Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
STORIA DELLA
FILOSOFIA
MODERNA
DALLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
A HEGEL
Con la collaborazione di
Adriano Bausola, Marco Paolinelli,
Angelo Pupi, Mario Sina, Leona rdo V erga
EDITRICE LA SCUOLA
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adatta
mento corale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati
per tutti i Paesi.
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del
15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del com
penso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941. n. 633.
Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o com
merciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate
a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Au
torizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana n. 108, 20122
Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org
Ristampe
© 1976
Copyright by ED1TR1cE LA ScuoLA
0FPICINE GllAFICHP. « LA ScuoLA ,,. • BllESCIA
[6096 vo] • u
PREMESSA
della nuova scienza. All'interesse del secolo XIV per la filosofia della na
tura e per la logica formale succede nel Quattrocento un prevalente in
teresse che noi oggi chiameremmo umanistico, cioè letterario, filologico
storico (il problema delle due culture non è forse solo di oggi!): sembra
che il Quattrocento e buona parte del Cinquecento rappresentino una
interruzione dell'interesse scientifico e che il Seicento riprenda le ricerche
interrotte del secolo XIV - interrotte dall'irruzione dell'Umanesimo.
Un paragrafo del libro molto noto e molto pregevole di A. C. CROMBIE,
Augustine to Galileo (II ed. 1959, trad. it., Milano, Feltrinelli 1970)
porta come titolo: « La continuità fra la scienza medievale e quella del
secolo XVII».
A questa visione storiografica si oppone E. Garin in vari suoi scritti,
ma specialmente nel saggio Gli umanisti e la scienza ripubblicato nel vo
lume L'età nuova (pp. 451-475) e nel saggio Rinascimento e rivoluzione
scientifica nel volume Rinascimento e rivoluzioni, Bari, Laterza, 1975,
pp. 299-326. Secondo il Garin la rivoluzione scientifica, che ha un si
gnificato filosofico, non sarebbe stata possibile senza il Rinascimento, di
cui prosegue gli ideali e gli intenti.
Comunque si risolva il problema della continuità o discontinuità
con l'Umanesimo, il costituirsi di un nuovo tipo di sapere sulla natura,
quel sapere che chiamiamo comunemente scienza, distinta dalla filoso
fia, suscita una serie di problemi che caratterizzano la filosofia da Car
tesio a Kant, e per questo ho ritenuto di cominciare questa storia della
filosofia moderna da Bacone e da Galileo, anziché dall'Umanesimo.
Mi propongo quindi di dedicare alla filosofia del Rinascimento un
volume a parte, dopo aver completato questa storia della filosofia mo
derna con un secondo volume, che è P,ià in avanzata preparazione, sulla
filosofia dopo Hegel e fino ai nostri giorni. Seguirà, se Dio mi dà vita,
un volume sulla filosofia medievale 1•
SOFIA VANNI RovIGm
1
I nomi degli autori dei capitoli 5°, 15°, 16°, 18°, 21•, 23° sono indicati all'inizio
di ogni capitolo - oltre che nell'indice -; il resto è opera di chi scrive.
CAPITOLO PRIMO
FRANCESCO BACONE
(1561-1626)
1. Vita e opere
1
Una rivalutazione di Bacone, condotta sempre co!l l'esame molto preciso di dot
trine particolari e attraverso il confronto con autori contemporanei, è quella di P. Rossi
nel capitolo « Venti, maree, ipotesi astronomiche in Bacone e Galilei» del volume
Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, Morano, 1971, pp. 153-222.
14 FILOSOFIA MODERNA
partiene ciò che Bacone dice sul nessun valore dell'autorità nella ri
cerca del sapere, sulla necessità di seguire una via media tra scet
ticismo e dogmatismo e anche molto di ciò che riguarda gli idola.
Idola sono le nostre immaginazioni, nei confronti delle idee di
vine: le idee divine sono creatrici della realtà, che ne porta le
tracce nella sua struttura, e noi uomini possiamo raggiungere una
conoscenza vera solo se cerchiamo di seguire queste tracce, di ade
guarci ad esse; se invece vogliamo anticipare con la nostra mente
quello che deve essere in realtà, se vogliamo proiettare le nostre
idee sulle cose, non raggiungiamo il sapere (N.O., I, 26), perché
le nostre idee non sono creatrici. Prima di aver descritto e inter
pretato la natura possiamo avere solo immaginazioni, pre-concetti,
pre-giudizi. Idola chiama Bacone questi preconcetti e li raggruppa
sotto quattro tipi: idola tribus, idola specus, idola fori, idola
theatri.
I primi sono quelli che dipendono dalla natura umana, dalla
specie umana (tribù) e si potrebbero riassumere nella tendenza del
l'uomo ad assumere ciò che appare come la realtà stessa delle cose.
Un primo grado, per dir cosl, di questa tendenza è quello di scam
biare i dati sensibili con le proprietà dei corpi; ma su questo ar
gomento, sul quale insisteranno tanto altri filosofi, Bacone non si
ferma molto. (N.O., I, 50). Insiste invece su ciò che appare all'in
telletto, sulle proiezioni che l'intelletto umano compie sulle cose.
« L'intelletto umano è spinto dalla sua stessa struttura a suppor
re nelle cose un ordine maggiore e un'eguaglianza superiore a
quella che effettivamente trova... Così è sorta l'idea che nei cieli
ogni movimento deve avvenire sempre secondo circoli perfetti...
Cosi è sorta l'idea dell'elemento del fuoco e della sfera, che fu
introdotta per completare la quaterna con gli altri tre elementi che
cadono sotto i sensi ... » (N.O., I, 45). È insomma la pretesa che
l'intelletto umano sia la misura delle cose, pretesa della quale
Bacone fa una specie di fenomenologia negli aforismi 46-48. L'in
telletto umano subisce inoltre l'influsso della volontà e degli af
fetti e tende ad affermare non ciò che è vero ma ciò che all'uomo
piace.
E qui passiamo al secondo gruppo di preconcetti: quelli ra
dicati nel temperamento individuale (la spelonca). Nel descriver
li Bacone mette sotto il fuoco della sua critica non solo Aristote-
18 FILOSOFIA MODERNA
2
La distinzione fra lux e lumen è una distinzione medievale, che si trova in
Guglielmo Grossatesta, in S. Bonaventura e forse in altri: la luce è forma sostanziale,
il lumen è una forza attiva che emana dal corpo luminoso.
24 FILOSOFIA MODERNA
' Ma si veda ancora il saggio citato di P. Rossr, Venti, maree, ipotesi astronomiche
in Bacone e in Galilei, nel volume Aspetti della rivoluzione scientifica.
BACONE 25
6. Vetica
GALILEO
( 1564 - 1642)
VITA E OPERE
1. Il periodo pisano
che già nel medioevo notevoli obiezioni erano mosse alla teoria ari
stotelica del moto, specie per quello che riguarda il moto dei gravi
e dei proietti: per Aristotele il moto dei gravi è un moto « natu
rale», la causa di esso è la tendenza insita nei corpi terrestri verso
il basso e la velocità di tale moto è proporzionale al peso. Ma il
moto dei proietti è un moto « violento», quindi deve essere deter
minato da qualcosa di esterno che, per Aristotele, è l'aria circostan
te. Contro tale teoria si afferma, fin dal secolo VI d.C., la teoria
dell'impetus, secondo la quale la causa del moto sarebbe, appunto,
una forza impressa nello stesso corpo in movimento.
Le teorie sul moto sono discusse dal Buonamici con argomenti
razionali più o meno probabili, nello stile delle quaestiones scola
stiche. Forse allude a questo genere di dispute Galileo quando, nel
Saggiatore, dice di provar nausea quando sente certe dispute nelle
quali ingolfava mentre era ancora sotto il pedante (Opere, VI, p.
245). Ma fin dal giovanile De motu (1590) Galileo preferisce un
altro metodo: ut semper dicenda ex dictis pendeant: cioè che le
conclusioni dipendano dalle premesse e non si suppongano mai co
me vere le cose ancora da dimostrare; metodo che mi insegnarono
i miei maestri matematici, e che è poco seguito dai filosofi (Opere,
I, p. 285). Quarant'anni dopo, in piena maturità, a Simplicio scan
dalizzato perché Salviati ha rimproverato ad Aristotele un errore
di ragionamento, a quell'Aristotele che ha creato la logica, Salviati
risponde: « ... la logica, come benissimo sapete, è l'organo col quale
si filosofa; ma, sì come può essere che un artefice sia eccellente in
fabbricare organi, ma indotto nel sapergli sanare, cosl può esser un
gran logico, ma poco esperto nel sapersi servir della logica ... Il so
nar l'organo non s'impara da quelli che sanno far organi, ma da
chi gli sa sonare; la poesia s'impara dalla continua lettura de' poe
ti... il dimostrare, dalla lettura de i libri pieni di dimostrazioni che
sono i matematici soli e non i logici» 1•
Ma se la matematica offre il modello del ragionamento, del« di
scorso» rigoroso, è l'esperienza che deve riempire il discorso. La
matematica non è l'oggetto finale dello studio di Galileo: è per lui
lo strumento indispensabile per conoscere la natura. Non si tratta
per lui di escogitare una teoria per « salvare i fenomeni», cioè una
1
Dialogo, giorn. 1" in Opere, VII, p. 59.
34 FILOSOFIA MODERNA
2. A Padova
Ibis La méthode scientifique de Galilée nel vol. cit. Galilée. Aspects de sa vie et de
son oeuvre, p. 98.
GALILEO 35
2
È il Sidereus Nuncius, opera pubblicata da Galileo nel 1610, nella quale annun
ciava la scoperta dei satelliti di Giove, fatta appunto per mezzo del telescopio.
3
Maurizio d'Orange. « In verità il 25 febbraio del 1608 l'occhialaio Giovanni
Lippersey di Wesel aveva offerto a Maurizio d'Orange un cannocchiale e mentre prov
vedeva a perfezionarlo per ottenere il privilegio, il 17 ottobre dell'anno stesso Jacopo
Adriaanzon di Akmaer annunciava agli Stati Generali la fabbricazione di un altro di
tali strumenti. Nel volger dell'anno l'invenzione era portata in Francia, cosl che nel
l'aprile del 1609 se ne vendevano per Parigi alcuni esemplari. In Italia la notizia di tale
strumento, a detta del Sarpi, era giunta dal novembre 1608 al gennaio 1609, ma gli
esemplari avevano tardato a comparire». A. BANFI, Vita di Galileo Galilei, pag. 71.
36 FILOSOFIA MODERN
vetro solo, o di più d'uno. D'un solo non può essere, perché la sua
:figura o è convessa, cioè più grossa nel mezo che verso gli estremi,
o è concava, cioè più sottile nel mezo, o è compresa tra superficie
parallele: ma questa non altera punto gli oggetti visibili col cre
scergli o diminuirgli; la concava gli diminuisce, e la convessa gli ac
cresce bene, ma gli mostra assai indistinti ed abbagliati; adunque
un vetro solo non basta per produr l'effetto. Passando poi a due, e
sapendo che 'l vetro di superficie parallele non altera niente, come
si è detto, conclusi che l'effetto non poteva né anco seguir dall'ac
coppiamento di questo con alcuno degli altri due. Onde mi ristrinsi
a volere esperimentare quello che facesse la composizione degli al
tri due, cioè del convesso e del concavo, e vidi come questa mi dava
l'intento: e tale fu il progresso del mio ritrovamento, nel quale di
niuno aiuto mi fu la concepita opinione della verità della con
clusione» (Opere, VI, pp. 257-59).
Sulla parte avuta da Galileo nella scoperta del cannocchiale o
telescopio e sul modo in cui vi pervenne si è molto discusso 4• Già
nel 1589 G. B. Della Porta aveva parlato di lenti capaci di ingran
dire gli oggetti, ma, a detta di V. Ronchi, le sue teorie erano po
co attendibili. Nel 1604 Keplero aveva esposto una teoria ottica
che offriva la base per la costruzione del telescopio, ma non l'aveva
applicata egli stesso. C'erano sl degli artigiani che fabbricavano
cannocchiali, come quello che probabilmente aveva visto Galileo,
ma estremamente imperfetti. Insomma c'erano scienziati - e di
grande valore, come Keplero - che però non fabbricavano cannoc
chiali e artigiani che li fabbricavano, ma poiché non avevano no
zioni scientifiche sufficienti, li fabbricavano male: Galileo fu il pri
mo a fabbricarne uno e molto più perfetto di quelli che circolavano,
anche se attribui troppo a se stesso e riconobbe troppo poco il con
tributo che altri poteva aver dato all'invenzione.
Altro problema: l'invenzione - o almeno il perfezionamento
- del cannocchiale è stato ottenuto da Galileo con un ragionamen
to, come dice lui nel passo citato del Saggiatore, o attraverso espe
rienze ripetute? Qui entra in giuoco l'interpretazione generale del
pensiero galileiano: chi sottolinea il platonismo di Galileo, come
il Koyré, vede una conferma della propria interpretazione nella rela-
contro la teoria copernicana era che la Terra deve star ferma e non
compiere un moto di rivoluzione intorno al Sole, poiché è il cen
tro attorno a cui si muove la Luna. Ma la presenza non di uno
ma di quattro satelliti intorno a Giove provava che un corpo può
muoversi intorno ad un altro (questo altro era, per i tolemaici, la
Terra), eppure avere dei satelliti che gli si muovono intorno.
Non solo le osservazioni astronomiche, ma anche le ricerche
di Galileo sulla meccanica contribuivano a fornirgli argomenti in
favore del sistema copernicano. I sostenitori del sistema tolemaico
obiettavano infatti a Galileo che, se la Terra fosse dotata di un
moto di rotazione intorno al suo asse, un corpo che cade dalla ci
ma di una torre non dovrebbe cadere ai piedi della torre stessa,
ma un po' più a oriente. A questa obiezione Galileo risponde con
la teoria della relatività del movimento (di quella che oggi si
chiama la relatività classica): si percepisce il moto quando si mette
a confronto un mobile con qualcosa che non partecipi al movimen
to stesso del mobile; ma se si fa parte del sistema che è in movi
mento, non si percepisce il moto. Ora poiché la torre e la pietra
che cade dalla torre partecipano (nell'ipotesi copernicana) entram
be del moto della Terra, è impossibile accorgersi del moto che la
pietra ha compiuto insieme alla Terra. Certo, supponendo uno
spazio assoluto, si potrebbe vedere rispetto a questo la deviazione
dalla perpendicolare del moto della palla, ma non la si può vedere
rispetto alla torre. E Galileo fa questo esempio: quando una na
ve è in movimento, colui che è nella nave non si accorge del mo
to che le merci che sono sulla nave compiono insieme con la na
ve, ma solo di quello relativo alla nave, se si spostano dalla loro
posizione. Per il medesimo motivo non ci accorgiamo del movi
mento della pietra dovuto alla rotazione della Terra.
Un altro argomento è offerto a Galileo da una tesi fondamen
tale della meccanica galileiana: quello che chiamiamo principio
di inerzia (vedremo più tardi come egli ci sia arrivato, anche se
non lo ha formulato esplicitamente). Poiché, secondo quel prin
cipio, un corpo in moto rettilineo e uniforme persevera indefini
tamente nel suo stato, se non interviene una forza a modificarlo,
la pietra che cade dalla cima di una torre o dalla cima dell'albero
di una nave, tende a perseverare nel moto che aveva quando era
in cima alla torre, moto che era lo stesso della torre, e quindi non
abbandona per dir così la torre e cade ai suoi piedi.
GALILEO 39
3. I processi
• Opere, X, p. 232.
42 FILOSOFIA MODERNA
rnb;, Il processo di Galileo, nel vol. cit.: Nel quarto centenario della nascita
etc.
11 Cfr. G. de SANTILLANA, Processo a Galileo, trad. it., Milano, Mondadori, 1960.
GALILEO 45
IL PENSIERO
4. Galileo filosofo
logia (quella che poi è stata chiamata metafisica) studia ciò che
è separato (dalla materia) e immutabile. Ora il termine philoso
phia naturalis non è che la traduzione latina di �u01Jx�.
Per Galileo essere « filosofo » voleva dire studiare la natura,
i corpi e i loro fenomeni realmente esistenti, non limitarsi a for
mulare ipotesi matematiche. Rifiutò il consiglio di Urbano VIII
e di Bellarmino che gli suggerivano di esporre la teoria coperni
cana solo come ipotesi matematica perché era convinto che tale
teoria rispondesse ai reali moti degli astri, come era convinto che
la sua meccanica esprimesse le proprietà del moto reale dei corpi.
La « filosofia » di Galileo è la philosophia naturalis che fa parte
del titolo dell'opera di Newton che contiene i principi della mec
canica moderna (Philosophiae naturalis principia mathematica).
Resta il problema se questo sia l'unico tipo di sapere valido, per
Galileo; ma, prima di affrontare questo problema, bisogna avere
ben chiaro che per Galileo essere « filosofo » vuol dire dedicarsi
alla scienza della natura, niente di più.
Non credo che gli si possa attribuire una filosofia distinta dalla
sua fisica, anche se la sua fisica ha avuto una grande importanza
nella storia della filosofia.
In cosa consisterebbe infatti la pretesa filosofia (non fisica) di
Galileo? Forse nell'affermare che l'uomo deve seguire la ragio
ne e non l'autorità? Ma questo lo dicono tutti. La cosa più im
portante è che egli non solo proclama questo precetto, ma lo met
te in pratica, il che non costituisce una filosofia, ma è la caratte
ristica di ogni uomo di genio. Quando Gc1lileo, spazientito dagli
appelli del Sarsi all'autorità e dal suo criterio di misurare il va
lore di una teoria dal numero dei seguaci, dice nel Saggiatore:
« Sig. Sarsi, infinita è la turba degli sciocchi, cioè di quelli che
non sanno nulla; assai son quelli che sanno pochissimo di filo
sofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; po
chissimi quelli che ne sanno qualche particella; un solo Dio è
quello che la sa tutta » (Opere, VI, p. 2 3 7), ha coscienza di es
sere fra i pochi e i pochissimi, quelli, come ha detto poco prima,
che « volano come l'aquile e non come gli storni ». Quando dice
questo, lotta contro la mediocrità e il conformismo della mag
gioranza degli uomini, ma non proclama una nuova teoria filo
sofica. D'altronde non è storicamente esatto che il culto dell'au
torità sia un carattere della scolastic�. - parlo dell'autorità urna-
50 FILOSOFIA MODERNA
13 Galileo e la cultura del suo tempo e Galileo « filosofo », l'uno e l'altro saggio
riprodotti nel volume Scienza e vita civile nel RJnascimento italiano, Bari, Laterza,
1965.
52 FILOSOFIA MODERNA
14 Nei cap. del 1° libro dei Secondi Analitici Aristotele dice: ipotesi è la proposi
zione che, pur essendo dimostrabile, è assunta come vera, senza dimostrazione, da colui
che impara una scienza; il postulato è pure dimostrabile e assunto come vero senza dimo
strazione, ma non subito riconosciuto come vero da chi apprende la scienza.
GALILEO 53
1
• La perspectiva è l'ottica geometrica.
58 FILOSOFIA MODERNA
17 Philos. naturalis principia math., libro III, prop. IV, teorema IV, scolio. Trad.
Pala, Torino, U.T.E.T., 1965, p. 623.
GALILEO 59
R. CARTESIO
(1596 - 1650)
1. La vita
1
In 5 volumi, composti dal 1592 al 1606. Ha forma di commento alle opere
aristoteliche. Manca la parte dedicata alla Metafisica. Ma il Fonseca, incaricato di diri
gere il trattato, aveva già scritto una Metafisica in quattro tomi.
CARTESIO 67
• Dico del sapere, perché questo sapere abbraccia quelle che noi oggi chiamiamo
scienza e filosofia, ma che allora si chiamavano tutte filosofia.
CARTESIO 69
IL METODO
2. L'evidenza
• Chiamerò, per non dover sempre citare il titolo dell'opera, precetti quelli del
Discorso e regole quelle delle Regulae ad directionem ingenii.
72 FILOSOFIA MODERNA
3. AJtalisi e sintesi
' Il testo latino dice: « Analysis veram viam ostendit per quam res methodice et
tanquam a priori inventa est... Synthesis e contra per viam oppositam et tanquam a
posteriori quaesitam (etsi saepe probatio sit in hac magis a priori quam in illa) ... de-
CARTESIO 75
monstrat ». A.T., VII, pp. 155-56. Tradurrei: « L'analisi mostra la vera via per la
quale la cosa [la conclusione] fu scoperta metodicamente e come a priori [cioè comin
ciando da ciò che è effettivamente conosciuto prima] ... La sintesi invece dimostra per
una via opposta e come cercata a posteriori [cioè in base a ciò che effettivamente è co
nosciuto dopa], anche se spesso la dimostrazione sia più a priori in questa [nella sin
tesi] che in quella [nell'analisi] ». Clerselier traduce: « L'analyse montre la vraie voie
par laquelle une chose a été méthodiquement inventée, et fait voir comment les effets
dépendent des causes... La synthése au contraire, par une voie tout autre, et comme
en examinant les causes par leur effets (bien que la preuve qu'elle contient soit sou
vent aussi des effets par les causes) démontre la vérité etc.». Cartesio stesso ha rive
duto la traduzione di Clerselier; Baillet, il primo biografo di Cartesio, dice che l'ha
corretta e migliorata rispetto al testo originale. Sarà, ma in questo caso dubito che la
traduzione francese faccia capir meglio il pensiero di Cartesio: a proposito della sin
tesi, quello che è in parentesi contraddice addirittura ciò che viene prima. Opino che,
quando Cartesio dice che nell'analisi la conclusione è trovata tanquam a priori, non
prenda il termine a priori nel senso tradizionale che ha quando accompagna il termine
demonstratio o probatio - e vuol dire dimostrazione dalla causa all'effetto - ma nel
senso letterale: qualcosa che viene (nella conoscenza) prima. E prima, nella conoscenza
cosi come si svolge realmente, vengono gli effetti, non le cause. Analogamente si dica
per l'a posteriori della sintesi: la sintesi è quella che comincia da ciò che nella cono
scenza vien dopo - cioè dalle cause -. E allora si capisce la parentesi: sebbene la
dimostrazione sintetica sia la classica i)rova o dimostrazione a priori - e cioè quella
che dal prius quoad se dimostra quello che è posterius quoad se, ma prius quoad nos.
E che Cartesio abbia di mira il quoad nos e non il quoad se mi par confermato da quel
lo che dice nel commento alla Regola VII: dove si parla ancora del rapporto fra
semplice e il complesso si afferma: « Veniendum igitur ad res ipsas, quae tantum
spectandae sunt prout ab intellectu attinguntur» (A.T., X, p. 399).
• « Che nel triangolo gli angoli siano uguali a due retti [colui che cerca] sapeva
già; ma che questa figu ra inscritta in un semicerchio è un triangolo, lo sa ora &µ.oc
inducendo t1ta.y6µ.e:voc; (Anal. post., I, 1, 71a, 19-21). L. J. BECK, The Method of De
scartes, Oxford, Clarendon Press, 19.52, p. 171, cita questa definizione di Geminus:
&.vaÀuatc; fo-nv &1to8e:l�e:(ùc; e:ilpe:at,.
76 FILOSOFIA MODERNA
4. Mathesis universalis
5. Enumerazione completa
11
Sul concetto cartesiano di mathesis universalis si veda P. Rossi, Clavis univer
salis, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 153 ss. Nonostante i dotti e acuti rilievi di
P. Rossi, chi scrive persiste nell'« eccessivamente semplicistico tentativo di identificare
senz'altro la mathesis universalis cartesiana con una ... estensione del metodo matematico
a tutti i campi del sapere» (p. 159), anche se crede che tale estensione non fosse tanto
« pura e semplice». Altro è che Cartesio conoscesse, in parte direttamente in parte per
sentito dire, scritti e problemi di derivazione lulliana sull'arte, o la « chiave» o la sa
pienza, « capace di garantire assoluta verità», cosa che i precisi raffronti di P. Rossi di
mostrano chiaramente, altro che prendesse quest'arte nel medesimo significato.
u Clavis universalis, p. 173.
78 FILOSOFIA MODERNA
che possa rispondere alle esigenze della sua fisica 13• Questo non
vuol dire che Cartesio non dia importanza alla metafisica: anzi ne
dà tanta che ritiene di non poter giustificare la sua fisica se non
fondandola metafisicamente, a differenza di Galileo, per il quale la
fisica si regge per proprio conto. E non vuol dire neppure che la
metafisica cartesiana sia cosa da trascurare; ma dobbiamo ricorda
re: 1) che gli studi scientifici precedono in Cartesio l'elaborazio
ne della sua metafisica (la filosofia scolastica, che egli ha studiato
a La Flèche, gli ha lasciato solo nausea); 2) che una cosmologia
meccanicistica (in cui tutto il mondo corporeo è ridotto a esten
sione e movimento locale) è già non solo esposta ne Le Monde
scritto fra il 1630 e il 1633, ma contenuta nelle Regulae (1627-28),
già nelle quali il corpo è ridotto a estensione (A.T., X, p. 442) e
il mutamento a moto locale (A.T., X, p. 426).
Sicché quando Cartesio, in una lettera al P. Gibieuf del 1629,
accenna ad un « piccolo trattato » che ritiene di poter finire in due
o tre anni (A.T., I, p. 17) e che diventerà poi le Meditazioni, la sua
concezione cosmologica è già formata. Il « piccolo trattato » dové
poi esser lasciato in disparte per lasciar posto a quegli studi scientifici
i cui risultati furono esposti nei Saggi del 1637.
Il Discorso premesso a questi saggi contiene, nella quarta parte,
la metafisica di Cartesio, ma questa fu esposta più diffusamente nelle
Meditazioni. E qui occorre tener presenti due lettere a Mersenne,
una del 15 aprile 1630 e una del 28 gennaio 1641. In quella del
1630, a proposito di una questione di « teologia » che Mersenne
aveva posto a Cartesio (dopo molte questioni scientifiche), Cartesio
dice che, poiché non si tratta di ciò che, nella teologia, dipende dal
la rivelazione, il problema è « piuttosto metafisico » e deve essere
esaminato dalla ragione umana.
Ora penso - continua Cartesio - che tutti coloro ai quali Dio
ha dato l'uso di questa ragione sono obbligati ad adoperarla in pri
mo luogo per cercar di conoscerlo e di conoscere se stessi. Di qui
13
Debbo avvertire che questa è una interpretazione della filosofia cartesiana, fra
le tante che si sono date; debbo però aggiungere che la presento non per un ghiribizzo,
ma perché mi sembra quella suggerita dai testi. Lo stesso Gilson - che pure nelle
Etudes citate ritiene che la tesi della distinzione fra anima e corpo preceda in Cartesio
la critica delle forme sostanziali e condizioni questa critica - ammette che il ri
chiamo (di L. Lévy-Bruhl) alla « parte capitale svolta dalla fisica nell'elaborazione del
sistema cartesiano » significa un vero e proprio « ritorno alla storia» ( etudes sur le role de
la pensée médiévale dans la formation du système cartésien, p. 282).
80 FILOSOFIA MODERNA
ho cercato di cominciare i miei studi; e vi dirò che non avrei mai sa
puto trovare i fondamenti della mia fisica se non li avessi cercati
per questa via» (A.T., I, p. 144). Vorrei osservare che il «di qui ho
cercato di cominciare i miei studi» non vuol dire: « ho cominciato
dalla metafisica», perché questo non è vero: i suoi studi - quelli
intrapresi autonomamente, non quelli fatti a La Flèche - sono co
minciati dalla scienza. Ma vuol dire: quando mi sono messo a stu
diare metafisica ho cominciato di qui, ossia dalla conoscenza di Dio
e di me stesso.
Ora la frase ha troppo sapore agostiniano (Deum et animam scire
cupio - Noverim me, noverim te) per non venire direttamente o in
direttamente da S. Agostino. Direttamente direi di no, poiché quan
do gli fu osservato che il cogito c'è già in S. Agostino, Cartesio ri
spose: « sono andato a leggerlo [non precisa l'opera, ma si capisce
che è il De Trinitate] oggi nella biblioteca di questa città [Leida],
e ho trovato davvero che egli se ne serve per provare la certezza del
nostro essere, e poi per far vedere che vi è in noi una immagine
della Trinità... » (Lettera a ignoto del nov. 1640; A.T., III, p. 247).
Dunque è dovuto andare in biblioteca per vedere se in S. Agostino
c'è il cogito. E allora i casi sono due: o mente - e conosceva già
S. Agostino - o dice la verità, e allora vuol dire che gli echi agosti
niani li ha sentiti intorno a sé. E li ha effettivamente sentiti intorno
a sé, poiché a quell'epoca c'è una forte reviviscenza agostiniana: in
particolare fra i Padri dell'Oratorio, fondato da quel Bérulle che
aveva esortato Cartesio a dedicarsi alla filosofia. Fra gli oratoriani
c'è anche il P. Gibieuf, corrispondente di Cartesio, del quale E. Gil
son ha messo in rilievo l'influsso su Cartesio per quel che riguarda
la dottrina della libertà 14•
Cartesio dice di aver trovato nella metafisica i fondamenti della
sua fisica, e altrettanto ripete nella lettera del 28 gennaio 1641:
« ... vi dirò, tra noi, che queste sei Meditazioni contengono tutti i
fondamenti della mia fisica ». E aggiunge: « Ma non bisogna dirlo,
per favore; poiché coloro che sono favorevoli ad Aristotele fareb
bero forse più difficoltà ad approvarle; e spero che coloro che le
leggeranno, si abitueranno insensibilmente ai mei principi e ne ri
conosceranno la verità, prima di accorgersi che distruggono quelli di
Aristotele>> (A.T., III, p. 298).
1
• E. GILSON, La liberté chez Descartes et la théologie.
CARTESIO 81
,s Si veda ad es. questo passo di S. AGOSTINO, Contra Acad., III, XI, 26: « Quid
quid enim contra sensus ab eis [Academicis] disputatur, non contra omnes philosophos
valer. Sunt enim qui ista omnia, quae corporis sensu accipit animus, opinionem posse
gignere confitentur, scientiam vero negant. Quam tamen volunt intelligentia contineri,
remotamque a sensibus in merte vivere. Et forte in eorum numero est sapiens ille
quem quaerimus ».
CARTESIO 83
7. Il dubbio
un'espressione che compare già almeno tre volte nella Regola VIII,
dove si tratta di « esaminare tutte le verità alle quali possa giungere
la conoscenza umana» (A.T., X, p. 396). C'è dunque un momento
nella vita di un uomo in cui egli si deve domandare: quali sono i
motivi per cui sono convinto di quello che accetto? Perché lo ri
tengo vero 18 ?
Il dubbio consiste dunque in fondo nello spogliarsi dei pregiu
dizi, come dice Cartesio nella Synopsis (A.T., VII, p. 12, riga 6)
e non esprime un atteggiamento dell'uomo Cartesio, ma del filosofo
in quanto tale. Cartesio non vuol dire che l'uomo filosofante debba
buttar via tutte le sue persuasioni, ma che non deve adoperare nell3:
costruzione del sapere ciò che non ha controllato (quindi non ha
passato al vaglio del dubbio). Si tratta dunque di una (provvisoria)
eliminazione dall'edificio del sapere, non dall'animo umano. Si dirà
forse che questa è una interpretazione del dubbio cartesiano alla
luce dell'epoché di Husserl. Può darsi. Ma a me sembra giustificata
dalla netta contrapposizione che, nella seconda e nella terza parte
del Discorso, Cartesio stabilisce tra l'atteggiamento teoretico e l'at
teggiamento pratico: il dubbio sulle opinioni non controllate non
deve portare a nessuna azione pratica, dice Cartesio nella II parte
(A.T., VI, pp. 13-15), e nella III parte indica addirittura le massi
me da seguire mentre si ricostruisce l'edificio del sapere.
Se il dubbio cartesiano non è un dubbio vissuto, ma un controllo
dei motivi che abbiamo per affermare quello che riteniamo vero, si
capisce che esso debba essere universale - cioè estendersi a tutte
le conoscenze - pur essendo metodico.
Non si può negare tuttavia che il dubbio abbia in Cartesio an-
mente, che poco più avanti (A.T., VII, p. 22 riga 24) sarà chiamato
genio maligno, il dubbio si estende a tutte le proposizioni, anche al
le proposizioni matematiche.
Anche sull'ipotesi del genio maligno, come su ogni frase di Car
tesio, si è molto discusso. È un'ipotesi giustificata da quella
teoria che abbiamo ricordata sulla libertà divina o è una pura fin
zione per estendere il dubbio ad ogni proposizione? Per la prima
interpretazione sta H. Gouhier 19 - che distingue il concetto di un
Dio onnipotente e ingannatore da quello di genio maligno -,
per la seconda sta M. Guéroult �, e anche chi scrive.
E perché poi Cartesio vuole estendere il dubbio a tutte le pro
posizioni?
Risponderei: perché vuole ricostruire dalle fondamenta l'edificio
del sapere, e quindi non vuole che restino ruderi, per dir cosl. An
zi Cartesio consiglia di fingere che tutto ciò che abbiamo ammesso
prima di iniziare la riflessione :filosofica sia falso, per far da contrap
peso alla forza della consuetudine che ci porterebbe ad ammetterlo
tutto per vero.
stino. E Gilson 21 ricorda che, prima ancora della stampa delle Me
ditazioni, gli amici ai quali Cartesio aveva fatto leggere il manoscrit
to gli avevano fatto rilevare la somiglianza fra il suo cogito e quello
agostiniano. A questa osservazione Cartesio risponde, in una lette
ra a Mersenne, che S. Agostino non si serve del cogito nel medesimo
modo in cui se ne serve lui: S. Agostino se ne serve per provare
la certezza della nostra esistenza e per indicare in noi una immagine
della Trinità; « io invece me ne servo, dice Cartesio, per far cono
scere che quell'io che pensa è una sostanza immateriale e che non
ha nulla di corporeo. E son due cose molto diverse. Del resto è una
cosa cosl semplice e cosi naturale inferire che si esiste dal fatto che
si dubita, che sarebbe potuta cadere sotto la penna di chiunque; ma
sono ben contento di essermi incontrato con S. Agostino, non fos
s'altro che per chiudere la bocca alle menti piccine che hanno cer
cato di trovar da ridire su questo principio» (A.T., III, pp. 247-
48 ). Risposta analoga dà Cartesio ad Arnauld, nelle Risposte alle
quarte Obiezioni, anche se in modo tanto poco gentile quanto eva
sivo, osserva Gilson (Etudes, p. 193).
Cosa dobbiamo pensare dei rapporti fra cogito cartesiano e
cogito agostiniano?
Innanzi tutto non credo sbagliato ( anche se è detto da lui in
modo presuntuoso) quello che osserva Cartesio: e cioè che la verità,
e specialmente la verità immediatamente evidente, è accessibile a
tutti. Poi, Cartesio, anche se non aveva letto S. Agostino, conosce
va degli agostiniani e poteva benissimo aver sentito parlare da lo
ro di questa verità che Agostino mette a fondamento della sua :filo
sofia. Quanto alla differenza del contesto, della funzione che attribui
scono al cogito S. Agostino e Cartesio, sarei d'accordo con Pascal
- il capostipite di tutti gli interpreti che sottolineano le differenze
fra cogito agostiniano e cogito cartesiano, come Arnauld è il capo
stipite di tutti coloro che ne rilevano la somiglianza o l'identità -.
Pascal dice che il cogito cartesiano e la conseguente distinzione di
sostanza materiale e sostanza spirituale sono per Cartesio il princi
pio di tutta la fisica e che, in questo, sono una novità rispetto a quello
di S. Agostino 22• Io non direi, come dice Pascal, che S. Agostino
21
Nel capitolo « Le cogito et la tradition augustinienne » delle J:.tudes sur le
r6le de la pensée médiévale dans la formation du systéme cartésien, pp. 191-201.
22 De l'esprit géométrique, in Pensées et Opuscules, ed. Brunschvicg minor, Paris,
Hachette, pp. 192-93.
88 FILOSOFIA MODERNA
Ora si tratta di vedere che cosa sono: quisnam sim ego ille qui
necessario sum (A.T., VII, p. 25). Che cosa sono certo di essere?
Di che cosa, in me, non posso dubitare?
Posso dubitare di avere mani e braccia, posso dubitare di nu
trirmi, di camminare; posso dubitare anche di sentire: « Anche il
sentire infatti non si compie senza un corpo e talora mi è parso,
nel sogno, di sentire tante cose che poi mi accorsi di non aver sen
tito» (A.T., VII, p. 27). L'unica cosa che non posso dubitare di
essere è il pensiero: « questo solo non può essermi strappato» sen
za che io cessi di esistere. Sono dunque una cosa pensante (ibid. ).
« E cosa vuol dire cosa pensante? Vuol dire una cosa che dubita,
intende, afferma, nega, vuole, non vuole, immagina anche, e sente»
(ibid .. p. 28). E qui Cartesio distingue quello che aveva messo in
sieme nella frase citata sopra: distingue cioè il carattere dubbio del
sentito dall'evidenza dell'atto di sentire: anche se ciò che sento non
esiste, è pur vero che mi par di vedere, udire, sentir caldo. Ma in
questo senso il sentire si riduce al pensare: « nihil aliud est quam
cogitare » (p. 29).
Quello che so con certezza di me è dunque solo di essere una
cosa pensante; ma sono soltanto una cosa pensante?
Cartesio aveva detto poco prima: « Forse le cose che suppongo
non efistano, perché mi sono ignote [ossia: i corpi, la cui esistenza
non è evidente], in realtà si identificano con quell'io che conosco»
(A.T., VII, p. 27). Cioè: forse io so soltanto di essere pensiero,
ma il pensiero o la res cogitans è qualcosa di corporeo. Locke si
chiederà: come posso stabilire che la materia non può pensare?
Ma Cartesio risolve il problema nella sesta Meditazione, dove dice:
« Poiché le cose che concepisco chiaramente e distintamente pos
sono essere create da Dio così come io le concepisco, basta che io
possa concepire chiaramente e distintamente una cosa senza l'altra
perché io sia certo che l'una è diversa dall'altra ... E perciò, per il
fatto stesso che so di esistere, e mi rendo conto che alla mia natura
o essenza non appartiene niente altro che l'esser pensante, retta
mente concludo che la mia essenza consiste solo nell'essere una cosa
pensante» (A.T., VII, p. 78). Arnauld, nelle Quarte Obiezioni,
esprime questo ragionamento (o meglio la minore di questo ragio
namento cartesiano) così: « Ora, poiché ho un'idea chiara e distinta
90 FILOSOFIA MODERNA
1 O. Il criterio di verità
Nella terza Meditazione, prima di procedere ad indagare se esi
stano altre realtà, oltre a me come soggetto pensante, Cartesio si
domanda perché è certo di essere una cosa pensante. E risponde:
CARTESIO 91
Non c'è dunque che una via per uscire da questo ondeggiamen
to: esaminare se esiste Dio e se può essere ingannatore.
E qui si presenta l'obiezione di circolo vizioso (seconde Obb.;
A.T., VII, pp. 125-125); come si può esaminare se Dio esiste,
quando non si è ancora sicuri se ciò che è percepito chiaramente e
distintamente sia vero? Si suppone che ciò che è chiaro e distinto
sia vero per dimostrare l'esistenza di Dio, di quel Dio che deve
garantire che ciò che è chiaro e distinto è vero. Cartesio risponde
(A.T., VII, p. 140): Dio mi garantisce la verità delle conclusioni
quando non ho presenti (per difetto di memoria) tutti i passaggi
per arrivarvi, partendo dai principi immediatamente evidenti, ma
non c'è bisogno di invocare la garanzia divina quando si tratta di
verità immediatamente evidenti. Cosl dice anche nella Quinta Me
ditazione. La risposta, tuttavia, sembra una scappatoia, perché nel
la Terza Meditazione l'ondeggiamento fra l'ipotesi del Dio ingan
natore e l'impossibilità di dubitare di ciò che è evidente si riferisce
anche alle verità immediatamente evidenti. In realtà, l'ipotesi del
genio maligno o del Dio ingannatore è una :finzione introdotta per
spazzare via i ruderi del sapere tradizionale, ma alla quale Cartesio
non ha mai dato credito.
Vediamo ora come Cartesio dimostri l'esistenza di Dio.
Il punto di partenza non potrà essere che l'io con le sue cogi
tationes, poiché il resto non si sa ancora se esista. Ora c'è una pri
ma distinzione da fare tra le cogitationes: alcune mi rappresentano
qualche cosa, sono come immagini di cose, e queste le chiamo
idee, altre sono di altro tipo, e sono i giudizi, i sentimenti, le vo
lizioni (A.T., VII, p. 37) 23• Fra le idee alcune sono innate, come
le idee di cosa (res), di verità, di pensiero - nam ... haec non aliun
de habere videor quam ab ipsamet mea natura (A.T., VII, p. 38);
altre sono avventizie e finora ho pensato che mi venissero da cose
21
Hobbes, autore delle Terze Obiezioni, obietta a questo punto (6" ob. di Hob
bes): i soli modi cogitandi sono le immagini delle cose: noi non abbiamo coscienza se
non di cose, non del nostro volere, dei nostri sentimenti. Temere un leone vuol dire:
avere l'immagine di un leone e scappare (A.T., VII, p. 182). Cartesio risponde in
cinque righe: è evidente che (per se notum est) altro è vedere un leone, altro è te
merlo... (ibid., p. 182). Per se notum est: qui si tratta secondo Cartesio di vedere o
non vedere. Dice bene il Garin: « Se il dialogo con Mersenne non fu facile, quello
con Hobbes risultò impossibile» (La vita e le opere di Cartesio, p. CXLVIII).
CARTESIO 93
fuori di me; altre sono fatte da me, foggiate da me, come l'idea
delle Sirene e degli Ippogrifi.
Tutte le idee, poi, possono esser considerate o in quanto so
no « modi del pensiero » o in quanto mi rappresentano qualche
cosa. Cartesio, seguendo la terminologia scolastica, chiama realtà
formale quella delle idee come modi cogitandi e realtà oggettiva
quella delle idee in quanto rappresentano un oggetto 24• Ora, in
quanto modi cogitandi, le idee sono tutte della medesima stoffa,
per dir cosl: omnes a me eodem modo procedere videntur (A.T.,
VII, p. 40); nella loro realtà oggettiva, invece, sono molto diverse
fra loro: quelle che mi rappresentano sostanze hanno più « realtà
oggettiva » di quelle che mi rappresentano modificazioni; l'idea
di Dio ha più realtà oggettiva dell'idea di una sostanza finita. Ora
Cartesio applica alle idee un principio che ritiene evidente (lumine
naturali manifestum ), e cioè che la causa deve contenere in sé,
formaliter o eminenter, almeno tanta realtà quanta ne contiene l'ef
fetto, e argomenta così: la causa di un'idea deve contenere in sé
(formaliter o eminenter) almeno tanta realtà formale quanta è la
realtà oggettiva dell'idea. Ora io, che sono una sostanza pensante,
contengo eminenter in me tanta realtà quanta è quella che può
esser contenuta in tutte le cose delle quali ho idee - all'infuori
di una: l'idea di Dio. - Potrei quindi essere io stesso la causa
delle idee dei corpi, degli altri uomini, degli angeli; ma non posso
essere io la causa dell'idea di Dio che è l'idea di una sostanza in
finita, mentre io sono finito. Dunque deve esistere una sostanza
infinita sommamente intelligente e potente, come causa dell'idea
che ne ho (A.T., VII, pp. 40-45).
2
• Noi chiameremmo realtà ontologica quella che Cartesio chiama realtà formale e
aspetto intenzionale quella che Cartesio chiama realtà oggettiva. Si badi: realtà onto
logica di un'idea è la realtà o l'essere che le compete in quanto idea, cioè la sua realtà
psichica: la realtà ontologica o psichica di un'idea è appunto quella di essere un modo
del pensiero. Se la « realtà formale» di un'idea è quella di essere un modus cogitandi,
la sua « realtà oggettiva» è quella di essere un cogitatum. In termini husserliani si di
rebbe la « realtà formale» di un'idea è la noesi, la « realtà oggettiva ►► è il noema. Ma,
per evitare un fraintendimento, dobbiamo ricordare che nella terminologia scolastica
formaliter si contrappone non solo a obiective, ma anche a eminenter. O piuttosto; il
formaliter in senso ampio (in quanto contrapposto a obiective) si suddivide in forma
/iter in senso stretto e eminenter. Forma/iter in senso stretto equivale a « in questa precisa
forma di realtà», eminenter equivale a « contenente in sé questa realtà, ma non sotto
questa precisa forma». Per fare un esempio grossolano si potrebbe dire che un'automobile
contiene eminenter la forza di un cavallo.
94 FILOSOFIA MODERNA
causa di un mio modo di essere, ma com� presente a me che conosco, come intenzio
nalmente presente. Si potrebbe obiettare: e quando penso l'ippogrifo? - Non ci sarà
l'ippogrifo, ma ci sono cavalli e uccelli. Non ci sarà la macchina ingegnosa, di cui parla
Cartesio, ma ci saranno pezzi vari, strumenti più semplici, combinando i quali si può
produrla. - E Dio? Se davvero ne avessimo l'idea, ne sarebbe con ciò provata l'esi
stenza. Ma abbiamo noi l'idea di Dio prima di averne di.mostrata l'esistenza partendo
da ciò di cui abbiamo esperienza? Qui sta il problema, come vedremo anche a propo
sito della quinta Meditazione.
CARTESIO 97
29 Ora va notato che S. To=aso nella seconda via aveva parlato di ordine si,
ma non di successione di cause efficienti; e non aveva parlato di successione perché
secondo lui la ragione umana non può dimostrare che ci sia un inizio nella successione;
.la ragione umana può ammettere una successione infinita (la creazione ab aeterno). E,
certo, per S. To=aso Dio non è il primo di una serie di cause, ma è l'altro, l'incau
sato. Garin dice: « Ma l'antitesi delle due posizioni [scolastica e cartesiana] si manifesta
in forma esplosiva a proposito della dimostrazione dell'esistenza di Dio, quando, di
fronte all'argomentazione aristotelico-tomistica dell'impossibilità del processo all'in
finito, Cartesio risponde dichiarando che proprio questa è la condizione dell'intelligen
za umana nel mondo: di muoversi in una successione indefinita senza raggiungere mai
la totalità. A Dio, all'Essere, si può giungere solo attraverso una sorta di salto qua
litativo, al di là del piano fisico e matematico, dove, anzi, l'indefinito è l'esperienzà
costante dell'uomo» (Vita e opere di C., p. CXLII). Dio è infatti al di là del piano
fisico e matematico anche per S. To=aso; anzi, direi, ancor più per S. Tommaso che
per Cartesio, il quale fa dipendere le leggi del moto dall'immutabilità divina.
98 FILOSOFIA MODERNA
la ricerca, stabilisca che vi è una causa prima» (A.T., VII, p. 107) 30•
Altre osservazioni di Catero sarebbero interessanti, ma dobbia
mo tralasciarle per brevità. Ricordiamo solo che, nelle· risposte,
Cartesio riprende il nocciolo della sua (seconda) prova così: « di
ogni cosa ci si può domandare perché esiste» (A.T., VII, p. 108);
ora ciò che ha una potenza infinita esiste per sé. « Ognuno può
chiedere a se stesso se è da sé; e quando non trova in sé nessun po
tere di conservarsi nell'essere, neppure per un momento, ne con
clude rettamente che dipende da un altro; e da un altro che sia
da sé (a sè)... » (A.T., VII, p. 111). Qui sembra ci sia una intuizione
della propria contingenza.
« Ora resta da vedere come ho ricevuto da Dio questa idea
(l'idea di Dio)» (A.T., VII, p. 51). E Cartesio risponde: l'idea di
Dio è innata come è innata l'idea che ho di me stesso. « E invero
non è strano che Dio creandomi, abbia messo in me quell'idea, per
èhé fosse come il sigillo impresso dell'artefice nell'opera sua; né
si tratta di un sigillo diverso dall'opera stessa; ma, per il fatto stes
so che Dio mi ha creato, è comprensibile che (valde credibile est)
mi abbia fatto in certo modo a sua immagine e somiglianza, e che
quella somiglianza, in cui è contenuta l'idea di Dio, sia percepita
da me con la stessa facoltà con la quale percepisco me stesso. Cioè:
mentre rivolgo l'attenzione a me stesso (dum in meipsum mentis
aciem converto), vedo (intelligo) non solo di essere una cosa in
completa e dipendente da un altro, che tende indefinitamente a
qualcosa di più grande e di più perfetto; ma vedo insieme che la
realtà dalla quale dipendo ha in sé tutto ciò a cui tendo, e lo ha non
indefinitamente e in potenza soltanto, ma attualmente e infinita
mente (reipsa infinite, en effet actuellement et infiniment), e quindi
è Dio» (A.T., VII, p. 51).
È un passo, questo, che piaceva molto a Gratry 31 e non pos
siamo negare che abbia un certo pathos. Il che non induce neces
sariamente a ritenere che il problema religioso sia il problema cen
trale di Cartesio, ma fa pensare che, fra l'interpretazione della re
ligione di Cartesio come religione puramente sociologica (alla qua-
30 Anche qui osserviamo che un tale ragionamento non ha nulla a che fare con
quello della seconda via.
31 De la connaissance de Dieu, (1853). Cito dall'll• ed. Paris, Téqui, 1922, tome
I, p. 287.
CARTESIO 99
13. L'errore
" Disse di voler mantenere la religione del suo re e della sua balia: ·
100 FILOSOFIA MODERNA
:u Si noti dunque che affermare o negare sono sempre, per Cartesio, atti di vo
lontà, atti liberi.
CARTESIO 101
far vedere che la libertà non è indifferenza Cartesio dice: per esem
pio, quando vidi che dal mio pensare seguiva evidentemente il mio
esistere, « non potei non giudicare [ non potei non vuol dire neces
sariamente giudicai] che ciò che vedevo chiaramente era vero, e
ciò non perché vi fossi costretto da una forza esterna, ma perché
da una gran luce nell'intelletto segui una gran propensione nella
volontà, e perciò tanto più spontaneamente e liberamente diedi
l'assenso (credidi) quanto meno fui indifferente a darlo » (A.T.,
VII, pp. 58-59). Dove si vede che la libertà è per Cartesio solo as
senza di coazione, non assenza di necessità. Si noti poi che per Car
tesio indifferenza equivale ad esitazione 34•
Ma, comunque la concepisca, Cartesio è sicuro della libertà. A
Hobbes, infatti, che nella 12a obiezione gli rimprovera di non
aver dimostrato la libertà di arbitrio, ma di averla solo supposta,
Cartesio risponde: Non ho supposto nulla più di ciò che tutti spe
rimentiamo in noi stessi e che è notissimo lumine naturali: la dif
ficoltà (Hobbes aveva citato i calvinisti, che negano la libertà) sa
rà quella di vedere come la libertà si concilii con la preordinazione
divina, ma non c'è nessuno che non abbia esperienza della libertà
(A.T., VII, p. 191).
La libertà di Dio è però molto diversa dalla nostra: la nostra
è in certo modo infinita, ma la libertà di Dio è assolutamente in
finita, non è limitata neppure dal pur infinito ambito del pensiero
divino: « non si può fingere nessun bene, nessuna verità, nessun
dovere di fare o di credere la cui idea sia presente nell'intelletto
divino prima che la sua volontà lo abbia determinato ad essere ta
le ... Per esempio, Dio non volle creare il mondo nel tempo perché
vide che era meglio cosi, che non se fosse creato ab aetemo; né vol
le che i tre angoli del triangolo fossero uguali a due retti perché
� Da notare che Mersenne (Seconde obb.) aveva già proposto la formulazione leibni
ziana dell'argomento « se non è contraddittorio che Dio esista, Dio esiste; ma non è
contraddittorio che Dio esista», ergo (A.T., VII, p. 127) - presentandola anzi come
già corrente (alii bisce verbis afferunt) -, ma aggiunge: il difficile è provare la minore:
sed de minori laboratur.
Dieter HENRICH, Der ontologische Gottesbeweis, Tiibingen, J.C.B. Mohr, 1960 (2•
ed. 1967) fa una lunga e acuta analisi della prova cartesiana. La caratteristica di questa
prova, nei confronti di quella del Proslogzon di S. Anselmo, è quella di far leva sul
concetto di ente necessario, anziché di ente perfettissimo. � vero che Cartesio parte an
che dal concetto di perfettissimo, ma quando deve difendere il suo argomento contro Ca
tero osserva, dice Henrich, che l'idea di perfettissimo potrebbe anche essere una no
stra finzione, potrebbe essere il frutto di « una combinazione e di una intensificazione
di perfezioni che in natura si trovano solo separate e in grado minore» (p. 14). Bisogna
dunque dimostrare che l'idea dell'ente perfettissimo è una « vera idea », chiara e di
stinta. Per dimostrar questo Cartesio parte dall'idea di una sola perfezione, quella della
potenza infinita, e afferma che ad una immensa potestas deve almeno competere l'esi
stenza possibile. « Deinde, quia cogitare non possumus eius existentiam esse possibilem,
quin simul etiam, ad immensam eius potentiam attendentes, agnoscamus illud propria
sua vi posse existere, hinc concludemus ipsum revera existere, atque ab aeterno extitisse»
(A.T., VII, p. 119).
Ora io mi chiedo se questa sia proprio una seconda prova rispetto a quella ansel
miana, come dice Henrich. Il problema è: come posso affermare che enti summe po
tenti, all'ente sommamente potente, compete almeno l'esistenza possibile; come si può
affermare che dell'ente sommamente potente abbiamo una idea distinta - cosi come
per Gaunilone il problema era: come posso dire di avere l'idea dell'ente di cui non si
può pensare il maggio1-e -. Il salto è dalla nozione di realtà finite, che possono sem
pre avere sopra di sé qualcosa di più grande, all'infinito, al summe. Si può discutere
- e si discuterà sempre, credo - se noi abbiamo o non abbiamo l'idea dell'infinito
(lo si chiami summe potens o ens quo maius cogitari nequit); ma è questo il punto,
sia per S. Anselmo come per Cartesio. Non credo, quindi, come dice Henrich, che le
obiezioni che valgono contro la prova anselmiana non valgano contro quella car
tesiana.
CARTESIO 105
non dipendono dal mio arbitrio, come non a torto ritenevo che mi
appartenesse più di ogni altro quel corpo che chiamavo mio. Infatti
non posso separarmene (ossia: la sua immagine mi accompagna
311
Osservazione critica: che l'immaginazione sia diversa dal pensiero è un rilievo
fenomenologico; che essa non appartenga alla mia essenza non è un dato, ma è la con
seguenza dell'aver ammesso che io sono soltanto una cosa pensante; è una conseguenza
della separazione radicale di mondo corporeo e mondo spirituale, di res extensa e res
cogitans. Il mondo corporeo - questa bella d'erbe famiglia e d'animali - è ridotto
a una macchina, - il mondo umano è... angelicato.
39
Si noti: le idee, che per Cartesio sono l'unico oggetto immediatamente per
cepito.
CARTESIO 107
"' Parlammo già di questo punto esponendo le cbiezioni di Arnauld alla seconda
Meditazione.
108 FILOSOFIA MODERNA
ci fa conoscere gli aspetti per cui i corpi ci possono essere utili o no
civi. Le idee delle qualità sensibili non hanno dunque un corrispon
dente nella realtà corporea, ma sono soltanto modi cogitandi.
Qui però si presenta un'obiezione. Se le percezioni sensibili han
no una funzione pratica, come mai talora la assolvono cosl male?
Perché fanno sentir sete all'idropico, fanno sentir dolce il veleno,
fanno sentir male all'arto mutilato?
Nella risposta di Cartesio si vede chiaro il suo rifiuto di ogni
concezione unitaria e finalistica dell'organismo umano. La sua tesi
è invece che il corpo umano è una macchina: se c'è in esso qualcosa
di spostato, gli ingranaggi seguono le leggi della loro natura, come
succede in un orologio in cui ci sia una rotella fuori posto e che, in
conseguenza, segna le ore sbagliate. La risposta cartesiana, insomma,
è questa: i meccanismi che producono le sensazioni hanno un effetto
favorevole nella maggior parte dei casi, e cioè quando l'organismo
è integro; se un pezzo del corpo umano non funziona, gli altri seguo
no le leggi della loro natura, e si capisce che il risultato non sia
uguale a quello che ha luogo nel corpo integro. Un corpo malato e un
corpo sano funzionano ugualmente bene, se si ha riguardo solo alle
leggi della loro natura; solo in rapporto all'uomo come composto
di spirito e di corpo, il corpo può esser detto malato, mal funzionan
te perché, per esempio, come nel caso dell'idropico, dà all'anima il
segnale « sete » che induce la volontà dell'uomo a bere, mentre, in
quel caso, il segnale « sete » non dovrebbe esser ascoltato dalla vo
lontà. Ma cosa vorreste, chiede Cartesio? Forse che ogni corpo, ol
tre che seguire le leggi meccaniche, desse anche un segnale di « pe
ricolo » per l'anima in casi eccezionali? Se così fosse, il corpo uma
no non sarebbe più una macchina, come invece è, ma diventerebbe
esso stesso una res cogitans. Che dunque il corpo sia tale da fun
zionare in modo favorevole all'uomo nella maggior parte dei casi è
la soluzione migliore: « nihil in hac re melius passe excogitari »
(A.T., VII, p. 87 ).
Nello spiegare in particolare come mai un mutilato senta dolore
nell'arto che gli manca, Cartesio accenna alla sua teoria sull'unione
fra l'anima e il corpo, ma di questa diremo qualcosa parlando del
Trattato delle passioni.
CARTESIO 109
rea e lo spirito (substantia cogitans creata) sono res quae solo Dei
concursu egent ad existendum. Fa poi una osservazione interessante:
« ma, per sapere se una sostanza esiste, non ci basta questo concetto,
perché il suo essere indipendente non lo possiamo intuire (quia hoc
solum per se nos non afficit - car celà seul ne nous découvre rien
qui excite quelque connaissance particulière en notre pensée); rico
nosciamo invece facilmente una sostanza da un qualunque suo attri
buto, in base al principio che il nulla non ha attributi ... » 41• Cartesio
ha detto che l'esistenza di una sostanza si inferisce da qualsiasi at
tributo, ma aggiunge (§ 53) che vi _è una proprietà fondamentale
- alla quale egli riserva il nome di attributo - che costituisce la
natura e l'essenza di una sostanza, e questo è per i corpi l'estensione,
per le sostanze spirituali il pensiero. Avendo detto che l'attributo co
stituisce l'essenza di una sostanza, egli lo ha già identificato con la so
stanza stessa, ma ribadisce questa identificazione affermando che fra
sòstanza e attributo c'è solo una distinzione di ragione(§ 62) e che il
pensiero è la stessa sostanza pensante e l'estensione è la stessa so
stanza estesa. Galileo aveva detto « Il tentar l'essenza l'ho per im
presa... impossibile ... » e aveva affermato che ci si doveva limitare
a cogliere « alcune affezioni »; Cartesio invece afferma che una di
quelle che Galileo chiamava affezioni - l'estensione -·- costituisce
l'essenza dei corpi, e di qui tenta di dedurre tutte le loro proprietà.
Cartesio fa non solo una :fisica come scienza, ma una :filosofia della
natura, poiché si propone di stabilire qual è il costitutivo fonda
mentale della corporeità, e, facendo questo, si oppone non solo a
determinate teorie della :fisica aristotelica(a quelle che noi oggi chia
meremmo scientifiche) come la teoria sul moto dei gravi, dei proietti,
dei corpi celesti ecc., ma anche alla teoria-base, alla teoria (filosofi
ca) che caratterizza la concezione aristotelica del mondo corporeo:
la teoria ilemor:fica (della materia e della forma). Secondo la teoria
della materia e della forma non c'è una eterogeneità radicale fra
mondo corporeo e mondo spirituale(e specialmente mondo umano),
poiché in ogni ente c'è un principio di unità, di determinazione, di
" Si vede dunque che per Cartesio pensare vuol dire intuire, non solo nel senso
ampio di aver presente (savoir se réduit à voir), ma anche nel senso di aver presente
un singolare; se infatti si concepisce la sostanza solo come ciò che è in sé, indipendente
mente da altro, non se ne ha una vera e propria apprensione (hoc solum per se nos
non alficit) : bisogna coglierne un attributo che ci impressioni ( afficiat) per sapere che
una sostanza esiste.
CARTESIO lll
•
2
« ... cum (nonnulli) substantiam ab extensione... distinguunt, vel nihil per nornen
substantiae intelligunt, vel confusam tantum substantiae incorporeae ideam habent, quam
falso tribuunt corporae... » (Princ. II, 9).
43
La filosofia di Descartes.
112 FILOSOFIA MODERNA
18. Il moto
20. L'uomo
41
La traduzione italiana di questi scritti si trova in RENÉ DESCARTES, Opere
scientifiche, a cura di Gianni Micheli, vol. I. La biologia, Torino, U.T .E.T., 1966.
49 Si veda lo studio del GILSON, Descartes, Harvey et la Scolastique nelle Etudes
sur le r�le de la pensée médiévale etc. citate, pp. 51-100.
CARTESIO 117
che in noi è opposto alla ragione viene dal corpo; perciò quando
parliamo di lotta in noi fra un impulso sensitivo e la volontà razio
nale si tratta solo di questo: « la piccola ghiandola che è in mezzo
al cervello può essere spinta (poussée) da una parte dall'anima e
dall'altra dagli spiriti animali, che non sono altro che corpi... e ac
cade spesso che queste due spinte siano contrarie» (art. 47). Altro
durus sermo: l'anima, assolutamente incorporea, che spinge la
ghiandola pineale! Nella conoscenza dei corpi il moto degli spiriti
urta l'anima; nelle passioni l'anima spinge la ghiandola pineale:
azioni puramente meccaniche a un certo momento danno luogo alla
coscienza che, secondo Cartesio, è un fatto assolutamente incorporeo.
21. Le passioni
rando « le ragioni, gli oggetti e gli esempi che persuadono che il peri
colo non è grande; che vi è sempre più sicurezza a difendersi che a
fuggire; che avremo gloria e gioia dall'aver vinto», si può combattere
la paura e suscitare in sé un certo coraggio (art. 45). Le « armi del
l'anima », o la forza d'animo, sono i « giudizi fermi e determinati»
su ciò che è bene e male, giudizi sui quali l'aninia può decidere di con
durre le azioni (art. 48). Con questi si può reagire alla forza delle
passioni.
Alla teoria generale delle passioni segue una descrizione delle va
rie passioni. Respinta la distinzione scolastica in concupiscibile e ira
scibile - in nome della semplicità dell'anima - Cartesio distingue
sei passioni originarie, dalle quali dipendono le altre: ammirazione,
amore, odio, desiderio, gioia e tristezza (art. 69). Tutte le passioni
sono reazioni dell'anima a ciò che giova o nuoce (art. 52); ma, prima
ancora di queste reazioni, Cartesio mette l'ammirazione, suscitata da
ciò che è nuovo o inconsueto negli oggetti (art. 53). È una passione
che ha per oggetto la conoscenza, quindi i suoi moti restano nel cer
vello (art. 71). L'ammirazione suscita il desiderio di conoscere, rin
forza l'attenzione, è madre del sapere (art. 75), ma anch'essa va mo
derata, perché potrebbe portarci a voler conoscere anche ciò che non
ne vale la pena (art. 76).
Non possiamo fermarci sulla fenomenologia delle altre passioni
fondamentali, delle quali Cartesio fa anche la fisiologia: cause ed ef
fetti di esse nel corpo (artt. 96-136).
Le passioni sarebbero sufficienti a regolare la nostra vita se fos
simo puri animali (ossia puri corpi, per Cartesio); ma in noi la parte
migliore è l'anima (art. 139): di qui la necessità di giudicare con la
ragione in base a un determinato concetto dell'uomo, il valore degli
oggetti ai quali ci porta la passione.
sio nella terza parte del Discorso sul metodo enuncia le massime della
morale provvisoria.
« La prima era di obbedire alle leggi e ai costumi del mio paese
e di ritenere costantemente la religione nella quale Dio mi ha fatto
la grazia di essere istruito dalla mia infanzia, governandomi, in tutto
il resto secondo le opinioni più moderate... » (A.T., VI, pp. 22-23).
« La seconda era di essere il più possibile fermo e risoluto nelle mie
azioni, .. » (A.T., VI, p. 24). E qui viene il paragone dell'uomo che
si è perduto in un bosco e cerca di uscirne: quando prende una
direzione, deve andare avanti per quella e non andare a zig-zag; in
fatti, anche se avesse preso una direzione che gli fa compiere un
cammino più lungo, farà sempre, andando dritto, una strada più
breve che non cambiando direzione ogni momento.« La terza massi
ma era di cercar di vincere piuttosto me stesso che la fortuna e di
cambiare i miei desideri piuttosto che l'ordine del mondo » (A.T.,
VI, p. 25). I primi infatti (i desideri) sono in nostro potere, l'ordine
del mondo no. Fare, insomma, di necessità virtù (A.T., VI, p. 26 ).
Cartesio ammette che ci vuole un lungo esercizio e una ripetuta
meditazione per mettere in pratica questa terza massima « e credo
che in questo consistesse principalmente il segreto di quei filosofi
che riuscirono nei tempi antichi a sottrarsi al dominio della fortuna
e, nonostante i dolori e la povertà, potevano discutere sulla felicità
coi loro dèi » (A.T., VI, p. 26). Cartesio allude agli Stoici .il. Il pro
posito personale di Cartesio « a conclusione di questa morale » è di
dedicare tutta la sua vita alla ricerca della verità.
Alla morale provvisoria sarebbe dovuta succedere una morale
scientifica, ma la trattazione scientifica della morale non venne mai,
anche se il trattato sulle Passioni ci offre molte riflessioni morali 51
50 Per le differenze fra l'etica cartesiana e l'etica stoica si veda il bel volume, pic
colo di mole, ma prezioso di G. Roms LEWIS, La morale de Descartes, Paris, P.U.F.,
1957. Si veda anche il volume di L. VERGA, La morale di Cartesio, Milano, C.E.L.U.C.,
1973. C'era a quell'epoca una reviviscenza di stoicismo. Gilson, nel suo Commentaire al
Discorso, cita molti testi stoici antichi e la Manuductio ad stoicorum pbilosophiam di
Giusto LIPSIO (1547-1606). Ricordiamo anche G. Du VAIR, De la sainte pbilosopbie et
Pbilosopbie morale des sto'iques (ce n'è una edizione moderna presso Vrin, Parigi,
1946). A proposito della discussione con gli dei, Gilson (Commentaire, p. 252) cita
questa frase di Seneca: « Deus non vincit sapientem felicitate, etiamsi vincat aetate »
(Epist. 83). Cartesio cita molto spesso Seneca nelle lettere e lo conosceva direttamente.
51 Non direi però <t un très important morceau » della morale scientifica, come di
ce P. MESNARD, Essai sur la morale de Descartes, Paris, Boivin, 1936, p. 30, perché le
riflessioni morali non ci si presentano fondate dalla metafisica cartesiana, ma piuttosto
da una fenomenologia della vita morale e da persuasioni morali dell'uomo Cartesio.
CARTESIO 121
52 Oltre che in A.T. e nella nuova edizione della Correspondance le lettere che ri
guardano la morale sono raccolte in un volume a cura di J. Chevalier: DESCARTES,
Lettres sur la morale, Paris, Hatier - Boivin, 1935.
" Op. cit., p. 36.
122 FILOSOFIA MODERNA
" Cartesio non è il primo a sostenere questa tesi conciliatorista: l'aveva già so
stenuta Leonardo Bruni nell'Isagogicon moralis disciplinae, e forse altri.
CARTESIO 123
23. Conclusione
Cartesio è tale filosofo che ogni corrente di pensiero ha cercato
o di 2ccaparrarselo o di presentarlo come la personificazione dell'er
rore. Questi due atteggiamenti si trovano già nell'illuminismo fran
cese: accanto a coloro che, come Voltaire, lo giudicano un metafi
sico che vuol costruire il mondo a priori, anziché partire saggiamente
dall'esperienza, e gli preferiscono Locke in filosofia e Newton in fi.
sica, ci sono coloro che, come Diderot, Lamettrie, d'Alembert, uti
lizzano proprio l'aspetto sistematico di Cartesio per elaborare una
concezione meccanicistica e materialistica di tutta la realtà, tagliando
via quelli che appaiono loro come rami secchi e cioè quello che ri
guarda l'anima come res cogitans e Dio. Per questa interpretazione
s1 può vedere il libro di A. Vartanian, Diderot e Descartes 55• « Il
punto di partenza del presente studio, dice Vartanian, è l'assioma
(sic!) secondo cui la filosofia di Descartes, nonostante la metafisica
spiritualistica sulla quale si pretendeva fosse fondata, contiene i pri
mi germi del naturalismo moderno. A seconda che se ne accentuino
le caratteristiche esplicite o quelle implicite, il sistema cartesiano
può essere inteso come la fonte dell'idealismo di Malebranche, di
Berkeley, di Kant e del secolo decimonono, oppure come l'ispiratore
dell'illuminismo del secolo decimottavo» (p. 13 ). E quando dice
«illuminismo» Vartanian intende senz'altro illuminismo mate
rialistico. Bastava estendere la teoria cartesiana degli animali-mac
chine fino all'uomo e veniva fuori L'homme-machine di Lamettrie;
bastava estendere il meccanicismo cartesiano a tutta la realtà e ve
niva fuori il Systéme de la nature di d'Holbach.
Per gli idealisti Cartesio è invece solo il metafisico: colui che
mette il cogito a fondamento del sapere, il padre dell'idealismo mo
derno.
55 Traduzione italiana: Milano, Feltrinelli, 1956.
124 FILOSOFIA MODERNA
56
Btudes sur le role de la pensée médiévale, cit., p. 282.
57 Non è adatta a questa funzione se si concepisce il meccanicismo come una filo
sofia della natura, come una dottrina che pretenda di dire che cos'è l'essenza, il costi
tutivo ultimo del mondo corporeo. Può invece, una metafisica, anzi una filosofia della
natura di tipo aristotelico, convivere benissimo con una scienza in cui si parli solo de
gli aspetti misurabili del mondo corporeo, senza « tentar l'essenza �-
CAPITOLO QUARTO
INTORNO A CARTESIO
MERSENNE E GASSENDI
1. Mersenne
Colui che tenne le fila dei rapporti fra Cartesio e i dotti di
tutta Europa fu MARIN MERSENNE, (1588-1648) 1 che si era as
sunto come una missione il compito di mettersi in relazione coi
dotti dei diversi paesi e di metterli in rapporto fra loro. Baillet,
nella Vie de Monsieur Descartes cita queste parole di Carlo Dati.
discepolo di Galileo: « Gran trafficante fu il Mersenno, tenendo
commercio con tutti i litterati d'Europa... » 2• Molte sono le let
tere a lui dirette da Cartesio il quale, quando partl per l'Olanda,
gli affidò la sua corrispondenza. Fu Mersenne che raccolse, e forse
scrisse egli stesso le seconde Obiezioni alle Meditazioni di Cartesio,
sollecitò quelle di Hobbes (le terze), di Arnauld (le quarte) e di
Gassendi (le quinte), del quale era grande amico, e raccolse pure
le seste. Ma, almeno secondo il suo maggiore studioso, R. Leno
ble, Mersenne non fu « l'uomo di Cartesio » se con questo termine
si intende indicare non solo l'amico e il fac-totum, ma anche il
seguace delle dottrine.
Nato nel 1588 a Oizé, studiò anch'egli al Collegio de La Flèche
1
Lo studio più completo su Mersenne è quello di ROBERT LENOBLE, Mersenne ou
la naissance du mécanisme, Paris, Vrin, 1943, dal quale desumo le mie informazioni.
Il ricco epistolario di Mersenne, che offre un panorama sulla cultura dell'epoca, è pub
blicato a cura di Mm, P. TANNERY, CoRNELIS DE WAARJJ, Correspondance du P. Marin
Mersenne, Paris 1933.
2
Citato da LENOBLE, op. cit., p. 1.
126 FILOSOFIA MODERNA
dal 1604 al 1609, poi a Parigi e nel 1611 entrò nell'Ordine dei
Minimi, Ordine religioso assai severo, di cui Mersenne osservò
sempre la regola. Nel 1623 pubblicò le Quaestiones celeberrimae
in Genesim: 1900 colonne in folio, e si occupano solo dei primi
sei capitoli della Genesi, ma trattano in realtà di moltissimi argo
menti, come risulta dal sottotitolo: In hoc volumine Athei et Dei
stae impugnantur et expugnantur, et Vulgatae editio ab haere
ticorum calumniis vindicatur.
Mersenne vi polemizza contro Campanella, Pomponazzi, Para
celso, i cabalisti ( e fra questi mette anche Pico della Mirandola e
Agrippa di Nettelsheim), contro Fludd, che credeva nelle scienze
occulte. La base da cui parte la sua critica è ancora la filosofia tra
dizionale; suo bersaglio principale, anche ne L'impiété des deistes,
del 1624, il naturalismo del Rinascimento.
Ne La vérité des sciences contre les sceptiques ou pyrrhoniens
del 1625 si serve sopra tutto della scienza per la sua apologetica, e
il tipo di scienza rigorosamente certa è la matematica. Ormai, dice
Lenoble, per lui « la cause de la science et la cause de Dieu ne
font qu'un » (Lenoble, p. 32). Si capisce che egli, divulgatore più
che intelligenza creativa, raccolga nella Synopsis mathematica
1626 3 opere di antichi matematici, aggiungendovi osservazioni
proprie.
Nel 1627 assisté presso il Nunzio Apostolico a quella dispu
ta fra Cartesio e Chandoux che aveva richiamato l'attenzione di
Bérulle e fu anch'egli affascinato da Cartesio. Era del resto amico
di quei teologi, come Gibieuf, che offrivano a Cartesio il modo di
staccare la metafisica da Aristotele e dalla scolastica, ma era amico
anche di dotti di ortodossia assai sospetta, come Naudé e La Mothe
le Vayer e di un eretico come Hobbes, senza che questa apertura
incrinasse minimamente la sua fede, poiché era persuaso che la
scienza giova alla fede, chiunque sia colui che la professa. Ma so
pra tutto lo entusiasmano i creatori della nuova scienza: Galileo,
Torricelli, Huyghens. Di Galileo nel 1634 pubblicò per primo
le Meccaniche, ( Les Méchaniques de Galilée), che aveva avute
nel manoscritto, traducendole e aggiungendovi, come era solito,
sue osservaz1om.
3
Ristampata nel 1644 con aggiunte e col titolo Universae Geometriae mixtaeque
Mathematicae Synopsis.
MERSENNE E GASSENDI 127
2. Gassendi
L'atteggiamento di Mersenne, la sua scarsa fiducia nella meta
fisica, spiega la sua grande amicizia con PIERRE GASSENDI (1592-
1655), autore delle Quinte Obiezioni alle Meditazioni di Cartesio
e fiero avversario della metafisica spiritualistica di lui. Ironizzando
sull'affermazione cartesiana che l'uomo ha coscienza di sé solo co
me spirito (mens), che l'io è soltanto una sostanza pensante (sum
igitur praecise tantum res cogitans; A.T., VII, p. 27), si rivolge a
• Si pensi alla lettera cli Galileo a B. Vinta del 7 maggio 1610, nella quale, espo
nendo i vantaggi che l'opera sua avrebbe avuto per il Granduca di Toscana, dice: « Io
de i secreti particolari, tanto di utile quanto cli curiosità et admirazione, ne ho tanta
copia, che la sola troppa abbondanza mi nuoce ..., ma non possono... essere messe in
opera se non da principi, perché loro fanno e sostengono guerre, fabricano e difendono
fortezze ... » Opere, X, p. 351.
MERSENNE E GASSENDI 129
• E Gregory osserva (op. cit., p. 52) che Gassendi non combatte solo la meta
fisica aristotelica, ma anche la concezione platonico-magica cli Fludd, contro il quale
scrisse nel 1629 una Epistolica exercitatio in qua principia philosophiae Roberti Fluddi
medici deteguntur etc. e il platonismo cli Herbert di Cherbury, contro il quale scrisse:
Ad librum D. Herberti Angli De veritate Epistola. Anche gli avversari aveva comuni
con Mersenne.
7
Gassendi era un credente, era prete, era detto le doux pr�tre, talora il prete
santo.
MERSENNE E GASSENDI 131
LIBERTINI E GIANSENISTI
[LEONARDO VERGA]
' A. ARNAULD, De la nécessité de la foi en Jésus Christ pour etre sauvé, P. III, c.
XV, in Oeuvres de Messire Antoine Arnauld, Paris, 1777, t. X, p. 321.
' A. ADAM, Les libertins au XVII siècle, cit., p. 225.
LIBERTINI E GIANSENISTI 137
Uno dei fatti più rilevanti di cui prende coscienza il mondo oc
cidentale del secolo XVII è la pluralità di condizioni che l'esistenza
umana comporta. A più di un secolo dalla scoperta dell'America,
l'Europa possiede ormai un'abbondante letteratura sui popoli del
nuovo mondo: la loro situazione religiosa e morale, il loro grado
di sviluppo intellettuale e sociale hanno costituito l'oggetto delle
relazioni di viaggiatori e di missionari. Da tutte queste informa
zioni sembrava risultare una cosa: l'impossibilità di continuare
a concepire l'umanità come l'incarnazione di un archetipo univer
sale, giacché essa rivelava di constare di una serie non delimitabile
di condizioni, non riducibili l'una all'altra e tutte relative perché
determinate dai più diversi elementi che caratterizzano l'ambiente
in cui un popolo vive, dal clima ai cibi di cui si nutre. Si ha così
una sorprendente disparità di fedi religiose e di convinzioni morali,
di modi di condurre la vita individuale e collettiva.
Ciò significava la messa in crisi di quel tipo di uomo che l'occi
dente aveva presentato come il più completo, perché capace, in forza
dell'educazione, di portare a maturazione tutta la gamma dei valori
umani: « Sono ciechi e senza esperienza quelli che si immaginano
- scriveva GABRIEL DE FOIGNY - che l'Europa sia un paese pie
no, che non ha alcun bisogno dei suoi vicini... Non vi è alcun dubbio
che, se essa potesse comunicare con gli Australiani, sarebbe com
pletamente diversa da quella che ora è » 4• Ma quel tipo d'uomo
5
Si veda A. KoYRÉ, Dal mondo chiuso all'universo infinito, Milano 1970.
LIBERTINI E GIANSENISTI 139
di una cometa poteva ancora diffondere timori, non solo negli stra
ti più bassi della società, ma anche in quelli più elevati, quasi
fosse preannuncio di imminenti castighi divini 8• Una pratica
religiosa puramente esteriore era per molti motivo per dispensarsi
dalla riforma della vita, dando cosi al loro comportamento un ca
rattere di doppiezza.
Di fronte a una religione che, ben lungi dal valorizzare le risor
se spirituali che la natura aveva concesso all'uomo, le mortificava
e le corrompeva, appariva come moralmente superiore la posizione
dell'ateo che si voleva tale al fine di conservare alla propria uma
nità una certa autenticità e una certa sanità. LA MoTHE LE VAYER 9
cosi fa parlare Orasius Tubero, nel dialogo De la Divinité: « L'atei
smo - dice il cancelliere Bacone nei suoi Saggi morali in lingua
inglese - lascia all'uomo il buon senso, la filosofia, la pietà na
turale, le leggi, la reputazione e tutto quello che può servire di
guida alla virtù; la superstizione invece distrugge tutte queste
cose per costruirsi nella mente degli uomini una tirannia assoluta.
Per questo l'ateismo non turba mai gli stati, ma rende l'uomo più
attento a sé stesso, senza che miri più lontano » 10•
A parte questi scadimenti dell'onestà naturale che una religione
segnata da fanatismo e da superstizione poteva provocare, tutto un
insieme di problemi morali concernenti la vita sociale e politica sem
brava non poter ricevere soluzione sulla base dei precetti evangelici.
Il secolo si chiede quanto sia possibile in una società fondata
8
Ancora nel 1680 Bayle era costretto a scrivere a un teologo di sua conoscenza:
« Non riesco a comprendere come un dottore quale voi siete, che, per il semplice fatto di
essere riuscito a predire con precisione il ritorno della nostra cometa, dovrebbe essere
convinto non trattarsi :.>.ltro che di corpi soggetti a leggi ordinarie della natura e non di
prodigi che non seguooo nessuna regola, si sia lasciato nondimeno trascinare dalla cor
rente, e immagini conformemente all'opinione generale, nonostante le ragioni portate
da un ristretto numero di persone scelte, che le comete siano come degli araldi, che
vengono da parte di Dio a dichiarare guerra al genere umano». (Pensées diverses
écrites à un Docteur de Sorbonne, à l'occasion de la comète qui parut au mais de de
cembre 1680, c. III, ediz. di Rotterdam 1699).
' FRANço1s DE LA MoTHE LE VAYER (1588-1672). Precettore del fratello di Luigi
XIV, fa parte assieme a Gassendi, Diodati e Naudé della famosa « Tétrade» libertina
che si riunisce in casa dei fratelli Dupuy. Sotto una apparente esaltazione delle verità
cristiane, le sole capaci di trarre la ragione umana dal dubbio, esercita la critica più
corrosiva di ogni fede religiosa, mostrando come non ci sia affermazione in materia di
religione che non possa essere contraddetta da una opposta. Espressione di tale tesi sono
i Quatre dialogues faits à l'imitation des Anciens par Orasius Tubero e il dialogo
De la divinité. Parallelamente, nello scritto De la vertu des Payens, egli addita come
esempi di moralità autentica ed universale i saggi dell'antichità.
10
A. ADAM, Les libertins au XVII siècle, cit., p. 136.
LIBERTINI E GIANSENISTI 141
16
PIERRE CHARRON (1541-1603). Col suo scetticismo, che costituisce il tema do
minante dell'opera principale, De la sagesse, esercita un vasto influsso sul pensiero
francese della prima metà del secolo XVII e in particolare sui Libertini, che vedono
in lui, ad di là delle sue professioni di fede cristiana, un maestro di naturalismo.
17 CHARRON, De la sagesse, 1. II, c.. II, Paris 1824, vol. II, pp. 25-28, 33.
LIBERTINI E GIANSENISTI 145
211
RoBERT MANnRou, nel suo documentatissimo libro, Magistrats et sorciers en
France au XVII siècle, Paris 1968, ha mostrato la parte avuta dai Libertini nella
148 FILOSOFIA MODERNA
VAYER, De la vertu des Payens: « C'est una chose étonnante, que, de notre temps,
nous voyons que le démon inspire dans l'esprit de plusieurs Chrétiens, une extre
me vénération pour !es livres profanes de ces Sages Payens, afin d'étouffer insensi
blement celle qu'ils doivent avoir pour les Livres saints. Il semble meme qu'il leur
persuade que les Livres saints, et la morale de Jésus Christ ne sont propres que pour
les Cloitres; et que celle de Seneque et des autres Payens, est beaucoup meilleure pour
former un honnete homrne. Que ce n'est pas etre du monde, que de meler l'Evangile
dans l'instruction des moeurs, et vouloir que la vertu ai son fondement dans la piété.
Que l'humilité chrétienne n'est qu'une bassesse 2'esprit; et que ce que nous appellons
orgueil, dans les Payens et les Philosophes, est la véritable grandeur de courage. Aussi
n'entend-on parler ces gens-là, que des Socrates et des Catons, des Césars et des
Alexandres, et de tous ces autres grands hommes de l'antiquité, dont ils trouvent
que le nom seul est capable d'inspirer un secret amour de la vertu ». (in Oeuvres,
t. X, pp. 129-130).
23 H. BRÉMOND, Histoire littéraire du senttment religieux en France, Paris, Bloud
e Gay 1929, voi. I: L'humanisme dévot, P. III, c. I, pp. 400-401.
150 FILOSOFIA MODERNA
24
PASCAL, Pensées, 360-361, in Oeuvres complètes, cit., p. 1182._
LIBERTINI E GIANSENISTI 151
30
]EAN-AMBROISE DUVERGIER DE HAURANNE, A.BBATE DI SAINT-CYRAN (1581-1643).
Amico personale di Giansenio, che segue nella composizione della sua opera, I'Augu
stinzis ( 1640) di cui prende la difesa, è l'iniziatore della spiritualità giansenista, che
diffonde tra le religiose di Port-Royal e che espone soprattutto nell'opera Théologie
familière. Suggerisce ad Arnauld il libro De la fréquente communion e ne diviene il
direttore spirituale. MARTIN DE BARcos, ABBATE DI SAINT-CYRAN (1600-1678). Nipote
del precedente e capo del gruppo cosiddetto estremista del Giansenismo, rimane sino
attorno al 1660 l'ispiratore di Port-Royal per poi cedere dinanzi ad Arnauld. Il suo
Epistolario è interessante come documentazione dei contrasti sorti in seno alla cor
rente giansenista.
31 Sulle varie tendenze in seno al Giansenismo, si vedano i lavori di Luc1EN
GoLDMANN, Le Dieu caché, Paris 1956 e Co"espondance de Martin de Barcos abbé
de Saint-Cyran avec les Abbesses de Port-Royal et les principaux personnages du
groupe Janséniste, Paris 1956, sia pure con tutte le riserve che si debbono fare su
altri loro aspetti fondamentali; e quelli di ]EAN 0RCIBAL, raccolti sotto il titolo, Les
origines du ]ansénisme, Paris 1947-1948. Utile anche: RENÉ TAVENAUX, ]ansénisme
et Politique, Paris 1965.
156 FILOSOFIA MODERNA
altre miserie che segnano la sua volontà, giacché « scopo della reli
gione è di far sentire all'uomo il suo male, la sua debolezza, il
suo nulla e con questo farlo correre a Dio, suo bene, sua forza,
suo tutto » 32• Come si vede, si tratta della convinzione che la
tesi Libertina dello Scetticismo come introduzione alla rivelazione
possa essere assunta con piena serietà dal credente. PASCAL conti
nuerà su questa strada, aggiungendo solo maggior rigore di me
todo: il punto sul quale egli farà forza sarà la dimostrazione che
lo Scetticismo, al pari del dommatismo, è una delle posizioni fon
damentali sulle quale l'intelligenza umana è continuamente ri
dotta e nella quale, come nell'altra, è impossibilitata a rimanere;
per cui, ancora una volta, la contraddizione non può essere risolta
se non col potere conciliante della parola di Dio.
La concessione pessimistica del mondo dettava un'ascesi del
completo distacco da esso. « Dio - scriveva ancora Saint-Cyran -
vuole avere la totalità in tutte le cose e non c'è nulla che maggior
33
mente l'offenda dello spartire con lui » • Per cui quello che non
si concede a Dio è concesso al male, « giacché il diavolo riempie ciò
che non è riempito da Dio, non essendoci vuoto nelle operazioni
della grazia, allo stesso modo che non ve n'è in quelle della natu
ra » 34• L'odio del mondo diviene cosl l'altra faccia e la misura del
l'amore di Dio; per cui la condizione ideale per il cristiano è
quella del monaco e solo necessità di fatto, volute da Dio, possono
giustificare la presenza di eletti anche in altre condizioni. L'ab
bandono del mondo significa, in questo caso, anche sfiducia nelle
possibilità di migliorarlo, sia nelle istituzioni sociali e politiche,
sia negli aspetti umani delle stesse istituzioni religiose che in es
so sono presenti, come la Chiesa. BARCOS disapprova tutto quan
to è stato fatto e si fa da parte del gruppo arnoldiano per difen
dere l'ortodossia dei discepoli di S. Agostino presso l'autorità
romana, i libri che ne sono venuti, le polemiche nelle quali ci
si è messi: tutto ciò vuol dire per lui trascinare la verità su un
piano di lotta che non le è congeniale, perché è quello della po
tenza umana, e dal quale non può uscire che umiliata. Ancora
36
Sullo scarso successo avuto dai Pensieri di Pascal in quel tempo si veda H.
BussoN, La religion des classiques, Paris 1948, c. XIII: L'influence de Pascal.
37 ARNAULD-NICOLE, La _Logique, P. IV, c. XII, Paris 1965, p. 337.
" Ibid., I Disc., p. 19.
LIBERTINI E GIANSENISTI 159
39 ARNAULD, Examen d'un écrit qui a pour titre: Traité de l'essence du corps,
et de l'union de l'ame avec le corps, contre la philosophie de M. Descartes, P. IV, in
Oeuvres, t. XXXVIII, p. 136.
160 FILOSOFIA MODERNA
B. PASCAL
(1623-1662)
'' L'ediz. critica completa delle opere di Pascal è quella di Brunschvicg Boutroux
e Grazier in 14 voll., Parigi, Hachette, 1904-14. Utile la cosi detta ediz. Brunschvicg
minor, Parigi, Hachette (varie ristampe) che contiene Pensées et opuscules. È l'edi
zione di cui mi servo. (Abbreviaz.: Br. min.)
Una buona traduzione italiana dei Pensieri è quella edita da Bietti, Milano, 1965,
con introduzione di Ambrogio ALBERTI.
La bibliografia su Pascal è immensa. Fino al 1925 si veda A. MAIRE, Bibliographie
générale des oeuvres de Pascal, Parigi, 1925, 5 voll. Mi limito a ricordare: P.
SERINI, Pascal, Torino, Einaudi, 1942; E. BAUDIN, La philosophie de Pascal, Neuchatel,
1946, 4 voll.; P. MESNARD, Pascal, Parigi 1951 (Mesnard ha iniziato anche una edi
zione delle opere di P. B. PASCAL, Oeuvres complètes; ne sono usciti, che io sappia,
due volumi, Paris, Desclée De Brouwer, 1964). Amplissima bibliografia e storia della
critica pascaliana nella Introduzione a Pascal di A. BAUSOLA, Bari, Laterza, 1973.
162 FILOSOFIA MODERNA
1. Vita e opere
2. Stoicismo e scetticismo
6. Il cuore
di ciò che sentono, e amano Dio, ne sanno abbastanza (n. 286 ). Que
sta conoscenza « cordiale » di Dio non è possibile se non per Gesù
Cristo (n. 547).
Come arriveremo a questa conoscenza di Dio?
Utilizzando quella stessa situazione esistenziale, quella stessa
condizione di fatto per cui la ragione è così offuscata, per rivol
gerla a Dio. La ragione umana, dicevamo, così come di fatto è, è
soggetta alle impressioni dell'immaginazione, della consuetudine,
della volontà, è condizionata, diremmo noi, dall'essere sensibile
dell'uomo, dal meccanismo del suo corpo, dalla machine (come di
ce Pascal, da buon cartesiano). Ebbene: pieghiamo la machine
(n. 246 ), e ci tireremo dietro la ragione. E cosa vuol dire, in con
creto, plier la machine? Compiere gli atti esteriori della religio
ne, « mettersi in ginocchio, pregare con le labbra » (n. 250). Non
che questi atti esteriori costituiscano la religione: questo sarebbe
superstizione (n. 249); debbono essere mossi dalla nostra volon
tà di credere, debbono essere espressione della nostra umiltà.
« Sforzatevi, non di convincervi con l'argomentazione delle prove
di Dio, ma con la diminuzione delle vostre passioni... Seguite il
modo in cui hanno cominciato [ quelli che ora credono] : cioè
facendo tutto come se credessero: prendendo l'acqua benedetta,
facendo dire delle Messe, ecc. Naturalmente [ cioè per il modo
stesso in cui siete fatti, in cui è fatta la vostra natura] questo vi
farà credere et vous abetira » (n. 233). Le ultime parole non fu
rono pubblicate nell'edizione curata da Port Royal e, quando fu
rono pubblicate la prima volta, suscitarono scandalo. Ma in fon
do esse non vogliono dire altro che questo: piegheranno la super
bia, il capriccio della nostra natura, la renderanno meccanismo
docile alle esigenze di quella volontà di credere che è già in noi
un riflesso della Grazia (tu ne me chercherais pas, si tu ne m'avais
trouvé, n. 553 ).
7. Il « pari »
Ma qual motivo daremo noi all'ascesi, al « piegare il meccani
smo », se non vi è una certezza razionale?
Agli argomenti razionali per dimostrare l'esistenza di Dio, Pa
scal sostituisce il suo famoso pari, la scommessa. Non potremo di
mostrare razionalmente che esiste Dio, ma vale la pena scom-
174 FILOSOFIA MODERNA
8. L'analisi dell'uomo
Ma Pascal non si limita a invitare l'uomo a scommettere per
la vita eterna: cerca di far sentire all'uomo che ha bisogno di Dio,
attraverso un'analisi dell'uomo. L'analisi pascaliana dell'uomo è
orientata intorno a questi due poli: miseria e grandezza dell'uomo.
PASCAL 175
(n. 397). « Non si è miseri senza averne coscienza: una casa crol
lata non è miseria. Non c'è che l'uomo che sia misero. Ego vir
videns (Lamentaz. di Geremia III, 1)» (n. 399).
È impossibile dunque parificare l'uomo alle bestie, perché
l'uomo ha coscienza della sua miseria e ne soffre.
« L'uomo non è né angelo né bestia, e il guaio è che chi vuol
fare l'angelo fa la bestia» (n. 358). Chi vuol fare l'angelo fa la
bestia perché la ragione umana, il pensiero, l'esprit, non è suffi
ciente a condurre l'uomo alla sua perfezione. I filosofi, dice in un
altro pensiero Pascal (n. 413), vedendo la lotta fra la ragione e
l'animalità nell'uomo, si son divisi in due scuole (sectes): quelli che
hanno voluto rinunciare alle passioni e diventare dei (gli Stoici).
e quelli che han voluto rinunciare alla ragione, e diventare bestie:
ma non sono riusciti né gli uni né gli altri: la ragione seguita sem
pre ad accusare le passioni, e queste seguitano a turbare la ragione.
Perché? Perché le antinomie non si superano sul piano della pu
ra natura. « Che chimera è dunque l'uomo? Che novità, che mo
stro, che caso, che soggetto di contraddizioni, che prodigio! Giu
dice di ogni cosa e imbecille verme della terra; depositario della
verità, cloaca di incertezza e di errore; gloria e rifiuto dell'uni
verso! » (n. 434).
Queste antinomie si spiegano solo con una corruzione della
natura umana che può essere sanata solamente dalla Grazia. Bi
sogna, per risolvere le antinomie, riconoscere non soltanto due or
dini di realtà, la carne e lo spirito, ma tre: la carne, Io spirito, e la
carità, ossia la Grazia. « La distanza infinita fra i corpi e gli spiriti
figura [ossia è figura, è immagine de] la distanza infinitamente più
infinita fra gli spiriti e la carità, poiché questa è soprannaturale ».
« Tutto lo splendore delle grandezze non ha fascino per coloro che
sono nelle ricerche dello spirito. La grandezza degli uomini d'in
gegno (d'esprit) è invisibile ai re, ai ricchi, ai capitani, a tutti que
sti grandi nell'ordine della carne. La grandezza della sapienza, che
non viene se non da Dio, è invisibile agli uomini " carnali" e agli
uomini d'ingegno. I grandi geni hanno il loro impero, il loro splen
dore, la loro grandezza, la loro vittoria, la loro gloria (leur lustre),
e non hanno alcun bisogno delle grandezze carnali, a cui non han
no rapporto. Sono veduti non dagli occhi, ma dagli spiriti; ed è
abbastanza.
« I santi hanno il loro impero, il loro splendore, la loro vitto-
PASCAL 177
ria, la loro gloria, e non hanno alcun bisogno delle grandezze car
nali o spirituali, a cui non hanno alcun rapporto, poiché esse non
aggiungono loro né tolgono nulla. I santi sono veduti da Dio e
dagli Angeli, non dai corpi, né dagli spiriti curiosi. Dio basta loro.
« Tutti i corpi, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi regni,
non valgono il minimo degli spiriti; poiché egli conosce tutto ciò;
e i corpi non ne sanno nulla. Tutti i corpi insieme, e tutti gli spiriti
insieme, e tutte le loro produzioni, non valgono il minimo moto
di carità. Questo è di un ordine infinitamente più elevato» (n.
793).
Ad ognuno di questi ordini di realtà corrisponde un ordine di
valori: valori carnali, valori dell'ingegno, valori religiosi-sopranna
turali. E solo col raggiungimento di questi ultimi si risolve il pro
blema dell'uomo. Solo la religione cristiana risolve questo proble
ma col mistero della Redenzione. La religione cristiana « insegna
agli uomini queste due verità: che vi è un Dio, di cui gli uomini
sono capaci, e che vi è una corruzione nella natura che li rende in
degni di Dio» (n. 556 ). È essenziale per l'uomo conoscere tutte e
due queste verità, poiché se conosce soltanto la sua somiglianza
con Dio, cade nella superbia dei filosofi, se conosce solo la sua
miseria, senza conoscere il Redentore, si avvilisce al livello delle
bestie. Ma la conoscenza della Redenzione è stata rivelata all'uomo,
gli è stata data, cioè, solo dalla misericordia di Dio; perciò senza
la fede, senza l'accettazione cioè di questa misericordia divina,
l'uomo non risolve il problema della vita. « E perciò non mi met
terò a dimostrare con ragioni naturali l'esistenza di Dio, la Trinità,
l'immortalità dell'anima né alcuna verità di questo tipo; non solo
perché non mi sentirei forte abbastanza per trovare nella natura di
che convincere atei induriti, ma anche perché questa conoscenza,
senza Gesù Cristo, è inutile e sterile» (n. 556).
« L'ultimo passo della ragione è quello di riconoscere che vi
è un'infinità di cose che la sorpassano» (n. 267).
CAPITOLO SETTIMO
N. MALEBRANCHE
(1638-1715)
' « Humilitas est contemptio sui prae amore Dei ac rat1001s. Requiritur ad hu
militatem contemptus J1egativus sui ipsius, quo quis de se non laboret, se non curet,
nullatn sui prae amore rationis rationem ducat », Ethica, Tract. I, Sect. Il, par 1.
* Delle Opere di Malebranche c'è una edizione critica completa pubblicata sotto
la direzione di André Robinet: Oeuvres complètes de Malebranche, Paris, Vrin,
1958-1967, 20 voli. Le opere principali di Malebranche sono De la recherche de la
vérité (1674-75, seguita, nella terza edizione del 1677-78, dagli Eclaircissements), Con
versations chrétiennes (1676), Méditations chrétiennes et métaphysiques (1683), Traité
de morale (1683), Entretiens sur la métaphysique (1688), Entretien d'un philosophe
chrétien et d'un philosophe chinois (1708) e altre opere di carattere prevalentemente
teologico, come la maggior parte delle polemiche con Arnauld e col P. Lamy.
Fra le opere su M. ricorderemo H. GoUHIER, La vocation de Malebranche, Paris,
Vrin, 1926; In., La philosophie de Malebranche et son expérience religieuse, Paris,
Vrin, 1926; Malebranche nel terzo centenario della nascita, a cura della Università
Cattolica del S. Cuore, Milano, Ed. « Vita e Pensiero», 1938 (con una Bibliografia ma
lebranchiana di A. DEL NocE); M. GuEROULT, Malebranche, 3 voll., Paris, Aubier,
1955-1959; S. BANCHETTI, Il pensiero e l'opera di Malebranche, Milano, Marzorati, 1963;
L. VERGA, La filosofia morale di Malebranche, Milano, Pubblicazioni dell'Università
Catt. del S. Cuore, 1972; A. RoBINET, SyJtème et existence dans l'oeuvre de
Malebranche, Paris, Vrin, 1965; Malebranche. L'homme et l'oeuvre (Atti delle "Jour
nées Malebranche" tenute nel 1965) Paris, Vrin, 1967; D. CoNNELL, The Vision in
God. Malebranche's Scholastic Sources, Louvain-Paris, Nauwelaerts, 1967.
182 FILOSOFIA MODERNA
' Si noti il passo compiuto rispetto alla pos1z1one di Galileo: Galileo dice che
le qualità tengono lor residenza nel corpo sensitivo; Cartesio, che ha scisso il corpo
sensitivo in: puro meccanismo da una parte (corpo) e res cogitans dall'altra, pone le
qualità nell'anima-res cogitans e quindi le riduce a idee; Malebranche accentua questa
posizione affermando che l'anima sola percepisce gli oggetti e, certo, un'anima pura
mente spirituale non può andare a spasso per i cieli e neppure aver contatto coi
corpi; bisogna dunque ammettere che essa venga a contatto con qualcosa di più
vicino, che è l'idea. Il più vicino è un termine ambiguo che può indicare sia il più simile
per natura, più affine, sia, in contrapposto ai lor.tani cieli, più vicino spazialmente. Sia
nell'uno come nell'altro caso non c'è sentore di una presenza intenzionale, diversa dal
l'affinità di natura e dalla vicinanza spaziale: il conosciuto è inteso come un fisica
mente present('.
MALEBRANCHE 185
• Così diversa, per esempio, da quella che si può trovare in Tommaso d'Aquino.
7
D. CoNNEL (The Vision in God, cap. V) osserva che l'elenco che Malebranche
fa delle diverse teorie riflette una divisione logica, ossia di possibili soluzioni, piut
tosto che una divisone storica di teorie realmente professate. Non solo: l'elenco
« corrisponde a quello che Suarez fa delle varie teorie sull'origine delle specie con
le quali gli angeli conoscono le cose materiali ». Di qui la difficoltà di identificare
i sostenitori delle diverse soluzioni. Si veda la recensione del libro di D. Connell in
L. VERGA, Rassegna bibliografica sul pensiero francese del secolo XVII, in « Rivista
di filosofia neoscolastica» LXI (1969), pp. 291-297.
186 FILOSOFIA MODERNA
può dire che egli è il luogo degli spiriti, come lo spazio è il luogo
dei corpi» (loc. cit., cap. 6). Di qui però non si può concludere
che conosciamo l'essenza di Dio: « Ciò che gli spiriti creati vedono
in Dio è qualcosa di molto imperfetto, mentre Dio è perfettissi
mo». Nel decimo Eclaircissement 8 e negli Entretiens sur la mé
taphysique, del 1688, la visione in Dio è intesa come visione in
Dio dell'estensione intelligibile - dalla quale derivano le
verità geometriche - e dei principi morali. Malebranche par
te dalla considerazione che le verità necessarie, ossia le propo
sizioni universali e necessarie, come sono quelle geometriche,
non possono in alcun modo essere ricavate dall'esperienza,
che è sempre conoscenza del singolare e del mutevole; dun
que derivano in noi da una luce divina. Fin qui Malebranche
segue S. Agostino, che cita abbondantemente nella Prefazione e nel
primo degli Entretiens; ma deve ammettere che « S. Agostino non
ha mai detto che si vedano i corpi in Dio» (Entretiens, Préface,
p. 41) 9, e questo perché... non c'era ancora stato Cartesio, ossia
perché S. Agostino credeva che si vedessero gli oggetti in se stessi,
e che i colori e le altre qualità fossero proprietà degli oggetti. Ora,
poiché sappiamo che le qualità sono solo nell'anima 10, possiamo
dire che le verità eterne delle quali parla S. Agostino ( e Agostino
stesso dà le verità matematiche come esempio) si fondano sull'esten
sione intelligibile che vediamo in Dio. « Avete l'idea dello spazio
o dell'estensione; di uno spazio, dico, che non ha limiti. Questa
idea è necessaria, eterna, immutabile, comune a tutti gli spiriti,
agli uomini, agli Angeli, a Dio stesso. Questa idea, badate, non può
essere cancellata dal vostro spirito, come non possono essere can
cellate quella dell'essere o dell'infinito, dell'essere indeterminato.
Gli è sempre presente. Non potete separarvene o perderla total
mente di vista. Ora da questa ampia idea si formano in noi non so-
fa conoscere che cosa sono, qual è la natura del mio pensiero, della
mia volontà, dei miei sentimenti ... » (Entretiens, III, p. 105).
Non conosco l'archetipo degli esseri spirituali, mentre conosco,
nell'estensione intelligibile, l'archetipo dei corpi.
Intuendo l'estensione intelligibile « vedete in verità la sostanza
divina, dice Teodoro, che impersona Malebranche, ad Aristo; poi
ché solo la sostanza divina è visibile e può illuminare lo spirito.
Ma non la vedete in se stessa o secondo ciò che essa è. La vedete
solo nel rapporto che ha con le creature materiali, in quanto è da
esse partecipabile, in quanto le rappresenta» (Entretiens, II, p.
85). Tuttavia basta questo per farci vedere che Dio esiste, e per
farcene conoscere gli attributi di infinità, onnipotenza, sapienza.
Di infinità innanzi tutto, poiché quando si pensa l'essere si
pensa l'infinito - e non solo infinito come l'estensione intelli
gibile, che è l'idea o archetipo dei corpi, mentre « l'essere senza
restrizione, in una parola l'Essere, è l'idea di Dio: è quello che
lo rappresenta al nostro spirito cosl come lo vediamo in questa
vita». E badiamo, aggiunge Teodoro, che Dio non è visibile me
diante un'idea che lo rappresenti. « L'infinito è per sé la sua idea ...
L'infinito non si può vedere che in se stesso, poiché nessuna realtà
finita può rappresentare l'infinito. Se si pensa Dio, egli deve esi
stere» (Entretiens, II, pp. 87-88).
3. L'occasionalismo
4. La morale
12
Che è pura estensione.
190 FILOSOFIA MODERNA
B. SPINOZA
(1632-1677)
1. Cenni biografici
2
J. FREUDENTHAL, Spinoza und die Scholastik, in Philosophische Aufsiitze E.
Zeller gewidmet, Lipsia, 1887.
' Del D1 VoNA, oltre ai due volumi citati, si vedano anche gli Studi sulla sco
lastica della Controriforma, Firenze, La Nuova Italia, 1968.
• Fonti per la biografia di Spinoza sono principalmente le Vite di J. M. LucAs
(1719) e di Joh. K:oHLER (CoLERUS), quest'ultima scritta in olandese e pubblicata
all'Aia nel 1705, tradotta in francese nel 1706. Queste due biografie ebbero molte
edizioni: furono ripubblicate nel 1899 da J. FREUDENTIIAL, Die Lebensgeschichte
Spinozas, Lipsia, Veit, con traduzione tedesca.
SPINOZA 195
2. Il « Breve Trattato »
II Breve Trattato contiene, anche se meno rigorosamente e
spresse, le medesime dottrine fondamentali che si ritrovano nel
l'Etica. Si divide in due parti: la prima tratta di Dio, la seconda
dell'uomo. Fra il capitolo II e il III della prima parte stanno due
dialoghi: il primo fra l'Intelletto, l'Amore, la Ragione e la Concu
piscenza, il secondo fra Erasmo e Teofilo.
L'intelletto è l'intelligenza come capacità di intuizione, la Ra
gione è la capacità di argomentare (intellectus e ratio nel senso
scolastico); la Concupiscenza riflette l'atteggiamento empiristico,
mondano. Secondo il Guzzo 6 la Concupiscenza rappresenterebbe
il panteismo naturalistico rinascimentale. L'Amore è l'atteggia
mento pratico che segue la conoscenza: se segue la conoscenza ve
ra, dell'intelletto, trova pace; se segue la Concupiscenza e si fer
ma al molteplice, al finito, diventa preda dell'odio e del pentimen
to, ossia delle passioni.
Il secondo dialogo, fra Erasmo e Teofilo, pone tre problemi:
1) come Dio possa dirsi insieme causa immanente di tutte le cose,
e causa remota di alcune di esse; 2) se Dio è causa immanente,
perché non dire che Dio cresce, per dir così, quando ha prodotto
i suoi effetti; 3) come mai, se Dio è causa immanente, ci sono cose
' La storia della scoperta e delle edizioni del Breve Trattato si può trovare nel
I volume delle SPINOZA, Opera, ed. Gebhardt, pp. 407-436.
• Il pensiero di Spinoza, cit. pp. 20-24.
196 FILOSOFIA MODERNA
7
La dottrina della causalità divina, nel Breve Trattato, dipende strettamente da
Heerebord, un cartesiano che però risente fortemente l'influsso di Suarez.
• S. Tommaso, Summa theol. I, q. 85, art. 6 e In l. De divinis nominibus Expo
sitio, lectio XXI, dice: « quidam dixerunt ». Secondo H. SIEBECK, citato da A. Guzzo
e V. MATHIEU nella voce Natura dell'Enciclopedia filosofica, l'origine del termine sa
rebbe nel commento medio di Averroè al De coelo di Aristotele, I, 1. Più esatta
mente il P. PERA in una nota al Commento di S. Tommaso al De divinis nominibus,
ed. Marietti, dice che i termini natura naturans e natura naturata traggono origine
dalla traduzione latina di Averroè, e la traduzione latina di Averroè risente di in
flussi neoplatonici.
SPINOZA 197
9
Renati Des Cartes Principiorum Philosophiae pars I et II more geometrico
demonstrata.
198 FILOSOFIA MODERNA
10
Ed essendo più lontani da questa del Breve Trattato. E si capisce: poiché il
Breve Trattato rimase manoscritto, fu esposto solo ad amici, mentre i Cogitata meta
phisica furono pubblicati, e, prima, furono insegnati a uno che era antipatico a Spi
noza (Lettera 9").
11
Mi sono fermata su questo punto perché vedo in questo una conferma dell'opi
nione che la rottura fra filosofia scolastica e la filosofia moderna sia avvenuta origina
riamente sul piano della fisica e non della metafisica o della gnoseologia. Anche per la
gnoseologia, come vedremo parlando del De intellectus emenda/ione, Spinoza è molto
più vicino alla scolastic., che a Cartesio.
SPINOZA 199
derare una cosa senza rapporto con la sua causa è un considerarla co
me non è, e non come è. E tutto ciò che è, esiste necessariamente, non
in sé, ma nella sua causa, perché Dio non può mutare il decreto
col quale fa essere una cosa.
A proposito dei trascendentali ( uno, vero, buono) Spinoza è in
polemica con la scolastica: egli nega che uno, vero, buono siano
affectiones dell'ente. Non l'uno, perché non aggiunge nulla all'en
te, è solo un modus cogitandi; non il vero, poiché vera può essere
solo la conoscenza, non la realtà; non il bene, perché il bene è rela
tivo a noi, ai nostri desideri. Questa tesi di Spinoza si capisce be
nissimo se si tien presente che per lui - anche se egli non lo di
ceva expressis verbis a Caseario - non ci sono enti distinti, l'ente
non è determinato, anzi: omnis determinatio negatio ( ora la no
zione di uno aggiunge a quella di ente la determinatezza; uno vuol
dire indivisum in se et divisum a quolibet alio): Inoltre, in Dio
non c'è intelletto e volontà, secondo Spinoza; ora l'affermazione
che ogni ente è vero vuol dire che ogni ente risponde a un'idea
divina, e l'affermazione che ogni ente è buono vuol dire che ogni
ente è voluto da Dio.
Ho indicato solo i punti più notevoli di divergenza fra i Cogi
tata metaphysica e la scolastica; molte altre dottrine scolastiche
sono invece esposte senza alcuna espressione di dissenso.
4. Il « De intellectus emendatione »
Si è detto che il De intellectus emendatione 12 è il « Discorso
sul metodo » di Spinoza e mi sembra che la frase possa essere ac
cettata, vuoi per certe somiglianze esteriori vuoi perché il De in
tellectus emendatione contiene la metodologia dell'Etica; non per
ché il metodo di Spinoza sia quello di Cartesio. Le somiglianze
esteriori sono: il modo autobiografico di esposizione, l'indicazio
ne di regole per una morale provvisoria, la ricerca di un metodo
per arrivare alla verità. Ma la verità che Spinoza cerca è una verità
che dia significato alla vita, non una verità scientifica, e per questo
Spinoza è più vicino a Pascal che a Cartesio.
Il Proemio è una delle pagine più belle che siano state scritte
da filosofi, e bisognerebbe leggerlo. Il movente dell'indagine è la
ricerca del vero bene: « ... constitui tandem inquirere, an aliquid
daretur, quod verum bonum, et sui communicabile esset, et a quo
solo, rejectis caeteris omnibus, animus afficeretur; imo an aliquid
daretur, quo invento et acquisito, continua, ac summa in aeternum
fruerer laetitia » (Opera, II, p. 5) 13•
Ora non è possibile conciliare questa ricerca con quella dei
beni terreni, poiché il piacere dà luogo alla tristezza, al pentimento,
alla nausea; la sete di ricchezza e di onori è insaziabile e, quando
non è soddisfatta, reca dolore; la ricerca degli onori, poi, ci obbli
ga a vivere come vogliono i più. Vista l'impossibilità di conciliare
la ricerca dei beni finiti con quella del bene sommo, Spinoza si
domanda se il rinunciare ai primi è veramente un rinunciare al
certo per l'incerto, e risponde che piacere, ricchezza, onori sono
per loro natura un bene incerto, mentre per il bene assoluto è in
certa solo la possibilità di raggiungerlo. Anzi, se si guarda bene,
piaceri, ricchezze e onori sono mala certa, mentre l'assoluto è un
bene certo, poiché la ricerca dei primi genera liti, tristezza, timore,
mentre l'amore per una realtà eterna ed infinita sola laetitia pascit
animum.
Desta un certo stupore sentire che, nonostante questa ricerca
di un bene assoluto, Spinoza nega l'esistenza di un bene oggettivo:
bene e male sono solo relativi, poiché tutto è come deve essere.
E allora che senso ha la ricerca del sommo bene? Ognuno potrà
cercare solo quello che è bene per lui; ma allora sarà inutile fare
un discorso sul bene come se esso fosse qualcosa su cui si può di
scutere. Spinoza ripiega dicendo che, fino a quando non si è arri
vati a quella visione della realtà nella quale tutto ci si rivela come
necessario, ci si figura un ideale di umanità superiore, alla quale
si cerca di partecipare insieme con gli altri. Questo ideale di uma
nità si realizza quando si arriva a conoscere l'unione del nostro spi
rito con tutta la natura: Cognitio unionis quam mens cum tota
natura, habet (Opera, II, p, 8), quando si riconosce l'unità del
tutto. Si capisce allora perché l'Etica cominci da Dio.
Ma, prima di passare all'Etica vogliamo aggiungere ancora po-
" Indico con Opera l'edizione Gebhardt; il numero romano è il numero del volume,
SPINOZA 201
6. Le definizioni
" I. Per causam rui intelligo id, cuius essentia involvi! existentiam, sive id, cuius
natura non potest concipi, nisi existens. III. Per substantiam intelligo id quod in se
est, et per se concipitur: hoc est id, cuius conceptus non indiget conceptu alterius rei,
a quo formari debeat. - IV. Per attributum intelligo id, quod intellectus de substantia
percipit, tanquam eiusdem essentiam constituens. - V. Per modum intelligo · substan
tiae alfectiones, sive id quod in alio est, per quod etiam concipitur.
204 FILOSOFIA MODERNA
7. Il concetto di attributo
15 Bari, Laterza, 1915. Le note del Gentile sono riportate nell'edizione Sansoni
sopra citata.
16 Kommentar zu Spinozas Ethik, Leipzig, Meiner, 1928, pp. 55 ss.
17
J. E. ERDMANN, Versuch einer wissenschaftlichen Darstellung der neuern Philo
sophie, del 1836; K. FISCHER, Geschichte der neuern Philosophie, Bd. 2. Spinoza;
5• ed. Heidelberg, 1909, pp. 378 ss.
18
The Philosophy of Spinoza, I, pp. 142 ss.
SPINOZA 205
9. Dio
21
Come sempre o quasi sempre succede, quando si vuol combattere una dottrina,
Spinoza presenta la concezione finalistica sotto l'aspetto più rozzo e, a tratti, supersti
zioso. E, subito, occorre osservare che la concezione finalistica afferma che ogni cosa
ha un fine, ossia di ogni cosa c'è un significato, perché ogni cosa è creata da una Vo
lontà intelligente, ma - almeno come è presentata da alcuni autori - non afferma che si
possano conoscere i fini delle cose, non afferma che l'uomo possa conoscere qual sia
il significato di ogni cc,sa
22 Il fatto che Spinoza dia come esempi di pseudo-concetti nati da una concezione
finalistica anche quelli di caldo e freddo indica che uno dei motivi del suo rifiuto del
finalismo è l'uso e l'abuso che delle pretese cause finali si faceva nella fisica degli sco
lastici contemporanei. Contro tali pseudo-spiegazioni finalistiche reagisce la nuova fisica
che cerca spiegazioni meccaniche dei fenomeni naturali. Dico: uno dei motivi, poiché un
altro motivo è certo la visione metafisica spinoziana esposta sopra.
Quanto al concetto di bene, resta da vedere se Spinoza riesca veramente a farne a
meno quando traccia il suo itinerario verso la beatitudine.
210 FILOSOFIA MODERNA
13. La conoscenza
23 Alla cosmologia, alla dottrina sulla natura dei corpi è dedicata una serie di as
siomi e di lemmi interposti fra la Prop. 13 e la Prop. 14 della seconda parte.
SPINOZA 213
26
Questa famosa espressione spinoziana è stata interpretata in vari modi. Nono
stante l'opposto parere del Gentile (nella nota 71 alla seconda parte dell'edizione da
lui curata dell'Etica) ritengo che essa vada tradotta: conoscere le cose sotto il loro
e.spetto eterno, alla luce dell'eternità. Il termine species qui infatti non va inteso in
senso logico, come opposto a genere, ma nel senso in cui gli scolastici lo adoperavano
nella teoria della conoscenza quando parlavano di species intelligibilis o sensibilis, che
è l'aspetto intelligibile o sensibile della cosa da conoscere.
SPINOZA 215
muove a dare l'assenso a ciò che non è evidente n_ Ora Spinoza ne
ga che vi sia nell'uomo una volontà libera (Prop. 48): non c'è una
volontà come facoltà di volere; le facoltà sono enti :fittizi, universali,
come la pietreità (lapideitas). Tuttavia si potrebbe obiettare che non
esisterà la lapideitas, ma esistono le singole pietre: le singole vo
lizioni. Spinoza risponde che le volizioni non sono altro che affer
mazioni o negazioni, e queste a loro volta si riducono a idee: idee
che implicano certi predicati. L'affermazione, per esempio, che il
triangolo ha gli angoli interni uguali a due retti non è altro che
l'idea del triangolo. Dunque intellezione e volizione si identificano,
e quindi si identificano intelletto e volontà (Prop. 49 e Cor.). La
teoria cartesiana dell'errore è discussa lungamente nello scolio alla
prop. 49 che insiste sulla negazione della libertà del volere.
L'ultima parte dello scolio, nell'indicare l'utilità di questa ne
gazione apre la via alla parte propriamente morale dell'Etica. La
dottrina che nega la libertà del volere 1) ci insegna che noi ope
riamo solo diretti da Dio ( ex solo dei nutu) e partecipiamo tanto
più alla natura divina quanto più perfette azioni compiamo e quanto
più conosciamo Dio. Ci insegna che la nostra somma felicità e
beatitudine consiste nella conoscenza di Dio, alla quale ci avvia
mo con l'esercizio della virtù; sicché la beatitudine non è un pre
mio concesso da Dio a chi si sobbarca a servirlo, ma quel servizio
divino che è la virtù è già felicità e somma libertà. 2) Ci insegna a
prendere con animo uguale tutto ciò che avviene, poiché tutto è
necessario. 3) Ci insegna a non disprezzare nessuno e ad aiutare
il prossimo, guidati però solo dalla ragione, non dal sentimento.
4) Ci insegna infine ad educare i cittadini alla libertà, ossia a com
piere ciò che è bene non per paura, ma perché è bene 28•
77 Questo è l'aspetto comune alla dottrina scolastica e a quella cartesiana; c'è poi
una differenza, ed è che per Cartesio l'assenso è sempre un atto di volontà, anche nel
giudizio su ciò che è evidente; per gli scolastici, invece, l'evidenza, ossia la presenza
dell'oggetto determina l'intelletto ad assentire; e solo l'assenso dato a qualcosa che
non c'è, che non è presente, esige un movente extra-teoretico, un atto di volontà.
23 « ...docet qua ratione cives gubernandi sint et ducendi, nempe non ut serviant,
sed ut libere ea, guae optima sunt, agant ». Che questa sia una conseguenza della nega
zione della libertà del volere non mi è facile capire.
216 FILOSOFIA MODERNA
14. Le passioni
Poiché lo spirito umano è idea del corpo, esso non può tendere
a perseverare nell'essere senza insieme tendere a conservare il
proprio corpo (Prop. 10, Demonstr.); perciò la coscienza di ciò
che favorisce e potenzia il corpo potenzia anche la mens, e vice
versa la coscienza di ciò che indebolisce il corpo indebolisce anche
la potenza della mens (Prop. 11). Tutte le passioni nascono dalla
coscienza di questo potenziamento e depotenziamento: la gioia
(laetitia) è la coscienza di un potenziamento nell'essere, il dolore
(tristitia) la coscienza di un depotenziamento; e queste due, col
desiderio (cupiditas) sono le passioni fondamentali, dalle quali de
rivano tutte le altre. L'amore non è altro che gioia accompagnata
dall'idea di una causa esterna, l'odio non è altro che dolore ac
compagnato dall'idea di una causa esterna. Spinoza descrive poi il
sorgere di moltissime altre passioni da queste fondamentali: spe
ranza, paura, sicurezza, rimorso, invidia, superbia ecc. Altre pas
sioni, come la commiserazione, l'emulazione, la benevolenza, l'am
bizione suppongono anche la tendenza a partecipare alle passioni
degli altri (Propp. 21 e 27), a quella che, con termine non spinozia
no, potremmo chiamare simpatia.
Ma già, in questo giuoco di passioni, si intravede una via verso
la liberazione: è indicata in quelle proposizioni che riguardano la
dialettica dell'odio e dell'amore. L'odio nasce dal fatto che noi cre
diamo che l'uomo odiato sia causa di una nostra tristezza, quindi
tendiamo a diminuire, a far del male a colui che ci reca tristezza
(Prop. 39), e così suscitiamo odio in lui che tenderà a far male a
noi. Ma se invece procuriamo letizia a colui che ci odia, egli non
potrà fare a meno di amarci (per la definizione stessa di amore);
quindi « L'odio è aumentato dall'odio reciproco, e, al contrario,
può essere cancellato dall'amore » (Prop. 43).
L'odio e l'amore diminuiscono se si ritiene che la causa della
nostra tristezza o letizia non sia libera (Prop. 49), poiché una causa
29
Anche Aristotele definisce bene ciò a cui ogni cosa tende, e gli scolastici accet
tano questa definizione. Ma il problema è di vedere se la tendenza di ogni cosa abbia
un senso o se sia cieco impulso. Per affermare che la tendenza di ogni cosa ha un
senso bisogna concepire le nature delle cose come create da una Volontà intelligente
- tesi che Spinoza nega.
218 FILOSOFIA MODERNA
15. Le virtù
" In realtà Spinoza, nel seguito parla della condotta razionale come di un bene
reale e non soltanto come di qualcosa che ci figuriamo come bene. CTr. Prop. 18, Sco
lio; · Prop. 28, 41, 45 ecc.
34
Lo Scolio alla Prop. 18 anticipa e riassume le proposizioni seguenti.
35 Wolfson rileva il carattere aristotelico di questa parte dell'Etica (IV, Propp. 18-
28). Si potrebbero anche rilevare le affinità fra la prop. 28 e il capitolo 37 del III libro
della Summa contra Gcntiles di Tommaso d'Aquino.
220 FILOSOFIA MODERNA
sono partecipabili a tutti gli uomini; anzi quanto più uno ne fruisce
tanto più arricchisce gli altri, poiché ciò che un uomo sa non �
tolto agli altri, mentre ciò che un uomo possiede di beni materiali
non può essere posseduto da altri ( di qui la necessità di una disci
plina di cui si parlerà a proposito del Trattato teologico-politico).
Spinoza espone poi la sua etica speciale, ci dice cioè quale sia
la recta vivendi ratio. Ne rileveremo solo alcuni tratti che ci sembra
no caratteristici. Il rapporto fra bene � piacere è positivo: « La gioia
(laetitia) direttamente non è cattiva, ma buona; il dolore (tristitia)
invece è un male » (Prop. 41 ). La gioia infatti è la coscienza di un
potenziamento del corpo. Buona è pure l'allegria (hilaritas) che è
la gioia riferita a tutto il corpo, e cattiva la melanconia; l'eccita
mento (titillatio) invece, che è il piacere riferito a una parte del
corpo, può avere eccessi, come può averne l'amore. « L'odio non
può mai essere buono » (Prop. 45) e così le passioni che ne deri
vano: invidia, derisione, disprezzo, ira, vendetta: le azioni mosse
da queste passioni sono sempre turpi e ingiuste (ibid., Coroll.).
Ma, dopo aver condannato la derisione, Spinoza sente la necessità
di difendere l'allegria, il riso. « Solo una torva e triste superstizio
ne può proibire di rallegrarsi (delectari). Perché infatti dovrebbe
essere più approvabile l'estinguere la fame e la sete che il cacciare
la malinconia? Questo è il mio modo di vedere, e così mi sono
comportato » (ibid. Schol). Poiché l'odio è sempre un male, « chi
vive secondo ragione cerca, per quanto può, di ricambiare con l'a
more e la generosità l'odio, l'ira e il disprezzo » (Prop. 46 ). Tale
condotta è però ispirata al motivo di non aumentare l'odio dell'al
tro, ricambiandolo con odio, e di non procurarsi dolore. Non h1:1
valore (mala et inutilis) la compassione (Prop. 50): si deve aiutare
il prossimo perché lo prescrive la ragione, ma non giova il soffrire
della sua sofferenza; né giova il pentimento del male compiuto,
perché non fa che aggiungere dolore, ossia male, al male: chi si
pente è misero due volte (Prop. 54). L'umiltà è sempre un male,
perché è dolore (tristitia) della propria impotenza (Prop. 53 ); male
sono pure sia la superbia come l'avvilimento (abiectio), perché di
pendono da una errata conoscenza di sé, per eccesso o per difetto,
ossia dipendono da ignoranza (Prop. 55) 36•
36
Nello Scolio alla prop. 57 Spinoza osserva che l'abjectus si avvicina al superbo
in quanto, per lenire l"! sofferenza della propria abiezione, cerca di deprimere gli altri.
SPINOZA 221
C'è qui, accennata, una fenomenologia del risentimento - che è ampiamente svolta,
nella filosofia contemporanea, da M. Scheler.
37
Suscita qualche perplessità questa tesi, perfettamente coerente con la metafisica
della prima parte dell'Etica, ma non facilmente comprensibile dopo le valutazioni mo
rali che precedono, le valutazioni su ciò che è bene e ciò che è male nelle azioni uma
ne. Il bene e il male di cui Spinoza ha parlato sono infatti relativi alla natura umana,
a un modello (exemplar) ideale di uomo; ma non sembra che un tale modello sia una
pura escogitazione soggettiva, variabile secondo i gusti individuali. È che forse è più
facile negare l'esistenza di una norma universale che rimanere poi coerenti con tale
negazione.
222 FILOSOFIA MODERNA
40
« È certo che la pietà verso la patria è la più alta che uno possa esercitare, poi
ché se è tolta l'autorità dello Stato, nessun bene sta più saldo, ma tutto è in pericolo,
e regnano solo l'ira e l'empietà, nel più gran terrore di tutti; ne segue che non c'è pietà
verso il prossimo che non possa diventare empia, se ne segue un danno per lo Stato,
e, viceversa, non c'è empietà verso il prossimo che non diventi pia se è co=essa per
la conservazione dello Stato» (cap. 19; Opera, III, p. 232).
CAPITOLO NONO
TH. HOBBES
( 1588 - 1679)
1. Cenni biografici
2. Empirismo e nominalismo
1
Hobbes, cit., p. 14.
HOBBES 231
2
Secondo Pacchi, infatti, il materialismo è solo un'ipotesi, per Hobbes, non una
verità affermata: indubitabilmente esistenti sono solo le sensazioni e le immagini.
1 Th. HoBBES, Logica, libertà e necessità, a cura di A. Pacchi, cit., p. 36. Ho mo
dificato leggermente la traduzione.
232 FILOSOFIA MODERNA
5
« Ideoque non est opus ad vim universalis intelligendarn alia facultate quam ima
ginativa qua recorda.rnur voces eiusmodi modo unam rem modo aliarn in animo exci
tesse » (n. 9). Ho modificato la traduzione del Pacchi.
234 FILOSOFIA MODERNA
• :B la tesi del verum-factum che abbiamo già trovata in Gassendi e che si ritroverà
nel Vico.
HOBBES 235
7
Pubblicato dal Tonnies come P Appendice alla sua edizione degli Elements of
Law, Cambridge, 1928.
HOBBES 237
Non c'è libertà: Neque libertas volendi vel nolendi maior est
in homine quam in aliis animalibus (ibid. ), poiché la volizione è
un motus e il moto è determinato dalla causa che lo produce. Nel
trattare della causa e dell'effetto, infatti, nel cap. 9° del De corpore
Hobbes aveva definito agente il corpo che genera o distrugge un
accidente in un altro corpo, e aveva assunto come esempio la tra
smissione del moto locale. Un corpo è agente perché è in moto e
urta un altro corpo, il quale si trova sulla sua traiettoria. (Il fatto
di essere in moto secondo una certa traiettoria è un accidente del
Bene e male sono relativi: bene è ciò che è desiderato, male ciò
che fuggiamo: itaque simpliciter bonum dici non potest; cum
quicquid bonum est, bonum sit aliquibus vel alicui (De homine,
cap. 11, n. 4). Ci può essere una cosa buona per molti, per esem
pio lo Stato; una cosa buona per tutti, per esempio la salute, ma il
bene è sempre relativo. Si dice che buone erano all'inizio tutte le
cose create da Dio, ma erano buone perché piacevano a Dio. Si dice
anche che Dio è buono; sl, risponde Hobbes: bonus est Deus
omnibus qui nomen eius invocant, non autem iis qui nomen eius
blasphemant (ibid. ). Il bene è dunque relativo alla persona, al luo
go, al tempo.
In base a questi presupposti Hobbes non può certo parlare di
una giustizia naturale, di una regola naturale di giustizia: « non vi
sono teorie autentiche sul giusto e l'ingiusto, sul bene e il male, al
l'infuori delle leggi istituite in ciascuno Stato, e nessuno può ricer
care se una azione sia giusta o ingiusta, buona o cattiva, ad eccezio..
ne di coloro cui è stata deferita l'interpretazione delle leggi » (De
cive, trad. Bobbio, p. 61).
Se Hobbes non può darci regole morali, valutazioni morali,
egli ci dà però una descrizione degli atteggiamenti umani, una fe
nomenologia della vita morale nei capp. 11, 12 e 13 del De homi
ne, dove dice che cosa, di fatto, gli uomini desiderano e fuggono;
quali sono le passioni, quali i temperamenti e i costumi umani. E le
sue descrizioni sono spesso lapidarie.
Gradevole (iucundum) è il bene quando è acquisito, bello è un
bene quando è considerato. Est enim pulchritudo obiecti qualitas
ea, quae facit ut bonum ab eo expectetur (De homine, cap. 11,
n. 5).
Tutto ciò che piace è bene, ma si può distinguere bene vero da
bene apparente considerando che la realtà è complessa, fatta di
elementi diversi, alcuni dei quali possono essere buoni, altri cattivi.
Ora quando si sbaglia il calcolo del bene e del male ( ossia di ciò
che piace o dispiace) in una realtà complessa, e si sceglie un oggetto
in cui c'è più male che bene, si sceglie un bene apparente. Il bene
primario è la propria conservazione: è un istinto naturale quello di
desiderare il proprio benessere, ed a questo occorrono la vita, la
salute e la sicurezza dell'una e dell'altra per il futuro. Di qui segue
240 FILOSOFIA MODERNA
tia, neque boni neque mali publici natura erat inter homines,
magis quam inter bestias (De homine, cap. 10, 5).
Ma la morale si riduce tutta alla giustizia? Non ci sono altre
virtù? Hobbes risponde che le altre tre virtù cardinali, fortezza,
prudenza e temperanza, non sono virtù del cittadino, ma del
l'uomo singolo, al quale sono utili.
All'obiezione, poi, che le leggi degli Stati mutano, che sono di
verse in tempi e luoghi diversi, Hobbes risponde che le leggi so
no la regola della giustizia nello Stato in cui valgono, mentre
valgono.
8. L'assolutismo politico
gola generale della ragione che ogni uomo deve procurare la pace
tanto per quanto egli ha speranza di ottenerla, e, quando non può
ottenerla, egli deve cercare ed usare tutti i mezzi ed i vantaggi
della guerra. La prima parte di questa regola contiene la prima e
fondamentale legge di natura che è: cercare la pace e conseguirla;
la seconda parte il sommo dei diritti di natura, che è: difendersi
con tutti i mezzi possibili » (Leviatano, I, cap. 14 ).
Dall'affermazione che nello stato di natura, avendo tutti ugual
diritto a tutti i beni, si avrebbe la guerra di tutti contro tutti, e
che la legge di natura spinge invece l'uomo a cercare la pace, Hob
bes trae la conseguenza che « il diritto di tutti a tutto non si deve
conservare, ma certi diritti si devono o trasferire o abbandonare »
(Sul cittadino, II, 3; trad. Bobbio). Bisogna però che tutti gli uo
mini abbandonino questi diritti, altrimenti non ne viene sicurezza
e pace per colui che li ha abbandon�ti. Quando un uomo ha ab
bandonato o ceduto un diritto, è obbligato a lasciare che colui al
quale lo ha ceduto ne tragga vantaggio. Questa obbligazione non è
per Hobbes niente altro che la coerenza della volontà che ha ce
duto il diritto (Leviatano, I, cap. 14 ). Da questa coerenza della
volontà deriva quella che Hobbes indica come seconda legge di
natura: pacta sunt servanda 12• Seguono altre leggi di natura: si de
ve essere grati a chi ci ha fatto un beneficio, altrimenti nessuno
sarà indotto a far benefici, e si avrà sempre uno stato di lotta. Altre
riguardano la compiacenza, la propensione al perdono, il non fare
ingiuria ecc. (Sul cittadino, cap. III; Leviatano, I, cap. 15). Tutte
queste sono dette leggi di natura perché sono conseguenze della
prima e fondamentale legge: la necessità della propria conservazione.
Ma queste, osserva Hobbes, sono piuttosto teoremi che leggi;
perché si possa parlare di legge in senso proprio, bisogna che ci sia
uno che comanda. E poiché queste cosi dette leggi di natura non
vengono osservate « senza il terrore di un qualche potere che le
faccia osservare », poiché sono contrarie alle nostre passioni, gli
uomini costituiscono questo potere fondando lo Stato, che non è
una società naturale come quelle delle api o delle formiche, ma è
un prodotto volontario.
Lo Stato nasce quando tutti gli uomini conferiscono « tutto il
12 Nel Leviatano questa è indicata come 3' legge perché la prima è sdoppiata.
HOBBES 245
del sovrano lo stabilire che cosa sia furto, omicidio, adulterio ecc.
Hobbes, è vero, aveva parlato di « leggi di natura che proibiscono
il furto, l'omicidio, l'adulterio » ecc., ma spetta allo Stato stabilire
che cosa sia furto, omicidio, adulterio etc. (Sul cittadino, VII >
p. 16).
L'unica legge naturale che Hobbes davvero riconosca è la ten
denza alla propria conservazione; questa infatti è l'unico limite che
Hobbes riconosca al potere dello Stato. Il sovrano non può co
mandare ad un cittadino di uccidersi, perché il singolo fa parte del
lo Stato per vivere.
Ma da questo spiraglio potrebbero rientrare molti dei diritti
naturali che Hobbes ha negati. « Se nessuno è tenuto ad accettare
di essere ucciso, dice H., tanto meno è tenuto a quello che gli sa
rebbe più gravoso della morte » (Sul cittadino, VI, 13 ). Quindi
nessuno può essere obbligato ad uccidere il proprio padre. « Vi so
no ancora molti altri casi in cui certi comandi possono essere ri
pugnanti ad eseguirsi per alcuni e non per altri, e allora, legitti
mamente, questi possono prestare obbedienza e quelli no: e ciò
senza ledere il diritto assoluto concesso al sovrano ».
All'obiezione che se un uomo ha un potere assoluto, egli potrà
fare ogni danno possibile ai cittadini, Hobbes risponde: 1) potrà,
ma non è detto che lo voglia, perché se lo volesse farebbe torto alla
giustizia e a Dio 13; 2) se lo facesse non ne avrebbe vantaggio; 3)
gli stessi pericoli ci sarebbero anche se il potere del sovrano fosse
limitato. « Chi ha forze bastanti per proteggere tutti, ne ha anche
a sufficienza per opprimere tutti » (Sul cittadino, traduz. Bobbio,
1a ed., p. 171). Cioè: il pericolo non viene dallo Stato in quanto
assoluto, ma dallo Stato in quanto tale. Se gli uomini fossero di
versi da quello che sono, e potessero fare a meno dello Stato,
questi rischi non ci sarebbero. In compenso, nello Stato con so
vrano assoluto, non ci sono i guai che ci sono negli Stati con limi
tazione di poteri, e cioè i disordini e le sedizioni.
dere) questi dati? E, per quel che riguarda l'etica e la politica, rie
sce Hobbes ad esser coerente col suo convenzionalismo etico? A chi
scrive sembra ci siano alcuni strappi nel sistema. Se il mondo
umano deve essere solo descritto (per poi esser sottoposto alla
legge positiva), donde vien fuori la tesi dell'uguglianza di tutti gli
uomini? L'uguaglianza degli uomini è un dover essere, fondato
sulla natura razionale dell'uomo; non è un dato della sua natura
animale. Sul piano animale non è vero che gli uomini siano uguali
e abbiano i medesimi « diritti »: c'è chi è nato leone e chi è nato
pecora. Perché non dichiarare « giusto » il diritto del più forte,
come fanno Callicle e, in tempi più vicini a noi, Nietzsche, anzi
ché l'obbedienza a una legge uguale per tutti, come fa Hobbes?
Inoltre, come si giustificano quei limiti all'obbedienza (il sovrano
non può obbligare a suicidarsi e a tutto ciò che sarebbe più gravoso
della morte)?
Sono strappi alla coerenza del sistema, ma forse ammissioni di
una verità che si fa strada attraverso queste brecce.
CAPITOLO DECIMO
I PLATONICI DI CAMBRIDGE
E NEWTON
1. I platonici di Cambridge
ciale poi il mondo della vita, la bellezza delle piante, la loro uti
lità per l'uomo, le leggi della loro riproduzione, enumerate da
More con sovrabbondanza e con una certa ingenuità, attestano che
una ragione, un piano ha presieduto alla loro struttura. Altrettanto
si dica per il mondo animale. Il primo libro dell'Antidoto contro
l'ateismo termina con queste parole: « Poiché tutta la creazione
in generale ed ogni parte di essa è così ordinata come se la più
eccellente Ragione e Conoscenza l'avesse progettata, è naturale
concludere che tutto ciò è opera di un Dio sapiente, cosi come
quando si scavano dalla terra urne e monete che portano iscrizioni
si riconosce a prima vista che esse non sono prodotti di una na
tura cieca, ma opera dell'uomo... » (in Patrides, p. 285). More
arriva poi a credere anche ai fatti prodigiosi di stregoneria come
testimonianze dell'esistenza di Dio.
Altra verità fondamentale è l'immortalità dell'anima, alla qua
le More dedicò una intera opera cercando di dimostrarla con una
serie di assiomi che mirano a sottolineare la differenza dell'ani
ma, penetrabile e indivisibile, dal corpo. Lo spiritualismo di Mo
re si oppone tuttavia al dualismo cartesiano: anche lo spirito,
come ogni sostanza, è esteso e per questo può penetrare ogni real
tà. Lo spazio è infinito ed è organo della presenza di Dio nello
universo. Questa dottrina, svolta specialmente nell'Enchiridion
Metaphysicum, influi sulla concezione newtoniana dello spazio.
Il finalismo della natura non si spiega per i platonici di Cam
bridge con un intervento divino dall'esterno: c'è nella natura
stessa una forza vitale, una « natura plastica », che, appunto, pla
sma i corpi che costituiscono l'universo.
A tale « natura plastica » RALPH CuowORTH, il più sistema
tico di questi autori, dedica una parte 3 della sua vasta opera Il
vero sistemi: intellettuale dell'universo (1678). La natura plastica
è « uno strumento inferiore e subordinato » della Provvidenza di
vina, una forza spirituale, ma inconsapevole, che pervade la natura.
Con questo concetto Cudworth si oppone non solo al meccanicismo
assoluto, per dir cosi, cioè alla concezione che nega ogni finalità e
vede nell'universo il risultato del caso, ma anche al meccanicismo
cartesiano che vede, sì, Dio all'origine del moto locale, ma con-
sidera il divenire del mondo come il risultato delle leggi del moto
applicato ad una materia amorfa, ridotta a pura estensione. Afferma
invece che la sua concezione riprende quella platonica dell'anima del
mondo, la teoria di Aristotele che afferma la presenza di una forma
in ogni corpo e di un'anima vegetativa nei viventi e di un'anima sen
sitiva negli animali, la teoria stoica delle rationes seminales, accettata
anche da Plotino.
Se tutta la natura è in certo modo viva e attiva, a maggior ra
gione questi caratteri si ritrovano nell'uomo e nella conoscenza,
Contro Hobbes, Cudworth afferma che la sensazione non è un passi
vo ricevere delle impressioni dai corpi, ma è già una attività del
l'anima, la quale però non si limita a sentire. Oltre le sensazioni
la mente « ha le idee delle nature intelligibili e delle essenze
universali delle cose, idee con le quali essa conosce i singolari.
È una opinione ridicola di uno scrittore ateo moderno [Hobbes]
che gli universali non siano altro che nomi attribuiti a molti corpi
singolari, dato che tutto ciò che esiste è singolare » (in Cragg, p.
196). Cudworth riconosce che tutto ciò che esiste è singolare,
ma questo non impedisce che nozioni universali siano oggetti della
nostra mente benché non esistano fuori della mente stessa. Alcune
nozioni universali, come quelle degli enti geometrici, presentano
oggetti che non esistono né possono esistere sensibilmente (non
esistono perfette figure geometriche in natura) e su queste nozio
ni si fondano « verità assiomatiche ». Di qui Cudworth ricava un
argomento per dimostrare l'esistenza di Dio. Se infatti nozioni e
verità universali, valide per tutti i tempi e tutti i luoghi, non
esistono in rerum natura, eppure hanno un valore oggettivo, es
se debbono esistere in una mente eterna ed infinita, della quale le no
stre menti imperfette sono una certa partecipazione (in Cragg,
p. 198). È questo l'argomento ex veritatibus aeternis, caro a S. Ago
stino, ma S. Agostino non è citato. Ma per i platonici di Cam
bridge S. Agostino è sopra tutto l'assertore della predestinazione,
il S. Agostino interpretato da Calvino, quindi si capisce la loro
poca simpatia, che a prima vista può sorprendere, per questo tipico
esemplare di neoplatonismo cristiano. Cudworth prende poi in esa
me le obiezioni correnti al suo tempo contro l'esistenza di Dio;
la più forte è certo quella che si basa sull'esistenza del male. Nel
le lunghe considerazioni di Cudworth il pensiero dominante è che
i limiti del1a nostra conoscenza, sia i limiti di tempo sia quelli di pe-
I PLATONICI DI CAMBRIDGE 255
2. Newton
'Le « Boyle Lectures » erano conferenze che si tenevano nella cattedrale di S. Paolo
a Londra per volontà di Robert Boyle il quale, nel suo testamento, aveva disposto un
lascito per compensare un dotto teologo che tenesse otto sermoni l'anno « per dimo
strare la religione cristiana contro atei, teisti (sic), pagani, ebrei e maomettani, ma
senza abbassarsi alle controversie fra cristiani» (dt. da P. CASINI, L'universo-macchina,
cit., p. 58).
I PLATONICI DI CAMBRIDGE 257
' II termine è usato la prima volta da W. Derham. Cfr. P. CASINI, op. cit.,
p. 149 ss.
' Nello Scolio agli « Assiomi o leggi del movimento» dei Principi (trad. Pala,
p. 126) Newton dice: « Per mezzo delle prime due leggi [che esprimono il principio
di inerzia] Galileo trovò che la caduta dei gravi è proporzionale al quadrato del tem
po, e che il moto dei proiettili avviene secondo una parabola... ».
258 FILOSOFIA MODERNA
]. LOCKE
( 1632-1704)
l. Cenni biografici
* Opere complete: The Works, London, printed for J. Johnson etc., 1801 10,
10 vols. A cui vanno aggiunte le più recenti pubblicazioni di inediti, in genere con
servati nella raccolta della Lovelace Collection della Bodleian Library: tra queste ri
cordiamo An Early Draft of Locke's Essay. Together with Excerpts /rom bis fournals,
ed. by Aaron and Gibb, Oxford, University Press, 1936, e Essays on the Law of Nathure,
ed. by W. Von Leyden, Oxford, At the Oarendon Press, 1954.
Traduzioni italiane: Saggio sull'intelligenza umana, a cura di C. Pellizzi, Bari,
Laterza, 1951 (riedito in Univ. Laterza, con prefazione a cura di C. A. Viano nel
1972); Saggio sull'intelletto umano, a cura di M. e N. Abbagnano, Torino, U.T.E.T.,
1971; Scritti editi ed inediti sulla tolleranza, a cura di C. A. Viano, Torino, Taylor,
1961; Due trattati sul governo civile, a cura di L. Pareyson, Torino, U.T.E.T., 1948.
Repertori bibliografici: H. O. CHRISTOPHERSEN, A Bibliographical Introduction
to the Study of f. L., Oslo 1930 (ried. anast. New York, Burt Franklin, 1968);
R. HAAL and R. WooLHousE, Forty Years of Works on f. Locke (1929-1969), in « Philoso
phlcal Quartely » XX, n. 80 (July 1970), pp. 258-268; P. LONG, A Summary Catalogue
of Lovelace Collection of the Papers of J. L. in the Bodleian Library, Oxford, Biblio
graphical Society Pubblications, University Press, 1959.
Biografie: P. KING, The Life of J. Locke, with Extracts from his Correspondence,
]ournals, and Common Piace Books, London, H. Colbum, 1829; M. CRANSTON, fohn
Locke: A Biography, London, Longmans, 1957.
Studi sulla filosofia di J. Locke: R. I. AARON, fohn Locke, Oxford, at Clarendon
Press, 1937 (1955', 1965 in Oxford Paperbacks); J. W. YoLT0N, ]ohn Locke and
the way of Ideas, Oxford, at the Clarendon Press, 1956; C. A. VIANO, fohn Locke:
dal Razionalismo all'Illuminismo, Torino, Einaudi, 1960; AA.VV., fohn Locke: Pro
blems and Perspectives, Cambridge, at the University Press, 1969.
262 FILOSOFIA MODERNA
1
Citiamo il Saggio nella traduzione di C. Pellizzi, ma per rendere agevole il ri
scontro delle citazioni a chi avesse altre edizioni indichiamo il libro, col numero, ro
mano, il capitolo, col primo numero arabo, e il paragrafo, col secondo numero arabo.
LOCKE 263
pubblicato dal King nella sua Vita di Locke (Londra 1830) che
porta come titolo Sic cogitavit de intellectu humano Johannes
Locke, an. 1671. Il manoscritto scoperto e pubblicato da Aaron
e Gibb va sotto il nome di Abbozzo A (Draft A) del Saggio, ed è
stato tradotto da V. Sainati in appendice al Saggio, nella traduzio
ne del Pellizzi. Non sembra possibile tuttavia che Locke avesse
redatto uno scritto così lungo per leggerlo in un gruppo di amici;
perciò il Sainati pensa che solo il primo paragrafo dell'Abbozzo A
fosse il paper destinato ad essere discusso con gli amici: il resto do
vé essere aggiunto un po' dopo. Ancora nel 1671 Locke rifece la
trattazione e scrisse l'Abbozzo B 2• Lavorò ancora a quest'opera per
vent'anni e nel 1690 pubblicò il Saggio sull'intelligenza umana.
2. Le idee
2
Tradotto da A. Carlini, col titolo La conoscenza umana nella P. B. F. Laterza.
264 FILOSOFIA MODERNA
3
Anche se, come abbiamo osservato, Galileo e Cartesio concepiscano diversamente
tale soggettività. Per Galileo è una soggettività fisiologica (le qualità risiedono « nel
corpo sensitivo » ), per Cartesio una soggettività mentale (le qualità sono « pensieri »,
« sentimenti » ).
• Anche questa distinzione non sembra giustificata, in Locke: se infatti oggetto
immed'ato di conoscenza è solo, e sempre, l'idea che è nella mente, non si vede
bene in cosa la sensazione differisca dalla riflessione. E infatti Condillac ridurrà tutta
l'esperienza a sensazione.
LOCKE 265
!
di sensazione
da diversi sensi
! • (qualità primarie)
semplici di riflessione
(idea di percezione, di volontà ecc.)
l
di sensazione e riflessione
(potenza, esistenza, unità)
3. Il giudizio
4. La verità
5. Le proposizioni generali
6. Le leggi fisiche
8. Esistenza di Dio
5
Mi pare una allusione a Cartesio.
LOCKE 271
9. L'etica
6
A. C. VIANO, J. Locke, cit., pp 165-166.
LOCKE 273
1
Op. cit., p. 174.
• Op. cit., p. 179.
9
Tradotto di L. Pareyson, in appendice ai Trattati sul governo civile.
274 FILOSOFIA MODERNA
G. BERKELEY
(1685-1753)
l. L'ispirazione religiosa
2. Cenni biografici
2
Cit. da A. CAMPBELL FRASER nell'introduzione alle Opere (Tbe Workr of G.
B. voi. I, p. XXXI).
3
Cfr. A. A. LUCE, Tbe Li/e of G. Berkeley (è il I voi. delle Opere), pp. 50-51.
280 FILOSOFIA MODERNA
' Si noti l'equivalenza fra il « fuori dello spirito» e l'« a distanza» per rendersi
conto dell'ambiguità del termine, cosl spesso usato, « fuori di noi ». Se, infatti, il
" fuori " esprime una relazione spaziale o una distanza, non ha senso parlare di « fuori
dello spirito»; se esprime una distinzione, non si può negare che un colore sia distinto
dallo spirito che lo percepisce, altrimenti si dovrebbe parlare di spiriti colorati.
282 FILOSOFIA MODERNA
7
Qui può essere interessante osservare che Condillac nel Trattato delle sensazioni
( 1754) parte pure dalle sensazioni più legate al sentimento di piacere-dispiacere per
giustificare l'affermazione che la sensazione è una nostra « maniera di essere». Dico
che può essere interessante perché Condillac vuol essere seguace di Locke, e porta a
conseguenze più radicali la teoria della conoscenza di Locke negando la differenza
fra sensazione e riflessione e riducendo tutta la conoscenza a sensazione. Non solo:
Condillac si avvicina notevolmente ad una concezione materialistica dell'uomo. Dun
que si vede che la teoria che riduce gli oggetti sensibili a sensazioni, a « maniere di
essere» del soggetto, non è affatto legata all'idealismo come concezione della realtà, ma
nasce dai problemi che la nuova scienza ( nota a idealisti e a realisti, a razionalisti e ad
empiristi) pone a proposito dell'oggettività delle qualità sensibili.
BERKELEY 285
sembra che, sebbene io non possa osservare con gli occhi della car
ne Dio invisibile, tuttavia nel senso più rigoroso osservo e percepi
sco con tutti i miei sensi tali segni e indizi, tali effetti e operazioni,
da suggerire, indicare e dimostrare un Dio invisibile cosl certamen
te, e con la stessa evidenza, almeno, con cui altri segni percepiti dal
senso mi suggeriscono l'esistenza della vostra anima, spirito o prin
cipio pensante ... (Al.cifrane, IV, 5; trad. Guzzo, p. 205).
6. L'etica
comune (I, 3 ). Alcifrone spiega poi come sia nato il libero pen
siero. I liberi pensatori hanno osservato che nella storia umana
ci sono religioni diverse e contraddittorie e ne hanno concluso che
tutte sono ugualmente false e fantastiche (I, 6). Le hanno inven
tate i capi per tenere a freno i popoli (I, 7). Invenzione dei capi
anche l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima (I, 7).
Che cosa è vero per voi, domanda Eufranore? E Alcifrone ri
sponde: quello in cui tutti gli uomini sono d'accordo: impulsi, ten
denze naturali al mangiare, al bere, al riposo. E qui viene il ter
mine « filosofi minuti »; ma Alcifrone lo intende in questo sen
so: filosofi che traggono le loro conclusioni da una considerazio
ne minuta, ossia precisa, particolareggiata delle cose, fondata sul
l'esperienza e non su idee vaghe.
Ma la concezione della vita che hanno questi filosofi, ribatte
Eufranore, rende impossibile la felicità umana, poiché la felicità
umana non può essere quella del singolo, ma deve essere la fe
licità generale della specie umana (I, 16). Ora - ecco la tesi cen
trale di Berkeley - è impossibile che gli uomini si comportino
in modo tale da procurare il bene comune, se non sono persuasi
che esiste una legge morale, che è legge divina, e che ci sarà una
vita futura (I, 16).
I liberi pensatori vogliono allora dimostrare che la vita so
ciale è possibile anche senza la fede in Dio e nell'immortalità del
l'anima.
Nel secondo dialogo Lisicle ( altro rappresentante dei liberi
pensatori) cerca di dimostrare che anche la ricerca del piacere e
dell'utile individuale può portare al bene pubblico ed espone la
teoria esposta da Mandeville nella Favola della api 8• La presentazione
che Lisicle fa della dottrina di Mandeville è veramente molto sini
stra: altro che fondare la vita sociale sul timor di Dio, come aveva
detto nel I Dialogo il pio Eufranore! La vita sociale si fonda sui vizi
degli uomini. Pensate a quanto lavoro dànno i bevitori e gli ubria-
8
BERN. MANDEVILLE ( 1670-1733) pubblicò anonimo nel 1705 un poemetto allego
rico sull'alveare (L'alveare in fermento), nel quale faceva vedere che quando le api
diventano virtuose, l'alveare va in rovina. Nel 1714, con lo stesso concetto, pubblicò
(sempre anonimo) la Favola delle api che portava questo significativo sottotitolo: Viz:ii
privati, pubblici benefici. Con un commento: Ricerca sull'origine della morale. Nell'edi
zione del 1729 seguivano sei dialoghi, oltre a una giustificazione della teoria esposta.
Nel 1732 Mandeville rispose anche a Berkeley.
288 FILOSOFIA MODERNA
1. Shaftesbury
ANToNY AsHLEY CooPER, conte di SHAFTESBURY (1671-1713)
fu educato da Giovanni Locke, e del maestro ereditò le conce
zioni liberali in politica, ma non l'avversione all'innatismo, so
pra tutto per quel che riguarda i principt morali. Anzi, in una
lettera ad uno studente 1, dice che Locke col negare ogni idea in
nata, ha contribuito alla rovina della morale. E la morale è per
Shaftesbury l'unica parte davvero importante della filosofia. Po
co importano le teorie sullo spazio e sul vuoto, sulla sostanza,
sulle idee semplici e complesse: quello che importa è conoscere
l'uomo, avere un concetto del bene e del male, sapere come ci dob
biamo comportare. A questi problemi sono dedicati i saggi di
Shaftesbury, raccolti sotto il titolo generale di Characteristics of
Men, Manners, Opinions, Times 2• Lo scritto più sistematico è il
Saggio sulla virtù e il merito 3•
Shaftesbury non fu filosofo di professione: fu un gentiluomo
colto, animato da interessi morali e politici. Vissuto in un'epoca
e in un paese in cui le controversie religiose erano violente, e
* Una preziosa e ampia antologia di questi moralisti inglesi del '700 è la raccolta
curata da L. A. SELBY BIGGE, British Moralists, Oxford, 1897, ristampata nelle Dover
Publications, New York, 1965, 2 voll.
1 Citata da L. BANDINI, Shaftesbury, Bari, Laterza, 1930, p. 145. Su Shaftesbury si
veda L. ZANI, L'etica di Lord Shaftesbury, Milano, Marzorati, 1954; F. PISELLI,
Shaftesbury. Etica e cosmologia, in « Riv. di filos. neoscolastica» LXI (1969), pp. 425-460.
1 Ed. a cura di J. M. Robertson, Londra, 1900.
3
Traduzione italiana a cura di E. Garin, Torino, Einaudi, 1946.
292 FILOSOFIA MODERNA
2. Hutcheson
• An Jnquiry into the Original of our Ideas of Beauty and Virtue: in two Treatises,
in which the principles of the late Earl of Shaftesbury are explained and defended,
against the Author of the Fable of the Bees; and the Ideas of Moral Good and Evil
are established, according to the Sentiments of the Ancient Moralists. with an attempt
to introduce a Mathematical Calculation in subjects of Morality. Cito dalla 5' ed., Lon
don, 1753 (il numero dei paragrafi non corrisponde sempre a quello della 2• ed., ripro
dotto da Selby - Bigge, British Moralists, cit.).
' An Essay on the Nature and Conduct of the Passions, with Illustration on the
Moral Sense.
Su Hutcheson si veda G. DE CRESCENZO, Francis Hutcheson e il suo tempo, Torino,
Taylor, 1968; L. VIGONE, L'etica del senso morale in F. Hutcheson, Milano, Marzo
rati, 1954.
298 FILOSOFIA MODERNA
D. HUME
(1711-1776)
1. Cenni biografici 1
2. Hume e Hutcheson
3. Impressioni e idee
' Il primo numero romano indica il libro, il secondo la parte, il numero arabo
la sezione. Cito il primo libro del Trattato nella traduzione Carlini; dei passi citati
degli altri libri la traduzione è mia, perché li avevo già inseriti in questo capitolo
prima che uscisse la traduzione citata delle Opere.
HUME 305
3
Se ci domandassimo perché Hume dice questo, dovremmo rispondere: perché
per lui l'idea è semplicemente copia dell'impressione. E ci trovere=o di fronte ad
una petizione di principio. Hume afferma che le idee sono copie delle impressioni
perché nega ogni differenza specifica fra nozioni particolari e nozioni universali, e
nega tale differenza perché afferma che le idee sono copie delle impressioni.
HUME 307
5. Spazio e tempo
La terza parte del primo libro del Trattato parla della conoscen
za e della probabilità. Hume prende il termine conoscenza nel signifi
cato lockiano, ossia come equivalente a giudizio, a percezione di un
rapporto fra idee. Anzi, per conoscema in senso stretto Hume inten
de la percezione di rapporti necessari fra idee, relations of ideas;
conoscenza infallibile, perché non fa che enunciare ciò che è conte
nuto nelle idee stesse, non va oltre ciò che è contenuto nell'idea del
soggetto quando enuncia un giudizio. La nozione humiana di rela
zione fra idee corrisponde press'a poco a quella kantiana di giudizio
analitico o a quella leibniziana di verità di ragione.
Oltre alle relazioni di idee la conoscenza è costituita di « mate
rie di fatto », ossia di giudizi su un dato di esperienza (giudizi sinte
tici a posteriori).
Ma c'è una singolare relazione che ci permette di andar oltre ciò
che è contenuto in un'idea, ed è la relazione di causalità. « La causa-
HUME 309
lità sola produce una tale connessione da darci la certezza che all'esi
stenza o àll'azione di un oggetto segui o precedette un'altra esisten
za» (Trattato, I, II, 2). In altre parole le« relazioni fra idee» sono
stabilite in base al principio di non-contraddizione; il nesso è quello
dell'identità; nel caso del rapporto causale invece noi stabiliamo
un rapporto necessario, ma di una necessità che non è la contraddit
torietà del contraddittorio, per usare una espressione di Bontadini.
Come è possibile questo? Si capisce che questo problema humiano
svegliasse Kant dal suo sonno dogmatico.
La relazione di causalità, dicevamo, è quella che ci permette di
connettere necessariamente idee diverse. Non solo: la causalità è la
sola relazione che ci permette di affermare«l'esistenza di oggetti che
non vediamo né sentiamo», l'esistenza di ciò che non è impressione.
Di qui l'importanza della causalità e la necessità di analizzarne il
concetto.
L'idea di causalità, dice Hume, implica quelle di contiguità spa
ziale e di successione, ma contiene qualcosa di più: l'idea di connes
sione necessaria. Bisogna dunque vedere come sorga questa idea. E
qui Hume pone due problemi: « 1. Perché diciamo necessario che
tutto ciò che ha un inizio debba avere anche una causa? 2. Perché af
fermiamo che certe cause particolari debbono necessariamente avere
certi particolari effetti? » (Trattato, I, Il, 2).
La prima proposizione non è una relazione fra idee, non è « né
intuitivamente né dimostrativamente certa», ossia non è tale che il
negarla implichi contraddizione, perché connette idee diverse, e
tutto ciò che è distinguibile è separabile. L'idea di ciò che incomincia
è distinta dall'idea di ciò che è causato, prodotto. Hume ha poi da
vanti agli occhi, per dir così, alcuni infelici tentativi di dimostrare la
proposizione « ciò che incomincia è causato» (Hobbes, Clarke) e
questi infelici tentativi lo confermano nell'opinione che la propo
sizione non è una « relazione di idee».
Vediamo dunque se essa può derivare dall'esperienza.
Ora l'esperienza può offrirci solo relazioni fra oggetti parti
colari. Si capisce quindi che Hume risolva il primo problema nel
secondo: « Perché diciamo che certe particolari cause debbono
avere di necessità certi particolari effetti, e perché facciamo que
st'inferenza da quelle a questi? » (Trattato, I, III, 3 ).
Il rapporto causale non è percepito, non è colto immediatamen
te. Su questo punto Hume si ferma poco nel Trattato e indugia in-
310 FILOSOFIA MODERNA
5
Quello che interessa la metafisica è che egli abbia negato che il principio: « ciò
che incomincia è causato » sia una relation of ideas, e lo abbia ridotto ad una sem
plice generalizzazione delle affermazioni con le quali risaliamo dai particolari effetti
alle particolari cause. Questa saldatura operata da Hume di un principio metafisico
con le proposizioni sui rapporti fra determinate cause e determinati effetti - ossia
con le leggi della fisica -, questa contaminazione fra una tesi metafisica e proposizioni
scienti.fiche è il punto più discutibile della teoria di Hume. È quella che ha influito
su Kant. È quella che ha dato luogo a quell'ambiguo « principio di causalità» che
non si sa bene che cosa voglia dire.
HUME 313
Nella IV parte del primo libro del Trattato, dopo aver espo
sto, nella III, la dottrina sulla causalità, Hume si domanda se la
sua dottrina sia scetticismo. E risponde che dallo scetticismo non
ci salva la ragione, ma la « natura », un istinto naturale, come si
vede appunto per ciò che riguarda l'esistenza dei corpi. Si badi
infatti al modo in cui Hume pone il problema: « Possiamo ben
chiedere quali sono le cause che ci inducono a credere nella esi
stenza dei corpi; ma è vano domandare se i corpi esistano o no;
ché questo è un punto che dobbiamo presupporre in tutti i nostri
ragionamenti » (Trattato, I, IV, 2).
Per corpo Hume intende qualcosa di permanente e di avente
« un'esistenza distinta dalla mente e dalla percezione ». Ora è
significativo il fatto che Hume parli prima dei corpi come per
manenti, e poi dei corpi come distinti, perché, dice Hume, noi
ci persuadiamo che i corpi sono distinti dalla mente perché sia
mo convinti che essi continuano ad esistere anche quando non li
percepiamo. Se infatti esistono anche quando non li percepiamo,
sono distinti dalla percezione che ne abbiamo.
E qui - in sede di critica - ci potremmo chiedere come mai
Hume ci parli di una mente nella quale esisterebbero le percezio
ni, poiché finora egli ci ha detto soltanto che esistono impressioni
e idee - e più avanti dirà che, almeno in un certo senso, non
possiamo parlare della mente come di un soggetto delle impres
sioni -. Dovremmo rispondere, credo, che Hume presuppone
continuamente (o piuttosto presuppone a intermittenze) come di
mostrato dai « filosofi » che i dati, gli oggetti presenti, siano mo
dificazioni della mente. Hume oscilla fra un atteggiamento spre
giudicato, puramente fenomenologico - per il quale le impres
sioni sono i dati ultimi -, e un atteggiamento carico di pregiu
dizi « filosofici », ossia soggettivistici, dualistici, gnoseologistici,
per esprimerci in termini bontadiniani. Quando è nel primo at
teggiamento considera le impressioni come dati, quando è nel se
condo le considera come modificazioni di una mente, della quale
non ha mai dimostrato l'esistenza. Nel secondo atteggiamento egli si
appoggia all'autorità dei « filosofi », che sono Cartesio, Locke,
Berkeley. Quando infatti Hume si pone la domanda: ma non
potrebbero le impressioni (i dati) apparirci immediatamente co
me distinte da noi? - risponde: se i sensi ci presentassero le lo
ro impressioni come distinte, ci ingannerebbero (Trattato, I, IV,
314 FILOSOFIA MODERNA
vedere volgare, oltre quelle che gli sono proprie », e non soddisfa
né la ragione né l'immaginazione. Non la ragione, perché una
volta che ci si è chiusi nel soggetto, non c'è più modo di uscirne,
con la ragione. « Se noi non fossimo fin da principio persuasi che
le nostre percezioni sono i nostri soli oggetti, e che continuano
ad esistere anche quando non appariscono più ai sensi, non sa
remmo mai indotti a pensare che le nostre percezioni e gli ogget
ti sono differenti... ». Non l'immaginazione, ossia il modo di senti
re comune, perché per questo i corpi sono immediatamente per
cepiti.
Quindi bisogna riconoscere che la ragione per sé ci portereb
be allo scetticismo, e che da questo ci salva l'istinto o l'impul
so naturale che ci fa credere all'esistenza dei corpi. Questa non è
perciò l'oggetto di una teoria o di una dimostrazione, ma è og
getto di fede o credenza.
Se ci domandassimo quindi a che cosa approda l'esame della
conoscenza per Hume, dovremmo rispondere: esistono impres
sioni e idee - dati originari e dati sbiaditi -. Noi crediamo che
quei complessi di impressioni che chiamiamo corpi esistano anche
indipendentemente da noi, esistano anche quando non sono pre
senti, perché le loro idee acquistano dalla vicinanza con le im
pressioni quella vivacità che costituisce, appunto, l'esistenza.
Resterebbe da chiedersi che cosa è quel noi, o io, di cui Hu
me parla. Hume ce lo dirà più avanti.
9. La sostanza
dire che l'io sia il soggetto identico di tutti i percepiti, ma che l'io sia il soggetto
identico di tutti gli atti di percepire.
10
The Philosophy of D. Hume, cit., p. 96.
HUME 319
Questo tuttavia non spiega ancora come mai l'io sia distinto
dai corpi: fascio di percezioni l'io, fascio di percezioni la casa;
come mai riferisco le percezioni della casa all'io?
A questo problema risponde il secondo libro del Trattato,
quello dedicato alle passioni.
Le passioni sono « impressioni di riflessione» o impressioni
secondarie, cioè impressioni che nascono da precedenti impres
sioni (impressioni di sensazione) o da idee. Il dolore di una cri
si di gotta è una impressione di sensazione; il dispiacere di
questo dolore, la paura che si ripeta, la speranza che passi, sono
impressioni di riflessione e, precisamente, passioni.
Hume distingue le passioni in: dirette e indirette.
« Per passioni dirette intendo quelle che nascono immedia
tamente dal bene o dal male, dal dolore o dal piacere. Per passio
ni indirette quelle che procedono dai medesimi princip1, ma per
unione di altre qualità» (Trattato, II, I, 1). Esempi delle prime
sono: desiderio, avversione, dispiacere, gioia, timore, sicurezza;
delle seconde: orgoglio, umiltà, ambizione, vanità, amore, odio,
invidia, pietà. Hume dedica una lunga trattazione alle passioni
indirette: 122 pagine nell'ediz. Selby-Bigge 11, contro una venti
na alle passioni dirette, e si che nella trattazione di queste entra
anche la libertà),
Ora quando Hume parla delle passioni ammette che in que
ste ci sia una immediata coscienza dell'io. Parlando infatti del-
14 E curioso che un empmsta come Hume dichiari falsa una «sensazione», una
esperienza, in nome di una inferenza che lo spettatore potrebbe fare dal nostro ca
rattere. A questo proposito vorrei ricordare l'osservazione di Bergson che se uno
conoscesse tutti gli antecedenti di una volizione, quest'uno coinciderebbe col sog
getto stesso che vuole. A proposito poi della regolarità dei comportamenti umani,
data una certa situazione e un certo carattere, ci si potrebbe chiedere quanto, nel
carattere, è dato dalle condizioni naturali e quanto è dovuto alla stessa volontà, è
condotta passata dell'agente. Il carattere è un dato o è, in parte, anche un prodotto
della nostra volontà? Infine credo che nessun assertore della libertà abbia mai iden
tificato la libertà col caso, con l'assoluta indeterminazione, come fa Hume.
15 E qui si vede ancora quale strano concetto abbia Hume della libertà. Anche qui
egli ripete «libertà o caso ».
HUME 325
13. La morale
Nella Ricerca Rum.e comincia dicendo che la distinzione fra
il bene e il male è innegabile; il problema non è se ci siano azioni
moralmente buone e azioni moralmente cattive, ma come arrivia
mo a valutare certe azioni come buone e altre come cattive:
« quale sia il fondamento generale della morale », se sia la ragio
ne o il sentimento. Nel Trattato il problema è posto cosi: « Di
stinguiamo il vizio dalla virtù per mezzo di idee o di impressio
ni? » (Trattato, III, I, 1 ).
C'è chi afferma che la virtù non è altro che la conformità alla
ragione: è la tesi del razionalismo etico di Cudworth, ripreso poi
da Clarke (1675-1729) e da Wollaston (1659-1724 ). Contro que
sta tesi Rume obietta: le convinzioni morali hanno un influsso
sulle nostre azioni; ora la ragione - come si è detto - non ha
un tale influsso; dunque le valutazioni morali non sono opera del
la ragione. Se, infatti, la moralità consistesse nella conformità
alla ragione, dovrebbe essere o conf,Jrmità a rapporti tra idee, o
conformità a verità di fatto; e invece non è né l'una né l'altra co
sa. Quale rapporto fra idee potrebbe esprimere l'esigenza mora
le? Solo un rapporto fra certi atti interiori (di volontà) e certi og
getti esterni 16• Ora: 1) non è possibile conoscere un rapporto
essenziale fra una cosa e un'altra (come Rum.e ha detto nel pri
mo libro a proposito della causalità); e 2) anche se potessimo co-
•• Non ci sono doveri verso se stessi, secondo Hume.
HUME 327
1
14. Il « senso comune» contro Hume. T. Reid (1710-1796) '
21
Forse Reid non si rendeva conto di quanto era vicino a Hwne con questa af
fermazione.
CAPITOLO QUINDICESIMO
L'ILLUMINISMO INGLESE 1
[MARIO SINA]
Come agli animali Dio diede per guida l'istinto, cosl « egli
diede all'uomo la ragione quale sua regola suprema e pietra di pa
ragone per esaminare e scegliere a vantaggio sia del corpo sia del-
1 Tra gli studi generali sull'illuminismo ricordo solamente quelli classici di E. CAS·
SIRER, La filosofia dell'Illuminismo (1 ed. Tubinga 1932), tr. it. di E. Pocar, La Nuova
Italia, Firenze 1936; di P. HAzARD, La crisi della coscienza europea (I ed. Parigi,
1934), tr. it. a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1946, e Il Saggiatore, Milano 1968, e
ID., La pensée européenne au XVIII siècle: De Montesquieu à Lessing, Boivin, Paris,
1946, 3 vols; e quelli più recenti di P. CASINI, Introduzione all'Illuminismo. Da Newton a
Rousseau, Laterza, Bari 1973 e di F. VALJAVEC, Storia dell'Illuminismo, trad. it. di
B. Bianco, Il Mulino, Bologna 1973.
Tra gli studi generali sull'illuminismo inglese sono di utile lettura le opere di J.
LELAND, A View of the principal Deistical Writers that have appeared in England in
the last and present Century, Printed for B. Dod, London 1754-56 in 3 vols.; G. V.
LEcHLER, Geschichte des englischen Deismus, J. G. Cottascher Verlag, Stuttgart 1841
(ed. fotost. 1966); L. STEPHEN, History of English Thought in the Eighteenth Century
(I ed. London 1876), Harbinger Books, London 1962; J. M. RoBERTSON, A History
of Freethought ancient and modern to the period of the French Revolution (I ed. Lon
don 1899 col titolo A Short History... ), Watts and Co., London 1936, 2 vols.; B. WIL·
LEY, The Seventeenth-Century Background, Chatto and Windus, London 1934 e The
Eighteenth-Century Background, ivi 1940 (entrambi con numerose ristampe nei Pelican
Books); E. GARIN, L'illuminismo inglese. I moralisti, Bocca, Milano 1941; G. R. CRAGG,
From Puritanism to the Age of Reason, University Press, Cambridge 1950 e Reason
and Authority in the Eighteenth Century, ivi 1964; C. MoTZo DENTICE D'AccADIA,
Preilluminismo e Deismo in Inghilterra, Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1970.
Sempre di grande utilità sono le voci del Dictionary of National Biography dedicate ai
singoli autori.
Indicazioni utili sulla bibliografia relativa all'illuminismo francese sono date da A.
C!ORANESCU, Bibliographie de la littérature française du XVIII• siècle, CN.R.S., Paris,
1969, 3 vols, e da D. C. CABEEN, A Criticai Bibliography of French Literature, voi. IV,
The Eighteenth Century, ed. G. R. Havens and D. F. Bond, University Press, Syracuse
1951, col relativo Supplement, ed. R. Brooks, 1968.
334 FILOSOFIA MODERNA
' Scritto di CH. GILDON, datato 1686, apparso poi come Preface all'opera dell'amico
ù1. BwuNT, The Oracles of Reason, London 1693.
ILLUMINISMO INGLESE 335
3
Per quanto riguarda il problema dell'etica �i vedano le pagine di questo volume
dedicate espressamente a questo argomento.
336 FILOSOFIA MODERNA
da parte del singolo uomo, con l'uso della « natural light», la ve
rità religiosa - e, implicitamente, la convinzione della capacità
morale e razionale dell'uomo di raggiungere la propria salvezza -
era destinato a maturazione in senso deistico. È vero che per
essi restava indiscusso il valore divino della Scrittura, punto di
riferimento incontrastato e trascendente, ma è pur vero che una
mancanza di netta demarcazione tra la « reason» e l'« above rea
son» avrebbe permesso una lettura dei loro scritti in chiave di
sovrapposizione della prima alla seconda sfera 5•
Ad una medesima sorte erano destinati gli scritti di un altro
gruppo di filosofi e teologi inglesi, i PLATONICI di Cambridge 6• In
compreso restò il loro tentativo apologetico contro l'insorgente
materialismo hobbesiano e la loro rilettura cristiana delle opere di
Plotino. Lo sbocco mistico della affermata connessione tra il mon
dano e il celeste, tra il visibile e il trascendente, tra la natura
e la grazia, in cui l'aspetto di mistero non era negato ma esteso a
tutto l'ordine naturale e soprannaturale, ed in cui la ragione,
« Candle of the Lord», era riconosciuta essa stessa dono divino
e gradino iniziale per quel processo di ritorno al divino, culmi
nante nel momento dell'estasi, non venne storicamente colto. Per
esempio, tra le opere di BENJAMIN WmcHCOTE - che può es
sere considerato il caposcuola della rinascenza neoplatonica in
glese - più che non ai Sermons, i quali presentavano in Cristo,
uomo-Dio, il punto di superamento dell'ordine naturale, si attinse
ai Moral and Religious Aphorisms, ed a quelle affermazioni speci
fiche che in essi, staccate, parevano celebrare il valore assoluto del
la ragione: « Andare contro la ragione è andare contro Dio: è la
medesima cosa fare ciò che la ragione richiede e ciò che Dio co
manda; la ragione è il divino governatore della vita dell'uomo, è la
vera voce di Dio» ( Aph., n. 76), « la religione comincia nella co
noscenza, continua nella pratica, e termina nella felicità» (Aph.,
n. 169), « La ragione della mente umana deve essere soddisfatta;
nessuno può pensare contro di essa» (Aph., n. 942); ovvero a
' Prova ne sono le numerose accuse di socinianesimo ricevute durante la loro vita,
l'attribuzione postwna di libelli dichiaratamente sociniani all'Hales, le frequenti cita
zioni di loro proposizioni in scrittori del deismo settecentesco.
' Per la trattazione delle loro concezioni filosofiche dr. le pp. 249-256 di questo
volume.
338 FILOSOFIA MODERNA
7
]OHN TILLOTSON (1630-1694) studiò all'umversità di Cambridge, ma non fu in
fluenzato dalla scuola dei platonici. La lettura dell'opera del Chillingworth e la stretta
amicizia con il Wilkins lo allontanarono dalla rigida ortodossia calvinistica, anche se
non subito dalla confessione puritana non-conformista. Predicatore di talento, oltre che
dallo studio della Sacra Scrittura, attinse abbondantemente dalle concezioni etiche dei
filosofi greci. Dopo l'avvento al trono òi Guglielmo d'Orange fu eletto decano di St.
Paul e nel 1691 veMe nominato arcivescovo di Canterbury e primate d'Inghilterra. Fu
amico e corrispondente del Locke e del Le Clerc. VeMe accusato di socinianesimo per
alcune affermazioni di sapore antitrinitario presenti in alcuni suoi sermoni.
Opere: J. TILLOTSON, The Work.r, containing two hundred Sermons and Discourses,
on severa! Occasions, Printed for W. Rogers, London 1712. L'unico studio monogra
fico è quello di L. G. LocKE, Tillotson. A Study in Seventeenth-Century Literature, in
«Anglistica», Copenhagen 1954 (interessano l'aspetto dottrinale e filosofico le pp.
65-112).
8
CHARLES BLOUNT (1654-1693) tralasciato l'iniziale interesse letterario che lo vide
come traduttore, insieme con il Dryden, degli scritti di Luciano di Samosata ( edizione
ILLUMINISMO INGLESE 339
che apparirà solamente nel 1711 ), si dedicò completamente alla compilazione dei suoi
libelli di diffusione del pensiero deista e di difesa del libero pensiero. La sua produ
zione libellistica si ispira ad Hobbes (alla morte del quale compose The Last Saying or
Dying Legacy of Mr. Thomas Hobbs, London 1679, consistente in una presentazione
per estratti del Leviathan), Spinoza (conosciuto dal Tractatus theologico-politicus, del
quale egli fece una libera versione in inglese del capitolo VI sui miracoli) ed
Herbert di Cherbury (alle cui tesi si ispira la sua omonima opera del 1683, Religio Laici).
Si interessò di problemi politici aderendo al partito whig, ed al termine della sua vita
pubblicò due opuscoli in difesa della libertà di stampa. Morl suicida, sembra per non
aver potuto sposare la sorella della defunta moglie, e la sua memoria fu difesa da
Charles Gildon.
Ricordiamo tra le sue numerose pubblicazioni Anima Mundi, London 1679; Religio
Laici. Written in a Letter to J. Dryden Esq., printed for R. Bentley, London 1683;
Miracles no Violation of the Laws of Nature, printed for R. Sollers, London 1683;
A Summary Account o/ the Deists Religion (datato 14 maggio 1686) e Great is Diana
of the Ephesians: or the Origina! of Idolatry, together with the Politick Institution
of the Gentiles Sacrifices, apparsi in The Miscellaneous Works of Ch. Blount, printed
in year 1695. In queSL'l raccolta sono pure pubblicate le famose lettere, quasi tutte
scritte dal Blount, che formano The Oracles of Reason. Una recente monografia sul
Blount è quella di U. BoNANATE, Charles Blount. Libertinismo e deismo nel Seicento
inglese, La Nuova Italia, Firenze 1972.
340 FILOSOFIA MODERNA
insegnare le cose più disparate e tra loro più opposte. Ogni re
ligione positiva, poi, pone come sua garanzia l'intervento mira
coloso di Dio nel mondo, intervento questo che è dal Blount as
solutamente escluso non solo per mot:ivi di indagine storica, tra cui
la difficile verifica delle testimonianze dell'antichità, ma anche per
motivi teoretici desunti sia dal Leviathan di Hobbes sia dal Tracta
tus Theologico-politicus di Spinoza.
La religione dunque si presenta come puro rapporto ra
zionale con una divinità assoluta, rapporto escludente ogni interfe
renza storica o rivelativa: l'« above reason » è completamente ed
enfaticamente escluso. A conclusione del Summary Account of the
Deist Religion del 1686 il Blount afferma che « la ragione, essendo
la prima rivelazione di Dio, è la prima che deve essere creduta: essa
non dipende da fatti dubbi avvenuti senza di noi, ma col fulgore
della sua luce brilla sempre in noi » (ib., p. 5). A questa religione
pura e razionale, religione dello spinoziano « amor Dei intellectua
lis », ogni uomo in ogni età è stato idealmente chiamato, anche se
la sua adeguazione fu, per condizioni storiche diverse, sempre ap
prossimativa. Essa non già è l'<< imperfect Light » che deve essere
soccorsa da un lume ulteriore divino, ma è essa stessa quella luce
alla quale in modo imperfetto attinsero nella storia dell'umanità le
varie religioni positive. È sulla base della religione naturale che van
no giudicate le religioni positive e non viceversa, ed è attraverso le
religioni positive che quella naturale storicamente è penetrata nella
società: « Io trovai che tutti i Misteri, i Sacramenti e le Rivelazioni
intesero principalmente stabilire questi cinque articoli [ = com
pendio essenziale della religione naturale], che sono in ultima
istanza il fine principale per il quale quei riti furono prescritti »
(Religio laici, p. 82).
distinse tra mixture (aggregato) e compound mass (composto). Numerosi sono i suoi stu
di sull'aria, intesa come fluido tenue, trasparente, che si può comprimere e dilatare, di
struttura complessa. Compl pure studi sul vuoto e sull'evaporazione.
Per un'edizione completa delle opere del Boyle si rimanda ai cinque volumi di The
Works, by Th. Birch, London 1752 (ripr. fot. Hildesheim 1966). Per le opere di tinta
più strettamente teologica, qui prese direttamente in esame, si veda la loro prima edi
zione: R. BoYLE, Some Considerations touching the Style of the H. Scriptures (Consi
derazioni sullo stile delle S. Scritture), printed for H. Herringman, London 1661; Some
Considerations about the Reconcileableness of Reason and Religion (Considerazioni sulla
conciliabilità di ragione e religione), ivi 1675; A Discourse of Things above Reason,
inquiring whether a Philosopher should admit there are any such (Discorso sulle « co
se superiori alla ragione», in cui ci si domanda se un filosofo possa riconoscerne l'esi
stenza), printed for J. Robinson, London 1681; A Discourse about the Distinction, that
represents some Thinghs as above Reason, but 11ot contrary to Reason, (Discorso sulla
distinzione che contempla cose « superiori alla ragione» ma non contrarie ad essa) apparso
come prima appendice a The Christian Virtuoso, printed for J. Taylor, in the Savoy
1690. Esiste una traduzione italiana del Chimico scettico, di M. Borella, ed. Boringhieri,
Torino 1962. Una buona biografia del Boyle, oltre a quella di Th. Birch anteposta al
l'edizione completa citata, è quella di L. T. MORE, The Life and Works of the
Honourable R. Boyle, University Press, Oxford 1944. Di grande utilità è la bibliografia
personale curata da J. F. FuLTON, A Bibliography of the H. Robert Boyle, fellow of
the Royal Society, At the Clarendon Press, Oxford 1961 2•
342 FILOSOFIA MODERNA
2. fohn Locke
1
° Cfr. sopra, pp. 261 e segg. Qui cercheremo solamente di delineare il suo pensiero
più specificamente teologico, per poterne comprendere gli influssi sul deismo inglese
e sull'illuminismo francese.
344 FILOSOFIA MODERNA
u Per questi temi � di utile lettura il capitolo settimo del volume di P. CASINI,
L'universo macchina, Laterza, Bari 1969, in cui è studiata l'antitesi tra la concezione
cosmologica tolandiana e quella newtoniana e le relative implicanze apologetiche.
13
A.NrnoNY CoLLINS (1676-1729), nato vicin:J ad Hounslow, studiò ad Eton ed al
King's College di Cambridge. Conobbe Locke, cui fu legato da una stretta amicizia: ci
resta un affettuoso epistolario tra Locke ed il giovane amico. L'influsso della filosofia
lockiana sul pensiero del Collins fu notevole, anche se il Collins già dalla sua prima
opera del 1707 portò le premesse lockiane a sbocchi non certamente intesi dal maestro.
A differenza del Toland, fatta eccezione per due brevi soggiorni in Olanda nel 1711 e
1713, in cui ebbe modo egli pure di conoscere l'ambiente culturale olandese ed in
particolare il Le Clerc, la sua vita fu quella di un tranquillo «country-man». Tra
le sue principali opere ricordiamo: An Essay concerning the Use of Reason in Proposi
tions, the Evidence thereof depends upon Human Testimony (Saggio sull'uso della ra
gione nelle proposizioni la cui evidenza dipende dalla testimonianza umana), London
1707; Priestcraft in Perfection, printed by B. Bragg, London 1710; A Discourse of Free
Thinking, occasion'd by the Rise and Growth of a Sect call'd Free Thinkers (Discorso
sul libero pensiero, oc,;aszonato dal sorgere e dal progredire di una setta chiamata d'ei
liberi pensatori), London 1713; A philosophical Inquiry concerning Human Liberty
ILLUMINISMO INGLESE 353
sua prima opera apparsa nel 1707, An Essay concerning the Use of
Reason, analizza - sull'esempio del Toland, anche se con maggiore
circospezione - il valore della conoscenza religiosa, di quella cono
scenza cioè che si basa sulla testimonianza. Perché l'uomo possa ra
zionalmente prestare il suo assenso a proposizioni offerte alla pro
pria fede, è necessaria, oltre alla credibilità della persona proponen
te, la credibilità delle cose riferite. Ora questa credibilità « of
things » implica non solo la comprensione delle singole idee pro
poste ( altrimenti ci troveremmo nella situazione di chi sente par
lare cinese e non conosce questa lingua, o di chi è cieco dalla na
scita e sente discutere di colori), e nemmeno solo l'esclusione della
contraddizione, ma l'esclusione di tutto quanto rientri nella cate
goria dell'« above reason ». È, per il Collins, una speciosa distin
zione teologica quella tra sovrarrazionale ed irrazionale, proposta
dal clero per mantenere gli uomini nell'ignoranza e nella sotto
missione al suo potere: o escludiamo dal campo conoscitivo
umano l'« above reason », o diciamo che quanto ci sembra ripu
gnante alla ragione è effettivamente tale. Le figure intermedie del-
1'« above reason », quelle cioè che rappresentano i limiti storici
del nostro intelletto, non ci autorizzano ad una classificazione in
termedia tra l'« agreeable » e il « contrary to reason » (ib., pp. 26-
27); il vero « above reason » è il mistero della rivelazione, ma gli
stessi teologi « confessano che i misteri della religione non hanno
una conformità con le massime della ragione e della filosofia, e
questo corrisponde perfettamente all'essere contrary to our Rea
son; pertanto sarebbe identico affermare che i misteri della fede
sono contrari alla ragione, come che essi sono superiori alla nostra
ragione» (ib. p. 39).
Propugnare l'esclusione del sovrarrazionale equivaleva per il
Collins ad affermare il valore del libero pensiero. L'opera del
1713, A Discourse of Free-thinking, fu il manifesto di questa li
bertà di pensiero, così definita: « l'uso dell'intelletto nel cercare
(Ricerca filosofica sulla libertà umana), printed fo1 R. Robinson, London 1715; A Di
scourse of the Grounds and Reasons of the Cristian Religion (Discorso sui fondamenti
e le ragioni della religione cristiana) London 1724; The Scheme of Literal Prophecy
considered, (Considerazioni sull'adempimento letterale delle profezie) London 1726;
A Dissertation on Liberty and Necessity (Dissertazione sulla libertà e sulla necessità)
printed far J. Shuckburgh, London 1729.
Svi Collins si ved� il recente studio monografico di J. O'HrGGINS, Anthony Collins.
The Man and his Works, M. Nijho:ff, The Hague, 1970.
354 FILOSOFIA MODERNA
" WILLIAM WHISTON (1667-1752) nato a Norton nel Leicestershire, studiò mate
matica e teologia a Cambridge. Nel 1696 pubblicò la New Theory of Earth, (Nuova teoria
sulla terra) in cui interpretava, tra l'altro, il racconto della Genesi secondo le teorie newto
niane, ed il diluvio universale con l'ipotesi della collisione di una cometa. Successe nel 1703
a Newton sulla cattedra di matematica dell'università di Cambridge. Parallelamente
però i suoi studi storici e teologici lo portarono verso l'arianesimo; fu pertanto, nel
1710, allontanato dall'insegnamento a Cambridge. Continuò a vivere a Londra con i
proventi della vendita dei suoi libri, ritenendosi vittima dell'intolleranza anglicana, ed
impegnandosi sempre più in questioni teologiche. Venne pure a cadere la sua antica
amicizia con il Newton, che si oppose al suo ingresso nella Royal Society. Passò nel
1747 alla setta anabattista. Morl nel 1752 a Lyndon, paese in cui si era ritirato con la
figlia ivi maritata.
Delle numerosissime e prolisse opere teologiche ricordiamo solamente: The Accomplish
ment o/ Scripture Prophecies (Il compimento delle profezie della Scrittura), at the
University Press, Cambridge 1708 (è la pubblicazione delle conferenze tenute a
Londra nella cattedrale di S. Paolo nell'anno precedente, come incaricato delle Boy/e
Lectures); An Essay towards Restoring the True Text of the Old Testament (Saggio per
la ricostruzione del vero testo dell'Antico Testamento), printed for J. Senex, Lon
don 1722; The Literal Accomplishment of Scripture Prophecies. Being a full Answer
to a late Discourse « Of the Grounds and Reasons o/ the Christian Religion » (Il com
pimento letterale delle profezie della Scrittura. Risposta esaustiva ad un recente Discorso
« Sui fondamenti e le ragioni della religione cristiana»), ivi 1724.
356 FILOSOFIA MODERNA
15
THOMAS WooLSTON (1670-1733) studiò teologia a Cambridge e la lettura delle
opere di Origene lo portò ad aderire all'interpretazione allegorica delle Scritture. La
sciata l'università nel 1720 si trasferl a Londra dove entrò nel vivo delle controversie
deistiche, pubblicando alcuni opuscoli anonimi. Nel 1725 si schierò a favore dei
l'opera del Collins contro le polemiche di Edward Chandler, col suo A Moderato,
between an lnfidel and an Apostate (Un moderatore fra un infedele e un apostata).
Nel 1727 pubblicò il primo Discourse on the Miracles of our Saviour (Discorso sui
miracoli del Salvatore) a cui fecero seguito altri cinque Discourses (London 1727-1729)
ove passò in rassegna l?. narrazione di tutti i miracoli riportati dai Vangeli. Forte fu
la reazione da parte del clero anglicano a quest'opera che in poco tempo era giunta
alla sesta edizione. Lo stesso vescovo di Londra, Edrnund Gibson, scrisse contro di
essa una lettera pastorale. Woolston fu condannato dall'autorità civile ad una multa di
cento sterline e ad un anno di prigione: non avendo di che pagare la cauzione rimase
in carcere fino alla sua morte sopraggiunta nel 1733.
358 FILOSOFIA MODERNA
16
MATTIIBW TINDAL (1657-1733) studiò e si laureò in legge ad Oxford. Sotto il
regno di Giacomo II aded al cattolicesimo, passando nuovamente all'anglicanesimo nel
1688 quando si schierò con il partito whig dalla parte di Guglielmo d'Orange.
Pubblicò numerosi opuscoli politici e teologici, favorevoli questi ultimi al lati
tudinarismo ed in polemica con l'high-Church. Mantenne sempre il suo posto di fellow
nell'All Souls' College dl Oxford, dividendo la sua attività tra Londra ed Oxford. Nu
merose testimonianze ci confermano il suo pessimo carattere e la sua dissolutezza mo
rale. Christianity as old as the Creation: or th� Gospel a Republication of the Reli
gion of Nature (Il cristianesimo antico quanto la creazione; ossia il Vangelo come una
ripetizione della religione naturale), London 1730, fu la sua opera maggiore ed una
delle più rappresentative del deismo inglese; contro di essa uscirono numerose con
futazioni (oltre trenta). Si dice che abbia steso un secondo volume a seguito della sua
opera del 1730 in risposto alle accuse a lui mosse, ma che i manoscritti, venuti in pos
sesso del vescovo Gib;on di Londra, siano stati bruciati dopo la sua morte avvenuta
nel 1733.
Oltre al sovramenzionato Christianity as old as the Creation, sono di un notevole
interesse An Essay concerning the Power of the Magistrate, and the Rights of Man
kinde in Matters of Religion (Saggio sul potere del magistrato e i diritti dell'umanità
in materia di religione), printed for A. Beli, London 1697 e The Rights of the Christian
Church asserted, against the Romish and all others Priests who claim an Indipendent
Power over it (I diritti della cl:iesa cristiana contro i preti della chiesa di Roma e tutti
gli altri preti che esigono un potere indipendente su di ess111), London 1706.
360 FILOSOFIA MODERNA
4. Le reazioni al deismo
(S. Clarke, W. Law, P. Browne,]. Butler)
17
SAMUEL CLARKE (1675-1729) nato a Norwich, studiò teologia a Cambridge e
si interessò degli studi newtoniani. Ciò nonostante tradusse per invito di John Ellis il
Traité de Physique di Rohault, che ancora era adottato a Cambridge, forse sperando
di suggerire con le sue note al testo la necessità di modificare le teorie cartesia
ne. Nel 1704 e nel 1705 tenne le sue celebri conferenze alle Boyle Lectures. Diven
ne in seguito cappellano della regina e dal 1709 rettore della chiesa di St. James a
Westminster. Entrò in polemica nel 1706 con il Dodwell, sostenitore della mortalità
naturale dell'anima umana, polemica in cui intervenne pure il Collins. Ancora con
tro il Collins difenderà la libertà umana, secondo la soluzione lockiana di liber
tà intesa come potere di porre o di non porre un'azione. Per la sua opera del 1712,
The Scripture-Doctrine of the Trinity (La dottrina biblica della Trinità), printed far
J. Knapton, London 1712, che pur venne combattuta per le sue implicanze sociniane,
il Oarke non ricevette nessuna sanzione disciplinare, ad eccezione di un'ingiunzione
di non più trattare simile materia. Tradusse in latino nel 1706 l'Ottica di Newton, e di
fese le teorie newtoniane di spazio e di tempo nella famosa corrispondenza con Leibniz.
Le sue più note opc:re sono: A Demonstration of the Being and Attributes of God,
(Dimostrazione dell'esistenza e degli attributi di Dio), printed far J. Knapton, Lon
don 1705; A Discourse concerning the Unchangeable Obligations of Natural Religion,
and the Truth and Certainty of the Christian Revelation (Discorso sulle leggi immu
tabili della religione naturale e sulla verità e certezza della rivelazione cristiana) prin
ted by Botham far J. Knapton, London 1706; A Discourse concerning the Connection
of the Prophecies in the Old Testament and the Application of them to Christ, (Discor
so sulla connessione delle profezie nell'Antico Testamento e l'applicazione di esse
a Cristo), ivi 1725. I suoi numerosi Sermons sono raccolti nei primi due volumi di
362 FILOSOFIA MODERNA
The Works o/ Samuel Clarke D.D., printed for J. and P. Knapton, London 1738,
4 vols. Per la corrispondenza con Leibniz si veda l'edizione curata da A. Robinet,
Correspondance Leibniz-Clarke, Parigi 1957.
Tra gli studi su Clarke si vedano E. GARIN, Samuel Clarke e il razionalismo inglese
del secolo XVIII, in « Sophia » II ( 1934 ), pp. 106-116 294-304 385426; e P. CASINI,
L'universo macchina, Laterza, Bari 1969, cap. IV, pp,' 109-148:
ILLUMINISMO INGLESE 363
" W1LLIAM LAw (1686-1761) nato a Kings Clliie nel Northamptonshire, ricevette
in famiglia una profonda educazione religiosa. Studiò nell'Emmanuel College di Cam
bridge. Nel 1723 pubblicò un volume di Remarks contro la concezione etica di Mande
ville. Dopo la pubblicazicne delle sue più note opere sia sul piano ascetico che apo
logetico - A Practical Treatise upon Christian Perfection (Trattato pratico sulla perfe
zione cristiana), printed for W. and J. Innis, London 1726; A Serious Call to a Devout
and Holy Life (Appel!o ad una vita devota e santa), ivi 1729; The Case of Reason,
or Natural Religion, fairly and fully Stated. In Answer to a Book entitul'd « Chris
tianity as old as the Creation » (Il processo alla ragione, ovvero una completa e leale
disamina della religione naturale, in risposta al libro « Cristianesimo antico quanto la
creazione»), ivi 1731 - la sua produzione si orienterà su temi più strettamente mistici. Si
ritirò nel 1740 nel paese natale, dove passò i suoi ultimi anni in una vita di studio e di
opere di bene.
Una raccolta completa delle sue opere si ha in The Works of the Reverend William
Law A. M., printed for J. Richardson, London 1762, 9 vols. Sui rapporti di William
Law con il Metodismo si vedano J. B. GREEN, John Wesley and William Law, The
Epworth Press, London 1945 e E. W. BAKER, A Herald of the Evangelica/ Re
vival, ivi 1948. Sul primo periodo della sua produzione si vedano S. HoBHOUSE,
Fides et Ratio. The Book which introduced Jacob Boheme to William Law, in
« The Journal of Theological Srudies » XXXVII (1936), pp. 350-368; e, di chi
scrive, William Law: i! rifiuto della « reason » nel secolo dei lumi, Rendiconti del
l'Istituto Lombardo, Oasse di Lettere, val. 106 (1972), pp. 149-184.
ILLUMINISMO INGLESE 365
19
PETER BROWNE ( ? -1735) teologo irlandese, frequentò il Trinity College di
Dublino ° dove fu poi professore. Venne eletto vescovo di Cork e Ross nel 1710. Fu
uno dei più accaniti oppositori del Toland, contro il quale scrisse A Letter in Answer
to a Book entituled « Christianity not Mysterious », As also to al! those who set up
/or Reason and Evidence in Opposition to Revelation and Mysteries (Lettera di ri
sposta a un libro intitolato « Cristianesimo senza misteri » e a tutti quelli che si sono
366 FILOSOFIA MODERNA
2 vols. Recente è la traduzione italiana delle opere del Butler ad opera di A. Babolin in
3 volumi, Sansoni, Firenze 1969-70. Per una panoramica sugli ultimi studi sul
Butler si veda la rassegna di A. BAB0LIN, La « Analogy of Religion » di J. Butler nella
critica d'oggi, in « Rivista di Filos. Neoscolastica», LXIV (1972) n. 4, pp. 683-98.
Un recente ed interessante studio dedicato all'analisi del concetto di analogia in
Butler è quello di L. OBERTELLO, J. Butler: la dottrina della probabilità e dell'ana
logia, che costituisce il primo capitolo del suo volume Le idee e la realtà, Le Monnier,
Firenze 1971. Fondamentale è la monografia di A. BABOLIN, Joseph Butler, etica e reli
gione, ed. « La Garangola », Padova 1973.
368 FILOSOFIA MODERNA
L'ILLUMINISMO FRANCESE
[MARIO SINA]
1
FILIPPO da LIMBCRCH (1633-1712), celebre teologo arminiano, nacque ad .t\mster
dam. Nipote di Episcopio studiò nel collegio dei Rimostranti, dove dal 1688 tenne la
cattedra di teologia e di storia ecclesiastica. Fu legato da stretta amicizia con il Locke,
ILLUMINISMO FRANCESE 375
che conobbe durante l'esilio di questi ad Amsterdam; a lui fu dedicata dal Locke l'Epistola
Je Tolerantia.
Tra le sue opere ricordiamo la Theologia Christiana ad praxin pietatis ac promotio
:nem pacis Christianae unice directa, apud H. Wetstcnium, Amsterdam 1686; De Veritate
Religionis Christianae, amica Collatio cum erudito ]udaeo, apud J. Ab Hoeve, Goudae
1687; Historia Inquisitionis. Cui sub;ungitur Liber Sententiarum Inquisitionis Tholo
sanae ab anno Christi MCCCVII ad annum MCCCXXIII, apud H. Wetstenium, Am
sterdam 1692. Sul pensiero e la vita del Limborch si veda del VAN DER HoVEN, De
]oanne Clerico et Philippo a Limborch dissertationes duae, apud F. Muller, Amsterdam
1843.
376 FILOSOFIA MODERNA
2
}EAN LE CLERC (1657-1736), nato a Ginevra, si formò una vasta erudizione nella
fornitissima biblioteca paterna. Dopo un soggiorno in Francia ed in Inghilterra si sta
bilì in Olanda dove legò stretta amicizia con il Limborch. Fu nominato nel 1684 pro
fessore di lettere, filosofia ed ebraico nel Seminario dei Rimostranti di Amsterdam, e,
dopo la morte del Limborch, ottenne la cattedra di storia ecclesiastica. Insegnò fino al
1728, anno in cui, colpito da una paralisi, perse parzialmente l'uso della memoria ed in
seguito anche della parola. Della sua vastissim'.l produzione - oltre alla già men
zionata direzione di periodici - ricordiamo solamente: Sentimens de quelques
Théologiens de Hollande sur l'Histoire Critique du Vieux Testament, composée par le
P. Richard Simon, H. Desbordes, Amsterdam 1685; De l'Incredulité, H. Wetstein,
Amsterdam 1696; Ars Critica, G. Gallet, Amsterdam 1697, 2 vols.; Opera philosophica
in quattuor volumina digesta, Amsterdam 1698.
Oltre al citato studio di A. VAN Dzrr HoEVEN, ricordiamo la monografia di A.
BARNES, Jean Le Clerc et la République des Lettres, Droz, Paris 1938; di utile lettura
è pure il volume di R. L. CoLIE, Light and Enlightenment. A Study of the Cambridge
Platonists and the Ducht Arminians, at the University Press, Cambridge 1957.
ILLUMINISMO FRANCESE 377
' PIERRE BAYLE (1647-1706) nato nella contea di Foix, studiò nel collegio dei
gesuiti di Tolosa, dove si converti al cattolicesimo; ma nel 1670 ritornò al calvinismo.
Dopo un periodo trascorso a Ginevra come precettore, nel 1675 divenne professore di
filosofia nell'Accademia protestante di Sedan, dove restò fino al 1681, data di chiusura
di questa scuola ad opera di Luigi XIV. Fu chiamato allora ad insegnare filosofia e
storia all'Eco/e illustre di Rotterdam. Nel 1693 però, a seguito di una pesante polemica
con Pierre Jurieu, intransigente calvinista, dovette abbandonare la cattedra. Continuò,
sempre a Rotterdam, la sua instancabile opera di filosofo e di polemista fino al giorno
della sua morte.
La principale raccolta delle sue opere sono le Oeuvres diverses, La Haye, par la
378 FILOSOFIA MODERNA
Compagnie des Libraire:;, 1737, 4 vols.; del Dictionnaire Historique et Critique ricordo
la quarta edizione, Amsterdam 1730, cui è anteposta la vita di P. Bayle ad opera del
Des Maizeaux. Delle Pensées diverses sur la Comète, esiste un'edizione critica a cura
di A. Prat, écl. Droz, Paris 1939, 2 vols. In italiano esiste una traduzione parziale:
Pensieri sulla cometa e Dizionario storico e critico, a cura di P. Brega, ed. Feltrinelli.
Milano 1957.
Tra la recente bibliJgrafia sul Bayle si vedano AA.VV., Pierre Bayle, le Philosophe
de Rotterdam, :Études et documents publiés sous la direction de P. Dibon, ed. Vrin,
Paris 1959; E. LABROUSSE, Pierre Bayle, du pays de Foix à la cité d'Erasme ed Hété
rodoxie et rigorisme, M. Nijhoff, La Haye 1963-64; G. F. CANTELLI, Teologia ed ateismo.
Saggio sul pensiero filosofico e religioso di P. Bayle, La Nuova Italia, Firenze 1969.
ILLUMINISMO FRANCESE 379
che Pascal, e qualche altro scrittore, abbiano detto che per con
vertire i libertini bisognava mortificarli sul capitolo della ragio
ne, e mostrare loro a diffidarne » (ib., nota C), l'assenso :fideisti
co bayliano è di una precarietà tale e di una tale equivocità da far
emergere, per uno smaliziato lettore, l'insufficienza e l'indiretta e
sclusione della soluzione cristiana. Questa soluzione infatti è sem
pre solo accennata, mai perseguita, analizzata, riesposta nella sua
luce e nelle sue dimensioni: nelle Réponses aux questions d'un
provincia! il dubbio rimane sempre più radicato. Dietro al :fidei
smo di Bayle rimane incontrastato l'atteggiamento scettico, pron
to a sollevare difficoltà, a dimostrare l'infondatezza delle opinio
ni degli avversari, alieno da ogni riproposta positiva. Il suo scet
ticismo può manifestare un animo fondamentalmente ateo, ma
il significato storico della sua opera non è legato a questa matrice
né porta necessariamente a questa soluzione: l'illuminismo fran
cese trovò nei suoi scritti - oltre ad un arsenale critico di pron
ta utilizzazione - ormai operata l'esclusione delle inutili ed
interminabili dispute teologiche, ridotte al ruolo di questioni in
sensate, e poté, liberato da preoccupazioni teologiche, tentare una
strada di ordine puramente « naturale ».
• Cito dal manoscritto conservato al British Museu.m (Add. Mss. 12064), conforme al
ms. Mazarine 1193. Quest'opera, circolante fin dJi primi anni del 1700, porta in altre
copie il titolo Esprit de Spinoza, oppure Traité des Trois Imposteurs, o, ancora, De
Tribus Impostoribus. P. Retat ha recentemente pubblicato, per il Centre international
d'éditions et de rééditions, Saint-Etienne 1973, un'edizione anastatica della ristampa
del 1777 (l'opera era stata pubblicata nel 1719 ad Amsterdam, ma, difficilmente repe
ribile, continuava a circolare manoscritta).
Per notizie più ampie su questa produzione anonima, ed in genere sulla circola
zione delle idee filosofiche all'inizio del XVIII secolo in Francia, si vedano: I. O. WAJJE,
The Clandestine Organization and Diffusion of Philosophical Ideas in France /rom
JIOO to 1750, University Press, Princeton 1938; nonché J. S. SPINK, French Free
Thought from Gassendi to Voltaire, University of London, The Athlone Press, Lon
don 1960 (tr. ital. di L. Roberti Sacerdote, Va!kcchi, Firenze 1974).
384 FILOSOFIA MODERNA
' Sotto questo nome si diffuse il manoscritto Difficultés sur la religion proposées au
R. P. Malebranche, prétre de l'Oratoire, par un ancien olficier (Mazarine 1163 ). Del
manoscritto il circolo d'holbachiano pubblicò un'edizione ridotta (Londra 1768) con
il titolo Le Militaire philosophe, ou Difficultés JU1 la religion proposées au R. P. Male
branche, Prétre de l'Oratoire, par un ancien Officier. R. Mortier ne ha dato un'edizione
critica (Bruxelles 1970).
ILLUMINISMO FRANCESE 385
7
HENRI DE BouLAINVILLER ( 1658-1722 ), dopo gli studi presso gli Oratoriani di
Juilly, scelse la carriera delle armi. La morte del padre e i dissesti finanziari lo obbli
garono a lasciare l'esercito. Ricomposto il patrimonio familiare, poté dedicarsi comple
tamente agli studi storici e filosofici per l'istruzione sua e dei suoi figli. Cito dai
manoscritti Histoire de la philosophie et de la religion ancienne (Parigi, École
Supérieure de Guerre Ms. 8332 k II 78), Abrégé de l'histoire universelle (Parigi, Bi
bliothèque Nationale, Ms. fond fr. 6363/4). Tra le opere edite dopo la sua morte:
Vie de Mahomed, London 1730; Réfutation des erreurs de B. Spinoza, par M. de Fé
nelon, par le P. Lami, par le Comte de Boulainvillers, chez F. Foppens, Bruxelles 1731.
Le opere filosofiche del Boulainviller sono state recentemente pubblicate da R. SrMON,
Henry de Boulainviller. Oeuvres philosophiques, M. Nijhoff, La Haye 1973, voi. I,
1975 voi. II.
Fondamentale per Io studio di Boulainviller è la monografia di R. SrMON, Henry
de Boulainviller, Boivin et C.ie, Paris 1941.
388 FILOSOFIA MODERNA
8
N1C0LAS FRÉRET (1688-1749), ingegno precoce, a diciannove anni fu accolto
all'Académie des Inscriptions et Médailles di Parigi, dove poteva partecipare alle
discussioni sui temi più controversi della storia ecclesiastica e civile, della cronologia
e della geografia. Divenne nel 1716 socio effettivo e poi segretario di questa Acca
demia. Conobbe e restò legato d'amicizia con il conte di Boulainviller; dal 1720 al
1723 si occupò dell'educazione dei figli del duca di Noailles, una delle figure di
maggior rilievo dei circoli culturali parigini. Restano numerosissime sue ricerche
su temi di storia, cronologia, archeologia, geografia, religione, filologia... raccolte nel
le Mémoires de l'Académie.
Nelle Oeuvres Complètes (Daudré-Obré éd., Paris 1796) in 20 volumi, troviamo
raccolte anche opere interessanti per le loro affermazioni deistiche, ma la cui attri
buzione a Fréret è dubbia, come la Lettre de Thrasybule à Leucippe, già edita a
Londra nel 1768. Interessante è Io studio pubblicato da G. F. CANTELLI, Nicola
Fréret: tradizione religiosa e allegoria nell'interpretazione storica dei miti pagani, in
« Riv. critica di storia della filosofia» XXIX (1974), pp. 264-283 e 386-406.
390 FILOSOFIA MODERNl1
9
}EAN BAPTISTE DE MIRABAUD ( 1675-1760), amante del ritiro e dello studio,
dopo una breve parentesi nell'esercito, passò al servizio della duchessa di Orléans
come precettore delle sue figlie. Dedito allo studio delle lettere, tradusse in fran
cese la Gerusalemme Liberata. Dal 1742 ricoprl la carica di segretario perpetuo al
l'Académie Française.
Per un quadro generale sulla questione dell'attribuzione al Mirabaud dei mano
scritti e delle pubblicazioni postume, si veda I. O. WADE, op. cit., pp. 205-221 e
J. S.0 SPINI<, op. cit., pp. 143 e 344-345.
' }EAN MESLIER (1664-1729), condusse la vita normale di un comune parroco
di campagna. Studiò nel seminario di Reims, dove probabilmente venne a contatto
con la filosofia di Cartesio e con la scolastica cartesiana di tinta malebranchiana.
ILLUMINISMO FRANCESE 391
Isolato anche culturalmente nel suo paesetto, non sembra fosse in contatto con le
correnti del deismo inglese. Lesse le opere di Bayle e di Montaigne ed annotò mar
ginalmente la Démonstration de l'existence de Dieu di Fénelon. Alla sua morte fu
scoperto il famoso manoscritto dd suo Testament.
La prima edizione completa di questa opera fu assai tardiva: Testament de Jean
Meslier, Rudolf Charle,, Amsterdam 1864, 2 vols. (è l'edizione da cui cito); recente
mente sono uscite le Oeuvres Complètes de ]ean Meslier, par J. Deprun, R. Desné,
A. Soboul, éd. Anthropos, Paris 1970-72, 3 vols.
Oltre alle introduzioni alle citate Oeuvres Complètes, sono utili le Etudes sur le
curé Meslier, Actes du Colloq ue International d'Aix-en-Provence 21 nov. 1964,
Paris 1966. Tipico di una certa interpretazione di tinta marxista dell'opera del
Meslier è il volume di M. DoMMANGET, Le curé Meslier, athée, communiste et revo
lutionnaire sous Louis XIV, Julliard, Paris 1965.
392 FILOSOFIA MODERNA
3. Montesquieu
4. Voltaire
All'indomani di un prolungato soggiorno in Inghilterra, VOL
14
TAIRE , già conosciuto a Parigi come l'autore dell'Oedipe e della
Henriade, pubblicò le sue famose Lettres philosophiques, che su-
riodo nella Parigi letteraria e salottiera, fecero seguito alcuni anni di esilio in In
ghilterra (1726-1729), dove si interessò di problemi scientifici, politici, storici e fi
losofici colà dibattuti. Dopo il successo e la condanna delle Lettres philosophiques,
si ritirò presso l'amica marchesa di Chatelet nel castello di Cirey, dove per circa
quattordici anni si dedicò ad un'attività di studio e riflessione. Alla morte della
arnica accettò l'invito di Federico di Prussia e si recò a Berlino (1750), attirato dal
clima di illuminato riformismo della corte prussiana. Ma non tardò la rottura con
questo ambiente e con lo stesso re. Lasciato definitivamente il mondo dei circoli
letterari e galanti, si stabilì dapprima alle Délices, presso Ginevra, e dal 1760 nel
castello di Ferney sul confine franco-svizzero. In questo angolo continuò, « patriarca »
riconosciuto ed incontrastato degli spiriti illuminati francesi, nella sua lotta con
tro l'oscurantismo, la superstizione, l'intolleranza con un'instancabile produzione di
racconti, dialoghi, sermoni, libelli, opuscoli filosofici... Solamente nel 1778 ritor
nò a Parigi, per la rappresentazione della sua ultima tragedia Irene, dove venne
ricevuto con onori trior.fali. Poche settimane dopo morl.
Ricordo la raccolta delle Oeuvres Complètes de Voltaire, par L. Moland, Garnier
Frères, Paris 1877-1882, vols. 52; della Voltaire's Co"espondence, ed. by Th. Be
sterman, Institut et Musée Voltaire, Les Délkes, Genève 1953-1965, 107 vols.; del
Voltaire's Notebooks ed. by Th. Besterman, ivi 19682, 2 vols.
Tra le innumerevoli edizioni parziali, cito solamente i Mélanges, par J. Van den
Heuvel, Bibl, de la Pléiade, Gallimard, Paris 1965 (in cui sono raccolti i principa
li opuscoli di interesse polemico e filosofico), e le Oeuvres historiques, par R. Po
meau, ivi 1957. Numerose sono pure le traduzioni italiane recenti; mi limito a
ricordare gli Scritti filosofici, a cura di P. Serini, Laterza, Bari 1962, 2 voli.
Per la bibliografia rimando ai numerosi repertori bibliografici: G. BEGESCO, Vol
taire, Bibliographie de ses Oeuvres, Perrin, Paris 1882-1890, 4 vols.; M. M. H. BARR.
A Century of Voltaire Studies; a Bibliography of Writings on Voltaire, 1825-1925,
Instirute of French Srudies, New York 1929, e In., Quarante années d'études vol
tairiennes. Bibliographir:: analytique des livres et articles sur Voltaire, préface de
R. Pomeau, Colin, Paris 1968.
Non cito particolari studi su Voltaire ad eccezione della recente biografia di
TH. BESTERMAN, Voltaire, tr. it. di R. Petrillo, Feltrinelli, Milano 1971 e le periodiche
pubblicazioni degli Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, Instirut et
Musée Voltaire, Genè\·e 1955 ss.
ILLUMINISMO FRANCESE 401
vinzione del « tout est bien». (Cfr. Poème sur le désastre de Li
sbonne e Candide). Ritiratosi a Femey, presso Ginevra, spetta
tore appartato ma non estraneo alle vicende di un'Europa turbata
dalla guerra dei sette anni, di una Francia in cui la reazione del
l'assolutismo politico e clericale voleva stroncare le voci nuove
e le idee :filosofiche, inizia la sua azione più strettamente polemica:
« il faut écraser l'infàme». Tutto diventa occasione di ripensamen
to e di attacco. A Tolosa nel 1761 una tranquilla e laboriosa fami
glia di commercianti protestanti, la famiglia Calas, è accusata di
omicidio per odio confessionale: Voltaire non solo ne prende le
difese, ma stila, tenendo presente questo ennesimo delitto dell'in
tolleranza religiosa, il suo Traité sur la Tolérance. Ad Abbéville
un giovane scanzonato e burlone, il cavaliere de La Barre, è con
dannato nel 1765 alla pena capitale perché sospettato di aver ab
battuto un crocifisso e perché aveva confessato di aver cantato una
canzoncina blasfema: una simile pena per una colpa di una gravità
relativa sdegna profondamente Voltaire; per quanto « abomine
vole ed esecrabile» una canzonetta vale una canzonetta, mentre
« è il sangue umano sparso con tale leggerezza, è la tortura, è il
supplizio della lingua strappata, della mano tagliata, del corpo get
tato nelle fiamme che può essere definito una cosa abominevole ed
esecrabile» (Mélanges, ed. Pléiade, p. 781). Le critiche alla reli
gione cristiana, ad ogni religione rivelata, diventano sempre più
continue e pesanti : dalle accuse de Le Sermon des Cinquante
(1749), che raccoglievano in sintesi i frutti dei suoi studi biblici
di Cirey, fino agli articoli del Dictionnaire philosophique (1764),
informati alla più ostile produzione c.!el deismo inglese, ed alle pa
gine de La Bible enfin expliquée (1776), non c'è soluzione di con
tinuità. Bibbia, profezie, miracoli, tradizione ecclesiastica, giudai
smo, credenze, dogmi... tutto viene confutato e deriso dalla sua
frase incisiva, dalla sua parola mordace.
La sua critica però non è solamente distruttiva: se il suo pes
simismo lo porta da un lato ad evidenziare i limiti dell'uomo (de
bolezza conoscitiva ed errori storici dei :filosofi; negazione dell'im
mortalità dell'anima umana; negazione della libertà umana ... cfr.
Le philosophe ignorant, 1766) e gli errori ed i crimini di cui la storia
umana si è macchiata a causa delle religioni positive, una fonda
mentale fiducia di ricostruzione umana e mondana non viene però
meno. Anche se nell'evidenziare la corruzione e la debolezza del-
404 FILOSOFIA MODERNA
teriore, non è con ciò esclusa dal processo storie-e �-umanità; l'uma
nità con il suo connaturale desiderio di pace, di ordine, di opero
sità esprime quella fondamentale tensione alla società perfetta, con
forme alla natura specifica dell'uomo inteso come animale sociale.
La storia dovrà essere compresa non da credente, non da puro eru
dito, ma da cittadino e filosofo: in una tale veste egli allora« cerche
rà quale sia stato il vizio radicale e la virtù dominante di una nazio
ne: perché sia stata potente o debole sul mare, come e sino a qual
punto si sia arricchita nell'ultimo secolo. Vorrà sapere come si sia
no affermate le arti e le manifatture; ne seguirà il passaggio e i!
ritorno da un paese in un altro. Ma il suo grande oggetto saranno
i mutamenti intervenuti nei costumi e nelle leggi. Si saprebbe
così la storia degli uomini, e non soltanto una piccola parte della
storia dei re e delle corti» (Remarque sur l'histoire).
15
Nata dal modesto progetto dell'editore pariglllo Le Breton di tradurre la
Cyclopaedia dell'inglese E. Chambres, venne ad assumere, per opera dei suoi diret
tori Denis Diderot e Jean d'Alernbert, un disegno ben diverso da quello originario. Nel
novembre del 1750 Diderot pubblicò il Prospectus della nuova opera, dove si in
dicavano tra l'altro i criteri redazionali e le condizioni d'acquisto: numerosi furono
i sottoscrittori. Dopo l'edizione dei primi due volumi (1751-1752) incominciarono a
levarsi serie opposizioni specie dagli ambienti religiosi. La pubblicazione poté però
continuare con una certi regolarità fino al 1758 (volume settimo), quando cioè alle con
danne esterne si unirono le discordie sorte nello stesso comitato di redazione, e molti
collaboratori - tra cui il d'Alembert - defezionarono. Diderot, con un numero più
ristretto di collaboratoti, continuò nella sua opera di pubblicazione dei volumi delle
tavole, non menzionati nell'atto di condanna politica. Nel 1766 furono però, grazie
alle mutate condizioni politiche, distribuiti i restanti volumi di testo, e nel 1772
l'opera venne ultimata. Si ebbe cosi un corpus cli 17 volumi di testo e 11 di tavole.
Una larga scelta di voci de L'Enciclopedia e quella curata da P. Casini, Laterza,
Bari, 1968. Di utile ed agevole lettura è il volume curato dallo stesso P. Casini, La fi·
losofia dell'Enciclopedia, Laterza, Bari 1966, in cui sono raccolti il Discorso pre
liminare di d'Alembert ed il Prospectus e gli articoli Arte ed Enciclopedia di Diderot.
Tra gli studi sull'Encyclopédie ricordo solamente: F. VENTURI, Le origini del
l'Enciclopedia, Edizioni U., Torino 1946; J. LouGH, Essays on the Encyclopédie of
Diderot and d'Alembert, University Press, Oxford 1968.
ILLUMINISMO FRANCESE 407
poiana. Studiò diritto e medicina, ma si dedicò poi completamente agli studi di ma
tematica e fisica. Dal 1741 fu membro dell'Accademia delle Scienze di Parigi e dal
1746 di quella di Berlino. Dopo la pubblicazione delle Recherches sur la précession
des équinoces et sur la mutation de l'axe de la terre dans le système newtonien
(1749), iniziò la sua collaborazione con Diderot per I'Encyclopédie, durata fino al
1758. In questo periodo i suoi interessi superarono il mero ambito scientifico; com
pose infatti dei Mélanges de philosophie, d'histoire et de littérature ( 1753), le
Réfl,exions sur l'usage et sur l'abus de la philosophie dans les matières de gout (1757)
e gli Élements de philosophie ( 1759). Non accettò l'invito di Federico di Prussia a
trasferirsi a Berlino, in qualità di presidente dell'Accademia, né quello di Caterina II
cli Russia di recarsi colà come precettore del figlio. Visse a Parigi, dove continuò a
dedicarsi ai suoi studi matematici; dal 1772 divenne segretario perpetuo dell'Aca•
démie Française di cui era stato eletto membro nel 1754. Morl a Parigi nel 1783.
Una buona raccolta delle sue opere restano allcora le Oeuvres philosophiques, histori
ques et littéraires, par J. F. Bastien, Paris 1805, 18 vols. Tra i recenti studi ricordiamo:
R. GRIMSLEY, Jean d'Alembert, At Clarendon Press, Oxford 1963; T. L. HANKINS,
Jean d'Alembert. Science and the Enlightenment, At Clarendon Press, Oxford 1970.
JLLUJfINISMO FRANCESE 411
6. Condillac
connaissances humaines (1746) e del Traité des Systèmes (1749), divenne membro del
l'Accademia cli Berlino. Nel 1754 pubblicò il Traité des Sensations e l'anno successivo
il Traité des animaux. Fu a Parma dal 1758 al 1767 come precettore dell'infante
Don Ferdinando, nipote di Luigi XV, dove compose il Cours d'études (pubblicato poi
nel 1775). Tornato a Parigi nel 1768, venne eletto membro dell'Accademia francese.
Ritiratosi nella sua proprietà di Flux, compose la Logique e la Langue des calculs;
quivi mori nell'agosto del 1780.
Per gli scritti cli Condillac rimando alle Oeuvres philosophiques, par G. Le Roy,
Presses Univers. de France, Paris 1947-51, 3 vols. (da cui attingo}. Traduzioni italiane:
Trattato delle sensazioni, a cura di P. Salvucci, Laterza, Bari 1970 (da cui attingo) e
Saggio sull'origine del!e conoscenze umane, a cura di L. Quattrocchi, Loescher, Torino
1960. Studi: G. LE RoY, La psychologie de Condillac, Boivin et C.ie, Paris 1937;
M. DAL PRA, Condillac, Fr. Bocca, Milano 1942; G. SoLINAS, Condillac e l'illumini
smo, Ed. Università degli Studi, Cagliari 1955; P. SALVUCCI, Linguaggio e mondo
umano in Condillac, S.T.E.U., Urbino 1957 e Condillac filosofo della comunità umana,
Nuova Accademia, Milano 1961; F. KNlGHT, The Geometrie Spirit. The Abbé de Con
dillac and the French Enlightenment, Yale University Press, New Haven 1968.
418 FILOSOFIA MODERNA
20
PIERRE Lou1s MoREAU DE MAUPERTUIS (1698-1759) divenne, ancor molto
giovane, membro dell'Accademia francese e fu nominato nel 1740 presidente del
l'Accademia di Berlino. Si interessò prevalentemente di problemi scientifici e parte
cipò pure ad una spedizione in Lapponia per il rilevamento di dati, al fine di stabilire
la figura della terra.
Edizioni: Oeuvres, Lyon 1768, 4 vols. (Ed. fotost. G. Olms, Hildesheim 1965).
ILLUMINISMO FRANCESE 423
8. I materialisti
22
JuLIEN 0FFRAY DE LA METTRIE (1709-1751) studiò medicina prima a Reims,
poi fu discepolo a Leida del Boerhaave. Dopo un periodo di esercizio della profes
sione medica nell'esercito, si ritirò dedicandosi allo studio e alla composizione delle
sue opere. Già l'Histoire naturelle de l'ame (L'Aia 1745) scandalizzò i lettori francesi,
per cui egli dovette cercar rifugio prima a Leida e poi a Potsdam, sotto la protezione
di Federico di Prussia. In questi brevi anni uscirono le sue principali opere: L'homme
-machine (1748), L'homme-plante (1748), Les ammaux plus que machines (1750), L'an
ti-Sénèque (1750), L'Art de ;ouir (1751) e, postumo, il Système d'Epicure.
Opere: rimando alle Oeuvres philosophiques, nouvelle édition, chez Ch. Tutot,
428 FILOSOFIA MODERNA
Berlin 1796 (da cui attingo). Una raccolta dei &uoi scritti in italiano è L'uomo-mac
china e altri scritti, a cura di G. Preti, Feltrinelli, Milano 1955. Recentemente, a cura di
S. Moravia, sono state pubblicate le sue Opere filosofiche, Laterza, Bari 1974.
Utile è la prefazione di A. VARTANIAN all'edizione critica de L'homme-machine,
Princeton 1960. Si veda anche il recente studio di G. P. BoccARDI, Motivi preroman
tici nella filosofia della natura di La Mettrie, Vallecchi, Firenze 1969.
ILLUMINISMO FRANCESE 429
24
PAUL HEINRICH DIETRICH barone d'HoLBACH (1723-1789), nato a Edesheim, si recò
giovanissimo a Parigi, presso uno zio naturalizzato francese, di cui divenne ricco erede.
Tra il 1750 ed il 1780 il suo salotto fu famoso ritrovo parigino degli spiriti più spregiu
dicati e luogo delle più libere conversazioni anticlericali e materialistiche. Amico del
Diderot, collaborò all'Encyclopédie anche dopo il 1758, con articoli di mineralogia, chi
mica e storia naturale. Negli anni sessanta, oltre alla traduzione e all'edizione ano-
432 FILOSOFIA MODERNA
nima di numerosi scritti del deismo inglese, dalla coterie holbachiana vennero com
pilati numerosi pamphlets antireligiosi. Dopo il 1770 apparvero gli scritti di maggiore
importanza del d'Holbach, anche questi spesso coperti dall'anonimato, o sotto falsa attri
buzione. Ricordiamo il S3•stème de la nature, Londres 1770 (ed. fotost. G. Olms, Hilde
sheim 1966); La politique naturelle, ou discours sur les vrais principes du gouver
nement, London 1773; La morale universelle, ou les devoirs de l'homme fondés sur la
nature, Paris, Balli, 1776. 3 vols.
Un utile repertorio bibliografico è quello di J. VERCRUYSSE, Bibliographie descriptive
des écrits du Baron d'Holbach, Lettres Modernes Minarci, Paris 1971. Utili gli studi di
P. NAVILLE, D'Holbach et la philosopbie scientifique au XVIII• siècle, Gallimard, Pa
ris 1943, e di V. W. TOPAZIO, D'Holbach's moral pbilosophy: its background and deve
lopment, Institut et Musée Voltaire, Genève 1956.
ILWMINISMO FRANCESE 43}
9. Jean-Jacques Rousseau
25
RoBERT TuRGOT (1727-1781 ), avviato alla carriera ecclesiastica, dopo aver frequen
tato il seminario di St. Sulpice e la Sorbona, entrò nella carriera amministrativa dello
stato, rivestendo vari incarichi nel Consiglio di Stato, e si interessò di economia po
litica. Fu ministro delle finanze di Luigi XVI dal 1774 al 1776. Gli ultimi anni della
sua vita furono dedicati a studi matematici e scientifici.
Le sue opere più note sono di economia politica; ricordiamo le Réflexions sur la for
mation et la distribution des richesses (1766) e le Lettres sur la liberté du commeI:
ce des grains (1770). Ai temi da noi trattati del progresso, della storia, della tol
leranza sono dedicati il Discours tenuto alla Sorbona (1750), il Pian de deux Discours
sur l'histoire universelle (1751) ed alcune lettere, abbozzi, frammenti, raccolte di pen
sieri... Attingo dalle Oeuvres de Turgot, Guillamin Libraire, Paris 1844, 2 vols. Una mono
grafia è quella di P. VIGREUX, Turgot, Paris 1947.
444 FILOSOFIA MODERNA
27
MARIE-}EAN-ANT01NE-N1coLAS CARITAT, marchese di CONDORCET (1743-1794), do
po i primi anni di studio trascorsi presso i Gesuiti di Reims ed il collegio di Navarra,
si stabili a Parigi, nel cui ambiente culturale si rese noto con la presentazione all'Ac
cademia del suo Essai sur le calcul intégral (1765), guadagnandosi l'amicizia e la prote
zione di d'Alembert, Helvétius, Turgot e Voltaire. Oltre agli interessi strettamente ma
tematici, la sua attività si rivolse ai sempre dibattuti temi politici e religiosi, e nel 1774,
con le Lettres d'un théologien à l'auteur du Dictionnaire des trois siècles, si rivelò ar
dente polemista e difensore della tolleranza. Fu nominato ispettore generale delle monete
durante il ministero Turgot. Nel 1782 entrò a far parte dell'Accademia francese. Dallo
scoppio della Rivoluzione francese fu membro della Comune di Parigi, poi membro e
presidente dell'Assemblea legislativa. La sua opera divenne allora quella di giornalista
e di collaboratore a pubblicazioni periodiche di indole politica ( « Chronique de Paris »,
« Bibliothèque de l'ho=e public » « La bouche de fer » ). Denunciato e ricercato nel
1793 sotto l'accusa di cospirazione contro la repubblica, per circa nove mesi restò rifu
giato presso Madame Vemet, dove, sotto la minaccia della ghigliottina, compose
446 FILOSOFIA MODERNA
I'Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit bumain. Arrestato il 27 marzo
1794, fu trovato morto in carcere il giorno successivo.
Ricordo l'edizione delle Oeuvres de Condorcet, éd. Arago, Paris 1847-49, 12 vols.
Per I'Esquisse ... , mi servo dell'edizione curata da H. O. Prior, Boivin, Paris 1933.
Studi: J. S. ScHAPIRO, Condorcet and the Rise of Liberalism, Octa gon Books, New York
1963; A. CENTO, Condorcet e l'idea del progresso, Parenti, Firenze 1956; M. Gmo, L'idea
di progresso nell'illuminismo francese e tedesco, Ed. di « Filosofia », Torino 1962.
ILWMINISMO FRANCESE 447
G. W. LEIBNIZ
(1646-1716)
!emica con Duns Scoto (dr. il paragrafo 17 della Disputatio). La sua tesi è: « pnnc1-
pium individuationis est entitas tota» (§§ 3 e 4); cioè: ogni cosa è individua per
tutta se stessa. Infatti una realtà universale sarebbe contraddittoria « quia nulla da
retur divisio adaequata, daretur anima! nec rationale nec irrationale. Et daretur
motio neque recta neque obliqua» (§ 22). La tesi di Leibniz nella Dissertatio con
tiene già in nuce il principio dell'identità degli indiscernibili, che Leibniz enuncerà
più tardi.
• Cioè col problema se una grandezza continua sia divisibile all'infinito o sia
composta di semplici (se l'esteso p.es. sia composto di indivisibili, se il tempc sia
composto di istanti).
LEIBNIZ 453
• È questa la prima distinzione tra filosofia e scienza che mi sia occorso di tro
vare. Intorno ad un medesimo oggetto, afferma Leibniz, ci sono due tipi di sapere
che rispondono a diversi problemi. Anche Cartesio aveva elaborato una meta.fisica e
una fisica, ma si trattava di due sfere del sapere, aventi oggetti totalmente diversi:
la metafisica ha per oggetto la mens e Dio, la fisica il mondo corporeo; per Leibniz
la medesima realtà è oggetto di considerazioni diverse: una che risale ai principi uni
versalissimi, ai concetti impliciti anche nelle considerazioni della fisica, ma non da
questa tematizzati, l'altra che descrive ed entro certi limiti spiega come si svolgano
i diversi fenomeni naturali.
7
E questa è una specie di prevaricazione dalla teoria generale esposta sopra,
poiché per sé una fisica come scienza non è né meccanicistica né finalistica, proprio
perché meccanicismo e finalismo non sono teorie scientifiche. Il geometra, per pren
dere l'esempio leibniziano, dimostra i suoi teoremi nel medesimo modo qualunque
sia la sua teoria sullo spazio e l'estensione, comunque la pensi a proposito del « la
birinto del continuo».
• « Omne corpus intelligi posse mentem momentaneam seu carentem recorda
tione » (Lettera ad Arnauld del 1671; G. I., p. 73).
• Il termine monade compare, sembra, per la prima volta in una lettera a Mi
chelangelo Fardella del 1696. Certo nello scritto del 1698 De ipsa natura etc. (G., IV,
pp. 504-516; Saggi e lettere, pp. 289-306) Leibniz dice: « ... quod Monadis nomine
appellare soleo»; quindi già da un certo tempo doveva usare il termine.
454 FILOSOFIA MODERNA
4. Origine metafisica
13
Burcher de Volder (1643-1709) era professore di filosofia, fisica e matematica
all'Università di Leida. La discussione fra Leibniz e de Volder fa pensare a quella
fra un fenomenologo e un neopositivista.
458 FILOSOFIA MODERNA
che adesso duri e operi» (ibid., p. 294 ). Ora un tale effetto sus
sistente coincide con quel principio di attività che Leibniz chiama
entelechia o monade. Ma questa specie di impronta lasciata da
Dio nelle cose non è « tra quelle cose che si colgono con l'imma
ginazione, ma con l'intelletto» (ibid., p. 295). È una condizione
dell'essere delle cose, perché una cosa non può essere senza at
tività; se Dio fa tutto nelle cose, bisogna concludere che Dio è
tutto nelle cose, e queste diventano solo modi di apparire del
l'unica sostanza divina, come è stato detto « da uno scrittore sot
tile, ma empio», cioè Spinoza. (ibid., p. 296 ). Ma poiché Leibniz
ha detto che il negare attività alle cose - come fa Malebranche
- porta a negar loro l'essere, dietro la polemica con Sturm sta
quella con Malebranche, come ha osservato A. Robinet. Se dun
que, non si può negare alle cose una certa attività, bisogna ammet
tere che in esse ci sia un principio dell'attività, « una entelechia
prima come principio suscettivo (1tpw1"ov ae:>mx6v) dell'attività »
(ibid., p. 299).
Potremmo chiamare giustificazione metafisica del concetto di
monade questa argomentazione che risale alla monade come unità
a fondamento della molteplicità-estensione, e come principio di
attività a fondamento del moto, e chiederci se essa sia per Leibniz
radicalmente diversa dalla giustificazione logica di cui si è par
lato prima. Leibniz stesso scrive in una lettera alla duchessa So
fia di Braunschweig: « j'ay reconnu que la vraye Métaphysique
n'est guères différente de la vraye Logique» (G., IV, p. 292).
Con questo, Leibniz, che nella corrispondenza con de Volder ha
tanta cura di distinguere concetti logici da concetti metafisici, non
voleva identificare logica e metafisica, ma voleva dire che a fon
damento della logica e della metafisica stanno i medesimi prin
cipi: di identità-non contraddizione e di ragion sufficiente. Tali
principi non fanno che enunciare i caratteri di ogni realtà, del
reale in quanto tale: ogni realtà è una e determinata; ogni realtà
è intelligibile. E sono i principi della conoscenza perché secondo
Leibniz conoscere non è in ultima analisi se non vedere, manife
stare come stanno le cose: « ogni predicazione vera ha qualche
fondamento nella natura delle cose» (Saggi e lettere, p. 110).
C'è poi in Leibniz anche una giustificazione « fisica» della
nozione di sostanza come principio di attività: quella cioè che
Leibniz intende trarre dalla sua tesi secondo la quale ciò che si
460 FILOSOFIA MODERNA
5. I corpi
6. Spazio e tempo
Sulla natura dello spazio e del tempo Leibniz ebbe una discus
sione epistolare con Clarke 18, che sosteneva la teoria del suo mae
stro Newton. L'estensione dei corpi, abbiamo detto, è per Leibniz
un phaenomenon bene fundatum, la nozione di uno spazio unico
gno per ottenere questo risultato: era stato un servitore fedele del suo principe, ma
il suo principe non se ne ricordò quando ebbe ottenuto quello che voleva, e giunto
in Inghilterra, cercò sopra tutto di ingraziarsi gli inglesi. Colmò, giustamente, di ono
ri Newton, ma, meno giustamente, non si curò di difendere la fama scientifica di
Leibniz contro i detrattori di lui. La ruggine, poi addirittura l'inimicizia fra Leibniz
e Newton era sorta a proposito del calcolo infinitesimale: chi dei due fosse stato
il primo a scoprirlo. Nel 1712 la Royal Society aveva dato torto a Leibniz; ma la
controversia, come spesso succede, non si limitò ei problemi scientifici, e ognuno
dei due avversari accusò l'altro di empietà, come si vede dal riassunto della prima
lettera e dalla risposta di Oarke. Storicamente la controversia è importante special
mente per la discussione sullo spazio e sul tempo, dalla quale prese avvio la teoria
di Kant.
LEIBNIZ 463
7. Vinculum substantiale
19 La teoria del moto secondo Newton, Leibniz e Huygens, nel voi. La nuova
filosofia della scienza, Milano, Bompiani, 1968, pp. 69-97.
464 FILOSOFIA MODERNA
9. L'armonia prestabilita
20 Stranamente, poiché agli scolastici, che concepivano l'anima come forma so
stanziale del corpo, non si pone affatto il problema dei loro rapporti, perché anima e
corpo non sono due sostanze, ma due componenti di quel tutto che è l'uomo.
466 FILOSOFIA MODERNA
21 I principali scritti polemici contro Cartesio sono raccolti nel IV volume del-
1'edizione Gerhardt, pp. 274406.
LEIBNIZ 467
siane del metodo somigliano a quella cli un tal chimico che diceva:
« prendi quello che devi, opera come devi, e otterrai ciò che desi
deri» (G., IV, p. 329). Il dubbio metodico è una inutile cerimonia
(G., IV, p. 327); il cogito è una verità immediatamente evidente;
bisogna però aggiungere: varia a me cogitantur 22 (G., IV, p. 357);
inoltre, come il cogito è la prima verità evidente nell'ordine delle
verità cli fatto, cosi il principio di non-contraddizione è la prima
verità cli ragione, senza la quale non si può fare nessun ragiona
mento, e quindi neppure dimostrare l'esistenza cli Dio (G., IV,
p. 327).
Nell'opuscolo Sulla conoscenza, la verità e le idee, del 1684,
( tradotto in Saggi e lettere, pp. 95-101) Leibniz distingue, se
condo il loro grado cli perfezione, vari tipi cli conoscenza. « Oscura
è la nozione che non basta a far riconoscere la cosa rappresentata: co
me quando, poniamo, ricordo un qualche fiore o animale visto una
volta, ma non a sufficienza per riconoscerlo quando mi sia presen
tato, e distinguerlo da un altro simile ... Chiara è dunque una cono
scenza, quando ho un fondamento su cui riconoscere la cosa rap
presentata. Una tal conoscenza [la conoscenza chiara] può essere,
a sua volta, confusa o distinta: confusa, quando io non sia in grado
di enumerare separatamente i caratteri sufficienti a distinguere
quella cosa dalle altre... Così sappiamo riconoscere abbastanza
chiaramente e distinguere l'uno dall'altro i colori, i sapori, gli odo
ri,... ma per la semplice attestazione dei sensi, non per caratteri
che si lascino dichiarare 23; per questo né possiamo spiegare a un
cieco che cosa sia il rosso, né chiarire ad altri tali oggetti se non
portandoli in loro presenza» (Saggi e lettere, pp. 95-96). Tali no
zioni sono dunque chiare, ma confuse. Distinte sono le nozioni che
includono i caratteri essenziali dell'oggetto, come quelle cli numero,
grandezza, figura (ibid. ). Ci sono anche nozioni distinte indefinibili:
sono « le nozioni primitive, che sono il carattere distintivo cli se
stesse», cioè sono irresolubili. Leibniz qui non fa esempi, ma cre
do si potrebbe esemplificare con le nozioni cli uno e cli essere. Quan
do poi tutti i caratteri che entrano a formare una nozione distinta
sono a loro volta distinti, cioè « quando l'analisi sia stata condotta
fino in fondo, la conoscenza è adeguata » (ibid. ). Leibniz aggiunge
che forse nella conoscenza umana non si dànno nozioni adeguate;
le più vicine a questo ideale sono le nozioni dei numeri. Non sem
pre possiamo intuire la realtà dell'oggetto pensato (per esempio
quando l'oggetto pensato è il chiliogono); ci serviamo allora di se
gni, ed abbiamo una conoscenza simbolica. La conoscenza simbolica
suppone però la conoscenza intuitiva, e si fonda su questa. Per ave
re, ad esempio, la nozione simbolica del chiliogono o poligono di
mille lati, dobbiamo avere le nozioni intuitive di unità e di linea.
Idea vera è l'idea di una realtà possibile, idea falsa quella che
unisce elementi contraddittorii. La possibilità, poi, può essere co
nosciuta a priori o a posteriori: a posteriori « quando abbiamo
esperienza che la cosa esiste attualmente, dato che tutto ciò che
esiste o è esistito attualmente è possibile» (op. cit., p. 99). La co
noscenza a priori della possibilità sembra ridursi per Leibniz alla
conoscenza della non contraddizione. Leibniz ammonisce tuttavia
a non appellarsi troppo facilmente alle idee, senza provarle sulla
pietra dell'esperienza.
Il che non vuol dire però che egli accetti la tesi lockiana che
ogni conoscenza deriva dall'esperienza. Alla discussione delle teo
rie di Locke Leibniz dedicò i Nuovi saggi sull'intelletto umano. Del
Saggio sull'intelletto umano di Locke, pubblicato nel 1690, Leibniz
si era interessato fin dal 1693 e aveva scritto alcune brevi osserva
zioni (G., V, pp. 14-15) mandate a Burnett e lette da Locke, che
però non vi aveva trovato nulla di speciale. Nel 1698 Leibniz scris
se altre osservazioni (Echantillon de réftexions sur le Ier livre de
l'Essay etc. (G., V, pp. 20-24) che ampliò fra il 1703 e il 1704 e
che divennero i Nuovi Saggi. Ma nel 1704 morl Locke, e Leibniz
non volle pubblicarli perché non gli sembrò opportuno esporre obie
zioni a chi ormai non poteva rispondere (G., V, p. 9). Cosl i Nuo
vi Saggi furono pubblicati postumi nel 1765.
Leibniz comincia, già nel Proemio, a discutere la negazione
lockiana dell'innatismo: si tratta di vedere « se tutte le veri
tà provengano dall'esperienza, cioè dall'induzione e dagli esem-
LEIBNIZ 469
2
• Abbrevio con N.S. il titolo Nuovi Saggi; il numero romano indica il libro,
il primo numero arabo il capitolo, il secondo numero arabo il paragrafo; il lettore
potrà quindi ritrovare facilmente il passo nella traduzione italiana edita dalla U.T.E.T.
470 FILOSOFIA MODERNA
Vediamo ora quali sono gli assiomi, i principi pr1m1 non solo
di una scienza, come può essere la matematica, ma di tutta la co
noscenza umana, e ricordiamo che secondo Leibniz i principi della
::onoscenza sono anche le leggi fondamentali della realtà 25•
26
Nelle Primae veritates, dopo aver detto che le prime verità sono le verità
identiche, Leibniz aggiunge: « Da tali cose non abbastanza considerate a causa della
loro troppa facilità, nascono conseguenze di grande momento. Ne nasce infatti im
mediatamente il. noto assioma secondo cui " nulla è senza ragione " o " nessun ef
fetto è senza causa " » (Saggi e lettere, p. 71 ).
476 FILOSOFIA MODERNA
211
« Verae contingentes sunt quae continuata in infinitum resolutlone indigent »,
in Opuscules et fragments inédits, p. 371.
29 E Arnauld fu soddisfatto di questa spiegazione di Leibniz. (Cfr. G., Il, pp.
63-64).
30 Si veda in proposito J. IWANICKI, Leibniz et les démonstrations mathématiques
de l'existence de Dieu, Strasbourg, Librairie Universitaire d'Alsace, 1933.
478 FILOSOFIA MODERNA
31
ar. al riguardo A. BAUSOLA, A proposito del perfezionamento leibniziano del
l'argomento ontologico: il carteggio Leibniz-Eckard, in « Riv. di filos, neoscolastica»
LIII (1961), pp 281-297.
32 GRUA, Textes inédits, p. 325, cit. da Bausola, p. 294.
LEIBNIZ 481
33 Già nella Confessio philosophi, del 1673,, il Teologo, interlocutore del dialo
go, affronta la « spinosa questione della giustizia di Dio» (ed. Belava!, p. 24); ora
« giustizia di Dio» è la traduzione di teodicea; quindi le di.flicoltà di P. Bayle - sia
nel Dictionnaire historique et critique del 1697,, sia nelle Questions d'un Provincia!,
del 1704, circa la possibilità di conciliare la giustizia di Dio con l'esistenza del male,
e la predestinazione divina con la libertà umana - sono state solo l'occasione per
ché Leibniz esponesse, negli Essais de Théodicée, teorie che aveva già eleborate da
tempo.
Su Bayle si veda G. CANTELLI, Teologia e ateismo, Firenze, La Nuova Italia,
1969.
482 FILOSOFIA MODERNA
" Cosl ho creduto di poter tradune il testo, supplendo le parole fra parentesi
uncinate: « Omnis opinio habet duas causas: temperamentum opinantis et objecti
dispositionem, id est statum personae ... Ad primum nascentis temperamentum, <ad
secundum> id est statum personae circumstantias (sic!) rei resolvuntur... ».
484 FILOSOFIA MODERNA
LA FILOSOFIA IN GERMANIA
NELL'ETA' DELL'ILLUMINISMO
[MARCO PAOLINELLI]
2
Was ist Aufklarung?, a cura di N. l-IINSKE, Darmstadt Wissenschaftliche Buchgesell
schaft 1973, pp. 444445.
3
W. T. KRUG, Allgemeines Handworterbuch der philosophischen Wissenschaften,
Lipsia 1827-1829, I, pp. 212-213.
ILLUMINISMO TEDESCO 491
Già subito nella seconda metà del secolo XVII il sistema car
tesiano appare come l'unico capace di entrare in alternativa alle
varie costruzioni filosofiche che, pur variamente orientate, si ri
chiamano in ognì caso a quella base comune che è costituita dal
• WEIGEL Erhard, Weiden (Alto Palatinato, nell'attuale Baviera) 1625 - Jena 1699.
Tra le sue numerosissime opere ricordiamo: Analysis Aristotelica ex Euclide restituta
(Jena 1658), Idea Matheseos universae (Jena 1669), Arithmetische Beschreibung der
Moral-Weìsheit (Jena 1674), Aretologistica (Norimberga 1687), Philosophia mathematica
(Jena 1693). Su W. dr. W. HEsTERMEYER, Paedagogia mathematica, Paderborn 1969;
« Studia Leibnitiana » III (1971), n. 1 (fascicolo dedicato a W.).
498 FILOSOFIA MODERNA
7
PuFEND0RF Samuel, Chemnitz (l'attuale Karl-Marx-Stadt) 1632 - Berlino 1694.
Figlio cli un pastore protestante, ricevette dal padre la sua prima educazione. Studiò
quindi teologia, filologia, filosofia e storia a Lipsia e a Jena, ove ebbe maestro E. Weigel.
Durante un periodo cli prigionia che dovette subire in Danimarca come precettore nella
famiglia dell'inviato svedese, approfondì la lettura cli Hobbes, Cumberland, Grazio,
dopo cli che scrisse gli Elementa, che gli valsero una cattedra cli diritto naturale ad
Heidelberg. Trasferitosi nel 1670 all'università cli Lund, divenne quindi storiografo
ufficiale prima a Stoccolma e poi a Berlino. Elementa iurisprudentiae universalis (L'Aia
1660; ed. crit. W. A. OLDFATHER, Oxford 1931), De statu imperii Germanici (Ginevra
1667), De iure naturae et gentium (Lund 1672; rist. Francoforte, Minerva, 1967),
De habitu religionis christianae ad vitam civilem (Brema 1687). Traduzioni: Principi di
diritto naturale, antol. a cura di N. BoBBIO, Torino 1943. Su P., N. BoBBI0, Leibniz e P.,
« Rivista di filosofia» XXXVII (1947), 118-129.
500 FILOSOFIA MODERNA
• THOMASIUS Christian, Lipsia 1655 - Halle 1728. Figlio di Jakob T., famoso come
storico della filosofia e per essere stato maestro di Leibniz, studiò filosofia e diritto a
Lipsia e a Francoforte sull'Oder: importanti le letture di Grozio e Pufendorf. Dopo
un viaggio in Olanda, egli operò a Lipsia e successivamente ad Halle, ove insegnò sin dal
1690 e nel 1694 fu tra i più importanti docenti della nuova università. Per quanto
riguarda la sua evoluzione intellettuale e le sue battaglie culturali, cfr. il testo. Tra le
sue opere ricordiamo: Introductio ad philosophiam aulicam (Lipsia 1688), Institutiones
iurisprudentiae divinae (Francoforte e Lipsia 1688; rist. Aalen Scientia 1963), Einleitung
zu der Vernunftlehre (Halle 1691; rist. Hildesheim Olms 1968), Ausubung der Ver
nunftlehre (Halle 1691; rist. Hildesheim Olms 1968), Einleitung zur Sittenlehre (Halle
1692; rist. Hildesheim Olms 1967), Ausubung der Sittenlehre (Halle 1696; rist. Hil
desheim Olms 1967), Versuch vom Wesen des Geistes (Halle 1699), Fundamenta Juris
naturae et gentium (Halle 1705; rist. Aalen Scientia 1963). Su T.: F. BATTAGLIA, C. T.,
filosofo e giurista, Roma 1936; D. DEL Bo, Le dottrine giuridiche di C. T., « Riv. di fil.
neoscolastica», XXXI (1939), 78-92; G. SOLARI, C. T., « Riv. di filosofia», XXX (1939),
39-65; R. LIEBERWIRTH, C. T., Weimar 1955; G. AcEn, Considerazioni di C. T. sullo
studio dell'economia, « Riv. int. di scienze sociali», LXVI (1958), 217-241; W. ScHNE1-
DERS, Recht, Moral und Liebe, Miinster 1961.
504 FILOSOFIA MODERNA
3. Christian Wolff
Come per Thomasius e per la sua scuola, cosl anche per Wolff
- e per tutto il secolo - la filosofia non è pura contemplazione,
attività meramente teoretica, ma saggezza di vita (Welt-Weisheit),
scienza del vero e del bene, e che, avendo a strumento la ragione,
intende delineare e costruire un modo di vita che sia - almeno
nella sfera terrena -, insieme ed indissociabilmente, moralmente
coerente e felice. Al raggiungimento di questo fine è volta la esi
genza stessa della « scientificità » della filosofia, che si compendia
nella asserita necessità di richiamarsi al fondamento di ogni verità,
alla ragione del nesso che unisce soggetto e predicato; questo ri
chiamo è essenziale, per Wolff, perché solo per esso la conoscenza
filosofica si distingue dalla storica, che sta ferma al puro fatto,
senza elevarsi alla consapevolezza della sua ragione.
514 FILOSOFIA MODERNA
10
CHRISTIAN WoLFF ( 1679-1754) è la figura dominante del
pensiero tedesco del '700; e il suo merito non sta tanto in una
particolare profondità speculativa, quanto piuttosto nella cura del
costante perseguimento di un ideale di sistematicità e di fonda
tezza, ciò in cui Kant ed Hegel lo riconosceranno maestro. L'ap
provazione e la diffusione che la sua filosofia incontra faranno si
che verso la metà del secolo gran parte delle cattedre di filosofia,
e diverse anche di teologia, delle università tedesche siano occu
pate da wolffiani; e se pensatori più tardi, soprattutto Mendels
sohn, saranno i fondatori e modelli della prosa filosofica tedesca,
10 WOLFF Christian, Breslavia 1679 - Halle 1754. Tenninati gli studi ginnasiali nella
nativa Breslavia, dove già ha modo cli conoscere la filosofia aristotelica e scolastica ed ha
i primi contatti con la cartesiana, si reca a Jena per studiare teologia. Ma si applica
soprattutto alla filosofia e alla matematica: legge tra l'altro Tschirnhaus, Pufendorf,
Sturm. Trasferitosi a Lipsia, vi insegna matematica, mentre entra nel circolo degli
Acta eruditorum, e attraverso O. Mencke che ne è l'editore, conosce Leibniz con cui
intrattiene una corrispondenza che cesserà solo con la morte del filosofo di Hannover.
Dal 1706 al 1723 insegna matematica, e poi filosofia, ad Halle, con successo crescente;
ma alcune sue tesi gli procurano l'avversione dei colleghi pietisti, che riescono infine,
per mezzo di un ordine reale, ad ottenerne l'allontanamento dagli stati prussiani. Da
Marburgo, presso la cui università è negli anni successivi, tornerà ad Halle, avendo rifiu
tato la presidenza dell'Accademia cli Berlino, solo con l'avvento al trono di Fede
rico II; vi insegnerà, ma non col successo di un tempo, sino alla sua morte. A parte
le opere giovanili e quelle cli carattere matematico, le opere maggiori di W. si organiz
zano in due serie: la prima in tedesco, cronologicamente anteriore, e la seconda in la
tino. Abbiamo la serie dei Verniinftige Gedanken: Verniinftige Gedanken von den
Kriiften des menschlichen Verstandes (citati anche come Logica tedesca, Halle 1713),
vom Gott, der Welt und der Seele des Menschen auch von allen Dingen iiberhaupt (Me
tafisica tedesca, Francofc.rte e Lipsia 1719), von der Menschen Tun und Lasse11 (Morale
tedesca, Halle 1720), vom gesellschaftlichen Leben der Menschen (Politica tedesca,
Halle 1722), von den Wirkungen der Natur (Fisica tedesca, Halle 1723), von den
Absichten der natiirlichen Dingen (Teleologia tedesca, Halle 1724), von dem Gebrauche
der Teile in Menschen, Tiere und Pflam;en (Fisiologia tedesca Francoforte e
Lipsia 1725). Quindi, le opere latine: Logica (Francoforte e Lipsia 1728),
Ontologia (ibid., 1730), Cosmologia generalis (ibid., 1731), Psychologia empirica
(ibid., 1732), Psychologia rationalis (ibid., 1734), Theologia naturalis, pars prior (ibid.,
1736), Theologia naturalis, pars posterior (ibid., 1737), Philosophia pratica universalis
(2 voli., ibid., 1738-39), Jus naturae (8 voli., ibid. e poi Halle, 1740-48), ]11s gentium
(Halle 1749), Ethica (4 voli. Halle, 1750-53), Oeconomica (2 voli., Halle 1754). Le
opere di W. sono in corso di riedizione o di ristampa presso l'editore Olms di Hil
desheim: sono già uscite la Ontologia (1962), Cosmologia (1964) e Psicologia empirica
(1968) a cura di J. EcoLE, e la Logica tedesca (1965) a cura di H. W. ARNDT. Su W. cfr.
H. PrcttLER, Ueber C. W.s. Ontologie, Lipsia 1910; S. DRAGO DEL BocA, Kant e i mo
ralisti tedeschi: W., Baumgarten, Crusius, Napoli 1937; M. CAMPO, C. W. e il ra
zionalismo precritico, Milano 1939; H. HEIMSOETH, W.s. Ontologie und die Prinzipien
forschung Kants in Studien zur Philosophie I. Kants, Colonia 1956; N. MERKER, C. W.
e la metodologia del razionalismo « Riv. critica cli storia della fil.» XXII (1967), 271-
293 e XXIII (1968), 21-38; A. BISSINGER, Die Struktur der Gotteserkenntnis. Studien
zur Philosophie C. W.s, Bonn 1970; R. CIAFARDONE, Le origini teologiche della filosofia
wolffi.ana e il rapporto ragione..esperienu, « Il Pensiero» XVIII (1973), 54-78.
ILLUMINISMO TEDESCO 515
occupa della prassi morale, della quale pure - e non solo della teo
ria - si dà scienza.
Ci siamo fermati abbastanza a lungo sulla filosofi.a pratica uni
versale, come quella scienza che, in analogia con la mathesis uni
versalis che è a fondamento dell'aritmetica come della geometria,
è fondamento di tutte le branche della filosofi.a morale, etica eco
nomica e politica.
Altro principio fondamentale della filosofi.a pratica è infatti
quella proprietà della natura umana, saputa a posteriori, per cui
nessun uomo, da solo, può portare a maggior perfezione il suo sta
to, può vivere moralmente; a ciò si richiede la società. Le leggi
naturali sono radicate nella stessa essenza e natura dell'uomo, ma
non sempre tale derivazione è immediata; è compito del Diritto na
turale rendere evidente quella derivazione, e ciò per lo stato natu
rale come per lo stato civile dell'uomo. Mostrando il diritto na
turale quali azioni siano comandate, quali possibili e quali permes
se, esso precede l'Etica, che insegna il modo in cui l'uomo può con
formare le sue azioni alle leggi di natura; è di spettanza dell'eti
ca quindi la dottrina delle virtù. L'Economica si occupa delle so
cietà intermedie, non della società statale, oggetto della politica;
ma Wolff non arrivò a scrivere la sua politica latina.
13 CRusrus Christian August, Leuna presso Merseburg 1715 - Lipsia 1775. Studiò
a Lipsia teologia e filosofia, discepolo di A. F. Hoffmann e J. A. Bengel. Dal 1744
al 1750 professore di filosofia, insegnò teologia a partire dal 1750, e alla teologia
si dedicò in seguito quasi esclusivamente. Tra le sue opere: De corruptelis intel
lectus a voluntate pendentibus (Lipsia 1740), De appetitibus insitis voluntatis humanae
(ibid., 1742), De usu et limitibus principii rationis determinantis, vulgo su/ficientis (ibid.,
1743 ), Anweisung vernunftig zu leben (ibid., 1744; rist. a cura di G. TONELLI, come
per i seguenti, Hildesheim Olms 1969), Entwurf der notwendigen Vernunftwahrheiten
(ibid., 1745; rist. Hildesheim Olms 1964), Weg zur Gewissheit und Zuverlii.ssigkeit der
526 FILOSOFIA MODERNA
menschlichen Erkenntnis (ibid., 1747; rist. Hildesheim 01.ms 1965). Anleitung uber
naturliche Begebenheiten ordentlich und vorsichtig nach1.udenken (ibid., 1749). Su C.:
H. HEIMSOETH, Metaphysik und Kritik bei C.A.C., 1926, ora in Studien zur Philosophie
I. Kants, Colonia 1956; W. R. JAITNER, Thomasius, Rudiger, Hoffmann und C., Bleiche
rode 1939; R. C!AFARDONE, Sul rapporto Kant - C., « Il pensiero» XII (1967) 86-104;
M. BENDEN, C.A.C., Wille und Verstand als Prinzipien des Handelns, Bonn 1972.
ILLUMINISMO TEDESCO 527
5. L'Accademia di Berlino
14
EULElt Leonhard, Basilea 1707 - Pietroburgo 1783. La passione per la matematica,
trasmessagli dal padre Paul E., discepolo di Jakob Bernoulli, è alimentata dall'insegna
mento di Johann Bernoulli, suo maestro a Basilea. Qui studia anche teologia e lingue
orientali. Grandissimo cultore di scienze matematiche e fisiche, è dal 1727 al 1740
a Pietroburgo, membro di quella Accademia. Quindi, a Berlino; dopo Maupertuis è
praticamente presidente dell'Accademia. Dal 1766, cieco ma ancora attivo, è di nuovo
a Pietroburgo. Tra le sue opere: Mechanica (Pietroburgo 1736), Réflexions sur l'espace
et le temps (in Mémoires de l'Académie royale des Sciences de Berlin 1748), Lettres
à une princesse d'Allemagne sur quelques su;ets de physique et de philosophie (Pietro
burgo 1768-1772; trad. it. Torino 1958), Rettung der gottlichen Offenbarunr, gegen
die Entwurfe der Freigeister (Berlino 1747), Theoria motus corporum soltdorum...
(Rostock e Freiwald 1765).
534 FILOSOFIA MODERNA
16
Ricordiamo, tra i primi in ordine cronologico Der Verniinftler di Amburgo
(1713) e poi i Discourse der Mahlern di Zurigo, editi da J. J. Bodmer e J. J. Breitinger
(1721), Der Patriot di Amburgo ( 1725) e le Verniinftige Tadlerinnen (1725) e il Bie
dermann ( 1727) editi da Gottsched a Lipsia.
ILLUMINISMO TEDESCO 539
Philosophische Gespriiche (Berlino 1755), Briefe iiber die Empfindungen (Berlino 1755),
Ueber die Hauptgrundsiitze der schonen Kiinste und Wissenschaften (1757), Ueber
das Erhabene und Na'ive (1758), Rhapsodie (1761), Abhandlung iiber die Evidenz in
metaphysichen Wissenschaften (Berlino 1764), Phiidon oder iiber die Unsterblichkeit der
Seele (Berlino 1767), Jerusalem oder iiber religiose Macht und Judentum (Berlino
1783), Morgenstunden oder Vorlesungen iiber das Dasein Gottes (Berlino 1785), An
die Freunde Lessings (Berlino 1786). Ricordiamo una edizione parziale degli scritti
di M. (Schriften zur Philosophie, Aesthetik und Apologetik, 2 voli. a cura di M. Brasch,
Amburgo 1881) che è stata recentemente ristampata (Hildesheim Olms 1968). Nel
1929 fu intrapresa l'edizione completa delle sue opere (Gesammelte Schriften, Jubiliiums
ausgabe, ed. I. Elbogen, J. Guttmann, E. Mittwoch, Berlino 1929-1932), ma uscirono
solo sette volumi; l'editore Fro=ann ha recentemente ripreso l'iniziativa della pub
blicazione, sotto la guida di A. Altmann. Su M. cfr.: E. D. BACHI, Sulla vita e sulle
opere di M. M., Torino 1872; A. PuP1, Alle soglie dell'età romantica, Milano 1962;
C. WILK, M. M., Buenos Aires 1969; A. ALTMANN, M. M.s Friihschriften zur Metaphysik,
Tubinga 1969; dr. infine H. M. Z. MEYER, M. M.s Bibliographie, (Berlino 1965).
544 FILOSOFIA MODERNA
stinguere dal teismo solo sulla base di una speculazione sottile, sen
za effetti sulla vita pratica.
Nella Causa di Dio, o la provvidenza salvata le tematiche delle
Ore mattutine sono sviluppate nella forma di una decisa riafferma
zione di un Dio personale: di Dio vengono indagate onnipotenza e
bontà, nell'intento di dare una teodicea che culmina nella visione di
un Dio provvidente, e del regno di Dio « esteso su tutti gli esseri
dotati di ragione e capaci di felicità» (ibid., I, p. 502); e ciò in pro
babile analogia con il modello di Leibniz, per il quale la visione ar
monica per cui le cause efficienti convengono mirabilmente con le
finali si accompagnava all'armonia tra il regno della natura, di cui
Dio è architetto, e quello degli spiriti, di cui è monarca.
Questa decisa presa di posizione in favore del teismo è presen
te ancora nell'opera maggiore che Mendelssohn, ebreo, dedicò alla
emancipazione culturale sociale e politica dei suoi correligionari,
la Gerusalemme. Posto che l'uomo giunge presto alla coscienza « che
egli, al di fuori della società, è incapace di adempiere ai suoi dove
ri, sia verso se stesso e verso l'autore del suo essere, che verso
il suo prossimo» (ibid., I, p. 272), sono svolte in una prima parte,
su fondamenti etici e di filosofia del diritto, considerazioni generali
sui rapporti tra lo stato, - che nell'opera di governo ed educazione
dell'uomo nel vivere sociale ha ad oggetto i rapporti degli uomini
tra loro, e bada all'azione più che all'intenzione che la muove -,
e la comunità religiosa ( chiesa, sinagoga o moschea), che ha ad og
getto i rapporti tra l'uomo e Dio e guarda precipuamente all'inten
zione. Per questa via Mendelssohn giunge ad una ferma richiesta
di libertà di coscienza, poiché la comunità religiosa non ha potere
di costringere e non può far ricorso allo stato per questo fine, e d'al
tra parte lo stato non è giudice in materia religiosa. A meno che
però non si tratti di dottrine capaci di colpire i fondamenti stessi,
etici e sociali, su cui lo stato si regge ( e qui tornano le tesi fonda
mentali della visione teistica di Mendelsshon): esistenza di Dio,
provvidenza e vita futura. Dottrine che, nella seconda parte del
l'opera, contenente una apologia della fede giudaica, sono viste co
me i principì teoretici su cui quella si basa; esse non sono però
oggetto di una rivelazione particolare, rivolta al popolo ebraico, es
sendo verità eterne, a cui si accede mediante l'uso della ragione, e
non verità storiche, non proponibili quindi come oggetto di fede;
agli ebrei non sono state rivelate verità eterne ( di cui la natura e la
ILLUMINISMO TEDESCO 551
" PLOUCQUET Gottfried Stoccarda 1716 - Tubinga 1790. Studia allo Stift di Tu
binga avendo a maestro I.' G. Canz. Precettore e poi pastore, dal 1750 a_l 1782 è
professore di logica e metafisica a Tubinga. Primaria monadologiae capita (Berlino 1748),
Principia de substantiis et de phaenomenis (Francoforte e Lipsia 1752), Sammlung_ df!f
Schriften, welche den logischen Calcul des Herrn Prof. Ploucquets betreffen, (L1ps1a
1766· rist. Stoccarda-Barl Cannstatt Frommann 1970), Institutiones philosophiae theo
retic�e (Stoccarda 1772). Su P. dr. F. BARONE, Logica simbolica nell'illuminismo tede
sco, «Filosofia» VII (1956), 87-128.
554 FILOSOFIA MODERNA
" LAMTTERT Johann Heinrich, Miihlhausen (Alsazia, allo�a in Svizz�r�) 17?8 ·. �e--
, d1_ dod1c1 anm, d1v1ene
lino 1777. Di povera famiglia, costretto a lavorare fin dall eta
556 FILOSOFIA MODERNA
precettore in case private, ciò che gli dà la possibilità di continuare a studiare, soprat
tutto geometria, astronomia e fisica pur essendo afflitto dalla mancanza di strumenti
appropriati. Per soddisfare i suoi interessi logici e metodologici, legge le opere di Locke
e di Wolff. Dal 1756 al 1758, compie con i suoi discepoli un lungo viaggio attraverso l'Olan
da, la Germania, la Francia e l'Italia. Trasferitosi ad Augusta e quindi a Lipsia, diviene
nel 1765 membro dell'Accademia di Berlino. Tra le sue opere: Kosmologische Briefe
uber die Einrichtung des Weltbaues (Augusta 1761), Abhandlung vom Criterio veritatis
(scritto nel 1761, ed. K. BoPP, Berlino 1915), Ueber die Methode, die Metaphysik.
Theologie und Moral richtiger zu beweisen (scritto nel 1762, ed. K. BoPP, Berlino 1918),
Neues Organon (Lipsia 1764; trad. it. parziale Semeiotica e Fenomenologia, Bari 1974 ),
Anlage zur Architektonik (Riga 1771); importante la sua corrispondenza con Kant. Ri
stampe ed edizioni delle opere in Gesammelte pbilosophische Werke, a cura di H.
W. ARNDT, Hildesheim Olms 1965 -. Su L. dr.: M. E. EISENRING, J.H.L.,
Zurigo 1942; F. BARONE, Logica simbolica nell'illuminismo tedesco, « Filosofia»,
VII (1956), 87-128; P. BERGER, ].H.L.s Bedeutung in den Naturwissenschaften des
XVIII Jahrhunderts, « Centaurus » VI (1959), 157-254; R. CIAFARDONE, Il problema
della « mathesis universalis» in L., « Il Pensiero», XVI (1971), 171-208; Io., J. H.
Lambert e la fondazione scientifica della filosofia, Urbino Argalia 1975.
ILLUMINISMO TEDESCO 557
bili non possano clare altro che una pur permanente parvenza delle
cose realmente esistenti.
I problemi fin qui esaminati formano l'oggetto del sesto, set
timo ed ottavo saggio; i cinque precedenti, che analizzano le diver
se facoltà conoscitive dell'uomo, ne costituiscono il necessario
presupposto. Poggiando su una concezione dell'anima come essere
spiritualmente attivo, concetto di preswnibile derivazione leibni
ziana, e che trova pronta applicazione in una critica all'esclusivi
smo delle dottrine psicologiche associazionistiche, Tetens esamina
successivamente l'attività rappresentativa (nelle sue specificazio
ni della percezione, fantasia e capacità immaginativa - Dichtkraft),
il sentimento, il prender coscienza (gewahrnehmen), che introduce
già all'indagine intorno al pensiero. Pensare è « la conoscenza dei
rapporti e relazioni delle cose in generale» (ibid., p. 299); il pen
siero, sviluppato, è intelletto e ragione. L'origine dei concetti di re
lazione è nel pensiero: le idee distinte che ne abbiamo si originano
per astrazione operata su quegli atti del pensiero, che appunto ope
rano la sintesi di rappresentazioni. Costituisce l'oggetto di trattazio
ni critiche particolarmente accurate la soluzione humiana dei pro
blemi della relazione causale e dell'esistenza del mondo esterno.
Sentimento, rappresentazione, pensiero costituiscono quindi le
tre forme semplici dell'attività conoscitiva dell'anima, attive tut
te, seppure in forma e misura diversa, in ogni atto di conoscenza, e
dotate tutte di un alto grado di perfettibilità; che potrebbe anche
non dar luogo a sviluppi, anche se non è da concludere da ciò che
quelle facoltà non sono presenti. Dei tre principii Tetens studia
la possibile risoluzione in un'unica originaria attività (saggio no
no); ma la psicologia di tradizione leibniziana-wolffiana, che in
dica nella forza rappresentativa la natura dell'anima, è oggetto di
critica. La volontà non si può in alcun modo spiegare riconducendo
la all'attività rappresentativa, ma è un'attività originaria, al pa
ri di quella. Ricondotti il rappresentare e il pensare sotto la co
mune denominazione di intelletto, abbiamo cosi la nota teoria delle
tre facoltà: sentimento, intelletto e volontà. Una analisi dei rap
porti tra le tre facoltà porta a delineare per sommi capi una tipo
logia dei caratteri; e poi, avvia alla ricerca del carattere fonda
mentale dell'uomo, che sta nel possedere un'anima dotata di un alto
grado di modificabilità e di perfettibilità mediante una spontanea
'
. . '
att1v1ta.
ILLUMINISMO TEDESCO 567
mune come tra i nobili i potenti i dotti. Emerge qui il tema della
incidenza e diffusione nella società della Aufklarung, che lo stato
delle scienze e l'attuale patrimonio del sapere pure renderebbe pos
sibile. Deve essere senz'altro valutato positivamente, invece, il fat
to che « la filosofia assume una forma più umana. Essa si lascia trar
re di nuovo, secondo lo spirito socratico, dal cielo in terra. Da un
pantano che era, la metafisica torna ad essere di nuovo la pura sor
gente delle più nobili verità morali ... L'uomo, anche il più umile,
riacquista con ciò nuovamente il suo valore morale ed economico,
che per tanti secoli era stato misconosciuto» (ibid., p. 288). Torna
no qui in luce tratti caratteristici della filosofia popolare, che ormai
più volte abbiamo ricordato. È interessante notare infine come la re
ligione, considerata e valutata prevalentemente in base al suo con
tenuto morale ed al contributo che può portare alla purezza dei co
stumi e alla felicità dell'uomo, sia vista poi anche come ciò che,
nella debolezza dellt costituzioni civili, è capace di dare ad un po
polo il senso di sé e della propria identità.
" REIMARUS Hermann Samuel, Amburgo 1694 - Amburgo 1768. Discepolo del
famoso erudito J. A. Fabricius, studiò a Jena e Wittemberg teologia filologia e filosofia.
Dopo un viaggio in Olanda e Inghilterra e una breve sosta a Wittemberg, fu chiamato
nel 1723 a reggere la scuola di Wismar; dal 1728 sino alla morte è professore di
lingue crientali al ginnasio di Amburgo. Tra le sue opere: Abhandlungen iiber die
vornehmsten Wahrheiten der natiirlichen Religion (Amburgo 1754), Vernunftlehre (Am
burgo e K:iel 1756), Allgemeine Betrachtungen i.iber die Triebe der Tiere (Amburgo
1760); la Apologie oder Schutzschrift fi.ir die i:erni.inftigen Verehrer Gottes è edita
solo parzialmente da Lessing (Wolfenbi.ittler Fragmente eines Ungenannten, in Bei
triige zur Geschichte und Literatur, 1774-1778), da C. E. Schrnidt - pseudonimo
(Uebrige noch ungedruckte Werke des Wolfenbi.ittelschen Fragmentisten, 1787) e da
W. Klose (nella Zeitschrift fiir historische Theologie, 1850-1852). Su R. dr.: W. BuET
TNER, H.S.R. als Met,1physiker, Wiirzburg 1909; A. C. LuNDSTEEN, H.S.R. und die
Anfiinge der Leben-Jesu-Forschung, Kopenhagen 1939; P. GRAPPIN, La théologie naturelle
de R., « Études germaniques », VI (1951 ), 169-181; Autori Vari, H. S. Reimarus
(1694-1768). Ein « bekannter Unbekannter » der Aufkliirung in Hamburg, Gottin
ga 1973.
572 FILOSOFIA MODERNA
(1763/64?), Laokoon (Berlino 1766; trad. it. Milano 1961), Hamburgische Dramaturgie
(Amburgo 1767-1769; trad. it. Bari 1956), Ueber den Beweis des Geistes und der Kraft
(Braunschweig 1777), Das Testament ]ohannis (Braunschweig 1777), Bine Parabel (Am
burgo 1778), Axiomata (Amburgo 1778), Anti-Goeze (Braunschweig 1778), Ernst und
Falck (Wolfenbiittel 1778-1780), Die Erziehung des Menschengeschlechts (Berlino 1780).
L'edizione delle opere che abbiamo usato è quella di K. LACHMANN, G.E.L.s Siimtliche
Schriften, 1825-28; 3• ed. a cura di F. MUNCKER, Lipsia 1886-1919. Più recente è
l'edizione di P. RILLA, Gesammelte Werke, 10 voli., Berlino 1954-1957. Su L. dr.:
C. SCHREMPF, L. als Philosoph, Stoccarda 1906; L. TONELLI, L'anima moderna da L. a
Nietzsche, Milano 1925; P. MILANO, L., Rom'! 1930; L. CITONI, Contributi di L.
all'estetica, Palermo 1936; H. GoNZENBACH, L.s Gottesbegriff in seinern Verhiiltnis zu
Leibniz und Spinoza, Lipsia 1940; P. RILLA, L. und sein Zeitalter, Berlino 1970;
N. SAITO, Lichtenberg e L., Roma 1961; M. GHIO, L'idea di progresso nell'illuminismo
francese e tedesco, Torino 1962; L. QUATTROCCHI, La poetica di L., Messina-Firenze
1963; W. RITZEL, G.E.L., Stoccarda 1966; H. E. ALLISON, L. and the Enlightenment,
Ann Arbor 1966; C. FABRO, L. e il Cristianesimo della ragione, in Studi in onore di
A. Corsano, Manduria 1970; dr. K. S. GuTHKE, Der Sta'ld der L. - Forschung (1932-1962),
Stoccarda 1965.
ILLUMINISMO TEDESCO 575
demia, che intendeva colpire Leibniz attraverso Pope, ciò che di
stingue il poeta dal filosofo; un poeta che dogmatizza non è un
poeta. Ora, il problema dibattuto nel Laocoonte è quello di ope
rare una distinzione tra le diverse arti, in base alla materia e ai
modi dell'imitazione; Lessing si ricollega, sulla scia dell'oraziano
ut pictura poesis, alla annotazione del Winckelmann intorno al ce
lebre gruppo vaticano. Il Laocoonte della scultura, a differenza di
quello virgiliano, non grida, e ciò - spiega Winckelmann -, per
ché il grido sarebbe indizio di animo non nobile. Lessing offre
una spiegazione diversa, non facendo ricorso al presunto ideale
stoico che l'arte antica dovrebbe incarnare, ma indagando invece i
rapporti che esistono tra la pittura e la poesia. Nella Prefazione,
egli distingue l'atteggiamento dell'amatore, che nella pittura ( =
arti figurative in genere) come nella poesia è preso dall'illusione
della presenza di cose assenti, e di essa prova piacere, da quello
del filosofo, che scopre a fondamento di quel piacere una unica
fonte, la bellezza, retta da regole universali applicantesi a forme
corporee come ad azioni e pensieri; e infine da quello del critico,
che nota come alcune regole si adattino di più alla poesia, altre
più alla pittura. Quella si distingue essenzialmente da questa per
ché il discorso rappresenta oggetti che si susseguono nel tempo,
in primo luogo quindi azioni; la pittura invece rappresenta oggetti
l'uno accanto all'altro nello spazio, corpi. Rimane al poeta la pos
sibilità di descrivere corpi, come al pittore quella di alludere ad
azioni; ma la bellezza della forma corporea deriva dall'armonia di
parti che si possono cogliere insieme; e questo resterà precluso
al poeta, ché la descrizione rende difficile se non impossibile co
gliere l'oggetto come un tutto.
Lessing pregia la poesia sopra la pittura. Nella Drammaturgia
di Ambur,�o, che riflette il concreto impegno di Lessing per la
riforma del teatro tedesco, l'atteggiamento dell'autore è quello
di colui che vuole penetrare « l'essenza della poesia », ed è noto
come, in questo compito e nei risultati raggiunti, egli si sentisse
confortato dall'esempio di Aristotele che a quella essenza tentò
di arrivare mediante astrazione dai capolavori del teatro greco, e
che giunse alle stesse conclusioni di Lessing. È nota l'affermazio
ne: « .. . non esito a riconoscere ( dovessi anche essere deriso per
questo, in questi tempi illuminati!) che io la ritenga [la Poetica
di Aristotele] un'opera altrettanto infallibile quanto lo sono gli
ILLUMINISMO TEDESCO ,11
G. B. VICO (1668-1744)
* L'edizione completa delle Opere del Vico è quella curata da F. Nicolini, B. Croce,
G. Gentile, 8 voli., Bari, Laterza, 1914-1941; Opere filosofiche, a cura di N. Badaloni e
P. Cristofolini, Firenze, Sansoni, 1971. B. CROCE, F. N1coL1NI, Bibliografia vichiana, 2 voll.,
Napoli, 1947-48.
Sul Vico ci limiteremo a ricordare, per l'interpretazione idealistica: B. CROCE,
La filosofia di G. B. Vico, Bari, Laterza, 1911; G. GENTILE, Studi vichiani, Firenze,
Lemonnier, 1927; per l'interpretazione del Vico come filosofo cattolico R. .AMERIO,
Introduzione allo studio di G. B. Vico, Torino, S.E.I., 1946. Fra gli studi più recenti:
N. BADALONI, Introduzione a Vico, Milano, Ff'ltrinelli, 1961. Nel terzo centenario
della nascita è uscita una miscellanea Omaggzo a Vico Napoli, Morano, 1968. Dal
1971 si pubblica, per iniziativa di P. Piovani, un « Bollettino del Centro di Studi
vichiani», a cura della Facoltà di Magistero dell'Università di Salerno.
1
Una eccellente sintesi de La vita e le opere di Giambattista Vico è quella con
tenuta nel volume di PAOLO Rossi, Le sterminate antichità. Studi vicbiani, Pisa, Ni
stri-Lischi, 1969.
590 FILOSOFIA MODERNA
' Sui punti di contatto fra Vico e Bacone richiama l'attenzione P. Rossi nel
l'opera citata.
' De nostri temporis studiorum ratione, p. 85 cit. da P. Rossi, op. cit., p. 29.
592 FIWSOFIA MODERNA
2. La « Scienza nuova »
filosofia che espose nei Principi di una Scienza nuova d'intorno alla
natura delle nazioni, del 1725. Poiché il Vico rifece poi quest'ope
ra nel 17 30 e di nuovo, fino negli ultimi anni della sua vita, per
una terza edizione che uscì pochi mesi dopo la sua morte nel 1744,
si distinguono una Scienza nuova prima (1725), seconda (17 30) e
terza (1744 ).
Il problema fondamentale della Scienza nuova è il problema
della storia; ora « la storia non ha ancora i suoi principi », come
dice il Vico nel Diritto universale; per trovarli bisogna operare
una sintesi di filosofia e filologia. Per filologia Vico intende non
solo lo studio del linguaggio, ma lo studio dei fatti, dei particolari;
per filosofia lo studio del necessario e dell'universale. Oggetto
della filologia è il certo, della filosofia il vero. La sintesi di
filologia e filosofia consiste nell'illuminare i fatti della storia, e
nell'integrarli, per quel che riguarda la preistoria, con la scienza
della natura umana in quanto tale, con una metafisica della mente,
per usare il termine vichiano. Per ricostruire « la prima da noi
lontanissima antichità » bisogna evitare sia « la boria delle nazio
ni » che credono « d'essere stata ogniuna la prima del mondo »,
sia « la boria dei dotti » i quali credono che i primitivi sapessero
ciò che essi sanno. « Ma, in tal densa notte di tenebre ond'è co
verta la prima da noi lontanissima antichità, apparisce questo
lume eterno, che non tramonta, di questa verità...: che questo
:mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se
ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le
modificazioni della nostra medesima mente umana » (Scienza nuo
va, 3 31 ) 6• La storia è scienza del vero, poiché è scienza di una
realtà fatta dall'uomo stesso: qui si applica il verum ipsum factum.
E Vico si stupisce che i filosofi abbiano cercato la verità nello stu
dio del mondo naturale « del quale, perché Iddio egli il fece, es
so solo ne ha scienza » e abbiano trascurato di meditare « su que
sto mondo delle nazioni, o sia mondo civile, del quale, perché
l'avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza
gli uomini » (ibid.). Questa scienza deve usare un'arte critica, ma
una critica metafisica, cioè tracciare una « storia ideal eterna, so
pra la quale corrono in tempo le storie di tutte le nazioni ne' lo
ro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini» (Scienza nuova,
349). La storia ideale eterna deve cioè indicare le leggi alle quali
obbedisce il divenire storico. E non si tratta di leggi induttive,
ma di leggi conosciute a priori, ricavate dalla metafisica della
mente umana. « Cosl questa Scienza procede appunto come la
geometria, che, mentre sopra i suoi elementi il costruisce o 'l con
templa, essa stessa si faccia il mondo delle grandezze; ma con
tanto più di realità quanta più ne hanno gli ordini d'intorno alle
faccende degli uomini, che non ne hanno punti, linee, superficie
e figure» (Scienza nuova, 349).
A foggiare il mondo delle nazioni, come lo chiama il Vico, os
sia la storia, contribuiscono due fattori: la Provvidenza divina
e l'attività umana; la Scienza nuova deve dunque scoprire come
opera la Provvidenza divina e come la natura umana. A proposito
di quest'ultima, Vico svolge il concetto che già aveva espresso nel
De nostri temporis studiorum ratione e nel De antiquissima: l'uo
mo non è solo ragione, è anche senso e fantasia, e l'aspetto sensi
tivo-fantastico, trascurato dai filosofi precedenti, specialmente da
Cartesio, è quello che più interessa il Vico. Secondo una « de
gnità» (assioma) famosa della Scienza nuova (218), « Gli uomini
prima sentono senz'avvertire, dappoi avvertiscono con animo per
turbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura».
A questi tre momenti fondamentali corrispondono tre età
della storia: quelle degli dèi, degli eroi e degli uomini: « l'età de
gli dèi, nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto
divini governi, e ogni cosa essere lor comandata con gli auspici
e con gli oracoli; ... - l'età degli eroi, nella quale dappertutto
essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi
reputata differenza di superior natura a quella de' lor plebei; - e
finalmente l'età degli uomini, nella quale tutti si riconobbero es
ser uguali in natura umana, e perciò vi si celebrarono prima le re
pubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe
sono forme di governi umani... » (Scienza nuova, 31).
Nel momento sensitivo-fantastico gli uomini si esprimono con
la poesia, che è una metafisica fatta per immagini anziché per con
cetti. Qui sta una delle tesi più originali del Vico. « Le poetiche
596 FILOSOFIA MODERNA
3. La Provvidenza divina
Ma la storia, e specialmente il passaggio dall'una all'altra delle
tre età, non si spiegano solo con la metafisica della mente umana:
un altro fattore interviene: la Provvidenza divina.
Vi è stata una età tutta senso, quasi bestiale, in cui non ci
sono né famiglie né stati; quindi si fondano le famiglie, e la pri
ma società civile ha carattere familiare. Alle famiglie fondate
dai più abili e dai più forti si uniscono poi come servi i più de
boli per cercarvi protezione. Cosl si passa all'epoca degli eroi,
caratterizzata dalla forma di governo aristocratica (Scienza nuo
va, 248-252); di qui si passa a quella popolare e poi a quella mo
narchica (Scienza nuova, 1006 ). Ora la considerazione di que
sto « corso delle nazioni » dimostra l'esistenza di un Dio provvi
dente, con più evidenza di quanto non la dimostri il corso della
natura. « Perciò questa Scienza, per uno de' suoi principali aspet
ti, dev'essere una teologia civile ragionata della provvedenza di-
• Questi, « sono problemi centrali nella cultura del Seicento e del primo Set
tecento e Vico ha di fronte a sé avversari ben chiaramente individuati e individuabili.
La sua critica è rivolta, in primo luogo, contro quegli studiosi che hanno pericolosa
mente mescolato la storia del popolo ebraico a quella dei popoli pagani, o che, come
il Marsham e lo Spencer, hanno addirittura preteso che la sapienza ebraica derivasse
da quella degli Egiziani... Vico non rifiuta soltanto la tesi di una dipendenza della
storia ebraica da quella profana. Respinge con decisione anche ogni tentativo di il
lustrare la storia sacra mediante la profana e, in questo senso, prende posizione con
tro le opere di Johan Selden, di Daniel Huet, di Samuel Bochart. Suo scopo preciso
è l'affermazione di due paralleli sviluppi della storia umana il primo dei quali, rela
tivo al popolo ebraico, è documentato dalla Bibbia, il secondo dei quali, relativo
alle nazioni gentili, è documentato dai poemi omerici e dalla legislazione delle dodici
tavole». P. Rossi, Le sterminate antichità, p. 50.
598 FILOSOFIA MODERNA
L'ILLUMINISMO ITALIANO*
* Un'ampia raccolta di testi è quella dedicata agli Illuministi italiani nella col
lezione « La Letteratura italiana. Storia e testi », Milano-Napoli, R. Ricciardi Editore;
600 FILOSOFIA MODERNA
I. KANT
( 1724-1804)
l. Vita e opere
LA FILOSOFIA TEORETICA
3
G.S., X, p. 345 « ... po�tai a termine (batte ich... zu Stande Gebracht) quasi
di volata in quattro o cinque mesi il risultato della meditazione di dodici anni almeno... ».
' Le autorità scolastiche prescrivevano al professore di adottare un testo già pub
blicato, e Kant adottò quasi sempre, per la metafisica e l'etica,, i manuali · di A. G.
Baumgarten. ' · •· '' · ·.
KANT 615
ancora maturato il suo sistema, e solo più tardi osa presentarne uno
nuovo » 5• E ancora, in una lettera a M. Herz del 7 giugno 1771:
« Quando non si è presi dalla smania di fare un sistema, le ricerche
che si compiono su un medesimo principio fondamentale, applican
dolo nel modo più ampio, si verificano reciprocamente» 6•
Il « sistema » kantiano nacque dunque da una lunga elaborazio
ne, dal comporsi quasi spontaneo di pensieri sorti nello studio dei vari
problemi, e non da un progetto, dalla volontà di fare un sistema. È
quindi utile vedere il sorgere della Critica della ragione pura da
quello che delle meditazioni kantiane ci rivelano gli scritti anterio
ri, comunemente detti appunto precritici.
Kant parti dallo studio della filosofia che era allora insegna
ta nelle scuole: quella di Wolff e dei wolffiani 7, alla quale gli
autod cercavano di dare un rigore matematico nella esposizione. Ma
sotto l'apparenza di deduzioni rigorose molti punti restavano discu
tibili, molti concetti non chiariti. D'altra parte c'era la nuova
scienza, la fisica galileiano-newtoniana, che riusciva davvero a pre
vedere i fenomeni, che formulava leggi verificate dall'esperienza.
Non è strano che, al confronto, la nuova fisica sembrasse a Kant rea
lizzare l'ideale scientifico molto meglio della metafisica tradiziona
le. Questo stato d'animo si manifesta specialmente negli scritti
degli anni fra il 1762 e il 1764; in quelli anteriori c'è piuttosto
la preoccupazione di conciliare metafisica e scienza. Anche nel pri
mo scritto di Kant, i Pensieri sulla vera misura delle forze vive,
del 1747, dove il problema è se la forza risulti dal prodotto m v, se
condo la formula cartesiana, o m v2 secondo la formula leibniziana,
la posizione cartesiana rappresenta per Kant la matematica, quella
leibniziana la metafisica. Da un punto di vista matematico hanno
ragione i cartesiani, perché la forza viva non si scopre matematica
mente; il concetto di forza viva può però giustificarsi metafisica
mente 8• Il mondo è costituito di monadi inestese, lo spazio risul
ta solo dalla relazione fra le monadi, sicché se Dio avesse creato
11
Cfr. nota precedente.
KANT 619
12
G.S., II, p. 367; Scritti precritici, pp. 420-421.
" Il sottotitolo è: Saggio sulla costituzione e sull'origine meccanica di tutto l'uni
verso secondo i principi newtoniani. Occupa le pp. 215-368 delle G.S., I. L'opera
fu pubblicata anonima nel 1755, ma era già indicata come opera di Kant nel 1756
in un setti.manale di Konigsberg. Sennonché l'editore falll e l'opera kantiana sparl dalla
circolazione, sl che quando, nel 1796, Laplace nella sua Exposition du système du
monde formulò la stessa ipotesi di Kant sulla evoluzione del cosmo da una nebu
losa primitiva, ignorò di essere stato preceduto da Kant. Solo nel 1842 Arago si ac
corse che la teoria di Laplace era già stata sostenuta da Kant. Comunemente la si indica
come teoria di Kant-Laplace. Desumo queste notizie dalle note di J. RAHTS all'opera
di Kant, G.S., I, pp. 545-46.
620 FILOSOFIA MODERNA
'' Il dogmatismo della metafisica consiste nel « fidarsi universalmente dei suoi
[ della meta.fisica] principi senza far precedere una critica della facoltà razionale .... »
dice Kant nello scritto del 1790 contro il leibniziano Eberhard (Ueber eine Entdeckung
nach der alle neue Kritik der reinen Vernunft durch eine altere entbehrlich gemacht
werden roll) G.S., VIII, p. 226.
15 Cosi H. VAnUNGER, Kommentar zu Kants Kritik reinen Vernunft, seguito da
N. K. SMITII, Commentary, pp. XXV-XXVI. Secondo questi due autori Kant avrebbe poi
rimeditato Hume nel 1772 quando lesse le critiche che a Hume muoveva Beattie. At
traverso Beattie Kant avrebbe conosciuto non solo la Ricerca sull'intelletto umano -
che aveva letta direttamente dieci anni prima circa nella traduzione di Sulzer - ma
anche il Trattato sulla natura umana. Secondo Vaihinger e Smith i problemi posti da
Hume sulla causalità nella Ricerca e nel Trattato sarebbero diversi. Per una critica a
queste deduzioni si veda K. FISCHER, Geschichte der neuern Philosophie, voi. 4°, 6'
ed., pp. 353 ss.
KANT 621
" « Quid ergo est tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare
velirn, nescio » (Conf. XI, 14, 1.). La citazione di Kant, non completa (il che farebbe
pensare ad una conoscenza indiretta), è in G.S., II, p. 283.
17 E non vinse. Fu classificato secondo, dopo M. Mendelssohn. Cfr. le note al
l'edizione dello scritto di Kant in G.S., II, pp. 493-95.
KANT 623
Perciò l'uso della sana ragione, anche entro i limiti delle cognizioni
comuni, offre argomenti sufficientemente persuasivi dell'esistenza
e degli attributi di questo Ente, sebbene il sottile indagatore rilevi
ovunque la mancanza di una vera e propria dimostrazione e del ri
gore di concetti esattamente determinati o di argomentazioni razio
nali condotte a :fil di logica (regelmassig verknupfter Vernuft
schlusse ). E tuttavia non si può smettere di cercare una tale dimo
strazione, per vedere se essa una volta o l'altra non ci si offra...
Ma a raggiungere questo scopo, bisogna avventurarsi entro l'abis
so senza fondo che è la metafisica» (G.S., II, pp. 65-66; Scritti
precritici, pp. 1O3-104 ). E, al termine dell'opera, dopo aver detto
che quello da lui esposto è l'unico argomento, aggiunge: « Qui cer
cate la prova, e, se credete di non trovarla, ritiratevi da questo im
praticabile sentiero sulla grande via maestra della umana ragione.
È in tutto e per tutto necessario che ci si persuada dell'esistenza di
Dio, ma non è proprio cosl necessario che lo si dimostri » (G.S., II,
p. 163; Scritti precritici, p. 211 ).
una cosa esistente è Dio; cioè ad una cosa esistente spettano quei
predicati il cui insieme designiamo con l'espressione Dio ►► (G.S., II,
p. 74; Scritti precritici, p. 110).
L'esistenza non si trova dunque sul piano della possibilità, non
è il compimento della possibilità, come riteneva Wolff; è altro dal
la possibilità: è la « posizione assoluta di una cosa» (G.S., II, p.
75; Scritti precritici, p. 112).
Dopo aver analizzato la nozione di esistenza, Kant analizza quel
la di possibilità. La non contraddittorietà è certo condizione neces
saria della possibilità, ma non sufficiente. Infatti, affinché un ente sia
possibile occorre non solo che esso sia non-contraddittorio, ma oc
corre altresì che siano dati gli elementi che non si contraddicono
fra loro, che sono compatibili. Un triangolo con un angolo retto è
possibile non solo perché fra triangolo e avente un angolo retto non
c'è contraddizione, ma anche perché sono possibili, singolarmente
presi, il triangolo e l'angolo retto. La non-contraddizione, dice
Kant, è il formale della possibilità, i dati fra loro compatibili sono il
materiale della possibilità.
Ultimo preliminare dell'argomentazione vera e propria è l'ana
lisi del concetto di necessità. Necessario è ciò il cui opposto è impos
sibile. Ma, come risulta dall'analisi del concetto di possibile, im
possibile non è solo il contraddittorio, ossia ciò che toglie il forma
le della possibilità: è anche ciò che toglie il materiale della possi
bilità. Ora, se nulla esistesse, nulla sarebbe possibile, poiché se
nulla esistesse sarebbe tolto il materiale della possibilità.
Di qui parte l'argomento kantiano: « ciò la cui soppressione o
negazione toglie ogni possibilità è assolutamente necessario ►>, ossia:
è impossibile che nulla sia possibile; ma se nulla esistesse, nulla sa
rebbe possibile, « dunque esiste qualcosa in modo assolutamente
necessario » ( G.S., II, p. 83; Scritti precritici, p. 124 ). Kant dedu
ce poi che l'ente necessario è unico, è semplice, è immutabile ed
eterno, è l'ens realissimum, ossia la sintesi di ogni possibile realtà,
di ogni positività; è spirituale; quindi conclude che un tale ente
è Dio.
L'unico argomento kantiano arriva dunque a Dio come a fonda
mento della possibilità delle cose, ed è uno sviluppo di quello già
enunciato nella prop. VII della Nova dilucidatio.
L'utilità dell'argomento kantiano, alla quale è dedicata la se
conda parte, consiste essenzialmente nella considerazione di Dio
KANT 625
" « Sensualitas est receptzvttas subiecti, per quam possibile est, ut status ipsius
repraesentativus obiecti alicuius praesentia certo modo afficiatur. Intelligentia (ratio
nalitas) est facultas subiecti, per quam, quae in sensus ipsius per qualitatem suam in
currere non possunt, repraesentare valet. [ ..... ] Cum itaque, quodcumque in cognitione
est sensitivi, pendeat a speciali indole subiecti, quatenus a praesentia obiectorum huius
ve! alius modificationis capax est, quae, pro varietate subiectorum, in diversis potest
esse diversa..., patet sensitive cogitata esse rerum repraesentationes uti apparent... »
(De mundi sensibilis, par. 3 e 4; G.S., II, p. 392).
KANT 62.7
2() La posizione della teoria dello spazio e del tempo rispetto a quelle di Newton
e di Leibniz si trova anche nella Critica della ragion pura, par. 7. (G.S., II, p. 63;
Ragion pura, p. 82).
21
Cfr. sopra, p. 258.
628 FILOSOFIA MODERNA
22
Anche Leibniz ne era altrettanto convinto, ma aveva un diverso concetto del
l'astrazione.
KANT 629
" La Critica della ragion pura si divide in Dottrina degli elementi e Dottrina del
metodo. La prima si suddivide in: Estetica trascendentale e Logica trascendentale.
L'estetica trascendentale è la dottrina della sensibilità, e tratta dello spazio e del tem
po come intuizioni pure. La logica trascendentale è la dottrina dell'intelletto e si sud
divide in Analitica trascendentale e Dialettica trascendentale. All'inizio della logica
trascendentale Kant spiega che cosa intenda per analitica e dialettica. Nella logica for
male ( quella che studia la pura forma del pensiero prescindendo da qualsiasi conte
nuto, vuoi puro vuoi empirico) l'analitica è l'esposizione delle leggi del pensiero con
siderato nella sua pura forma, la dialettica sorge quando si usano queste forme vuote
come se ci potessero, da sole, dire qualcosa sulla realtà. Si ha una dialettica quando
si pretende di spiegare la struttura o il carattere di un ente reale adoperando solo
principi logici, come il principio di identità. Un esempio di dialettica nell'ambito della
logica formale potrebbe essere quello della satira molièriana: « l'oppio fa dormire per
ché ha la virtus dormitiva », frase in cui si pretende di spiegare una qualità dell'oppio
adoperando solo il principio di identità. Nella logica trascendentale ( quella che pre
scinde solo dai contenuti empirici, ma non dai concetti puri) l'analitica è l'esposizione
dei concetti puri nel loro uso legittimo; la dialettica sorge quando si usano quei con
cetti, che sono concetti vuoti, per conoscere realtà che non cedono sotto l'esperienza
realtà delle quali ci manca il contenuto. In genere si può dire che " dialettica " per Kant'
vuol dire logica della conoscenza illusoria.
630 FILOSOFIA MODERNA
25
Più esattamente si dovrebbe dire proposizioni, ma, poiché Kant usa sempre H
termine giudizio, seguiremo la sua terminologia.
"' Non sempre infatti si è saputo che tutti i corpi seno pesanti: gli antichi cre
devano che l'aria e il fuoco fossero per loro natura leggeri.
KANT 633
" Ci sono due « deduzioni » dei concetti puri o categorie, nella Critica della ra
gion pura: quella che Kant stesso chiama nel par. 26 deduzione metafisica (G.S., III,
p. 124; R. Pura, p. 156) e la deduzione trascendentale: la prima ricava le categorie
dalle forme del giudizio, in base alla tesi che pensare è giudicare; della seconda, che
è di gran lunga la più importante, parleremo nel testo.
21
"Esperienza" è termine polisenso in Kant; talora significa la materia della
conoscenza, i dati della sensibilità; talora invece il risultato della sintesi fra i dati
della sensibilità e le forme a priori che uni.6.L.mo quei dati e costituiscono un og
getto. Un corpo, p. es., non è semplicemente un caos di dati sentiti, ma è l'unificazione
di questi dati nello spazio, nel tempo e nelle categorie di quantità, di sostanza. Il ter
mine « oggetto di esperienza » ha sempre questo secondo significato - per quanto
mi consta.
634 FILOSOFIA MODERNA
parla quando si fa scienza (p. es. il corpo soggetto alle leggi della
meccanica); ora la deduzione trascendentale delle categorie intende
dimostrare che senza concetti puri, senza categorie, non ci sono og
getti di esperienza; che le categorie entrano necessariamente a co
stituire gli oggetti di esperienza. Vi entrano come forme unifica
trici dei dati sensibili. Si capisce quindi che le condizioni della
possibilità dell'esperienza, che sono la sensibilità e l'intelletto, le
intuizioni e i concetti, siano le stesse condizioni della possibilità
degli oggetti dell'esperienza, poiché l'oggetto di esperienza è co
stituito dalle intuizioni e dalle categorie.
La deduzione trascendentale delle categorie 29 è una delle parti
più tormentate della Critica della ragione pura, e fu rifusa com
pletamente dalla prima alla seconda edizione. Kant stesso dice,
nella Prefazione alla prima edizione, che essa è una delle parti
più importanti dell'opera e distingue in essa un lato (Seite) sogget
tivo ed uno oggettivo: il primo parte dalle facoltà dello spirito uma
no (sensibilità, immaginazione, intelletto) per mostrare come esse
contribuiscano a costituire l'oggetto di esperienza; il secondo parte
dall'oggetto per mostrare come entrino a costituirlo e i dati della sen
sibilità e i concetti dell'intelletto. Sia nell'uno come nell'altro
aspetto, o lato, la deduzione trascendentale vuol essere la dimo
strazione che le categorie sono necessarie per costituire l'oggetto.
Nella seconda edizione prevale l'aspetto oggettivo della dedu
zione o, come si dice impropriamente, la deduzione oggettiva, e noi,
per semplificare, ci limiteremo a questa, soffermandoci un momento
'
0
E qui " conoscenza " è preso nel senso di conoscenza valida, conoscenza scientifica.
"· L'Io penso è chiamato anche « unità trascendentale dell'appercezione'> (G.S., III,
p. 113, R. pura, p. 142); dove si vede che il predicato "trascendentale" è trasferii.o
anche dalla indagine a ciò su cui l'indagine verte: trascendentale è non solo la dedu
zione delle categorie, ma anche ciò che essa mette in luce: l'Io penso come condi
zione della conoscibilità dell'oggetto.
32
Nella prima edizione, G.S., IV, p. 78; R. pura, p. 665.
636 FILOSOFIA MODERNA
10. Lo schematismo
36
Kants Theorie der Erfahrung, 3• ed., Berlin, Bruno Cassirer, 1918, pp. 246, 786.
Chi scrive aderisce a questa interpretazione.
642 FILOSOFIA MODERNA
Nella Critica della ragion pura Kant spiega il motivo del falli
mento della metafisica, e, come si è detto parlando degli scritti
precritici, sono state le difficoltà della metafisica che egli trova
va nel suo ambiente culturale quelle che lo hanno spinto ad elaborare
la teoria esposta nell'Analitica trascendentale, che è la parte più
nuova della Critica della ragion pura. La Dialettica trascendentale,
che contiene la critica della metafisica tradizionale, si presenta come
la conferma della teoria esposta nell'Analitica, ma, storicamente, ne è
stata il movente, ed è la parte più antica della Critica della ragion
pura; tant'è vero che molte sue parti sono anticipate negli scritti
precritici.
La metafisica è il risultato dell'uso dialettico dei concetti del
l'intelletto. Per uso dialettico Kant intende l'uso di concetti o di
leggi puramente formali per determinare che cosa sia ciò a cui tali
concetti si applicano. C'è una dialettica nella logica trascendentale
quando usiamo i concetti puri, le categorie, per conoscere le cose
in sé. I concetti dell'intelletto, infatti, sono forme vuote, fatte
per unificare dati sensibili; quando li usiamo per conoscere realtà
in sé, delle quali nulla ci è dato nella sensibilità, quando li usiamo
per andare oltre il mondo di una possibile esperienza, cadiamo in
una conoscenza illusoria. La metafisica nasce da un'esigenza legitti
ma dell'intelligenza umana: quella di non fermarsi mai nella ri
cerca delle ragioni, delle condizioni di ciò che è dato; il suo erro
re è l'illusione di aver trovato la condizione ultima, l'incondizio
nato. Kant chiama ragione la facoltà che ricerca l'incondizionato.
L'incondizionato che sta a fondamento dei fenomeni psichici è
l'anima; l'incondizionato che sta a fondamento dei fenomeni fisici
è il cosmo; l'incondizionato che sta a fondamento di ogni realtà è
Dio. Queste sono le tre idee della ragione, che hanno un uso rego
lativo, ma non costitutivo. U che vuol dire: ci indicano una direzio
ne, un punto di convergenza al quale tendono i nostri ragionamenti,
ma un punto di convergenza ipotetico, problematico, non ci rappre
sentano un oggetto, non costituiscono un oggetto, come lo costi
tuiscono, invece, i concetti dell'intelletto quando siano applicati
a dati sensibili.
644 FILOSOFIA MODERNA
12. I paralogismi
13. Le antinomie
" Nella coppia « bianco - non bianco », il primo predicato non esprime una per
fezione rispetto al secondo, poiché il non-bianco potrebbe essere un rosso e il bianco
non è più reale del rosso. Quindi non attribuiamo a Dio l'esser bianco. Anzi, siccome
l'esser bianco suppone l'estensione, la divisibilità, e l'essere indivisibile è una per
fezione rispetto all'esser divisibile (che è una negazione, è la possibilità di essere spez
zato), diremo che Dio è non-bianco.
KANT 651
42
Il paragone con i cento talleri non è molto felice, poiché la prova ontologica,
se vale, vale solo per il concetto dell'Essere perfettissimo, e non per altri concetti,
cosi come non è felice il paragone fatto da Gaunilone, in polemica con S. Anselmo,
dell'isola fortunata. Malauguratamente isola fortunata e cento talleri sono le cose più
spesso ricordate a proposito di questo argomento.
652 FILOSOFIA MODERNA
tra nel mondo sensibile a una causa prima ...». Ora, osserva Kant,
richiamandosi a quello che aveva detto a proposito delle antino
mie 43, non è affatto impossibile che nel mondo fenomenico si ri
salga all'infinito nella serie delle cause, poiché un fenomeno si dà,
ossia c'è, quando è conoscjuto, e il risalire all'infinito non è che il
proseguire indefinitamente la ricerca. Tanto meno poi è lecito
compiere un salto oltre il mondo dell'esperienza. 3) « La falsa sod
disfazione di sé della ragione rispetto al completamento di questa
serie, poiché finalmente si toglie di mezzo ogni condizione (condi
zione senza la quale tuttavia non c'è neppure il concetto di necessi
tà) e, poiché non si può concepire nulla di ulteriore, si crede cosl
di aver completato la serie» (G.S., III, p. 407; R. pura, p. 489).
Anche qui il richiamo è alle antinomie: si crede cioè di sbarazzarsi
dalla fatica di cercare indefinitamente le cause dei fenomeni asse
gnando ad essi una causa prima incondizionata, che spiegherebbe
tutto. Come si vede, il difetto di queste « pretese dialettiche» è·
quello di applicare oltre l'esperienza un principio - quello di
risalire dagli effetti alle cause - che vale solo per il mondo fenome
nico. 4) La quarta « pretesa dialettica» riguarda piuttosto il modo
in cui ci formiamo il concetto di Dio e lo scambio fra la possibilità
logica (assenza di contraddizione) con la possibilità reale.
43
Nella sezione settima, G.S., III, pp. 342 si;; R pura, pp. 413 ss.
KANT 653
1 7. 1 « Prolegomeni »
accentuato nella Critica della ragion pratica, e che vuol clire: c10
che rende obbligante la legge non è ciò a cui la legge ci indirizza (lo
scopo, la « materia »), ma il suo carattere di legge: devi perché de
vi. E il carattere della legge, la sua forma di legge, è l'universali
tà. Perciò « io debbo sempre comportarmi in modo che io possa an
che volere che la mia massima divenga una legge universale» (G.S.,
IV, p. 402; trad. it., p. 32). Questa frase annuncia la prima formula
dell'imperativo categorico. Alla dottrina degli imperativi è dedicata
la maggior parte della seconda sezione dell'opera.
Kant definisce la volontà come facoltà di agire secondo la cono
icenza delle leggi, e poiché la conoscenza delle leggi presuppone la
ragione, Kant identifica volontà e ragion pratica (G.S., IV, p. 412;
trad. it., p. 54). Ora la nostra volontà non segue necessariamente la
legge morale, può anche non seguirla; ad essa quindi la legge mo
rale si presenta sotto forma di comando, di imperativo. Ma gli im
perativi sono di due tipi, come abbiamo detto: ipotetici e catego
rici 48• Gl'imperativi ipotetici sono possibili in virtù di un giudizio
analitico, poiché esprimono solo la connessione necessaria di un
mezzo con un fine: se vuoi il fine, vuoi anche i mezzi per conseguir
lo. Ma come è possibile l'imperativo categorico? Qui non c'è già
la volontà di uno scopo, dalla quale poter dedurre, analiticamente,
la volontà dei mezzi; dunque la connessione fra la volontà e la leg
ge morale è sintetica, il che vuol dire che la volontà di obbedire al
la legge perché è legge non è già implicita nel concetto di volontà in
genere. E non è una connessione sintetica a posteriori perché espri
me un dovere; l'imperativo categorico è quindi « una proposizione
pratica sintetica a priori» (G.S., IV, p. 420; trad. it., p. 68) e bi
sogna determinarne la possibilità. Si vede quindi la analogia fra il
problema morale e quello della Critica della ragion pura, analogia
che presenta però anche una differenza, come vedremo.
Nella Fondazione Kant formula in tre modi l'imperativo cate
gorico. La prima: Agisci solo secondo quella massima 49 in forza
della quale tu possa volere che essa diventi una legge universale
(G.S., IV, p. 421; trad. it., p. 70). La formula si specifica poi an
cora cosl: Agisci come se la massima della tua azione dovesse di
ventare, per tuo volere, legge universale della natura. Kant fa quat
tro esempi per dimostrare che questa regola serve effettivamente
a farci capire se un modo di comportarsi è morale o no. Citeremo
qui il primo e ricorderemo soltanto gli altri. « Un uomo, per una
serie di mali che hanno finito col ridurlo alla disperazione, risente
un gran disgusto della vita; è però ancora di tanto in possesso della
sua ragione da poter domandarsi se non sarebbe una violazione del
dovere verso se stesso il togliersi la vita. Egli prova allora a vedere
se la massima della sua azione potrebbe diventare una legge uni
versale della natura. La sua massima sarebbe questa: ' per amore
di me stesso io stabilisco il principio di potere abbreviarmi la vita,
poiché a prolungarla ho più da temerne mali che da sperarne soddi
sfazioni '. Si tratta ora di sapere se questo principio dell'amor di
sé potrebbe diventare una legge universale della natura. Si vede
però subito che una natura la cui legge sarebbe quella di distrug
gere la vita stessa, in forza di quello stesso sentimento fatto per po
tenziare la vita, sarebbe in contraddizione con se stessa e non po
trebbe sussistere come natura, e perciò è in pieno contrasto col
supremo principio del dovere» (G.S., IV, pp. 421-22; trad. it.,
p. 71). Un secondo esempio è quello dell'uomo che chiede un pre
stito e promette di restituirlo pur sapendo di non poterlo restituire;
un terzo è il caso di colui che, dotato di ingegno, preferisce poltrire
e non far nulla, il quarto esempio è quello dell'uomo che non si sco
moda per aiutare altri che vede in difficoltà. La massima qui è sem
pre l'egoismo (Selbstliebe, amor di sé) e Kant cerca di dimostrare
che essa non è universalizzabile.
50
G.S., V, pp. 31, 42, 43, 47, 55; R. pratica, pp. 38, 50, 51, 56, 66.
670 FILOSOFIA MODERNA
51
Nel saggio Sul formalismo della morale kantiana, in Saggi e Discorsi, Torino, Para
via, 1926, pp. 97-126.
672 FILOSOFIA MODERNA
52
G. Solari, nella sua Introduzione agli Scritti politici di Kant (p. 26), ossena
che, in questo, Kant si oppone sia al dispotismo illuminato sia al « dispotismo etico ... ,>
nella forma razionale e democratica di Rousseau. Lo Stato che vuole attuare con mezzi
coattivi la felicità individuale e la morale collettiva, non raggiunge lo scopo e diventa
oppressore.
KANT 675
saggio Per la pace perpetua (G.S., VIII, pp. 341-386; Scritti poli
tici, pp. 283-335) del 1795. Kant non si nasconde le difficoltà del
:fine da raggiungere: la pace perpetua, poiché non si tratta di un
:fine al quale l'uomo tenda per impulso. O piuttosto: l'uomo ha un
profondo desiderio di pace, ma se segue soltanto i suoi impulsi non
pone i mezzi necessari per conseguirla: « lo stato di pace dev'essere
istituito » e molto importa al raggiungimento della pace la costitu
zione dei singoli Stati. Infatti Kant indica come « primo articolo
definitivo per la pace perpetua » che la costituzione di ogni Stato
sia repubblicana. Abbiamo già detto che cosa intenda Kant per co
stituzione repubblicana: ora poiché in tale costituzione « è richie
sto l'assenso di tutti i cittadini per decidere se la guerra debba o
non debba essere fatta», essi rifletteranno a lungo prima di fare
la guerra, che porta gravi danni a tutti. Il « secondo articolo» o
seconda condizione per la pace perpetua è una federazione di li
beri Stati; il terzo, dicendo che « il diritto cosmopolitico deve es
sere limitato alle condizioni di una universale ospitalità », propu
gna per un verso la libera circolazione degli uomini da uno Stato
all'altro, ma esclude ogni forma di colonizzazione.
23. La religione
'3 Il termine " estetico " è preso qui nel senso che gli diamo oggi comunemente
significato datogli per la prima volta da A. G. Baumgarten nella sua Aesthetica, nor
nel senso che ha nella Critica della ragione pura quando Kant espone l'estetica tra•
scendentale.
682 FILOSOFIA MODERNA
l'intuizione del bello deve stare quindi un concetto, sia pur con
fuso, dell'oggetto giudicato bello. Baumgarten afferma altresì che
la conoscenza estetica ha rapporto col sentimento, ma il sentimen
to è anch'esso determinato da una qualità oggettiva: dalla perfe
zione dell'oggetto confusamente conosciuta.
L'empirismo nega pure ogni dilferenza specifica fra conoscenza
sensibile e conoscenza intellettiva, ma a beneficio della sensibilità,
e riduce tutto a conoscenza sensibile. A pura sensibilità doveva
quindi essere ridotta anche l'intuizione de] bello. E infatti il giu
dizio estetico, il giudizio col quale affermo " questa cosa è bella ",
-è fondato, secondo gli empiristi, esclusivamente sull'impressione
soggettiva, sull'impressione fisiologica prodotta dalla cosa bella.
Kant rifiuta la tesi empiristica perché essa non spiega come
mai il giudizio estetico possa essere condiviso da tutti. Il giudizio
estetico ha una pretesa di universalità, di oggettività. Non è lo
stesso dire: " la tal cosa è bella " e dire " la tal cosa mi piace ";
-ora la tesi empiristica non spiega questa differenza. Dalla consta
tata insufficienza della tesi empiristica nasce la prima asserzione
kantiana sul giudizio estetico: il bello è l'oggetto di un piacere di
sinteressato.
Dal carattere disinteressato del piacere estetico segue il secon
,do carattere: bello è ciò che piace universalmente, e Kant aggiun
.ge: senza concetto (G.S., V, p. 219; Critica del Giudizio, p. 59).
Questa aggiunta, giustificata dall'insistenza sul piacere che muove
il giudizio estetico, piacere e non concetto, apre la via al terzo ca
rattere: la bellezza è la forma della finalità di un oggetto in quanto
vi è percepita senza la rappresentazione di uno scopo (G.S., V,
p. 236; Critica del Giudizio, p. 77). Il quarto carattere del giudizio
-estetico è la necessità, già implicita nell'universalità.
Fermiamoci un momento sul secondo e sul terzo carattere. Uni
versalità senza concetto, finalità senza scopo sono espressioni apparen
temente contraddittorie, nelle quali sta invece l'aspetto più originale
,dell'estetica kantiana, o, come egli dice, « la chiave della critica del
gusto» (G.S., V, p. 216; Critica del Giudizio, p. 56). Il giudizio este
tico è determinato da un sentimento, non dal concetto confuso della
-cosa, dal concetto dello scopo della cosa bella - in questo Kant è
-d'accordo con gli empiristi-; ma il sentimento, il piacere estetico è
determinato da una conoscenza, è il piacere di una conoscenza, è il
.senso dell'armonia tra l'immagine sensibile dell'oggetto e il nostro
KANT 683
DA KANT A FICHTE
[ ANGELO PuPI]
2
JoHANN GEORG HAMANN, Siimtliche Werke (historisch-kritische Ausgabe von
J. Nadler, Wien, 1949-57) voi. I, p. 5.
1
J. G. HAMANN, ed. cit., voi. II, pp. 197-198.
DA KANT A FICHTE 691
5
JoHANN GoTTFRIED l-IERDER si caratterizza prevalentemente
come filosofo della storia ed è ricordato per il suo contributo alla
questione circa la natura e l'origine del linguaggio. La sua maniera
di esporre è vivace, sovrabbondante: pullula di intuizioni e di
immagini, la materia storiografica è disposta su impianti di dimen
sioni grandiose. Difetta spesso il senso critico, la dimostrazio
ne è approssimativa: è più una partecipazione del sentire che
una dottrina costruita con sicurezza metodica. Occorre quindi
fruire dei suggerimenti e degli spunti che largamente dispensa,
piuttosto che cercare le giustificazioni e gli sviluppi rigorosi. Pro
babilmente si diluirono in lui fermentando in grande copia di
materiale sfogante in molta eloquenza alcuni pregnanti temi haman
niani. Hamann non approvò tuttavia la sua teoria del linguaggio e
Kant redargul il metodo delle Ideen. Non condivise i programmi po
litici dell'Illuminismo e rifuggì dalla ragione sistematica astrat
ta, portò tuttavia con sé un vago deismo colorato di toni panteisti
cheggianti particolarmente sensibile nel Gott. Il culto delle ori
gini dell'umanità sapienti ed ingenue fa pensare a Rousseau: tutto
viene ammantato da un conclamato culto della Bibbia, documento
per eccellenza della nascita dell'umano.
La storia dell'uomo è prospettata nelle Ideen nella cornice subli
me della genesi del mondo terrestre nel cosmo e dell'evolversi della
vita: culture e civiltà si susseguono nel grande teatro della storia
presieduto da una provvidenza teologica. Herder è affascinato dalle
( 177 4 ). « Ben grande deve essere quella totalità dove già in ogni
singolo elemento ritroviamo la totalità stessa; e dove, in ogni
dettaglio, si vede sempre una tale unità indeterminata, pregna di
totalità! Dove i più piccoli legami hanno già, di per se stessi, w1
grandissimo significato; eppure i secoli non vi rappresentano che
sillabe, le nazioni soltanto lettere o forse interpunzioni che nul
la di per sé significano, ma moltissimo per un più facile intendi
mento del tutto. Che sei tu mai, uomo singolo, con le tue pas
sioni, capacità e contributi? E vorresti forse che la totalità della
perfezione si esaurisse in te? Il breve tratto di terra in cui mi
trovo, i miei occhi abbacinati, gli insuccessi da me provati nel
giungere al fine mio, l'enimma delle mie inclinazioni e passioni,
la sconfitta delle mie forze che son fatte per quella totalità che è
un giorno, un anno, una nazione, un secolo, tutto questo attesta
che nulla son io, che tutto è la totalità... Miseramente piccola do
vrebbe essere la totalità delle cose perché io, piccolo moscerino,
potessi arrivare ad abbracciarla con lo sguardo. E quanto sarebbe
scarsa la sua saggezza e molteplicità, se un essere che va girova
gando qua e là per la terra e che pure trova tanta difficoltà a te
ner saldo in mente un sol pensiero, non vi trovasse mai tanta com
plessità! In una spanna che è nulla, ma dove vivono pure mille pen
sieri e germi, anche in due sole battute musicali, nelle quali il suono
più acuto si risolve nel più dolce... che son io mai che giudico, men
tre non ho fatto se non attraversare la grande sala e guardare un
istante un angolo della gran pittura nascosta? Quel che Socrate disse
degli scritti d'un uomo che come lui limitato, scriveva con una for
za simile alla sua: che dovrei dire io allora del gran libro di Dio
che comprende mondi ed età, del quale io non sono che una lettera,
e ne scorgo appena tre lettere intorno a me ... Infinitamente piccolo
per l'orgoglio che tutto vuole essere, sapere, operare, creare, infi
nitamente grande per la pusillanimità che crede di non essere pro
prio nulla: e ambedue non sono che strumenti nei disegni di un'in
commensurabile Provvidenza » 7•
Complessivamente l'opera di Herder è un grande abbozzo che
arricchisce la fantasia e può stimolare la ricerca dell'intelletto.
7
J. G. HERDER, Ancora una filosofia della storia per l'educa1.ione dellVmanità.
Jntroduzione e traduzione di Franco Venturi, Torino, 1971, p. 123-125.
696 FILOSOFIA MODERNA
sta, come nel caso dello Spinoza, tenti di negare un dato immediato
della vita umana come la libertà personale e un senso ultimo del
l'umano agire compatibile con i genuini impulsi che lo generano.
L'esistenza di Dio, della libertà, dell'in sé delle cose, dei nessi cau
sali è garantita immediatamente da una spontanea universale cer
tezza che è indicata humeanamente con il nome di credenza.
Il principio di identità esprimentesi anche nella figura del
principio di contraddizione o di ragione sufficiente presuppone in
trinsecamente una necessità che deve garantire il nesso delle par
ti per la riscoperta del tutto: la dimostrazione concettuale an
zi che riguadagnare la totalità - che è presente di per sé alla
coscienza come spontaneo suo orizzonte - dà luogo ad una falsa
visione meccanicistica, fatalistica che esclude la vita della persona
nella sua essenza intrinseca e che ha come corollario l'ateismo.
All'ingannevole sistema della scienza dimostrativa Jacobi oppone
il Sinn, che esprime l'autentica propensione umana che lo deve
guidare nel mondo delle cose.
Al di qua delle prese di posizione nella discussione accademica,
ci pare di scorgere l'anima di Jacobi nelle confessioni del Woldemar.
« La virtù non si può in alcun modo escogitare con elucubrazioni
cerebrali ed i sentimenti buoni ed elevati possono scaturire sol
tanto da impulsi buoni ed elevati. Può anche esser vero che la no
stra anima, proprio come il nostro volto, non sia in grado di con
templare se stessa, ma abbia coscienza del proprio essere soltanto at
traverso l'urto con altri esseri e di fronte alla loro reazione. Tutta
via essa giunge a tale consapevolezza e alla contemplazione di se
stessa in un sentimento inesprimibile. L'anima, il suo essere inte
riore, il suo meraviglioso io, è e sarà in ogni uomo oggetto di os
servazione e di giudizio, e in questo giudizio di gioia e dolore, di
piacere e dispiacere, è e sarà certamente il suo oggetto più vicino,
immediato, reale, fecondo e interessante. E siccome giudichiamo il
valore delle cose esterne a seconda dei loro effetti su di noi, la
nostra natura interiore, riguardandoci immediatamente, deve esse
re per noi infinitamente più importante di ogni altra cosa. I rimor
si della coscienza e della vergogna più nascosta, le gioie della vir
tù e la forza dell'onore traggono origini da quella natura e ne of
frono mille prove nelle loro meravigliose manifestazioni. Certo,
la nostra coscienza deve essere risvegliata da un'azione esterna;
ma può sussistere e durare soltanto in se stessa, mediante la cono-
698 FILOSOFIA MODERNA
9
Da ]ACOBI, Scritti e testimonianze, a cura di V. Verra, Torino, 1966, p. 16.
IO
Cfr. ib., pp. 49-50.
DA KANT A FICHTE 699
11
Cfr. ib., p. 60.
" Cfr. ib., p. 61.
13 Cfr. ib., p. 64; il passo è tratto da Von den gottlichen Dingen und ihrer
Offenbarung.
700 FILOSOFIA MODERNA
stanza che sta alla base tanto del pensiero che dell'estensione e
li connette entrambe inscindibilmente, non è altro che l'identità
assoluta del soggetto e dell'oggetto, attinta non con l'intuizione
ma con il ragionamento, identità su cui è fondato il sistema della
nuova filosofia, della filosofia autonoma dell'intelligenza » 15•
La scalata speculativa di Schelling si risolse in una caduta nel
naturalismo mitologico: « Il nuovissimo sistema della unitotalità
o dell'identità assoluta, non senza fondamento si gloria di tornare
alla più antica filosofia... I sistemi speculativi più antichi per noi
sono stati certamente sistemi naturalistici: fisica speculativa di
questa o quella forma, poemi sulla creazione del mondo che antici
pavano lo studio della natura e oltrepassavano ogni esperienza:
cosmogonie-mitologie. L'intelletto umano, ponendosi a filosofare,
non poteva fare a meno di imboccare questa strada, non poteva svi
lupparsi né giungere a se stesso in alcun altro modo: la sua nascita
era la nascita di un mondo. Soltanto gradualmente dal caos di sen
sazioni e di rappresentazioni oscure e confuse, affiora nell'uomo che
volge per ogni dove lo sguardo della riflessione, una distinzione tra
esterno ed interno, come oggetti reciprocamente dipendenti, tra io e
non-io come elementi inseparabili. Ma, anche a parte il carattere in
separabile di interno ed esterno nella coscienza umana, i due siste
mi apparentemente cosi opposti tra loro, cioè il materialismo e
l'idealismo, nascono come gemelli nell'intelletto umano » 16•
L'anima dell'uomo è per Jacobi il luogo dove per eccellenza Dio
è presente: la presenza però non è traducibile in contenuti né
concettuali né storici, sì che la fede in Dio non può concretarsi
in dogmi né razionalistici, né positivi. Nel saggio Von den gottli
chen Dingen und ihrer Offenbarung (1811) Jacobi sottolineò il
senso della sua fede come purezza di ascolto al Dio vivente e inac
cessibile, prendendo lo spunto da un vecchio scritto di Claudius e
avendo di mira le accentuazioni teosofi.che schellinghiane.
2. Il momento criticista
La Critica della ragione pura risultò di difficile comprensione
al pubblico dotto non soltanto. nelle sue argomentazioni ma nei
suoi intendimenti e nel suo metodo, né riusci più fortunato il ten
tativo espositivo dei Prolegomeni fatto due anni più tardi. Solo
nel 1784 le Erlauterung uber des Herrn Prof. Kant Critik der
reinen Vernunft del pastore Johann Schultz indicavano l'intento
capitale dell'impresa criticista e i raccordi essenziali del discorso
kantiano. L'anno seguente la Fondazione della metafisica dei costu
mi toccando temi di immediato e universale interesse, riaprl il dia-·
logo con il pubblico, mentre fino dal suo primo sorgere la nuova
« Allgemeine Literatur-Zeitung » si schierava per la linea kantiana
di cui indovinava l'originalità.
17
KARL LEONHARD REINHOLD fu il vero apostolo del kantismo:
la sua esposizione del problema critico fornl il testo alla cre
scente folla di ripetitori e di seguaci, che fecero del nome di
21
Cfr. ib., p. 273.
DA KANT A FICHTE 707
" F. Kurz.e,Vergleichung der Kritik der reinen Vernunft und der Theorie des Vorstel
lungs-Vermogens nach. ihren Hauptmomenten, nei « Beitrage zur Geschichte der Philoso
phie » del Fiilleborn, voi. I. 1791 (nella II ed. del 1796. Cfr. pp. 130-131 ).
22 ••• Cfr. M. PAOUNELLI, I motivi della polemica antikantiana di J. A. Eberhard Ù1
Contributi . dell'Istituto di Filosofia, J, Università Cattolica del S. Cuç,re, Milano, 1969,
pp. 35-80.
10a FILOSOFIA MODERNA
no troppo turbati dai capricci della ragione né dai suoi slanci vuoi
speculativi vuoi critici. E. PLATNER non vedeva difficoltà ad aggiun
gere un pizzico di sale critico ai suoi Aphorismen e il NrcoLAI
guidava il lettore della « Allgemeine Deutsche Bibliothek » con la
consumata prudenza di chi da decenni assisteva al moto della ma
rea culturale tedesca.
3. La spinta scettica
11
SALOMONE MAIMON (1754-1800) nato in Lituania, cresciuto tra il Talmud e
la Cabbala, dallo studio di Maimonide si gettò nella cultura occidentale assimilando
da autodidatta notizie di matematica, medicina, scienze naturali, filosofia. Giunto av
venturosamente a Berlino, dopo varie vicende, trovò sostegno presso la comunità ebrai
ca illuminata attorno a M. Mendelssohn. Lesse la Critica della Ragione pura e cercò
a suo modo di connetterla con le precedenti letture di Wolff, Locke, Hume, Leibniz e
Spinoza. Un suo Versuch uber die Transcendentalphilosophic (1790) fu sottoposto mJ
noscritto al giudizio di K,ant. Nell'articolo Baco und Kant (1790) ed in una serie di
articoli pubblicati tra il '90 e il '92 sul « Teutscher Merkur » fece professione di
kantismo avanzando eterodosse proposte di sviluppi. Nelle Streifereien im Gebiete der
Philosophie (1793) attaccò Reinhold tentando di dimostrare che l'esito del pensiero cri
tico è lo scetticismo assoluto. Presentò le sue opinioni più caratteristiche nel '94 in
un Versuch einer neuen Theorie des Denkens. Nebst angehangten Briefen des Phila
letes an Aenesidemus.: nell'appendice tenta di agganciarsi alle critiche scettiche di G.
Schulze. La Lebensgeschichte (1792) dà un'immagine autobiografica dello sconcertante
personaggio che brillò brevemente nella cultura berlinese.
DA KANT A FICHTE 709
giandosi a Hume l'autore nega che la causalità sia più che un dato
abituale di esperienza, nega quindi la possibilità di stabilire un rap
porto scientificamente garantito tra le nostre rappresentazioni e pre
sunte cose in sé, e oltrepassando la linea criticista rifiuta l'esistenza
di un a priori che sarebbe indotto, non diversamente dalle cose
in sé, in forza di un abuso del nesso di causalità. Caduta la struttu
ra trascendentale, la scienza rimane humeanamente confinata nella
fenomenicità empirica. L'attacco si sviluppa puntigliosamente con
tro la teoria reinholdiana della facoltà rappresentativa: nei con
fronti di Kant, Schulze mostra interesse e rispetto soprattutto ri
guardo alla Moraltheologie, di cui ammira l'alta intenzione spi
rituale ma non può tuttavia condividerne la fondatezza.
La riduzione del difficile discorso criticista alle familiari fi
gure dello scetticismo humeano tranquillizzò l'opinione filosofica
corrente e segnò uno svuotamento pernicioso della crociata rein
holdiana per la riforma del sapere. Le difese di Reinhold e di
qualche suo seguace furono deboli e poco convinte. MAIMON si
fece innanzi ancora una volta .tentando di accaparrarsi un ruolo
sulla scena dotta, sostenendo uno scetticismo diverso da quello
di Aenesidemus e derivante da un coerente sviluppo della teo
ria trascendentale kantiana. « [ Aenesidemus] - scrive Maimon
nelle Lettera a Filalete - estende [ lo scetticismo] non solo alle
cose in sé bensì anche ai limiti della conoscenza umana, mentre
io (d'accordo con Kant) ammetto una conoscenza sintetica a priori
e ne deduco i limiti della spiegazione della sua possibilità; re
stringo tuttavia questi limiti più ancora di Kant in quanto non
ammetto l'uso nell'esperienza di questa pura conoscenza a priori
e cerco di mostrarne la portata reale unicamente mediante la co
noscenza matematica. Considero pertanto lo scetticismo di Aene
sidemus assolutamente irragionevole e infondato ».
Maimon tenta di sottrarre a Reinhold e a Schulze l'eredità kan
tiana e il monopolio dello scetticismo: ammette le strutture a prio
ri del pensare ma esclude ogni contenuto conoscitivo, decapita
inoltre il pensiero puro delle idee assolute della ragione. Nel Ver
such del '94 Maimon sembra approdare ad un totale idealismo tra
scendentale, in quanto la molteplicità empirica anzi che procedere
da una fonte a posteriori sembra piuttosto l'estrema articolazione
e suddivisione del pensiero procedente da un unico principio a
712 FILOSOFIA MODERNA
4. Epigoni
1828) nei due volumi della sua Idee einer Apodiktik: einer Beitrag
z.ur menschlichen Selbstverstandigung und zur Entscheidung des
Streites uber Metaphysik, kritische Philosophie und Skepticismus.
Movendo da Kant e Jacobi il Bouterwek aspirò ad una fondazione
del sistema della teoria e della pratica. Il suo nome è legato piutto
sto ad una grande Geschichte der neuern Poesie und beredsamkeit
(in 12 voll., 1801-1819) e all'Aesthetik (1806).
Un'analoga convergenza di interessi per Kant e Spinoza con una
attenzione estetica che dispone al romanticismo riscontriamo in
KARL HEINRICH HEYDENREICH (1764-1801) di cui è da ricordare
il Saggio Natur und Gott nach Spinoza (1788), le Betrachtungen
uber die Philosophie der naturlichen Religion (2 voll., 1790-91) e
un System der Aesthetik (1790).
Alla svolta del secolo appaiono i primi saggi di autori che opera
rono in minore evidenza nel trentennio della dominazione idealisti
ca, tentando di tenere i contatti con la tradizione settecentesca, ora
solitari ora oggetto di condanna. WILHELM TRAUGOTT KRUG (1770-
1842) è ricordato quale successore di Kant a Konigsberg, per gli
scontri con Fichte, Schelling e Hegel e per un ponderoso Allge
meiner Handworterbuch der philosophischer, Wissenschaften (1827-
34, in 5 voll.). Era stato allievo di Reinhard a Wittenberg e aveva
ascoltato Reinhold a Jena, stendendo ivi alcune Briefe uber die Per
fectibilitat der geoffenbarten Religion (1795). Del 1803 è il suo
tentativo di un'autonoma Fundamentalphilosophie oder urwissen
schaftliche Grundlehre, cui fece seguito il System der theoretischen
Philosophie (1806-10, 3 voll.). Nel riflusso delle idee e delle po
lemiche della fine del secolo si formarono i temi più caratteristici di
JACOB FRIEDRICH FRrns (1773-1843) e di CHRISTIAN Wmss
(1774-1853), la cui presenza nell'età idealistica non fu trascura
bile: da qui trae alimento lo spiritualismo che accennò una fioritura
alla morte di Hegel.
5. Il fermento romantico
ad uno storico della cultura nel suo insieme, ricchi forse di inte
resse sul piano estetico, non certo contributi al filosofare.
A differenza dei suoi coetanei, forse perché meno disposto alla
comunicazione poetica, cercò la via dell'espressione teorica e sto
rica FRIEDRICH ScHLEGEL (1772-1829), senza che la sua produzione
abbia mai fruito del rigore del metodo e della critica.
È difficile fissare un punto prospettico stabile per abbracciare
l'opera dello Schlegel, mobile quanto la sua maniera di vivere. Tra
il '94 e il '96 si addensa un gruppo di saggi che hanno per oggetto
lo spirito greco di cui si può trovare la sostanza in Ueber das
Studium des griechischen Poesie ('95-'96). Segue la conoscenza con
Fichte e Schleiermacher, mentre il suo favore è per le idee poli
tiche novatrici. Tra il '98 e 1'800 culmina la Romantik di Jena:
l'incontro con Dorothea Veit celebrata nell'infelice abbozzo di
romanzo (Lucinde, 1799); una Geschichte der Poesie der Griechen
und der Romer (1798) e la pubblicazione di « Athaeneum » (1798-
1800): i Fragmente di questo periodo esprimono il fermentare di
istruzioni storico-estetiche, intessute di ambizioni trascendentali. Al
lo spontaneo equilibrio della bellezza greca risponde il tendere in
finito dell'anima moderna, ansiosa di un centro religioso e attuan
tesi in questa tensione appunto. Schlegel tenta di confondere poe
sia e filosofia, quasi in un· crepuscolo che unisca il presentimento
con il sapere. L'ironia come proiezione del reale sull'infinito oriz
zonte dell'ideale viene assunta a tema di una concezione dell'uomo
che echeggia in chiave estetica Fichte.
La raccolta di Charakteristikes und Kritiken (l 801) testimo
nia la smania dell'autore di partecipare di ogni fenomeno dell'ani
ma contemporanea. La tensione romantica segul la gravitazione
storica e Schlegel finl via via tra le file della restaurazione diventan
do per di più ufficialmente cattolico (1808). Tra il 1803 e il 1805
diede vita ad una nuova rivista « Europa ». Nel periodo seguente
si diede allo studio delle lingue e del mondo orientale (Ueber die
Sprache und die Weisheit der Inder, 1808). Nella Philosophie des
Lebens (1828) e nella Philosophie der Geschichte (2 voli., 1829)
tentò di dare unità alle sue nuove esperienze estetiche, culturali e
politico-religiose.
Federico Schlegel, se non può dire molto come pensatore siste
matico né molto suggerire per l'instabilità delle sue osservazioni.
718 FILOSOFIA MODERNA
" Reden an die Gebildeten unter ihren Veriichtern. Ueber die Religion, Berlino,
1799, pp. 5-7.
21 Ib., p. 50.
722 FILOSOFIA MODERNA
29
Ib., pp. 53-55.
724 FILOSOFIA MODERNA
ne. Ciò invece che vuole andare oltre e penetrare più a fondo nel
la natura e sostanza del Tutto non è più religione e se lo si vorrà
considerare ancora tale, si degraderà inevitabilmente a vuota mito
logia » 30•
Pesanti conseguenze comporta il rifiuto di ogni struttura con
cettuale e unità logica atta a garantire consistenza e universalità
alla religione che si risolve così in un'ipotetica esperienza pura.
« L'intuizione è e rimane sempre qualcosa di singolo, di stacca
to: una percezione immediata e nulla più; operare collegamenti
e farne un tutto unitario non è già compito del senso bensì del
pensare astratto. Così la religione: si ferma alle esperienze imme
diate dell'esistenza e dell'attività dell'Universo, alle singole intui
zioni e ai singoli sentimenti; ogni esperienza è un'opera a sé stante
senza connessione con altre né dipendenza; nulla sa di deduzione
e collegamento: sono cose che tra tutte ripugnano alla sua na
tura » J1.
La molteplicità intuita si amalgama nella coscienza nel mezzo
del sentimento.
« Non si pensi però che intuizioni e sentimenti religiosi possa
no essere separati sia pure nell'attività primigenia dell'animo...
L'intuizione senza sentimento è nulla e non può avere né la giu
sta origine né la giusta forza, parimenti nulla è il sentimento
senza l'intuizione: entrambi sono qualcosa solo e in quanto so
no originariamente una cosa sola e indivisa. Il primo misterioso
istante che c'è in ogni percezione sensibile, anteriormente alla se
parazione stessa di intuizione e di sentimento, in cui senso e og
getto si sono confusi l'uno nell'altro in unità, prima che ciascuno
sia ritornato al suo luogo d'origine - so come sia indescrivibile
e con che rapidità passi, vorrei però che poteste afferrarlo e rico
noscerlo anche nell'attività più alta religiosa e divina dello Spi
rito. Fossi capace e mi fosse consentito esprimerlo, almeno indi
carlo senza spezzarlo! È fugace e trasparente come il primo alito
con cui la rugiada anima i fiori che si risvegliano, pudico e tenero
come un bacio di fanciulla, santo e fecondo come un abbraccio co
niugale; anzi non è solo simile ma è proprio la stessa cosa.
J. G. FICHTE
(1762-1814)
1. Vita e opere
2
Desumo le notizie biografiche dalla Vita di Fichte (Fichtes Leben) di F. Medicus,
nel I volume delle opere, e da X. LÉON, Fichte et son temps, cit.
FICHTE 72.9
3
Cosa curiosa: alla fine del 1791 Fichte aveva scritto in difesa dell'« editto sulla
religione» del ministro di Federico Guglielmo III, Wollner, lo stesso che vieterà in
Prussia la pubblicazione dell'articolo di Kant Sull2 lotta del principio buono e di quello
cattivo per il dominio sull'uomo, che andò poi a costit1,1ire la seconda parte de La re
ligione nei limiti della sola ragione. I frammenti di Fichte sull'editto di religione sono
pubblicati da X. LÉON, Fichte et son temps, cit., voi. I, pp. 159-165. Ma forse l'atteg
giamento di Fichte in difesa dell'editto cli religione ci sembrerà meno strano se pen
siamo che nella conclusione della Critica di ogni rivelazione, dopo aver detto che solo
le dottrine religiose e morali suscitano un profondo interesse, non lasciano indifferenti,
aggiunge: « saremmo molto perplessi a decidere se una suprema tolleranza in un animo
nel quale non sia fondata su una lunga e costante riflessione sia un aspetto molto ap
prezzabile » (I, p. 121), perché denoterebbe un certo disinteresse per i valori religiosi.
FICHTE 731
non è possibile dubitare della esistenza di Dio; certo Dio non è una
cosa, una sostanza, la religione non aggiunge alla moralità se non
una fiducia, una speranza che il bene trionfi. Nello stesso anno usci
uno scritto anonimo intitolato Lettera di un padre a suo figlio stu
dente sull'ateismo di Forberg e di Fichte in cui, come dice il titolo,
si accusavano Forberg e Fichte di ateismo. La lettera provocò un
decreto del sovrano, il Principe-elettore di Sassonia, che ordinava
la confisca del fascicolo in cui erano pubblicati i due scritti, e chie
deva alle autorità accademiche di punire gli autori. Fichte rispose
con un Appello al pubblico contro l'accusa di ateismo pubblicato
sul « Philosophisches ]ournal » del 1799, trovò numerosi difensori,
fra i quali Reinhold e Federico Schlegel, e mandò al sovrano una
giustificazione giuridica.
Il carattere di Fichte non era il più adatto ad appianare le cose;
anche Goethe, che gli era amico e aveva cercato di aiutarlo, a un
certo momento se la vide persa e Fichte dové lasciare l'Università
di Jena.
Dietro consiglio di Federico Schlegel andò a Berlino, dove ten
ne lezioni in forma privata e scrisse La Missione dell'uomo e Lo
Stato commerciale chiuso (1800). Nel 1801 e nel 1804 espose nel
le sue lezioni (pubblicate postume) la Dottrina della scienza in una
forma nuova che rivela una particolare attenzione ai fondamenti
metafisico-religiosi della sua filosofia. Alla dottrina della religione
è dedicata l'Introduzione alla vita beata (1806); alla filosofia della
storia i Lineamenti dell'epoca presente (1806). Nel 1805 Fichte
fu chiamato all'Università di Erlangen, ma vi rimase poco tempo,
perché con la pace di Tilsit Erlangen fu tolta alla Prussia, e ritornò
a Berlino, che abbandonò temporaneamente quando fu occupata dai
Francesi. La sconfitta subita dalla Prussia suscita in lui un acceso na
zionalismo: egli aveva sempre sottolineato la comunità (Gemein
schaft) fra gli uomini, fondata sulla ragione, ma ora questa comu
nità è intesa come comunità nazionale per conservare la quale tutto
è lecito: Fichte apprezza e loda Machiavelli. al quale dedica un sag
gio. Sono di questi anni i Discorsi alla nazione tedesca (1808) e un
progetto di università, considerata come il seminario di una nuova
patria rinnovata, nella quale gli studenti avrebbero dovuto fare
un'austera vita comune. L'Università di Berlino fu fondata nell'au
tunno del 1810, su un progetto più realistico di quello di Fichte,
FICHTE 733
' Avverto però che, per chi scrive, "astratto" non ha affatto un significato di
valore negativo.
FICHTE 737
• Indicherò con D.S. i Principi fondamentali di tutta la Dottrina della scienza del
1794 (Grundlage der gesamte Wiss.tnschaftlehre), trar!. Tilgher, cit.
' Von Kant bis Hegel, I, p. 431.
FICHTE 739
presa nel più intimo del nostro essere », oerché il dovere di oltre
passare ogni scopo finito raggiunto, di tendere sempre a qualcosa di
ulteriore « è l'impronta della nostra destinazione per l'eternità »
(D.S., p. 224).
Cosl Fichte ritiene di aver dato la piena giustificazione dell'eti
ca kantiana: c'è un imperativo categorico perché c'è un Io assoluto
che deve realizzarsi (D.S., p. 214, nota).
Potrebbe a prima vista sembrare strano che questa filosofia su
scitasse tanto entusiasmo non solo fra gli studenti di filosofia, ma
anche tra letterati e poeti. Ma, oltre al fascino esercitato dalla
persona di Fichte, dalla sua dirittura morale, dalla sua foga di apo
stolo, dobbiamo tener presenti alcuni punti. Ce li indica X. Léon
per spiegare l'influsso di Fichte sul primo romanticismo e in parti
colare su Federico Schlegel. Fichte afferma che non esiste la cosa
in sé come realtà indipendente dall'io: l'Io non ha da assoggettarsi
a nulla che gli sia estraneo. Ora questa visione della realtà offriva
una base speculativa alla concezione romantica del genio creatore.
L'attività dell'Io non ha limiti: se li pone per superarli, ma in sé
è infinita. Ora « render possibile questo trionfo della libertà è, per
il romanticismo, la funzione dell'arte. L'arte affranca lo spirito
umano dalla schiavitù del mondo sensibile e dalla costrizione so
ciale; assicura il dominio del soggetto sul mondo esteriore; per
mette quell'attuazione dell'ideale che è un'esigenza della ragione,
ma che la filosofia non ci fa raggiungere ». (Fichte et son temps, I,
p. 446 ). Piace ai romantici la tesi fichtiana secondo la quale il Non
io è posto dall'immaginazione produttiva. Piace il concetto dell'uo
mo come uno sforzo di farsi Dio, della presenza di Dio nella ten
sione umana verso l'infinito. Echi fichtiani sente il Léon anche nel
legame che F. Schlegel vede tra poesia e filosofia. « Se la caratte
ristica del genio artistico è il senso dell'universale, se è suo compito
di attuare l'assoluto, di svegliare il dio che è in fondo all'animo no
stro, l'arte per il romanticismo... è strettamente legata alla filosofia,
alla religione, alla moralità » (ibid., p. 448 ). La religione è intesa
infatti come il senso dell'infinito, l'intuizione del divino; la filosofia
cerca di tradurre razionalmente il rapporto fra l'uomo e Dio: « la
poesia - sono parole di Schlegel riportate da X. Léon - nella sua
aspirazione all'infinito, nel suo disprezzo per l'utilità, ha lo stesso
scopo e le medesime avversioni della religione ». « La morale sta
·742 FILOSOFIA MODERNA
alla religione come la poesia sta alla filosofia »: applica alla con
dotta umana il senso del divino. (ibid., p. 448). Infine X. Léon tro
va in Fichte anche la fonte del concetto romantico di ironia. Egli
cita due definizioni dell'ironia di F. Schlegel: « una successione
continua di autocreazione e di autodistruzione », « una sintesi asso
luta di antitesi assolute, il mutamento continuo e autoproducentesi
di due pensieri in lotta» (ibid., p. 449). Ancora: « l'ironia è la
più libera di tutt� le licenze, perché con essa ci si pone al di sopra
di se stessi; e tuttavia è la più obbediente a leggi, perché è assolu
tamente necessaria ». « Nell'intimo è lo stato d'animo (Stimmung)
che guarda tutto dall'alto e si eleva infinitamente al di sopra di ogni
condizionato, anche al di sopra della propria arte, virtù, o geniali
tà... » (F. Schlegel, citato da R. HAYM, Die romantische Schule,
4• ed., p. 296).
Due sono le caratteristiche dell'ironia cosl intesa: il presuppo
sto di una contraddizione, di un contrasto fra il dato e l'aspirazio
ne, e 2) l'assoluta libertà del soggetto che sovrasta. Ora questi
concetti sono presenti anche in Fichte. Ma la differenza fondamenta
le fra Fichte e i romantici è che questi intendono la soggettività co
me soggettività individuale: di qui una interpretazione radicalmen
te diversa della moralità, che per i romantici sarà la 'genialità mo
rale ' (è bene ciò che risponde alle aspirazioni dell'individuo genia
le), mentre per Fichte resterà sempre l'obbedienza a una legge uni
versale. Altri punti di divergenza rilevati da X. Léon sono la ten
denza a concepire l'assoluto come l'universo - da parte dei ro
mantici - anziché come il soggetto: di qui un panteismo naturali
stico anziché un idealismo, come è quello di Fichte; e la valuta
zione dell'arte come superiore alla filosofia, e quindi dell'intuizione
extra-teoretica come superiore alla ragione.
nere umano, ma non potrebbe esser tale se non si dedicasse con im
pegno alla scienza, se non si sforzasse di far progredire la disciplina
che ha scelto come particolare campo di studio: se spetta ad ogni
uomo impegnarsi nella professione che ha scelto, questo vale a mag
gior ragione per l'intellettuale. E non potrebbe essere educatore del
genere umano se non fosse « l'uomo moralmente migliore della sua
epoca » (I, p. 261 ). L'intellettuale è quindi l'uomo che ha anche
come compito della sua particolare professione, come propria mis
sione, quella che è la missione dell'uomo in quanto tale.
L'ultima lezione de La missione del dotto è in polemica con
Rousseau, con la sua concezione della società come corruttrice della
natura umana.
6. La dottrina morale
' Fichtes System der konkreten Ethik, Tiibingen, Mohr, 1924, pp. 231 55.
FJCHTE 749
perare (questo, come abbiamo visto, è il motivo per cui l'Io oppone
a sé il Non-io) e nel superare l'ostacolo l'attività dell'io diventa sen
sibile e temporale (ibid. ). Ma nel descrivere l'azione reale Fichte
rivaluta, rispetto a Kant, l'impulso sensibile e il sentimento, che è la
coscienza di sé come limitato. Il sentimento di una tendenza è il
desiderio (Sehnen), cioè l'indeterminato senso di un bisogno, quin
di di una limitazione; e poiché il limite dell'Io è il Non-io, la na
tura, ne segue che, in quanto sono impulso, io sono natura. L'im
pulso, per realizzarsi, si foggia un organismo, e mediante questo
si attua e modifica la natura circostante; la brama si fa appetito (Be
gehren) di un oggetto determinato. Ma non è l'oggetto a determina
re l'appetito, è l'appetito che suscita l'oggetto: « Non ho fame per
ché ci sia il cibo, ma vi è del cibo per me, perché ho fame (Il,
p. 518).
Poiché mi pongo come organismo, l'impulso naturale è essenzial
mente tendenza a tener unito l'organismo nelle sue parti, ossia è
istinto di conservazione; poiché l'appetito tende all'oggetto, ma per
appropriarselo, per trasformare in me la cosa appetita, l'appetito
mira alla soddisfazione del soggetto, e la soddisfazione genera il
piacere. La tendenza sensibile è dunque tendenza al piacere.
Ma la soddisfazione degli impulsi, nell'uomo, dipende dalla liber
tà: che vi sia in me un impulso, che io lo senta, non dipende da me,
ma dipende da me il soddisfarlo o no (II, p. 520); ora la moralità
consiste nel regolare la soddisfazione dell'impulso sensibile in modo
conforme alla natura spirituale dell'uomo. L'impulso sensibile ten
de a qualcosa di materiale (ossia a un oggetto) soltanto per la ma
teria; tende al godimento per il godimento; l'impulso puro (reiner
Trieb - che è poi l'impulso derivante dall'Io in quanto lo) tende
all'assoluta indipendenza del soggetto agente dall'impulso sensibile;
alla libertà per la libertà » (Il, p. 541 ). Sembra dunque che la mo
ralità abbia solo un effetto negativo sull'impulso sensibile, e cosl
sarebbe, dice Fichte, se si trattasse la morale solo formaliter: la mo
ralità sarebbe concepita solo come rinnegamento di sé, ma se si
considerano meglio le cose si vede che la moralità implica una va
lorizzazione dell'impulso sensibile.
La moralità consiste infatti nel dare all'impulso naturale un
orientamento razionale. La piena coincidenza fra impulso puro e im
pulso naturale sarebbe la perfezione, ci farebbe diventare Dio:
compito (missione) dell'uomo può essere solo quello di approssi-
750 FILOSOFIA MODERNA
invece vivere per il genere umano, che è quanto dire: debbono vi
vere per l'idea.
Lo strumento per dirigere le volontà individuali a vivere per
l'idea è lo Stato, inteso come Stato etico, che ordina con leggi po
sitive quelli che sono i doveri dell'uomo, e quindi, pur subordinan�
do a sé gl'individui, realizza la loro vera libertà. Per questo lo Sta
to deve assumere direttamente il compito clell'istruzione e dell'edu
cazione dei cittadini, afferma Fichte nei Discorsi alla nazione tedesca,
del 1808, di una educazione che miri a sviluppare nell'uomo la pu
rezza della volontà attraverso la chiarezza dell'intelligenza. Solo
sulla base di una tale educazione ( che Fichte vede realizzata da Pe
stalozzi, anche se da lui non filosoficamente giustificata) la Germania
potrà risorgere e adempiere la missione, che Fichte le attribuisce,
di essere esempio a tutta l'umanità.
F. W. SCHELLING
(1775-1854)
[ADRIANO BAUSOLA]
1. Vita e opere
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nacque il 27 gennaio del
1775 a Leonberg, nel Wiirttemberg; suo padre, pastore protestan
te, lo avviò assai presto agli studi classici ed orientalistici (in
particolare, biblici); a temi legati alla Bibbia, da una parte, alla
questione del significato dei miti, dall'altra, furono dedicati i pri
mi scritti di Schelling (Antiquissimi de prima malorum humanorum
'' L'Opera omnia di Schelling è stata pubblicata dal figlio del filosofo, Karl F.
August, nel 1856-61 (Stoccarda). Nel nostro secolo, abbiamo l'edizione a cura di Man
fred Schri:iter (Monaco, Beck e Oldenburg ed., 1927 ss.).
Principali traduzioni italiane: Lettere filosofiche sul dogmatismo e il criticismo (tr.
G. Semerari, Sansoni ed., Firenze 1958); Sistema dell'idealismo trascendentale (tr. M.
Losacco, rev. G. Semerari, Laterza ed., Bari 19652); Esposizione del mio sistema filoso
fico (tr. E. De Ferri, Laterza ed., Bari 1923); Bruno (tr. A. Valori, Bocca ed., Milano
1906); Quattordici lezioni sul metodo dello studio accademico (tr. L. Visconti, Milano
1914 ); Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana (tr. M. Losacco, Carabba, Lan
ciano 1910 - ora con intr. di A. Negri, sempre Carabba 1974 -, e S. Drago Del Boca,
Istituto Editoriale Italiano, Milano 1947); Per la storia della filosofia moderna (Lezioni
Monachesi - tr. G. Durante, Sansoni ed., Firenze 1950); Esposizione dell'empirismo filo
sofico, Lezioni di Stoccarda (e altri saggi di filosofia della natura - tr. G. Preti. La Nuova
Italia ed., Firenze 1967); Filosofia della rivelazione (tr. A. Bausola, Zanichelli ed., Bolo
gna 1972).
In un volume a cura di L. Pareyson (Mursia, Milano 1974) sono ora raccolte le
Ricerche filosofiche nella trad. Del Boca, Filosofia e religione, tr. di V. Verra, le Lezioni
di Stoccarda e le Conferenze di Erlangen, tr. di L. Pareyson.
Studi su Schelling: K. F1sCHER, Schellings Leben, Werke und Lehre (Geschichte
der neuern Philosophie, voi. VII), Winter ed., Heidelberg 1923'; C. ERTEL, Schellings
positive Philosophie, Pallottiner ed., Limburg-Lahn 1933; S. DRAGO DEL BocA, La filo
sofia di Schelling, Sansoni ed., Firenze 1943; A. MASSOLO, Il primo Schelling, Sansoni
ed., Firenze 1953; H. FUHRMANS, Schellings Philosophie der Weltalter, Schwann ed.,
Diisseldorf, 1954; H. ZELTNER, Schelling, Frommans, Stoccarda 1954; K. }ASPERS,
756 FILOSOFIA MODERNA
3. La fondazione dell'idealismo
1
Da segnalare, in rapporto alla dottrina schellinghiana dello Stato sviluppata nel
Sistema, la tesi della « costituzione cosmopolitica », difesa con una motivazione origi
nale: un'organizzazione soprannazionale degli Stati, per Schelling, non deve tanto ga,
rantire la pace, quanto, attraverso reciproci controlli, il rispetto dlela libertà degli indi
vidui da parte dei singoli Stati stessi.
·SCHELLING 773
certo equilibrio metafisico (il limite non è più visto come incom
prensibile, perché il negativo appartiene alla struttura dell'Io), è an
che vero che in questo scritto tale equilibrio non è ancora del tutto
acquisito. Sarà soltanto dopo il Sistema che Schelling tematizzerà
formalmente ed in modo non incoerente od oscillante il punto di
vista della :filosofia della natura. Nel Sistema, Schelling pone una
tesi - l'Assoluto si manifesta solo col finito - la quale trova la
propria giustificazione in una concezione dell'Originario che ver
rà proposta esplicitamente solo dopo il Sistema, nel periodo della
:filosofia dell'identità.
La tesi del Sistema è la seguente: l'Io è infinito solo in unio
ne col finito, come infinita posizione ed infinito sorpassamento
del limite; esso non è mai infinito come identità delle due atti
vità originarie, che sono reali solo nella reciproca limitazione. L'Io
raggiunge l'infinità come infinità che si nega e si riafferma, come
infinito, cioè, che si fa infinito e risorge da esso; l'infinito è perciò
infìnito come finito e infinito, come loro identità. In quanto tale,
l'infinito è l'infinita serie degli atti di limitazione e di sorpassamento
della limitazione. L'Io non potrà mai essere infinito di una pura
infinità. Atteso ciò, quando Schelling afferma la necessità per l'Io
di intuirsi come infinito produrre ed infinito sapere (l'Assoluto
deve manifestarsi qua tale), può solo affermare un'autointuizione
che non sopprime il mondo, il finito, ma, soltanto, si oppone, come
sapere dell'infinito produrre, al prodotto, sapendolo come prodotto.
Ed in effetti, la legge morale, che comanda all'Io di affermarsi pra
ticamente come infinita posizione di sé, esprime sl l'esigenza di au
toposizione contro il mondo, ma solo nel senso che non ci si deve
lasciare determinare ab extrinseco da parte degli oggetti, che gli
oggetti devono essere voluti perché attraverso di essi emerga l'au
toaffermazione dell'Io (e non per la loro attraenza sensibile, perché
sono piacevoli, e via); non si tratta però, in ogni caso, di un'auto�
posizione che annichili il mondo.
Nel Sistema nessun atto dell'Assoluto è posto come puramen
te infinito, ma neanche si dice, in esso, che un qualche atto deb 0
' In seguito, nella Filosofia dell'arte, Schelling modificò in parte la sua prospettiva
estetica. Ritornato acuto, con il Bruno, il problema della origine del finito e della dif
ferenza, e riconosciuta la difficoltà di risolvere il problema in sede strettamente filo
sofica, Schelling tentò, per un momento, nella Filosofia dell'arte, di far fronte al pro
blema sul terreno dell'estetica. « Non la ragione - riassume l'Assunto - ma la im
maginazione può renderci conto del finito e del diverso in quanto non è negazione
dell'infinita identità, ma è il manifestarsi reale di questa infinita identità. L'immagi
nazione, dunque, questa meravigliosa facoltà ( ...) garantisce di fronte al pensiero la
realtà in quanto finita e differente, e in tanto la garantisce in quanto la finitezza e le
differenza del reale, proprio per merito della immaginazione, mostrano la propria iden
tità diversa rispetto all'Infinito Identico: identità che consiste nelle forme del finito e
del differente come infinità e identità delle realtà finite e differenti; quelle forme ap
punto che sono le idee realizzate dalla immaginazione come dèi, gli dèi che· l'arte mo
stra come proprie forme che sono anche l'inseità infinita e identica del molteplice di
verso» (R. ASSUNTO, Estetica dell'identità. Lettura della « Filosofia dell'arte» di Schel
ling, Urbino 1962, pp. 16.5-166).
776 FILOSOFIA MODERNA
vero che il finito deve anche essere come finito, e bisogna quindi
porre anche una forma della finitudine nella infinità. Con questo,
Schelling ribadisce la sua preoccupazione di « salvare » il finito
anche nell'identità originaria. La difficoltà interna di una posi
zione di questo genere (struttura contraddittoria dell'Originario)
non è certo di poco conto, ma Schelling accetta qui tale struttura,
e può, trascurandone le implicazioni aporetiche, produrre poi un
sistema che, nella sua espansione determinata, non soffre più delle
difficoltà e degli sqùilibri che son stati riconosciuti appartenere
ai momenti precedenti della sua posizione.
5. Filosofia e religione
3
Schelling derivò sicuramente dal Bohme, attraverso le mediazioni ora indicate,
il concetto del Wille des Ungrundes, del volere inteso come fondo cieco da cui affiora
la natura, che è il corpo di Dio; e, ancora, l'insistenza nell'intendere Dio come vita
è certo dovuta all'influsso bohmiano. È però da Oetinger, e soprattutto da Baader, di
rettamente, che lo Schelliog riceve la spinta alla considerazione del male non più come
semplice imperfezione metafisica, ma come rottura dell'armonia delle forze, trasformate
in strumenti per fini parziali, egoistici, sostenuta nelle Ricerche.
780 FILOSOFIA MODERNA
che è appunto del 1803 4), che egli ha compreso l'importanza cen
trale della religione per risollevare la massa inerte degli uomini.
Ma tutti i motivi di novità che si sono venuti elencando non
superano ancora il fondamentale schema idealistico ed immanenti
stico di base. Per arrivare veramente allo sforzo più deciso di
Schelling in senso trascendentistico e realistico, occorsero ancora
molti anni: furono soprattutto gli attacchi di Eschenmayer e di
Jacobi, insieme con la meditazione attenta su quanto il raziona
lismo idealistico, esplicitato e codificato nella sua logica dallo
Hegel, potesse e non potesse dare, a produrre il più deciso pas
so in direzione cristiana di Schelling. Lo sviluppo ampio e sistema
tico da parte dello Hegel di quei concetti che avevano costituito
il nucleo della stessa « prima » :filosofia di Schelling, costituì il
catalizzatore del più approfondito esame di coscienza filosofico
compiuto dal Nostro.
Il frutto più maturo, e più ampio, delle riflessioni schellin
ghiane nella nuova direzione, è rappresentato dalle opere monu
mentali - pubblicate postume - Filosofia della Mitologia e
Filosofia della Rivelazione - alle quali bisognerà ora, soprattutto,
rivolgere l'attenzione.
6. La filosofia positiva
G. W. F. HEGEL
( 1770-1831)
l. Vita e opere
* Delle opere di Hegel ricordiamo: l'edizione curata subito dopo la sua morte da un
gruppo di scolari: HEGELS Werke, Berlino 1832-1845; tale edizione è stata sostanzial
mente riprodotta in quella curata di H. Glockner: G. W. F. HEGEL, Siimtliche Werke,
Stuttgart, Frommann, 1927-1940. Quasi tutte le opere (mancano o sono incompleti
alcuni corsi di lezioni) sono state pubblicate in edizione critica a cura di G. Lasson e
J. Hoffmeister presso l'Editore Meiner di Lipsia (poi Amburgo). È in corso una edi
zione critica: G. W. F. HEGEL, Gesammelte Werke, Hamburg, Meiner, 1968....
Gli scritti giovanili studiati per primo da Dilthey, e non contenuti nelle edizioni
sopra citate, furono editi da H. Nohl col titolo: Hegels Theologische Jugendschriften,
Tiibingen, Mohr, 1907 (ristampa anastatica Frankfurt, Minerva, 1966). Altri inediti
furono pubblicati da J. Hoffmeister col titolo Dokumente zu Hegels Entwicklung,
Stuttgart, Frommann, 1936. G. Lasson e J. Hoffmeister pubblicarono i manoscritti del
le lezioni di Jena: Jenenser Logik, Metaphysik und Naturalphilosophie hrsg. von G.
Lasson, Lipsia, Meiner, 1923; Jenenser Realphilosophie I e II, hrsg. von J. Hoffmeister,
Lipsia, Meiner, 1930-1931 (il '1:' voi. è ristampato col titolo Jenaer Realphilosophie,
Hamburg, Meiner, 1969).
Fra le recenti traduzioni italiane ricordiamo: Scritti teologici giovanili a cura di
E. Mirri, Napoli, Guida, 1972; Scritti politici (1798-1806), trad. A. Plebe, Bari, La
terza, 1961; Scritti di filosofia del diritto (1802-1803), trad. A. Negri, Bari, Laterza,
1962; I principi di Hegel, trad. di Enrico De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1949
(estratti dagli scritti giovanili, da scritti di Jena); Rapporto dello scetticismo con la
filosofia, trad. N. Merker, Bari, Laterza, 1970; Fenomenologia dello spirito, trad. E.
De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1933 (2" ed. 1960); Scienza della logica, trad. A.
Moni, Bari, Laterza, 1925 (2• ed. riveduta da C. Cesa, 1968); Propedeutica filosofica,
trad. Radetti, Firenze, Sansoni, 1957; Enciclopedia delle scienze filosofiche in com
pendio, trad. B. Croce, Bari, Laterza, 1907 (5• ed. 1967); Lineamenti di filosofia del
796 FILOSOFIA MODERNA
diritto, trad. F. Messineo, Bari, Laterza, 1913 (3" ed. 1965); Lezioni sulla filosofia della
storia, trad. Calogero e Fatta, Firenze, La Nuova Italia, 1941 (4• ed. 1963); Estetica,
trad. N. Merker e V. Vaccaro, Milano, Feltrinelli, 1963 (Torino, Einaudi); Lezioni sulla
filosofia della religione, a cura di E. Oberti e G. Borruso, 1° volume, Bologna, Za
nichelli, 1974.
STUDI su liEGEL: mi limito ad indicare alcune, poche opere: K. RosENKRANZ,
Vita di Hegel, trad. it. di R. Bodei, Firenze, Vallecchi, 1966 (l'opera è del 1844, ma
ancora preziosa); K. FrsCHER, Hegels Leben, Werke und Lehre (è il voi. 8° in due
tomi della Geschichte der neuern Philosophie), 2" edizione, Heidelberg, Winter, 1911;
R. KRoNER, Von Kant bis Hegel, 2 voll., Tiibingen, Mohr, 1921-1924 (2" ed. 1961);
N. HARTMANN, Die Philosophie des deutschen IdealiJmus, 2 voll. (il 2° è tutto dedi
cato a Hegel), Berlin, De Gruyter, 1923-1929 (trad. it. Milano, Mursia, 1972); H.
GLOCKNER, Hegel, 2 voll., Stuttgart, Fro=ann, 1929-1940; E. DE NEGRI, Interpreta
zione di Hegel, Firenze, Sansoni, 1940, 2• ed. 1969; J. N. FINDLAY, Hegel, A Re-exa
mination, Londra, Allen e Unwin, 1958 (trad. it. col titolo: Hegel oggi, Milano, I. L. I.,
1972); MARIO Rossi, Hegel e lo Stato, Roma, Editori Riuniti, 1960 (è il primo volume
dell'opera Marx e la dialettica hegeliana); HANS KtiNG, Menschwerdung Gottes, Frei
burg, Herder, 1970 (trad. it., Brescia, Queriniana, 1972); Incidenza di Hegel, Studi rac
colti nel secondo centenario della nascita del filosofo, Napoli, Morano Editore, 1970
(il volume contiene anche una bibliografia delle traduzioni e degli scritti su Hegel in
Italia); L'opera e l'eredità di Hegel, Bari, Laterza, 1972 (con una bibliografia degli
studi usciti per il secondo centenario della nascita di Hegel); L. LuGARINI, Hegel dal
mondo storico alla filosofia, Roma, Armando, 1973; dal 1961 si pubblicano a cura di
F. NrcOLIN e O. POGGELER, Hegel-Studien, presso l'Editore Bouvier di Bonn, che
contengono scritti di notevole valore.
Per gli scritti J.(iovanili: W. DrLTI-IEY, Die Iugendgeschichte Hegels, in Gesammelte
Schriften, voi. IV. Stuttgart - Gottingen, Teubner - Vandenhoeck e Ruprecht, 1959 (l'o�ra
è del 1905); L. TH. HAERING, Hegel. Sein Wollen und sein Werk, 2 voll. Leipzig - Berlin,
Teubner 1929-1938; C. LACORTE, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni, 1959; L. LuKACS, Il
giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Torino, Einaudi, 1960 (l'opera ori
ginale è del 1948).
Per il periodo di Jena: N. MERKER, Le origini della logica hegeliana, Milano, Fel
trinelli, 1961.
Per la Fenomenologia dello spirito mi limito a citare: J. HYPPOLITE, Genèse et
structure de la Phénoménologie de l'esprit de Hegel, Parigi, Aubier, 1946 (trad. it.
Firenze, La Nuova Italia, 1973).
' Vita di Hegel, eit. Citeremo quest'opera indicando solo il nome dell'Autore.
HEGEL 797
2
Citerò cosi i Briefe von und an Hegel, Hamburg, Meiner, 1952-54.
798 FILOSOFIA MODERNA
3
Die ]ugendgeschichte Hegels, cit., p. 9.
Si veda J. RITTER, Hegel e la Rivoluzione francese, trad. it. Napoli, Morano, 1970.
HEGEL 799
' Vertrauliche Briefe iiber das vormalige Staatsrechtiche Verhiiltnis des Wadtlandes
(pays de Vaud) zur Stadt Bern aus dem franzosischen... iibersetzt und mit Anmerkungen
vershen. L'opera fu pubblicata anonima a Francoforte nel 1798, ritrovata e identificata
da H. Falkenheim in un articolo dei « Preussiche Jahrbiicher » del 1909, pp. 194-210
e ripubblicata solo in parte (solo le note) da J. Hoffmeister nei Dokumente zu Hegels
Entwicklung. Se ne possono trovare notizie in F. RosENZWEIG, Hegel und der Staat,
Miinchen, Oldemburg, 1920 (ristampa anastatica, Aalen, Scientia Verlag, 1962), pp.
47-54 e in M. Rossr, Hegel e lo Stato, cit., pp. 203 ss.
Lo scritto sulle condizioni interne del Wiirttemberg rimase manoscritto ed è an
dato perduto: le poche pagine rimaste sono pubblicate nelle Schriften zur Politik und
Rechtsphilosophie hrsg. von A. Lasson, Leipzig, Meiner, 1923 e tradotte da Plebe
nel volume G. G. F. HEGEL, Scritti politici, Bari, Laterza, 1961.
800 FILOSOFIA MODERNA
13 Si noti l'equivalenza stabilita qui tra positività e oggettività. " Oggettività " è
il nuovo termine che viene da Schelling.
810 FILOSOFIA MODERNA
1
• Traduzione italiana in Scritti politici 1798-1806, cit.
816 FILOSOFIA MODERNA
6. Il « Sistema dell'eticità»
" Le origini della logica hegeliana (Hegel a ]ena), Milano, Feltrinelli, 1961, p. 22.
0
'Differenz des Fichteschen und Schellingschen System der Philosopbie, in HEGEL,
Erste Druckschriften (abbreviato E.D.) hrsg. von. G. Lasson, Leipzig, Meiner, 1928,
pp. 1-113.
820 FILOSOFIA MODERNA
8. Fede e sapere
21
In Erste Druckschriften, cit., pp. 223-346.
82?. FILOSOFIA MODERNA
'" Per esempio, fino a chepunto la Fenomenologia può essere considerata come
introduzione e dove il discorso
prende la mano a Hegel e diventa opera a se stante?
O. POGGELER in due ottimi studi: Zur Deutung der
Questo e altri problemi tratta
Phiinomenologie des Geistes, in
Hegel-Studien I, Bonn, Bouvier, 1961, pp. 255-294, e
Die Komposition der Phiinomenologie des Geistes, in Hegel-Studien, Beiheft 3 (1966),
pp. 27-74.
HEGEL 825
1 O. Coscienza e autocoscienza
La prima parte della Fenomenologia è dedicata alla « coscien
za». « Coscienza», in questo senso preciso (non nel senso am
pio nel quale indica il soggetto della Fenomenologia in tutte le sue
figure) è quel momento in cui si crede che l'oggetto del sapere stia
di fronte al sapere, indipendentemente da esso: così nella certezza
" O piuttosto con l'interpretazione che egli dà della « filosofia critica », termine
col quale egli indica la filosofia kantiana.
HEGEL 827
11. La ragione
« La ragione è la certezza che la coscienza ha di essere ogni
realtà» (Fen., I, p. 194). Questa definizione della ragione è ripe
tuta più volte nella Fenomenologia, nella quale si aggiunge che
nella certezza della coscienza di essere ogni realtà consiste l'ideali
smo. L'idealismo è infatti l'affermazione che tutto è coscienza
(troveremo nella Logica un'altra definizione dell'idealismo). Ma
c'è idealismo e idealismo: c'è l'idealismo come lo intende Hegel,
secondo il quale la coscienza arriva a quella certezza, e vi arri
va dialetticamente, passando per varie negazioni, e c'è l'ideali
smo che comincia con quella certezza, l'idealismo di Fichte, al
quale Hegel rivolge la critica fondamentale che già conosciamo
dalla Differenza. Alle critiche a Fichte si alternano quelle a Kant,
e anche qui è ripresa quella già presente nella Differenza ( e che
ritroveremo nella Logica): l'identità di coscienza e realtà, sogget
to e oggetto, è per Kant solo parziale.
Se l'identità fra coscienza e realtà non deve essere affermata
all'inizio, ma conquistata, bisogna seguire il cammino della co
scienza che si fa ragione. Ora la coscienza comincia col cercarsi
nella natura, o piuttosto, col cercare di identificare a sé la na
tura, e non ci riesce. I molti tentativi che la coscienza fa per ri
trovarsi nella natura costituiscono la lunga sezione A del quinto
capitolo, intitolata « La ragione che osserva», sezione che contie
ne una filosofia della natura, dalla natura inorganica alla vita
e alle espressioni esteriori della vita psichica.
Poiché la coscienza non si ritrova nella natura osservandola,
o, che è lo stesso, poiché la ragione non si attua come ragione
che contempla, la ragione cerca di attuarsi da sé, nell'attività
pratica. La sezione B del V capitolo è intitolata: « L'attuazio
ne dell'autocoscienza razionale per se stessa» e contiene alcune
delle pagine più efficaci della Fenomenologia. All'inizio di que
sta sezione, come fa spesso, Hegel anticipa con una rapida pennel
lata quello che dirà poi non solo in questa sezione, ma anche nel
capitolo sesto: l'autocoscienza cerca prima di realizzarsi come in
dividuo ( e saranno le pagine su « Il piacere e la necessità» che
descrivono l'atteggiamento faustiano, riprendendo talora espres
sioni dell'Urfaust di Goethe); « ma poi, elevandosi ... all'univer
salità, quest'individuo diviene ragione universale... e che nella
830 FILOSOFIA MODERNA
12. Lo spirito
" Nelle Lezioni sulla filosofia della storia Hegel parla anche del mondo orientale,
ma le sue meditazioni filosofiche, come si è visto negli scritti giovanili, sono partite
dalla considerazione della Grecia antica.
HEGEL 831
21•;.
Ph. G. sta per: Vorlesungen uber die Philosophie der Weltgeschichte, a cura di
G. Lasson, Leipzig, Meiner 1923. La traduzione è mia. La traduzione italiana cit., edita
da La Nuova Italia, oorta in margine il numero della pagina dell'edizione tedesca; non
sarà quindi cliffici.le ritrovare nella traduzione italiana i passi citati.
21 Allusione a Polinice che ha combattuto contro la polis, il cui cadavere riceve
sepoltura da Antigone.
832 FILOSOFIA MODERNA
31 E sono espressioni che non denotano certo simpatia. Nonostante tutti gli sforzi
di J. Ritter per dimostrare che « H_egel ha sempre detto sl alla Rivoluzione francese;
non c'è niente di meno equivocabile di questa affermazione» (Hegel e la Rivoluzione
francese, trad, it. Napoli, Guida, 1970, p. 28); sembra a chi scrive che, dopo il 1796,
Hegel abbia sempre espresso il suo dissenso dagli ideali della Rivoluzione francese:
caratteristica, fra molti altri testi, l'Anmerkung al paragrafo 539 dell'Enciclopedia.
Certo Hegel ne ha riconosciuto la necessità, come riconosce la necessità di ogni
fatto storico - del mondo ebraico dell'Antico. Testamento, del cristianesimo medieva
le -, ma anche la Rivoluzione francese, come i due momenti storici citati, rappre
senta il momento dell'antitesi, della negazione, che è necessaria al progresso, ma nella
quale non ci. si può fermare.
31 Travolgimento, traduce De Negri.
" Il tedesco ha due parole diverse per indicare la coscienza morale (Gewissen) e
HEGEL 835
soluto non sono forze naturali, ma fìgure umane: tali sono le di
vinità greche. La rappresentazione religiosa è strettamente legata
con la concezione etica del popolo greco: è la concezione in cui
l'uomo ha coscienza di sé come superiore alla natura, ma non co
me soggetto infinito: l'individuo ha coscienza di sé come inserito
in un popolo che gli assegna determinati compiti e gli toglie i pro
blemi. Hegel parla quindi di una« assoluta levità», di una gioia sen
za limiti - e questa si rillette nelle divinità greche. - Hegel ve
de un progresso nella rappresentazione artistica della divinità: la
forma più legata alla natura è la rappresentazione plastica della
divinità, la scultura; gli dei greci sono inizialmente le figu re scol
pite dagli artisti, ma la statua deve essere animata, il dio deve avere
la favella: nascono così l'inno e l'oracolo. Alla manifestazione del
dio, l'uomo risponde col culto 35, che culmina col sacrificio. Ma quan
do compie questi riti, (Hegel parla specialmente del culto di Ce
rere e di Bacco) l'uomo, preso dall'entusiasmo, balbetta soltanto;
bisogna invece che il Dio si esprima chiaramente, e ciò avviene nella
poesia epica e, in forma più alta, nella tragedia. Nella tragedia i
molteplici dei, ancora dispersi nell'epos omerico, si raccolgono in
tre forme essenziali: Zeus, « forza del focolare e spirito della pie
tà familiare, nonché forza universale dello Stato e del governo »,
Febo, il dio della luce, il dio che sa e si esprime nell'oracolo,
e le Erinni, divinità tenebrose; chi domina, poi, è « l'immota uni.
tà del destino» (Fen., II, p. 247). La terza forma di religione è
la religione rivelata 36 (offenbare ), che si realizza nel cristiane
simo. Nella fede cristiana l'assoluto, che già la religione greca
concepiva come spirito, è presente come autocoscienza, come un
uomo reale, che il credente può vedere, sentire udire. È la dot
trina dell'Incarnazione, del diventar uomo di Dio (Menschwerdung
des gottlichen Wesens ), quella che Hegel apprezza specialmente nel
cristianesimo. Il contenuto di questa dottrina è altamente filoso
fico, ma la comunità cristiana lo pensa nella forma della rappresen
tazione, cioè come riferito ad un uomo esistito in un determinato
" NeJle Lezioni sulla filosofia della religione il culto sarà visto come un momento
essenziale della religione in quanto tale, e precisamente come il momento in cui l'uomo
non si limita a contemplare, ma fa, risponde al Dio con azioni.
36
Non nel senso teologico, ma nel senso di religione manifesta, in cui « lo spirito
è chiaro a se stesso », come si dice neJle Lezioni sulla filosofia della religione trad. it.
I, p. 127. De Negri traduce: « religione disvelata ».
838 FILOSOFIA MODERNA
tempo, nel passato. Così avviene anche della dottrina della Trini
tà: la generazione del Verbo esprime un movimento dialettico nella
divinità, esprime l'assoluto come spirito; ma la comunità cristia
na se la rappresenta come rapporto di padre a figlio. Analoghe os
servazioni fa Hegel a proposito della creazione, del peccato origi
nale, della redenzione.
« Quel che resta ancora da fare [ nel cammino della coscienza ver
so il sapere assoluto] è solo il superamento di questa mera forma
[della rappresentazione] » (Fen., Il, p. 287) per arrivare al con
cetto, al sapere assoluto. Nell'introduzione a quest'ultimo breve� ca
pitolo della Fenomenologia, Hegel ripercorre un po' le tappe del
cammino; traccia anche, in modo estremamente rapido (ibid., pp.
300-301) e per allusioni, uno schizzo della- storia della filosofia da
Cartesio a Schelling, e dà un cenno, assai interessante, ma molto
rapido, della dottrina del tempo. A proposito della successione
delle figure passate in rassegna dalla Fenomenologia, Hegel dice:
« Il tempo è il concetto medesimo che c'è (da ist) e si presenta al
la coscienza come intuizione vuota; perciò lo spirito appare neces
sariamente nel tempo, ed appare nel tempo finché non coglie il suo
concetto puro, vale a dire finché non elimina il tempo. Il tempo
è il puro Sé esteriore ed intuito; è un Sé non attinto ancora dal
concetto; quando questo attinge se medesimo, supera la sua forma
temporale... » (Fen., II, p. 298). Vien fatto di pensare alla conce
zione kantiana del tempo come forma della sensibilità: c'è di co
mune il concetto del tempo come modo di apparire del reale; ma il
reale che appare, per Hegel, è lo spirito stesso che non ha rag
giunto la piena consapevolezza di sé; e lo stesso apparire ha un
significato diverso da quello che ha in Kant: non è dovuto alla
limitatezza del nostro conoscere, ma è un momento necessario del
divenire dello spirito. Forse potremmo dire: è il modo in cui lo
spirito appare a sé nella storia, mentre il sapere assoluto, la
-filosofia, è la coscienza intemporale di ciò che lo spirito è nella
storia 38•
37 E si capisce, poiché sarà compito del sistema di filosofia svolgere questo sapere:
qui si tratta solo di darne un'idea.
" La Prefazione alla Fenomenologia è stata scritta dopo l'opera e segna, come si
è detto, il distacco da Schelling. I punti fondamentali della Prefazione mi sembrano
questi: 1) la filosofia deve essere esposta scientificamente, per concetti, ossia deve
giustificare le sue affermazioni, non procedere per intuizioni; 2) deve cogliere i prin-
HEGEL 839
LA LOGICA
cipi più generali, non raccogliere sotto l'etichetta filosofica una quantità di materiali
riguardanti la natura (elettricità, magnetismo ecc.); 3) deve rispettare le differenze del
reale, non vederle solo come espressione di un assoluto indifferenziato (la famosa notte
in cui tutte le vacche sono nere); 4) Il vero (la realtà fondamentale) « non è sostanza
ma soggetto» (p. 19), ossia realtà che diviene, attività che, divenendo, si differenzia.
pur rimanendo se stessa: « è la mediazione del divenir altro da sé con se stesso»
(p. 20). Questo divenir altro è la negatività, l'alienazione. Il vero (inteso come vero
essere) deve sopportare « il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo►>, che è con
dizione del suo arricchirsi. 5) L'assoluto non va concepito come inizio, ma come ri
sultato (p. 21 ).
" Da qui in avanti citerò sempre la Scienza della logica in questa traduzione, in
dicando solo il numero della pagina. Non avverto le - rare - volte in cui modifi
cherò la traduzione.
-840 FILOSOFIA MODERNA
15. L'essere
cie di grigiore, ma che sono momenti del divenire: sono quella« in
quietudine di incompatibili » che è il movimento, che è l'essere di
ciò che non era e il non essere di ciò che era. È . l'astrazione
quella che fissa i momenti del divenire, ne fa delle entità, e sic
come questi momenti sorgono e scompaiono, fissa anche lo scompari
re e lo ipostatizza nel nulla. Ma se l'essere fosse solo essere, co
me diceva Parmenide, fosse solo unica e immutabile sostanza, co
me diceva Spinoza, non si spiegherebbero il divenire e il finito.
Hegel stesso ci dice che l'essere di cui egli parla è l'essere co
si come lo concepiscono gli Eleati, sopra tutto Parmenide, e il
nulla corrisponde alla concezione buddistica: la verità dell'elea
tismo e del buddismo è la concezione eraclitea 42• La realtà ori
ginaria è il divenire, non l'atto puro: questa è l'affermazione
fondamentale espressa dalla prima triade della Logica hegelia
na 43•
Affermare che il reale non è l'essere indeterminato, ma l'esser
determinato è ribadire una volta di più che la realtà è contraddit
toria, è sintesi di essere e nulla, poiché la determinazione è ne
gazione. Hegel ripete volentieri la frase di Spinoza: omnis de
terminatio negatio. Le cose che ci sono 44, che si presentano al
la nostra esperienza, hanno un aspetto positivo, per cui possono
dirsi essere, e un aspetto negativo, per cui sono questo e non al
tro (un albero è una realtà positiva, ma il suo essere albero im
plica che esso non sia una pietra): il loro aspetto positivo è la
qualità, l'aspetto negativo è il limite: in quanto il reale ha una
qualità ed è determinato esso è qualcosa (Etwas), un ente. Il qual
cosa è in rapporto con l'altro, ha non solo una determinatezza, ma
42
Spesso le categorie della Logica hegeliana corrispondono alle filosofie storica
mente esistite. Lo dice Hegel stesso nella Introduzione alle Lezioni sulla storia della
filosofia (trad. it. voi. I, p. 41): « ... la successione dei sistemi filosofici �he si mani
festa nella storia è identica alla successione che si ha nella deduzione logica delle de
terminazioni concettuali dell'Idea». Come la trama della Fenomenologia, che ha per
oggetto la coscienza concreta, è offerta dalla storia vissuta, cosl la trama della Logica
è offerta dai sistemi filosofici affermatisi nella storia.
43
Le categorie e sottocategorie della Logica hegeliana sono numerosissime: ricor
deremo qui solo quelle che ci sembrano più significative. La Logica si divide in tre
grandi parti: essere, essenza, concetto. Le categorie dell'essere sono: qualità, quan
tità, misura.
44
Hegel chiama Dasein (esserci) l'esser determinato. « Dasein ist bestimmtes Sein •
(Wiss., der Logik. p. 95, trad. it. p. 102).
844 FILOSOFIA MODERNA
" L'uno è uno dei modi dell'esser per sé, che corrisponde all'atomo della conce
zione atomistica, come fa pensare ciò che Hegel dice nelle Lezioni sulla storia della
filosofia ( trad. it. I, p. 333). Talora però Hegel parla dell'esser per sé come se si trat
tasse non dell'atomo, ma dell'unità della coscienza.
" Hegel dedica ampio spazio alla categoria della quantità, più che alla categoria
della qualità. N. Hartmann (La filosofia dell'idealismo tedesco, cit., pp. 431 ss) ritiene
che la trattazione hegeliana sulla quantità, che secondo lui è la prima_ filosotia . delJa
matematica che prende in esame il calcolo infinitesimale, abbia un grande valore.
Confesso che sono più vicina all'opinione di J. N. Findlay (Hegel oggi, cit., p. 174)
il quale dice che molto spesso l'esposizione sulla quantità ci guadagna a essere igno
rata, e quindi mi limito ai cenni dati sopra. Un matematico da me consultato, il prof.
C. Melzi, dopo aver letto le pagine sul calcolo infinitesimale, fu ammirato della cill
tura di Hegel che, disse, dimostra di conoscere tutte le trattazioni dei suoi tempi,
ma altrettanto stupito delle interpretazioni fantasiose che Hegel dà delle teorie· mate- ·
matiche.
846 FILOSOFIA MODERNA
16. L'essenza
to, che si dispiega nei suoi attributi e nei suoi modi. Anche que
sta terminologia (attributo, modo) è tipicamente spinoziana; il
termine « assoluto » non è però di Spinoza, ma di Schelling, che a
Spinoza si era ispirato, specie in una fase della sua :filosofia,
e il discorso sull'assoluto sembra riferirsi a uno Spinoza visto
attraverso Schelling. Ora uno dei problemi fondamentali, sia di
Spinoza sia di Schelling, è quello sul modo in cui il mondo procede
da Dio: necessariamente o liberamente? Hegel è quindi condotto a
trattare delle categorie della modalità: possibile, attuale, contin
gente, necessario. La realtà è l'attuarsi di una possibilità e la
possibilità è già in sé qualcosa. L'attuarsi di un possibile (di ciò
che poteva essere o non essere) è il contingente (Zufallig), e il con
tingente per un verso non ha in sé una ragion d'essere (altri
menti sarebbe necessariamente), per l'altro verso ha una ragion
d'essere, perché è. « Quest'assoluta inquietudine del divenire di
queste due determinazioni [ essere e poter essere] è la contin
genza » (p. 615). Quello che è assolutamente necessario, invece�
« è soltanto perché è; non ha nessun'altra condizione o ragion
d'essere » (p. 623 ); non rimanda quindi ad altro, non è media
to da altro, e in questo senso Hegel può dire che la necessità as
soluta è necessità cieca (ibid. ). Il che vuol dire: c'è mediazione,
spiegazione, intelligibilità solo quando una cosa è spiegata da
un'altra; intelligibile è solo il reale nella sua totalità: una tota
lità intesa come tessuto di enti diversi. Come, se ricordiamo la
dialettica di finito-infinito, ogni cosa è infinita solo in quanto
nega la sua finitezza e trapassa in altro, cosl ogni cosa è neces
saria solo in rapporto ad altre, e solo cosl è intelligibile. Questo
mi sembra il significato della frase: « Quest'essenza [in sé ne
cessaria] ha orrore della luce » (p. 624 ): cioè un'essenza in sé
necessaria sarebbe inintelligibile. Affinché entri la luce nel massic
cio e opaco necessario, bisogna che in esso si introduca la nega
zione, e la negazione porta la distinzione e il rapporto. Il rap
porto può essere di sostanza e accidente, di causa ed effetto, di
azione reciproca (sono le tre categorie kantiane della relazione,
ma qui, nella logica hegeliana hanno una importanza ben minore
che nella Critica kantiana).
850 FILOSOFIA MODERNA
17. Il concetto
Si arriva cosi alla logica del concetto.
Il passaggio dall'essenza in generale al concetto s1 capisce
bene nella prospettiva hegeliana, poiché l'essenza è « la verità
dell'essere», cioè il vero essere, il fondamento; ora il fondamen
to, la ragion d'essere, è il concetto. « Essere ed essenza sono i
momenti del suo [ del concetto] farsi, ed esso è la loro base e ve
rità [ ... ]. Cosi il concetto è la verità della sostanza» (pp. 651 e
652). Bisogna però vedere che cosa Hegel intenda per concetto. Non
si tratta infatti di un concetto che viva in uno spirito, in una
mens; non si tratta del concetto come attività spirituale, poiché
lo spirito non è ancora sorto; si tratta del concetto come intel
ligibilità in generale. Potremmo pensare al l6gos degli stoici. He
gel ci rimanda all'Io trascendentale kantiano, all'Io penso della
deduzione trascendentale, che è la pura attività unificatrice del
dato, quella che costituisce l'oggetto come oggetto, ossia come
intelligibile. « Appartiene alle vedute più profonde e giuste che
si trovino nella Critica della ragion pura, che quell'unità, la qua
le costituisce l'essenza del concetto, sia stata riconosciuta come
l'unità originariamente sintetica dell'appercezione, come unità del
l'Io penso o dell'autocoscienza. Questa proposizione costituisce
la cosiddetta deduzione trascendentale delle categorie» (p. 659).
E come, in Kant, l'intelletto che costituisce l'oggetto presuppo
ne le intuizioni, cosi, dice Hegel, nella logica il concetto pre
suppone l'essere e l'essenza; ossia: quello che si realizza co
me essere e come essenza si fa poi intelligibilità, concetto. E pro
prio perché la realtà è concetto, ossia è intelligibile, ci può es
sere verità. Hegel difende infatti la definizione tradizionale del
la verità come coincidenza della conoscenza col suo oggetto. Ora,
poiché vi è questa coincidenza, si possono ritrovare nell'ogget
to le determinazioni dell'intelletto: concetto (in senso stretto),
giudizio, sillogismo, dei quali tratta la prima sezione della logica
del concetto (Soggettività).
Il concetto è ciò che l'intelletto coglie ed esprime (l'intel
letto è la facoltà dei concetti): è l'intelligibile. Come concet
to puro, puro intelligibile, è universale; ma il concetto deve de
terminarsi, deve essere l'intelligibilità di questo e di quello, e
perciò farsi particolare e individuo. Il giudizio esprime la coinci-
HEGEL 851
18. La natura
52
Da qui in avanti indicherò solo il numero del paragrafo della Enciclopedia. La
abbreviazione Anm. (Anmerkung) vuol dire che il passo si trova nella annotazione
di Hegel stesso (la parte in carattere più piccolo).
HEGEL 853
giunta al suo esser per sé» (§ 381), cioè l'idea pienamente attuata,
l'idea che ha preso coscienza di sé. Si è detto che tutto è idea, per
Hegel, il che vuol dire: tutto è intelligibile; ma l'intelligibilità del
reale non è data di colpo: si attua progressivamente(e dialetticamen
te, attraverso negazioni) e la sua più alta attuazione è lo spirito, la
realtà che è non solo intelligibile, ma intelligente. È questa, del
resto, una tesi antica: anche per Aristotele le forme pure(pienamen
te attuali) sono intelligenti, e così per Plotino: l'intelligibile e l'in
telligente coincidono. Ma, si diceva, la caratteristica di Hegel
è di concepire lo spirito non come atto puro, ma come divenire e
risultato del divenire. Già nel Sistema dell'eticità e alle soglie
della sezione « Autocoscienza » della Fenomenologia si è visto che
lo spirito sorge dalla vita, si afferma prima come bisogno, impul
so e poi diventa chiara coscienza di sé; così nell'Enciclopedia lo
spirito soggettivo si attua prima come anima o spirito naturale,
cioè anima come principio animatore, ed è oggetto dell'antropolo
gia; poi come coscienza, ed è oggetto della fenomenologia; infine co
me spirito in senso preciso, ed è oggetto della psicologia.
Lo spirito soggettivo nel suo primo momento, come anima, non
è quello che più interessa Hegel, infatti le osservazioni più carat
terizzanti in proposito, che si trovano nelle Annotazioni, si rife
riscono quasi sempre a momenti ulteriori della vita spirituale.
Cosi l'affermazione che il problema dei rapporti fra anima e
corpo è un problema mal posto, perché presuppone che anima e cor
po siano due cose separate(§ 389); l'affermazione che« la relazione
sessuale raggiunge nella famiglia il suo significato e la sua deter
minazione spirituale e morale » (§ 397); la superiorità del pen
siero sul sentimento (§ 400). A proposito dell'« anima senziente »
Hegel ci dà una fenomenologia di certi stati inconsapevoli o semi
consapevoli dello spirito. Un grado superiore dello spirito è la
coscienza. Nella sezione « fenomenologia » Hegel ripercorre breve
mente le figure principali delle quali ha parlato nella Fenomenolo
gia dello spirito - fino alla« Ragione » -, ma senza quei riferimen
ti alla storia dell'umanità che le rendono così concrete 53•
" La parte che nella Fenomenologia dello spzrzto tratta de « La ragione che os
serva » è stata qui svolta (modificata) nella filosofia della natura; il contenuto del ca
pitolo su « Lo spirito» nell'opera del 1807, sarà svolto nello spirito oggettivo, quello
dei cap:tcli sulla relig'one e il sapere assoluto nello spirito assoluto.
856 FILOSOFIA MODERNA
54 Questi " prima " e " poi " non vanno mai intesi in senso cronologico, ma in
senso logico; prima è ciò che è presupposto.
HEGEL 857
55 È questo uno dei punti nei quali la filosofia di Hegel può dar luogo a due
diverse interpretazioni: lo spirito assoluto è il manifestarsi all'uomo di una realtà tra
scendente, che è oltre la storia, o si risolve anch'esso nella storia? Arte, , religione e
filosofia vivono nella storia (Hegel le ha considerate cosi nelle sue lezioni) ma esauri
scono nella storia la loro vita o sono la manifestazione all'uomo di un assoluto che
è oltre la storia? Nella risposta a questa domanda divergono la sinistra e la destra
hegeliana.
858 FILOSOFIA MODERNA
adegua a ciò che prescrive la ragione, ossia alla legge; anzi He
gel identifica libertà e legge (ibid.). Si capisce quindi che la
libertà si realizzi nel diritto. Il termine ' diritto ' ha in Hegel
un significato ampio e un significato ristretto; in senso ampio è
coestensivo a ' spirito oggettivo ' ( e cosl è inteso da Hegel nei
Lineamenti di filosofia del diritto); in senso stretto è il primo
momento dello spirito oggettivo, è il diritto astratto, al quale
si oppone come antitesi la moralità, e che sarà inverato nell' eti
cità come sintesi.
La filosofia del diritto ha per oggetto l'idea del diritto (Filos.
del dir., § 1 ); il che non vuol dire che essa debba commisurare le
leggi a un diritto ideale, al diritto naturale secondo la concezione
illuministica, accettata anche da Kant e da Fichte, ma che deve
scoprire la razionalità del diritto vigente, di ciò che è 56• « Del
resto, su ciò che è diritto, eticità, Stato, la verità è tanto antica
quanto manifesta e nota nelle pubbliche leggi, nella pubblica mo
rale e religione. Di che ha mai bisogno questa verità [ ... ] se
non che la si comprenda e si dia forma razionale al contenuto che è
già razionale in se stesso, affinché questo appaia giustificato per il
pensiero libero, che non può arrestarsi al dato... ? » (Filos. del dir.,
pp. 5-6) �. Si ammette infatti, osserva Hegel, che la natura sia come
deve essere, sia razionale, rifletta una divina ragione; perché dunque
non si dovrebbe ammettere la medesima cosa nel mondo dello spi
rito? Negare che nel mondo dello spirito, ossia nella storia, tutto
sia come deve essere vuol dire cadere in una specie di « ateismo mo
rale », cioè negare che Dio sia presente nel mondo dello spirito. E
Hegel conclude con la famosa frase: « Ciò che è razionale è reale, e
ciò che è reale è razionale» (Filos. del dir., p. 15). Si capisce quindi
che per lui la filosofia del diritto non abbia altro compito che quello
di comprendere, ossia di giustificare razionalmente, ciò che è.
Il diritto astratto è l'insieme dei rapporti esteriori fra indi
vidui che costituiscono una comunità; nel diritto astratto l'indi
viduo è persona, che per Hegel vuol dire soggetto capace di pro-
.,. Hegel però polemizza altrettanto vivacemente contro la Scuola storica del di
ritto (Hugo, Savigny), che è l'antitesi del giusnaturalismo. Cft. N. BoBBIO, Hegel e
il giusnaturalismo, in « Rivista di Filosofia» 57 (1966), pp. 379-407.
" Citerò cosl i Lineamenti di filosofia del diritto, traduz. italiana cit. Talora mo
difico la traduzione.
HEGEL 859
21. La storia
nella politica quello che Kant teorizzò nella morale: la libertà, ma col
medesimo errore: il formalismo. Se questo non generò in Germania
la rivoluzione fu perché ivi la Riforma aveva già trovato la concilia
zione fra particolare e universale e aveva insegnato che la volontà
universale è la volontà dello Stato, al di sopra della quale non vi
è nulla; « dove domina la libertà della Chiesa evangelica, ivi è tran
quillità» (Ph. G., p. 928).
Dalla Rivoluzione francese, dalla sua concezione della libertà,
nacque il liberalismo, del quale Hegel ha pochissima stima; egli ve
de invece attuato il suo ideale politico nella monarchia prusssiana.
23. La religione
63
Cito cosl le Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di E. Oberti e G. Bor
ruso. Non avverto quando modifico la traduzione.
HEGEL 869
64
Indico con Ph. R. le Vorlesungen uber die Philosophie der Religion, hrsg. von
G. Lasson, Hamburg, Meiner, 1967 (ristampa dell'ediz. del 1927), nelle parti non
ancorn apparse nella traduzione italiana.
HEGEL 871
24. La filosofia
Premessa pag. 7
1 FRANCESCO BACONE » 11
1. Vita e opere - 2. La divisione delle scienze - 3. Il meto
do. Pars destruens - 4. Le due vie del sapere - 5. I ca
ratteri del vero sapere - 6. L'etica
II GALILEO » 31
Vita e opere: 1. Il periodo pisano - 2. A Padova - 3. I
processi - Il pensiero: 4. Galileo filosofo - 5. Un nuovo
concetto di scienza
III R. CARTESIO » 65
1. La vita - Il metodo: 2. L'evidenza - 3. Analisi e sintesi -
4. Mathesis universalis - 5. Enumerazione completa - LA
concezione della realtà: 6. Concezione meccanicistica del
mondo corporeo e concezione spiritualistica dell'uomo -
7. Il dubbio - 8. Il cogito. Cogito cartesiano e cogito ago
stiniano - 9. Che cosa sono io - 10. Il criterio di verità -
11. L'esistenza di Dio. Primo argomento - 12. Esistenza
di Dio. Secondo e terzo argomento - 13. L'errore - 14. La
prova a priori dell'esistenza di Dio - 15. L'esistenza dei
corpi - 16. La cosmologia. Concetti generali: sostanza,
attributo, modo - 17. L'estensione come essenza dei corpi -
18. Il moto - 19. La formazione del cosmo - 20. L'uo
mo - 21. Le passioni - 22. La morale provvisoria - 23.
Conclusione
876 INDICE
VI B. PASCAL . » 161
1. Vita e opere - 2. Stoicismo e scetticismo - 3. Il potere
della ragione - 4. I limiti della ragione - 5. A Dio non si
arriva con la ragione - 6. Il cuore - 7. Il «pari» - 8.
L'analisi dell'uomo
XI J. LOCKE » 261
1. Cenni biografici - 2. Le idee - 3. Il giudizio - 4. La ve
rità - 5. Le proposizioni generali - 6. Le leggi fisiche -
7. Esistenza dei corpi - 8. Esistenza di Dio - 9. L'etica -
10. Le dottrine politiche
INDICE 877
xx I. KANT » 611
1. Vita e opere - La filosofia teoretica: 2. La preparazione
alla Critica. I primi scritti - 3. Metafisica e fisica negli
scritti del 1755-56 - 4. La critica alla metafisica negli scrit
ti del 1762-66 - 5. La Dissertazione del 1770. Sensibi
lità e intelletto, tempo e spazio - 6. La lettera a M. Herz
e il problema della « Critica della ragione pura» - 7. I giu
dizi sintetici a priori - 8. La deduzione trascendentale delle
categorie e la soluzione del problema - 9. I principi della
ragion pura - 10. Lo schematismo - 11. La dialettica tra
scendentale - 12. I paralogismi - 13. Le antinomie - 14. La
soluzione delle antinomie. La terza antinomia - 15. L'ideale
della ragion pura - 16. Uso costitutivo e uso regolativo
delle idee - 17. I «Prolegomeni» - Morale, diritto, reli
gione: 18. L'etica negli scritti precritici - 19. L'etica della
maturità - 20. La « Critica della ragione pratica» - 21. Mo
rale e diritto - 22. La storia come progressiva affermazione
della ragione - 23. La religione - La finalità nell'arte e nel
la natura: 24. Il problema della « Critica del giudizio » -
25. Il giudizio estetico - 26. Il giudizio teleologico