minaccia in termini di cortesia positiva per la faccia del giornalista.
Consapevole di questi elementi di prefazione avvenuti prima del suo turno di parola, la produzione
del disaccordo da parte di Travaglio avviene in modo ritardato ( Scott, 2002) con l'utilizzo della
congiunzione avversativa “ ma” e con la scelta del verbo “ dire” al condizionale con valore modale
per mitigare ( Caffi, 2001), prima di introdurre le spiegazioni che hanno motivato la presenza
dell’impresa “Todini” come azienda citata nell’ambito di un’indagine dei ROS89. Dal punto di vista
sociopragmatico è interessante cogliere il grado di imposizione della richiesta come forma di diritto
al risarcimento per i costi subiti dalle affermazioni pronunciate nella puntata precedente. Tale
beneficio viene negato da Travaglio, dato che per difendere la propria faccia in termini di dovere
spiega le ragioni del perché si trova indagata la “Todini Spa”, smentendo di fatto il contenuto scritto
del comunicato inviato alla redazione del programma “Anno zero”. In questa conversazione,

88
Va tenuto presente, a mio giudizio, l’importanza culturale rivestita dal ruolo dell’azienda nella vita sociale italiana che
di fatto conferisce maggiore prestigio sociale alle imprese piuttosto che agli enti pubblici. Inoltre la Todini SPA
rappresenta una delle aziende più importanti nel campo della costruzione sia in Italia che all’estero.
89
L'acronimo ROS significa: Reparto Operativo Scientifico dei carabinieri.

184
adoperando i principi di sociopragmatica interazionale (2001, 2003), possiamo definire lo stile di
Marco Travaglio come chiaro e distante mentre Michele Santoro ha uno stile di tipo coinvolgente e
personale.

6.7 Analisi sociopragmatica del disaccordo nell’intervista tra Renato Brunetta e Daria
Bignardi

L’intervista tra il Ministro Brunetta e la giornalista Daria Bignardi si svolge all’interno del
programma televisivo “ Era glaciale” di Rai 2 il 24 Aprile 2009, in uno spazio temporale collocato
in seconda serata, con lo scopo non dichiarato ( Hymes, 1979) di fare apparire il volto umano dei
personaggi politici italiani. La collocazione in seconda serata conferisce in modo implicito
maggiore libertà di parola poiché si presuppone che il pubblico ascoltatore sia composto da persone
adulte. La disposizione spaziale di questa intervista, fondamentale per caratterizzare un evento
linguistico ( Bateson, 1972, Hall, 1959), è composta da una distanza ridotta tra l’ospite e la
giornalista da intendere come una ricerca di una certa vicinanza emotiva tra gli interlocutori.
Dal punto di vista dei principi di sociopragmatica possiamo notare una grossa differenza di stile
conversazionale tra il Ministro Brunetta e l’intervistatrice Bignardi: il Ministro Brunetta sembra
aderire ad uno stile di tipo diretto e affermato, mentre la giornalista Bignardi appare come una
giornalista con uno stile cordiale-gentile e con una certa deferenza per il proprio ospite ( Spencer-
Oatey, Jiang, 2003).
Questa differenza di stile conversazionale di natura sociopragmatica è fondamentale per capire il
senso profondo del prolungato disaccordo ( Rees-Miller, 2000) presente in questa intervista perché i
due interlocutori hanno una visione divergente “ sull'essere per e con”( Duranti, 2007) di due
persone nella relazione interpersonale. Di fatto, il Ministro Brunetta sembra a suo agio durante
l’intervista nonostante i tanti disaccordi, mentre la giornalista Bignardi afferma di essere a disagio
in questa intervista. Nello stile interazionale di Brunetta possiamo vedere in sintonia, con Schiffrin
(1984) e Kakava (2002), una nozione del disaccordo come elemento di socialità presente sia nella
comunità ebraica di New York così come nel caso dei parlanti greci ( Kakava, 2002). Inoltre tale
divergenza agentivale della persona (Duranti, 2007) sembra essere riconducibile ad una nozione
della persona fondata sulla considerazione ( Scollon, 2003) in Daria Bignardi, mentre il Ministro
Brunetta sembra aderire ad una nozione della persona fondata sulla “franchezza” ( Béal, 1993).
Sin dall’inizio del frammento riprodotto da questa intervista interviene un forte e lungo disaccordo
( Rees-Miller, 2000) che possiamo vedere in questa trascrizione:

185
Bignardi; dopo la sua carriera universitaria a Padova arriva il primo incarico romano alla
fondazione Brandolini
Brunetta; N::::::::o, cosa dice?
Bignardi; leggo il suo libro
Brunetta; le hanno scritto, le hanno scritto Brodolini.
Bignardi; uffa
Brunetta; il padre dello statuto italiano dei lavoratori
Bignardi; Ma si Bradolini Brodolini ma dai
Brunetta; che dice
Bignardi; non sono queste le cose che contano
Brunetta; posso, posso dire lei in questo momento ha detto una bestemmia.
Bignardi; Oh dio, mi dispiace
Brunetta; Giacomo Brodolini, il padre dello statuto dei lavoratori, morì di cancro mentre stava
facendo approvare una legge fondamentale per i diritti dei lavoratori.
Bignardi; ammetto la mia ignoranza
Brunetta; guardi::: io ho diretto per 20 anni la fondazione dedicata a questo grande italiano e mi
dispiace che proprio una persona sensibile come lei abbia detto (inaudibile)
Bignardi; non si figura la mia era una battuta. E massimo rispetto e mi scuso
Brunetta; non lo conosce?
Bignardi; non lo conosco, lo ammetto però io volevo arrivare ad una altra cosa.

In questa intervista, il primo disaccordo dell’ospite Brunetta avviene immediatamente dopo la breve
introduzione fatta dalla giornalista Bignardi in merito alla carriera del Ministro, il quale con
l’enunciato composta dalla congiunzione avversativa “ ma” e dalla formula interrogativa “ cosa
dice” afferma il suo diritto di difendere la sua faccia positiva e nel medesimo tempo di ottenere
riparazione (Pomerantz, 1975) davanti ad un errore che costa troppo per la propria faccia in termini
di cortesia positiva, compiendo un disaccordo molto severo ( Rees-Miller, 2000), segnale di un
grado d'imposizione indicatore del potere relativo (Brown e Levinson, 1987) presente all’interno di
questa conversazione tra il Ministro e la giornalista. La giornalista per difendersi da questa
minaccia, in termini di cortesia positiva (1987) e in termini di scortesia ( Kebrat-Orecchioni, 2005),
difende la propria faccia affermando per ottenere qualche beneficio alla sua persona che le sue
affermazioni sono frutto della lettura del libro. A tale replica, ritenuta non veritiera in termini di

186
massima di qualità ( Grice, 1975) da parte del ministro Brunetta, l’ospite fa arrivare il suo sostegno
come forma di beneficio alla cortesia positiva della giornalista dicendo che sarà stato un errore di
lettura dato che la fondazione in questione si chiama Brodolini e non Bradolini. Davanti a questa
forma di sostegno, percepito dalla giornalista come una minaccia per la sua faccia in termini di
cortesia positiva, replica con una risposta di tipo onomatopeica come “uffa” che indica l'utilizzo di
un registro famigliare e popolare presente diatopicamente nel centro-nord dell’Italia per segnalare la
propria stanchezza e per indessicalizzare ( Duranti, 2007) la necessità di cambiare l'andamento della
conversazione. Il disaccordo si fonda, a mio parere, sulla diversa interpretazione dell'errore nel
pronunciare il nome di Brodolini e non Bradolini, innescando di fatto una serie di precisazioni da
parte del Ministro Brunetta, con lo scopo di salvare la sua faccia positiva di fronte ad una giornalista
che intende tralasciare dei fatti che vengono ritenuti irrilevanti con la finalità di mitigare i costi
subiti per la sua faccia in termini di cortesia negativa ( Vulchinich, 1990, Brown e Levinson, 1987).
Questo disaccordo troverà una risoluzione per il Ministro Brunetta, soltanto quando la giornalista
prenderà atto dell’importanza del punto di vista del Ministro, quando quest'ultimo utilizzando la
massima di rilevanza ( Grice, 1975) pronuncerà questi due enunciati:

Brunetta; “giacomo Brodolini, il padre dello statuto dei lavoratori, morì di cancro mentre stava
facendo approvare una legge fondamentale per i diritti dei lavoratori.”
Brunetta; “guardi::: io ho diretto per 20 anni la fondazione dedicata a questo grande italiano….”

Questi due enunciati svolgono una funzione di riparazione ( Goffman, 1967, Pomerantz, 1975) e di
beneficio in termini sociopragmatici per la faccia del Ministro Brunetta, poiché il riconoscimento
dell’importanza dell’opera di Brodolini da parte della giornalista Bignardi serve implicitamente a
dare faccia in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) riconoscendo il lavoro del
Ministro Brunetta all’interno di questa fondazione. Questo riconoscimento, attribuito alla persona
del Ministro Brunetta90, non avviene subito da parte della giornalista in quanto si percepisce come
inizialmente troppo elevato il costo di tale riconoscimento in termini di faccia positiva. Tuttavia,
dato il grado di imposizione ( Brown e Levinson, 1987) del Ministro nella difesa della faccia
negativa di questo personaggio politico italiano, la giornalista sarà costretta ad ammettere la non
conoscenza dell’opera di Brodolini e pertanto dovrà subire i costi pesanti per la sua faccia positiva
tramite la formulazione di scuse con l'intenzione ( Hussell, 1960) e il beneficio in termini
sociopragmatici di poter proseguire la propria intervista.

90
La nozione di persona ripresa da Duranti (2007) si riferisce all'”essere per e essere con” inteso come modo di stare
insieme agli altri interlocutori.

187
In questa conversazione, i benefici possono sembrare di poco rilievo ma all’interno di un evento
linguistico ( Hymes, 1972) come quello di un’intervista televisiva, i benefici per l’identità del
giornalista possono essere maggiori nel proseguimento della propria intervista pagando in termini di
costi per la propria faccia positiva, piuttosto che rimanere arroccato nella difesa della propria faccia
rispettando i principi della cortesia di Brown e Levinson (1987). Tale atto linguistico, compiuto
dalla giornalista, è invece in sintonia con la visione di perdita di faccia momentanea introdotta da
Béal (1993) a proposito dei parlanti francesi e rappresenta una segnalazione di disaccordo
tralasciato secondo Vulchinich (1990).
Un altro passaggio dell’intervista molto significativo per cogliere il nesso tra segnalazione del
disaccordo e nozione della persona è rappresentato da questo frammento:

Brunetta; se fosse una mia allieva la boccerei.


Bignardi; Meno male che non lo sono.

Vediamo in questa coppia adiacente (Duranti, 1997) come la giornalista non accetta di essere
indessicalizzata (Duranti, 2007) come “allieva”, in quanto i costi sarebbero troppi elevati per la
propria faccia in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) e in termini di scortesia
( Kebrat-Orecchioni, 2005). Nella conversazione con il Ministro Brunetta, la giornalista ritiene
maggiori i benefici in termini sociopragmatici (Spencer-Oatey, Jiang 2003) nel segnalare il suo
disaccordo in maniera netta ( Rees-Miler, 2000) di fronte alla nozione di persona come “allieva”
con la quale il ministro vorrebbe agentivare ( Duranti, 2007) la giornalista Daria Bignardi. In questa
conversazione vediamo, in sintonia con Grimshaw e Vulchinich (1990), come la produzione del
disaccordo duro prodotto da Daria Bignardi sia legata alla forte minaccia presente nella nozione di
“allieva” in termini di identità professionale durante un evento linguistico come l'intervista.

In un altro momento dell'intervista, vediamo un disaccordo espresso in modo diretto in concordanza


con la definizione dello stile di Brunetta come diretto, secondo i principi di sociopragmatica:

Bignardi; “allora quando si dice privatizziamo il pubblico?”


Brunetta; “ io non ho mai detto. Io non ho mai detto”.

Questo disaccordo viene affermato con un raddoppiamento del proprio enunciato, in cui si
antepone il pronome personale “io” per rafforzare la propria contrarietà con l'utilizzo dell'avverbio
di tempo “mai” indice di una massima di qualità ( Grice, 1975) e di una verità oggettiva

188
( Habermas, 1987) perché rappresenta la presunta sincerità del Ministro Brunetta. Inoltre tale
replica segnala, all'interno della conversazione, un grado di imposizione ( Brown e Levinson, 1987)
abbastanza forte sul proprio interlocutore. Questa conversazione prosegue con una ulteriore
produzione di disaccordo, a proposito della lettura del libro del Ministro Brunetta, chiamando in
causa da parte dell'intervistato la massima di qualità ( Grice, 1975) per replicare al disaccordo
prodotto da parte della giornalista Bignardi.
Il passaggio della conversazione in questione si riferisce alla privatizzazione dei servizi pubblici:

Bignardi; “ allora lei non è d’accordo con…. di privatizzare ?


Brunetta; se lei avesse letto il libro.
Bignardi; e dai Ministro stia tranquillo. Il libro l’ho letto
Brunetta; non l’ha letto bene.
Bignardi; non faccia il professore con me
Brunetta; non l’ha letto bene.

È interessante vedere come la giornalista, di fronte ai ripetuti attacchi del ministro, antepone un
registro più colloquiale (e dai) come indice di contestualizzazione (Gumperz, 1982) per fare capire
la “chiave”dell'evento linguistico ( Hymes, 1972), dove la finalità è di svolgere un'intervista con
uno stile conversazionale di tipo cordiale ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) segnalato con l'atto
linguistico “ stia tranquillo”. Invece, lo stile conversazionale del Ministro Brunetta rappresenta
secondo la sua cultura91 dell’intervista una minaccia per la giornalista, in termini di costi
sociopragmatici, perché deve subire dei costi per la propria faccia in termini di cortesia negativa
( Brown e Levinson, 1987) che non intende pagare. Infatti nella continuazione della conversazione,
la richiesta della giornalista è di ottenere un cambiamento d'agentivale ( Duranti, 2007) della
persona (non faccia il professore con me ) da parte del Ministro Brunetta, passando da uno stile
definito da “ professore” confermato dall’enunciato “se lei avesse letto il libro, non l’ha letto bene ”
ad uno stile più cordiale in sintonia con lo scopo non dichiarato ( Hymes, 1972) del programma
televisivo. Tuttavia la giornalista, dopo questo sostenuto disaccordo ( Grimshaw, 1990), sente il
bisogno di riparare la propria faccia per ottenere dei benefici alla sua faccia positiva attaccando il
Ministro affermando una prima volta “ io la trovo permaloso più di me” e poi in un secondo
momento “lei sa che è antipatico maestro”.

91
Il termine cultura si rifà alla visione di Sperber e Claidière (2008) dove viene definita come una meta-
rappresentazione che si diffonde come un virus all'interno di un gruppo di parlanti.

189
La produzione dell'allocutivo realizzato con il titolo di “maestro”, avvenuta in maniera involontaria,
fa emergere una ridefinizione della nozione della persona del “Ministro” da parte della conduttrice
sotto una veste diversa da quella indossata finora (Duranti, 2007, Enfield, Stivers, 2007). Infatti la
persona del ministro viene indessicalizzata come “maestro” conferendo una nozione negativa a
questo titolo, all’interno di questo evento comunicativo, dove occorrerebbe mostrare una certa
disponibilità in termini di cortesia positiva verso la faccia dell’intervistatrice. Nella prossima
trascrizione osserveremo i turni conversazionali (Duranti, 1997) dove si produrrà un disaccordo
severo ( Grimshaw, 1990, Sornig, 1977) tra la giornalista e il Ministro Brunetta a proposito del
lavoro compiuto dalla redazione del programma per preparare le interviste.

Brunetta; allora ha anche una redazione di quasi 40 persone.


Bignardi; [ veramente siamo in (??)
Brunetta; 25 più 15 mi hanno detto.
Bignardi; allora siamo in 15 e la prego di cambiare tono, ha capito.
Brunetta; [ anche lei.
Bignardi; ha capito
Brunetta; [ anche lei.
Bignardi; perché io sono gentilissima nei suoi confronti.
Brunetta; anche io... anche io
Bignardi; quindi la prego di cambiar tono.
Brunetta; anche lei.
Bignardi; bene cambiamo tono.
Brunetta; cambiamo tono.
Bignardi; be' (ne).

L’enunciato “la prego di cambiare tono, ha capito” viene prodotto come reazione alle parole di
Brunetta dopo avere nominato il numero di componente della redazione del programma
manifestando un atto di minaccia molto severo in termini di cortesia negativa ( Brown e Levinson ,
1987) e anche dal punto di vista della massima del tatto di Leech (1983). Tale enunciato dell’ospite
Brunetta viene percepito come un ennesimo attacco forte alla propria identità professionale di
giornalista poiché citando la redazione si può implicare ( Grice, 1975) un attacco severo alla
professionalità della conduttrice e dei membri della redazione. In sintonia con Grimshaw e
Vulchinich (1990), in questa sequenza di conversazione, possiamo dire che il disaccordo sarà
prodotto in maniera forte quando l’attacco sarà percepito come rivolto alla propria identità morale o

190
professionale. Allo stesso tempo vediamo, nella prospettiva sociopragmatica, la realizzazione di due
enunciati come “ io la trovo permaloso più di me” e “lei sa che è antipatico maestro”come segnali
di un cambiamento di stile da parte della giornalista, la quale passa da uno stile cordiale-
reverenziale (Scollon, 2001) ( io sono gentilissima nei suoi confronti) e colloquiale 92 ( e dai
ministro) ad uno stile più affermato e distante ( la prego di cambiare tono) secondo i principi ideati
da Spencer-Oatey e Jiang (2003). Di particolare rilievo è il turno di parola incentrato sulla necessità
di cambiare “tono” da parte del Ministro, il quale non accetta l’attacco per i costi elevati alla sua
faccia in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) ribadendo che anche la giornalista
deve cambiare “tono” ripetendo più volte: “anche lei”. Tale ripetizione viene prodotta perché
dovrebbe comportare per il Ministro dei benefici per la sua faccia positiva e il suo diritto di non
vedersi accollare tutto i costi in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) ma di
ripartire i costi e i benefici ( Spencer-Oatey, 2003, Kim, 1994) per l'andamento difficoltoso
dell’intervista tra i due interlocutori. Inoltre, dal punto di visto dell’evento linguistico (Hymes,
1972), possiamo interpretare la nozione di “tono” come un segnale di confine interno ( Duranti,
1992) all’evento e che indessicalizza ( Duranti, 2007) la necessità di superare questa situazione
( Hymes, 1972) caratterizzata da un lungo disaccordo di tipo conflittuale ( Grimshaw, 1990)
indicatore di una pessima qualità dell' “essere con ed essere per”93 tra di due interlocutori.
Nonostante l’accordo del ministro sul cambiamento di “tono” occorre notare che l’evento
linguistico viene definito come “dialogo” da Brunetta non è inteso da parte sua come conflittuale. Il
ministro sembra avere una diversa concettualizzazione dell’ intervista/dialogo ricollegando questa
nozione del lungo disaccordo presente tra i due interlocutori alla nozione di socialità citata
precedentemente con i lavori di Schiffrin (1984) a proposito della comunità ebraica di New York
oppure di Kakava (2002) per i parlanti grecofoni. A conferma di questa visione diversa tra i due
interlocutori a proposito dell’andamento dell’intervista abbiamo questo frammento:

Bignardi; ma la smetta con questo modo di fare


Brunetta; anche lei. Io faccio dell’autoironia. io faccio
Bignardi; [io non lo so, non mi sono mai trovato in una condizione del genere in vita mia.
Brunetta; forse è la prima volta è fa bene
Bignardi; veramente mi sento molto in imbarazzo… ma….. per lei
Brunetta; io non, io non
92
Il registro colloquiale si rifà alla distinzione compiuta da Berruto (1983) a proposito dell'italiano popolare e
dell'italiano colloquiale dove l'italiano popolare è una varietà diastratica, mentre l’italiano colloquiale è una varietà
diafasica, un registro.
93
La nozione di persona nel progetto di ricerca di Duranti “ Etnopragmatica. La forza nel parlare” (2007) intende la
maniera di nominare e categorizzare la persona come il modo essenziale per “essere con e per” le altre persone.

191
Bignardi; io non vorrei mai mettere i miei ospiti in imbarazzo.
Brunetta; ma io non, non sono in imbarazzo

Infatti, l’ospite afferma di non essere in imbarazzo in questo “dialogo” mentre la giornalista prima
con una richiesta realizzata con uno stile di tipo cordiale “ma la smetta con questo modo di fare “ e
poi con l’esplicita ammissione del suo imbarazzo per la situazione conversazionale tra i due
interlocutori afferma:

“non mi sono mai trovato in una situazione del genere in vita mia”94

Tale enunciato comporta un costo elevato in termini di cortesia negativa per l’intervistatrice perché
il beneficio di poter ottenere un riequilibrio nella gestione delle facce è molto basso dinnanzi ad una
persona con uno stile diretto e affermato come il Ministro Brunetta, il quale sostiene al contrario i
benefici per la faccia positiva della giornalista affermando “forse è la prima volta è fa bene” per
sancire l'andamento di questa intervista. In queste sequenze conversazionali, possiamo notare come
il disaccordo sulla nozione dell’evento linguistico ( Hymes, 1972) sia molto forte e rende chiaro
l’importanza della condivisione sociopragmatica di uno stile interazionale ( Spencer-Oatey, 2001,
2003, 2005) e culturale ( Hofstede, 1997, Sperber, Claidière, 2008) di un evento come l'intervista
per raggiungere un esito “felice”95, in termini sia di costi e benefici che di diritti e di dovere,
riconosciuti ai partecipanti di un evento linguistico. Usando i termini di Duranti (1992), possiamo
dire che gli scopi di questo evento linguistico sono in disarmonia ( Spencer-Oatey, 2005): vale a
dire la giornalista esprime uno stile di tipo cordiale-gentile e di “considerazione” (Scollon, 2003)
per il suo ospite, mentre il Ministro Brunetta esprime uno stile “diretto” e “affermato” privo di
attenzione per la cortesia negativa ( Brown e Levinson, 1987) dell’interlocutrice, dato che il bisogno
di esprimere la propria nozione di “persona” ( Duranti, 2007) passa in primo ordine senza tenere
conto della faccia positiva dell’interlocutrice. Questo stile comunicativo di Brunetta sembrerebbe in
piena consonanza con un “ethos” comunicativo francese dove il bisogno di esprimere le proprie
convinzioni e anche la propria rabbia secondo Béal (1993) oltrepassa il bisogno di cortesia negativa
per il proprio interlocutore. Tale consonanza dello stile conversazionale del Ministro Brunetta con
il modello comunicativo francese pensato da Béal (1993), posto in correlazione con l'ammissione

94
La differenza di stile conversazionale in termini sociopragmatici ( Spencer-Oatey, 2001, 2003) può rappresentare un
forte elemento di malinteso ( Béal, 1993) e di disaccordo ( Grimshaw, 1990) sul senso profondo da attribuire alla
conversazione in corso.
95
Il termine “felice” viene ripreso dalla tradizione terminologica degli atti linguistici di Austin (1962) e Searle(1969).

192
dell'imbarazzo da parte della conduttrice Daria Bignardi, sarebbe un modo per confermare l'ethos
( Brown e Levinson, 1987, Wierzbicka, 1991) conversazionale italiano in un dato evento
comunicativo come l'intervista televisiva fondato sul bisogno di categorizzare la persona, con un
stile basato sulla considerazione e la deferenza ( Scollon, 2003). Invece, nella prossima intervista
tratta dal corpus in lingua francese, si noterà uno stile di tipo “diretto” in termini di principi
sociopragmatici ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) da parte del giornalista, come stile conversazionale
utile per difendere il dovere del giornalista di fare delle domande rifacendosi alla cortesia positiva
(Brown e Levinson, 1987) e il diritto\beneficio degli ascoltatori di ottenere nuovi elementi
conoscitivi a proposito di un tema di attualità, con il rischio per i partecipanti di essere minacciati in
termini di cortesia negativa.

6.8 Il nome proprio come modalità di segnalazione del disaccordo

In questa conversazione, avvenuta all'interno del programma televisivo della rete pubblica
francese France 5 “c' dans l'air” il 21 mars 2008, si prenderanno in esame la segnalazione dei
disaccordi avvenuti tra i vari partecipanti a proposito del ruolo delle banche all'interno della crisi
economica mondiale. Il primo turno di parola, preso in esame, riguarda il conduttore Yves Calvi
dove viene realizzata un cambiamento di nozione della persona ( Duranti, 2007) prodotto con il
riferimento “ le dalaï-lama de l'économie” nei confronti dell'ospite Emmanuel Lechipre per
segnalare il disaccordo severo ( Grimshaw, 1990, Scott, 2002) del proprio ospite:

Yves Calvi; Emmanuel Lechipre est devenu le dalai-lama de l’économie car ça fait dix minutes
qu’il veut intervenir et qu’il pense que tout le monde à tort. Et donc

In questo turno notiamo come il cambiamento di nozione di persona dell’interlocutore ricopra la


funzione di conferire “considerazione ” ( Scollon, 2003) alla cortesia positiva ( Brown e Levinson,
1987) dell'interlocutore tramite l'utilizzo delle forme allocutive del nome e del cognome per cercare
di riparare ( Goffman, 1969) e mitigare ( Caffi, 2002) i costi elevati in termini sociopragmatici
( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) per la propria faccia per il fatto di essere rimasto in silenzio quando si
è in disaccordo sul contenuto che anticipa il proprio intervento. Quindi il turno di parola del
giornalista serve come forma di riparazione (Goffman, 1969) e di beneficio (Spencer-Oatey, 2000)
di fronte al diritto dell’ospite di esprimere il suo disaccordo sulle argomentazioni che hanno
anticipato il suo intervento. La replica dell'ospite Emmanuel Lechypre sarà svolta nel seguente

193
modo:

Lechypre; No no d'abord, il y a plein de chose à dire. Je suis pas du tout d'accord car vous
semblez tous dédouané les banques sur les causes de la crise elle sont au cœur de la crise... […]

In questo turno di parola, vediamo la segnalazione del disaccordo realizzato con il raddoppiamento
dell'avverbio di negazione “no” seguito dall'avverbio “d'abord” che ha il valore perlocutivo
( Austin, 1962) di provare a mettere un po' d'ordine negli enunciati precedenti confermato
dall'enunciato “ il y a plein de chose à dire”. Il disaccordo viene realizzato in modo duro con un
pronome invariabile come “tout” preceduto dalla particella di negazione “pas” per segnalare il forte
disaccordo ( Grimshaw, 1990).
In seguito, abbiamo il prossimo disaccordo che rappresenta una precisazione ( Scott, 2002)
realizzata dall’altro ospite denominato Philippe Dessertine:

“ Non pourquoi je pense qu’il est vraiment important de dire la vrai origine de cette crise”

Il disaccordo, presente in questo enunciato, viene realizzato con l'avverbio di negazione “no”
seguito dall'avverbio relativo-interrogativo “pourquoi” ponendo in rilievo il diritto e i benefici per
l'ospite in termini di cortesia negativa ( Brown e Levinson, 1987) di ottenere maggiori spiegazioni
e per il pubblico di avere degli approfondimenti sul tema trattato in studio in termini di
valorizzazione della propria faccia collettiva ( Schwartz, 1992). Tale ricerca di benefici e diritti
sociopragmatici trovano conferma con la presenza dell’avverbio “vraiment”, l’aggettivo
“important” e “vrai” che vengono tuttavia mitigati ( Caffi, 1999) da “ je pense”, il quale introduce
un elemento di soggettività ( Habermas, 1987) come forma di riparazione ( Goffman, 1969) in
termini di costi per la propria cortesia positiva, di fronte a probabili repliche da parte degli altri
interlocutori. Questa scelta di Philippe Dessertine concede il beneficio agli interlocutori di
minimizzare il proprio disaccordo e di concedere il massimo alla ricerca di un accordo ( Leech,
1983) nei confronti dell'altro interlocutore.
Il successivo disaccordo preso in esame, in questo dibattito, riguarda di nuovo l’economista
Lechîpre:

Emmanuel Lechîpre; je ne suis pas tout à fait d'accord

Questa segnalazione del disaccordo rappresenta un disaccordo di precisazione su dati di fatti (Scott,

194
2002) sottolineando il diritto di non subire dei costi troppo elevati per la sua faccia in termini di
cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987). In questo esempio, la presenza dell’aggettivo
indefinito “tout” riveste un ruolo di mitigazione ( Caffi, 1999) caratteristica che non era presente nel
precedente disaccordo formulato dallo stesso ospite. Questa presenza dell'aggettivo indefinito
“tout”rende meno severo questo disaccordo, segnalando un costo meno elevato per la faccia
dell’esperto minacciato, e allo stesso tempo concede con il trascorrere dell'evento linguistico
( Hymes, 1972) maggiore beneficio per la faccia degli altri interlocutori in termini di cortesia
positiva.
Un elemento di notevole interesse, nella prossima realizzazione del disaccordo, è l’utilizzo del
nome proprio di battesimo come forma allocutiva da parte dei partecipanti alla conversazione come
contestualization cues ( Gumperz, 1989) segnalatrice di un disaccordo severo ( Grimshaw, 1990) tra
i vari interlocutori. Il passaggio della conversazione in questione è il seguente:

Touati; Oui, oui, non j’aime bien Philippe. Je le connais depuis longtemps mais là tu as été trop
loin très honnêtement c’est pas l’Etat qui crée de la monnaie, c’est la banque centrale.
Dessertine; [ c'est la federal reserve
Touati; oui mais elle est indépendente elle ne dépend pas de l'état donc oui mais c'est important
Calvi; elle est si indépendente que ça?
Touati; bien sûr oui oui complétement non non
Dessertine; // on parle d'intervention public aujourd’hui Marc quand on dit que la federal reserve
intervient on dit que c'est une intervention publique aujourd’hui.
Touati; Non, non d’accord mais.
Giornalista; quand vous commencez à vous appeler par vos prénom c’est que c’est grave.
Dessertine; C’est que c’est grave, oui, oui c’est qu’on est vraiment pas d’accord
Touati; C’est ce que je veux dire, c’est qu’on peut pas dire, pour les étudiants qui nous écoute
notamment, que c’est l’état qui fait la politique monétaire c’est pas le cas, c’est la reserve federal, il
y a justement séparation entre banque centrale et effectivement un état.

L’uso del nome proprio di battesimo dell’interlocutore rappresenta, secondo il conduttore, un


segnale forte di disaccordo ( Grimshaw, 1990) tra i vari interlocutori come confermato da questo
turno di parola:

Calvi; quand vous commencez à vous appeler par vos prénom c'est que c'est grave »

195
Allo stesso tempo, questo stile di tipo caloroso ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) segnala una forte
volontà di mantenere un buon rapporto interpersonale con gli altri interlocutori (Jonhson, F., 2006)
malgrado le divergenze di opinioni e di argomentazioni in merito alle cause della crisi economica.
Dal punto di vista della sociopragmatica, questa strategia linguistica ricopre la volontà di abbassare
i costi di un disaccordo con un interlocutore che merita di ottenere dei benefici perché viene
considerato come un membro “in-group” (Hosfstede, 2001 e Matsumoto,1988). Questa
appartenenza di tipo “in-group” ( Hofstede, 2001) viene segnalata da turni di parola come questi:

Touati; “j’aime bien Philippe. Je le connais depuis longtemps » “ tu es allé trop loin »

Dessertine; “Marc »

Questo modo di indessicalizzare (2007) una persona spinge a mantenere dei buoni rapporti con le
persone che sono percepite come membri della stessa speech community, intesa come comunità che
condivide un'interazione frequente e regolare tramite un insieme condiviso di segni verbali
(Gumperz, 1982). In questi turni di conversazione, possiamo notare uno stile di tipo cordiale-
caloroso da parte dell’ospite Marc Touati per esprimere il suo diritto di non ratificare la visione
della realtà ( Searle, 1995) offerta dall’intervento dell’altro interlocutore Philippe Dessertine. Allo
stesso modo, questo stile evidenzia anche il dovere di faccia negativa come forma di beneficio da
salvaguardare da parte di chi produce il disaccordo. Questo esempio rientra nella prospettiva di
Gabor (1989) che sostiene la possibilità di potere dire quello che ci pare ma con la necessità di
concedere qualche forma di beneficio all’interlocutore.

6.8.1 Lo stile conversazionale del conduttore in termini sociopragmatici

Adoperando i principi di sociopragmatica ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003), la persona del


conduttore mostra uno stile di tipo diretto e cordiale nella gestione dell’evento linguistico, in
sintonia con il diritto e beneficio di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) per il pubblico di
casa di aver il diritto ad un dibattito chiaro. Nello stesso tempo, il conduttore ha il dovere\compito
di avere un dibattito di tipo cordiale per ridurre i costi in termini di cortesia negativa tra i vari
interlocutori. Lo stile di tipo diretto viene confermato ad esempio nel seguente turno di parola:

Calvi; ce que vous décrivez là, l’univers que vous décrivez c’est ce qu’on appelle la finance, le

196
monde de la finance”

In questo turno di parola, notiamo una richiesta di precisazione da parte del giornalista come se il
turno di parola rappresentasse il diritto-beneficio di comprensione del pubblico a casa e nello stesso
tempo rappresenta il dovere di chiarezza da parte dell’ospite96 che viene ratificato come avvenuto
quando il giornalista replica con l'avverbio “ d’accord” come modalità di accettazione del beneficio,
in termini di cortesia positiva, ottenuta da parte dell’intervistatore e nello stesso tempo da parte del
pubblico, il quale rappresenta il reale giudice in termini di comprensione del dibattito ( Hutchby,
1991).
In maniera simile ritroviamo il seguente frammento:

Calvi; c’est embêtant ce que vous venez de dire c’est le mot globalement”

In questo turno, vediamo un intervento che sancisce il diritto-beneficio del pubblico a casa di aver
paura di questa crisi per via di questi termini come “globalement” che rappresentano uno stile “vago
e indiretto” percepito come benefico soltanto per la speech comunity ( Gumperz,1982) che adopera
questo repertorio linguistico ( Berruto, 2003), mentre appare come troppo costoso in termini di
cortesia negativa (Brown e Levinson, 1987) per il giornalista e i telespettatori.
I prossimi interventi del giornalista sono caratterizzati da elementi di ratificazione della massima di
maniera ( Grice, 1975) rispettata da parte degli interlocutori con brevi turni di parola composti dagli
avverbi come “ oui” e “ bien sûr” indicatori dei benefici per la faccia del giornalista e del pubblico
in termini di comprensione degli avvenimenti citati. Nel prossimo intervento del giornalista
realizzato in questo modo:

Calvi;“tout type de crédit, c’est à dire aux entreprises, crédit à la consommation, crédit immobilier
“ e “ ça veut dire, traduit en français” )

Ricompare il diritto del pubblico, in termini di principi sociopragmatici interazionali ( Spencer-


Oatey, Jiang, 2003), di capire meglio la natura del dibattito e il dovere-beneficio di chiarezza degli
interlocutori nel dettagliare meglio le proprie spiegazioni, per rispettare il diritto alla cortesia
positiva per il pubblico a casa. Una altra tipologia di intervento è rappresentato dal dovere di
fermare le sovrapposizioni di turni ( Schegloff, Jefferson, Sacks, 1977) tra i vari interlocutori in

96
Questo comportamento linguistico è in linea con la massima di maniera di Grice ( 1975) composta dai seguenti
principi: evita l’oscurità, evita l’ambiguità, sii breve, sii ordinato.

197
modo anche diretto e affermato, come ad esempio: “ on a fait…. No, non, non attendez” “ vous le
laissez terminé” “ attendez” “attendez”
Tutti questi turni di parola ( Schegloff, Jefferson, Sacks,1977 ), sanciti dall'utilizzo dell'imperativo
“attendez”, sono indicatori del beneficio per il dibattito e per la faccia collettiva ( Schwartz, 1992)
del pubblico a casa, in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987), di evitare gli
accavallamenti e nello stesso tempo rappresenta un modo per evitare di pagare un costo troppo
elevato in termini di faccia negativa ( Brown e Levinson, 1987) da parte del giornalista.
Lo stile comunicativo del giornalista per svolgere questi atti linguistici è di tipo “affermato e
chiaro” ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) ed è di particolare rilievo vedere nessuna forma di resistenza
da parte degli ospiti di fronte ai richiami al rispetto dei turni di parola. Tale scelta, di non resistenza,
rappresenta un beneficio in termini di cortesia positiva per la faccia degli ospiti di fronte al pubblico
di casa e al dovere di conduzione da parte del giornalista, sancito dal grado di imposizione ( Brown
e Levinson, 1987) molto forte presente nelle sue richieste verso gli ospiti.
La non accettazione di questi richiami da parte degli ospiti sarebbe un indicatore di non
comprensione dell’evento comunicativo del dibattito ( Hutchby, 1991) con conseguenze negative
per la loro faccia in termini di cortesia positiva.
Un’altra tipologia di intervento realizzato dal giornalista riguarda la produzione di domande, le
quali hanno il beneficio di valorizzare la faccia collettiva ( Schwartz, 1992) del pubblico in termini
di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) manifestando la volontà di capire al meglio le
questioni legate alla crisi economica. Ecco alcuni esempi d'intervento realizzato dal giornalista:

Calvi; juste une question: une partie de cet argent il est bien allé quelque part, alors je veux dire, il
sommeille en chine, il est, il est, il est où, il est où?” e « c’est ce que j’allais vous demander,
qu’est-ce qui se passe si il voyait leur dette…. »

E in riferimento alla banca federale americana:

Calvi; « elle est si indépendante que cela

Lo stile interazionale di queste domande è molto diretto ( Specer-Oatey, Jiang, 2003) poiché il
beneficio per il giornalista consiste nel suo diritto\beneficio di fare delle domande che possono
valorizzare la faccia del pubblico tramite il dovere degli ospiti di dare delle risposte che siano
abbastanza chiare in termini di massima di maniera ( Grice, 1975) per il pubblico a casa.

198
All’interno di questa conversazione abbiamo la presenza di alcuni turni di parola dove la “ persona”
( Duranti, 2007) si trasforma da giornalista per diventare opinionista come in questi passaggi di
conversazione:

Calvi; « ce qui pardonnez moi, ce qui permet quand même au banque de gagner de l’argent, à
l’économie de fonctionner, aux gens de construire des voitures puisque qu’on les achète, etc. , etc. »

Oppure in questo turno a proposito del debito americano pagato dai cinesi :

Calvi; “il y a des tas de bon du trésor chez les chinois”

Questi interventi del giornalista rappresentano dei momenti di beneficio per la faccia del giornalista
e per il pubblico perché dimostrano una capacità di analisi degli avvenimenti, evitando in tal modo
di pagare il costo in termini di cortesia positiva per la non competenza in materia di fronte agli
occhi degli interlocutori. Questi enunciati hanno lo scopo di ridurre i costi per la faccia collettiva
( Schwartz, 1992) del pubblico a casa per la non conoscenza della materia in questione e nello
stesso tempo di diminuire i benefici in termini di cortesia positiva per gli ospiti di mettere troppo in
luce le proprie conoscenze.

6.9 Il disaccordo nel dibattito tra Ségolène Royal e François Bayrou

L’intervista tra i due candidati François Bayrou e Ségolène Royal si è tenuta nell'ambito
della campagna elettorale presidenziale del 2007 sul canale digitale BFM TV il 28 aprile 2007.
In questa conversazione, tra i due candidati, ho ripreso alcune sequenze di conversazione dove
emerge la segnalazione del disaccordo e la presenza di uno stile conversazionale di tipo cordiale-
coinvolgente da parte di Ségolène Royal e di tipo affermato da parte di François Bayrou ( Specer-
Oatey, Jiang, 2003). Questo stile, adottato da Ségolène Royal, servirà come dispositivo per mitigare
( Caffi, 1999) in termini di cortesia negativa ( Brown e Levinson, 1987) i benefici ottenuti in
termini di cortesia positiva da parte del candidato François Bayrou durante la segnalazione dei
propri disaccordi ( Sornig, 1977).
In termini di diritti e di dovere interazionali, va notato nel primo disaccordo prodotto da Bayrou un
elemento di intensificazione del disaccordo ( Grimshaw, 1990) come possiamo notare in questo
frammento:

199
Bayrou: je suis en désaccord.... avec l’orientation économique défendu par Ségolène Royal et par
le parti so:: socialiste; en désaccord assez profond, je veux dire assez rapidement pourquoi
d’abord.

Questo disaccordo sottolinea il diritto di essere in disaccordo sul contenuto delle proposizioni fatte
dalla candidata Royal e dal partito socialista, ma la presenza di un sintagma nominale come
“l’orientation économique” indica una forma di mitigazione ( Caffi, 1999) perché puntualizza che il
suo disaccordo riguarda il contenuto e non la persona che difende questo contenuto politico. Questa
strategia linguistica permette l'intensificazione del proprio disaccordo con la ripetizione del proprio
disaccordo tramite la formula “en désaccord assez profond”, con la presenza di un avverbio
d'intensità come “assez” e con l'esplicitazione del termine “désaccord”( Grimshaw, 1990).
In questo disaccordo, l’aggiunta di un quantificatore come ‘assez’ e di un aggettivo come ‘ profond’
sottolineano la distanza dai propositi e dalla visione della realtà offerta dall’altro interlocutore.
Tale strategia di segnalazione forte del proprio disaccordo sul contenuto rientra in una strategia che
intende aumentare i costi per la faccia dell’altro interlocutore con la conseguente diminuzione dei
propri benefici per la propria persona97. Dall’altro canto, questa tipologia di disaccordo permette di
non rinunciare al diritto-compito ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) del candidato Bayrou di essere in
disaccordo con la politica del partito socialista, evitando dei costi per la sua faccia se non criticasse
il partito socialista e allo stesso tempo non intende concedere troppi benefici alla persona di
Ségolène Royal. Questa tipologia di disaccordo rimarcato non viene riscontrata nel corpus di lingua
italiana, dove si tende a compiere il disaccordo in modo severo ( Rees-Miller, 2000), oppure in
maniera tralasciata (Vulchinich, 1990), mentre nel corpus francese spesso vengono raddoppiati
come se segnalassero una forma di beneficio per la propria faccia positiva. Ad esempio Ségolène
Royal, in questo passaggio ripete due volte la sua contrarietà con il seguente enunciato:

Royal; ce n'est pas la même chose... ce n'est pas la même chose

In quest'altro caso abbiamo una chiara segnalazione del disaccordo quando sostiene:

Royal; même si nous sommes en désaccord sur la façon de voir les choses
97
In questo caso viene adoperato la massima di accordo di Leech (1983) la quale si esplicita nel seguente modo:
- Massima di accordo
- Minimizza il disaccordo tra sé e l’altro
- Massimizza l’accordo tra sé e l’altro

200
Oppure nella replica di François Bayrou dove si segnala il proprio disaccordo affermando:

Bayrou; on a apporté deux réponses différentes qui illustrent assez bien l'approche.

Questi disaccordi (Sornig, 1977) segnalano il diritto di non pagare i costi per la propria faccia in
termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) di fronte ai rischi di concedere qualche
beneficio in termini sociopragmatici ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) alle proposte avanzate dall'altro
candidato. Un altro disaccordo severo ( Grimshaw, Vulchinich1990) senza mitigazione viene
formulato in questo frammento di conversazione:

Royal; No, no... service public c'est pas l'état.

In questo esempio, vediamo il disaccordo prodotto in modo severo perché si fonda sulla differenza
di agentività ( Duranti, 2007) da attribuire al termine “Etat”, causando un rischio forte per la propria
cortesia negativa ( Brown e Levinson, 1987)98.

Proseguendo nell'analisi vediamo la risposta di Ségolène Royal in termini di disaccordo di fronte


agli attacchi effettuati dal candidato Bayrou come un disaccordo di tipo scettico ( Schiffrin,1985) e
anche un po’ ironico ( Caffi, 1990):

Royal: “ mais je ne sais pas si vous avez bien lu ce projet ou si vos collaborateurs vont ont faite de
mauvaises fiches »

Questa tipologia di risposta ha lo scopo di “downgrading” ( Caffi, 1999: 882) i propositi


dell’avversario politico minacciando il bisogno di faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987) visto
che si mette in dubbio le competenze del proprio interlocutore.
Un fenomeno interessante, in questa conversazione, è la costante presenza dell'avverbio di
negazione “no” come marcatore di negazione che non solo è presente all’inizio dell’enunciato ma
viene triplicato da Bayrou ( ah, no,no, no) e raddoppiato da Royal ( non, non, service public ce
n’est pas l’état) come se fosse un indicatore del diritto di proteggere la propria cortesia negativa, in
modo tale da non pagare un costo troppo elevato per la propria faccia in termine di cortesia positiva,

98
In sintonia con Grimshaw e Vulchinich (1990) la produzione del disaccordo diventa severa quando si percepisce una
minaccia forte per la propria identità e\o identità professionale.

201
evitando di concedere troppi benefici alla faccia dell’altro interlocutore. Nella seguente trascrizione
conversazionale:

Royal; non, non c'est pas l'état mais les régions qui ont experimenté
Bayrou; mais les régions et l'état c'est pareil.
Royal; no, non les régions apportent simplement une garantie
Bayrou; [ c'est la puissance public
Royal; [ ne
Bayrou; ne donnez pas tout à la puissance public.
Royal; mais pas du tout
Bayrou; [ c'est pas du tout et d'abord les propriétaires ne seront jamais d'accord.

In questi turni conversazionali vediamo apparire un disaccordo sull'uso linguistico ( Wittgenstein,


1953 ) e sulla nozione di agentività ( Duranti, 2007) da attribuire alla parola francese “Etat” inteso
in senso allargato da Bayrou quando afferma che ‘ région et état c'est la même chose’ ribadendo la
propria visione della realtà in disaccordo con quello che viene affermato da parte dell’altra
candidata Royal ‘ ce n'est pas la même chose’. In questo turno di parola di Ségolène Royal, il
disaccordo è di tipo severo ( Rees-Miller, 2000) perché minaccia l'identità professionale della
candidata a proposito della sua conoscenza della macchina dello Stato, con un notevole costo in
termini di faccia negativa ( Brown e Levinson, 1987) e con il rischio di concedere dei benefici alla
faccia positiva del candidato Bayrou.

6.10 Disaccordo tra Marco Travaglio e l'avvocato Niccolò Ghedini

Nei vari turni conversazionali, avvenuti tra il giornalista Marco Travaglio e l’avvocato
Niccolò Ghedini durante il programma televisivo “ Anno zero” del 5 Febbraio 2009, si è riscontrato
l'uso ricorrente dell'espressione “non è vero” da parte di Ghedini come modalità per segnalare il
proprio disaccordo99. Tale formulazione del proprio disaccordo rappresenta, secondo una
interpretazione dei principi di sociopragmatica un tentativo di evitare qualsiasi costo per la propria
faccia, eliminando in modo netto ogni possibilità di beneficio per le affermazioni sostenute
dall’interlocutore. In questo evento linguistico (Hymes, 1972), collocato all'interno di un

99
Vulchinich (1990) e Holtgraves.T (2005) parlano di disaccordo severo quando il disaccordo rappresenta un modo per
rifiutare la realtà mentale dell'altro interlocutore

202
programma televisivo italiano, l'atteggiamento dell'avvocato Niccolò Ghedini messo in luce
dall’enunciato “non è vero” rappresenta, a mio modo d'interpretare, il totale diniego della realtà
psicologica dell’altro interlocutore (Holtgraves, 2005) in termini di massima di qualità (Grice,
1975). In questo evento linguistico (Hymes, 1972), lo scopo ufficiale è quello di fare capire i
cambiamenti della legge sulle intercettazioni mentre lo scopo non dichiarato è di fare capire al
pubblico che le leggi votate da questo governo sono la causa dell’illegalità presente in Italia. Quindi
i turni di parola degli interlocutori rappresentano bene gli scopi ufficiali e non ufficiali di questo
dibattito televisivo, come ad esempio l'eliminazione di doveri e benefici interazionali in termini di
cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) da parte dell'avvocato Ghedini quando afferma
ripetutamente:

“non è vero”

Nella replica di Marco Travaglio “ non faccia cosi” possiamo intuire i i costi elevati per la sua
faccia, in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987), per colpa delle continue
interruzioni dell’avvocato, durante la spiegazione della nuova proposta di legge sulle
intercettazioni, dove le interruzioni sono funzionali all’ottenimento di benefici interazionali
( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) ricavati dal non fare conoscere il nuovo provvedimento legislativo. In
questo scambio conversazionale, possiamo osservare un certo grado di imposizione da parte
dell’avvocato Ghedini tramite la sua tendenza ad interrompere come indice delle persone che
detengono maggiore potere relativo nei confronti dell’altro interlocutore ( Rees-Miller, 2000).
Questo potere relativo ( Brown e Levinson, 1987) dell'avvocato Ghedini viene segnalato dal
giornalista Marco Travaglio con il suo cambiamento di nozione di persona (Duranti, 2007),
trasformando il suo ruolo da giornalista a “qualcuno che non conta niente” e nel turno
conversazionale successivo con l'enunciato “ non faccia così anche con me” viene richiesto il diritto
di ottenere una diversa agentività ( Duranti, 2007) per la sua persona.
Alla luce dei principi di sociopramatica di Spencer-Oatey e Jiang (2003) notiamo uno stile
comunicativo di tipo personale-ironico e avvolte anche un po’ informale ( ad esempio nella richiesta
di smettere di interrompere) da parte di Marco Travaglio, mentre l’avvocato Ghedini sembra
utilizzare uno stile abitudinario quando usa espressioni come “ ma dai” , “e va bene non faccio
cosi”, “ non è un pic-nic”, ma lo stile diventa freddo ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) quando si citano
i comma di riferimento per le leggi tenendo di fatto la gente fuori dalla comprensione e compiendo
in definitiva un atto di notevole imposizione in termini di costi alla faccia collettiva del pubblico
( Schwartz, 1992) in termini di cortesia positiva. La sequenza conversazionale, presa in esame,

203
viene riprodotta con i seguenti turni di parola:

Travaglio: ma no, io ci tengo sta sera, sta sera e bene che accertiamo quello che provoca questa
legge sulle intercettazioni almeno è quello che io ci terrei che la gente sapesse perché poi l’avvocato
Ghedini in realtà ha detto praticamente le stesse cose che ho detto io […]

Travaglio; […] Se la vittima la famiglia vittima del sequestro di persona non ti autorizza a
mettere sotto [ …
Ghedini; ma non è vero
Travaglio; tu non puoi mettere sotto il suo telefono
Ghedini; ma non è vero è nel 51 comma bis, ma non dica cose false Travaglio.
Travaglio; [ salvo [ che tu dimostri che quello sequestro lo sta facendo la mafia
Ghedini; [ Non è vero. NON E’ VERO (scandito lentamente)
Travaglio; ma avvocato
Ghedini; [ ma non è vero solo per scopo d'estorsione e nel 630
Travaglio; ma avvocato non faccia così ma non faccia così anche con me
Ghedini; ma scusi non faccio così è però
Travaglio; mi faccia solo finire
Ghedini; ma va bene ma come faccio non è un pic-nic

[…]

Travaglio; e com'è possibile che nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario tutti i
procuratori generali abbiano detto le stesse cose che sto dicendo io
Ghedini; [ ma non è vero
Travaglio; com'è possibile che oggi l'associazione magistrati abbia fatto un comunicato dicendo le
stesse cose che dico io […]

6.11 Severo disaccordo tra il giudice Serge Portelli e Nicolas Sarkozy

Questa sequenza conversazionale è tratta dal dibattito politico avvenuto sul canale televisivo
France 5 durante il programma televisivo “Ripostes” del 4 marzo 2007 nell’ambito della campagna
elettorale francese del 2007 per nominare il Presidente della Repubblica. L'analisi sarà incentrata

204
sull’interazione verbale avvenuta tra il giudice Serge Portelli e il Ministro dell’interno Nicolas
Sarkozy. In questa occasione, prima di prendere la parola, il Giudice Portelli viene presentato dal
conduttore Serge Moatti in modo tale da creare un cotesto d'importanza ( Duranti, 1992):

Moatti; “ Monsieur Portelli, vice-président de l’instance de Paris, Monsieur Portelli fait son entrée”

Durante la presentazione del giudice, il Ministro Sarkozy continua a parlare con un altro
interlocutore a proposito della questione della violenza in Francia. Il primo turno di parola di
Portelli sarà eseguito con un tono abbastanza ironico e non umile ( quasi sprezzante) dal punto di
vista dei principi sociopragmatici:

Portelli; “laissez le parler”

Questo turno di parola risulta molto costoso per la faccia di Sarkozy in termini di cortesia positiva
(Brown e Levinson, 1987) come vedremo in seguito dalla reazione del Ministro dell’Interno.
Ecco un breve passaggio di conversazione tra il giudice Portelli e il Ministro Sarkozy:
Portelli; Monsieur le Ministre
Sarkozy; Monsieur le Président
Portelli; Monsieur le Président ne m’appelez pas Président je trouve ça un peu flateur
Sarkozy; vous ne l’êtes pas
Portelli; si, si mais juge me suffirai largement.
[…………..]
Sarkozy; puis-je répondre là-dessus Monsieur le Président puisque vous l’êtes et après tout il n’y a
pas de honte à être Président.

In questa sequenza conversazionale, vediamo il giudice Portelli compiere un atto di imposizione


(Brown e Levinson, 1987) verso Nicolas Sarkozy quando afferma « ne m’appelez pas Président», il
quale rappresenta, dopo il primo turno di parola, un ulteriore costo per la faccia di Sarkozy in
termini di cortesia positiva. Molto interessante appare la spiegazione offerta dal giudice sul rifiuto
di essere categorizzato come persona ( Duranti, 2007) con la nozione di “presidente” perché questa
mossa comunicativa (Habermas, 1987) permetterebbe di aumentare i benefici in termini di cortesia
positiva per Nicola Sarkozy. Questo modo di indessicalizzare ( Duranti, 2007) il giudice Serge
Portelli, da parte di Sarkozy, rappresenta forse un tentativo di ottenere qualche beneficio per la
futura indessicalizzazione della sua “persona” a presidente della repubblica. Il rifiuto del giudice

205
rappresenta un modo per evitare di dare dei benefici alla cortesia positiva (Brown e Levinson, 1987)
del ministro Sarkozy. Di fronte a questo tipo di risposta, Sarkozy cerca di riequilibrare il rapporto
interazionale in termini di costi e benefici, a vantaggio della sua faccia positiva confermando
l'indessicalizzazione di Serge Portelli non come giudice ma come “Presidente”. Questa ricerca di
beneficio in termini di cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987), da parte di Sarkozy, non viene
ratificata dal giudice, il quale puntualizza che l’uso del titolo di “juge” sarà sufficiente per svolgere
questa interazione. Questa strategia può essere interpretata come benefica e doverosa per affermare
la sua “persona” di giudice in termini di benefici interazionali per realizzare i suoi turni di parola in
qualità di esperto della materia “giustizia”. Questa strategia può essere utile per aumentare i
benefici alla propria persona e allo stesso tempo aumenta i costi per la cortesia negativa di Sarkozy
dato che esiste il rischio di subire i costi degli atti di minaccia provenienti da un esperto “sul
campo” della giustizia. In questa sequenza conversazionale (Duranti, 1997), Sarkozy non intende
accettare la costruzione della realtà ( Searle, 1995) imposta dal giudice, sentita come troppo costosa
per la sua cortesia positiva di Ministro dell’Interno, il quale vede il suo beneficio e il suo diritto
nell'agentivare (Duranti, 2007) la persona di Portelli non come “giudice” ma come “presidente” in
modo da costruire un contesto (Duranti, 1992) favorevole alla sua nozione di “futuro presidente”.
La negoziazione finale di questa sequenza di conversazione tra il giudice Portelli e il Ministro
Sarkozy sarà una risposta del tipo ‘ mais si, vous aussi’ conferendo dei benefici a favore della
cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987) di Sarkozy poiché il giudice tralascia questo punto
considerando i costi elevati per la sua faccia e i benefici minimi davanti alla non disponibilità del
Ministro di accettare la nozione della propria persona offerta dallo stesso giudice Portelli.
Nella continuazione di questo intervento tra il Ministro e il giudice ci saranno altri tentativi da parte
del Ministro per ottenere un certo beneficio alla sua faccia negativa, i quali vengono pronunciati
tramite delle espressioni come “ je vous en remercie” “ en toute humilité “ “ c’est si difficile de
dire du bien de moi” che rappresentano bene lo scopo non dichiarato di questa intervista-dibattito,
vale a dire per il Ministro Sarkozy lo scopo velato è quello di persuadere il giudice e di conseguenza
il pubblico a casa della bontà dell’azione del Ministro, conferendo alla sua persona quel beneficio
essenziale per diventare Presidente della Repubblica Francese. Tale non riconoscimento, in termini
di beneficio alla sua persona, rappresenta un costo troppo elevato per la sua persona e questi
tentativi sono degli indicatori linguistici del bisogno di faccia da parte di Sarkozy per ristabilire un
certo equilibrio tra la sua persona e quella del giudice. Nel primo tentativo formulato con le
seguenti parole “ je vous en remercie” vediamo un tentativo di conferire un forte beneficio alla
faccia positiva del giudice riconoscendo il suo merito di aver citato un ente del ministero che lavora
in modo indipendente. Ovviamente, questa mossa rappresenta una forma di minimizzazione della

206
propria faccia negativa, con la conseguenza di pagare un costo elevato in termini di cortesia
positiva. Questi tentativi continuano con la formula “ en toute humilité” che rappresenta un
ulteriore abbassamento o ridimensionamento della propria faccia positiva per aumentare i benefici
dell’interlocutore e aumentare i costi per la propria faccia100 fino ad arrivare a produrre questo
enunciato:

Sarkozy; “c’est si difficile de dire du bien de moi”

Questo enunciato rappresenta un tentativo estremo di ottenere qualche beneficio alla sua persona
con la conseguenza di pagare un prezzo altissimo in termini di cortesia negativa dato che il giudice
non ratifica totalmente la richiesta del Ministro ma ottiene una qualche forma di mitigazione ( Caffi,
1999, 2002) nei propositi del giudice quando risponde a questa replica in questo modo:

Portelli; « dans cette matière là c’est difficile ”

Questo enunciato, con il sostantivo « matière » e con la deissi spaziale “là”, offre una forma di
mitigazione al Ministro Sarkozy, lasciando intendere che esistono altri campi dove sarebbe più
facile concedere qualche beneficio alle sue posizioni. Quindi, questa mossa linguistica di Sarkozy
ha ottenuto il beneficio di mitigare un po’ le dichiarazioni del giudice, senza pertanto concedere
benefici alla sua persona di candidato politico nell’ambito della giustizia, compiendo di nuovo un
attacco in termini di costi per la sua cortesia positiva ( Brown e Levinson, 1987).

100
Le massime di cortesia ideate da Leech (1983) rappresentano un'integrazione feconda per analizzare l'interazione tra
il giudice Portelli e Nicolas Sarkozy. Le massime di cortesia vengono raccolte in una serie di sotto-insieme di massime:
- Massime di tatto
Minimizza i costi per l’altro; massimizza i benefici per l’altro
- Massima di generosità
Minimizza i benefici per sé e massimizza i costi per sé.
- Massima di approvazione
Minimizza le critiche per l’altro e massimizza i complimenti per l’altro
- Massime di modestia
Minimizza i complimenti per sé. Massimizza i complimento per l’altro
- Massima di accordo
Minimizza il disaccordo tra sé e l’altro
Massimizza l’accordo tra sé e l’altro
- Massima di simpatia
Minimizza l’antipatia tra sé e l’altro
Massimizza la simpatia tra sé e l’altro

207
Nei prossimi turni conversazionali tra il giudice Portelli e il Ministro Sarkozy osserviamo che i
tentativi di dare beneficio alla faccia positiva del giudice non hanno portato i risultati ricercati dal
Ministro Sarkozy. La prima segnalazione di disaccordo avviene dopo la presentazione della realtà
(Searle, 1995) compiuta da Sarkozy con un'interiezione come “ah” per segnalare il proprio
disaccordo ( Sornig, 1977) dinnanzi al contenuto dell'enunciato realizzato da Sarkozy,
Questa interiezione “ah” viene subito implicata ( Grice, 1975) come costosa per la sua faccia e la
replica al giudice sarà eseguita con un “ oui, oui, Monsieur le président” dove il primo avverbio
affermativo “oui:::” prodotto in maniera rallentata manifesta una difficoltà da parte di Sarkozy di
rinunciare ai propri benefici interazionali ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) previsti nel conferire faccia
positiva al giudice. Questi costi subiti da parte di Sarkozy, in termini di cortesia positiva ( Brown e
Levinson, 1987), vengono mitigati con l’ausilio della forma allocutiva onorifica ( Ide, 1989) di
“Presidente” per ridurre i costi da pagare per la faccia negativa del giudice. Questa presentazione
della realtà ( Searle, 1995), realizzata da parte di Sarkozy, innesca una produzione di disaccordi duri
( Gramshaw, Vulchinich,1990) con l’altro interlocutore, segnalando il conflitto di stile
conversazionale presente tra i due interlocutori, in cui il giudice sembra mostrare uno stile
interazionale di tipo “affermato” ( Spencer-Oatey, 2001, 2003) mentre Sarkozy sembra esibire uno
stile più cordiale e caloroso. Questo stile affermato del Giudice Portelli costruisce un contesto
(Duranti, 1992) dove non s'intende subire i costi delle affermazioni di Sarkozy in termini di faccia
negativa. Infatti gli atti linguistici di Sarkozy chiamano in causa le competenze professionali del
giudice e sono in consonanza con le affermazioni di Grimshaw e Vulchinich( 1990) a proposito
della realizzazione del disaccordo in modo netto e duro quando un attacco è ritenuto troppo costoso
per la propria identità professionale. Nell’esprimere il disaccordo in modo duro (Grimshaw, 1990),
con il seguente turno di parola “mais Monsieur le Ministre c’est faux”, vediamo un disaccordo che
rappresenta un diniego totale della realtà soggettiva (Holtgraves, 2005) dell’altro interlocutore,
come se la sua realtà fosse troppo lontano dalla verità e che pertanto non è degna di essere presa in
considerazione, in termini di costi insostenibili da parte della faccia negativa del giudice.
Il disaccordo forte presente tra il giudice Portelli e il Ministro Sarkozy ha alcuni elementi di
raffronto con i disaccordi riscontrati con l’avvocato Ghedini e il giornalista Marco Travaglio: ad
esempio, in entrambe le sequenze di conversazione, appare il disaccordo come un rifiuto della realtà
(Searle, 1995) dell'altro interlocutore di tipo psicologico (Holtgraves, 2005) e non invece per una
questione di attribuzione di costi e benefici di natura interazionale.

Ecco una sequenza conversazionale del confronto tra il giudice Portelli e il Ministro Sarkozy:

208
Sarkozy; […] il y a deux points où il faut faire évoluer la loi parce qu’on en a besoin et je vais m’en
expliquer très rapidement.
Portelli; AH
Sarkozy; Oui::::oui:::: monsieur le président
Sarkozy; 50 % des crimes et délits sont le fait de 5 % des délinquants.[mais Monsieur le Ministre
c’est faux]
Portelli; mais là mais là mais alors c’est tellement énorme.
Sarkozy; Je peux répondre à Monsieur Bouthi
Portelli; non mais c’est pas possible
Sarkozy; Monsieur Bouthi me demande pourquoi je veux faire évoluer la loi ?
Portelli; mais c’est faux.
Sarkozy; les multirécidivistes[mais ] ne sont pas condanné assez severement
Sarkozy; je veux juste terminer
Portelli; je veux dire que c’est pas possible de dire des choses comme ça c’est pas possible [ les
multirécidivistes ] que la moitié de la délinquance en France (??).
[…]
Portelli; Monsieur le ministre vous essayer de faire peur aux français

Sarkozy; non pas du tout. j’essaye de répondre des questions.

Portelli; non, mais la réalité il n'y a pas que vous qu'il a connaissez mais aussi un nombre de
praticiens dont je suis et c'est à ce titre là que je parle. Vous citez un chiffre qui est grossièrement
faux et je vous demande de m'excuser de vous le dire de cette façon là mais il n'y a pas d'autres
termes possible.

In questa sequenza conversazionale riscontriamo la segnalazione di disaccordi molto severi


( Schiffrin, 1985, Grimshaw, Vulchinich, 2000) come « c’est faux », « c’est tellement énorme »,
« c’est pas possible » « je veux dire que c’est pas possible de dire des choses comme ça » « vous
citez un chiffre qui est grossièrement faux » che rappresentano una successione di disaccordi
prodotti dal giudice Portelli in modo duro alla persona del Ministro Sakozy. Questa tipologia di
disaccordo rientra in una prospettiva di tipo sociopragmatica, dove i costi per il giudice Portelli
sono troppo elevati per la sua faccia negativa e pertanto si ritiene benefico difendere in modo netto
e forte la propria faccia negativa davanti ad una rappresentazione della realtà ( Searle, 1995) che
non può essere ratificata. Di fronte a questi disaccordi severi, Sarkozy ribadisce la sua intenzione di

209
agentivare ( Duranti, 2007) la nozione di persona del giudice Portelli come “Président” come indice
del suo potere relativo ( Brown e Levinson, 1987), ma anche come un beneficio interazionale
( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) di fronte ai costi elevati pagati dalla faccia positiva di Sarkozy
durante gli attacchi del giudice Portelli. Inizialmente, la strategia di Sarkozy in questa
conversazione è di difendere il suo dovere di dare una risposta di fronte al diritto di “Monsieur
Bouthi” di ottenere una risposta alle sue domande. Questa strategia ha il beneficio di creare dei costi
alla faccia positiva di Portelli poiché i suoi turni di parola sarebbero un attacco anche alla faccia
positiva di Bouthi in termini di diritto-beneficio ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) di ottenere una
risposta. In questo turno di parola “Monsieur le ministre vous essayer de faire peur aux français »
possiamo cogliere lo scopo non ufficiale ( Hymes, 1972) delle dichiarazioni di Sarkozy, secondo
l'interlocutore Portelli riconducibili nella volontà di incutere paura nei francesi, per ottenere quel
consenso necessario per potere legiferare in maniera più restrittiva verso quei minori tra i sedici e
diciotto anni che compiono degli atti delinquenziali.
Davanti alle minacce mosse dal giudice Portelli, osserviamo come Sarkozy nasconda la sua
“persona” dietro il beneficio e diritto per il “Monsieur Bouthi” di ottenere una risposta sui problemi
di sicurezza in alcune zone del paese, cercando dei benefici in modo indiretto alle sue proposte ed
evitando di dovere continuare a subire gli attacchi del giudice in termini di costi elevati per la sua
faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987). Davanti a questa strategia di Sarkozy, il giudice replica
con questo enunciato “no, mais la réalité il n'y a pas que vous qu'il a connaissez mais aussi un
nombre de praticiens et c'est à ce titre que je parle, “ affermando il suo diritto al disaccordo, in
quanto il giudice ribadisce la sua persona agentivandola ( Duranti, 2007) con il termine di “esperto
sul terreno”, pertanto non intende essere percepito come “presidente” come ha fatto durante il
confronto Sarkozy, con lo scopo di valorizzare la faccia positiva del proprio interlocutore,
concedendo dei benefici al giudice Portelli utili per forzare il giudice ad aderire alla visione della
realtà ( Searle, 1995) offerta da Sarkozy, concedendo in questo modo un riconoscimento alla faccia
positiva del Ministro dell'Interno. Alla fine di questa sequenza conversazionale, Nicolas Sarkozy
non accetta il costo per la sua faccia positiva di aderire alla versione dei fatti offerta dal giudice
Portelli con la formulazione netta del suo disaccordo tramite l’enunciato: ‘non pas du tout’ che
conferisce dei benefici momentanei alla cortesia positiva di Sarkozy, ma allo stesso tempo sente il
bisogno in termini di benefici ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) per la sua faccia positiva ( Brown e
Levinson, 1987) di mitigare ( Caffi, 1999) il suo enunciato con l’aggiunta della precisazione dei
fatti “j’essaye de répondre des questions”.
In questa sequenza conversazionale ( Duranti, 1997) tra il giudice Portelli e il Ministro Sarkozy,
possiamo confermare l’idea che l'ethos ( Brown e Levinson, 1987) conversazionale francese

210
permette delle segnalazioni di disaccordi prolungati e forti che sono in sintonia secondo Béal (1993)
con il bisogno di esprimere con forza l’urgenza di salvare la propria faccia per i costi elevati delle
affermazioni proveniente dall'altro interlocutore. In termini contrastivi, possiamo affermare di non
aver trovato un disaccordo segnalato con la stessa lunghezze e severità ( Rees-Miller, 2002),
all'interno del corpus italiano soprattutto in funzione del potere relativo conferito ad uno dei
partecipanti.
All’interno di questo dibattito politico, abbiamo osservato alcuni turni di parola del giudice Portelli
dove viene usato la forma di disaccordo: ‘non c'est faux’ che trova una certa corrispondenza in
italiano nel confronto tra l'avvocato Niccolò Ghedini e MarcoTravaglio con l’enunciato ‘non è
vero’. In queste due conversazioni, sembra che “non è vero” metta in evidenza nell'intervista tra
Travaglio e Ghedini la volontà di rifiutare o di rimuovere psicologicamente la realtà offerta da parte
dell'altro interagente (Holtgraves,2005), mentre ‘non c’est faux’ nel caso della conversazione
francese segnali una impossibilità o indisponibilità a pagare dei costi per la propria faccia negativa (
Brown e Levinson, 1987) di fronte al carattere di falsità, ossia di non rispetto del principio di qualità
di Grice (1975), presente nei propositi sostenuti da parte del Ministro.

Un ulteriore turno conversazionale preso in esame è rappresentato dall’atto di minaccia di Sarkozy


rivolto alla faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) del giudice Portelli in questo modo:

Sarkozy; “ vous êtes vice-président du tribunal de Paris, les français sont en droit d’attendre un
autre comportement d’un magistrat qui doit juger au nom du peuple français et non pas d’une
idéologie Monsieur Portelli ».

Davanti a questo attacco alla faccia positiva del giudice Portelli la replica sarà incentrata sul
contenuto delle divergenze causando un altro costo alla faccia positiva di Sarkozy:

Portelli; « vous n’avez pas répondu une seule fois aux chiffres que j’ai posé, donc je veux bien que
vous m’attaquez, mais bon…. ”

Questo turno conversazionale mette in rilievo il bisogno di faccia negativa ( Brown e Levinson,
1987) da parte del giudice, ottenendo dei benefici interazionali nei confronti del Ministro Sarkozy,
per via delle non risposte date da parte di Sarkozy, pagando così facendo un costo elevato in termini
di faccia positiva101. All'interno di questa sequenza conversazionale tra il giudice Portelli e il
101
In accordo con Rees-Miller (2000) e Grimshaw,Vulchinich (1990) il disaccordo sancito per non conoscenza della

211
Ministro Sarkozy possiamo osservare, dal punto di vista sociopragmatica ( Spencer-Oatey, 2003),
la presenza di due stili conversazionali divergenti raffigurato dall’utilizzo di allocutivi da parte di
Sarkozy per segnalare uno stile di tipo “cordiale” mentre lo stile del giudice Portelli rientra in uno
stile di tipo “affermato” e diretto.

6.12 Disaccordo finale tra Nichi Vendola e Paolo Ferrero

Questo confronto politico tra Nichi Vendola e Paolo Ferrero, si è svolto il 3 Maggio 2009
all’interno del programma televisivo in “Mezz’ora” sul canale televisivo italiano Rai 3, durante il
periodo di campagna elettorale del 2009.L'evento linguistico ( Hymes, 1972) si è svolto all'interno
di uno studio televisivo dove la disposizione dei partecipanti ha lo scopo non dichiarato ( Duranti,
1997) di porre in competizione le opinioni dei contendenti. In termini di stili conversazionali,
( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) possiamo sostenere che Nichi Vendola detenga uno stile personale e
amante della novità, mentre lo stile conversazionale di Paolo Ferrero sembra essere di tipo modesto
e abitudinario.
In questa sequenza conversazionale (Duranti, 1997) osserviamo l'apparizione di un
disaccordo (Scott, 2002) mitigato ( Caffi, 1999, 2002) da parte di Vendola:

Vendola; Paolo anche tu hai votato a favore [come] anche tu hai votato a favore [del federalismo
fiscale] quando eri ministro

Nichi Vendola compie un atto linguistico molto costoso per la faccia negativa (Brown e Levinson,
1987) di Paolo Ferrero e per mitigare questo FTA (Brown e Levinson, 1987) viene utilizzato il
nome proprio dell’interlocutore come modalità per diminuire i costi del suo disaccordo, segnalando
un'appartenenza di tipo “in-group” ( Hofstede, 2001) con l’interlocutore. Lo scopo ufficiale
( Hymes, 1972) del disaccordo di Nichi Vendola è di mostrare la non competenza di Paolo Ferrero
nel fare opposizione, con la conseguenza di ricercare ed ottenere dei benefici interazionali per la sua
faccia positiva intesa come vera rappresentante della faccia collettiva ( Schwartz, 1992) della
Sinistra italiana. In questo turno conversazionale, il beneficio ricercato è molto importante nella
produzione di questo disaccordo ( Grimshaw, Vulchinich, 1990) dato che l'evento linguistico
( Hymes, 1972) si colloca all’interno del periodo di campagna elettorale. La prima risposta di
Ferrero con l'avverbio di modo “come” sembra quasi un sentimento di incredulità o di non

materia rappresenta un attacco molto forte alla faccia positiva del parlante.

212
riconoscibilità dell’affermazione precedente realizzata da parte di Vendola con un tono di voce
molto basso. Questo avverbio di modo “come” può descrivere un tentativo di ridurre i costi per la
propria faccia negativa di fronte al tentativo di ottenere dei benefici da parte di Nichi Vendola, il
quale aumenta i costi per la faccia negativa di Ferrero, ripetendo per una seconda volta il contenuto
del suo disaccordo a proposito del federalismo fiscale. Tale turno di parola da parte di Nichi
Vendola sancisce la volontà di ottenere dei benefici in termini sociopragmatici (Spencer-Oatey,
Jiang, 2003) nella produzione di questo disaccordo severo ( Grimshaw, Vulchinich, 1990) e di fare
pagare, allo stesso tempo, dei costi interazionali elevati all'altro interlocutore. Davanti a questo
disaccordo, molto costoso per la faccia negativa di Paolo Ferrero, osserviamo una reazione che
cerca di ottenere dei benefici mettendo in discussione la capacità professionale di Nichi Vendola
affermando:

Ferrero; mi dispiace. No, sei malinformato; ho votato contro. Sono l'unico ministro che ha
votato contro al disegno di legge sul federalismo fiscale.’
Vendola; ma non si è visto ero nel tuo stesso partito ma non me ne sono accorto ma ma ma non è
importante [...]

In questo turno di parola, il disaccordo di Ferrero è molto severo ( Grimshaw, Vulchinich, 1990)
perché minaccia direttamente l’identità professionale dell’altro interlocutore e prova ad ottenere dei
benefici che possono rivelarsi più costosi che benefici, in termini di faccia positiva (Brown e
Levinson, 1987), visto che mettono in discussione la conoscenza dei fatti tra i membri dello stesso
partito. Tale disaccordo con spiegazione ( Scott, 2002) della propria azione politica da parte di
Paolo Ferrero ha la finalità di ristabilire un equilibrio tra costi e benefici interazionali ( Spencer-
Oatey, Jiang, 2003) tra i due interlocutori. Inoltre va sottolineato l'assenza del nome
dell'interlocutore nella risposta di Ferrero come elemento che segnala una mancata solidarietà tra
membri in-group che verrà riparata soltanto nel prossimo turno di parola da parte di Ferrero.
In questo turno di conversazione, abbiamo uno stile di tipo affermato da parte di Ferrero, mentre
osserviamo Nichi Vendola anteporre uno stile di tipo indiretto caratterizzato da un forte scetticismo
(Caffi, 2002) come iniziale forma di mitigazione, seguito da un ulteriore attacco alla faccia
positiva di Ferrero, poiché si sostiene che all’interno del partito nessuno si sia accorto dei benefici
della politica di Ferrero nella sua “persona” di ex Ministro della solidarietà del governo Prodi. Dopo
questo attacco di Nichi Vendola, ci sarà uno suo tentativo di mitigare il costo dei propri enunciati
per cercare di restituire qualche beneficio alla faccia positiva di Ferrero affermando in questo

213
esempio:

Vendola: “ l’essenziale che facciamo ora una battaglia contro questo::: federalismo”.
Ferrero; mi dispiace No mi dispiace Nichi essendo che invece sovente sono stato accusato di aver
rotto troppo

Davanti a questo tentativo di conferire dei benefici alla faccia positiva di Ferrero, notiamo come
Ferrero non ratifichi questa strategia di riduzione dei costi per la sua faccia, in quanto ha
l'intenzione di ottenere maggiore beneficio spiegando il suo operato all’interno del governo Prodi
indessicalizzando ( Duranti, 2007) la sua “persona” nell'espressione “ aver rotto troppo”per fare
implicare ( Grice, 1975) al pubblico di casa di meritare qualche beneficio per aver svolto bene il
suo compito di Ministro. Questo turno di parola permette di esibire la sua “persona” come il
migliore esponente politico per rappresentare in questa campagna elettorale gli elettori di sinistra.
Appare interessante, a mio avviso, in questa sequenza conversazionale (Duranti, 1997) l'uso
dell'avverbio di valutazione “purtroppo” come dispositivo per mitigare i costi subiti da Ferrero in
termini di faccia negativa dopo il disaccordo segnalato da Vendola. Questo avverbio “purtroppo” è
una forma di spiegazione per ammettere che “ queste battaglie (federalismo fiscale e il trattamento
di fine rapporto) non sono andate in parlamento” perché il governo di centro-sinistra non voleva
conferire benefici alla faccia positiva del Ministro Paolo Ferrero come esponente di una parte
politica, valutando come troppo costosi i rischi per la faccia collettiva (Schwartz, 1992) del
governo. Alla fine dell’intervista, riscontriamo altre segnalazioni di disaccordo che intercorrono tra i
due interlocutori, ma prima riscontriamo una negoziazione tra la giornalista Lucia Annunziata e
Nichi Vendola a proposito della loro offerta politica:

Annunziata; […] mi sembra che dite moltissimo le stesse cose, eccetto diciamo quest'ultimo scatto
Vendola; c’è c’è c'è un punto, c’è un punto di differenza credo [che diamine perché vi siete divisi
io non lo so]

In questo esempio, vediamo inizialmente una falsa partenza (Duranti, 1997) da parte di Vendola nel
voler segnalare il suo disaccordo con la visione offerta dall’intervistatrice, in quanto si ripete tre
volte “c’è , c’è” come se segnalasse un'esitazione di fronte all’accettazione dei costi subiti dalla sua
faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) per le affermazioni fatte dalla giornalista in merito alla

214
somiglianza delle proposte politiche tra Ferrero e Vendola. Alla fine Vendola preferisce tentare di
spiegare la sua visione della sinistra come tentativo di ottenere qualche beneficio in termini di
faccia positiva nei confronti dei telespettatori. Allo stesso modo, Ferrero si mostrerà in disaccordo
severo ( Grimshaw, Vulchinich, 1990) con il tentativo della giornalista di chiudere la puntata senza
dare il diritto di replica a Ferrero compiendo un atto molto costoso verso la faccia positiva di
Ferrero ma anche verso la stessa giornalista Annunziata. Ecco la riproduzione della sequenza di
coversazione ( Duranti, 1997) dove l'ospite Paolo Ferrero rifiuta di pagare il costo di rimanere in
silenzio dopo le affermazioni di Vendola:

Annunziata; Abbiamo concluso Ferrero.


Ferrero; No: Penso di potere rispondere penso che vada unita la sinistra ma che non sia la
sinistra con i socialisti di Bobo Craxi che hanno fatto le stesse politiche che combattiamo [ è una
battuta, un colpo
Ferrero; No mi dispiace
Vendola; un tentativo di colpo basso. Ma tu sei un po’ fermo diciamo a un film di troppi anni fa.
Ferrero; Nichi, no, Nichi, Nichi,[ io sono fiero di essere alleato on i socialisti mi fai rispondere
giusto per:::: par condicio
Ferrero; no non è è semplicemente che io penso che va messa assieme una sinistra che non stia con
i socialisti di Bobo Craxi che hanno fatto le stesse politiche che combattiamo che in Europa [ ma
eri al governo con lui
Ferrero; mi fai Nichi, si però
Vendola; eri al governo con lui
Ferrero; assolutamente sì […]

In quest’ultima sequenza di conversazione emerge il profondo disaccordo ( Rees-Miller, 2000)


presente tra i due interlocutori perché viene fuori un atto linguistico come “un tentativo di colpo
basso” come afferma Nichi Vendola per segnalare un tentativo di ottenere un beneficio da parte di
Ferrero in termini di faccia negativa ( Brown e Levinson, 1987) attaccando “l'essere per e con”
( Duranti, 2007) della Sinistra avanzata da Vendola. Questo tentativo viene rifiutato da parte di
Vendola in termini di costi per la sua faccia positiva facendo notare a Ferrero che lui stesso era
alleato dei socialisti nel governo Prodi. Questo attacco di Ferrero, con lo scopo di ottenere qualche
beneficio in termini sociopragmatici ( Spencer-Oatey, 2003), si ribalta contro di lui diventando
un'azione costosa per la sua faccia positiva ( Brown, Levinson, 1987) poiché costringe a rendere
chiaro e marcata ( Pomerant (1984) la precedente posizione di alleato dei socialisti da parte del

215
Ministro Ferrero:
Vendola; eri al governo con lui, eri al governo con lui
Ferrero; assolutamente sì

6.13 Il grado di imposizione di Silvio Berlusconi per segnalare il disaccordo con Lucia
Annunziata

La seguente intervista, andata in onda il 12 Marzo 1996, è tratta dalla trasmissione “In
mezz’ora” presentata da Lucia Annunziata sul canale televisivo pubblico italiano Rai 3. Questa
sequenza di conversazione ( Duranti, 1997) rappresenterà in modo chiaro ed evidente il grado di
imposizione ( Brown e Levinson, 1987) presente nei turni di parola di chi detiene il potere politico,
in modo particolare nella persona dell'ospite Silvio Berlusconi. Durante l'intervista, l'ospite Silvio
Berlusconi chiederà di avere la gestione dei turni di parola, compiendo varie volte degli attacchi alla
faccia positiva dell'intervistatrice, abolendo ogni diritto-dovere e\o costo-beneficio (Spencer-Oatey,
Jiang, 2003) presente all'interno di uno scambio interazionale ( Spencer-Oatey, 2001).
Questo stile conversazionale di tipo 'affermato', con un severo grado di imposizione presente
nell'ospite serve per ridefinire l'agentività ( Duranti, 2007) della giornalista durante questo spazio
conversazionale minacciando il suo diritto\dovere interazionale di fare delle domande. In questo
evento linguistico (Hymes, 1972), l'intervista viene percepita da Berlusconi come un contesto
( Duranti, Goodwin, 1992) dove detiene il diritto per la sua faccia positiva (Brown e Levinson,
1987) di elencare i successi politici del suo partito politico in termini di benefici interazionali.
Vediamo subito un esempio tratto dall’intervista tra Berlusconi e l’Annunziata:

Annunziata ; Caro presidente, caro presidente diciamo che quello che dice è vero[mi fa dire
qualcosa
Berlusconi ; che può interessare agli elettori.
Annunziata; No, No ma adesso stiamo arrivando un punto (??)
Berlusconi; adesso adesso le dico io… vorrei che lei mi domandasse perché gli elettori devono
votare per noi e non per la sinistra.
Annunziata; no presidente, no presidente, lei avrà altri…
Berlusconi; io ho a disposizione questa intervista… Bé lei è una violenta lei sta veramente cercando
di non farmi dire
Annunziata; io una violenta.
Berlusconi; sì lei sta esprimendo una violenza nei miei confronti

216
Annunziata; io, no (( tono debolissimo)) io vorrei avere il privilegio di essere una delle poche
persone che riescono con lei a fare delle domande che invece sentirsi dire quello che devo sentire
dire, mi piacerebbe farle delle domande e continuare a farlo questa è un intervista lei avrà dibattiti,[
lei sta approfittando della mia buona educazione lei avrà….
Berlusconi; continuiamo..
Annunziata; no, no. Siamo tutti e due di buona educazione presidente. Rimane il fatto che le
domande in casa mia le faccio io.... io le volevo dire questo
Berlusconi; credevo che questa fosse la casa della rai, di tutti gli italiani,
Annunziata; quel piccolissimo pezzo che è mio è mio
Berlusconi; benissimo

Questo esempio comincia con la presenza di un allocutivo di tipo onorifico ( Lakoff,Sachido, 2002),
accompagnato da un aggettivo qualificativo “caro presidente”, come segnale di uno stile di tipo
cordiale e disponibile nel concedere dei benefici alla faccia positiva dell'ospite. Il primo disaccordo
segnalato con il raddoppiamento dell'avverbio di negazione “no” comunica il disaccordo presente
sul modo di indessicalizzare (Duranti, 2007) l'intervista da parte di Berlusconi. Questo
raddoppiamento del “no” viene ripetuto con l'aggiunta dell'onorifico “presidente” come ulteriore
tentativo di dare beneficio alla faccia positiva dell'ospite di fronte ad un atto di imposizione molto
forte (Brown e Levinson, 1987) come quello menzionato in questo enunciato:

Berlusconi; adesso adesso le dico io… vorrei che lei mi domandasse perché gli elettori devono
votare per noi e non per la sinistra.

Di fronte al rifiuto della giornalista di pagare un costo troppo elevato per la sua faccia negativa,
l'ospite modifica la nozione di persona della giornalista agentivandola ( Duranti, 2007) come “una
violenta”, con la finalità di ottenere dei benefici in termini di faccia positiva per Berlusconi e allo
stesso tempo per fare pagare dei costi interazionali (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) alla giornalista.
Il grado d'imposizione di Berlusconi rientra nella visione del potere relativo presente tra gli
interlocutori (Brown e Levinson, 1987) dove chi detiene il potere intende gestire la conversazione
minimizzando i costi per la sua faccia negativa e massimizzando i costi per la faccia positiva della
giornalista dovuti all'impossibilità di svolgere la sua professione di giornalista. Per esemplificare il
grado di imposizione presentiamo alcuni enunciati rappresentativi dello stile conversazionale di
Berlusconi:

217
Berlusconi; Allora mi domanda “mi faccia dire” “me li faccia usare” “mi faccia dire” quello
che ha fatto il governo? Che cosa farà il governo nei prossimi 5 anni? Ci arriviamo alla fine
della trasmissione, Complimenti?

Questi enunciati rappresentano degli esempi di forte e severa imposizione secondo Brown e
Levinson (1987) e di non riconoscimento del compito-dovere dell’intervistatore di fare delle
domande poiché vengono formulati con l'ausilio dell'imperativo del verbo domandare e del verbo
fare. Questi enunciati in termini socipragmatici (Spencer-Oatey, 2003), rappresentano una
costrizione di tipo diretta ed affermativa ponendo in una condizione molto costosa, in termini di
faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987), il ricevente di tale enunciato. La risposta della
giornalista si fonda sulla massima di quantità (Grice, 1975), ovvero viene menzionato il tempo
come elemento di rimedio per mitigare ( Caffi, 1999) i benefici ricercati da parte dell'ospite.

Annunziata; Abbiamo ancora 14 minuti di trasmissione.

Dopo questo momento di negoziazione conversazionale (Duranti, 1997) occorre segnalare la


presenza di un disaccordo come “ma insomma”, realizzato con la congiunzione avversativa
accompagnata da un'interiezione, il quale rappresenta nel quadro teorico della sociopragmatica
( Spencer-Oatey, 2001, 2003), un richiamo ai diritti\benefici del presentatore di fare le domande e il
dovere/compito dell’ospite di rispondere alle domande, all’interno di un evento linguistico (Hymes,
1972) come l’“intervista”. La presenza di un enunciato come “ma insomma” si potrebbe
interpretare come una forma di richiamo di fronte ai costi interazionali che non s'intendono pagare
per realizzare questa intervista.

Annunziata; Ma insomma presidente. Questa è una trasmissione fatta da me. Lei avrà altre
trasmissioni, altre situazioni.

La risposta offerta dall’ospite davanti a questo segnale sarà un ulteriore costo da pagare per la
propria identità professionale in termini di cortesia positiva mettendo in discussione la competenza
della giornalista nel valutare i fatti da trattare all’interno del programma televisivo.

Berlusconi; allora le chiedo di parlare di qualcosa di concreto e non di queste storie che riguardano
il passato.

218
Annunziata; lei non pensa che le dichiarazioni di Montezemolo siano un segno del fallimento della
sua politica?’

Berlusconi; Ma al contrario

Berlusconi; non è vero che è contro di noi perché questo non è vero. Significa esagerare alcune
dichiarazioni di Montezemolo.

Questa presenza del disaccordo “ non è vero” rappresenta un modo per ribaltare la realtà presentata
nel precedente enunciato e rientra nella categoria dei disaccordi fondati sulla non accettazione della
realtà mentale dell'altro interlocutore (Holtgraves, 2005). Questo disaccordo non aiuta a seguire i
principi sociopragmatici poiché si dimostra di non essere disposti a pagare nessuno costo e
beneficio durante lo scambio interazionale. Questa situazione conversazionale conduce verso un
forte disaccordo ( Grimshaw, Vulchinich, 1990) oppure alla piena adesione con le affermazioni
sostenute dall’ospite in questione ( Fairclough, 1995).

Un'altra sequenza di conversazione (Duranti, 1997) con un forte grado d' imposizione (Brown e
Levinson, 1987), formulato da parte dell’ospite si rifà al giudizio negativo delle scarse capacità di
comprensione dei meccanismi economici da parte della giornalista Annunziata.

Berlusconi; “ capisco che lei non sia molto pratica di economia.”


Annunziata; certo me ne rendo conto. ( poi non inaudibile)

Di fronte a questa minaccia forte in termini di costi interazionali, la giornalista preferisce adoperare
un dispositivo di mitigazione di tipo ironico (Caffi, 1999) per cercare di riparare (Goffman, 1971) i
costi notevoli subiti dalla sua faccia positiva con lo scopo non dichiarato (Duranti, 1992) di potere
proseguire l'andamento dell'intervista come forma di beneficio per la sua faccia positiva (Brown e
Levinson, 1987). Proseguendo l'intervista si ripresentano gli elementi a forte carattere di
imposizione, come ad esempio con la ripetizione della formula linguistica “ lei adesso” come
segnalazione del non rispetto della massima di quantità (Grice, 1975) da parte della giornalista per
avere rimandato i diritti-benefici ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) dell'ospite di esplicitare la sua
versione dei fatti, con la conseguente pronuncia della minaccia di lasciare gli studi televisivi:

Berlusconi; lei adesso, lei adesso, lei adesso mi lascia parlare, lei adesso mi fa la cortesia di

219
lasciami rispondere se non mi alzo e me ne vado. Chiaro.

Annunziata; presidente, presidente

In questa coppia adiacente (Duranti, 1997), vediamo la comparsa di una minaccia difficile da
interpretare in termini sociopragmatici poiché apparentemente l'ospite compie questa scelta
linguistica come mossa per segnalare il suo diritto-beneficio di agire come meglio crede, ma allo
stesso tempo compie un atto che potrebbe sancire un costo molto elevato alla sua stessa faccia
positiva, rivelando palesemente la sua non disponibilità psicologica (Holtgraves,2005) ad accettare
il diritto\dovere del giornalista di compiere delle domande.
Il raddoppiamento degli onorifici ( Lakoff, Sachido,2002) “presidente” svolgono il compito di
richiamare l’attenzione dell’ospite sul proprio stile conversazionale giudicato come troppo
“affermato” ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) da parte della giornalista. Ecco la sequenza
conversazionale riprodotta dove possiamo analizzare alcuni momenti di severo disaccordo
( Grimshaw, 1990):

Berlusconi; lei mi ha fatto una domanda, io esigo che lei mi faccia rispondere.
Annunziata; Lei “ mi alzo e me ne vado” è qualcosa che non può dire.
Berlusconi; mi alzo e me ne vado resterà una macchia nella sua carriera professionale. Lei mi ha
fatto una domanda, mi usa la cortesia di farmi rispondere.
Annunziata; presidente, presidente
Berlusconi; Non, non.
Annunziata; presidente, intanto ritiri il discorso su il mi alzo e me ne vado perché questo non è
accettabile. Presidente non lo faccia, sbaglierà lei, non sbaglierò io
Berlusconi; lei non può dire a me quello che devo fare
Annunziata; ma neanche lei a me. Ci sono delle regole nel mondo giornalistico

In questa sequenza conversazionale, oltre la presenza di vari disaccordi ( Sornig, 1977), va posta
l’attenzione sulla differenza nel nominalizzare e indessicalizzare ( Duranti, 2007) la persona tra
l’ospite Berlusconi e la giornalista Annunziata: da parte di Lucia Annunziata, vediamo la presenza
ricorrente dell'allocutivo “presidente” come modalità di indessicalizzare l’ospite in quanto portatore
di un notevole grado sia di potere relativo così come d'imposizione ( Brown e Levinson, 1987),
mentre il “lei” come pronome di cortesia appare come indice in termini sociopragmatici di un

220
rapporto interpersonale come distante e freddo da parte di Berlusconi. Nella conversazione appare
un verbo come esigere che rappresenta una categoria degli atti linguistici di tipo assertivo (Searle,
1976) e una modalità di imposizione forte da parte di chi detiene il potere relativo (Brown e
Levinson, 1987) durante l’intervista. La giornalista insiste sul fatto che l'enunciato “mi alzo e me ne
vado” deve essere ritirato da parte dell’ospite per evitare di fare pagare un costo troppo elevato alla
faccia negativa della giornalista, la quale intende mantenere fede ad alcune regole del mondo
giornalistico. Possiamo interpretare questa richiesta come un rito di riparazione ( Goffman, 1967) di
fronte alle difficoltà di agentivare (Duranti, 2007) l'intervista da parte dell'ospite poiché sembra
esserci una non condivisione del significato pragmatico (Mey, 2001, Levinson, 1983) del termine
“intervista” tra i due interlocutori. A dimostrazione di ciò, notiamo un ricorso da parte della
giornalista al suo dovere\compito interazionale di porre delle domande, mentre Berlusconi fa
riferimento al suo diritto-beneficio di usare l'intervista come se fosse un periodo di tempo in termini
di “Massima di Quantità” (Grice, 1975) a sua disposizione.
Quindi il lungo disaccordo accorso durante la puntata può essere imputabile a questa divergenza di
scopi non ufficiali da attribuire all'evento linguistico (Hymes, 1972) dell’intervista, dove per l'ospite
il pubblico a casa non è più semplice telespettatore, ma è diventato “elettore”cambiando di fatto la
sua nozione di persona (Duranti, 2007) mentre per la giornalista Annunziata l'intervista rappresenta
un momento di approfondimento sul bilancio politico dell'ospite Berlusconi.
Tuttavia, la giornalista per salvare quel minimo di equilibrio interazionale ( Goffman, 1967),
necessario per lo svolgimento della conversazione, cerca di consigliare l'ospite di non compiere
degli atti che potrebbero rivelarsi costosi per la sua faccia positiva: l'atto linguistico “mi alzo e me
ne vado” rappresenta un’azione che porta soltanto apparentemente dei benefici immediati alla faccia
negativa di Berlusconi ottenuti con il sottrarsi alle domande alle quali non intende rispondere.
Questo atto linguistico “ mi alzo e me ne vado” può essere anche interpretato come un costo per la
faccia positiva di Berlusconi poiché dimostrerebbe la sua scarsa disponibilità psicologica
(Holtgraves, 2005) all'evento linguistico (Hymes, 1972) dell'intervista.
In termini sociopragmatici ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) notiamo uno stile conversazionale di
Berlusconi di tipo affermato, con un forte grado di imposizione segnalato dalla presenza di
un'intonazione di voce molto dura e da una notevole distanza sociale con l’intervistatrice. Questa
distanza sociale da parte di Berlusconi verso la giornalista Annunziata viene agentivata (Duranti,
2007) definendo la giornalista come una persona che ha pregiudizi e che si colloca nel mondo
della sinistra, mentre la giornalista risponde che il presidente Berlusconi rappresenta una persona
che non sa trattare con i giornalisti, implicando (Grice, 1975) che rappresenta una persona che non
intende pagare nessun tipo di costo interazionale ( Goffman, 1967) insito in ogni forma d'

221
interazione verbale.

6.14 Analisi sociopragmatica del confronto politico tra Philippe de Villiers e Tariq Ramadan

L'intervista ( Orletti, 2000) avvenuta tra il professore Tariq Ramadan e l’uomo politico
francese Philippe De Villiers, si è svolta il 28 Gennaio 2007 nell’ambito del programma “Ripostes”
trasmessa sul canale televisivo francese di France5. Il fenomeno di maggiore rilievo, durante tutta la
sequenza conversazionale, sarà il tentativo da parte degli interlocutori di minacciare la faccia
positiva (Brown e Levinson, 1987) dell'altro interlocutore e in modo particolare si potrà constatare
il tentativo di manifestare il proprio potere relativo da parte di De Villiers, in qualità di deputato
francese nei confronti della faccia positiva di Tariq Ramadan. Il primo tentativo di minaccia alla
faccia di Ramadan viene compiuto con un atto linguistico come “ on ne peut pas mutilé
modérément une main”, il quale rappresenta un atto di minaccia alla faccia negativa di Tariq
Ramadan e nello stesso tempo rappresenta un tentativo di ricavare il massimo beneficio per la
faccia positiva di Philippe De Villiers, con lo scopo non dichiarato (Hymes, 1972) di mostrare la sua
“ persona” (Duranti, 2007) come un valido candidato per la campagna elettorale presidenziale
francese del 2007.

Nella presentazione della realtà realizzata da De Villiers vengono introdotti molti elementi di sfida
alla faccia negativa di Ramadan secondo la teoria della cortesia di Brown e Levinson (1987):

De Villiers; je suis.... heureux d’être en face de vous car en fait personne ne veut vous affronter,
la dernière fois vous que vous avez été en débat avec un homme politique de premier plan c’était
2003 Nicolas Sarkozy.... et je voudrais vous dire qu’elle est la situation de la France aujourd’hui
puisque vous arrivez d’Angleterre et::: vous posez une question simple parce que je sais que vous
êtes le champion du monde du contournement des questions délicates, parce que vous êtes très
intelligent. »

In questo lungo primo turno di parola (Duranti, 1997), realizzato da De Villiers, vediamo una prima
forma di auto-attribuzione di benefici alla propria persona per il solo fatto di affrontare un dibattito
con Tariq Ramadan, conferendo un beneficio alla faccia positiva di Ramadan, ma con il rischio di
pagare un costo per la faccia negativa di De Villiers per aver realizzato un FFA “face flattering act”

222
(Kebrat-Orecchioni, 2005) a suo favore. Il tentativo di ottenere dei benefici interazionali, da parte di
De Villiers, continua nel porre questo confronto in linea di continuità con l’ultimo confronto
politico tra Tariq Ramadan e Nicolas Sarkozy, indessicalizzando di fatto la sua “persona” (Duranti,
2007) sullo stesso piano di Sarkozy e Ramadan. Questo atto linguistico è benefico sia per la faccia
positiva (Brown e Levinson, 1987) di De Villiers sia alla faccia collettiva ( Schwartz, 1992) dei suoi
elettori politici, i quali potenziano la loro faccia positiva diventando elettori di un uomo politico
coraggioso. In questo primo turno di parola (Duranti, 1997), tuttavia, un beneficio è concesso in
termini di faccia positiva alla persona di Ramadan affermando che “ vous êtes très intelligent”.

Nella prefazione di De Villiers, alla sua prima domanda, vengono introdotte alcune accuse contro le
persone di religione musulmana che possono essere interpretate come degli attacchi alla cortesia
negativa di Ramadan ma anche alla sua faccia collettiva ( Schwartz, 1992) riconducibile alla
popolazione musulmana immigrata in Francia. Ad esempio viene affermato:

“ les quartiers sont sous le contrôle des barbus”


“ chaque semaine nous avons un médecin qui est tabassé par un islamiste qui refuse que sa femme
soit soigné par un homme au nom du coran dis-t-il?”

Inoltre per continuare il suo lungo attacco alla faccia negativa (Brown e Levinson, 1987) così come
alla faccia collettiva ( Schwartz, 1992) di Tariq Ramadan, vediamo come la formulazione della
prima domanda da parte di De Villiers cominci con una richiesta di chiarimento a proposito di una
« moratoria » richiesta ad alcuni paesi musulmani dove viene praticata la lapidazione delle donne.
La domanda viene formulata da De Villiers nel seguente modo:

De Villiers; vous avez déclaré que vous étiez favorable à... un moratoire sur la lapidation des
femmes. eu.. Quand j’ai entendu ça j’ai été horrifié. Est-ce que ce soir vous pouvez aller plus loin
pour que les choses soient claires, clarifiées pour tout les citoyens français et dire deux choses
premièrement [ok ok il va répondre ( giornalista Serge Moatti) je remplace le mot lapidation non
pardon le mot moratoire par interdiction interdiction de la lapidation et deuxièmement j'ajoute oui,
la lapidation est une pratique barbare.

La domanda viene anticipata da un atto linguistico come “vous avez déclaré”, il quale rappresenta
un grado di imposizione severo (Brown e Levinson, 1987) per la faccia negativa di Tariq Ramadan
poiché rappresenta un modo di imporre la propria realtà (Searle, 1995) nei confronti dell'altro

223
interlocutore.
Questa domanda rappresenta un atto di imposizione e di potere relativo da parte di De Villiers
perché implica una adesione completa alle proprie richieste (Fairclough,1995) come unico modo di
ottenere dei benefici per la propria faccia positiva e per la faccia collettiva (Schwartz, 1992) delle
persone che si sentono in consonanza con le affermazioni di Ramadan.
La posizione a favore di una moratoria da parte di Ramadan ha suscitato molte polemiche nel
contesto ( Duranti e Goodwin, 1992) culturale ( Sperber, Claidière, 2008) francese dove la pratica
della “lapidazione” dovrebbe essere semplicemente “interdite” secondo la maggioranza della
popolazione. Pertanto, la domanda ha lo scopo di essere una minaccia costosa per la faccia positiva
di Ramadan, il quale prima di rispondere concede il beneficio al suo interlocutore indessicalizzando
(Duranti, 2007) la persona di De Villiers come “habile” per il fatto di porre questa domanda come
tentativo di ottenere dei benefici per la propria faccia positiva e per la faccia collettiva della sua
parte politica, facendo pagare un costo elevato alla faccia negativa di Ramadan. Il disaccordo sul
tema della “moratoria” rappresenta un esempio di disaccordo ( Sornig, 1977) di tipo culturale
( Spencer-Oatey, 2000; Sperber, Claidière, 2008) visto che la risposta di Ramadan implica l'
ottenimento di benefici presso le popolazioni musulmane per aumentarne la faccia positiva, mentre
nella cultura francese questa rappresentazione del termine “lapidazione” comporta dei costi troppo
elevati per la faccia collettiva (Schwartz, 1992) della nazione e per l'elettorato di De Villiers
confinati ad un contesto soltanto di tipo europeo.
Nel turno di parola di Ramadan, segnaliamo la presenza di un attacco forte alla “persona” di De
Villiers e alla classe politica francese, i quali non sono disposti a pagare i costi delle proprie
opinioni di fronte alle monarchie del Golfo Persico (viene citato il caso dell’Arabia Saudita) e
trovano più benefico per la loro faccia positiva raccogliere le occasioni economiche proveniente da
questa area geografica. Dopo questo atto di minaccia per la faccia negativa di De Villiers, in termini
di costi interazionali (Spencer-Oatey, Jiang, 2003), Ramadan propone la sua spiegazione, per
ottenere dei benefici alla sua faccia positiva (Brown e Levinson, 1987), motivando in modo chiaro
la sua posizione di contrarietà di fronte alla pratica della lapidazione in alcuni paesi musulmani.
Dopo questa spiegazione di Ramadan per ottenere dei benefici verso la sua “persona” (Duranti,
2007) viene rivolto un attacco alla faccia positiva di De Villiers e alla sua competenza professionale
(Grimshaw, Vulchinich, 1990) citando il lato approssimativo e manipolatorio delle statistiche tirate
in ballo per ottenere dei benefici da parte di De Villiers. Questo attacco è molto costoso per la sua
faccia positiva di uomo politico che dovrebbe avere il dovere di dire la verità in conformità con la
massima di qualità di Grice (1975). In una prospettiva sociopragmatica, vediamo un attacco di
Ramadan, in uno stile diretto e affermato ( Spencer-Oatey, 2003), rivolto all’altro interlocutore

224
accusato di aver un problema con la religione dell’islam e con i musulmani in generale. Questo atto
linguistico ( Austin, 1962) di Ramadan serve per aumentare i benefici alla sua faccia positiva e allo
stesso modo diventa un azione molto costosa per la faccia negativa di De Villiers, il quale replica
per ottenere qualche beneficio alla sua faccia positiva della presenza non problematica dei
musulmani all’interno del suo partito “Mouvement pour la France”.
In seguito avremo la segnalazione di un disaccordo duro (Grimshaw, 1990) dopo la realizzazione di
una domanda realizzata da Tariq Ramadan sul ruolo della chiesa e dello stato nella vita del
candidato De Villiers:

Ramadan; je vais vous posez une question simple, vous êtes un catholique pratiquant monsieur,
dans votre vie qui est plus important Jésus ou Chirac qui choisissez vous?
De villiers; ( sorride davanti alla domanda per mitigare la forza delle parole)
Ramadan; répondez à ma question, répondez à ma question

[…]

De Villiers; ……. mais simplement votre question témoigne de de de quelque chose qui m’inquiète
profondément c’est que pour vous vous confondez le temporel et le spirituel.
Ramadan: absolument pas. Justement.
De Villiers; mais si.
Ramadan; Justement non, non non non
De Villiers; vous venez de le prouver
Ramadan; mais monsieur ce que….
De Villiers; vous venez de le prouver parce que on peut parfaitement en France être juif ou chrétiens
par exemple et reconnaitre la séparation des deux sphères le temporel et le spirituel.
Ramadan; mais monsieur, mais monsieur soyez précis avec les chiffres.
De Villiers; mais ce que je voudrais dire à monsieur Ramadan c’est que j’ai sous les yeux deux
sondages qui sont effectivement très inquiétant […]

In questa sequenza conversazionale ( Duranti, 1997), vediamo inizialmente come De Villiers


compia un atto linguistico con un certo grado di imposizione ‘quelques choses qui m’inquiète
profondément’ con lo scopo di fare pagare dei costi alla faccia positiva di Ramadan ( Brown e
Levinson, 1987). Nel suo turno di parola (Duranti, 1997), Ramadan replica con un disaccordo forte
(Grimshaw, Vulchinich, 1990) prodotto con l'uso dell'avverbio “absolument” e dalla particella

225
negativa “pas” con lo scopo di segnalare il suo dovere di difendere la sua faccia positiva ( Brown e
Levinson, 1987) davanti agli attacchi di De Villiers minacciosi per la sua identità di studioso della
materia. La presenza dell’avverbio ‘justement’ serve per ottenere dei benefici alla faccia positiva di
Ramadan (Brown e Levinson, 1987) segnalando la sua disponibilità e quella della faccia collettiva
(Schwartz, 1992) di numerosi musulmani di Francia di rispettare la legge sulla laicità del 1905, la
quale viene indessicalizzata (Duranti, 2007) in seguito come “ ma sharia” come modo di ottenere
dei benefici sia di fronte al pubblico francese così come davanti al pubblico di religione musulmana.
Nel proseguimento di questa conversazione, osserviamo come Tariq Ramadan sarà costretto a
tralasciare la sua posizione di disaccordo ( Sornig, 1977) davanti all’insistenza102 di De Villiers,
come modalità di affermare i propri benefici interazionali ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) di fronte ai
turni di parola di Tariq Ramadan compiendo un atto di imposizione (Brown e Levinson, 1987)
costoso per la faccia negativa di Tariq Ramadan. Da notare come all’interno dell’intervento di De
Villiers appaiono delle parole come “parfaitement” o “en France” che hanno lo scopo di aumentare
i costi per la faccia positiva di Ramadan poiché nelle implicature conversazionali ( Grice, 1975) si
può leggere un’incapacità da parte della comunità musulmana di accettare le regole dello stato,
invece la deissi spaziale “en France” ha lo scopo non dichiarato di fare capire che la separazione tra
stato e religione esiste in Francia, mentre appare non essere molto presente all’interno dei paesi di
religione musulmana. Questi atti linguistici (Austin, 1962, Searle, 1969) rappresentano degli
attacchi costosi per la faccia positiva di Ramadan e della comunità dei musulmani di Francia, il
quale prova a mitigare ( Caffi, 1999, 2002) questi costi tramite una rimessa in discussione delle
competenze professionali di De Villiers, mettendo in rilievo la sua manipolazione delle statistiche
come modo di ottenere dei benefici per la sua faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987). Il
tentativo di De Villiers di affermare il suo diritto di imporre dei costi molto elevati alla faccia
negativa di Ramadan viene ripetuto quando afferma ad esempio “ vous n’êtes pas pour la Sharia en
France?” con lo scopo di attaccare in modo forte la faccia positiva di Ramadan, il quale risponde
per ridurre i costi ed aumentare i suoi tentativi di benefici che “ma sharia en France c’est la loi de la
République” dimostrando di difendere sia la laicità dello stato francese che la comunità dei
musulmani di Francia tramite questa indessicalizzazione (Duranti, 2007) della legge francese con la
legge coranica della Sharia, ottenendo in tal modo dei benefici per la sua faccia positiva e per tutta
la comunità dei parlanti francofoni (Gumperz, 1982) in generale. In seguito, Tariq Ramadan realizza
un atto di minaccia alla faccia positiva di De Villiers segnalando lo scopo ufficiale (Hymes, 1972)
di questo evento linguistico, ovvero affermando che “ votre but c’est d’entretenir la peur” mettendo

102
L'insistenza rappresenta secondo Rees-Miller (2000) un atto linguistico tipico di chi detiene realmente o pensa di
detenere maggiore potere relativo ( Brown e Levinson, 1987) sull’interlocutore.

226
in rilievo lo scopo reale della politica di De Villiers. Questo attacco di Ramadan tenta di ottenere dei
benefici alla sua faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) ponendosi dalla parte del cittadino
francese, smascherando questi politici che cercano dei benefici aumentando i costi per la faccia
collettiva ( Schwartz, 1992) del pubblico telespettatore. Un fenomeno interessante nel
proseguimento di questa sequenza conversazionale (Duranti, 1997) tra Tariq Ramadan e Philippe de
Villiers sarà la richiesta insistente di Ramadan di poter conservare il suo turno di parola
manifestando questa volta il suo diritto interazionale (Spencer-Oatey, Jiang, 2003), soprattutto dopo
aver subiti i costi, in termini di faccia negativa, per aver tralasciato un disaccordo a causa
dell’insistenza di De Villiers.
Questo turno di parola di Tariq Ramadan “est-ce que je peux terminé? “ je vous ai écouté, je vous
ai écouté je vous ai écouté ? rappresenta il diritto di Ramadan di difendere la sua faccia positiva
davanti ai continui attacchi rivolti da De Villiers verso la sua faccia positiva e verso la faccia
collettiva ( Schwartz, 1992) della popolazione musulmana residente in Francia che si identifica con
le sue posizioni.
Nella prossima sequenza di conversazione appare nella discussione il tema del velo islamico
come fenomeno da combattere con l’introduzione di nuove leggi sulla materia.

De Villiers; attendez juste un mot sur le voile,[non non non je voudrais dire un mot sur le voile
car je ne peut pas laisser Tariq Ramadan dire ce qu’il vient de dire sur le voile. Moi je suis pour
l’interdiction comme dans d’autres pays d'ailleurs [aucun pays aucun pays du du du voile
islamique .
Ramadan; aucun pays, aucun pays européen. Où cité moi un pays, cité un pays ! soyez précis ?
De Villiers; il y a un pays qui l’a fait c’est c'est la Tunisie.
Ramadan; le voile dans les espaces public ( tono di sorpresa) , absolument faux.
De Villiers; absolument.
Ramadan; absolument faux. Dans les espaces public c’est absolument faux.
De Villiers; je vais vous dire pourquoi[et puis vous savez la Tunisie c’est un pays très très
démocratique c'est bien nous allons dans le bon sens oui suivez Ben Alì c'est un vrai démocrate
c'est un bel avenir pour la France vraiment] laissez-moi aller jusqu'au bout le voile [vous êtes allé
trop loin là] Monsieur Ramadan vous êtes gêné là

Ramadan; non vous êtes allé trop loin, vous êtes entrain de présenter comme modèle pour la France
une dictature.
De Villiers; laissez-moi vous dire les yeux dans les yeux que le voile islamique au nom de la dignité

227
de la femme est un instrument de soumission, oppression des femmes et en même temps
d'insoumission au loi de la république et un instrument au service de groupe politico-religieux dont
vous faites parties.
Ramadan; a bon
De Villiers; vous savez monsieur Ramadan que vous avez été interdit....
Ramadan; de...
De Villiers; séjour au États-Unis
Ramadan; attendez attendez vous vous êtes entrain de tourner cela en attaque personnel
De Villiers; non pas en attaque personnel

Questo disaccordo sostenuto ( Rees-Miller, 2000) da parte di Ramadan segnala il proprio rifiuto di
pagare dei costi per gli attacchi prodotti da De Villiers in termini di faccia positiva data la sua
“persona” (Duranti, 2007) di esperto della materia. Notiamo come l’esempio citato della Tunisia
abbia innescato la reazione di Ramadan di fronte al severo grado di imposizione presente nello stile
comunicativo di tipo “affermato” di De Villiers. Davanti al beneficio apparente per De Villiers nel
citare un esempio di paese dove il velo islamico è stato vietato, questo beneficio diventa subito un
costo molto elevato per la faccia positiva di De Villiers, il quale dovrà subire i notevoli costi per la
sua faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) per avere menzionato come esempio legislativo una
dittatura come la Tunisia. Dal punto di vista dell'ethos conversazionale francese trovo molto
interessante la produzione da parte di De Villiers di un turno di parola come il seguente:

De Villiers; car je ne peut pas laisser Tariq Ramadan dire ce qu’il vient de dire

Questa segnalazione di disaccordo, rifacendosi ai propositi tenuti da parte dell'altro interlocutore,


rappresenta molto bene, a mio modo di vedere, lo stile o”ethos” di tipo conflittuale rivendicato da
Kebrat-Orecchioni (2005) a proposito dei parlanti francesi.

6.15 Il disaccordo ritardato di Massimo D'Alema nell'intervista con Daria Bignardi

L’intervista ( Orletti, 2000) si è svolta il 17 Aprile 2009, in seconda serata, nell’ambito del
programma televisivo intitolato “era glaciale” condotto da Daria Bignardi sulla rete televisiva
italiana Rai2. Durante questa conversazione (Duranti, 1997), l’ospite Massimo D’Alema segnala in
modo ricorrente il proprio disaccordo con un avverbio di negazione come “no” che viene sempre

228
realizzato in modo ritardato (Vulchinich, 1990). Questo ritardare la produzione del disaccordo,
tipico nella realizzazione del disaccordo nello stile comunicativo anglosassone ( Zorzi, 1990), è un
segnale che anticipa la produzione del disaccordo. Quindi il disaccordo viene espresso in modo
prevedibile e rallentato come segnale di non accettazione della visione offerta da parte
dell'intervistatrice e allo stesso tempo per segnalare una risposta dispreferita da parte dell'ospite
(Holmes e Stubbe, 2003).
Ecco i turni conversazionali ( Duranti, 1997) dove riscontriamo un disaccordo prolungato di tipo
mitigato incentrato sulla diversa nozione di indessicalità ( Hanks, 2001) da attribuire ad una persona
che raggiunge l’età dei 60 anni:

Bignardi; […] lunedì sono 60 an:::::ni…..


D’Alema; sì, ma
Bignardi; come si sente?
D’Alema; non è una cosa allegra
Bignardi; come non ?
D’Alema; lo dice, lo dice come se fosse….
Bignardi; è bello
D’Alema; sì, Bé
Bignardi; lei che ha la cifra del patriarca, dello statista, anzi 60 anni comincia il massimo fulgore
adesso.
D’Alema; “ no”. No, secondo me no. Questa è…. Naturalmente ci sono quelli che si credono
immortali soprattutto lui, ma diciamo, ma non è così.
Bignardi; lei è un bambino.
D’Alema; comunque.
Bignardi; lei rispetto al nostro presidente del consiglio è un ragazzino.
D’Alema; rispetto alla media di chi comanda in Italia, sì sono un ragazzino, però rispetto a quello
che sarebbe giusto in un paese normale no, comincio ad avere una certa età, diciamo.
Bignardi; e come se lo vive questo compleanno dei 60 anni?
D’Alema; sto bene. Vorrei rassicurare. Sto bene. Sono….. ho vissuto […]

All’interno di questa sequenza conversazionale osserviamo come l’affermazione dell’età dell’ospite


da parte dell'intervistatrice non sia vissuta come un beneficio per la propria faccia negativa, ma
piuttosto come un costo per la propria faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987). Per confermare
questa interpretazione possiamo ricorrere al seguente turno di parole di D’Alema:

229
D'Alema; “non è una cosa allegra”

In questo atto linguistico di tipo assertivo (Austin, 1962, Searle, 1969) appare in modo chiaro il
disaccordo mitigato (Caffi, 1999) di fronte ad un modo di agentivare (Duranti, 2007) la propria
persona che si ritiene come costoso per la propria faccia negativa (Brown e Levinson, 1987). Questa
nozione della persona ( Duranti, 2007) agentivata nella cifra “60 anni” viene ribadita dalla
giornalista Bignardi per conferire un beneficio alla faccia positiva di D'alema, tramite la
realizzazione dei seguenti turni di parola: “è bello”, “lei che ha la cifra del patriarca, dello statista,
anzi 60 anni comincia il massimo fulgore adesso”, “ lei è un bambino”, “lei rispetto al presidente
del consiglio è un ragazzino”.

Questi enunciati prodotti dall’intervistatrice hanno la finalità di valorizzare la faccia positiva


dell'ospite con l'uso di un aggettivo qualificativo di tipo valorizzante come “bello”, con il
conferimento di una nozione di persona di grande prestigio con i sostantivi “patriarca, statista”
oppure con una forma di ridimensionamento della propria persona attraverso l'età con i termini di
“bambino” e di “un ragazzino”, i quali rivestono la funzione di diminuire il peso del costo per la
faccia negativa dell'ospite ( Brown e Levinson, 1987) percepito soltanto dalla parte della giornalista
come un fatto positivo. Tale visione della realtà ( Searle, 1995) non viene condivisa dall’ospite, il
quale replica all’interno della conversazione con l'uso di vari dispositivi di mitigazione (Caffi,
1999) per segnalare il suo disaccordo (Sornig, 1977) in questo modo:

“sì, ma”, “non è una cosa allegra”, “lo dice, lo dice come se fosse….”, “sì. Bé, no”, “ no, secondo
me no “, “rispetto alla media di chi comanda in Italia, sì sono un ragazzino, però rispetto a quello
che sarebbe giusto in un paese normale no, comincio ad avere una certa età, diciamo”.

Da notare in questi atti linguistici, un elemento che caratterizza la produzione del disaccordo in
D’Alema come nel caso di “sì, ma”, “sì. Bé, no”, “ no, no, secondo me no “ è la presenza anticipata
di elementi di esitazioni ( Caffi, 1999) come segnali della presenza di un disaccordo. Questi
dispositivi di segnalazione del disaccordo sono tipici nella cultura anglosassone ( Lo Castro, 1986),
mentre lo sono molto meno nella cultura conversazionale italiana dove si tende ad esplicitare subito
il dissenso e soltanto in un secondo momento si prova a motivare le ragioni del disaccordo ( Zorzi,
1990). Infatti, anche nell’ultimo esempio di disaccordo prodotto dall’ospite, vediamo che il
disaccordo viene motivato ma allo stesso tempo notiamo la presenza di marcatori di esitazioni nella

230
produzione della risposta da parte dell’ospite D’Alema. In un altro passaggio dell’intervista appare
di nuovo un disaccordo ritardato ( Zorzi, 1990) quando il tema dell’intervista viene rivolto al sesso:
(si parla di sesso)

Bignardi; non è così per tutti?


D’Alema; Bé n:::o, non è così per tutti. Il sesso può anche essere mercificato, offerto come merce,
questo tutti i giorni noi siamo bombardati da messaggi di tipo erotico in cui il sesso è offerto come
una merce, non come l’espressione di un sentimento. Non è così per tutti.

In questo turno di parola dell’ospite, notiamo il ritardo nella produzione del disaccordo ( Zorzi,
1990) e la riformulazione ( Goffman, 1967) degli enunciati prodotti dalla giornalista Bignardi come
atti linguistici volto a concedere dei benefici alla faccia positiva della giornalista. Questa
segnalazione del disaccordo ( Scott, 2002) mette in rilievo l’importanza della domanda
dell’intervistatrice, riducendo allo stesso tempo i costi per l'ospite in termini di faccia positiva di
fronte alla realizzazione di un disaccordo.
Un altro esempio di disaccordo formulato con le stesse modalità viene segnalato quando la
giornalista intende criticare la visione della politica offerta dall’ospite D’Alema con l'aggiunta in
questo caso di un avverbio come “innanzitutto”, il quale che segnala la necessità di mettere in
ordine le cose prima di muovere un attacco alla mia faccia negativa:

Bignardi; però, Presidente, io non posso non chiederle dopo 36 anni questa visione, legittima e
stimabile, non mi sembra vincente? In questo momento, lei che bilancio fa da questo punto di vista?
D’Alema; B::é, innanzitutto io credo che il bilancio non è in questo momento, diciamo il
bilancio…

In questa coppia adiacente ( Duranti, 1997) è interessante osservare come la domanda venga
introdotta dalla forma allocutiva di tipo onorifica come “presidente” per indessicalizzare ( Duranti,
2007) il grado di potere relativo dell'interlocutore ( Brown e Levinson ,1987) e mitigata con
l’utilizzo di una doppia negazione per ridurne i costi nei confronti della faccia negativa di D’Alema.
Dal punto di vista dei principi interazionali sociopragmatici ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003),
possiamo descrivere come stile di tipo indiretto e per alcuni tratti di tipo personale quello esibito da
parte di D'Alema, mentre la giornalista Bignardi utilizza uno stile interazionale di tipo diretto e
cordiale sempre attenta a tenere in alta considerazione l'ospite. La predominanza di uno stile
comunicativo di tipo indiretto da parte dell’ospite D’Alema può essere interpretato come una

231
modalità d’interazione fondata sulla necessità di conservare una certa distanza sociale ( Brown e
Levinson, 1987) per segnalare il proprio grado di potere relativo e per costruire una certa agentività
nel contesto (Duranti, 2007).

6.16 Disaccordo tra Houria Bouteldja e il filosofo Alain Finkrekraut

L'evento linguistico ( Hymes, 1972) in questione si è svolto il 4 Dicembre 2007, in seconda


serata, nell'ambito del programma televisivo “ce soir où jamais” sul canale televisivo francese
France3. Riprendendo il metodo di analisi di Hymes (1972), denominato “SPEAKING”, possiamo
descrivere il setting di questo studio televisivo, con la presenza fisica di due divani che hanno la
funzione di ricercare un rapporto di informalità (Hall, 1959 ) e di agiatezza tra i partecipanti, mentre
la collocazione dell’intervistatore separato dagli invitati serve per dare un’idea di neutralità della
sua posizione all’interno del dibattito. La collocazione temporale, in seconda serata, conferisce un
senso di maggiore libertà offerta ai parlanti perché gli ascoltatori di questo dibattito vogliono
sentirsi dire delle cose che forse in altri contesti televisivi non vengono prese in considerazione. I
partecipanti al dibattito fanno parte della vita culturale francese e sono portatori di punti di vista
differenti sul tema della serata incentrata sull'identità francese e sulla violenza negli stadi in Francia.
Lo scopo per i partecipanti è di contribuire, con maggiori elementi di comprensione, nel decifrare
un tema controverso come l'identità nazionale, mentre lo scopo non dichiarato (Duranti, 1992) del
programma televisivo, a mio avviso, potrebbe essere quello di confermare il ruolo e la capacità
degli intellettuali di analizzare gli eventi dell'attualità in maniera originale e profonda. La chiave
dell'evento linguistico ( Hymes, 1972) è di tipo polemico tra i vari interlocutori, soprattutto quando
prende la parola Houria Bouteldja del movimento culturale “Indigènes” per difendere la sua
posizione sulle ragioni della violenza negli stadi all'interno della società francese. Il canale di
comunicazione tra i vari interagenti è di tipo orale, con la presenza di stili interazionali (Spencer-
Oatey, Jiang, 2003) divergenti tra il filosofo Alain Finkrekraut e Houria Bouteldja durante la
conversazione, indicatori di un'appartenenza a due comunità di parlanti differenti.
Lo stile conversazionale di Houria Bouteldja è di tipo diretto e affermato mentre quello del filosofo
Alain Finkrekraut appare come uno stile interazionale di tipo distante.
La segnalazione del disaccordo riguarda una sostanziale differenza tra gli interlocutori sul
modo di agentivare (Duranti, 2007) l'identità “francese” partendo dai fatti di violenza avvenuti
durante la partita di calcio tra Paris Saint-Germain e la squadra israeliana del Tel Aviv. In questo
evento linguistico ( Hymes, 1972), la rappresentante del movimento “indigène” predilige difendere

232
la sua faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) minacciando la faccia negativa degli altri
interlocutori quando esprime ad esempio:

Houria; “ j'ai le sentiment que que autour de cette table vous avez une approche moralisante vis à
vis vis à vis des violences et du racisme qui peut s'exprimer dans les dans les stades “.

In questo passaggio dell’intervista notiamo un fenomeno di raddoppiamento del proprio disaccordo


(Sornig, 1977, Scott, 2002) realizzato con “c’est pas ça » indicatore di una rimessa in discussione
della realtà (Searle, 1995) offerta da Houria Bouteldja come tentativo di mitigare (Caffi, 1999) i
costi per la faccia negativa dell'altro parlante. I turni di parola (Duranti, 1997) della rappresentante
Houria Bouteldja vengono raddoppiati con l'avverbio di affermazione “si” per segnalare
l'indisponibilità di concedere dei benefici interazionali (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) alla faccia
positiva dell'interlocutore. La sequenza conversazionale in questione è la seguente:

Houria Bouteldja; […] j'ai le sentiment que que autour de cette table vous avez une approche
moralisante vis à vis vis à vis des violences et du racisme qui peut s'exprimer dans les dans les
stades oui, oui. C’est évident que c’est pas bien de faire le salut (nazi) non non c’est pas ça c'est
c'est qu’il y a des raisons structurel à des attitudes sociales.
Interlocuteur; à non pas cela. A non pas cela.
Houria Bouteldja; si, si
Interlocuteur; Non, non pas cela
Houria Bouteldja; si, si.
Interlocteur; non, non
Houria Bouteldja; si si ces que ces gens qui se refont aux nazis sont produits par une société et à
l'occurrence par la société française. Il faut s’interroger sur un certain nationalisme […].

In seguito, all’interno della sequenza conversazionale (Duranti, 1997), tra la rappresentante del
movimento “indigène”Houria Bouteldja e il filosofo Alain Finkrekraut viene realizzato il seguente
disaccordo:

Houria Bouteldja; […] les juifs ne sont pas tout à fait des français comme les autres, souvenez-vous
Monsieur Finkrekraut de cettes phrases de Chirac que vous n’avez PAS pu oublié puisque en fait il
a mis les juifs et les musulmans dans le même sac.
Finkrekraut; je l’ai pas entendu ( tono di voce molto basso)

233
Houria Bouteldja; puisqu’il a mis dans le même sac.
Finkrekraut; “ ça n'a aucun sens” ( tono di voce molto basso)
Houria Bouteldja; et si vous voulez les musulmans, les métèques, les arabes, les noirs encore plus à
l’extérieur.
Finkrekraut; ce n’est pas ce qu’il voulait dire. Il disait simplement qu’il devait avoir sans doute des
tensions communautaires. C’est tout. ( tono di voce molto basso)
Houria Bouteldja; tant que l’identité française sera construite autour de ces identités là, des
identités nationales.
Finkrekraut; c’est très intéressant. Oue C'est très intéressant. C'est très intéressant. C'est très
intéressant. C’est magnifique. C'est magnifique ( gesti di sconforto totale) alors écouté un mot un
mot

La rappresentante del movimento Indigènes minaccia la faccia negativa (Brown e Levinson, 1987)
del filosofo Finkrekraut quando viene chiamato in causa tramite il suo cognome accompagnato
dall'allocutivo generico come Monsieur “souvenez-vous Monsieur Finkrekraut “ seguito da un
attacco alla sua faccia positiva “vous n’avez PAS pu oublié ». Davanti a tali costi subiti da parte
della faccia di Alain Finkrekraut, il filosofo ricorre ad una minimizzazione dell’attacco dell’altro
interlocutore come dispositivo di mitigazione ( Caffi, 1999) affermando la non conoscenza di tal
proposito quando afferma “ je l’ai pas entendu “ oppure quando afferma “ ce n’est pas ce qu’il
voulait dire. Il disait simplement qu’il devait avoir sans doute des tensions communautaires. C’est
tout». All'interno di questo dispositivo mitigazionale, viene compiuto un atto di minaccia alla faccia
positiva di Houria Bouteldja tramite l'enunciato “ça n'a aucun sens” . Questo atto linguistico
(Austin, 1962, Searle, 1969) contiene il rischio di essere troppo costoso per la faccia positiva del
filosofo perché attacca la capacità di giudizio dell'altro interlocutore ( Holtgraves, 2005) e di
conseguenza può rappresentare un beneficio per la faccia negativa di Houria Bouteldja ( Brown e
Levinson, 1987, Spencer-Oatey, Jiang, 2003) data la realizzazione compiuta con un'intonazione
molto debole in termini prosodici. Questa formulazione “ ça n'a aucun sens” rappresenta un tipo di
disaccordo molto severo ( Rees-Miller, 2000) perché costituisce una grossa minaccia per l'identità
professionale ed esistenziale di Houria Bouteldja. L’esponente del movimento “Indigènes” Houria
Bouteldja continua il suo turno di parola (Duranti, 1997) per cercare di ottenere dei benefici alla sua
faccia positiva, così come per la faccia collettiva (Schwartz, 1992) dei telespettatori sostenitori delle
sue idee. Di fronte a questo turno di parola, il filosofo Finkrekraut produce la seguente risposta:

Finkrekraut; “ce n’est pas ce qu’il voulait dire. Il disait simplement qu’il devait avoir sans doute

234
des tensions communautaires. C’est tout ».

In questo enunciato ritroviamo un avverbio come “simplement” che ricopre il ruolo di mitigazione
( Caffi, 1999) della forza illocutiva dei propositi dell’altro interlocutore preceduti da un atto
linguistico di negazione e da una conclusione del suo turno di parola costituito da “ c'est tout”
composto da un dimostrativo accompagnato dall'avverbio, il quale rappresenta una mossa volta a
ridurre i benefici per la faccia positiva di Houria Bouteldja.
Nel prossimo turno di parola di Finkrekraut viene ripetuto l'enunciato tre volte “c'est très
intéressant”e due volte l'enunciato “c'est magnifique. C'est magnifique” mettendo in luce lo stupore
per le affermazioni sostenute dalla rappresentante di “indigène”, adoperando il procedimento
retorico dell'ironia103 per segnalare il contrario di quello che intende affermare in questo enunciato.
Nell'ultimo turno di parola, preso in esame in questa conversazione, osserviamo come il filosofo
Finkrekaut cerca di riprendere il turno di parola (Duranti, 1997) per ottenere dei benefici alla sua
faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) cercando di spiegare la sua posizione sul tema
dell'identità francese utilizzando inizialmente un avverbio come “alors” per segnalare un disaccordo
severo (Rees-Miller, 2000) con i turni di parola di Houria Bouteldja, accompagnato in seguito da
questo turno di parola «écouté, un mot, un mot» dove il filosofo raddoppia il sostantivo « un mot»
per indicare la sua intenzione ( Austin, 1962) di spiegazione come tentativo di ottenere dei benefici
alla propria faccia positiva.

6.17 Il disaccordo e la cordialità nel dibattito tra Olivier Mazerolle e Jean-Luc Mélenchon

L'evento linguistico (Hymes,1972) si riferisce all'intervista avvenuta tra il candidato politico


Jean Luc Mélenchon e il giornalista Olivier Mazerolle, andata in onda il 24 Maggio 2009 sul canale
digitale BFM TV, nell'ambito del programma televisione “ la tribune”. L'intervista inizia con una
presentazione di una realtà oggettiva (Habermas, 1987) come un sondaggio, in cui si rivela un
opinione favorevole dei francesi sull’Europa, compiendo in tal modo un atto linguistico costoso per
la faccia negativa ( Brown e Levinson, 1987) di Mélenchon. Ecco la riproduzione della coppia
adiacente (Duranti, 1997) presa in esame:

103
In Squarotti, G. (1995) l'ironia consiste nell'affermare qualcosa che è esattamente il contrario di ciò che si vuole
intendere, ma in modo da renderlo percepibile a chi ascolta. Per esemplificare : La consigli di venirsi a mettere sotto la
mia protezione (Manzoni, Promessi Sposi, 1840), frase ironica proferita da don Rodrigo a Fra Cristoforo riferita a
Lucia.

235
Mazerolle; […] est ce que vous ne vous mettez pas à coté de la plaque dans la mesure où un
sondage récent fait en Europe montre que 56% des européens considérer que l'Europe actuelle est
une chance face à la mondialisation. Et parmis eux 67 % de français.
Mélenchon; he::: (sorriso) Je ne comprend pas comment ce sondage a été fait? Non à coté de la
plaque pourquoi ? moi je suis convaincu qu'il y a nécessité d’une union politique des pays
européens mais pas celle-là […] .

Nella replica di Mélenchon è presente un costo interazionale per la sua faccia positiva quando
esprime “ Je ne comprend pas comment ce sondage a été fait “ mettendo in discussione la sua
capacità di valutazione professionale ( Grimshaw, 1990), mitigato in seguito dal tentativo di
ottenere un beneficio per la sua faccia negativa esplicitando le ragioni del suo partito attraverso un
atto linguistico di tipo assertivo ( Austin, 1962) come “ je suis convaincu”. Sul piano
sociopragmatico ( Spencer-Oatey, 2001) notiamo uno stile interazione dell’ospite di tipo diretto,
chiaro e cordiale verso il giornalista Mazerolle, il quale adopera anche lui uno stile di tipo cordiale
e diretto con il suo ospite. Un aspetto di rilievo venuto fuori da questa intervista, da annoverare sul
piano culturale (Spencer-Oatey, 2000, 2001), è il diritto, secondo l'ospite, da parte dei lavoratori per
salvare la loro faccia positiva (Brown e Levinson, 1987) di sequestrare i datori di lavori, quando il
costo delle loro azioni viene ritenuto troppo lesivo dal punto di vista della faccia collettiva
( Schwartz, 1992) degli operai. Questo diritto viene concesso da parte di Mélenchon perché il costo
delle loro morti non viene preso in considerazione, in eguale misura, con i costi subiti dagli stessi
datori di lavori per essere stati sequestrati soltanto per una notte. In un certo modo possiamo
affermare che i benefici per la faccia collettiva degli imprenditori rimangono elevati se confrontati
ai costi subiti da parte del mondo degli operai ( Schwartz, 1992).
Forse in questo atto linguistico possiamo evincere un elemento culturale (Spencer-Oatey, 2000)
della comunità linguistica ( Gumperz, 1982) francese rappresentato dal diritto di protezione sociale
della “persona” di fronte al comportamento economico ingiusto proveniente da altri soggetti sociali.
All'interno di questa conversazione, lo stile interazionale ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003) rimane di
tipo “cordiale “e di riconoscimento positivo (Cheng, 2003) permettendo una buona qualità
dell'”essere per e essere con”( Duranti, 2007) tra i due interagenti.
In questa conversazione, l'utilizzo della cortesia positiva viene adoperato anche da parte del
giornalista, senza tuttavia dimenticare il suo dovere di attaccare la posizione del proprio
interlocutore in termini di faccia negativa ( Brown e Levinson, 1987). In seguito, notiamo un
passaggio dell'intervista dove avviene un disaccordo circostanziato ( Scott, 2002) con
l'intervistatore a proposito del ruolo del mercato nell'economia capitalista. Il turno conversazionale

236
(Duranti, 1997) si riferisce al seguente brano:

Mazerolle; […] il y a des secteurs que vous mettez dans le secteur public garantit par l'état ou par je
ne sais pas qui et puis d'un autre côté quand même le marché avec la circulation des marchandises
ou là vous accepter la loi capitalistique?
Mélenchon; non::: non parce que tout cela c'est très théorique tout cela et le marché ne veut pas
dire forcément le capitalisme. Une économie par absurde totalement planifier resterait une
économie de marché en ce sens qu'elle se confronterait à une offre et des besoins […]

In questo esempio, osserviamo come il disaccordo (Sornig, 1977) venga pronunciato con il
raddoppiamento del pronome di negazione “non non” partendo da una non condivisione sul modo
di agentivare (Duranti, 2007) la nozione di «marché» da parte dell'ospite Mélenchon. Questo
raddoppiamento del “non” segnala i costi elevati per la faccia negativa dell'ospite, il quale cerca di
ottenere dei benefici interazionali per la sua faccia positiva motivando le ragioni del suo turno di
parola. Nel prossimo turno di parola (Duranti, 1997) riprodotto nel seguente modo:

Mélenchon; […] et monsieur Mazerolle il y a des décisions qui s’imposent à tous même à ceux
qui ne sont pas content.

In questo turno di parola è utile soffermarsi sul modo di segnalare il proprio disaccordo ( Sornig,
1977) osservando il ricorso all'allocutivo generico “Monsieur” accompagnato dall'allocutivo
specifico del cognome del giornalista “Mazerolle”, come modo di agentivare (Duranti, 2007) il
giornalista mentre si compie un atto di minaccia verso la faccia negativa di interlocutori assenti
durante il dibattito. La presenza della “persona” dell'intervistatore permette di compiere delle
contestualization cues (Gumperz, 1989 ), le quali permettono un grado di “indessicalità” ( Duranti,
2007) all'interno dell’evento linguistico ( Hymes, 1972), anche quando si parla di persone non
presenti nel quadro dell’interazione verbale.
Nel proseguimento dell'analisi della sequenza conversazionale abbiamo un altro disaccordo
duro (Grimshaw, Vulchinich, 1990) all'interno di un stile interazionale (Spencer-Oatey, Jiang, 2003)
sempre molto cordiale. Ad esempio:

Mazerolle; vous vous présentez comme un parti internationaliste [tout à fait mais
l'internationalisme de gauche c'est aussi ce qui fait peur justement à ces salariés que vous évoquiez
tout à l'heure qui voient la concurrence [ pas du tout arrivé de l'étranger et parfois même de

237
l'Europe
Mélenchon; pas du tout monsieur Mazerolle je vais vous montrer un exemple qui va vous montrer
le contraire ….

In questa coppia adiacente, possiamo notare la segnalazione di un disaccordo di tipo duro


(Grimshaw, 1990) realizzato tramite la particella di negazione e l'avverbio di quantità “pas du tout”
per sancire la non disponibilità a subire dei costi per la sua faccia negativa ( Brown e Levinson,
1987), dovuti ad una presentazione della realtà (Searle, 1995) infelice ( Austin, 1962) dimostrata da
Mélenchon in termini di benefici per la sua faccia positiva attraverso un'esemplificazione104. Di
nuovo una segnalazione di disaccordo di tipo duro (Grimshaw, 1990) all'interno di una sequenza
conversazionale (Duranti, 1997) dominata da uno stile interazionale di tipo cordiale (Spencer-Oatey,
Jiang, 2003) si ripresenta nei seguenti turni di parola:

Mazerolle; […] Est-ce que vous ne disperser pas les forces de gauche en 2009
Mélenchon; Non, bien sûr que non non d'abord car les élections européennes est une élection à
un tour et c'est une élection à la proportionnelle .

In questa coppia adiacente (Duranti, 1997) abbiamo la presenza di un disaccordo che viene
rafforzato con il raddoppiamento dell'avverbio di negazione « Non » e dall'avverbio “ bien sûr“ per
segnalare la volontà dell'ospite di mitigare (Caffi, 1999) i costi per la propria faccia negativa di
fronte agli attacchi presenti nel turno di parola del giornalista, e nello stesso tempo segnalare
l'indisponibilità a concedere dei benefici alla faccia positiva dell'intervistatore.
Questo disaccordo rafforzato ( Grimshaw, Vulchinich, 1990) potrebbe rientrare nell’ordine dei
disaccordi forti dato che chiamano in causa le competenze professionali del candidato, il quale deve
rispondere con forza per allontanare i dubbi sulle sue capacità di giudizio ( Holtgraves, 2005).
Questo disaccordo, viene seguito da una lunga spiegazione sul sistema elettorale delle europee,
mettendo in chiaro da parte dell'ospite l'intenzione (Austin, 1962) di ottenere dei benefici
interazionali da questa spiegazione. Inoltre l’ospite spiega che la ragione della sua richiesta del voto
è quella di rappresentare il disaccordo della sinistra all’interno delle Istituzioni europee105.

Sempre all’interno di questa intervista, il giornalista Mazerolle parla della presenza di uno scudo
104
In Manzotti (1993: 91) l'esemplificazione serve per aiutare il conseguimento dell'obiettivo fondamentale,
coinvolgendo in questo obiettivo diretto della comprensione.
105
Il disaccordo della sinistra all'interno delle Istituzioni europee può essere inteso come un disaccordo di tipo culturale,
ovverosia una opposizione alla meta-rappresentazione ( Sperber- Claidière (2008) della realtà istituzionale ( Searle,
1995) intesa come cultura egemonica ( Gramsci, 1975) nel contesto europeo.

238
sociale per i cittadini inserito nel Manifesto firmato dal partito socialista francese con altri partiti
socialisti e social-democratici europei, avanzando tuttavia l’ipotesi che il proprio ospite non crede
alle ragioni di questo documento compiendo un atto costoso per la faccia negativa dell'ospite
( Brown e Levinson, 1987). Vediamo come viene inserito questo passaggio all’interno
dell’intervista:

Mazerolle; Tout de même:::, reparlons du sociale que vous évoquiez tout à l'heure, dans le
manifesto socialiste il est bien indiquer que l'on veut créer un bouclier sociale, tout comme vous
Mélenchon; oui, ils ont... il y a des mots comme ça
Mazerolle; vous n'y croyez pas qu'il ne feront pas.
Mélenchon; ah mais Pas du tout c’est absolument impossible. Les six commissaires européens
membres de la sociale démocratie qui ont signé ce manifesto n'ont jamais proposé

Mazerolle; et vous::: comment pourriez vous le faire avec quels alliés? A part de linker [ attendez
monsieur mazerolle en Allemagne

Mélenchon; monsieur Mazerolle mettons les choses en ordre nous avons à faire avec des gens qui
disent qui vont faire ceci et cela et qui savent au moment qu'ils le disent que ce n'est pas possible
que ce n'est pas dans leurs moyen et que c'est contraire au accord qu'ils ont signé entre eux vous
n'allez quand même pas essayer de faire croire que le parti social-démocrate allemand qui
gouverne avec la droite ou le parti social-démocrate hollandais qui gouverne avec la droite ou les
six commissaires qui gouvernent avec Monsieur Barroso ont l'intention juste après le 7 juin …

Anche in questi turni di parola osserviamo la segnalazione di un disaccordo di tipo severo da parte
di Mélenchon ( Grimshaw, 1990) con un enunciato come “ah mais Pas du tout c’est absolument
impossible » segnalando i costi notevoli per la sua faccia positiva (Brown e Levinson, 1987)
presenti nel turno di parola di Mazerolle. In seguito abbiamo di nuovo la presenza dell'allocutivo
generico seguito da quello specifico con « Monsieur Mazerolle » per confermare lo stile cordiale
(Spencer-Oatey, Jiang, 2003) di questa conversazione, ma allo stesso tempo la necessità di
difendere i suoi diritti e benefici interazionali in termini sociopragmatici, tramite una lunga
spiegazione di tipo contestuale (Duranti, Goodwin, 1992), accompagnata da alcuni attacchi alla
faccia negativa del giornalista con atti linguistici ( Austin, 1962) come “monsieur Mazerolle
mettons les choses en ordre » oppure «vous n'allez quand même pas essayer de faire croire ».

239
Un altro esempio per rappresentare al meglio questa correlazione sempre presente tra stile
conversazionale di tipo cordiale e necessità di segnalare il proprio disaccordo in modo severo
(Grimshaw, 1990) viene esplicitato in questi turni di parola (Duranti, 1997):

Mazerolle; Il est en train de faire changer les choses Monsieur Dominique Strauss Khan ?
Mélenchon; Non Monsieur Mazerolle. il ne change rien. Il n est pas question de revenir sur ses
propositions.

Mélenchon; Oui, mais monsieur Mazerolle nous parlons de gens qui savent très bien qui ne
pourront pas respecter leurs promesses.

Questo esempio permette di cogliere un rapporto di distanza sociale tra i due interlocutori segnalato
da “Monsieur Mazerolle”, il quale svolge una doppia funzione all’interno dell’intervista, vale a dire
da un lato serve per mantenere un equilibrio di faccia ( face-work, Brown e Levinson, 1987) tra i
due interlocutori di tipo cordiale, invece dall’altra parte serve come dispositivo di mitigazione
(Caffi, 1999) per presegnalare la presenza di un disaccordo ( Sornig,1977).

Anche nel seguente esempio, riscontriamo la presenza dell'allocutivo sia generico che specifico
accompagnato dalla produzione di un disaccordo severo:

Mazerolle; Pourquoi Monsieur François Bayrou apparait-il comme le meilleur opposant et séduit-il
davantage les électeurs?

Mélenchon; Monsieur Mazerolle avec tout le respect que je peux avoir pour monsieur Bayrou
entant que personne, je vous fait cependant observer que même dans les sondages ce n’est pas
monsieur Bayrou qui est en tête, c’est toujours le parti socialiste qui reste en tète en terme
d'opposition et par conséquent il est assez injuste de dire qu’il séduirait plus de français primo
secundo il y a en effet vous avez raison de le dire un problème mais ce problème ….[…]

Di notevole interesse in questa sequenza conversazionale (Duranti, 1997) è vedere la frequenza


della formula « monsieur Mazerolle » comme indicatore di un pre-disaccordo tra il presentatore e
l’ospite. Questo segnale discorsivo rappresenta un modo di agentivare (Duranti, 2007) il proprio
interlocutore con lo scopo, a mio avviso, di non essere impedito nella produzione di disaccordi forti
ed intensificati all’interno dell’intervista.

240
6.18 Le interruzioni conversazionali tra Michel Collon e Gilles Goldnadel a proposito del
ruolo degli Stati-Uniti nel Medio Oriente

L'evento linguistico (Hymes, 1972) preso in esame si svolge il 3 Dicembre 2008, nell'ambito
del programma televisivo “ ce soir ou jamais”in seconda serata sul canale francese France 3. La
puntata sarà incentrato sul ruolo della politica estera degli Stati-Uniti e dello Stato di Israele nella
realtà mediorientale. La finalità di questo programma televisivo è di raccontare i fatti dell'attualità
attraverso uno sguardo più approfondito della realtà, avvalendosi della presenza di vari ospiti
specializzati sul tema della serata. La sequenza di conversazione (Duranti, 1997) analizzata sarà
incentrata nella presenza di vari disaccordi (Sornig, 1977) tra il giornalista Michel Collon e
l’interlocutore Gilles Goldnadel.
Poniamo l'attenzione per questa sequenza conversazionale ( Duranti, 1997) incentrata sulla politica
di Israel:

Collon; Israel qui est l’Etat le plus raciste au monde, qui a chassé les palestiniens [ il n'y a plus de
savac en Iran il n'y a plus de torture en Iran Monsieur Collon.
Goldnadel ; il y a plus de Savac , il y a plus de savac en Iran (Savac sono i servizi segreti iraniani
corsivo mio).
Collon (in sovrapposizione); Israel se donne…[mais est ce que je vous ai interrompu.
.
Goldnadel ; mais vous dites n’importe quoi.
Collon; est-ce que je vous ai interrompu.
Goldnadel ; mais vous expliqué qu’il y avait la Savac... mais enfin
Collon; veuillez pour les spectateurs.. .
Goldnadel ; mais enfin..
Presentatore; terminez monsieur Collon.
Goldnadel ; on peut pas laisser passer des énormités pareils.
Collon; mais vous avez dit des énormités mais j’ai été poli et j’ai laissé les spectateurs vous
entendre.
Goldnadel ; oui, oui:::

241
Collon; en essayant de m’interrompre vous donnez l’impression que vous avez peur de ce que je
vais vous dire.
Goldnadel ; oh.. je vous assure que je suis très calme là-dessus.
Collon; laissez-moi allé jusqu’au bout, par politesse envers les spectateurs.
Goldnadel ; allez y. allez y. Mais enfin que la Savac n’existe plus c’est quand même un peu
énorme.

In questi turni di parola (Duranti, 1997), osserviamo come il giornalista Michel Collon produca con
il seguente enunciato “Israël qui est l’Etat le plus raciste au monde” un atto di minaccia alla faccia
negativa dell’interlocutore Goldnadel, il quale percepisce il costo troppo elevato in termini di faccia
negativa di questo atto linguistico replicando con “il n'y a plus de savac en Iran” e “ il n'y a plus
de torture en Iran Monsieur Collon” con lo scopo di tentare di ottenere dei benefici per la sua
faccia negativa (Brown e Levinson, 1987) e per la faccia collettiva ( Schwartz, 1992) dello stato
d'Israele. Le intenzioni (Husserl, 1968) di Goldnadel, con la realizzazione di questo enunciato, sono
di ottenere dei benefici per la sua faccia positiva dimostrando la scarsa conoscenza della realtà
iraniana, in termini di identità professionale, da parte di Collon. Un elemento di particolare interesse
è rappresentato dalla richiesta ripetuta da parte di Collon di poter proseguire il suo turno di parola,
come forma di beneficio per la sua persona, di fronte alle ripetute interruzioni realizzate da parte di
Goldnadel, le quali hanno la finalità di mitigare (Caffi, 1999) i benefici alla faccia positiva dell'altro
interlocutore. In termini sociopragmatici, possiamo avanzare l’ipotesi che gli atti linguistici (Austin,
1962, Searle, 1969) pronunciati da Collon vedono nella continuazione del proprio turno di parola un
diritto interazionale (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) e un beneficio per la sua faccia negativa. Dal
punto di vista dei principi sociopragmatici (Spencer-Oatey, Jiang, 2003), Goldnadel manifesta uno
stile interazionale di tipo distante, con lo scopo (Hymes, 1972) di minimizzare i costi per la sua
faccia negativa e allo stesso tempo di aumentare i benefici sia per la sua faccia, così come per
quella della comunità israelitica di Francia attraverso la minimizzazione degli atti linguistici di
Collon. In questa sequenza conversazionale, appaiono due atti linguistici come“mais vous dites
n’importe quoi “, “ je peux pas laisser dire des énormités pareils”, i quali rappresentano un
indicatore di un diritto interazionale di esprimere un severo disaccordo ( Rees-Miller, 2000) nella
comunità dei parlanti francofoni in linea con l'ethos tratteggiato da Béal (1993) a proposito dei
parlanti francofoni, mentre questa realizzazione linguistica del disaccordo (Sornig, 1977), in una
prospettiva contrastiva, è stata riscontrata solamente nell'intervista tra il Ministro Brunetta e la
giornalista Bignardi all'interno del corpus analizzato in lingua italiana. Questi enunciati sono in
linea con la massima di qualità (Grice, 1975), all’interno della comunità linguistica francese, perché

242
viene considerato come troppo costoso per la propria faccia negativa il dover accettare dei propositi
provenienti da un altro parlante, in altre parole salvare la propria faccia, senza pensare ai costi in
termini di massima del tatto (Leech, 1983) per l’altro interlocutore, rappresenta una mossa
comunicativa permessa (Goffman, 1967) in quella data comunità di parlanti. Tale segnalazione del
disaccordo non si riscontra solitamente nel corpus analizzato di lingua italiana perché il modo di
agentivare (Duranti, 2007) l' “essere per e con” (Duranti, 2007) all'interno della comunità di
parlanti italofona (Gumperz, 1982) è fondato, a mio modo di vedere, sul valore della considerazione
(Scollon, 2003) per la faccia positiva dell’altro interlocutore piuttosto che sul mantenimento della
propria faccia negativa come avviene nell'ethos (Brown e Levinson, 1987) di tipo francofono (Béal,
1993) fondato sulla franchezza.
In questo brano vediamo come la richiesta di Collon serve per chiarire che i benefici delle sue
spiegazioni sono rivolti ai telespettatori, mentre l’intervento del presentatore ha lo scopo di
difendere i diritti e i benefici per la faccia collettiva ( Schwartz, 1992) del telespettatore. In questo
modo il presentatore preserva il suo bisogno di faccia negativa (Brown e Levinson, 1987), la quale
consiste nel difendere il diritto del telespettatore di seguire un programma nel modo più
comprensibile possibile. Anche dopo l’intervento del presentatore viene ribadito da parte di
Goldnadel il suo diritto di non permettere il proferimento di tale enunciati considerati come delle
“énormités” in termini di costi per la propria faccia così come per la comunità israeliana.
Lo scopo sociopragmatico delle sovrapposizioni ( Duranti, 1997), da parte dell’ospite israeliano, è
con molta probabilità quello di minimizzare i propositi molto severi tenuti da Collon sulla politica
americana ed israeliana, ottenendo in questo modo dei benefici interazionali (Spencer-Oatey, Jiang,
2003) momentanei.
Il giornalista Collon, trovandosi davanti ad una tale strategia comunicativa, rende chiaro i
benefici e i costi del telespettatore di poter ascoltare le proprie “énormités”, così come quelle
pronunciate da parte di Goldnadel formulando questo turno di parola:

Collon; mais vous avez dit des énormités mais j’ai été poli et j’ai laissé les spectateurs vous
entendre

In questo enunciato viene reciprocato l’attacco alla propria faccia compiuto dall’ospite ribadendo la
necessità per il pubblico a casa di potere ascoltare i propositi presentati in questo dibattito. Inoltre
viene compiuto un attacco alla faccia positiva ( Brown e Levinson, 1987) di Goldnadel, da parte di
Collon, poiché con l'enunciato “ j'ai été poli” viene implicitamente ( Levinson, 1983) definito come
una persona non cortese. Soltanto a questo punto vediamo una piccola ratifica da parte dell’ospite

243
come un “oui” che viene in seguito ripreso da Collon per spiegare al pubblico i turni
conversazionali (Duranti, 1997) dell’ospite come il frutto di un sentimento di paura per i costi da
pagare in termini di faccia positiva di fronte alle spiegazioni offerte dal giornalista Collon.
La replica dell’ospite tende a minimizzare i costi subiti dall’attacco di Collon affermando la propria
condizione di “calma” con lo scopo ( Hymes, 1972) di ottenere dei benefici per la sua faccia
negativa. In seguito viene di nuovo ribadito il diritto di proseguire il proprio ragionamento da parte
di Collon utilizzando nel suo turno di parola una richiesta come questa:

Collon; “…. Par politesse envers les spectateurs”

Tale richiesta rappresenta di nuovo un attacco alla faccia positiva dell'interlocutore e un tentativo di
ottenere, nello stesso tempo, dei benefici sia per la faccia collettiva (Schwartz, 1992) del pubblico a
casa così come per la propria faccia positiva.
L’ospite israeliano, di fronte a questa mossa comunicativa più volte ripetuta, accetta la proposta del
giornalista Collon con il seguente enunciato “ allez-y”, il quale segnala un costo per la sua faccia
positiva. Tuttavia tale ratificazione viene mitigata con la ripetizione delle proprie motivazioni nate
dalle “énormités” proferite da Collon sulla polizia Savac iraniana. Tale ripetizione serve per non
accettare costi troppi elevati per la sua faccia e per non dare troppi benefici al giornalista Collon.

In questo passaggio della conversazione viene messo in luce da parte del giornalista Collon il ruolo
del contesto ( Duranti, Goodwin, 1992) tramite la produzione di deissi spaziale come “là” e ici”, le
quali rappresentano degli elementi indessicali spaziali per rivelare come il contesto sia
fondamentale nella creazione del significato nel discorso. Tale osservazione viene realizzata nel
seguente turno di parola (Duranti, 1997):
Collon; ici on n’est dans une représentation télévision et on m’a accusé d’être anti-israélien et que
je calomnié Israël et…. comme je m’attendais vu que je sais que vous êtes dans un lobby israéliens.
Goldnadel ; je vois qu’on peut rien vous cacher.

In questo brano vediamo il ruolo ricoperto dal contesto, all'interno del dibattito mediatico, come
produttore di co-testo (Goodwin, 1989) e che riveste un peso notevole nelle scelte linguistiche da
parte del giornalista Collon. Infatti viene ribadito che gli atti linguistici (Austin, 1962) di Collon
sono dei dati pacifici nella letteratura specializzata in geopolitica o nei giornali di economia come il
Wall street journal, mentre nel dibattito mediatico, i suoi propositi vengono interpretati come troppo
costosi per la faccia collettiva positiva degli Stati-Uniti e d'Israele dove l'enunciato “comme je

244
m’attendais” manifesta bene il carattere premeditato del conflitto necessario per alimentare il
dibattito mediatico ( Bilmes, 1988). Tale disaccordo nel dibattito mediatico (Bilmes, 1988) viene
alimentato anche dall’appartenenza da parte di Goldnadel ad una lobby pro-Israele svelata da parte
di Collon come atto linguistico volto ad ottenere dei benefici alla sua faccia positiva. La replica
dell’ospite sarà incentrata nel tentativo di diminuire i benefici della faccia positiva dell’interlocutore
tramite un riconoscimento ironico (Squarotti, 1995) delle qualità investigative del giornalista.
Un'altra sequenza conversazionale di particolare interesse riguarda l’uso del pronome personale
“vous” per indesicalizzare ( Duranti, 2007) l’ospite Goldnadel con la nozione di “persona” degli
Stati-Uniti e di Israele intese come facce collettive ( Schwartz, 1992). La realizzazione del pronome
allocutivo” vous” con tono accusatorio conferisce una minaccia molto severa per la faccia negativa
dell’ospite e un atto linguistico con un forte grado di imposizione (Brown e Levinson, 1987).
La sequenza di conversazione riguardante la presenza del pronome allocutivo “vous” è la seguente:

Collon; vous l’avez fait au Congo en assassinant Lumumba, en le remplaçant par Mobutu.
Goldnadel ; c’est qui vous, c’est qui vous
Collon; les Etats-Unis, etcetera
Collon; vous l’avez fait au Chili en volant le cuivre, en assassinant Allende en le remplaçant par
Pinochet
Goldnadel ; mais à qui vous parlez, à monsieur Bayle, ou à nous , c’est pour savoir.
Collon; les Etats-Unis ont placé
Goldnadel ; c’est qui vous
Collen; les américains
Collen; écouté on n’est pas au commissariat, j’ai pas à vous répondre à vos questions.
Goldnadel ; oui, mais c’est qui vous [c'est intéressant c'est pour savoir
Collon; je m’adresse au téléspectateurs. Vous défendez les Etats-Unis. Je les critique.
Goldnadel ; Bon.
Collon; chaque fois que je parle vous m'interrompez. Ça vous gène que je m'exprime ici.[pas du
tout ça m'amuse]
Goldnadel ; vous êtes un exemple emblématique de l'obsession anti-israelienne et anti-américaine
Collon; vous êtes vous êtes un exemple emblématique du racisme d'Israël et voilà avec ça on n'en
sort pas.
[…]

245
Collon; moi je voudrais simplement terminer ce que j'avais à dire c'est une tactique classique de
débat télevisé on jette une peau de banane pour que l'autre ne puisse pas allez jusqu'au bout
Goldnadel ; [vous le faites vous même très bien
Collon; et que les gens ne puissent pas entendre ce que j'ai a dire

In questi turni di parola (Duranti, 1997),vediamo un numero elevato di forme allocutive raffigurate
dai pronomi personali come “vous” come indicatori di un atto di minaccia per la faccia negativa di
Goldnadel. L’interlocutore risponde a questo attacco chiedendo varie volte a chi è rivolto questo
attacco tentando di mitigare ( Caffi, 1999) sia il costo per la propria faccia negativa così come i
benefici ricercati dalla faccia positiva di Collon. Durante questi turni di parola (Duranti, 1997)
osserviamo una contrapposizione presente nel seguente enunciato:

Collon; vous défendez les Etats-Unis. Je les critique

In questo turno di parola, il giornalista Collon rende chiara il suo posizionamento di fronte agli
amici degli Stati-Uniti per massimizzare i benefici alla sua faccia positiva (Brown e Levinson,
1987), mettendo in luce i costi per la faccia collettiva ( Schwartz, 1992) di quei paesi complici di
tutti questi colpi di stato organizzati in giro per il mondo. La ricerca del giornalista Collon di
ottenere il massimo di beneficio interazionale (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) viene segnalata da
questo enunciato “ c'est une tactique classique de débat télevisé on jette une peau de banane pour
que l'autre ne puisse pas allez jusqu'au bout “ dove si esplicita il meccanismo delle interruzioni
( Sacks, Schegloff, Jefferson, 1974 ) all'interno del dibattito televisivo (Bilmes, 1988) come modo
di mitigare (Caffi, 1999) i costi e benefici interazionali presenti durante una conversazione.

246
7. Conclusioni

Dopo aver presentato una panoramica descrittiva dei problemi teorici incontrati in questo
lavoro, possiamo vedere ora come le ipotesi inizialmente formulate abbiano trovato alcune volte
delle conferme, ma sovente si siano trasformate in altre domande, oppure abbiano richiesto di essere
riformulate diversamente, rivelando così tutta la loro complessità e la difficoltà di lavorare sia sul
piano degli atti linguistici che sul piano socioculturale. Di fatto, gli atti linguistici e in modo
particolare il disaccordo, offrono una porta d'ingresso verso la conoscenza di uno stile o “ethos”
comunicativo, il quale rappresenta un indicatore delle norme e delle rappresentazioni culturali
presenti dentro una data comunità di parlanti. In maniera generale, il corpus analizzato ci consente
di dire come la premessa iniziale, fondata sulla correlazione tra la segnalazione del disaccordo e la
nozione di persona (“essere per e essere con” di Duranti) sia stata davvero un campo d'indagine
ricco di riflessioni per la pragmatica linguistica.
Dall'ipotesi di lavoro incentrata sulle forme linguistiche del disaccordo, nel corpus francese
è emerso una predilezione per l'uso raddoppiato dell'avverbio di negazione francese “ Non” oppure
la presenza di rafforzativi come “pas du tout” “ absolument pas\ absolument faux” come modo di
segnalare il disaccordo. Ciò è in accordo con l'idea di “ethos” proposta da Béal (1993), la quale
afferma che nello stile comunicativo francese il bisogno di mostrare le proprie emozioni e di
esprimere la propria rabbia sovrasta il bisogno di salvare la propria faccia e quella
dell’interlocutore. Nel caso specifico della segnalazione del disaccordo, sembra trasparire una non
disponibilità da parte dei parlanti francesi a pagare dei costi per la loro faccia negativa poiché
successivamente spenderanno poco o nulla per salvaguardare la propria faccia positiva di fronte ai
propositi prodotti dall'altro interlocutore. Per quel che concerne il corpus di lingua italiana,
appaiono invece formule ricorrenti per esprimere il disaccordo come “ma non è vero”, “non è
affatto così”, “ al contrario”, “ non dica cose false”, “ e esattamente il contrario”, le quali segnalano,
in accordo con Holtgraves (2005), una tendenza al diniego severo della realtà psicologica dell'altro
interlocutore, sospendendo ogni forma di diritti e doveri interazionali presenti all'interno della
conversazione. Nel corpus italiano di interviste televisive possiamo interpretare questo disaccordo
come l'atto linguistico che segnala come nessuno degli interlocutori sia disposto a concedere dei
benefici in termini sociopragmatici alla faccia positiva dell'altro interlocutore. Questa segnalazione

247
del disaccordo è stata riscontrata anche nel corpus di lingua francese, in modo particolare nella
conversazione tra il giudice Portelli e Nicolas Sarkozy, ma si deve sottolineare che solamente in un
contesto culturale particolarmente aspro è stato possibile osservare questa forma di disaccordo. In
termini contrastivi, sembra che nel corpus italiano siano maggiori le frequenze di sospensioni di
ogni diritto e dovere interazionale tra gli interlocutori se confrontato con quello che avviene nel
corpus di lingua francese. Questa interpretazione dei dati in nostro possesso, attraverso gli esempi
citati sopra, rappresenta un modo di dare una risposta affermativa all'ipotesi di lavoro riguardante la
presenza di un diverso stile interazionale nel segnalare il disaccordo presente all'interno dei due
gruppi di parlanti.
Per un esempio della differenza di stile conversazionale nel segnalare il proprio disaccordo
osserviamo la scelta dell'allocutivo definito del nome di battesimo o dell'allocutivo generico
“monsieur” accompagnato dal cognome tra gli interlocutori come premessa all'espressione del
disaccordo, presente nel video di lingua francese riguardante la crisi economica: vi troviamo infatti
frequenti espressioni interpellative quali “Marc”, “Philippe” “ Monsieur Mazerolle”, le quali sono
forme allocutive definite per indessicalizzare la relazione all'interno della conversazione. In questa
conversazione, a mio avviso, appare un elemento da tenere presente nella scelta del tipo di
disaccordo, ovvero il richiamo implicito al fatto di appartenere tutti come membri “in-group” alla
stessa comunità di parlanti, che si impone come fattore decisivo nella scelta della segnalazione del
disaccordo. Questa premessa alla segnalazione del disaccordo rintracciato con l'uso del nome di
battesimo tra gli interlocutori viene riscontrata nel corpus di lingua italiana soltanto nel corpus
dell'intervista tra Vendola e Ferrero, anche se inizialmente Ferrero non reciproca il nome di
battesimo come viene fatto da Vendola ma soltanto in seguito ripara con la produzione di questo
allocutivo del nome di battesimo in linea con la nozione di in-group di Hofstede (2001), mentre
appaiono con maggiore frequenza come forme allocutive i titoli di “dottore”, conferito a Marco
Travaglio da parte dell'avvocato Niccolò Ghedini oppure lo stesso appellativo “dottore” rivolto a
Michele Santoro da parte del giornalista Mario Giordano. Questo modo di indessicalizzare la
persona sembra essere il risultato di uno stile interazionale (Spencer-Oatey, Jiang, 2003) differente
all'interno delle due comunità di parlanti: da una parte i parlanti francofoni sembrano aderire ad uno
stile più diretto, mentre i parlanti italofoni sembrano aderire ad uno stile più distante fondato sulla
'considerazione' dell'altro parlante (Tannen, 1984) oppure sulla non considerazione. Nel caso
italiano, l'onorifico “dottore” ha la funzione pragmatica di ridimensionare la faccia dell'altro
interlocutore e di mitigare i costi per la propria faccia di fronte ad attacchi o minacce subite. L'uso
dell'allocutivo definito dei nomi di battesimo nel corpus francese ha la funzione di avvicinare
emotivamente\socialmente e valorizzare la faccia positiva dell'altro interlocutore nonostante gli atti

248
di minaccia provenienti da questa stessa persona in termini di cortesia negativa. Il ricorso al nome
di battesimo per la parte francese, così come per l'onorifico “dottore” sono dei fenomeni allocutivi
da prendere in esame in maniera estesa in altri contesti comunicativi sia francesi che italiani per
capire la nozione di“ethos” soggiacente a quel dato contesto e allo stesso tempo approfondire
l'espressione della “cortesia positiva” presente all'interno di altre comunità di parlanti.
Un altro fenomeno molto ricco di riflessione è il modo di nominare e categorizzare una
“persona” come origine di un lungo disaccordo durante l'intervista sia nel corpus italiano che in
quello di lingua francese. Questo fenomeno si è manifestato in varie sequenze all'interno delle
interviste prese in esame : ad esempio, con l'uso dell'evaluativo “imbecille” per indessicalizzare
l'ingegnere dell'Aquila nel video sul terremoto a Sulmona, l'appellativo “Président” per parlare del
“juge” Portelli, o ancora la presentazione di se stesso come “io sono uno che non conta nulla” di
Marco Travaglio, modificato da Santoro con l'uso di un descrittivo per definire Travaglio come “ un
osservatore” o l'appellativo di “maestro” da parte della giornalista Bignardi nei confronti del
Ministro Brunetta.
Un ulteriore fenomeno legato all'indessicalizzazione della persona, apparso in questo lavoro,
è rappresentato dalla presenza degli allocutivi definiti del nome e cognome in maniera unita nel
corpus francese per indessicalizzare l'interlocutore, come se fosse un modo per massimizzare o
conferire “faccia positiva” all'altro, mentre nel corpus italiano questa forma allocutiva del nome e
cognome insieme non compare mai nel corpus in nostro possesso, ma vi si registra soltanto la
presenza del cognome da solo come maniera di indessicalizzare l'interlocutore. Possiamo
interpretare questa strategia allocutiva nel corpus italiano come un tentativo di mantenere o creare
una certa distanza sociale tra i parlanti e allo stesso tempo di evitare di massimizzare il
riconoscimento alla faccia positiva dell'altro interlocutore, mentre nel corpus francese la
segnalazione del nome e cognome sembra un tentativo di ridurre la distanza sociale presente
nell'interazione verbale, con la finalità di creare le condizioni agentivali favorevoli per aver un
confronto diretto. Nell'articolazione di questo corpus appare interessante invece la presenza di
onorifici come “avvocato” nel corpus dell'intervista tra Marco Travaglio e Niccolò Ghedini,
“ministro” nel corpus tra Brunetta e Bignardi come forme allocutive volte ad ottenere un rapporto
meno distante e impositivo di fronte ad un interlocutore con forte grado d'imposizione.
La presenza isolata del “cognome” nel corpus italiano potrebbe avere una sua spiegazione in una
visione burocratica-anagrafica della persona nella comunità linguistica italiana, ovvero una visione
soltanto numerica e non umana della persona con la conseguenza di avere ottenuto soltanto sfiducia
nel rapporto degli italiani con la pubblica amministrazione. Per quel che riguarda la forma
allocutiva definita del nome e cognome presente nel corpus francese, questa forma potrebbe

249
segnalare la volontà di attribuire del potere ad una persona in termini di cortesia positiva. Secondo
Kebrat-Orecchioni (2007), la prassi di rivolgere la parola alle persone in Francia con gli allocutivi
definiti come il nome e cognome proviene dal mondo commerciale francese e pertanto possiamo
pensare che tale indessicalizzazione della persona abbia la funzione di creare una migliore
predisposizione dell'interlocutore verso il parlante. In una prospettiva di tipo comparativa, questo
fenomeno potrebbe essere interpretato come una possibilità d'intendere l'ethos italiano come
fondato sulla nozione di considerazione secondo Tannen (1984) o di non considerazione a mio
parere, con un retaggio di stile burocratico ( Clyne, 1994)-reverenziale ( Scollon, 2003) mentre
l'ethos francese sarebbe fondato sulla franchezza, sull'”engagement” ( Béal, 1993, Peeters, 2000)
all'interno di uno stile conversazionale di tipo distante ( Spencer-Oatey, Jiang, 2003), dove occorre
creare un contesto favorevole in termini di vicinanza emotiva col parlante affinché si possa
segnalare il proprio disaccordo.
All'interno del materiale raccolto, un fenomeno che meriterebbe ulteriori approfondimenti è la
segnalazione del disaccordo di tipo rafforzato (Rees-Miller, 2000) come ad esempio “ pas du tout”
“absolument pas” “absolument faux”, da intendere, a mio parere, come un tratto dell'ethos
conversazionale francese e pertanto tale da non poter essere definito in maniera automatica come
rafforzativo o intensivo, ma da diventarlo soltanto in alcuni contesti conversazionali francofoni.
La presenza del disaccordo rafforzato è stata osservata durante l'intervista tra Fabio Fazio e Di
Pietro attraverso l'uso di formulazioni del tipo: “ non sono affatto d'accordo con lei”, “ è
esattamente il contrario” come indicatori di una presenza di un forte disaccordo tra gli interlocutori
con i costi notevoli in termini di faccia positiva pagati da Fabio Fazio.
Quindi in una prospettiva interculturale, il disaccordo di tipo rafforzato potrebbe causare dei
problemi di “face-work” tra parlanti italiani e francesi, poiché dalla parte della comunità dei parlanti
italofoni prevale l'uso della mitigazione nella segnalazione del disaccordo nei rapporti
intergenerazionali come ad esempio con il disaccordo tralasciato (Vulchinich, 1990) o il disaccordo
rafforzato tra coetanei come segnala il lavoro di Sanna (2005), mentre per i parlanti francofoni, alla
luce del corpus in nostro possesso, prevarrebbe la scelta per la segnalazione del disaccordo di tipo
'aggravato'. Tale predilezione per il disaccordo di tipo aggravato da parte dei francofoni è da
interpretare piuttosto a mio parere come una semplice segnalazione di 'disaccordo pronunciato' in
uno stile conversazione di tipo “engagé” (Béal, 1993) che non deve essere interpretato alla luce
delle convenzioni che regolano lo stile conversazionale italiano, dove avrebbe conseguenze per la '
faccia negativa' del parlante. Da canto suo, il parlante francofono non deve compiere l'errore di
valutare la segnalazione del disaccordo prodotta con formule come “ma non è vero!”, “ niente
affatto!”, “ non sono d'accordo!” come realizzazioni preferite e consuete dell'ethos conversazionale

250
italiano, ma tali espressioni vanno considerate come segnalazioni di disaccordi severi con tutte le
conseguenze in termini di costi sia per la faccia negativa che positiva dell'interlocutore previsti in
quel dato contesto conversazionale italiano.
L'aspetto più interessante dell'analisi del 'disaccordo rafforzato' è rappresentato dal fatto che
esso racchiude a mio giudizio la fondatezza dell'ipotesi di lavoro che prevedeva un diverso 'lavoro
di faccia' da compiere nel segnalare un disaccordo tra italofoni e francofoni. In altri termini, il
disaccordo severo in italiano colpisce la nostra faccia positiva mentre quello francese sembra essere
una abitudine linguistica per usare le parole di Whorf (1956) e pertanto non implica la perdita di
faccia positiva nel contesto francofono.
Continuando l'osservazione del corpus raccolto per questa ricerca, sottolineo come
dall'intervista tra François Bayrou e Ségolène Royal emerga la segnalazione del disaccordo come
atto linguistico 'rimarcato' tra i due interlocutori, come una strategia funzionale alla nozione di
‘candidato politico' che essi intendono agentivare nel corso di quel dibattito mediatico, mentre nel
resto del corpus raccolto, questa segnalazione del 'disaccordo rimarcato' con l'altro interlocutore
non è stata riscontrata in nessun altro tipo di interviste, né nel corpus italiano né in quello francese.
L'aspetto di questo disaccordo da approfondire sarebbe quello di capire se la sua segnalazione sia da
ricercare nella sua connaturata presenza all'interno del dibattito politico come mossa preferita e
attesa, oppure come atto linguistico che esprime un reale contrasto di idee anche al di fuori di tale
evento linguistico.
Dai dati in nostro possesso è emerso che i due gruppi di parlanti hanno segnalato la presenza del
disaccordo in modo spesso diretto, in consonanza con Bilmes (1988) a proposito del disaccordo
come mossa preferita ed attesa nel dibattito mediatico inteso come evento formale. Questo tipo di
disaccordo di tipo “bald on record” ( Brown e Levinson, 1987) si potrebbe interpretare come un atto
linguistico volto ad evitare dei costi per la propria faccia positiva e allo stesso tempo una forma di
rinuncia a concedere dei benefici alla faccia positiva dell'altro interlocutore. Invece un disaccordo
segnalato in modo indiretto, in questo tipo di corpus rappresenterebbe un costo forse troppo elevato
da pagare per gli interlocutori in termini di faccia positiva.
Si potrà ancora analizzare, a mio giudizio, un disaccordo nel corpus francese che segnala
una indisponibilità da parte dell'interlocutore a pagare dei costi interazionali in termini di faccia
positiva, in linea con Béal (1993) secondo la quale per il parlante francese salvare la propria faccia è
più importante che preservare un equilibrio interazionale tra gli interlocutori. Al contrario, nel
corpus italiano da me analizzato, il disaccordo diretto e severo sembra segnalare come una forma di
diniego della realtà psicologica dell'altro interlocutore, creando così una sospensione di ogni forma
di diritto e doveri interazionali tra gli interlocutori, in un confronto dove nessuno è disposto a

251
concedere qualche beneficio alla faccia positiva dell'interlocutore, ma soprattutto nessuno crede che
da parte dell'altro sia rispettata la massima conversazionale di qualità ( “ Fai che il tuo contributo
allo scambio sia veritiero”) del “Principio di Cooperazione” di Grice (1975).
Questa ricerca ha permesso di rivelare l'importanza del nesso tra l'atto linguistico del
disaccordo con la nozione della persona come indice di una prospettiva interazionale differente tra
parlanti italofoni e francofoni, ma in futuro riteniamo che sarebbe interessante ed utile espandere
alcune problematiche che sono state menzionate in questo lavoro. In primo luogo, partendo da
questa ricerca sarebbe fecondo sperimentare il concetto di “ethos” sempre in una prospettiva di tipo
cross-culturale per analizzare altri corpora come, ad esempio, i dialoghi nel corso di una riunione di
lavoro nel mondo commerciale, il rapporto medico-paziente, le relazioni accademiche, la
discussione familiare oppure i monologhi provenienti dal mondo della comicità. Il termine “ethos”
permetterebbe forse di cogliere meglio il comportamento comunicativo e le relazioni interpersonali
di tipo “in-group \ out-group” ( Hofstede, 2001) all'interno dei vari domini dentro una data
comunità di parlanti. Inoltre il ricorso ad altre discipline come la sociologia e l'antropologia
culturale permetterebbe di articolare meglio la correlazione tra “ethos” conversazionale e contesto
culturale in modo da verificare se l'ethos francese ipotizzato come di tipo “engagé”da Béal (1993) e
conflittuale da Kebrat-Orecchioni (2001) non sia soltanto una meta-rappresentazione culturale
necessaria per il conferimento di una cortesia positiva verso la faccia collettiva di un popolo che
vuole rimanere attaccata alla sua vecchia tradizione culturale fondata sull'illuminismo e la
rivoluzione francese.
Un altro punto che meriterebbe maggiore attenzione è la segnalazione del disaccordo in
modo indiretto, in modo particolare mi riferisco allo studio delle “contextualization cues”
( Gumperz, 1989) e degli indici contestuali ( Hofstede, 2001) che permettono la presenza di un
disaccordo segnalato in modo indiretto. L'indessicalizzazione della persona come elemento
soggiacente alla segnalazione del disaccordo è un altro fenomeno che meriterebbe sicuramente di
essere studiato in più vasti e diversi contesti culturali.
In conclusione, è necessario soffermarsi sulla necessità di superare lo studio contrastivo
degli atti linguistici per osservarli all'interno di relazioni interculturali tra parlanti nativi italiani e
francesi. Tale osservazione interazionale tra parlanti di origine diversa rappresenta un campo
fecondo d'analisi per la comprensione delle differenze e somiglianze insite nei vari stili
conversazionali. Sarebbe così permesso verificare come sono vissuti nello scambio verbale i temi
legati all'identità e all'alterità.
Sono consapevole che per svolgere un tale lavoro occorre superare le difficoltà insite nel
circoscrivere un fenomeno complesso come la conversazione, costituita da numerosi fenomeni

252
linguistici e extra-linguistici, malgrado ciò la posta in gioco resta molto importante, poiché riguarda
una migliore comprensione della conversazione nei suoi aspetti sia universali che specificatamente
culturali. Questo approdo alla comunicazione interculturale deve permettere il riconoscimento dei
vari “ethos” e una coabitazione più o meno armoniosa delle somiglianze e differenze che ogni
membro di una comunità linguistica porta con sé.

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Raffaello Cortina Editore.

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Appendice

In allegato al presente lavoro troverete un CD-ROM con le seguenti tracce di materiale audiovisivo
analizzato all'interno del corpus di questa ricerca.

Video numero 1: Fazio in disaccordo con Di Pietro

Video numero 2: Ségolène Royal tacle David Pujadas

Video numero 3: Disaccordo Santoro con Giordano

Video numero 4: Désaccord sur l'immigration

Video numero 5: Disaccordo Travaglio-Santoro

Video numero 6: Brunetta-Bignardi

Video numero 7: Désaccord sur la crise économique

Video numero 8: Désaccord Ségolène Royal-Bayrou

Video numero 9: Travaglio e avvocato Ghedini

Video numero 10: Sarkozy et le juge Portelli

Video numero 11: Vendola e Ferrero

Video numero 12: Berlusconi vs Annunziata

Video numero 13: Tariq Ramadam vs De Villiers

Video numero 14: D'Alema in disaccordo con Bignardi

Video numero 15: Houria Boutelja vs Alain Finkielkraut

Video numero 16: Mélenchon Front de gauche

Video numero 17: Dèsaccord Amérique-Collon

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