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Dall’aprile 1921 all’agosto 1924, Aby Warburg, il geniale inventore di una nuova scienza delle

immagini, fu ricoverato a Kreuzlingen nella casa di cura diretta da Ludwig Binswanger, lo psichiatra
che doveva rinnovare profondamente l’approccio al problema della malattia mentale. Finora, di
questi tre anni decisivi, tanto per la biografia di Warburg che per quella di Binswanger, non si sapeva
altro se non che Warburg aveva provato a un certo punto la sua guarigione, tenendo ai pazienti della
clinica la celebre conferenza sul Rituale del serpente. Questo libro pubblica in prima mondiale non
soltanto la cartella clinica che Binswanger redasse giornalmente sullo stato del suo straordinario
paziente, ma anche i testi autobiografici di Warburg relativi al soggiorno a Kreuzlingen e l’epistolario
fra i due autori, che stabilirono un importante scambio intellettuale all’insegna dell’idea e
dell’esperienza di una «guarigione infinita». Una testimonianza eccezionale sull’incontro fra due
grandi protagonisti della cultura del Novecento.
Ludwig Binswanger nasce a Kreuzlingen, in Svizzera, il 13 aprile 1881. Si laurea all’Università di
Zurigo nel 1907. Studia con Carl Jung che, sempre nel 1907, lo presenta a Sigmund Freud. Nel 1911,
diventa direttore della clinica psichiatrica Bellevue. Nei primi anni Venti si avvicina alla filosofia di
Husserl, Heidegger e Buber e comincia a lavorare alla prospettiva di una terapia esistenziale, lontana
dall’ortodossia freudiana. L’essenza di questa terapia è, per Binswanger, la relazione tra paziente e
terapista, l’aprirsi incondizionato dell’uno all’altro.

Aby Warburg nacque ad Amburgo il 13 giugno del 1866. Nel 1886 si trasferì a Bonn per studiare
storia dell’arte, archeologia e filosofia. Nel 1982 si laureò con una dissertazione su Botticelli. Nel
1913 fu tra i promotori del Congresso Internazionale di Storia dell’Arte che si svolse a Roma. In
quella occasione, tenne una conferenza sugli affreschi di Palazzo Schifanoia che è ritenuta il
battesimo dell’Iconologia. Il 26 ottobre 1929, Aby Warburg morì. Le sue opere sono in corso di
pubblicazione presso l’Akademie Verlag di Berlino. Disponibili in italiano sono i saggi raccolti con il
titolo La rinascita del paganesimo antico, la conferenza sul Rituale del serpente, l’atlante
Mnemosyne, l’epistolario con Ernst Cassirer e l’importante biografia di Warburg scritta da Ernst
Gombrich.
collana diretta da
Giorgio Agamben
Ludwig Binswanger
Aby Warburg

La guarigione infinita
Storia clinica di Aby Warburg

a cura di Davide Stimilli

traduzione di Chantal Marazia


e Davide Stimilli

NERI POZZA EDITORE


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Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo eBook può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma tramite alcun
mezzo senza il preventivo permesso scritto dell’editore.
Il file è siglato digitalmente, risulta quindi rintracciabile per ogni utilizzo illegittimo.

I edizione eBook 2015-11

Collana LA QUARTA PROSA

ISBN 978-88-545-1192-7

La traduzione dei testi di Aby Warburg è a cura di Davide Stimilli

La traduzione dei testi di Ludwig Binswanger è a cura di Chantal Marazia

Per un’antropologia fenomenologica © Enrico Filippini

Per le immagini qui riprodotte l’editore si riserva di riconoscere


i diritti ai proprietari che non è stato possibile rintracciare

© 2005 Neri Pozza Editore, Vicenza


www.neripozza.it
La tintura di Warburg

di Davide Stimilli

On guérit comme on se console.

LA BRUYÈRE

Quando Emil Kraepelin, la massima autorità dell’epoca in materia


psichiatrica, arriva a Kreuzlingen il 4 febbraio 1923, la prognosi di Aby
Warburg è ancora «assolutamente sfavorevole [durchaus ungünstig]»1,
come l’aveva dichiarata il professor Berger2, dalle cui cure a Jena il
paziente era stato trasferito alla clinica Bellevue di Ludwig Binswanger il
16 aprile 19213. Nel riferire sul caso al collega, Berger aveva escluso la
possibilità di «una restitutio ad integrum per un uomo di cinquantaquattro
anni», se anche si fossero manifestate «certe remissioni», e aveva dunque
deciso che il partito migliore fosse liberarsi di un paziente incurabile, che
poteva solo disturbare la quiete altrui con le sue grida incessanti. Dopo aver
avuto in osservazione Warburg per quasi sei mesi, Binswanger sembra non
aver dubbi e condividere in toto il parere di Berger, che ripete quasi alla
lettera nel riferire a sua volta sul caso a Freud:
Io credo che nel corso del tempo l’eccitazione psicomotoria continuerà lentamente a diminuire, ma
non credo che sarà possibile un ripristino della condizione quo ante la psicosi acuta e una ripresa
dell’attività scientifica
ribadendo che
è davvero un peccato che presumibilmente non potrà più far uso del suo gigantesco patrimonio di
conoscenze e della sua immensa biblioteca4.

Col passare del tempo, questo quadro clinico subirà solo minime
modifiche5: da un lato, come dichiara in una lettera a Mary Warburg il 10
marzo 1922, Binswanger attingerà, dalla graduale ripresa della capacità di
lavoro di Aby, «una certa fiducia che Suo marito possa essere riportato di
nuovo a un lavoro sistematico»6; dall’altro rimarrà convinto che, «in
considerazione dell’alto livello di disturbo che ha subito la fonction du réel,
per dirla con Janet, ogni nuovo e improvviso scontro con la realtà abbia
ogni volta da capo effetti catastrofici»7. Ogni cenno di miglioramento è
quindi fatalmente esposto al repentino rovesciamento nel suo contrario, e le
dichiarazioni di ottimismo sembrano piuttosto volte a tranquillizzare i
familiari che esprimere la reale convinzione del medico.
Così, all’inizio di dicembre 1923, Binswanger aveva constatato un
«miglioramento [Besserung]» del paziente e proposto addirittura di
anticipare la programmata conferenza sul viaggio in America, nella
speranza di ottenere in tal modo «una diversione [Ablenkung]»8. Ma la
situazione era cambiata rapidamente e, appena una settimana dopo, lo
stesso Binswanger aveva suggerito di posporre alla fine di gennaio la
prevista visita di Fritz Saxl, che doveva coadiuvare Warburg nella
preparazione dell’evento9. Il 29 gennaio, tuttavia, il cugino e collega Kurt
Binswanger, inquietante alter ego di Ludwig10, riferisce al medico di
fiducia della famiglia Warburg, Heinrich Embden, che il paziente sta ancora
attraversando «una pessima fase», e la cartella clinica giustifica
ampiamente la cautela dei medici curanti11. È forse proprio a causa di
questa nuova delusione che la famiglia decide, drammaticamente e ad
insaputa di Binswanger, di rivolgersi a Kraepelin. Due giorni dopo, infatti,
il primo febbraio, in una lettera al fratello Max Warburg, Binswanger
esprime il suo beneplacito a che Aby venga esaminato da Kraepelin. La
consultazione avviene dunque su richiesta della famiglia e non di
Binswanger, come si è sostenuto12. La prova definitiva, se ve ne fosse
bisogno, viene fornita da un’altra lettera a Freud, che contiene un implicito
riferimento a Warburg, finora passato inosservato. È una lettera rivelatrice
dell’insicurezza di Binswanger, ed anche della sua ambivalenza nei
confronti del paziente13, e getta una luce particolarmente interessante su
questo momento critico nella storia della degenza di Warburg.
Binswanger scrive di aver sognato all’inizio dell’anno di aver invitato
Freud per una consultazione, un «pio desiderio» che
trovò nella realtà al risveglio solo una ragione sufficiente, e cioè che il paziente in merito era ben
dotato di valuta straniera, mentre purtroppo mancavano le altre condizioni (età, tipo di psicosi).

Ma la realtà doveva prendersi giuoco «in modo ancor più grottesco» del
suo sogno, continua Binswanger, «perché la famiglia, come ho appreso oggi
[e cioè il 31 gennaio, data della lettera], ha pregato Kraepelin, che al
momento si trova in Svizzera, di esaminare il paziente»14. Invece del
benignamente paterno Freud, il rivale Kraepelin, per il quale Binswanger
chiaramente non nutriva all’epoca particolare simpatia, tutt’al più timore
reverenziale. Il desiderio di Binswanger si avvererà poi in modo trionfale,
anche se indubbiamente in ritardo15, quando, divenuto presidente della
Società Psichiatrica Svizzera, potrà proporre l’elezione di Freud a membro
onorario proprio in sostituzione dell’appena defunto Kraepelin, morto il 7
ottobre 192616.

Nel momento in cui Kraepelin fa la sua comparsa sulla scena, dunque,


Aby Warburg è ricoverato da quasi due anni nella clinica Bellevue, tra alti e
bassi. Ma sin dal novembre 1918, quando aveva minacciato di uccidere i
familiari e se stesso con una rivoltella ed era stato costretto per la prima
volta al ricovero, la situazione di Warburg era apparsa senza via d’uscita,
tanto che si era pensato a prendere provvedimenti per la Biblioteca in
considerazione di un’assenza «la cui durata non si può ancora prevedere»17.
La chiamata di Kraepelin, in questi frangenti, era forse dovuta, oltre che alla
sua fama internazionale, al motivo più contingente del suo recente successo
nel trattamento di un familiare: egli aveva infatti liberato James Loeb,
cognato di Paul Warburg, fratello di Aby, dai suoi attacchi di epilessia18,
tanto che Loeb ne era divenuto il mecenate19 (anche se un altro fratello di
Aby, Fritz, accuserà Kraepelin di aver estinto l’intelligenza di James)20.
Invocato dalla famiglia, l’apparizione di Kraepelin sulla scena equivale
indubbiamente a una dichiarazione di sfiducia, almeno temporanea, nei
confronti dei metodi adottati da Binswanger. La diagnosi era fino a quel
momento, irrevocabilmente, schizofrenia. Così Warburg era stato etichettato
nella cartella clinica al suo arrivo a Kreuzlingen21. La diagnosi di Kraepelin
è invece: «Stato misto maniaco-depressivo [manisch-depressiver
Mischzustand]», e la sua prognosi, che rovescia così letteralmente quella di
Berger da esserne quasi la parodia intenzionale, lascia finalmente entrare
uno spiraglio di luce nella camera oscura del futuro di Warburg: «con
relativa prognosi assolutamente favorevole [Prognose entsprechend,
durchaus günstig]», anche se una immediata dimissione non viene
raccomandata, «proprio perché si tratta di un caso acuto e l’uscita precoce
rallenterebbe soltanto il processo di guarigione [Heilungsprozess]»22. La
differenza è essenziale, se si considera che il nome di schizofrenia era stato
riservato da Bleuler per designare appunto tutte quelle malattie mentali,
«dal corso ora cronico ora a poussées, le quali ad ogni stadio possono
arrestarsi o regredire, ma non consentono mai una completa restitutio ad
integrum»23. È dunque Kraepelin il primo a vedere nella condizione di
Warburg una condizione non irreversibile.
Binswanger riferisce a Embden già il 5 febbraio la nuova diagnosi, con la
quale esprime molto diplomaticamente il suo disaccordo:
Può immaginare che questo votum fosse anche per noi di straordinario valore e interesse. Se io non
posso naturalmente negare lo studente di Bleuler in me e mi attengo alla mia diagnosi, mi lascio
tuttavia influenzare volentieri dalla lungimiranza di Kraepelin in merito alla prognosi. Ho
sottolineato, già nel riferirgli sul caso, la componente maniaca del caso e, interrogato sul merito
della prognosi, risposto che ritengo molto probabile un ulteriore miglioramento [eine weitere
Besserung], ma non saprei dire se il paziente potrebbe esperire una completa guarigione [eine
völlige Genesung]. Kraepelin sembra invece più ottimista, alla luce del rapido decrescere della
corrente agitazione, senza peraltro essersi impegnato per una data precisa. Sulla base delle
concezioni cliniche di Kraepelin capisco bene la sua diagnosi. D’altronde Kraepelin chiama
nevrosi ossessiva ciò che io ho posto in rilievo come costituzione schizoide nel nostro paziente24.

Informatone a sua volta, Berger esprimerà più apertamente il suo


scetticismo nei confronti della diagnosi di Kraepelin: «Non si possono
gettare casi del genere nel grande calderone della sindrome maniaco-
depressiva [in der grossen Topf des manisch-depressiven Irreseins]»25. Dal
canto suo, nonostante il responso a lui favorevole, Warburg non sembra
aver particolarmente gradito l’atteggiamento personale di Kraepelin nei
suoi confronti. In una lettera del 16 dicembre 1926, condividerà
l’ammirazione per l’insigne studioso manifestata da Binswanger nel
commemorarne l’ancora recente scomparsa, ma non potrà reprimere la sua
ironia, che qui si esprime in termini iperbolici, per «il piglio» da questi
dimostrato nel trattare i pazienti, qualificato di «una grossolanità obotrita»,
nientemeno che barbarica26. E certo Warburg avrà trovato sorprendente,
anche senza eccepire apertamente, che Binswanger citasse, forse per la
prima volta in pubblico27, il suo più celebre motto proprio a proposito di
Kraepelin: «Conosco pochi per cui valga più che per lui il motto, tra il serio
e il faceto, di uno dei miei amici: Der liebe Gott steckt im Detail»28.
Anni più tardi le obiezioni e i dubbi di Binswanger sembrano scomparsi,
e la guarigione di Warburg, provata irreversibile dalla morte, sembra aver
confermato ai suoi occhi la giustezza del verdetto di Kraepelin. Nella sua
discussione del Caso Ellen West, Binswanger rivela implicitamente (un
altro riferimento al suo celebre paziente che non si è fino ad ora notato) che
si trattava di una parente di Warburg, il quale
era affetto da uno stato misto maniaco-depressivo durato cinque anni e che si risolse in una
completa guarigione; già diagnosticato come delirio presenile di nocumento29, per lungo tempo io
pensai che si trattasse di schizofrenia, ma poi venne a ragione riconosciuto da Kraepelin appunto
come uno stato misto maniaco-depressivo30.

E nella prefazione a Mania e malinconia Binswanger dichiarerà la


«determinazione concettuale e l’esposizione della condizione maniaco-
depressiva da parte di Kraepelin» come «ancora oggi inoppugnabile ai miei
occhi»31. Ironicamente, proprio in occasione del centenario della nascita di
Kraepelin, il 1956, Binswanger riceverà la Goldene-Kraepelin-Medaille, la
più alta onorificenza internazionale nel campo della psichiatria, voluta e
ideata dallo stesso James Loeb come monumento aere perennius al suo
benefattore32.

Prima di affidarsi alle cure di Kraepelin, anche Loeb era stato paziente a
Jena, ma di Otto Binswanger, zio di Ludwig, che aveva avuto in cura anche
il fratello di Aby, Fritz. Nella stessa clinica psichiatrica, ancor più
significativamente, era stato in precedenza ricoverato Nietzsche33, una
circostanza che certo Warburg non poteva ignorare. Lo stesso Ludwig
Binswanger vi aveva passato un anno (1907-1908) come assistente, dopo
l’anno trascorso alla clinica Burghölzli di Zurigo come assistente di Bleuler
e dottorando di Jung. Nel necrologio da lui scritto per il suo predecessore34,
Berger sottolinea come, dopo un iniziale «scetticismo», condiviso del resto
da buona parte della sua generazione di psichiatri, nei confronti del concetto
kraepeliniano di dementia praecox, Otto si fosse tuttavia gradualmente
convinto della giustezza della teoria e avesse riconosciuto «senza riserve
[…] i grandi meriti acquisiti da Kraepelin al servizio della psichiatria
clinica»35; una parabola analoga, come si è visto, a quella percorsa una
generazione più tardi dal nipote. Dopo il suo pensionamento nel 1919, Otto
si era trasferito a Kreuzlingen, e vi aveva svolto quella funzione di
consigliere dell’ancor giovane e inesperto Ludwig, che lo vediamo
esercitare anche nel caso di Warburg, almeno inizialmente. È probabile che
l’ostilità di Warburg nei suoi confronti, che lo indusse a chiedere al fratello
Max di intervenire perché ogni contatto con l’anziano psichiatra gli fosse
risparmiato36, sia dovuta alla sua implicita correità nell’esito infausto del
caso Nietzsche. Ed è indubbio, come rivelano alcuni indizi contenuti nei
documenti qui pubblicati, che Warburg abbia sperimentato la sua discesa
nell’«inferno di Kreuzlingen»37 come una ripetizione di quell’ancor recente
tragedia e abbia temuto di condividere fino in fondo il destino del filosofo,
cui avrebbe, non a caso, dedicato uno dei suoi primi seminari dopo il ritorno
ad Amburgo38. Così Warburg si inquieta per il suggerimento di Berger che
la moglie rientri ad Amburgo via Naumburg39, e crede che gli venga
diagnosticata una paralisi progressiva, com’era stato appunto il caso di
Nietzsche40. Un ritratto del Nietzsche malato di Hans Olde, «appeso bene in
vista alla parete della sua stanza», accompagnerà, secondo la testimonianza
di Carl Georg Heise, gli ultimi anni della sua vita, il fecondo periodo che
Warburg chiamerà la sua «messe di fieno durante il temporale»41:
«Vede», mi disse, «questo disegno modesto, tracciato con un po’ di timore, è artisticamente forse
molto meno significativo della nota incisione da esso virtuosamente ricavata, ma solo questo
disegno è un documento – so quel che dico»42.

Il disegno a carboncino, che impressionò già tanto Henry van de Velde


quando lo vide nella stanza principale dell’Archivio Nietzsche, dov’era
appeso dal 190043, supplisce, in particolare, a quello che Fritz Schumacher,
l’amico architetto e autore dell’iscrizione MNHMOSYNH sull’ingresso della
Biblioteca Warburg44, aveva denunciato come un limite dell’incisione di
Olde, l’assenza delle mani di Nietzsche, «che facevano l’effetto di esseri
viventi»45; o forse è la presenza della finestra, che permette allo sguardo
almeno di intuire l’ultimo orizzonte46, a conferire al disegno il suo valore di
documento, agli occhi di Warburg. In ogni caso, è inequivocabile la sua
identificazione con il filosofo che aveva posto con tale urgenza la questione
del «rapporto di salute e filosofia»: «Per uno psicologo poche questioni
sono così allettanti», aveva scritto Nietzsche nella prefazione a La gaia
scienza, «e nel caso che lui stesso si ammali, porta con sé, nella malattia,
tutta la sua curiosità scientifica»47. Certo Warburg farà tesoro della lezione
che Nietzsche aveva travestito, in quello stesso testo, nella forma
dell’apologo:
«È vero che il buon Dio è presente in ogni luogo?» chiese una bambina a sua madre: «ma io trovo
che questo non sta bene» – un avvertimento per i filosofi! Si dovrebbe onorare maggiormente il
pudore con cui la natura si è nascosta sotto enigmi e variopinte incertezze48.

«Il buon Dio è nascosto nel dettaglio», sarà la risposta di Warburg alla
bambina, e il suo modo velato di onorare, allo stesso tempo, l’avvertimento
e la memoria di Nietzsche.

Oltre ai suoi contributi teorici e ai suoi successi terapeutici, a Kraepelin


va anche riconosciuto il merito di avere iniziato, all’epoca del suo
insegnamento a Heidelberg49, quella raccolta di opere d’arte di malati
mentali che è ora divenuta celebre come Collezione Prinzhorn, dal nome di
colui che l’avrebbe trasformata in una collezione sistematica. Binswanger
aveva conosciuto Hans Prinzhorn e visionato la raccolta il 13 settembre
1920, di ritorno dal sesto Congresso internazionale di Psicoanalisi tenutosi
in Olanda, e ne aveva riportato «un’impressione sconvolgente», secondo
un’annotazione del suo diario50. Un anno dopo, Binswanger scriverà a
Freud, raccomandandogli il giovane studioso, che aveva nel frattempo
avuto modo di conoscere più da vicino grazie alle sue ripetute visite a
Kreuzlingen, e che descrive come «una mente fresca, non appesantita da
pregiudizi di sorta, molto ricettiva, anche se non molto profonda, una natura
d’artista con forte desiderio d’indipendenza e grande resistenza
all’autorità»51. Prinzhorn presenterà una conferenza di lì a poco, il 12
ottobre 1921, di fronte alla Wiener Psychoanalytische Vereinigung, che
Freud considererà «alquanto interessante», anche se l’oratore si era tenuto
«alla larga dall’analisi», e descriverà come «buona» l’impressione
personale che ne aveva ricavato52. Nella stessa lettera in cui riferisce a
Binswanger sulla visita di Prinzhorn, Freud richiede informazioni su
Warburg. È forse solo una coincidenza, ma è possibile che sia stato proprio
Prinzhorn a rivelare a Freud la presenza di Warburg a Kreuzlingen, perché
Prinzhorn ne aveva appena fatto la conoscenza e, come testimonia la
cartella clinica, aveva discusso con lui «in maniera molto approfondita e
obiettiva di simbologia [Symbolik]»53. La sua visita a Warburg il 17 agosto
1921 certo non avvenne a sorpresa, ma fu anzi probabilmente calcolata da
Binswanger per sortire effetti positivi, secondo una strategia collaudata,
impegnando il paziente in una discussione su argomenti a lui vicini.
Da allora in poi, Warburg sembra aver nutrito una certa stima per
Prinzhorn, che si esprimerà anche in seguito nella sua ammirazione per
«l’intelligente libro» su Nietzsche, Nietzsche e il XX secolo54. Quando, il 10
agosto 1922, gli capiterà tra le mani Bildnerei der Geisteskranken55, molto
probabilmente anche in questo caso grazie ai buoni auspici di Binswanger,
Warburg lo sfoglierà «con molto interesse», ma retrospettivamente
concluderà che il libro «sarebbe stato fatto apposta per lui»56. Ed è difficile
immaginare come il suo incipit, che pronuncia un verdetto senza appello su
persone nella sua condizione, potesse evitare di irritarlo: «Si tratta
esclusivamente di opere di pazienti reclusi in istituti di cura, dunque di
uomini della cui malattia mentale non è possibile dubitare»57.
In una sua opera tarda, Le tre forme di esistenza mancata, Binswanger
propone una definizione di guarigione che, paradossalmente, parafrasa
quella di uno stile pittorico: la definizione del manierismo contenuta nel
saggio di Wilhelm Pinder Sulla fisiognomica del manierismo58, raccolto
nella Festschrift curata per il sessantesimo compleanno di Ludwig Klages
proprio da Prinzhorn, suo fervente ammiratore. Anche nel caso della
guarigione, osserva Binswanger,
il problema centrale, la soluzione del quale coinvolge l’intero destino del singolo è, per parlare con
Pinder, questo: si tratta di vedere se è possibile rendere «la sfera patologica di vita» un «oggetto»,
di indurre in altre parole l’individualità malata a «vedere in trasparenza» la propria «sfera di vita
morbosa». La psichiatria definisce quest’operazione «presa di coscienza della malattia»
[Krankheiteinsicht]; quando l’operazione riesce il malato è «salvo»59.

Questo implica peraltro che il medico si arroghi la posizione autoriale


dalla quale soltanto, a parere di Pinder, può essere visto con simpatia Don
Chisciotte, la «simpatia di chi si è salvato»: «Fu superato appena fu visto
sulla base di una vita che aveva ritrovato la salute, visto e visto in
trasparenza»60. È dubbio che Warburg, nonostante la sua crescente «presa
di coscienza della malattia», abbia mai potuto corrispondere a questo ideale
di superamento. E probabilmente non lo avrebbe voluto: più fedele
all’insegnamento di Nietzsche, è solo nel momento della morte che Don
Chisciotte può semmai divenire uno che vede «con chiaroveggenza entro se
stesso»61.

Prima che il ritorno di Warburg ad Amburgo possa infine avvenire, lo


stesso Kraepelin dovrà tornare di nuovo a Kreuzlingen. La seconda
consultazione avviene il 9 aprile 1924, il giorno prima della visita di Ernst
Cassirer, che secondo Warburg rappresenta una tappa altrettanto importante
della conferenza sul Rituale del serpente nel suo processo di
autoliberazione62, e Kraepelin constaterà in quell’occasione un ulteriore
«miglioramento [Besserung]»63. Ma questa categoria non è usata nel suo
senso ordinario, puramente descrittivo, da Kraepelin e dai suoi colleghi: è
un terminus technicus del vocabolario psichiatrico da lui creato quasi dal
nulla. Nella nosografia canonica di Kraepelin, che vede nella differenza di
esito il criterio cruciale per la classificazione delle malattie nervose – e
proprio perciò richiama inevitabilmente la tassonomia di esiti del processo
che il pittore Titorelli illustra a Josef K., allorché questi lo visita nelle
soffitte della cancelleria del Tribunale64 – il «miglioramento» è appunto uno
degli esiti possibili (dei quali si contano ben nove)65, ma la sua apparente
benignità è subito negata dal suo sinistro sinonimo, la «guarigione con
difetto» («die “Besserung” oder “Heilung mit Defekt”»)66. E come
l’assoluzione apparente e la dilazione – le alternative che Titorelli prospetta
a K. – non possono però mai sfociare, per definizione, in assoluzioni reali, e
quindi lasciano l’imputato comunque esposto alla inevitabile condanna,
anche la guarigione con difetto non equivale mai a una guarigione tout
court, ma rimane, per definizione, incompleta:
Il convalescente pensa correttamente dal punto di vista formale e dimostra anche una certa presa di
coscienza della malattia [Krankheiteinsicht], ma non è più quello che era; ci ha rimesso una parte
della sua personalità […] La vivacità e la freschezza spirituale, la profondità affettiva, la capacità
di agire in maniera autonoma sono andate irrimediabilmente perdute67.

Bleuler concorderà che «chi riesce di nuovo a muoversi da solo fuori


dell’istituzione è in un certo senso guarito»; ma,
scientificamente parlando, non può essere considerato guarito perché il concetto di guarigione
implica una netta restitutio ad integrum allo stato quo ante. D’altra parte si sa che le ferite
guariscono con cicatrici. In questo senso si parla anche di amputazione guarita. Però la cicatrice
che disturba la funzione è un difetto. L’amputazione guarita corrisponde alla «guarigione con
difetto» della nostra psicopatologia68.

Con la sua intenzionale vaghezza, la «guarigione con difetto» sembra


quasi fuori posto in un manuale di psichiatria, la si direbbe piuttosto una
categoria poetica, come l’«amore con gelosia» di Saba69, o il «timore senza
colpa» di Camões70: il difetto è l’ombra che accompagna ovunque il
paziente in congedo e colora il suo ritorno di toni elegiaci, piuttosto che
epici. A questa condizione crepuscolare probabilmente allude Binswanger
in una lettera all’amico risanato, allora in visita a Roma, in cui si augura,
pur in maniera lusinghiera, di poter «godere della luce riflessa dalla Sua
ombra», e sottolinea che «questo modo di dire non è un lapsus linguae!»71.
A dispetto di quelli che Freud chiama «fenomeni residuali»72, è
comunque innegabile che la storia clinica di Warburg sia una storia a lieto
fine, e che la sua guarigione abbia davvero qualcosa di miracoloso, come se
l’invocazione della Minerva Medica che conclude la grande lettera a
Wilamowitz del 23 aprile 1924 avesse veramente sortito l’effetto sperato:
Se Lei parla su Zeus, egregio Professore, voglio pensare che deporrà in tal modo un ramo d’olivo
sull’altare della Minerva Memor, così che ella invii un Perseo a liberare l’incatenato di
Kreuzlingen e questi possa portare, di ritorno a casa, un’offerta in ringraziamento alla Minerva
Medica73.

E Warburg accentuerà volentieri l’aspetto perturbante, non interamente


domesticabile, nel senso etimologico del tedesco unheimlich, del suo
ritorno, definendosi appunto un revenant74. Nell’epistolario che intercorse
tra i due dopo il ritorno ad Amburgo, è chiaramente percepibile la
gratitudine da parte di Warburg per la «simpatia» a lui dimostrata dal
medico per lunghi anni, alla quale egli riconosce di dovere in larga parte
l’insperato «congedo alla normalità [Beurlaubung zur Normalität]», e
l’ammirazione di Binswanger, dal canto suo, per l’antico paziente ormai
non più solamente «congedato alla normalità», ma «definitivamente
dimesso [endgültig entlassen]»75. Max Warburg attribuisce il merito della
guarigione «in gran parte non solo al medico Binswanger, ma all’uomo
Binswanger e a sua moglie», a cui si deve se Aby poté addirittura «ritornare
in vita»76, ed è innegabile il «tatto terapeutico» che giustamente gli
riconosce Georges Didi-Huberman77. Come il primo interlocutore del
Dialogo in versi di Nietzsche, Warburg si sarebbe peraltro potuto
legittimamente domandare:
A. Ero malato? Sono guarito?
E chi è stato il mio medico?
Come ho dimenticato tutto questo!

E, come il secondo, avrebbe potuto interpretare quest’oblio come la più


sicura garanzia dell’avvenuta guarigione:
B. Ora soltanto ti credo guarito:
Giacché è sanato chi dimenticò78.

Nell’unica vera e propria biografia che di Warburg ci resti, sia pure


parziale, in mancanza di quelle ripetutamente promesse da coloro che gli
erano stati forse troppo vicini, l’unico scritto che sembra davvero mettere a
fuoco la personalità, non solo intellettuale, di Aby Warburg, Carl Georg
Heise critica i metodi praticati a Bellevue come «fuori moda
[altmodisch]»79, un’affermazione che provocherà la veemente reazione di
Binswanger a distanza di più di vent’anni dalla dimissione del paziente80.
Sarà peraltro difficile, dopo la lettura, finalmente integrale, dei documenti
che qui si presentano, non condividere la conclusione di Heise:
Se vedo bene, egli non si è dato troppo da fare, ha solo sorvegliato e cautamente promosso il
processo di autoguarigione [Prozeß der Selbstheilung]. E ha avuto ragione, anche se la perdita di
energie e tempo (sei anni interi) ci appare esageratamente grande81.

Quando Max Warburg gli chiederà nel 1934 se vi sia qualcosa


d’interessante nel suo archivio, in vista dell’eventuale pubblicazione di una
biografia, Binswanger sminuirà l’importanza dei documenti in suo
possesso; ma, d’altro canto, si riserverà il diritto di affrontare a tempo
debito la questione del passaggio dall’opera al delirio (e viceversa):
Io stesso mi sono chiesto già in occasioni precedenti se sarebbe d’interesse biografico che anche lo
psichiatra prendesse una volta la parola sulla malattia di Suo fratello, visto che in Suo fratello si
possono mostrare transizioni molto interessanti dalle sue vedute scientifiche a singole idee
deliranti. Ma mi sono sempre detto che è troppo presto perché Lei e la signora Mary si decidano a
lasciare che anche l’epoca della sua malattia sia inclusa in una biografia82.

Binswanger è quindi da un lato parzialmente responsabile del ritardo con


cui questi testi giungono alla pubblicazione, dall’altro è stato lui stesso il
primo a riconoscerne l’importanza. È giunto finalmente il momento di
consentire al lettore di farsi un’idea propria, anche se non ci si deve
attendere rivelazioni sensazionali, ma semmai la «presa di coscienza» della
quotidianità della malattia e dell’impercettibilità della guarigione. La loro
pubblicazione, al di là dell’interesse ovvio che rivestono come documento
unico di un rapporto medico-paziente eccezionale, è straordinaria
soprattutto perché in questo caso abbiamo la rara opportunità di leggere di
seguito «storia della malattia [Krankengeschichte]» e «storia della
guarigione [Heilungsgeschichte]», e di verificare la giustezza
dell’intuizione di Freud, che la seconda è non meno interessante della
prima83.

Nel cosiddetto Frammento Teologico-politico, un testo scritto nel mezzo


di quelle stesse convulsioni che fecero seguito alle «notti di
annichilazione»84 della Prima guerra mondiale e produssero il crollo
psichico di Warburg, Walter Benjamin asserisce che vi è uno «scopo», al
quale «l’ordine del profano», e dunque ogni essere umano in quanto
partecipe del mondo naturale, dovrebbe aspirare senza timore di incontrare
in esso il suo «termine», ma piuttosto il suo «tramonto» e la sua
conseguente «restitutio in integrum» – vale a dire, «l’idea della felicità»85.
Che anche nel caso a lieto fine di Warburg, i cui ultimi, insperati anni di vita
in libertà sono stati sicuramente i più felici, non si possa comunque parlare
di una restitutio ad integrum, almeno sul piano fisico, è provato da un
cambiamento, sul quale tutte le testimonianze concordano: quello sofferto
dalla sua voce. Modificazioni erano riconoscibili già prima del ricovero,
secondo Heise: «La sua voce era terribile: fioca per il troppo gridare, di
colpo s’alzava di tono, per poi sprofondare in un bisbigliare fiacco»86, e
quindi, dopo il ritorno, si rivelò «(e restò fino all’ultimo) più rotta che nei
giorni passati»87. Proprio in occasione della conferenza sul Rituale del
serpente, nonostante l’elogio per il dinamismo della presentazione,
Binswanger noterà la voce «rotta e poco chiara»88, probabilmente per
l’eccessivo gridare di quegli anni, al quale addebiterà anche la fuoriuscita,
così fastidiosa, dell’ernia89.
Eppure, ci vien detto, almeno nel momento finale della sua vita, Warburg
ritrovò la voce. Secondo la prima edizione delle memorie di Heise,
pubblicata a New York nel 1947, alla morte di Warburg assistono due
testimoni, le donne a lui più care negli ultimi anni: la moglie Mary e
Gertrud Bing, la collaboratrice conosciuta al ritorno da Kreuzlingen. Dopo
che la moglie si era ritirata nel suo atelier, al piano superiore, Warburg si
intrattiene con la Bing, quando
improvvisamente si volse di lato e chiamò con una voce che era alta e imperiosa come nei suoi
anni migliori: Mary! – E aveva esalato in modo così penetrante quest’ultima parola della sua vita,
che la moglie, volata di corsa per la paura, arrivò sulla scena ancora in tempo per vederlo
morire90.

Mary Warburg, «la madre dei suoi tre figli», e Gertrud Bing, «l’anima
che aveva reso felice e ringiovanito il suo spirito liberato», sono accanto a
lui nei suoi ultimi momenti.
È probabile che questa prima versione sia stata raccontata a Heise da
Mary Warburg, e che la Bing l’abbia poi corretta, o almeno così ci vuol far
credere l’introduzione alla seconda edizione, pubblicata ad Amburgo nel
195991: questa volta è lei ad udire il grido «Aby!», che Warburg nega
invece categoricamente di aver udito. Nonostante tutto, la Bing decide di
salire e verificare:
No, la signora Warburg non aveva chiamato, ma lei stessa mi ha poi raccontato di aver udito
chiaramente il grido «Mary!», anch’ella peraltro convinta della sua improbabilità92.

E, «nel breve intervallo», Warburg era morto. Nella seconda versione


della sua fine, Warburg muore dunque solo, e le due donne lo trovano già
cadavere al suolo. Nella prima, entrambe sono presenti al momento
supremo. Nella seconda, solo Mary ha udito gridare il suo nome, la Bing
rimane muta al riguardo.
È difficile non pensare che anche questa non sia, come quella del
Marlowe conradiano, una pia menzogna per nascondere la verità di
quell’«orrore», trasformando quello che era un «grido» in un nome, il nome
di Mary. Come il Bonconte dantesco (Purg., V, 101), Warburg finisce «nel
nome di Maria», con una implicita promessa di salvazione, uno scenario
altrettanto improbabile di una sua supposta conversione93. Non sappiamo se
Warburg abbia condiviso la «conoscenza completa» che il Kurtz morente
stava tentando di trasmettere con le sue ultime parole, quando «gridò in un
sussurro a una qualche immagine, una qualche visione […] un grido che era
non più che un respiro»94. E tuttavia, come il narratore della storia di
Conrad, anche il suo biografo si arroga il diritto di cambiare un grido in un
nome. Al cospetto della morte, le memorie di Heise cessano di essere una
fonte attendibile sulla vita di Warburg.
Heise è senz’altro più credibile quando è piu reticente. In una pagina di
genuina commozione e straordinaria efficacia, egli racconta come una sera
si trovassero ospiti a casa Warburg tanto la madre della pittrice Paula
Modersohn, quanto la contessa Kalckreuth, madre del poeta Wolf Graf
Kalckreuth – madri entrambe cui era toccata in sorte la «mostruosità»95 di
dover sopravvivere ai propri figli, a entrambi i quali, morti giovani, Rilke
aveva dedicato le due poesie del suo Requiem. Entrambe si lasciano
convincere a recitare i versi in memoria dei rispettivi figli. Ma mentre la
madre della Modersohn si accontenta di leggere, la contessa recita a
memoria, senza esitazioni, «come se si trattasse di una evocazione di
spiriti». Dopo declamazioni così diverse
c’era tanto silenzio, che si sarebbe sentita cadere una foglia. Quando Warburg seppe sciogliere la
tensione e, senza la minima forzatura, distolse l’attenzione dall’elemento personale e la riportò su
quello poetico, cogliendo l’esemplare unicità di questa lettura di madri [Mütter-Lesung], ma
riportandola alla sua giusta misura, le sue parole ebbero quasi la stessa risonanza della poesia.

Heise ne trae una conclusione generale in merito al rapporto di Warburg


con la parola, che val la pena citare per intero:
Quando Warburg era presente, la parola parlata diveniva quasi sempre un evento [Ereignis], e
costellazioni umane, che senza di lui non avrebbero potuto formarsi, assurgevano alla più feconda
efficacia96.

È sufficiente questa «discesa alle madri»97 per convincerci che Warburg


avrebbe saputo pronunciare, all’occorrenza, la parola dovuta.

Se «la malattia, è una convinzione»98, secondo la definizione di Zeno


Cosini (e la virgola aggiunge un elemento di esitazione che Svevo avrà
certamente voluto), lo è, e a maggior ragione, anche la guarigione. Questo
è, per lo meno, il modo in cui Warburg sembra aver inteso la sua fuga dagli
inferi. Warburg parla già di suoi «tentativi di autoliberazione» nella prima
lettera qui tradotta, datata 16 luglio 1921; e tre anni dopo, in una lettera del
16 aprile 1924 al fratello Max, presenta la sua imminente guarigione come
un’impresa degna del barone di Münchhausen:
Io sono fermamente convinto che dal 21 aprile 1923 (conferenza) alla visita di Cassirer il 10 aprile
1924 si manifesti una crescente forza endogena per la liberazione dal disturbo psichico [eine
aufsteigende Eigenkraft zur Befreiung aus seelischer Gestörtheit]. Per me l’occupazione con la
mia ricerca professionale è chiaramente un sintomo che la mia natura vuole ancora una volta tirarsi
fuori da questa palude da sé sola99.

Al suo medico di fiducia, Heinrich Embden, un’analisi del genere sarà


invece apparsa come un altro sintomo della ostinazione di Warburg, al
quale, già nel 1906, egli aveva rimproverato un tentativo di autoterapia
come puro «Talmud»100. Ma sarebbe errato sottovalutare le capacità di
Warburg, anche in un’area a lui apparentemente ignota. Almeno nel
dominio farmacologico, egli sembra aver avuto le idee chiare: «Symbol tut
wohl», il simbolo fa bene, è uno dei Warburghismi che il figlio Max ci ha
tramandato101. Questo è l’unico farmaco che si sia prescritto, ma sembra
esser stato di gran lunga più efficace dell’oppio o del laudano di Kraepelin.
Forse ancor più meritamente che al suo omonimo, inventore a metà
dell’Ottocento di quella Tinctura Warburgii102 che viaggiatori vittoriani, da
Sir Richard Burton103 a Francis Galton104, raccomandano più che ogni altro
rimedio contro la malaria, dopo aver letto la storia della miracolosa
guarigione di Aby Warburg, a lui s’addice l’ammirata esclamazione del
Romeo shakespeareano: «O true apothecary!»105.
HANS OLDE, Nietzsche, 1899, due fotografie, un’incisione e un disegno
Nota del Curatore

Nelle sue memorie, compilate ormai più di cinquant’anni fa, Carl Georg
Heise fu il primo a porre, come esigenza imprescindibile di una «biografia
definitiva» di Aby Warburg, lo studio esauriente degli anni della malattia,
anche perché la «lotta con i demoni» ingaggiata da Warburg si era conclusa
«con una vittoria così completa, e per di più contando solo sulle proprie
forze, quale certamente pochi altri possono vantarsi di aver conseguito»1.
Gertrud Bing, alla quale era passato il compito di redigere tale «biografia
definitiva» dopo la morte di Fritz Saxl – senza essere però stata, come
questi, testimone diretto dell’agone di Warburg – ottenne dalla famiglia e da
Binswanger il permesso di consultare il materiale custodito a Kreuzlingen,
permesso del quale beneficiò due volte2; ma possiamo solo speculare
sull’uso che ne avrebbe fatto. Ernst H. Gombrich, nella sua «biografia
intellettuale», decise programmaticamente di glissare su quegli anni3, sia
pure con un’ambivalenza che venne giustamente denunziata da Edgar
Wind4. Dieci anni fa, infine, lo psichiatra Karl Königseder ha fornito una
ricostruzione per sommi capi degli eventi sulla base degli atti conservati a
Tübingen, che non può però sopperire alla loro conoscenza diretta5. Grazie
alla generosità e alla lungimiranza della famiglia Warburg e degli eredi
Binswanger, siamo ora finalmente in grado di leggere senza mediazioni
questi materiali e di sottoporli all’esame critico che meritano. L’obiettivo
principale di questa edizione è, appunto, recare un contributo alla
conoscenza e allo studio di questo periodo in larga parte inesplorato della
vita di Aby Warburg, ma che sarebbe colpevole lasciare ancora all’oscuro, a
distanza di tanti anni dagli avvenimenti, come se vi fosse celato qualcosa di
inconfessabile.
Do ora brevemente notizia dei testi originali sui quali è stata condotta la
traduzione, tutti inediti, ad eccezione di due frammenti autobiografici da me
già tradotti e pubblicati6.
Gli atti relativi alla degenza di Aby Warburg a Kreuzlingen sono
conservati con la segnatura UAT 441/3782 nell’Archivio dell’Università di
Tübingen, dove sono stati depositati con l’intero Archivio Binswanger dagli
eredi, dopo la chiusura della clinica Bellevue nel 1980.
La storia clinica è dattiloscritta (con l’eccezione di poche annotazioni
scritte a mano e segnalate in nota) su otto fogli protocollo, con undici fogli
sciolti inseriti all’interno del primo, che è del tipo usato per i pazienti
appena ammessi. Sulla prima facciata sono riportati data d’arrivo e di
partenza, diagnosi (dapprima a penna schizofrenia, posta poi tra parentesi e
corretta a matita in stato misto maniaco-depressivo), dati anagrafici e
anamnesi dei familiari più stretti; sulla seconda e terza facciata i dati
ricavati dall’esame fisico del 26 aprile 1921. All’interno di questo primo
foglio protocollo sono inseriti: cinque tabelle, la prima, intestata Cura
d’oppio dal 6 febbraio 1923 al 18 marzo 1923, registra la quantità di gocce
di oppio (misto a rabarbaro) somministrate quotidianamente al paziente in
quel periodo, le quattro successive i risultati di esami del glucosio condotti
tra il 25 febbraio 1921 e il 29 luglio 1924; due fogli di istruzioni per la
divisione della giornata, corrispondenti a quella introdotta da Kurt
Binswanger il 13 maggio 1923; una lista di Cibi che il professor Warburg
non può mangiare; tre fogli di istruzioni più dettagliate per la divisione
della giornata, datati gennaio 1924. Sulla quarta facciata del primo foglio
protocollo comincia la storia clinica vera e propria, a partire dall’arrivo di
Warburg a Kreuzlingen il 16 aprile 1921, all’interno della quale sono
inseriti, sotto la rubrica Anamnesi, estratti da lettere di Hans Berger e
Heinrich Embden, che abbiamo tradotto nell’ordine in cui compaiono, così
come la vera e propria anamnesi di Embden, da lui scritta a penna su due
fogli protocollo. Non abbiamo invece incluso gli estratti dalla storia clinica
di Arnold Lienau, spesso frammentari al punto della telegrafia.
Attribuire il testo ad un unico autore, Ludwig Binswanger, è una
semplificazione, e non solo per la presenza di queste ampie citazioni: in
realtà la storia clinica è un lavoro collegiale, al quale, oltre a Ludwig, ha
contribuito soprattutto il cugino Kurt Binswanger, la cui statura autoriale è
esplicitamente riconosciuta. Ma altre due fonti, e forse le più cruciali,
vengono solo saltuariamente menzionate e mai investite dell’autorità che
loro spetta. Nella Marcia di Radetzky Joseph Roth evoca con nostalgia
mista a malizia «quella casa di cura sul lago di Costanza dove malati
mentali piuttosto viziati, di famiglia ricca, venivano provvidamente e
costosamente trattati e gli infermieri avevano la delicatezza delle
levatrici»7. Nel caso di Warburg, la celia di Roth acquista un’ulteriore
dimensione ironica: le infermiere che si prendono cura di Warburg sono le
vere levatrici della sua storia clinica, e la loro arte maieutica merita
senz’altro la riconoscenza del lettore. La prima, Frieda Hecht, che aveva
seguito Warburg a Kreuzlingen da Jena, accompagnata dalle lodi di Hans
Berger, cadrà in disgrazia e verrà poi licenziata da Binswanger al termine di
un curioso giuoco delle parti; la seconda, Lydia Kräuter, resterà fino
all’ultimo la strega custode di Warburg, se si può così tradurre il nomignolo
Schwexe, bonario ma inquietante, da lui affibbiatole. A loro si deve la
documentazione coscienziosa e dettagliata delle giornate e dei detti di
Warburg, che entrambe registrano quotidianamente, dalle sette del mattino
fino alle dieci di sera, in tre quaderni riempiti da capo a fondo di fitta
scrittura (UAT 441/3782, II.4). Solo la pubblicazione integrale di queste
testimonianze permetterà di stabilire fino a che punto il lavoro di
elaborazione e distillazione dei medici ne abbia rispettato il valore
documentario. Ai fini della traduzione, si è tenuto debito conto anche di
queste fonti, e si sono usate le loro annotazioni per riempire lacune o
verificare informazioni. Ma un lavoro più sistematico di collazione sarà
ovviamente da riservare per un’edizione, già in cantiere, dei testi in lingua
originale.
La sezione successiva raccoglie lettere e frammenti autobiografici, redatti
da Warburg tra il 16 luglio 1921 e il 16 aprile 1924, e conservati
nell’Archivio dell’Università di Tübingen con la segnatura UAT 441/3782,
II.5, ad eccezione di due importanti lettere, tratte invece dall’Archivio del
Warburg Institute. Scrivendo a Mary Warburg il 3 maggio 1921,
Binswanger la invita a porre in prospettiva le lamentele del marito nelle
lettere a lei indirizzate, «poiché le lettere rispecchiano sempre solo una
parte, e purtroppo proprio la più malata, del suo essere»8. È importante
tenere a mente questa avvertenza di Binswanger, quando si leggano tanto le
lettere quanto i frammenti qui raccolti, ma è parimenti importante aspirare a
una visione almeno bifocale degli eventi, che non privilegi il punto di vista
del medico a discapito di quello del paziente. Per complicare ulteriormente
la nostra immagine di quegli anni di Kreuzlingen, si traducono poi, con il
titolo Memoranda di Kreuzlingen, quelli che sono probabilmente estratti da
lettere, o appunti presi da Saxl in occasione di sue visite alla clinica
Bellevue. In seguito, probabilmente da lui stesso, o dalla Bing, questi brevi
testi vennero raccolti e copiati su un unico foglio, dattiloscritto da ambo i
lati, che si conserva ora nella corrispondenza di Saxl e Warburg
nell’Archivio del Warburg Institute9.
Della corrispondenza intervenuta tra Binswanger e Warburg dopo il
ritorno di quest’ultimo ad Amburgo, conservata anch’essa nell’Archivio
dell’Università di Tübingen con la segnatura UAT 443/31, ha dato una
descrizione dettagliata Ulrich Raulff10. Si traducono qui per intero solo le
lettere di maggior respiro, mentre delle altre si riportano in nota i passi
necessari alla comprensione del testo. Siamo fortunati che siano tutte
dattiloscritte, paradossalmente, ancor più che nel caso di Warburg, in quello
di Binswanger, di cui Freud lamenta a più riprese la scrittura illeggibile. La
corrispondenza testimonia di un rapporto sempre più paritario e
confidenziale tra i due, per il quale non è forse esagerato parlare di
amicizia.
Si ripubblica infine in appendice la traduzione di Enrico Filippini della
conferenza di Binswanger Sulla fenomenologia11, alla quale Warburg
presenziò il 21 novembre 1921 e che lo stimolò al punto da stilare una
risposta scritta, inclusa tra i documenti qui pubblicati. La lettura della
conferenza varrà a gettare la luce necessaria sul testo di Warburg, e
introdurrà il lettore, che ancora non lo conoscesse, all’aspetto più
genuinamente teorico dell’opera di Binswanger.

Ringrazio John Prag e la famiglia Warburg per avermi prima consentito


la consultazione di questo importante documento, ed ora la sua
pubblicazione, così come gli eredi Binswanger, il direttore dell’Archivio
dell’Università di Tübingen, Michael Wischnath, il direttore del Warburg
Institute, Charles Hope, Chantal Marazia, e infine Giorgio Agamben, per
aver anni fa suggerito ed ora accolto questo volume nella collana da lui
diretta.
Ludwig Binswanger

Storia clinica
1921

16 aprile
Il paziente arriva oggi in carrozza salone a Costanza con il professor
Berger1, l’infermiera Frieda Hecht2 e un impiegato dell’istituto bancario, e
attraversa il confine in automobile. È partito il 15 mattina da Jena, dopo
aver assunto 1 g di Trional3. È stato necessario costringerlo con la forza a
consegnare le chiavi della valigia. Durante le prime ore è relativamente
tranquillo. Verso sera l’agitazione cresce a tal punto che, dato che non
assume Medinal4, gli viene praticata un’iniezione di ioscina5. A Stoccarda
aveva fatto tanto chiasso che, soprattutto in considerazione dell’attuale
situazione politica, il professor Berger aveva ritenuto opportuno calmarlo.
Come aveva fatto anche in altre stazioni, gridava continuamente che si
stava perpetrando ai suoi danni un gravissimo errore giudiziario, che era
completamente innocente e che non aveva mai fatto nulla di male. A
Costanza non voleva salire né sul treno né sulla vettura, che già lo
aspettava, dato che pensava che sarebbe stato portato in prigione e non al
sanatorio.
All’arrivo è molto agitato, non si toglie il cappotto, non si siede.
Continua a chiedere se si trova in una prigione. Crede che i suoi bagagli gli
siano stati rubati. Inveisce contro il suo impiegato, contro il professor
Berger e contro l’infermiera. Sostiene che presto verrà giustiziato. Della sua
opera, che attualmente è in corso di stampa, sarebbe stata fatta carta da
macero, poiché si considererebbe lui un criminale. Qualcuno gli avrebbe
messo del veleno nel cibo e nelle valigie, e perciò vorrebbe essere
personalmente presente quando si disfano i bagagli. Le idee deliranti si
susseguono. È in uno stato costante di confusione mentale, è difficile da
stabilizzare, continua a saltare fuori della stanza. La mimica facciale non è
affatto così preoccupante, come in realtà si potrebbe dedurre dal contenuto
dei pensieri, ma è piuttosto vacua e leggermente tesa; lo sguardo scrutatore,
talvolta ha un sorriso malizioso o ironico. Fa subito mille domande, chiede
che cosa gli sia permesso, insiste energicamente sulle sue richieste, ma se le
dimentica piuttosto in fretta. Si preoccupa soprattutto di poter chiudere la
propria stanza, «Se non mi date una chiave, me ne vado», ma si accontenta
anche di un chiavistello. Poi prende subito il tè delle quattro, ma durante
tutto il pomeriggio è molto agitato; si aggira per tutto l’edificio, entrando
anche nelle camere altrui e rivolgendosi ai pazienti. Perciò dalla sua stanza
vengono tolte le maniglie delle porte che si aprono sul reparto.

Anamnesi
1. Estratto dalla lettera del professor Berger del 12 marzo 1921
all’autore del rapporto6
[…]7 Il professor Warburg, la cui cartella clinica dettagliata le giungerà
più tardi, è originariamente una personalità psicopatica, che ha sempre
manifestato una serie di idee ossessive e di atti compulsivi. Nel corso degli
anni, i processi patologici si sono sempre più acutizzati. Nel 1918 si è
improvvisamente manifestata una grave psicosi e, dopo un tentativo di
suicidio, il paziente è stato per lungo tempo internato nella clinica di
Lienau8 ad Amburgo. Dopo un soggiorno di alcuni mesi, il dottor Embden9
lo ha prelevato dalla clinica e lo ha accolto nella sua famiglia. Il dottor
Embden considerava il quadro clinico di Warburg come una sorta di follia
determinata da idee ossessive; e, all’epoca, mi chiese di venire ad Amburgo
per un consulto. Già allora ebbi l’impressione che la situazione del malato
fosse molto più grave di quanto emergesse dalle descrizioni di Embden; mi
feci comunque persuadere ad accogliere il paziente qui nella clinica privata.
Mi convinsi in fretta che era vero che le idee ossessive persistevano, ma che
nel quadro clinico si trovano in primo piano le idee deliranti di nocumento10
e di persecuzione. Di tanto in tanto si manifestano delle allucinazioni. Data
la situazione, avvalorata dal referto medico, sono dell’avviso che si tratti di
un classico delirio di nocumento presenile, come è stato descritto da
Kraepelin11. Ci sono momenti in cui apparentemente corregge le sue idee
deliranti; il giorno dopo, però, è di nuovo molto inquieto, pensa di venire
derubato, crede che le sue lettere vengano intercettate, che i suoi parenti si
trovino qui e siano maltrattati, che gli si metta del veleno nel cibo e molto
altro ancora. Potrà desumere i dettagli dalla cartella clinica. Considero la
prognosi assolutamente sfavorevole; anche se, naturalmente, possono
presentarsi certe remissioni, escludo una restitutio ad integrum per un uomo
di cinquantaquattro anni. A casa torturava la sua famiglia in maniera
irresponsabile, picchiava la moglie, e anche qui picchia l’infermiera che lo
assiste e che in realtà si prende amorevolmente cura di lui. Ogni tanto le sue
urla disturbano a tal punto che il suo allontanamento da qui diventa
necessario, dato che non posso far subire una tale situazione ai miei pazienti
[…] Desidera un proprio bagno e un proprio gabinetto […] Riguardo al
cibo è piuttosto esigente; mangia molto e bene. Bisogna tenere conto del
diabete che ha avuto in passato. Adesso non ci sono tracce di glucosio nelle
urine. Ha una leggera arteriosclerosi e sostiene di soffrire di gravi attacchi
di angina pectoris; si tratta però di una pseudoangina, che puntualmente si
manifesta anche quando non gli garba una qualsiasi prescrizione medica. –
Avrà difficoltà con questo paziente. In tempi migliori, era una persona
piacevole; tuttora si discute volentieri con lui. È anche capace di nascondere
agli estranei la sua grave alterazione psichica; in quanto, in loro presenza,
non parla delle sue numerose idee deliranti. Qui a Jena frequentava dei
professori, e la maggior parte di loro non si accorgeva minimamente di
avere a che fare con un malato così grave […]

2. Estratto dalla lettera del dottor Embden (Amburgo) del 23 ottobre


1920 al professor Berger
[…] Innanzitutto vorrei accennare brevemente alle idee deliranti di
nocumento, ecc.
Un’eccessiva irritabilità gli è sempre stata propria. In una semplice
divergenza di opinioni vedeva facilmente un attacco intenzionale alla
propria persona; entrava in forte agitazione, facendo di un fatto
insignificante una questione di principio incisiva e colossale; era
irrefrenabile nelle lamentele, nelle lagnanze, nei sospetti e nelle
denigrazioni, e la scelta dei testimoni delle sue espettorazioni era
relativamente casuale. Probabilmente in ciò rientra anche una tendenza a
cercare per ogni inezia un capro espiatorio.
Gravi manifestazioni patologiche sembrano essere emerse in maniera
piuttosto immediata nell’autunno del ’18, a causa delle impressioni
suscitate dal precipitare della nostra situazione. (Allora ero al fronte.) Come
già comunicato oralmente, egli credeva che una governante inglese e amica
di famiglia, rimasta durante i primi mesi della guerra ad Amburgo, fosse «il
capospia di Lloyd George» e che perciò lui, Warburg, sarebbe stato
considerato responsabile e punito per l’esito sfavorevole della guerra. Si
aspettava da un momento all’altro una catastrofe (arresto ecc.), e le
agitazioni inerenti a tale complesso portarono all’eclatante esordio della sua
psicosi manifesta – minacce alla famiglia con la pistola per risparmiarle,
tramite esecuzione, il peggio – e al successivo trasferimento in clinica. Qui
le sue vivissime allucinazioni assumevano quasi esclusivamente carattere di
pericolo imminente e di angoscia. Le voci si rivoltavano contro di lui e
contro la sua famiglia. Sentiva sparare a sua moglie e rispondeva con
estrema agitazione alle sue grida d’aiuto. Inoltre, rivelava idee deliranti di
nocumento di carattere fisico-chimico: paura dei metalli e degli oggetti
metallici, a causa dell’influenza elettrica; paura di essere avvelenato, poiché
l’acqua per il bagno conteneva del sublimato12. Teneva nel bagno
continuo13 costantemente le mani fuori dell’acqua per evitare effetti funesti
(nessuna postura catatonica)14; il visitatore non poteva toccare la vasca,
doveva sedersi al di fuori della pavimentazione metallica ecc. – L’ambiente
circostante, il medico e le infermiere venivano considerati ostili, senza
eccezioni. Percepiva in tutte le misure terapeutiche delle torture, spesso di
carattere grottesco. Secondo lui, il cibo veniva posto dalle infermiere su una
sedia, per evocare l’idea che fosse stato contaminato con il loro sangue
mestruale attraverso la sedia ecc. La clinica aveva impianti raffinati per
rendere possibile l’eliminazione delle persone. Ne risultava un estremo odio
nei confronti del medico e del personale. – Il mio timore che, una volta
tornato a casa, avrebbe esteso il fenomeno a tutto l’ambiente domestico, alla
famiglia e al medico ecc., si è verificato solo in parte. Mentre nella clinica
mangiava male, perché sosteneva che insieme al cibo gli venissero propinati
sperma, muco nasale e sangue, a casa si sentiva, momentaneamente, al
sicuro da simili pratiche estreme. Solo il personale domestico divenne e
restò (infermiere incluse) oggetto delle sue idee deliranti di nocumento. Qui
mi sembra di osservare, a tratti, tracce di un pensiero sistematico: «Questa
gente è tutta d’accordo». Ciò nonostante, queste idee si sono presto dissolte.
Invece, era sempre esageratamente diffidente nei confronti di tutti i
domestici. A tratti i sospetti venivano espressi con insicurezza, per esempio
in stato di esagerata eccitazione; tanto da giustificare la frequente domanda
del medico: «Warburg, non ci crederà veramente nemmeno Lei?» Durante i
primi mesi le sue risposte non erano dunque del tutto sicure; soltanto più
tardi sembrava esserne fermamente convinto. Le intenzioni imputate ai
nemici erano decisamente vaghe: vogliono soltanto «prendermi in giro»,
irritarmi, si divertono a farmi arrabbiare, vogliono stuzzicarmi ecc. Ogni
minimo evento domestico veniva interpretato in questo modo. Una macchia
su una posata o sul rasoio, una pietanza salata oppure effettivamente o solo
presumibilmente malriuscita. Le sue strane ossessioni simbolico-
superstiziose interferivano con tali avvenimenti. Una macchia, una posata
caduta a terra era «una cosa gravissima» (perché assumeva un significato
particolare riferibile di volta in volta alla moglie, al figlio, al medico, ecc.).
– A ciò si aggiunse poi la tendenza, in graduale aumento, a «improvvisare»
i sospetti; la tendenza a considerare rubati gli oggetti che non trovava più
ecc. La smentita spesso repentina di tali sospetti inauditi lo impressionava
poco. – Occasionalmente sviluppava terrore di persecuzioni; benché, in
genere, l’interpretazione del movimento antisemita contro la sua persona
avesse ora un ruolo soltanto marginale e non avesse comunque nulla di
sistematico. – Invece, considerava ogni necessario intervento energico da
parte del medico come «politica catastrofica intenzionale», o quantomeno
lo affermava. Proprio in questa sfera manca alle sue supposizioni la
tranquillità della vera convinzione; perciò tali congetture cadono subito in
oblio, nonostante la sua memoria sia altrimenti brillante. Anche da Jena
telegrafa parlando ora di «una doppia catastrofe premeditata riconducibile
alla collaborazione fra medico e infermiera», di «frecciate mirate» ecc.
L’identificazione di tali aspetti come delirio di nocumento presenile è
stata anche per noi evidente fin dall’inizio. Tuttavia non siamo mai giunti a
una conclusione certa. L’intelligenza sembra essere del tutto intatta;
l’arteriosclerosi sussiste.
Una diagnosi risulta molto difficile, dato il quadro clinico estremamente
vario, dal quale oggi ho estratto soltanto le idee di delirio di nocumento.
L’importante è in ogni caso la psicopatia15 innata con relativa tendenza a
idee e azioni ossessive. A un’osservazione accurata si ha spesso
l’impressione che i sospetti siano piuttosto secondari, soltanto un sostegno e
una giustificazione per il suo stile di vita dettato dalla coazione. Qualunque
cosa disturbi, oppure ostacoli le sue fobie e l’illimitata attività delle sue
cerimonie patologiche, gli è nemica. Essendo sotto la tirannia della sua
fissazione, solo lui è da temere come tiranno senza limiti con tutta la
diffidenza propria dei tiranni. Tutte le vessazioni, spesso raffinate, del suo
ambiente nascono dalla paura. Il definitivo lo spaventa, perché pone
obbligatoriamente fine a qualsiasi cosa, tranne che a quell’unica possibilità.
Una sua stessa proposta, sostenuta con passione, lo ripugna, nel momento in
cui viene trasformata in decisione.
La consapevolezza di questi meccanismi non gli manca. Tuttavia, egli
sembra fronteggiare alcune idee deliranti in maniera del tutto acritica. –
Spesso un solo complesso domina un determinato periodo: la paura
dell’ipertrofia della prostata, l’ipertensione, una stufa fumante, una capra
che abortisce, una cisterna dell’acqua difettosa – non importa. Se riscontra
in chi lo circonda dell’oggettività tranquilla e solida, allora il capitolo in
questione si chiude. Ma inesorabilmente ne comincia uno nuovo. In questo
momento la «lettera di credito» mi sembra la questione più importante.
Finora ho sempre avuto l’impressione che il reparto chiuso sarebbe stata
una scelta radicale. La soluzione migliore mi sembrerebbe Kreuzlingen,
dove potrebbe abitare una casetta tutta per sé, e dove la contenzione
necessaria potrebbe essere esercitata in maniera del tutto celata. Secondo
lui, è però troppo lontano.
Spero che Lei non perda il coraggio di continuare a farsi tormentare da
quest’uomo smisuratamente viziato.
Sono a conoscenza del suo comportamento in occasione della visita del
professor […]16. La stesura del diario è un’assoluta ossessione, egli la
esercita senza alcun riguardo per i visitatori; del resto, la lettura di questo
diario è molto istruttiva!
Conforti l’infermiera Frieda. Egli la definisce «troppo insolente», proprio
come descrive sua moglie. Deve abituarcisi.
Inoltre appartiene a quei casi per i quali la concezione di Adler del
carattere nervoso: «Io sono sopra, tu sotto» è calzante […]

3. Estratto della lettera del dottor Embden del 27 agosto 1920 al


professor Berger
Egregio Professore!
Posso permettermi di chiederLe se Lei è attualmente in grado di
accogliere il mio paziente, il professor W., il quale è già stato più volte sul
punto di recarsi da Lei?
Si tratta di un malato decisamente difficile e pieno di pretese, ma molto
interessante e degno di ogni aiuto. Psicopatia, presenta tratti degenerativi da
sempre. Affetto da fobie fin dalla giovinezza. Manifestazione di una grave
psicosi allucinatoria dal carattere multiforme nel novembre del ’18 (all’età
di cinquantadue anni). Forte agitazione. A lungo in clinica ai bagni ecc.
Molto chiassoso. Luglio del ’19 a casa, ancora molto agitato. Da allora è
rimasto, con alcune interruzioni, in casa. Stato attuale: marcatamente
fobico; dominato da rappresentazioni ipocondriache. Complicate azioni
compulsive, mania igienica ecc. Pieno di rituali. Consapevolezza della
malattia per la maggior parte dei disturbi, non però per certe idee deliranti
di nocumento: crede che il personale domestico lo tormenti e lo avveleni. A
questo proposito sussiste un delirio incorreggibile. È totalmente
egocentrico. Per la sistemazione è importante considerare che di notte, ma
soprattutto al mattino, fa molto chiasso, grida, chiama, parla da solo a voce
alta, in parte una sequela insensata (Galimathias)17 di neologismi
stereotipati. Di pomeriggio è calmo, mentalmente esigente, ancora ricco
d’ingegno […] Non suicidale; esce, qui si reca agli incontri organizzati dai
professori […]18

17 aprile, domenica
Ha insultato l’impiegato della ditta Warburg a tal punto, che quest’ultimo
era completamente avvilito. Gli ha dato del furfante, del delinquente,
dell’ingrato che ha abusato di tutta la bontà e della cortesia di cui godeva
presso la famiglia Warburg da oltre cinquant’anni, e che ha aiutato a
uccidere tutti i membri della famiglia («Su ordine del capofurfante
Berger»).
La partenza del professor Berger e del suo accompagnatore non gli ha
fatto nessun effetto; imprecava e bestemmiava senza interruzioni. Nel
pomeriggio è andato a passeggio nel parco con il custode e l’infermiera.
Parlava a voce talmente alta che lo si sentiva già da sotto in tutta la clinica.
Voleva assolutamente entrare nell’appartamento del sottoscritto; gli ha
mandato uno dei suoi figli per dirgli di andare da lui, il più misero di tutti
gli uomini. Crede che i suoi familiari vengano torturati nelle varie ville e
che da lì lo chiamino. Voleva anche entrare nei singoli edifici.

18 aprile
Ha fatto molto chiasso da mezzanotte e mezzo fino alle quattro del
mattino. Può dormire da solo. L’infermiera e l’infermiere dormono però
nella stessa ala che gli è stata messa a disposizione. – Dato che si lava di
continuo e che allaga tutto il pavimento, gli viene tolto il lavandino,
cosicché deve lavarsi nella stanza da bagno adiacente. Nel contempo gli
vengono tolte tutte le borse e i vestiti di cui non ha assoluto bisogno. Si
tiene però tre piccole borse che vuole avere sempre vicino a sé, con
l’occorrente per scrivere, degli scritti, ecc. Togliergli le chiavi delle valigie
è particolarmente faticoso, ma anche tutto il resto avviene con proteste e
soltanto con l’aiuto di numerosi infermieri. Si fa pesare solo dopo molto
tempo (58,5 kg in vestaglia). È stato piuttosto puntuale nel consumare i
pasti, nonostante avesse dichiarato fin dall’inizio che non gli passava
neanche per la mente di mangiare alle ore stabilite. Dato che nelle urine c’è
un po’ di glucosio (0,6)19, vengono leggermente limitati i carboidrati. In
particolare la cioccolata, che mangiava in grandi quantità, gli viene
completamente vietata.
Finora non ha preso nessun sonnifero. Questa sera 1 g di Veronal20, che il
medico riesce a somministrargli con molta fatica e soltanto ricorrendo
all’aiuto di quattro custodi, che parzialmente lo immobilizzano.

19 aprile
Anche questa notte ha fatto baccano meno a lungo del solito. La mattina
era un po’ più tranquillo. «Ma insomma, Lei chi è?», «Lei è un demone».
Poi osserva attentamente il suo abito e i suoi stivali e non si riesce a
ricondurlo verso una conversazione ordinata. Se si cerca di distrarlo con
degli argomenti letterari, reagisce dicendo: «Come può pensare di ornare le
sue azioni con dei fronzoli culturali?» Esige nuovamente un vestito. Finora
ha avuto soltanto un pigiama, gliene viene concesso un altro. Di giorno è
molto chiassoso, sente le grida d’aiuto della moglie e del figlio, che
verrebbero entrambi assassinati. Canta a voce alta delle parole
incomprensibili. Dà del tu all’infermiera.

20 aprile
Ha dormito poco. Si calma soltanto quando, all’una, gli viene tolta la
lampada. Oggi se la prende molto con il dottor Embden, il quale lo ha
portato in questo covo di banditi, dove ci sono soltanto puttane, ruffiani,
criminali e assassini. Secondo lui, oggi il capoguardiano lo assassinerà: «Se,
piccolo Warburg, quella dannata bestia e satanasso dell’infermiera non ti
protegge, sei perdu!» La sera si oppone nuovamente con tutte le forze al
sonnifero, nonostante gli venga mostrata la sonda21. Gli deve essere
somministrato per tre volte, dato che ne sputa sempre la metà. Va fuori di sé
dalla rabbia, scalcia, graffia, e se non venisse trattenuto, salterebbe a pugni
alzati addosso all’infermiera.

21 aprile
Questa notte è andata un po’ meglio. Tuttavia, nonostante i farmaci, non
si è placato a lungo. Ha un aspetto piuttosto brutto, colorito giallognolo e
profonde borse sotto gli occhi; nessuna traccia di glucosio. Durante la visita
si lamenta ininterrottamente del fatto che ieri gli sia stata somministrata una
medicina, alla quale sarebbe stato aggiunto del sangue umano, ecc. «Ma
insomma, chi è Lei per fare delle cose del genere?» Non è possibile stabilire
un rapporto con lui. Durante la visita dà colpi alla porta e chiama sua
moglie. Consuma i pasti in maniera abbastanza puntuale. La mattina fino a
mezzogiorno è occupato nel bagno; poi, per il pranzo, si reca nel salone.
Dopo aver mangiato si sdraia e dorme un po’. Le maniglie sono state tutte
asportate, dato che altrimenti continua ad andare su e giù per il reparto. Si
lamenta del posto infame, delle risa dei medici che definisce boia, canaglie.
La porcheria schifosa che qui gli darebbero da mangiare, sarebbe fatta di
sangue umano. I suoi abiti e i suoi stivali gli verrebbero rubati, insudiciati,
insozzati. A mezzogiorno prende due Pantopon22. La sera è leggermente più
tranquillo.

22 aprile
Di notte ha imprecato ad alta voce quasi senza interruzione. Insulta
terribilmente l’infermiera. Poi invece la prega di non abbandonarlo, perché
lei è la sua buona stella. Questa mattina è più che mai chiassoso, picchia,
graffia, scalcia. La visita medica è impossibile. Bussa, va alla finestra, grida
che quella carogna di cane di Binswanger commette, condannandolo a
morte, un enorme errore giudiziario, che egli è privo di qualsiasi tutela
giuridica, che è innocente.

23 aprile
Ieri sera ha fatto baccano fino alle undici, quindi fino a mezzanotte e
mezzo è stato tranquillo, poi di nuovo fino alle quattro ha imprecato
ininterrottamente a voce alta. Stasera gli verrà fatta un’iniezione. Nel
pomeriggio fa una passeggiata nel parco con il sottoscritto e il custode. Si
lascia dirigere solo a fatica. Sulla Brückenstraße e alla stazione grida alla
gente di aiutarlo. Ogni tanto, dal giardino, conversa con dei passanti
facendo dell’umorismo. In direzione della Parkvilla chiama ad alta voce:
«Infermiera Rosa!», della quale ha sentito dire che abita lì, e che però non
conosce. Rientra in casa senza fare grosse difficoltà. Quando la sera, verso
le dieci, il sottoscritto gli si avvicina con una siringa, il paziente dichiara di
non volere nessuna iniezione, ma che prenderebbe del Medinal. Ne ottiene
2 e li beve piuttosto alla svelta.

24 aprile
Notte più tranquilla. Questa mattina era però molto agitato, giacché, per
proteggere chi gli sta vicino, gli vengono tagliate le unghie e viene limitato
nella pianificazione della giornata, per portare gradualmente un po’
d’ordine nella sua vita. È molto violento. L’infermiera non può
assolutamente più farsi vedere, dato che le salta addosso come una belva.
Ma anche l’infermiere oggi non voleva andare da solo in camera da lui. Ha
fatto chiasso per tutto il giorno.

25 aprile
Questa notte è andata ancora abbastanza bene, anche senza medicinali.
Da oggi la sua giornata è organizzata come segue:
8-9: lavarsi una volta le mani e fare colazione in salotto;
9-10: lavarsi e radersi in bagno;
10-11: vestirsi in camera da letto;
11: di nuovo in salotto;
dopo mangiato: riposo in camera da letto.
Per il momento, deve essere portato ogni volta da una stanza all’altra
dall’infermiere e dal capo infermiere; tutte le maniglie delle porte sono state
asportate. Si abitua sorprendentemente in fretta a provvedimenti che
all’inizio aveva percepito come brutali. Per esempio consegna
spontaneamente il rasoio dopo essersi fatto la barba.

26 aprile
Ha dormito bene sotto l’effetto di 1,5 Medinal, che ha preso piuttosto alla
svelta sotto la minaccia della siringa. Stamani era molto adirato, quando lo
hanno portato fuori dal bagno alle dieci, senza che si fosse fatto la barba e
avesse finito di lavarsi. Comunque si calma abbastanza in fretta.
Non sta fermo un momento. Scrive molto nel suo diario, parla, quando è
da solo, in continuazione a voce alta, per lo più imprecando, spesso anche
accompagnando le singole azioni con delle parole, «Ecco, adesso viene
questo» ecc. Continua a pronunciare parole che suonano strane, che egli
stesso definisce neologismi, e che, secondo l’infermiera, deve aver colto
presso il dottor Lienau da un arabo o qualcosa di simile: «Ei schuks, o rei
schuks, mei schariks, solo rei schaks, a vat i vit». Lo si può distrarre sempre
solo per breve tempo, la cosa migliore è irrompere nelle sue imprecazioni
con una domanda letteraria concreta o qualcosa di analogo, oppure
ponendogli una domanda psicologica che lo riguardi. Allora ti fissa per un
momento con tanto d’occhi, di solito in modo canzonatorio: «Certo che l’ho
letto, e con ciò, cosa vuole? Lei vuole solo farmi passare il tempo prima
della mia esecuzione!» Oppure: «Lei parla come un dizionario di medicina
compilato male, e che non ha neppure capito».
Di sera ennesimo tentativo di effettuare una visita medica (alla quale
finora il paziente si era sempre opposto). Anche oggi ha iniziato a
imprecare terribilmente, non appena si è solo accennato all’intenzione di
visitarlo. Ha sempre una scusa pronta; ci sono sempre nuove questioni
urgenti e necessarie. Alla fine gli viene somministrata un’iniezione di
ioscina-morfina23; protesta energicamente anche contro quest’ultima, e
spiega che si sarebbe fatto senz’altro visitare e che l’iniezione era stata del
tutto inutile; durante l’iniezione deve essere tenuto da quattro inservienti;
tuttavia tenta ancora di dare un calcio al medico. Dopo un quarto d’ora
accusa una forte sonnolenza, parla solo balbettando, non riesce più a
reggersi in piedi, grida in maniera patetica all’autore del rapporto: «La sua
iniezione è stata proprio efficace». Quando gli viene chiesto di spogliarsi
fino alla cintura, continua a rifiutarsi, trovando tutte le scuse possibili; il
sottoscritto saprebbe perfettamente quello che ha; e poi era già stato visitato
da Weygandt24. Quando, alla fine, deve essere di nuovo spogliato con la
forza, cerca ancora di colpire l’infermiere.
Dalla visita risulta: corporatura gracile, colorito pallido, lipoma della
grandezza di un uovo di gallina al di sopra della cresta iliaca sinistra, vicino
alla linea mediana. Il paziente si oppone nuovamente a qualsiasi tentativo di
percussione cardiaca25, impreca, fa un movimento all’indietro con il torace;
si può però arrivare a constatare che, in ogni caso, l’ottusità cardiaca non è
aumentata; l’auscultazione è stata piuttosto breve. Da quest’ultima, resa
difficile dal continuo parlare del paziente e dal movimento all’indietro del
torace, attraverso il quale cerca di gettare via lo stetoscopio, risulta: toni
cardiaci nitidi e forti, con il tono diastolico accentuato. Non è stato possibile
eseguire un esame dei polmoni abbastanza approfondito; non sembra
comunque sussistere un aumento significativo del volume polmonare. – Le
arterie sono molto dure. Pressione sanguigna 18026 (il risultato della
misurazione è anch’esso incerto, poiché il paziente cercava continuamente
di sabotare la visita e rendere inutilizzabile l’apparecchio facendo
movimenti inconsulti).

27 aprile27
Ieri ha di nuovo aggredito con violenza l’infermiera prima della visita
medica. Le è saltato addosso scavalcando una sedia, le ha stretto il collo e
tappato la bocca, di modo che non potesse gridare. L’infermiera sarebbe
stata spacciata, se fossero stati da soli, poiché il paziente possiede una forza
colossale. Durante l’ultima notte ha fatto chiasso per ore. Stamani alle nove
non aveva ancora fatto colazione; perciò quest’ultima è stata portata via.
Viene minacciato dal sottoscritto con riposo a letto costante, se alle dieci
non dovesse essersi lavato e rasato. Accoglie il sottoscritto alle dieci già
rasato e lavato, con un sorriso fra il canzonatorio e il servile; ottiene perciò
una colazione tardiva e, nel caso dovesse restare tranquillo, gli viene
prospettata nel pomeriggio una passeggiata con il sottoscritto.

28 aprile
Ieri ha fatto una passeggiata piuttosto lunga e piacevole nel parco con
l’autore del rapporto e un giovane parente di quest’ultimo che ancora non
conosceva. Come ogni volta che vede una faccia nuova, è stato più
tranquillo. Ha fatto visita alla signorina K. e all’infermiera R. nella
Parkvilla, dove si è comportato in maniera del tutto corretta. Chiedeva
soltanto in continuazione se non ci fosse per caso sua moglie. La notte è
passata nuovamente bene, senza medicinali; stamani, facendosi la barba, si
è tagliato la punta di un dito. Viene colta l’occasione per sottrargli il rasoio.
Comincia già ad abituarsi alla nuova suddivisione del tempo.

30 aprile
Ieri, 29 aprile, nota dell’infermiera:
Conversazione durante il bagno: «Umburri, umburri, umburri.
Meichucks Friedrich, caro Friedrich, acqua vecchia canaglia, bastardo,
truffatore, povero piccolo buon sapone, Mieken brava buona moglie, niente
affatto, eh eh Binswanger, no, questo non lo tocco, non ne ho voglia,
Mieken maledetta carogna, Friedrich, Butz28, dov’è quel maledetto di
Albert, dice di essere il vice. Warburg, se solo fossi rimasto a Jena, questa
notte, eh infermiera Frieda, meichirix, umbarigaisch, umbarrigasch, Butz
quel cane maledetto. Stanotte Warburg vai sul tetto cara piccola borsa,
povera piccola borsa, ciò non deve accadere, eh eh eh, perché no pavax
navirtivit. Embden, bestia indiavolata, vile traditore. Infermiera, infermiera,
dov’è l’infermiera. Cara preziosa acqua, aprire, no, perché no, perché
meischirix l’infermiera meischarax mi aiuti, perché?, non voglio il
pavimento, quel porco di Binswanger meijuks quella carogna, la superiora,
mia madre, dov’è finita, no questo non riguarda affatto l’infermiera Frieda.
Mi aiuti. Perché nei meischuks. Haymann29 maledetto, infermiera quella
carogna meischuks meischiras. No, questo non lo voglio, povera cara borsa,
no, voglio essere svegliato alle sette e mezzo, lo ha ordinato Binswanger
maledetti avvoltoi, Mieken, Marieken, Frede, Detta ignobili criminali
maledetta gentaglia meischucks mureischacks avant ivit. No, ehi infermiera
venga mi aiuti mereischaks lei mi sta sulle scatole, mi aiuti bestia ignobile e
figlia d’un cane, questa ha ammazzato tutti i tuoi parenti. Maledetta
femmina, l’acqua non è acqua, il sapone non è sapone, il burro non è burro
meischucks quella carogna di Binswanger, cara buona piccola spugna mio
piccolo pipistrellino. Boia che non siete altro, quel maiale di Haymann.
Smettila di cagare mereischaks, caro piccolo panno maledetto Schinder.
Dov’è finita l’infermiera Frieda, infermiera Frieda fai di nuovo finta di
essere morta? Maledizione meischuks Binswanger ti ha tolto tutto,
umbarigasch umbarigasch. Dov’è finita la mia Mieken, ragazzi dove siete,
Alix, Max, Fritz, Anna. Sono innocente, non ho mai fatto nulla di male.
Divento un lupo mannaro, sono un lupo mannaro, la Hecht la maledetta
strega meischuks. Maledetto branco di porci, cani canaglie criminali
avvoltoi maledetto Butz infermiera Frieda mi aiuti. Warburg sei stato uno
stupido, avresti dovuto tirare il collo a quella carogna, quel cagnaccio.
Binswanger quel tipo meischaks banda di sfacciati». L’infermiera ha
ritenuto di dover tralasciare alcune parole troppo oscene che il paziente
inseriva in continuazione nel discorso.
Ieri pomeriggio è stato dalla moglie dell’autore del rapporto30 a prendere
un tè. All’andata ha fatto ancora confusione. Durante la visita continuava a
lamentarsi e a reclamare. Ma, tutto sommato, ha tenuto comunque un
atteggiamento completamente diverso da come di solito si comporta in
reparto; dimostra evidentemente di apprezzare i nuovi stimoli, visita una
stanza dopo l’altra, osserva quadri e libri, fa collegamenti e osservazioni
proprio come una persona sana. Durante il tè è impaurito e leggermente
agitato. A ogni boccone e a ogni tazza di tè che prende parla in maniera
molto obiettiva di come gli risulti difficile ogni azione di questo tipo. Dice
che gli pesa questo continuo farsi scrupoli per ogni cosa, e che qui ha meno
paura che non al reparto – dato che qui è tutto pulito – ma che non si può
mai sapere, se tutto ciò prima non sia entrato in contatto con degli estranei.
Più tardi il Geheimrat31 Binswanger32 gli fa visita al reparto. Già prima
della visita il paziente si era leggermente agitato, e tale è rimasto per tutta la
serata.
Oggi ha ammesso in presenza dell’infermiera che, in qualche modo, una
disciplina più rigida gli fa bene. Ciò nonostante, si sente ancora molto
perseguitato. Anche la moglie del dottor Binswanger, che deve avergli
raccontato di essere stata infermiera a Jena33, farebbe parte della banda
Berger e lo inviterebbe a prendere il tè soltanto per interrogarlo e per
scoprire il modo migliore per ammazzarlo. Il sottoscritto non sarebbe un
medico, ma un impostore che favorirebbe l’uccisione degli ebrei. Anche
oggi, verso sera, era piuttosto agitato.

1° maggio
Ha fatto molto chiasso e ha mangiato pochissimo. Alle cinque va a
trovare il dottor Haymann, con il quale ha una bella e ragionevole
discussione su questioni scientifiche. Sulla strada di casa ha chiesto al
portiere se per caso sua moglie non si trovasse qui. Nonostante abbia
protestato vivacemente, comunque molto meno della prima volta, è stato
pesato: fra i 57 e i 57,5 kg (non sta mai fermo) in pigiama. Peso specifico
delle urine sempre intorno a 102634; niente glucosio, la quantità di urina
non supera mai i 1200.

4 maggio
Lo stato complessivo è decisamente migliorato, la durata dei suoi sfoghi
verbali ad alta voce è molto più breve. Si lascia distrarre con molta più
facilità. Ieri ha fatto una prima gita in automobile. Al momento di salire era
agitato, poiché era convinto che, durante la sua assenza, sarebbe arrivato il
dottor Embden con la sua famiglia (del paziente) e che poi sarebbero stati
tutti giustiziati. Strada facendo non ha affatto prestato attenzione al
paesaggio, è sceso all’Arenaberg35 e lì si è interessato all’ambiente
circostante. Voleva spesso far fermare l’automobile, ma non si è comportato
in maniera bizzarra.

9 maggio
Inveisce, come al solito, indistintamente contro tutto e tutti, mentre poco
prima o poco dopo sa essere molto affabile e gentile con le persone
insultate. Il 6 ha fatto una grossa scenata perché doveva farsi tagliare i
capelli, cosa che alla fine è riuscita (barbiere Walser). Inoltre, è in stato di
particolare agitazione perché il suo vecchio pigiama gli è stato tolto, perché
sporco e strappato, e lui non voleva indossare nient’altro. La notte del 7 ha
cantato ad alta voce, cosa che, secondo l’infermiera, succede soltanto
quando è molto agitato. Tuttavia, durante le sue passeggiate pomeridiane, è
sempre piuttosto tranquillo. Si spinge sempre verso la strada, dove dà subito
nell’occhio per il suo gesticolare, fischiare e starsene lì impalato. La
quantità di urina è sempre esigua (circa 1000) e il peso specifico è alto
(1026), nessuna traccia di glucosio.

11 maggio
Ieri è stato dal Geheimrat Binswanger per il tè. È andata abbastanza
bene. In seguito è diventato violento e ha iniziato a graffiare, cosicché oggi
gli è stato ordinato il riposo a letto, «sanzione» con la quale era già stato
minacciato e alla quale si rassegna piuttosto rapidamente. Invece è molto
agitato quando, in questa occasione, gli viene tolto il grande plico di lettere
che finora aveva portato sempre con sé e fra le quali c’erano ancora alcune
lettere del periodo presso il dottor Lienau e un diario di quei giorni
completamente strappato.

Dal 18 al 20 maggio
Visita del dottor Embden. Negli ultimi giorni il riposo a letto è stato
prescritto soltanto al mattino; nel pomeriggio, come di consueto sta in
giardino, dove si tranquillizza un po’. È d’umore alterno durante i giorni di
visita: a tratti assolutamente ordinato e ragionevole, a tratti molto agitato.
Quando gli fu annunciata la visita, era molto felice, aveva il viso raggiante,
ma durante la visita stessa non era poi diverso dal solito. La partenza del
dottor Embden è passata inosservata.
In collaborazione con il dottor Embden, è stata registrata un’anamnesi
dettagliata (vedi allegato).
Anamnesi Warburg
H. Embden, 19 maggio 1921
La madre lo ha sempre considerato come il capofamiglia. Da piccolo ha
avuto una grave forma di tifo36 e da allora è stato smisuratamente viziato:
presto ha capito che, ricorrendo a scenate incredibili, avrebbe ottenuto tutto
ciò che voleva. Era attaccato soltanto alla madre. Essendo molto precoce,
ha saltato più volte un anno scolastico. Già in quarta ginnasio ha
manifestato rappresentazioni ossessive a sfondo sessuale, che sono state
curate con calmanti. Non era uno studente modello, ma aveva una buona
capacità empatica, soprattutto nelle relazioni con le persone. Eccellente
giocatore di scacchi. Ha sofferto molto della sua educazione rigorosa. Era
molto sensibile agli odori e non poteva mangiare dagli amici per motivi
ritualistici. Lotta estenuante contro il padre; dovette conquistarsi ogni
libertà al prezzo di terribili conflitti – cosa che culminò nel litigio per
sposare sua moglie, dal momento che lei era cristiana. I genitori non furono
presenti al matrimonio, tuttavia hanno amato molto la nuora. Ha passato
l’esame di maturità, anche se non brillantemente. Ha dovuto combattere
anche per studiare storia dell’arte con Thode (Bonn), il quale si è preso
molta cura di lui. Da giovane studente rimproverava alla signora Thode di
portare il marito intellettualmente sulla cattiva strada (Wahnfried)37. A
Bonn continuò a lungo ad avere la sensazione di avere una testa di Giano,
sosteneva di averne la netta sensazione. La cosa scomparve poi
definitivamente grazie al trattamento del professor Leo (Bonn). Ha studiato
piuttosto a lungo e ha poi sostenuto l’esame con Janitschek (Strasburgo).
Nella sua tesi di dottorato su Botticelli ha presentato una scoperta
considerevole ([…]38 a Flora in un passo di Ovidio). Era un lavoratore
sistematico e possedeva uno schedario minuzioso. Aveva la fama di grande
donnaiolo.
Già durante i primi anni di matrimonio a Firenze si manifestarono, di
solito scatenati da evidenti fattori esterni (epidemie, decessi di conoscenti),
segni di forte eccitazione di carattere fobico, durante la quale rimproverava
con violenza alla moglie la sua imprudenza e la sua carente educazione
igienica. La sua professione di studioso gli permetteva di lavorare sempre a
casa, e così si è trasformato in un vero e proprio tiranno domestico e in un
autentico ficcanaso. Era capace di scatti d’ira irrefrenabili, anche per futili
motivi. Quindi legittimava la misura della sua agitazione con una dialettica
talmente brillante, da riuscire a far considerare il fatto più insignificante sub
specie aeterni, e da dimostrare che la causa originaria di ogni difficoltà di
vita risiedesse proprio in questo fatto specifico. Dopo tali scenate sentiva
ancora il bisogno di giustificarsi, andando da estranei, dal suo medico, ma
soprattutto da conoscenti e parenti di sesso femminile, descrivendo le
terribili difficoltà della sua situazione e facendo appello alla loro
comprensione. In realtà, la moglie subordina tutta la propria vita ai suoi
desideri e ai suoi capricci, sacrificando sistematicamente la propria
personalità.
Negli anni fino allo scoppio della guerra vive ad Amburgo. In questo
periodo fonda una grande biblioteca, ammirata dagli addetti ai lavori, in cui
è raccolta non solo la letteratura sull’arte, ma soprattutto sui rituali, sulla
religione, sull’astrologia, in breve su tutti gli aspetti spirituali dei secoli che
vanno dall’antichità al Rinascimento. L’acquisto di libri e la lettura dei
cataloghi assumono dimensioni sempre più considerevoli, ma mai
incontrollate. Tuttavia, il suo medico ha spesso l’impressione che il paziente
si rifugi nell’acquisto dei libri per sfuggire alla vera e propria produzione
scientifica, e che le forme sempre nuove che dà al suo modo di lavorare
(scrivania, penne, matite, schedari, leggii) assumano un ruolo
eccessivamente importante nel suo comportamento e nei suoi discorsi.
In quello stesso periodo è molto impegnato. Non fa nessuna distinzione
fra il lavoro e il tempo libero. È sempre in biblioteca e alla scrivania.
Raccoglie una quantità impressionante di materiale e la ordina con cura nei
suoi schedari. Ha sempre molta paura di portare a termine qualcosa.
Estrema ansia da scadenza. Rimanda ogni conferenza. Le sporadiche
pubblicazioni vengono sempre ritardate. La correzione delle bozze di un
piccolo saggio è vissuta come un evento terribile. Allora il paziente si
ammala per settimane. In questi casi compie dei rituali molto elaborati e
apparentemente pedanti: utilizzando quaderni ad anelli, matite colorate,
trascrizioni ecc.
Dopodiché accusa forti dolori fisici e un’estrema spossatezza.
I suoi lavori sono apprezzati dagli esperti; tuttavia, leggendoli, si ha
sempre la sensazione che il pensiero scientifico dominante non sia stato
elaborato in maniera del tutto chiara, nonostante le numerose formulazioni
geniali che colpiscono per la loro efficacia, nelle quali il paziente eccelle.
Spesso perde le staffe per piccole contrarietà, soprattutto se colpito nella
sua vanità. Anche a questo proposito estende il raggio d’influenza di ogni
inezia ai contesti più ampi; tormenta la famiglia e il medico, e con gli amici
si comporta in maniera egocentrica, ricorrendo a dettagliatissime
disquisizioni sui torti subiti.
Così il tempo fino allo scoppio della guerra trascorre all’insegna
dell’incremento e della complicazione costante del suo modo di lavorare.
Riguardo alle fobie associate alla presenza della governante inglese, vedi la
lettera del dottor Embden al professor Berger39. A ciò va aggiunto che
amava questa governante, e che lei probabilmente lo ricambiava, che lui
soffocava questo amore in quanto incompatibile, che si confidò al riguardo
con Miss M., e anche con sua moglie, e che probabilmente non si è mai
spinto fino a un vero e proprio atto sessuale. Nello stesso periodo
intratteneva anche una relazione puramente sessuale con una segretaria di
scarso valore, una relazione che lo tormentava e che venne repressa in
quanto indegna, ma durante la quale fu ugualmente evitato il peggio.
La guerra agitò Warburg a dismisura, in parte perché lo coinvolse nel suo
alto e puro spirito patriottico, in parte a causa delle ripercussioni personali.
Dopo i primi massacri intuì molto presto il vero pericolo. Accarezzava
l’idea di partire come interprete, ne parlava molto: «È un impiego in cui è
facile prendersi una pallottola». Prese lezioni d’equitazione, si munì di
stivali da campo e di gambali, si recò poi per un periodo in Italia, che era
ancora neutrale (Firenze), con un incarico ufficioso; lì cercò, attraverso le
sue vecchie amicizie, di adoperarsi per la patria, soprattutto per gli istituti
artistico-scientifici tedeschi a Firenze. Fondò una rivista illustrata tedesca
per gli italiani (scritta in italiano) che si occupava di guerra, della quale
sono usciti soltanto due o tre numeri.
Durante gli anni della guerra crebbe sempre più la sua agitazione.
Costituì un’immensa collezione di giornali, leggeva sette quotidiani,
sottolineando tutto ciò che riguardava l’attualità e facendolo catalogare da
un’intera schiera di collaboratori in gigantesche cartoteche.
Oltre a ciò intraprese una ricerca sempre più intensa sulla superstizione.
Per il suo compito scientifico principale, vale a dire la sopravvivenza di
pensieri antichi nel «Medioevo», si era dedicato allo studio dell’astrologia
ecc. In questa occasione passò gradualmente dalla posizione dello storico a
quella del mezzo credente fino a quella dell’imitatore superstizioso. – Prima
della catastrofe, che fu innescata dal […]40 della patria, era arrivato al punto
di credersi un lupo mannaro. Credeva di poter sfuggire al pericolo
imminente soltanto attraverso l’uccisione della famiglia e il suicidio; così
impugnò una pistola, ma venne facilmente disarmato, e i primi di novembre
del ’18 fu trasportato alla clinica del dottor Lienau.
Durante la guerra, le sue lettere divennero sempre più sporadiche, scritte
peggio (rispetto al contenuto) e più vaghe.
Menzione particolare merita la questione del diabete. Verso il 1900 gli fu
riscontrato durante un viaggio per la prima volta del glucosio. Si agitò in
maniera esagerata. Il dottor Embden dovette andare a prenderlo. L’idea del
diabete fu coltivata come se lo avesse sempre avuto. Non si riusciva a
calmarlo. Fu eseguito un preciso test allergico. Seguì alla lettera la dieta
prescrittagli, con il risultato di una maggiore tolleranza. A prescindere
dall’elaborazione ipocondriaca del complesso della glicosuria41, il diabete
divenne un nuovo motivo per incessanti sofisticherie e torture domestiche
accompagnate da grandi scenate.

24 maggio
Gli ultimi giorni sono stati i più tranquilli di tutto il soggiorno. Ieri ha
fatto una gita in automobile solo con la moglie del dottor Ludwig
Binswanger, durante la quale si è comportato in maniera del tutto corretta e
ordinata. È sceso a Steckborn, per andare al lago. In questa circostanza è
casualmente giunto all’asilo del luogo. Si è presentato ai direttori, ha parlato
molto con i bambini ecc. Ha chiesto alla signora Binswanger di procurargli
del pane azzimo al posto del Bürli42. Quando durante la visita mattutina
odierna ciò gli è stato concesso, si è molto rattristato: preferiva tenere il
Bürli e non il pane azzimo. Si tratta di una vicenda tipica. Non gli si può
fare torto più grande che esaudire i suoi desideri; cosa che oggi ha ammesso
egli stesso ridendo.
Continua a trascinare tre borse da una stanza all’altra. Da tempo si
prepara al fatto che dovrà cambiare qualcosa riguardo a questa abitudine.

28 maggio
Dopo cinque giorni molto tranquilli, a detta dell’infermiera i migliori da
molto tempo, l’altro ieri ha avuto senza una causa esterna un mutamento
improvviso, entrando in forte agitazione e in stato d’animo predelirante, che
prima era quasi sparito. Inveisce contro tutti, per esempio contro il dottor
Otto43, dal quale era stato per il tè, e il quale gli avrebbe dato delle torte
avvelenate, che egli stesso non avrebbe mangiato. Stamani gli sono state
tolte le sue tre borse. Naturalmente bestemmia e impreca enormemente, ma
nel complesso è comunque più calmo di quanto non lo fosse stato in
precedenza in occasione di simili privazioni.

4 giugno
Ha digerito sorprendentemente in fretta la sottrazione delle borse. È
sempre solo il momento della decisione ad agitarlo. Ma la suddetta
inquietudine crescente persiste. Ogni minimo cambiamento suscita nuovi
accessi. Supponendo di fargli piacere, gli è stata portata in camera una pila
di testi scientifici che solo ora hanno passato il confine. Si arrabbia oltre
misura per il fatto che non c’è nessun elenco, un motivo con il quale
evidentemente sta solo razionalizzando l’agitazione per le novità. Scambia
nuovamente un paziente per suo figlio, crede di nuovo che sua moglie sia
nascosta nella Bellevue, ha ricominciato a fischiare molto. Durante l’uscita
con il Geheimrat Binswanger e il dottor Sm. si è comportato relativamente
bene, però poi impreca contro il Geheimrat e considera la gita un «tiro
bestiale» dell’autore del rapporto.
Gita in automobile a Münsterlingen con il Geheimrat Binswanger e il
dottor Sm., il quale stila il seguente rapporto su questo viaggio:
2 giugno 1921. Durante tutto il viaggio, la passeggiata ecc. il professor
Warburg è quasi esclusivamente impegnato con le persecuzioni che lo
minacciano ovunque; solo di rado e per poco tempo lo si può muovere
verso ambiti neutrali. Trova ovunque elementi che fanno presagire intrighi
ecc. Così ha allegato a una delle lettere indirizzate a sua moglie un fiore di
crisantemo violetto. Sua moglie lo ringrazia nella sua risposta per il fiore
blu, che «qui» non si trova. Warburg allora fa delle elucubrazioni sul fatto
che lei ha definito il fiore «blu», che anche ad Amburgo ce ne saranno
sicuramente, e sembra pensare che da ciò risulterebbe che sua moglie non
sia ad Amburgo o che sia stata obbligata dai suoi nemici a scrivergli delle
sciocchezze. Come per altre affermazioni non è però possibile stabilire il
nesso logico con le sue idee di persecuzione, come quella che qualcuno
avrebbe impedito di mettere la sua pelliccia sotto canfora ecc. Come
l’argomentazione logica delle sue supposizioni anche la passione con la
quale le manifesta è debole.
È evidente che il paesaggio lacustre, i bambini, i giovani ecc. gli danno
gioia, ma interrompono solo per qualche istante il suo stato d’animo
solitamente rancoroso.
6 giugno
Autore del rapporto dottor Kurt Binswanger44: il paziente è preoccupato
a causa del passaggio alle cure del sottoscritto: «Questo non è affatto un
Binswanger, ha una faccia diversa, sembra un atleta, è un boia ancora più
grande, un compare ancor più raffinato», che conoscerebbe il suo nemico
giurato ad Amburgo, il dottor Nonne45, il quale sarebbe l’artefice di tutto
quanto. Egli stesso sarebbe incapace di fare qualsiasi cosa contro tutto ciò,
l’accerchiamento diventerebbe sempre più insostenibile.

10 giugno
Recentemente è andato a fare una passeggiata con la moglie del dottor
Ludwig Binswanger. Gli ha fatto bene.
Scrive alla moglie:
«La mia completa disperazione comincia con il regime Kurt Binswanger.
È ancora peggio degli altri. È viscido e parla di storia dell’arte, invece di
occuparsi di me in qualità di medico. Ho di nuovo il diabete, il che ha come
conseguenza il fatto che chiedo in continuazione della cioccolata
all’infermiera, la quale, educata al timore verso il dottor Ludwig, me ne
concede talmente poca, che devo letteralmente implorarla: Cara, buona
infermiera, per favore per favore ancora un paio di tavolette […] Mi sembra
quasi che Ludwig Binswanger collabori alla mia eliminazione, ma che, con
la scusa di andare in ferie, scompaia dalla vista. A questo punto, che Dio mi
salvi […] Haymann, con il suo sguardo pieno di umanità, è il capocanaglia
più ignobile. Assieme all’acrobata Kurt e a Ludwig Binswanger che si è
ritirato per vigliaccheria, commette il più grande sadismo su di me
sorridendo con freddezza e, ne sono quasi convinto, anche su mia moglie,
che trattengono qui alla Bellevue […]».

18 giugno
Festa di compleanno il 13 giugno. Ha ricevuto molti regali e fiori. Si è
agitato molto perché una stampa non aveva il timbro d’ingresso di
Kreuzlingen e un’altra non riportava il mittente, ma si è calmato
visibilmente durante la visita del figlioletto dell’autore del rapporto e delle
due figlie del capoguardiano, che gli hanno fatto gli auguri e gli hanno
portato dei fiori. Si è comportato in maniera deliziosa con i bambini, ed è
giunto persino a regalar loro un piccolo pezzetto di cioccolata, un fatto che
non si era quasi mai più verificato dal 1918 (nei confronti dell’atto di
regalare qualcosa ha altrimenti delle resistenze quasi insormontabili).
Durante il tè dalla moglie del dottor Ludwig Binswanger con il sottoscritto
e sua moglie è stato amorevole, ha dichiarato però successivamente che il
sottoscritto lo avrebbe guardato trafiggendolo con occhi d’Argo e che se la
sarebbe diplomaticamente svignata dopo pochissimo tempo.
Da allora è spesso agitato, adesso impreca anche contro il sottoscritto e il
dottor Schmidt, la canaglia più infame che ci sia in giro. Si è agitato molto
quando al Parkhaus46 è sparito un nido di merlo con quattro piccoli, ne ha
parlato per parecchi giorni. Vi ha connesso delle idee deliranti: i piccoli
sarebbero stati i suoi figli. Oggi si rimprovera da sé per essere andato ieri a
Stein am Rhein con la moglie del dottor Binswanger. Quest’ultima sarebbe
una spia di tutta la banda Binswanger, il tè all’albergo non era tè, ma
sangue.

27 giugno
Negli ultimi giorni è migliorato. Ieri ha fatto una gita in macchina con
l’infermiera e la figlia del dottor Ludwig. Non ha bevuto il tè a Uttwil,
come convenuto, ma a Romanshorn. Era felice come una pasqua e ha
mangiato con molto appetito. La sera ha comunque parlato da solo: sarebbe
andato a Romanshorn sotto ipnosi, tutto sarebbe stato organizzato, persino
quella grossa scrofa della cameriera.

2 luglio
Si agita quando la sera alcune falene, attirate dalla luce, volano nella sua
stanza. Ha paura che vengano uccise dal custode, perciò non riesce ad
addormentarsi per ore, e confida alle farfalle il proprio dolore. Oggi si è
fatto tagliare i capelli, cosa che si è svolta in maniera più calma del solito.
L’infermiera deve garantirgli che il barbiere non sia un boia, che non ne
vada della sua testa. Ha assistito al gioco delle bocce. Di notte si tormenta
con l’idea che le bocce siano state le teste dei suoi familiari.

7 luglio
Ha un nuovo motivo per agitarsi: il tè sarebbe contraffatto, puzzerebbe, ci
sarebbe del veleno; pensa che gli altri campioni di tè che gli sono stati
portati siano «preparati». S’inquieta per una festa sul Besmer, pensa che lì
vengano cantate delle parodie su di lui, organizzate da una cricca
antisemita. Di tanto in tanto ha dei momenti buoni. Ha visitato gli affreschi
della cappella di Bernrain, che ha commentato con la consueta competenza.

15 luglio
Di nuovo non rispetta i tempi stabiliti, cerca di sottrarsi ai divieti, chiama
il custode «vecchio porco» che dovrebbe togliersi dai piedi insieme a quel
mangime per porci. Grida «Aiuto! All’assassinio! Al fuoco!» Qui si
consumerebbe l’errore giudiziario più infame, egli sarebbe stato deportato
dalla Germania; impreca contro tutti i medici. Definisce il campo da tennis
un luogo di ritrovo di criminali, fa in parte delle battute in parte delle
critiche rivolte ai singoli giocatori. Si rimprovera di aver mangiato ciliegie;
le ciliegie sarebbero, infatti, persone, le cui anime avrebbe distrutto
mangiandole. Ha fatto una gita a Stein am Rhein con il sottoscritto e sua
moglie. Ha dichiarato gli affreschi e l’arredamento della chiesa interessanti,
ma alla fine inveisce comunque contro entrambi.
Pesatura: ogni volta crea grosse difficoltà, per questo non si può stabilire
con esattezza il peso corporeo. 56 kg.

25 luglio
Giorni inquieti. Dorme male, nonostante i narcotici. Soliloqui. «Quella
carogna di Binswanger ha fucilato i tuoi fratelli e la tua famiglia». Avrebbe
assistito egli stesso alla loro uccisione. Chiama l’autore del rapporto
bandito, boia. Tutti i membri della banda Binswanger sono satanassi,
gentaglia infame. Esige di vedere il suo passaporto, che sarebbe stato
falsificato. Salta oltre la passatoia nel corridoio: «Povero caro tappeto, non
voglio pestarti, non voglio farti male». Colpisce e pesta ripetutamente
l’infermiere. Durante i suoi soliloqui parla con tre voci diverse, sembra
anche intrattenersi col dottor Embden.

28 luglio
Ieri è stato invitato a prendere il tè alla casa di campagna del dottor Otto
Binswanger. Al rientro è molto agitato perché l’acqua del lago non era
bagnata; i ragazzini che facevano il bagno sarebbero usciti asciutti
dall’acqua. Il tè era avvelenato.
Il dottor Ludwig avrebbe caricato sul treno molti cesti e delle casse piene
di carne umana.

2 agosto
Negli ultimi giorni è un po’ migliorato. Si inquieta per gli spari e i razzi
in occasione della festa del primo agosto. Per oggi pomeriggio visita
inattesa di suo cugino, il Geheimrat Goldschmidt da Heidelberg, che è
andata molto bene. Ha avuto delle buone ripercussioni.

3 agosto
Soltanto oggi sono apparse le idee deliranti riguardo all’ultima visita, che
sarebbe stata pianificata da tempo. Il signor Goldschmidt avrebbe portato
sua moglie e i suoi figli per tenerli nascosti qui.

10 agosto
Cerca sempre di entrare in tutte le stanze del Parkhaus per accertarsi di
che cosa vi succede.
Vero e proprio culto per le piccole falene e le farfalle che di notte volano
nella sua stanza. Le chiama animaletti animati, può intrattenersi con loro
per ore. Si preoccupa molto del fatto che la sua «farfallina» non abbia nulla
da mangiare. Vuole darle da bere del latte, le porta dalla sua passeggiata una
foglia di tiglio. È infelice quando vola via. Cerca dappertutto la «farfallina».
È felice di trovare un qualsiasi altro animaletto. Si esprime nel modo
seguente:
«Farfallina, ti ringrazio che il Professore può di nuovo chiacchierare con
te, posso confidarti il mio dolore, pensa un po’ farfallina, il 18 novembre
del ’18 ero talmente in ansia per la mia famiglia che ho preso la mia pistola
e volevo uccidere me e la mia famiglia. Sai, perché arrivava il bolscevismo.
Allora Dets (sua figlia) disse: ma papà, cosa fai? E allora la mia Mieken (la
moglie) ha lottato con me e voleva togliermi l’arma. Sai, farfallina, allora il
mio pipistrellino (Frede, la sua seconda figlia) ha telefonato a “Malice”
(Max e Alice, il fratello e la cognata). Questi sono subito accorsi con
l’automobile e hanno portato con loro anche il dottor Franke e il senatore
Petersen. Allora Petersen si è nascosto nel mio armadio a muro, e la mia
Mieken e Franke sono usciti con me. Petersen mi ha detto: “Warburg, non ti
ho mai chiesto nulla, ora ti prego di venire in clinica con me, perché sei
malato”. Sai, allora sono andato con la mia Mieken da Lienau. Lì abbiamo
mangiato fegato di coniglio, e allora ho detto: mia Mieken, non mangiare
fegato di coniglio. Lei non ha sentito nulla e così è successa la disgrazia».
Scrive alla moglie pagine e pagine di lettere sulla farfallina.
Quando recentemente l’infermiera è arrivata con un occhio gonfio a
causa di una puntura di zanzara, il paziente si è preoccupato moltissimo che
non fosse successo nulla alla piccola zanzara.

14 agosto
Dato che il paziente, che ha delle porte erniarie molto larghe, lamenta dei
dolori nella zona dell’inguine (se il muscolo addominale è sotto sforzo si
può constatare la fuoriuscita dell’intestino nel canale inguinale), è stata
ordinata la confezione di un cinto erniario47.
Dall’altro ieri è molto agitato, perché nel parco è stata scavata una buca
davanti alla sua finestra a causa di un guasto delle condutture dell’acqua.
Crede che ciò avvenga per seppellire vive le persone. Ne parla per ore.

15 agosto
Oggi ha ricevuto una visita dalla signora Rohland-Becker. Ha pranzato
con lei; prima ha chiacchierato serenamente, poi ha brontolato.

17 agosto
Breve visita del dottor Prinzhorn48 da Heidelberg, fondatore della
collezione di disegni di malati di mente, con il quale ha discusso in maniera
molto approfondita e obiettiva di simbologia.

22 agosto
Negli ultimi tempi è stato molto irrequieto. Ritorna in continuazione
sull’argomento della buca davanti alla sua finestra. Si lamenta che le sue
stringhe per le scarpe sono state sostituite. Peso 56 kg.

26 agosto
Cerca dappertutto la sua famiglia; grida tutti i nomi. S’inquieta per una
raccomandata, perché era sigillata in nero.

31 agosto
Si agita molto a causa delle grandi botti per il mosto che stanno davanti
all’annesso rustico. Chiede a ogni dipendente a che cosa servano. È molto
teso. A volte cerca anche di colpire il custode. Ieri ha parlato al telefono con
sua cognata a St. Blasien. Benché durante la conversazione si fosse
mostrato sicuro dell’identità di quest’ultima, e le avesse chiesto alcuni
dettagli che soltanto lei poteva conoscere, oggi è di nuovo pieno di dubbi,
pensa che la voce sia stata imitata.

3 settembre
Oggi ha ricevuto la visita del fratello Paul. Si è fatto volontariamente
tagliare i capelli, ha messo una cravatta nuova. Ha conversato molto bene.
Dopo la partenza del fratello, era convinto che sarebbe stato ucciso. Vuole
assolutamente entrare nell’edificio con le celle, poiché suo fratello sarebbe
rinchiuso lì.

8 settembre
È ancora inquieto per il fratello Paul, che sarebbe stato ucciso sotto
ipnosi.

9 ottobre
(Autore del rapporto dottor Ludwig Binswanger.) Nonostante il paziente
abbia avuto dei giorni molto inquieti, ieri è andato con l’infermiera a Zurigo
a vedere una mostra. Ha pranzato dal professor Sieveking. Tutto il viaggio è
riuscito perfettamente. Secondo l’infermiera, si sarebbe comportato proprio
come una persona sana. Dopo il rientro ha fatto di nuovo un po’ di chiasso.
Saluta il sottoscritto chiamandolo «incredibile Mefistofele», che avrebbe
fatto un’altra delle sue furberie e ora vorrebbe tanto sapere che cosa uscirà
di nuovo da questo dono di Danai e dal ventre di questo cavallo di Troia.

Dall’11 al 14 ottobre
Visita del dottor Embden, il quale inizialmente ha dichiarato di non aver
mai visto il paziente così bene da quando si è ammalato. Le condizioni sono
però presto peggiorate. Il paziente ha cercato di sfruttare la presenza del
dottor Embden in tutti i modi. È andato alla posta, ha chiesto dei
francobolli, ha chiesto in maniera incalzante di essere portato via da qui, ha
fatto ricorso a veri e propri «ricatti», e non gli ha concesso un attimo di
tregua; cosicché il dottor Embden ha dichiarato dopo ogni visita di essere
completamente esausto. Il 14 il sottoscritto gli ha comunicato la morte della
madre. Inizialmente, ha avuto una reazione assolutamente adeguata, senza
esagerazioni. Reminiscenze della madre, della fanciullezza, durante la quale
si era sempre presa cura di lui, e del periodo successivo, durante il quale
aveva sempre fatto da mediatrice fra lui e il padre. A questa reazione
adeguata si sovrappongono però rapidamente dettagli sulla quotidianità. Si
lamenta del fatto che il suo «gillette» non sia stato cambiato al mattino ecc.
Naturalmente, ora più che mai, chiede al dottor Embden di portarlo con sé
ad Amburgo.

17 ottobre
Da allora fa molto baccano fino alle quattro del mattino circa. Perciò oggi
gli sono stati prescritti uno o due giorni di riposo a letto49. Mentre si lava e
si veste, la morte della madre ha un ruolo decisamente meno importante
delle altre inezie e della questione degli abiti da lutto, che naturalmente gli
dà molto da fare. Esige anche assolutamente di recarsi in una sinagoga,
contravvenendo del tutto alle sue vecchie abitudini.

20 ottobre
Di recente ha sostenuto che la ragazza che lavora in cucina sarebbe una
praticona e che a Worms avrebbe consegnato le sue due figlie a negri del
Senegal. Sua moglie e i suoi figli sarebbero stati messi nella sua valigia, i
suoi fratelli nella stanza di un altro paziente. Ha ottenuto, a causa della forte
irrequietezza, due giorni di riposo a letto, al quale si sottopone solo dopo
forti proteste.

26 ottobre
Dato che il paziente ha di nuovo incominciato a creare difficoltà durante
le passeggiate, a non rispettare gli accordi, e siccome voleva imbucare delle
lettere, e diventava sempre più agitato, gli sono stati prescritti quattro giorni
di riposo a letto. La sera poteva però alzarsi un po’, verso le sei. Di tanto in
tanto era tranquillo e avvicinabile; si rallegrava della visita della moglie e
del figlio del sottoscritto. Estratto dai soliloqui: «Ho avuto una visione
terribile. Detta (la figlia) aveva tentato il suicidio, nella mia biblioteca era
scoppiato un incendio, tutto era in fiamme, e io passeggiavo
tranquillamente in giardino e osservavo tutto il putiferio»50. Peso 57 kg.
Si lamenta del cibo, del latte e del burro: il latte viene dall’asino o dal
maiale, il burro è grasso di moscerino, il pane non è pane.

2 novembre
Oggi ha ricevuto la visita del professor Sieveking e signora da Zurigo,
che desiderava da tempo. Nel momento in cui ieri il sottoscritto gliene ha
prospettato la possibilità, il paziente ha dichiarato di non desiderarla per
nulla. Questa mattina ha fatto ancora molto chiasso, non voleva nemmeno
guardare fuori della finestra, per salutare i Sieveking. Li fa aspettare, poi
inveisce terribilmente contro la banda Binswanger. L’infermiera avrebbe
ucciso ieri sua moglie nella stanza da bagno. Quella maledetta della N. (una
paziente) avrebbe ucciso tutti i suoi figli. Non vuole credere che il professor
Sieveking sia stato ad Amburgo. Pone ogni genere di domande capziose per
metterlo alla prova. Vuole sapere chi era l’uomo che gli ha aperto la porta
ad Amburgo ecc. Dato che il professor Sieveking non riesce a dargli sempre
una risposta pronta, pensa ovviamente di avere le prove che sia tutto un
imbroglio. Quando il professor Sieveking gli mostra una bozza del suo
commento a un lavoro del paziente per la «Neue Zürcher Zeitung»51,
inveisce terribilmente contro l’infame canagliata. La bozza sarebbe falsa. A
stento si è riusciti a condurlo su argomenti scientifici. Dopo la loro partenza
è stato estremamente inquieto per tutto il giorno.

3 novembre
L’agitazione persiste. Il professor Sieveking sarebbe la canaglia più
infame e un traditore. «Non era stato affatto ad Amburgo, tutto ciò che ha
raccontato gli è stato dettato da Amburgo. Sieveking fa parte della banda
Binswanger e contribuisce all’uccisione dei miei familiari». La sua vecchia
e grassa moglie non deve mai più venire a trovarlo.

5 novembre
Ieri ha ricevuto la visita di Paul Warburg da New York. Il paziente era
molto teso. Ha creduto solo per poco tempo a quello che gli raccontava il
fratello, si lamentava del fatto che questi volesse partire dopo poche ore.
Quando perciò il fratello ha rimandato la sua partenza, per il paziente
l’attesa era di nuovo troppo lunga; continuava a mandarlo via, non voleva
che passasse il confine in automobile, ma che prendesse il treno che partiva
prima, perché credeva che il fratello sarebbe stato rapito se fosse partito in
automobile. Oggi è nuovamente agitato e chiassoso, pensa che il fratello sia
stato assassinato e cucinato. Chiama incessantemente «Paul, Paul!»
Inveisce in continuazione contro la maledetta banda Binswanger, che
avrebbe ucciso il fratello. Si rimprovera di averlo attirato qui.

10 novembre
È agitato, rumoroso, non rispetta gli accordi. Si è intrattenuto con un
paziente americano, che conosce i suoi parenti. Era molto felice di sentire
delle novità sul loro conto. Nel momento in cui questi se n’è andato, ha
inveito terribilmente contro di lui: «Quella carogna irritante», quel supposto
E. non sarebbe affatto E., ma soltanto un binswangeriano, tutto unto con
l’olio di Ludwig. È dunque un mangiaebrei americano. Nel pomeriggio
voleva assolutamente parlargli di nuovo per spremerlo come un limone,
come scrive alla moglie. Tutte le lettere sono false, anche il telegramma che
ha ricevuto, come concordato, dal fratello Paul. Dopo la visita del dottor
Haymann inveisce nuovamente contro di lui, che gli avrebbe mentito a
regola d’arte. Haymann sarebbe proprio il più infame, il peggiore di tutti.

15 novembre
Ha sempre delle gravissime idee deliranti: la verza sarebbe il cervello di
suo fratello, le patate le teste dei suoi figli, la carne è carne umana dei suoi
familiari, il latte non viene dalla vacca. Spesso a colazione non riesce a
mangiare i panini, nonostante abbia ancora fame, perché altrimenti
mangerebbe il proprio figlio.
L’altro ieri ha preso il tè dalla moglie del dottor Ludwig Binswanger,
dov’è rimasto relativamente tranquillo. È sceso in cantina per controllare se
ci fossero i suoi familiari. Più tardi ha inveito contro la sua ospite,
paragonandola a ogni sorta di animale, e sostenendo che anche i figli erano
tutti dei buoni a nulla, tranne il più piccolo.
Comincia di nuovo a perdere tempo durante la toeletta; non riesce a
terminare nulla.

19 novembre
Si lamenta di avere delle visioni terrificanti: tre bambini piccoli
sarebbero stati trascinati nella sala del biliardo, erano ridotti a pelle e ossa.
Pensa che questi bambini siano stati macellati e di averli poi mangiati. Ha la
ferma convinzione che i tre cadaveri dei bambini siano stesi nel letto della
sua infermiera. Vuole assolutamente controllare. Si rifiuta, senza troppa
convinzione, di mangiare.

25 novembre
Il 20 è stato a una serata musicale dal dottor Ludwig Binswanger per
circa un’ora. È stato tranquillo e si è comportato correttamente. Come al
solito, il giorno dopo se ne è lamentato. Credeva che una giovane cantante
fosse sua moglie, la quale voleva andare da lui ma che veniva tenuta
lontana. Ha imprecato contro il Geheimrat Binswanger, «quella vecchia
carogna, dovevo proprio trovarmelo davanti!»

29 novembre
Fa molto chiasso, colpisce e scalcia contro l’infermiera e l’infermiere,
invoca aiuto a gran voce. Grida i nomi dei suoi familiari, che verrebbero
tenuti nascosti nell’edificio con le celle. Ritiene che gli articoli di giornale
che parlano del conferimento della laurea honoris causa a suo fratello siano
falsi. Insulta un paziente tedesco-americano: «Maledetto assassino,
stramaledetto satanasso». Egli avrebbe già commesso molti omicidi a
sangue freddo. Oggi è particolarmente irrequieto. Perciò stasera ha ottenuto
due linee di una soluzione di ioscina (1%) con morfina (1%).
Evidentemente voleva spaventare chi lo circonda, si è spinto rigidamente
all’indietro, strabuzzava gli occhi, voleva simulare uno svenimento, ma,
quando gli si è rinfacciato che stava di nuovo facendo scena, ha ripreso
immediatamente conoscenza. Si è subito alzato in piedi, si è lavato le mani,
ha cenato bene. Più tardi ha sostenuto ancora di sentire l’effetto
dell’iniezione. Parlava soltanto a bassa voce e balbettando, ciangottando. Si
lamentava di un gonfiore alla lingua. Abbandonato a se stesso, parla però da
solo in maniera chiara e comprensibile. Viene tenuto a letto a causa
dell’agitazione.

20 dicembre
Dopo quattordici giorni di riposo a letto è di nuovo molto più tranquillo.
Ieri la visita del fratello Max con la moglie e la figlia Gisele nel complesso
è andata bene. Si è però innervosito quando il solito tavolino per il tè è stato
sostituito con uno più grande. Lo avrebbe rovesciato dalla rabbia se non
fosse stato trattenuto.

27 dicembre
Ha trascorso dei giorni molto tranquilli. Era avvicinabile, affabile e
calmo. Ha partecipato alla festa di Natale nel Parkhaus, ma non ha saputo
decidersi a partecipare a quella organizzata alla Bellevue.

29 dicembre
La visita del professor Tschudy da Zurigo è andata bene.
1922

5 gennaio
Dal 30 dicembre è di nuovo molto peggiorato. Si agita per l’imminente
visita della moglie. Vuole estorcere ai medici con ogni mezzo
l’autorizzazione a farla restare qui almeno per otto giorni. Si tormenta già in
anticipo per tutti i dettagli del viaggio: se il passaporto sia valido, chi
accompagnerebbe la moglie all’andata e al ritorno, dove e come dovrebbe
vivere qui. Vuole che lei abiti nel suo stesso appartamento nel Parkhaus,
cosa che gli viene negata dai medici visto l’episodio occorso in occasione
della visita della moglie a Jena.
Ultimamente l’ernia inguinale destra sporge maggiormente. Di certo ciò
dipende anche dal continuo urlare e parlare a voce alta. Consulto del dottor
Brunner1 di Münsterlingen, il quale propone, considerate le condizioni
psichiche del paziente, di riprovare con un cinto erniario. In realtà sarebbe
indicata un’operazione.

6 gennaio
Sono state prese le misure per un cinto erniario dal direttore del reparto
specializzato della ditta Hausmann di Zurigo, l’addetto ai bendaggi
Ammann, che gli lascia un cinto provvisorio. Il paziente si adira molto per
quel «caprone rosso, anch’egli complice della banda Binswanger».

11 gennaio
Continua a manomettere il cinto erniario provvisorio. Pertanto gli è stato
prescritto il riposo a letto, fino a quando non arriverà quello definitivo. È
sempre molto agitato e chiassoso. Ieri ha sostenuto che l’autore del rapporto
lo avrebbe punto con un lungo ago per infettarlo.
2 febbraio
È sempre molto irrequieto. Riposo a letto da circa dieci giorni. Di notte
prende farmaci più forti. Inoltre sono riaffiorate le vecchie idee deliranti
riguardo ai suoi familiari e le calunnie sessuali nei confronti di chi lo
circonda. Stamattina dalle dieci e un quarto alle undici e tre quarti ha fatto il
bagno, per la prima volta da quando è qui. In presenza del medico è entrato
nella vasca senza opporre resistenza. Si è comportato correttamente. Per lo
più ha tenuto le mani fuori dell’acqua, in parte lasciandole cadere
liberamente, in parte appoggiandole al bordo della vasca.

9 febbraio2
È ancora molto agitato. Ripete più volte il bagno continuo la mattina e il
pomeriggio. Alcuni giorni fa è andato con il sottoscritto nel parco.
Inizialmente le cose si erano messe bene, ma poi la confusione è aumentata
gradualmente. Voleva a tutti i costi entrare nella Villa Roberta3, dove,
secondo lui, avrebbe dovuto trovarsi sua moglie. Credeva che un’estranea,
della quale gli avrebbero parlato e che sarebbe potuto andare a trovare,
fosse sua moglie. Avrebbero solo voluto metterlo alla prova. Dovette essere
costretto con la forza a tornare indietro. Lo tormenta il pensiero che sua
moglie sia stata fatta a pezzi da un paziente del reparto aperto, e aggredita
da un altro, dato che la maledetta banda Binswanger avrebbe tolto
appositamente le chiavi delle porte. Sua figlia Detta sarebbe stata uccisa dal
sottoscritto, ecc. «Ludwig, quel maledetto, mi ha attirato fuori della stanza
soltanto perché i suoi complici potessero ammazzare indisturbati la mia
famiglia». Si mette davanti alla porta di un’altra stanza, nella quale suppone
ci sia suo figlio, e si esprime come segue: «Figliolo, ci sei? Sono tuo padre.
Non essere arrabbiato con me, carissimo figliolo, la maledetta banda
Binswanger mi ha trattenuto così a lungo. Hai assolutamente ragione, se mi
dici come Cappuccetto Rosso: Papà, che voce forte che hai! Me l’ha data la
banda Binswanger, caro figliolo. Di’ un po’, sei davvero a Plön? Sì, papino
chicchi mi ha mandato i miei pattini e adesso ci vado a tutta birra. Dimmi,
figliolo, io ti ho sparato con la pistola nel 1918? No, papino, non mi hai
colpito. Mio caro ragazzo, non essere arrabbiato con me e fai in modo che
possa tornare presto a casa. Adieu, caro figliolo, il tuo vecchio papino ti
saluta, salutami tutti».
Lo tormenta molto l’idea di aver ucciso o ferito gravemente con la pistola
il figlio, di aver ucciso anche la sua famiglia e di aver ferito la madre nel
1918.

28 febbraio
(Autore del rapporto dottor Kurt Binswanger.) È quasi sempre inquieto.
Ha dovuto fare spesso il bagno continuo. Ha pensieri terribili e muove
accuse inaudite nei confronti dei medici. Di tanto in tanto ci sono giorni in
cui sa essere molto cordiale e si fa coinvolgere in discorsi scientifici.

12 marzo
In generale è di nuovo più tranquillo. A volte riesce ad attenersi
maggiormente alle regole. Durante le passeggiate si comporta bene.
Ultimamente sembra che le gravi idee deliranti stiano diminuendo. Anche il
fervore con il quale il paziente ne parlava è diminuito. Talvolta sembra
anche che il paziente creda, se glielo si garantisce, che i suoi parenti siano
sani e salvi ad Amburgo. In compenso è passata in primo piano la
preoccupazione per il cinto erniario. Il cinto erniario funziona alla
perfezione, se applicato correttamente. Il paziente è stato nuovamente
sorpreso a non aver indossato il cinto nel modo giusto e a trafficarci, benché
fosse tenuto continuamente sotto controllo. Ricopre i medici di rimproveri,
dicendo che lo vorrebbero morto, e che sarebbero stati aizzati dagli
antisemiti. Si lascia però calmare più facilmente di prima. Negli ultimi
tempi ha mandato a più riprese al suo bibliotecario, il dottor Saxl, lettere di
contenuto scientifico apparentemente chiare riguardanti lavori pubblicati,
facendo delle critiche eccellenti e sottili.

22 marzo
Consulto del dottor Brunner da Münsterlingen, che ha dato all’addetto ai
bendaggi Forster le indicazioni necessarie alla confezione di un nuovo cinto
erniario. La visita si è svolta con estrema difficoltà e dovendo superare
tenaci resistenze da parte del paziente.

23 marzo
Visita del Geheimrat Boll da Heidelberg, che ha pubblicato lo scritto del
paziente su Lutero. Il paziente ha intrattenuto per diverse ore una
conversazione molto stimolante, si è fatto notare per il ragionamento
apparentemente chiaro e l’argomentazione scientifica.
25 marzo
Ogni tanto è necessario il ricorso al bagno continuo e alla
somministrazione di narcotici, tra i quali 0,5 Veronal ottengono l’effetto
migliore. È felicissimo che siano stati stampati due lavori che aveva scritto
a suo tempo a Roma. In generale, l’interesse scientifico è sempre più
vivace; ogni tanto detta alla nostra segretaria lettere al riguardo al dottor
Saxl.

9 aprile
Nell’ultimo periodo si è continuamente preoccupato per una questione di
eredità. I fratelli gli avrebbero inviato un documento da firmare che ha
suscitato sempre nuove agitazioni, timori e idee deliranti. Ha tempestato la
famiglia di telegrammi e lettere, che sono stati spediti solo in parte e in
versione ridotta. Il fatto di aver ricevuto immediatamente tutti i chiarimenti
dai fratelli e soprattutto dal giurista dottor Fritz, il quale inoltre gli ha
inviato una perizia al riguardo effettuata da un altro giurista, non lo ha
minimamente impressionato. Al medico ha comunicato soltanto una
minima parte di quanto sopra. Ha dichiarato che tutto ciò non gli basta e che
esige un avvocato tedesco e il console (senza il consenso della famiglia,
l’avvocato e il console gli vengono negati). Dato che alla fine i fratelli non
rispondevano più e che la moglie lo rimproverava per lettera, dicendogli
che doveva affidarsi ai fratelli, i quali, in realtà, avrebbero dovuto essere
offesi, visto che egli li accusava di mancanza di tatto ecc., disse: «In quanto
fratello maggiore sono abituato a lottare sempre, anche quando so che i miei
fratelli hanno ragione, prendo di petto qualsiasi problema, anche se alla fine
poi rimane tutto come volevano loro, e come avevano ritenuto giusto fin
dall’inizio». Dato che la tensione cresceva, gli è stato imposto l’ultimatum
di firmare il documento entro tre giorni, altrimenti sarebbe stato inviato
indietro senza firma. Dopo la decorrenza di questo termine, la questione è
stata «archiviata»: non se ne è più parlato, i parenti non hanno più scritto
nulla al riguardo, la lettera in merito non è più stata spedita. Appena il
paziente si è trovato di fronte al fatto compiuto, si è calmato
sorprendentemente in fretta. All’ultimo momento voleva firmare. Tuttavia,
quando gli è stato portato il documento, non ha saputo decidersi.
Durante questo stato di agitazione è molto aggressivo verso chi lo
circonda, dà pugni, colpisce e graffia l’infermiere e il medico. L’infermiere
Wieland, che era in vacanza, avrebbe ucciso tutti i suoi familiari su ordine
della banda Binswanger, che voleva estorcergli una firma che attestasse la
sua rinuncia all’eredità, per entrarne in possesso. Crede di dover morire di
fame insieme ai suoi familiari.

11 aprile
Giornata buona. Ha fatto una passeggiata al lago.

22 aprile
Ha un nuovo motivo per alterarsi. Il lettino da visita nella Villa Harmonie
viene utilizzato dal dottor Ludwig come banco da macellaio, per trucidare
sua figlia Detta; una piccola bilancia con delle uova di Pasqua
simboleggerebbe una bara, nella quale il dottor Ludwig avrebbe seppellito
le proprie malefatte. La bilancia sarebbe la conferma che Detta si è sposata,
e precisamente con Wieland, e che aspetta un bambino, cosa che egli
sospetta da tempo. Dato che l’alimentazione è peggiorata, gli vengono
prescritti cinque giorni di riposo a letto. Viene esortato in maniera più
insistente a mangiare. Ogni pisello, patata, fagiolo è l’anima di un essere
umano. Non mangia pesce, perché suo figlio è stato trasformato in un pesce,
e lo mette in guardia: «Papà, non vorrai mica mangiarmi».

23 aprile
Il riposo a letto sembra averlo tranquillizzato. Ha ricevuto visita da parte
del cognato del dottor Ludwig, il dottor Föhrenbach, il cui fratello è stato
nello stesso reggimento del paziente. Tutto si è svolto in maniera tranquilla,
ma subito dopo si è agitato. La testa sembrava un teschio, i denti
sembravano quelli di una belva, non mangia né carne né pesce; una volta è
ufficiale, una volta medico. Nel pomeriggio riceve una visita dal professor
Pfänder da Monaco. Il paziente si arrabbia perché quest’ultimo ha parlato
poco: «Vecchio grassone ed emerito incapace».

26 aprile
Ieri gli ha fatto visita il dottor Heise da Lubecca, il quale si stupisce del
fatto che il paziente inveisca meno contro i medici di quanto non facesse a
Jena. L’incontro si è svolto in maniera relativamente tranquilla.

3 maggio
Lo stato di salute è molto mutevole. Si ha l’impressione che, negli ultimi
tempi, l’agitazione sia peggiorata, ma che il paziente riesca comunque a
calmarsi più rapidamente di prima, che anche durante le giornate negative si
lasci distrarre con facilità, di solito con un tema scientifico, che si lasci
coinvolgere in discussioni tranquille e obiettive, per potersi però scatenare
subito dopo.

4 maggio
Ieri ha ricevuto visita dal signor Richard Samson da Amburgo. Come
succede sempre negli ultimi tempi, tali visite di estranei si svolgono in
maniera serena, ma il giorno successivo il paziente è tuttavia sempre più
agitato del solito. Ci si deve rassegnare, visto il momentaneo effetto
positivo di tali visite, e per evitare che il paziente si chiuda troppo in se
stesso.
Oggi era nuovamente inquieto. Però si è calmato subito, quando il
sottoscritto gli ha comunicato che il dottor Embden verrà presto a trovarlo.
C’è ancora da aggiungere che nei giorni di agitazione gli vengono
somministrati dei narcotici: due Dial4 più 1 g di Adalin5 oppure 0,5 g di
Veronal (chiamato dal paziente «Wiribischux», il primo «Beschisol»)
oppure 0,5 g di Medinal. Ultimamente si è ricorso soltanto una o due volte
ai bagni continui.

5 maggio
Ieri è venuto a fargli visita il dottor Embden. Il paziente era calmo,
affabile e molto contento. Ha fatto una passeggiata. A ogni pasto ha
mangiato abbondantemente.

6 maggio
Molto chiassoso e confuso. Embden non era Embden bensì un fantasma.
Non torna mai ad Amburgo ma viene trattenuto dalla banda Binswanger. Il
sottoscritto odora di carne umana, quindi lo deve aver mangiato.
Colloquio con il dottor Embden che ci chiede, a nome del dottor Max
Warburg, di controllare e di limitare in futuro le spese inutili da parte
dell’infermiera. Inoltre, che il paziente stesso sappia pure che il suo
soggiorno qui, calcolato in valuta tedesca, costa una cifra assurda. Il
paziente dovrà continuare a ricevere tutto il necessario, ma nessun tipo di
lusso e di esagerazioni. Noi sottolineiamo che auspichiamo vivamente una
«tale forma di educazione» e che anche noi avevamo in mente qualcosa di
simile. L’infermiera Hecht viene convocata, sembra comprendere tutto,
anche durante il colloquio sull’argomento in presenza del paziente.
Si scopre però che l’infermiera ha travisato tutto in maniera pseudologica
alle nostre spalle. Sostiene di essere meravigliata persino delle nostre mance
ecc., mentre era lei stessa ad alzarle alle stelle contro la nostra volontà. Ha
alluso anche al fatto che, visto lo scarso numero di pazienti,
finanziariamente si pretendeva troppo dalla famiglia Warburg. Ha chiesto al
dottor Max di non comunicare nulla di tutto ciò al dottor Embden ecc.

8 maggio
In contrasto con la sua condotta iniziale, l’infermiera Frieda Hecht
cambia atteggiamento, agisce contro gli interessi medici, ha spiegato al
dottor Ludwig Binswanger di non poter assecondare il nuovo regime, se ne
lamenta anche di fronte al paziente. Le è stato perciò prospettato il
licenziamento (vedi resoconto dettagliato dell’8 maggio al dottor Embden)6.

10 maggio
Con il consenso della famiglia, l’infermiera viene licenziata. Ha
commesso l’errore di raccontare già ieri mattina tutti i dettagli al paziente;
nonostante da parte nostra fosse già stato stabilito che sarebbe partita
soltanto fra una settimana, si è lamentata in presenza del paziente di essere
stata mandata via da qui solo perché stava dalla sua parte, perché voleva
curare i suoi interessi, e perché voleva aiutarlo, di modo che non venisse
tormentato. Dato che il paziente è entrato comprensibilmente in uno stato
d’estrema agitazione, il sottoscritto ha separato i due e ha richiesto
l’allontanamento dal paziente. Il giorno successivo le ha però proposto una
stanza alla Bellevue per sistemare le sue cose.
Commiato commovente dal paziente. «Tesoro caro, tesoro, devo
andarmene, perché mi assumo le responsabilità delle mie azioni; si chiarirà
tutto, ci rivedremo presto». All’autore del rapporto dice: «Amo il
professore, ma non sessualmente, come potrebbero credere gli altri». Non si
rende conto di aver agito alle spalle dei medici, tuttavia capisce che ha
tormentato il paziente inutilmente, comunicandogli così precocemente il
proprio licenziamento, coinvolgendolo in generale in questa faccenda.
Vuole andare ad Amburgo per chiarire tutto.
Dopo la partenza dell’infermiera il paziente è inizialmente ancora agitato.
Pretende che ritorni, che vada soltanto in ferie per qualche giorno. Si calma
però prima del previsto, distratto dalla prova di una nuova cinghia per il
cinto erniario. Pranza abbondantemente, è molto cortese con il suo custode.
Gli dice che sarebbe soddisfatto se l’infermiera dovesse venirlo a trovare
per qualche giorno, diciamo fra un anno.
Bisogna aggiungere che, all’apice della scena del commiato, quando il
paziente teneva stretta l’infermiera e non la voleva lasciare andare, l’ha
però respinta nel momento in cui lei voleva dargli un bacio.

15 maggio
La transizione si è svolta molto meglio del previsto. Il paziente sembra
anche abituarsi alla nuova infermiera Lydia Kräuter. Si lamenta del fatto
che questa sia un mostro e una vecchia strega, ma s’intrattiene volentieri
con lei. La interroga su tutti gli impieghi precedenti, è contento che sia
cattolica. Le chiede di pregare per lui. Conosce anche alcuni medici con i
quali l’infermiera ha lavorato.
Naturalmente, il paziente cerca di approfittare del cambio d’infermiera,
di reintrodurre ogni genere di vizi che gli erano stati tolti a fatica: la scarsa
puntualità, il portarsi dietro una serie di portafogli, due o tre paia di guanti e
le chiavi per fare una passeggiata, l’aumento della quota d’acqua
concessagli per lavarsi ecc. Quando non ottiene nulla, si lamenta che anche
lei è uno strumento plagiato dalla banda Binswanger.
Aumentano le congetture sull’infermiera precedente: quella puttana andrà
sicuramente ad Amburgo per diffamarlo, per mettersi fra lui e sua moglie;
quella simulatrice lo avrebbe truffato e derubato, sarebbe un’assassina,
avrebbe ucciso sua moglie, sarebbe andata a Heidelberg per uccidere suo
figlio, e qui si sarebbe ingozzata e rimpinzata. Ma lui le avrebbe comunque
voluto bene, nonostante la sua mostruosità, per la sua enorme vitalità.
Quando gli si chiede se sia il caso di richiamare l’infermiera, risponde in
maniera evasiva: «Prima dovrei pensarci bene, diciamo che forse fra un
anno potrebbe anche tornare». Confida alcuni pettegolezzi: quando portava
la posta, doveva darle prima uno «schiaffo» per ottenere la lettera della
moglie. Sembra che lei gli abbia detto: «Lei morirà di sicuro, ma se deve
rimanere qui da solo fra questi uomini e viene torturato, non posso starmene
qui a guardare».
19 maggio
Con l’infermiera fa delle passeggiate nel parco e nei dintorni.
Complessivamente è più calmo, ma continua ad avere molte idee deliranti:
la cera per pavimenti verrebbe dai cadaveri, il latte sarebbe troppo giallo, e
perciò proverrebbe da esseri umani, se mangiasse riso al latte
distruggerebbe la moglie. Ieri ha accusato dolori di stomaco. Quando il
sottoscritto lo ha visitato, gli ha detto che la sua mano era leggerissima, ma
che sarebbe Lucifero, un angelo caduto, che sarebbe molto peggio del
dottor Ludwig, il quale sembra violento, ma è comunque più accessibile, e a
volte ha egli stesso paura del proprio coraggio. È molto più puntuale di
prima. Ma ieri ha fatto molte difficoltà per farsi la barba, perciò non viene
più rasato per tre giorni.

30 maggio
La visita del figlio con Percy Schramm dal pomeriggio alla sera del 25 è
andata piuttosto bene, anche la reazione successiva non è stata traumatica. È
stato distratto in fretta dalla questione del taglio dei capelli, della pesatura,
della consegna delle lettere, cose alle quali si è provveduto fra ieri e oggi e
che hanno causato un grande pandemonio e reazioni violente. Da ieri riposo
a letto. Peso 54,5 kg.

15 giugno
Da allora è rimasto a lungo a letto, poiché è estremamente violento e
chiassoso. Una volta ha dato un pugno nello stomaco all’infermiere,
facendolo quasi svenire. Nel frattempo è riuscito a stare improvvisamente
calmo per qualche ora, per poi rientrare altrettanto improvvisamente in stato
di grande agitazione alla minima occasione. Per il suo compleanno, il 13,
gli ha fatto visita il professor Ritter da Amburgo, che il paziente ha trattato
rudemente denigrandolo come uno studentello, nonostante quest’ultimo si
fosse dato molto da fare per portargli un vecchio abito oltre il confine, cosa
che alla fine non gli è però riuscita, dato che il paziente non se l’era sentita
di fargli una delega postale. In presenza dell’impiegato comunale che era
venuto apposta per autenticare la firma, ha fatto una grande scenata,
sostenendo che si volesse fargli firmare la propria condanna a morte. Ha
chiesto una miriade di delucidazioni, e alla fine era ormai troppo tardi. Il
pomeriggio del suo compleanno, dopo aver fatto molte difficoltà, ha preso il
tè dal dottor Ludwig Binswanger ma, a differenza di prima, non è mai
riuscito a liberarsi delle idee deliranti (che gli si volesse fare qualcosa di
male). Correva in estrema agitazione da una stanza all’altra, voleva
estorcere la visita di tutta la sua famiglia per le nozze d’argento. Da allora
di nuovo riposo a letto. Peso 55,5 kg. Tracce di glucosio nel sangue.

17 giugno7
La visita di Kurt Hahn si è svolta in maniera tranquilla.

21 giugno
Sostiene che durante la notte il sottoscritto abbia indossato le sue
mutande. La torta di compleanno sarebbe stata fatta con qualcosa di molto
più terribile del sangue umano. È dovuto restare di nuovo più volte a letto.

28 giugno
Molto turbato per la morte di Rathenau8, il paziente crede che il fratello
sia in grave pericolo. È leggermente più calmo.

1° luglio
Durante la visita di Kurt Hahn si comporta in modo molto sereno e
piacevole. Il complotto ai danni del fratello, il dottor Max9, gli sarebbe stato
nascosto per non farlo preoccupare ancora di più. I quotidiani che ne
parlano gli verrebbero tenuti nascosti e anche le copie dei giornali degli altri
pazienti verrebbero sequestrate.

2 luglio
La visita del dottor Breithaupt è andata bene, nonostante il paziente si
fosse molto agitato. I pazienti sarebbero assassini, cagnacci, ruffiani,
canaglie.

6 luglio
Visita del signor Borelli.
Nelle sue lettere il paziente tempesta tutta la famiglia di domande sul
conto del fratello Max (il signor Max gli ha ripetutamente scritto di persona
per rassicurarlo).

17 luglio
Ha avuto pochi giorni tranquilli, solitamente è agitato. Di tanto in tanto
prende 0,5 Medinal, che ha un buon effetto. Oggi gli ha fatto visita la
moglie del dottor Ludwig, che sarebbe una gatta che mangia uccelli. È stato
colpito da un breve attacco di dissenteria, riceve […]10.

20 luglio
È andato a passeggio con il Geheimrat Binswanger.

22 luglio
Questa sera ha assistito alla relazione del dottor […]11 su Gottfried
Keller. Ha abbandonato improvvisamente la sala. Dice che un insetto gli
avrebbe fatto dei segni, avvertendolo che era successo qualcosa di terribile.
Fischia per chiamare la moglie, fruga in una tenda per bambini, crede che lì
ci siano dei cadaveri e […]12.

30 luglio
[…] resiste energicamente. Molto eccitato, perché non gli viene concesso
durante la passeggiata di […] Giudice distrettuale Hertz. Idea che sia stato
assassinato dai medici.

3 agosto
Ieri gli ha fatto visita il fratello Felix. Il paziente pensa che questa notte
lo abbiano arrostito nell’edificio con le celle […].

5 agosto
Cancellazione della […] del dottor Brunner, Müsterlingen. È presente
l’addetto ai bendaggi. Cancellata l’operazione […] non se ne fa parola al
paziente.

10 agosto
Sta di nuovo un po’ meglio. Ha il permesso di radersi da solo, se si è
insaponato senza perdere tempo. Ieri è andato al campo da tennis e ha
assistito alle partite. Nel pomeriggio ha fatto visita alla capoinfermiera alla
villa Tannegg; ha sfogliato con molto interesse l’ultimo libro di Prinzhorn,
Bildnerei der Geisteskranken13. Poi è andato dal fruttivendolo Vecellio, con
il quale sfoga tutto il suo dolore. Tuttavia stamani è nuovamente andato su
tutte le furie: il libro di Prinzhorn sarebbe stato fatto apposta per lui.
Attende un telegramma che annunci la visita della figlia. Glielo avrebbero
rivelato le unghie delle mani e dei piedi.

15 agosto
È sempre chiassoso, impreca molto, fischia e chiama i suoi familiari. Ha
visto il figlio di un custode. Successivamente sostiene che sia stato divorato.
Ieri gli ha fatto visita il signor Kurt Hahn, oggi il professor Goslinger, il
quale sarebbe stato piazzato lì dal dottor Ludwig, di modo da non dover
rispondere alle domande che il paziente avrebbe voluto rivolgergli. Anche
questo professore sarebbe un incapace. Avrebbe preferito andare da V. Di
tanto in tanto gli viene somministrato 0,5 Veronal, che ha sempre un buon
effetto.

20 agosto
Ieri e oggi visita del Geheimrat Boll che si è svolta in maniera eccellente.
Il paziente ha conversato animatamente, è stato con lui al Gartenhaus14, ha
addirittura mangiato la carne; tuttavia dopo ha sostenuto che si trattava di
carne umana. Dopo la partenza del visitatore, il paziente è rimasto
relativamente calmo.

21 agosto
Visita del fratello Felix, dopo la quale si è agitato e ha imprecato.

29 agosto
Dopo le diverse visite è stato necessario prescrivergli due giorni di riposo
a letto, che gli hanno fatto bene. Spesso ha dei momenti in cui riesce a
raccontare in maniera divertente e interessante episodi del suo passato.

6 settembre
Stato di salute passabile. Si è interessato molto alla nascita del figlio
minore15 del dottor Ludwig, si è già più volte informato al Gartenhaus sulle
condizioni della madre e del bambino. Oggi ha addirittura acconsentito a
una pulizia approfondita della sua stanza da letto, ma si agita comunque
quando viene lavato il pavimento.

13 settembre
Oggi riposo a letto a causa della diarrea. Quando ieri ha visto la signorina
E., che è tornata dall’Inghilterra, ha detto: «Ecco, adesso la colonia penale è
di nuovo al completo».

18 settembre
È molto dispiaciuto del fatto che il bambino del dottor Ludwig sia
dimagrito.

20 settembre
Ieri e l’altro ieri visita del dottor Saxl, che si è svolta in maniera
eccellente. È stato quasi sempre tranquillo, di buon umore, spiritoso, ha
dialogato prevalentemente di questioni scientifiche, ha discusso con lui di
questioni importanti riguardo alla Biblioteca. Oggi è di umore splendido.
Ha fatto visita alla moglie del dottor Ludwig e al neonato. Dopo è andato
dall’addetto ai bendaggi, con il quale è stato affabile per la prima volta.
Successivamente è stato dalla sua fornitrice di cioccolata, con cui si è
lamentato della sua precedente infermiera.

22 settembre
La visita della moglie del professor Richter e di Kurt Hahn si è svolta
bene.

2 ottobre
A volte è molto inquieto. Si agita severamente perché i suoi davanzali
sono stati riverniciati, la vernice sarebbe stata ricavata da esseri umani. Le
imminenti nozze d’argento, vale a dire i relativi preparativi, lo turbano
molto. Si preoccupa del fatto che una lettera promessagli dal dottor Embden
non sia ancora arrivata. Si lamenta che il sottoscritto si sia preso un giorno
libero. In questo periodo critico non avrebbe da prendersi ferie. Chiama il
dottor S.M. una vecchia bottiglia di vino rosso vuota.

6 ottobre
Grandi preparativi e preoccupazioni per le nozze d’argento, di
conseguenza è fortemente irrequieto.

8 ottobre
Ieri è arrivato il dottor Embden. Già prima il paziente era molto agitato, e
si lamentava del fatto che non arrivasse. Lo avrebbero trattenuto lassù. Poi
però è molto affabile, hanno mangiato assieme, anche del pesce. Oggi si
festeggiano le nozze d’argento. Arrivano la moglie e tre figli. Voleva andare
incontro ai suoi familiari, ma non aveva finito di prepararsi, e quindi li ha
salutati dalla finestra della sua camera da letto. Quando sono entrati, si è
prima rivolto al capocustode, lamentandosi di non aver ancora ricevuto il
secondo foglio dell’edizione del mattino della «Neue Zürcher Zeitung».
Dopodiché ha salutato molto calorosamente i suoi familiari. Verso le dodici
sono arrivati i bambini delle famiglie Binswanger per fare gli auguri e
hanno portato dei fiori. Il paziente era molto contento, è stato tutto il giorno
di ottimo umore, sempre tranquillo, ha pranzato con i suoi familiari,
imprecando un po’ per il troppo cibo, ha comunque mangiato
abbondantemente.

11 ottobre
L’umore nel complesso è buono, soltanto al mattino ha parlato un po’ da
solo, si controlla molto davanti ai suoi familiari. L’altro ieri sono partite le
figlie con il dottor Embden, mentre la moglie e il figlio possono ancora
restare. È andato con loro a prendere il tè in una pasticceria, consuma i pasti
con loro, ieri hanno fatto una gita in automobile. Oggi è stato dalla moglie
del dottor Ludwig per prendere il tè. Di tanto in tanto è ancora agitato e
chiassoso. È caratteristico che, quando passa con la moglie davanti a Villa
Roberta, non può fare a meno di fischiare, dato che ha preso quest’abitudine
nel periodo delirante in cui pensava che sua moglie vi fosse tenuta
prigioniera. Parla intensamente dello studio con il figlio – costui sa come
distrarlo.

14 ottobre
Oggi partenza della moglie e del figlio. Ieri c’è stata la festa per il
compleanno della moglie. Durante gli ultimi due giorni il paziente era
piuttosto agitato, manifestava preoccupazioni, imprecava contro la carne
rossa. Stamani si è alzato con il nostro permesso già alle quattro, alle sei e
mezzo era pronto, ha potuto accompagnare i familiari al treno. Il commiato
è andato bene. Stasera era molto inquieto, ha inveito in continuazione
contro il personale medico. Gli viene somministrato 0,5 Veronal.

21 ottobre
Non è tardata la reazione al lungo periodo di visita. Il paziente è sempre
molto agitato. Vuol far cadere tutti gli accordi presi in precedenza, inveisce
contro il personale medico. È stato ripetutamente violento. Ogni volta che
fa una passeggiata vuole portare con sé e chiudere in una cassetta un quadro
che gli ha regalato la moglie e che lei stessa ha appeso al muro, di modo che
non gli venga rubato. Gravissimo stato di eccitazione, colpisce i medici e il
personale, perciò vengono prescritti tre giorni di riposo a letto.

24 ottobre
È ancora molto agitato, deve restare a letto. Ha dovuto prendere altre due
volte 0,5 Veronal.

30 ottobre
Sta quasi sempre male. Manifesta una serie di idee deliranti. Ha sentito
cadere qualcosa e sostiene che sia stato giustiziato qualcuno, avrebbe
sentito cadere la testa. Si tratterebbe di sua figlia Detta. Quando è stato
riparato il ponte davanti alla sua finestra, ha detto che il legno vecchio che è
stato bruciato erano i suoi familiari.
Dopo che si è tentato ripetutamente invano di fare alzare il paziente (ogni
volta deve essere riportato a letto), da due giorni può di nuovo uscire. Gli
hanno fatto visita Rolly B. e il dottor Dornseiff, libero docente a Basilea. È
andata relativamente bene.

10 novembre
Ora va a passeggio senza portarsi dietro il quadro dipinto dalla moglie.
Se una disposizione viene eseguita in maniera coerente, allora il paziente
col tempo si adatta sempre, ritornandovi solo di rado. Tuttavia, se non si
presta molta attenzione, cerca di trasgredire alla disposizione ormai
consolidata e di far passare qualcosa di nascosto.
Oggi in una cartoleria era talmente agitato e ha inveito a tal punto contro
la commessa perché un’ordinazione non era ancora arrivata, che siamo stati
pregati dal negozio di non farci più andare i nostri pazienti prima di Natale.

11 novembre
Prende il tè dalla moglie del dottor Ludwig. All’andata ha imprecato
molto e anche al ritorno, tutto sarebbe stato diverso da prima ecc., nel
Gartenhaus è stato relativamente composto.

15 novembre
Da qualche tempo si arrabbia perché, data la temperatura più rigida, le
finestre non possono essere lasciate costantemente aperte. Si riempie la
bocca con imprecazioni parossistiche. Il quadro clinico è cambiato nella
misura in cui anche nell’arco della giornata lo stato oscilla più spesso di
prima. Sa essere per ore affabile, calmo e partecipe, sa essere brillante nelle
conversazioni, affrontare temi scientifici e fare battute pertinenti; e poi può
improvvisamente entrare nello stato di eccitazione più selvaggio, di
un’intensità che non si osservava da tempo, utilizza le espressioni più
scurrili e diventa aggressivo.

21 novembre
Ha assistito a una relazione del dottor Ludwig Binswanger Sulla
fenomenologia16, che è stata tenuta davanti a un pubblico di psichiatri e altri
medici del circondario. Ha ascoltato con molta attenzione, ha partecipato al
dibattito, esprimendosi con frasi brevi e concise. Poco dopo è entrato in uno
stato di forte agitazione, la faccia gli è diventata tutta rossa; fuori ha
cominciato a imprecare talmente tanto che non lo hanno più potuto fare
entrare. Dopo è stato per un po’ alla Bellevue per prendere il tè, ma anche lì
non è potuto restare a lungo. Sosteneva che tutto ciò fosse stato un’udienza
del processo contro di lui, che lo avrebbero messo appositamente in disparte
in quanto imputato; sopra di lui ci sarebbe stato, appeso al muro, un quadro
di Amburgo. Ha origliato di nascosto una conversazione del sottoscritto con
un collega di Costanza (dottor Sch.)17, il quale sarebbe stato l’incarnazione
della cattiva coscienza. A suo avviso la conversazione verteva
esclusivamente su di lui, aveva capito benissimo che gli avevano
diagnosticato una paralisi progressiva. Tutta la conferenza sarebbe stata una
velata accusa contro di lui, perché i suoi uomini avrebbero fatto qualcosa,
ma gli altri non se ne sarebbero accorti. Il poliziotto lo avrebbe portato egli
stesso. (Il paziente aveva chiesto alla moglie del dottor Ludwig di farlo
venire a prendere prima della conferenza al Parkhaus.)
Non è mai puntuale. A ogni pasto fa difficoltà, deve essere
continuamente esortato a mangiare.

22 novembre
Ieri gli è stato prescritto un giorno di riposo a letto, poiché durante la
pesatura è saltato al collo dell’infermiera e ha tentato di strangolarla.

27 novembre
Sta sempre male, tuttavia di tanto in tanto resta calmo per qualche ora.
Ha ricevuto visita da Kurt Hahn e dalla moglie del professor Richter da
Salem. Ha brillato per il suo talento retorico. Successivamente ha inveito in
maniera ignobile contro l’infermiera, perché gli avevano portato riso al
sugo di pomodoro. Era chiaro che fosse sangue.
Quando recentemente l’ufficio postale aveva già chiuso e lui voleva
spedire una lettera, l’ha di nuovo interpretato come un complotto del
personale.
Ieri, quando il sottoscritto, esaminando i piedi del paziente, gli ha voltato
le spalle, questi gli ha dato un pugno nella regione lombare, perciò gli è
stato fatto un bagno continuo. Gli è stato prescritto riposo a letto.

29 novembre
Il paziente soffre di geloni, ha una vescica sulla pianta del piede sinistro,
a causa della quale si agita terribilmente. Pensa che si tratti di un inizio di
cancrena dovuta al diabete. Per tranquillizzarlo viene chiamato il dottor
Sträuli, il chirurgo, che conferma la diagnosi, vedi referto allegato18. Sta
sempre male, di tanto in tanto strepita e strilla.

2 dicembre
Protesta contro il trattamento (le parti del piede interessate vengono
cosparse di polvere di Vioformio19, inoltre vengono applicati degli
impacchi caldi). Tira pizzicotti e scalcia durante il cambio delle bende, ma
il costante riposo a letto fa benissimo ai piedi.

11 dicembre
Sta male. Su sua richiesta, una paziente (la signora von S.) voleva
portargli il suo bimbo (dato che l’umore sembrava buono e il paziente si
controlla sempre molto in presenza dei bambini, è stato concesso il
permesso). Il paziente non gli ha quasi fatto caso, ha chiesto soltanto della
moglie e del figlio. Quando gli ospiti se ne sono andati, è esploso un
gravissimo stato di agitazione. Il bambino sarebbe stato di sua figlia Detta,
poi invece suo figlio, che avrebbero fatto a pezzi e che gli sarebbe stato
mostrato in un pacco. Insulta l’infermiera con le espressioni più indecenti,
le tira calci, l’afferra con tanta forza da lasciarle diversi lividi sulle braccia.
Per ordine del sottoscritto, le vengono concessi due giorni e mezzo di
congedo.
13 dicembre
L’allontanamento dell’infermiera ha profondamente impressionato il
paziente, lo ha messo in estremo imbarazzo, scrivendo a casa non ne ha
parlato. Appena ha sentito che il sottoscritto ne ha informato la moglie, ha
detto che quest’ultimo scopre gli altarini. Quando l’infermiera è tornata, è
stato molto gentile nei suoi confronti, chiedendole di avere pazienza con lui.
Nel complesso è di nuovo calmo.

17 dicembre
Ripetuto stato di agitazione a causa della spedizione di una selezione di
libri ecc. Aveva fatto chiamare il meccanico per farsi saldare un perno
spezzato di un raccoglitore. Quando questi è finalmente arrivato, il paziente
non voleva fargli toccare il raccoglitore, che perciò gli dovette essere
sottratto.

19 dicembre
Da ieri è qui in visita il figlio, che ha un aspetto stanco ed esaurito. Il
figlio non ha potuto portare oltre il confine le cose che gli aveva chiesto il
padre (dolci, sapone ecc.). Perciò il paziente ha sbraitato a tal punto che il
dottor Kurt lo ha minacciato di far subito allontanare il figlio. Così si è
calmato. Oggi è più tranquillo, perché è stato possibile portare oltre il
confine le cose che aveva richiesto. Ha conversato affabilmente con il figlio
sulla prevista conferenza sugli indiani ecc.

20 dicembre
Partenza del figlio. Il paziente si è rallegrato della sua visita, ma in sua
presenza si è comunque molto lamentato del personale.
È deluso perché il fratello Fritz e la moglie hanno dovuto posticipare la
visita prevista per Natale. Durante la festa di Natale ha parlato quasi
esclusivamente di questo, ha perseguitato il dottor Ludwig e l’autore del
rapporto, prima e dopo la festa, con tutte le richieste possibili. Pensa che il
posticipo della visita sia avvenuto su nostra iniziativa. Ha disturbato il
concerto di violino con dei soliloqui piuttosto rumorosi. Sembrava che
l’alberello lo rendesse un po’ felice, ma ha inveito contro l’infermiera,
perché avrebbe scelto come regalo per sua moglie una camelia rossa.
Scegliere un fiore con quel nome come regalo per sua moglie sarebbe fuori
luogo.
Durante gli ultimi due giorni è stato leggermente più calmo.

Parkhaus (Archivio Università di Tübingen).


Villa Maria (Archivio Università di Tübingen).
Bagno privato (Archivio Università di Tübingen).
Bagno privato (anni ’80).
Vasca per idroterapia (Archivio Università di Tübingen).
Vasca per idroterapia (anni ’80).
Bagno continuo (dalla Psychiatrie di Emil Kraepelin).
Dettaglio di vasca (anni ’80).
1923

3 gennaio
Ogni tanto fa delle battute interessanti. Pensava che nei pasticcini da tè
che aveva mangiato ci fosse la carne del fratello e della cognata. Ha detto
all’infermiere che ora si trovano entrambi nel suo stomaco. Quando questi,
dandogli corda, gli ha detto che a questo punto non doveva dunque più
preoccuparsi per il loro arrivo, perché ora li aveva con sé, il paziente ha
risposto che ormai erano già spariti nel gabinetto.
È sempre inquieto, agitato per l’arrivo del dottor Fritz Warburg con
consorte. Insulta l’infermiera con le espressioni più indecenti, perché
quest’ultima non vorrebbe riparargli le giarrettiere. Tuttavia, ogni qualvolta
lei voleva prenderle, il paziente si rifiutava di consegnarle, cosicché il
sottoscritto ha dovuto togliergliele con la forza.
Il 31 visita del fratello e della cognata. Inveisce tutto il giorno contro i
medici e gli infermieri. È sempre chiassoso e inquieto. Si fa attendere a
lungo dai familiari, prima di iniziare a mangiare. I parenti, soprattutto la
moglie del dottor Warburg, sostengono che il paziente sia in realtà nelle
stesse condizioni in cui si trovava a Jena, anche allora si sarebbe lamentato
delle giarrettiere. Lei non potrebbe immaginarsi un ritorno del paziente ad
Amburgo, se non altro per rispetto dei figli.
Accompagna i familiari attraverso il parco fino al ponte, si congeda da
loro in maniera relativamente serena. Loro gli telefonano come stabilito da
Costanza. Più tardi va alla recita di San Silvestro alla Bellevue, seguendo
con molto interesse la rappresentazione teatrale e comportandosi in maniera
del tutto tranquilla. Rientrando a casa ha fatto di nuovo molto baccano. Ha
accusato dolori al torace.
Durante gli ultimi giorni è stato inquieto, meno puntuale che mai.
16 gennaio
Di solito sta molto male, spesso impreca e sbraita per un nonnulla. Per
esempio recentemente ha fatto una scenata perché per il caffè delle quattro
gli avevano portato soltanto una fetta di torta invece di due. Ciò si collega
alla sua coercizione a lasciare sempre avanzi di ciò che sta mangiando. Se
per sbaglio mangia uno di questi avanzi, è terribilmente infelice, si lamenta
di aver mangiato uno dei suoi figli.
La sua scarsa puntualità continua a peggiorare: mentre prima alle dieci
del mattino aveva terminato la toeletta nella stanza da bagno, ora ciò dura a
volte fino oltre le undici. Lo stesso vale per i preparativi per il pranzo, per il
caffè delle quattro, per la cena e per coricarsi. A forza di portare avanti e
indietro i suoi libri e le sue lettere, a forza di lavarsi ecc., molto spesso fa
raffreddare il cibo. Ogni esortazione scatena un’esplosione parossistica di
insulti, durante la quale il paziente si monta la testa con una tale agitazione
che deve essere portato a letto. Riposo a letto e narcotici, come 0,5 Veronal
oppure 0,2 Dial più 1 Adalin riescono sempre a calmarlo per un po’. Però il
paziente riceve i sonniferi soltanto ogni tre o quattro giorni.
I repentini sbalzi d’umore, anche in meglio, si manifestano meno
frequentemente di prima. Così l’8 gennaio il paziente assiste a una
conferenza del professor Harnack. Prima ha perso molto tempo per mettere
sotto chiave le sue cose, non riusciva a decidersi a partire, cosicché lo si è
dovuto portare verso l’automobile con la forza. Per tutto il tragitto ha
imprecato contro l’infermiere e l’infermiera, ma durante la conferenza è
stato assolutamente tranquillo, ha ascoltato con estrema attenzione e dopo la
conferenza ha conversato per circa mezz’ora animatamente con il professor
Harnack, senza alcuna traccia della precedente agitazione.
Ieri gli ha fatto visita la signora Rohland. Di mattina era di nuovo molto
inquieto, chiassoso e in ritardo. Durante la visita il paziente era molto
calmo, ha intrattenuto un’eccellente conversazione; dopo il tè ha fatto una
passeggiata con la signora Rohland, le ha comperato della cioccolata per i
figli. Gli verrà nuovamente concesso di ricevere più visite.

28 gennaio
Sta sempre male. Si è agitato molto perché sua figlia Marietta (Detta) è
andata ad Aschaffenburg a trovare un’amica senza il suo permesso. È molto
preoccupato perché quest’amica frequenterebbe un uomo che il paziente
avrebbe conosciuto a Jena, il quale gli era da sempre risultato sospetto, e
che sarebbe sicuramente un delinquente. L’amica e la madre dell’amica
sarebbero completamente in suo potere, e ora gli verrebbe consegnata anche
sua figlia, quella povera creatura innocente. Gli viene concesso di scrivere
subito alla moglie per comunicarle che protesta fermamente contro questo
viaggio e che esige che la figlia venga richiamata a casa. Un telegramma in
merito viene allegato alla lettera. Il giorno successivo si è potuto parlare più
tranquillamente della questione con il paziente. I timori riguardo a questo
signore (Schmisow) sono risultati essere di carattere puramente delirante.
Motivando le sue idee, il paziente si contraddice costantemente; prima ha
sostenuto di essere stato messo in guardia da un certo Andres, un
bibliotecario di Jena, riguardo a questa persona. Quando gli è stato chiesto
se dovessimo chiedere informazioni a questa persona, ha ritrattato tutto.
L’intera città avrebbe parlato di questo delinquente. Lui stesso una volta
sarebbe andato a trovarlo. L’appartamento gli era sembrato così lugubre e il
fratello di quest’uomo sarebbe sgattaiolato via con una velocità così
sorprendente. Lì tutti avrebbero avuto la coscienza sporca. Quel che rimane
dopo un interrogatorio approfondito è che l’infermiera Frieda e un’altra
infermiera gli avrebbero confermato che quest’uomo aveva un’aria sospetta.
Questo stato di forte alterazione per la figlia è durato quattro o cinque
giorni. Il paziente sosteneva che la figlia fosse stata rapita, che egli doveva
riportare ordine in casa sua, che suo fratello non ha voce in capitolo, che il
padre è lui. Quando gli è stato chiesto come avrebbe risolto la questione se
fosse stato a casa, ha spiegato che chiunque gli si fosse opposto, lo avrebbe
semplicemente steso proprio come nel 1918. Dopo due giorni di riposo a
letto questa agitazione è scemata per essere sostituita da altre idee deliranti.
Si è agitato perché il figlio è andato da Heidelberg a Monaco senza
chiederglielo. Deve esserci qualcosa anche contro quel ragazzo. Si arrabbia
perché Kurt Hahn non è ancora arrivato. Anche il fatto che il dottor Saxl sia
andato a Vienna dalla madre malata, invece di venirlo a trovare, sarebbe
ancora un’altra malattia diplomatica inventata dalla banda Binswanger.
Il 26 gennaio consulto del dottor Sträuli, perché il cinto erniario non
regge più e l’ernia fuoriesce sempre quando si agita. Il dottor Sträuli fa
delle proposte per migliorare il cinto erniario, vuol far venire un addetto ai
bendaggi da Schaffhausen per apportare insieme a lui dei miglioramenti.
Prima di farsi visitare, il paziente ha interrogato per oltre mezz’ora il
medico riguardo alla sua formazione ecc., dopodiché si è fatto
tranquillamente visitare. In seguito si è lamentato dicendo che non capiva
un granché della sua ernia e che anche lui era un incompetente.
Ieri, quando il paziente non ha di nuovo toccato cibo per un’ora e,
malgrado tutte le esortazioni, non voleva decidersi a mangiare, il
sottoscritto lo ha fatto tenere da tre infermieri e lo ha imboccato con il
cucchiaio. Poco prima 0,5 Veronal, che ha attenuato l’agitazione.
Nonostante ciò, il paziente era molto adirato per questo provvedimento.
Dovrà restare ancora diversi giorni a letto.

31 gennaio
Riposo a letto da ormai cinque giorni, durante i quali si è calmato. Se non
altro è più puntuale nei pasti. Gli hanno fatto visita la signora Gröninger e la
moglie del sottoscritto. È stato persino affabile e composto. Oggi è stata una
giornata particolarmente positiva. Il paziente ha raccontato all’infermiera
molti episodi della sua fanciullezza, e che già da bambino aveva avuto
accessi d’ira terribili. Solo grazie al fratello e alla cognata ha ritrovato la
gioia di vivere.
Quando recentemente l’autore del rapporto gli ha spiegato che avrebbe
preferito cedere il trattamento a un altro medico, il paziente si è molto
irritato, dicendo che si trattava di poltronaggine e che esigeva che il
sottoscritto rimanesse da lui fino a quando non sarebbe potuto tornare a
casa.
Glucosio nelle urine: il 3 e il 17 gennaio 1%; nel frattempo sono
rintracciabili soltanto tracce oppure niente glucosio. Ieri 0,2%.

6 febbraio
Ieri e l’altro ieri consulto del Geheimrat Kraepelin giunto da Monaco. Il
paziente era molto indignato del fatto che Kraepelin volesse visitarlo
durante il tempo previsto per il lavaggio. Ha dichiarato di volerlo buttare
fuori. Poi però è sorprendentemente calmo, accelera tutte le procedure del
lavaggio. Quando Kraepelin si congeda, il paziente inveisce contro tutta la
«banda Binswanger». Questo branco di cani vorrebbe soltanto farlo
arrabbiare e tormentarlo. Esige che Kraepelin rimanga ancora un po’ con
lui. Dopo pranzo il paziente ha detto di aver già mangiato il piccolo
Geheimrat nella frittata, perché non era proprio una bellezza, un po’
stopposo. Nel momento in cui aveva visto il piccolo Geheimrat attraversare
il ponte in compagnia di due rapinatori assassini, avrebbe subito capito «che
era suonato».

Referto del Geheimrat Kraepelin


Diagnosi: Stato misto maniaco-depressivo con relativa prognosi
assolutamente favorevole. Al momento è da escludere una dimissione dalla
clinica, proprio perché si tratta di un caso acuto e l’uscita precoce
rallenterebbe soltanto il processo di guarigione.
Si consiglia: Riposo a letto fino al pomeriggio, cura di oppio.

Il paziente è indignato per la cura di oppio e per il riposo a letto prescritti.


Dice di voler essere curato dal dottor Binswanger e non da Kraepelin.
Quest’ultimo sarebbe un uomo violento e un tiranno. Si oppone con
fermezza a questo nuovo trattamento.

7 febbraio
Inizio della cura di oppio. Due volte dieci gocce per arrivare a due volte
cinquanta gocce (vedi tabella allegata)1. Considerando gli stati di agitazione
previsti, si rinuncia alla dose prescritta per il pranzo e gli viene
somministrato l’oppio soltanto alla mattina e alla sera.

10 febbraio
Si altera moltissimo riguardo alla questione dell’oppio. Sostiene che lo
agita ancora di più. Durante i primi giorni si è dovuto somministrare l’oppio
al paziente. Oggi, invece, lo ha preso per la prima volta da sé.

15 febbraio
Si lascia andare alle ingiurie e alle invettive più ignobili a causa
dell’oppio e del riposo a letto. Tutto questo sarebbe finalizzato soltanto ad
avvelenarlo. Si dibatte spesso. Mangia peggio. Va regolarmente di corpo. Il
paziente riceve assieme all’oppio sempre anche della tintura2.

22 febbraio
Visita di Kurt Hahn. Durante le passeggiate va a lamentarsi della cura di
oppio dai suoi vecchi conoscenti: in farmacia, dal suo «italiano» (il
fruttivendolo). S’informa con esattezza sulla dose massima. Si lamenta di
non avere notizie della sua famiglia (la moglie gli scrive quotidianamente).
25 febbraio
Da ieri prende due volte al giorno cinquanta gocce. Da domani la dose
verrà nuovamente diminuita. Negli ultimi giorni il paziente è stato un po’
meglio, inveisce contro l’oppio che lo spingerebbe a essere così orribile nei
confronti di chi lo circonda.

3 marzo
Dal 27 febbraio a ieri ha ricevuto la visita di entrambi i nipoti Hertz, che
sanno esattamente come comportarsi con lui. In loro presenza il paziente si
è lamentato molto del cibo. Ha da ridire perché in tavola si serve su piatti
d’argento. Quando però, la volta successiva, viene usata la porcellana, esige
nuovamente l’argento. Ha tormentato molto l’infermiera. Oggi ha
manifestato le solite preoccupazioni riguardo alla partenza dei nipoti. È
stato con loro a prendere il tè dal dottor Ludwig. Più tardi si è lamentato che
la moglie del Dottore aveva offerto appositamente delle fette di pane sottili,
di modo che i suoi nipoti dovessero mangiare torte o altri dolciumi.

10 marzo
Sta sempre male, è agitato, furioso e manesco.

12 marzo
Arrivo del dottor Saxl, che, come già d’accordo, starà qui per un lungo
periodo, per lavorare scientificamente con il paziente. Dose giornaliera
quarantacinque gocce di oppio.

15 marzo
Ha delle belle discussioni con il dottor Saxl. Ha iniziato a lavorare
scientificamente. Vuole tenere prossimamente una conferenza su un viaggio
presso gli indiani Sioux. Il dottor Saxl lo aiuterà a elaborarla. Ora prende
solo venticinque gocce di oppio la sera.

18 marzo
Termine della cura di oppio.
Non ha portato alcun placamento. Il paziente non è mai stato così male.

27 marzo
La visita del dottor Saxl si svolge in maniera soddisfacente. Il paziente è
di nuovo più calmo. Lavora in modo piuttosto continuativo: lavora alla sua
conferenza con il dottor Saxl dalla mezz’ora a un’ora il mattino e due ore il
pomeriggio. Fanno insieme delle passeggiate. Di tanto in tanto succede che
il paziente non riesce a mettersi a lavorare, perché deve lamentarsi con il
suo ospite di tutte le presunte angherie. Fortunatamente, ciò avviene solo di
rado. Su sua richiesta ha ottenuto un altro custode (Johann Näher).

4 aprile
L’elaborazione della conferenza procede bene. Le condizioni attuali del
paziente costituiscono lo stato ottimale rispetto a ciò che abbiamo visto
finora. Le agitazioni mattutine sono meno frequenti. Minano il rendimento
e il tempo per il lavoro intellettuale. Lo stato d’animo predelirante di fondo
persiste. Nessuna coscienza approfondita della malattia. Da un punto di
vista strettamente clinico può essere preso in considerazione un congedo in
un futuro prossimo. Nel caso di un ritorno ad Amburgo si deve pensare
soprattutto alla tutela dei familiari. Tutto sta nel vedere se ciò sia possibile.
Il figlio e la figlia maggiore non possono assolutamente restare in casa. La
durata del congedo e il ritorno in questa clinica dovrebbero essere decisi da
un collegio, preferibilmente composto dal dottor Embden, dal fratello Max
Warburg e dal cognato Wilhelm Hertz. Ad Amburgo si dovrebbe anche
decidere la questione dell’operazione all’ernia. Questo congedo potrebbe
essere approvato soltanto se il paziente si dichiarasse d’accordo con le
condizioni di cui sopra, e se a casa fosse in grado di lavorare bene
scientificamente, proprio come qui.

6 aprile
È molto più agitato. Non rispetta gli accordi riguardo al lavaggio delle
mani. Ha minacciato l’infermiera, perché gli aveva chiesto di essere più
puntuale. Si è dovuta revocare la visita del dottor Saxl per tutto il giorno.

9 aprile
È furioso, perché il sarto non avrebbe correttamente foderato il suo
completo, e perché la stoffa della fodera non sarebbe di buona qualità ecc.
Perciò inveisce tutto il giorno contro l’infermiera.

22 aprile
Il 21 aprile si è svolta la conferenza a lungo preparata sulle danze dei
serpenti degli indiani Sioux con collegamenti all’utilizzo generale dei
serpenti nella mistica cosmica ecc. Il paziente aveva invitato un grande
pubblico e aveva provveduto a un buon allestimento delle immagini ecc. La
conferenza in sé si è risolta più che altro in una chiacchierata in connessione
con il materiale fotografico che ha sviluppato una quantità di nozioni, ma in
maniera piuttosto disorganizzata; le questioni principali erano troppo
avvolte da argomenti accessori, ai punti di vista importanti si è accennato
soltanto per inciso e con allusioni intimamente archeologiche, che solo
pochissimi fra i presenti potevano cogliere. Inoltre, la voce del relatore era
rotta e poco chiara.
Ciò nonostante la conferenza di un’ora e tre quarti è stata una grande
prestazione dinamica. Malgrado tutti i piccoli contrattempi causati dai
guasti tecnici, la padronanza mentale del paziente è stata sorprendente.
I generosi elogi hanno riempito il paziente di soddisfazione.

26 aprile
Anche nei giorni seguenti la conferenza ha continuato ad avere un effetto
positivo. Le inesorabili imprecazioni mattutine erano più pacate. La sera si
poteva quasi sempre svolgere una conversazione ordinata. Tuttavia l’effetto
perde rapidamente d’intensità.

2 maggio
Il 30 aprile e il 1° maggio è venuta in visita una cugina del paziente, la
signora Blumenfeld. Quasi esclusivamente a causa della scarsa puntualità di
quest’ultima la prima visita al professore, prevista per il 30 aprile, è stata
annullata, la seconda, invece, si è potuta effettuare ieri secondo programma.
Ieri e oggi si è potuta constatare una crescente agitazione mattutina. Tutte le
presunte mancanze da parte della direzione della clinica al riguardo hanno
offerto al paziente materiale per discorsi fulminanti, che sono stati
pronunciati con voce sempre più alta. Le chiassose espettorazioni mattutine
sono ormai diventate per il paziente delle esigenze, delle coazioni. Le
caratteristiche sono le seguenti: durante la discussione in merito a
un’operazione dell’ernia il paziente dichiara che il suo medico di Amburgo
gli avrebbe detto che, se non smette di urlare, la sua salute sarà in grave
pericolo. Sostiene di non poter fare a meno di urlare. Così non avrebbe
alcuna speranza di un’operazione riuscita.
11 maggio
Dato che la visita mattutina al paziente veniva spesso disturbata dai suoi
fragorosi accessi di collera, e che il paziente stesso definisce le ore dedicate
alla vestizione come le più irritanti, dal 7 maggio la visita mattutina è stata
fissata per le dieci, a condizione che il paziente abbia già terminato le fasi
principali della vestizione (lavarsi, radersi ecc.). Finora il paziente ha
rispettato i patti e anche di mattina è stato possibile condurre delle
conversazioni tranquille con lui.

13 maggio
Viene stabilita una nuova pianificazione della giornata (dottor Kurt), che
regola soprattutto le diverse fasi della vestizione, ma che apporta soltanto
delle piccole modifiche alle abitudini consolidate. Il paziente è molto
adirato, tempesta i medici di invettive, parla di «politica catastrofica».
7: aprire le imposte (d’inverno alle 7.15);
7.30: alzarsi; lavarsi gli occhi, gabinetto, lavarsi due volte le mani;
lavarsi i denti
8.15: colazione;
8.30: radersi, toeletta; farsi la doccia, asciugarsi, cura dei piedi ecc.;
9.15: riposo o vestirsi;
10: salone;
10-11;
11-12;
12: lavarsi una volta le mani;
12.15: pranzo;
13.30-15.30: riposo;
16.15: tè;
17-19: fare una passeggiata o lavorare;
19: lavarsi le mani;
19.15: cena;
21.30: stanza da bagno;
22: spegnere la luce.

14 maggio
Il paziente ha un accesso di collera e passa alle vie di fatto quando viene
mandato a letto per tutto il giorno perché non era stato puntuale nel vestirsi.
Mentre durante la sua tirata mattutina fa risalire queste disposizioni alle
motivazioni più crudeli, la sera è come trasformato, sembra comprendere la
finalità della regolamentazione del caos mattutino e fa formalmente pace
con il sottoscritto.

15 maggio
Sia la mattina sia la sera il paziente è stato bene, pacifico, puntuale ecc.
Motiva il suo comportamento con il desiderio di tornare ad Amburgo.
Anche in questi giorni il paziente non dimentica di far giurare al medico
alla fine della visita «che nessun membro della sua famiglia si trovi qui o
sia malato», «che non ci sia nessuna lettera del dottor Embden» ecc. Queste
domande vengono poste in forme pressoché stereotipate.
Sembra rilevante che, per quanto ne sappia l’autore del rapporto,
quest’anno il paziente non abbia più fischiato durante le sue passeggiate
davanti a Villa Tannegg, al fine di invitare i suoi parenti a uscire, cosa che
invece aveva sempre fatto negli anni precedenti.

16 maggio
Stamani il paziente è stato calmo e accessibile. Mentre il colloquio di
ieri, durato mezz’ora, verteva essenzialmente su questioni scientifiche, oggi
il paziente racconta in maniera esaustiva e ordinata la posizione della sua
famiglia rispetto all’educazione religiosa, all’impostazione tedesca dei suoi
fratelli a New York e Amburgo*.
* Sembra essere ancora molto teso nei confronti di Lienau (vedi la sua
cartella clinica del 21 maggio 1919, passim)3, il quale sarebbe un convinto
antisemita.
Durante il commiato nel corridoio, si verificano tuttavia nuovamente
delle piccole scaramucce con l’infermiera, Butz e Neher, comunque in
forme più contenute del solito.

17 e 18 maggio
In entrambi i giorni è stato composto e calmo. Attende una visita di Boll.

19 maggio
Furioso litigio con il personale di guardia, perché gli è stata data, per
avvolgere la pelotta del suo cinto erniario, una confezione di garze che era
già stata aperta. Nonostante il Geheimrat Boll sia in vista, rallenta il
completamento della sua toeletta e protesta esterrefatto quando il
sottoscritto rifiuta di spostare il pranzo di mezz’ora. Nel momento in cui si
pone in maniera più tranquilla nei confronti del Geheimrat Boll, disapprova
che il figlio si rechi in viaggio verso la regione del Rodano e sia indeciso se
proseguire negli studi o dipingere, e si sofferma a parlare in maniera
dettagliata della propria conferenza; l’atmosfera è comunque tesa e nervosa,
cosa che nota anche il suo ospite.

20 maggio
Al mattino e nel pomeriggio è molto agitato. Cerca di motivare con
argomentazioni filosofiche e ricorrendo a numerose petitiones principii
quanto sia intollerabile l’impossibilità di spostare il pranzo, sovrastando
verbalmente il sottoscritto. La sera prende una compressa di Pantopon.

21 maggio
Stazionario idem.

22 maggio
Stamani è decisamente più calmo. Ha terminato in tempo di vestirsi ed è
possibile discutere con lui le questioni sollevate il 19 maggio senza
giungere a uno scontro.
La sera è moderatamente agitato, soprattutto a causa del controllo del
peso previsto per domani; si lascia facilmente somministrare una compressa
di Pantopon.

23 maggio
La pesatura viene effettuata senza difficoltà. Termina anche in tempo la
toeletta ed è tranquillo.

25 maggio
Ieri e stamani è stato calmo. Nel pomeriggio è stato turbato dall’aver
visto l’autore del rapporto in compagnia dei signori Schm. e Pacht nei
pressi del Parkhaus. Interpella al riguardo il dottor Kurt, incaricato della
visita serale, e si agita.

26 maggio
Stamani taglio dei capelli. Il paziente è molto contrariato, dal momento
che il barbiere usa le proprie forbici. È particolarmente irruente anche nei
confronti del sottoscritto, il quale ordina il riposo a letto. La sera è
tranquillo.

27 maggio
È calmo e composto.

5 giugno
Dal primo del mese è di nuovo in visita il dottor Embden, con il quale
viene accuratamente discussa la possibilità di far tornare il professore ad
Amburgo. Se dovesse persistere l’attuale fase di tranquillità, si potrebbe
provare a dimetterlo agli inizi di luglio. Il dottor Embden propone al
paziente le proprie condizioni e quelle della famiglia Warburg: un piano
arredato soltanto per lui, i figli non dovrebbero abitare la stessa casa, il
telefono verrebbe staccato ecc. Il paziente si dichiara d’accordo con alcuni
rimproveri. La recente visita con il fratello Felix si è svolta senza
imprevisti. Il paziente sembra molto soddisfatto dei risultati della visita del
suo medico di famiglia, ma in cuor suo è estremamente preoccupato per
l’imminente viaggio e per il soggiorno a casa. Il commiato dal dottor
Embden si è svolto senza problemi.

9 giugno
È di nuovo più inquieto; è preoccupato che il riso che ha mangiato la sera
dopo la partenza del dottor Embden sia stato cotto nella stessa pentola in cui
era finito anche il cadavere del dottor Embden. Si è arrabbiato per aver
ottenuto dei francobolli rossi per una lettera. Inoltre si preoccupa per il
figlio che, nel bel mezzo di un semestre, ha fatto un viaggio nella regione
del Rodano, per dipingere; vuole persuaderlo a rientrare con una lettera e un
telegramma, e farlo venire qui. Si indigna anche per il fatto che la figlia sia
nuovamente andata ad Aschaffenburg, senza averglielo chiesto, per prestare
aiuto in un istituto di educazione.

13 giugno
È il suo compleanno. Si rallegra delle visite e dei fiori donatigli dalle
signore e dai bambini della casa, nel pomeriggio fa una passeggiata; la sera
dichiara però che il fatto che sua figlia non gli abbia scritto gli ha rovinato
la giornata.

16 giugno
Aumenta l’agitazione; ogni giorno il paziente si aspetta di ricevere una
lettera d’auguri per il suo compleanno da parte della figlia, ed è
particolarmente preoccupato per il viaggio del figlio nella regione del
Rodano; a ciò si aggiungono le preoccupazioni per la propria partenza:
vuole controllare e fare personalmente tutte le valigie, vuole andare da solo
in stazione per riservare il vagone, e si altera perché la moglie non ha
ancora trovato una cuoca. Gli vengono somministrati più volte da 0,02 a
0,04 Pantopon, ogni tanto anche 0,5 Veronal.

23 giugno
È sempre molto ansioso. Ieri gli è finalmente giunta la lettera d’auguri
della figlia, ciò nonostante non si placa. Pensa ancora che il figlio e la figlia
siano stati attirati qui e uccisi. Inveisce contro il personale con le
espressioni più scurrili, diventa aggressivo, non rispetta più i tempi e si
tormenta con i preparativi per il viaggio. Considerando le sue condizioni, è
stato comunicato al medico di famiglia e alla famiglia stessa che non
possiamo assumerci la responsabilità di un ritorno a casa per il termine
stabilito. Siamo del parere che si debba aspettare che subentri nuovamente
una fase più tranquilla, dato che le possibilità per una riuscita del tentativo
sono attualmente troppo esigue (vedi corrispondenza allegata)4.

25 giugno
Dopo la conferma telegrafica e scritta che sia il medico personale sia la
famiglia sono d’accordo con il rinvio della data di partenza, oggi c’è stato
un colloquio del dottor Ludwig e dell’autore del rapporto con il paziente.
Gli viene rivelata la decisione della famiglia e dei medici. In un primo
momento il paziente è molto alterato; si quieta però abbastanza
velocemente, chiede che venga fatto tutto il possibile per permettergli di
tornare a casa in futuro.

26 giugno
Ha ricominciato a inveire contro i medici, i quali avrebbero ostacolato la
sua partenza e non vorrebbero più farlo tornare a casa. Complessivamente,
in occasione del rinvio della data di partenza, il paziente si è agitato molto
meno di quanto sia solito fare per un’inezia qualsiasi. Si lamenta della
prevista prenotazione di un’ambulanza a sole quattro ruote; dal momento
che lui avrebbe viaggiato sempre in una a sei ruote, ciò sarebbe un inutile
risparmio ecc.

5 luglio
La visita del professor Rohland si è svolta senza imprevisti. C’è stata
molta confusione poiché il paziente aveva perso la sua matita. Ha ricoperto
il custode e l’infermiera di insulti inauditi, ma alla fine ha ritrovato
l’oggetto perduto nel suo portafogli. Si è subito calmato e si è scusato.

13 luglio
Visita del dottor Breithaupt da Costanza. Il paziente è spesso agitato. Nei
negozi di Kreuzlingen si lamenta di non poter tornare a casa. Per il resto, a
tale riguardo, si è calmato con sorprendente rapidità.

1° agosto
Dal 22 al 27 luglio visita del dottor Saxl. Il paziente è spesso turbato e
impreca di continuo. In seguito a un episodio di profonda inquietudine, un
infermiere ha dovuto riportarlo nella sua stanza. Il paziente si è talmente
ribellato che, non appena l’infermiere ha lasciato la presa, è caduto a terra.
Il dottor Saxl pensa che il viaggio ad Amburgo sia consigliabile, anche
perché la famiglia si starebbe innervosendo a causa della continua attesa.
Egli ritiene che, ad Amburgo, il paziente non potrà durare a lungo. Oggi gli
sono stati tagliati i capelli. Gli viene somministrato 1 g di Veronal; è stato
necessario immobilizzarlo.

10 agosto
Visita del figlio del professor Sieveking. Il paziente è calmo, ma alle
nove e mezzo di sera ha avuto un improvviso accesso d’ira, a causa dei fiori
nel suo salotto. Non amerebbe questi fiori (stavano lì già da settimane).

11 agosto
È stato invitato dalla moglie del dottor Otto a Landschlacht. La moglie
del dottor Ludwig dovrebbe accompagnarlo. Quando lei voleva andarlo a
prendere in automobile, il paziente si è rifiutato di partire.

23 agosto
Complessivamente è più calmo, però è molto preoccupato per due dei
suoi figli. Vuole assolutamente che il figlio vada a prendere la figlia ad
Aschaffenburg e che ritornino insieme ad Amburgo. Si arrabbia
terribilmente perché i figli non gli obbediscono subito.

3 settembre
È stato dal dottor Otto in occasione di un ricevimento serale, si è divertito
molto, ha addirittura ballato con la moglie del dottor Otto.

15 settembre
Complessivamente sta molto meglio, non è mai stato così bene come in
questi giorni. Ha ricevuto dal fratello la notizia che egli (il fratello) è
contrario a un suo ritorno ad Amburgo, a causa della situazione politica in
Germania, benché dal punto di vista medico la partenza sia ormai
autorizzata. A tale proposito è piuttosto ragionevole.

30 settembre
Per lo più sta bene; in questo periodo ha però nuovamente avuto dei
giorni turbolenti, nei quali sono affiorate un’altra volta le vecchie idee
deliranti. Di recente, si è terribilmente alterato perché l’infermiera aveva
fatto cadere una scatola di latta piena di cerotti. Perciò è stato necessario
somministrargli ancora 0,5 Veronal. Oggi è scosso perché suo figlio vuole
recarsi in Italia nonostante il suo divieto. Si è lamentato per la lettera della
moglie, e del fatto che la sua famiglia faccia ciò che vuole e che lui,
sebbene sia il padre, venga escluso. Parla da solo a voce alta.

19 ottobre
Visita del figlio. Il giorno prima il paziente era molto alterato, voleva
impedire il viaggio in Italia a tutti i costi. Dopo che l’autore del rapporto gli
ha puntualmente spiegato che suo figlio sarebbe potuto andare via da un
momento all’altro, nel caso in cui avesse fatto delle scenate, il paziente si è
calmato. Durante la visita è rimasto tranquillo. Era felicemente sorpreso e
orgoglioso che il figlio si fosse preparato brillantemente al viaggio e di aver
potuto constatare in lui delle eccellenti conoscenze di storia dell’arte. Nel
pomeriggio ha potuto accompagnare il figlio in automobile a Zurigo, cenare
lì con lui e accompagnarlo al treno. È tornato all’una di notte; tutto si è
svolto senza incidenti: nella sala ristorante dell’albergo si è comportato in
maniera impeccabile e ha fatto da solo un’ordinazione al maître.
Si è rallegrato molto dei fiori che gli erano stati portati dalle signore della
casa in occasione del suo anniversario di matrimonio.
21 ottobre
La visita del dottor Saxl è andata male. Il paziente era molto agitato, ha
di nuovo imprecato tutto il giorno utilizzando le espressioni scurrili che gli
erano proprie in passato. Gli vengono somministrati 0,2 Dial.

30 ottobre
Assecondando i desideri del paziente, è stato effettuato il tentativo di fare
a meno dell’infermiere. Tutta l’assistenza viene presa ora in carico
dall’infermiera. Inoltre, è stata rimessa la maniglia alla sua porta. Da un po’
di tempo il paziente può anche uscire, e finora non ne ha approfittato.

6 novembre
La visita del figlio dopo il ritorno dall’Italia si è svolta senza incidenti. Il
paziente ha conversato brillantemente con lui, ha potuto accompagnarlo alla
stazione; per la prima volta ha passato il confine per andare a Costanza, si è
comportato in maniera esemplare, è andato in una libreria e al Museo
Rosengarten.

21 novembre
Nonostante il miglioramento, ha avuto ancora giorni agitati, durante i
quali ha inveito oltre misura per qualsiasi inezia: una piccola macchia su un
asciugamano appena lavato, le patatine fritte, le sue piante ecc. Insulta
l’infermiera con espressioni scurrili; riceve molte visite.

1° dicembre
Complessivamente è più tranquillo, procede molto bene nel suo lavoro
scientifico; attualmente si occupa di dipinti conservati a Ferrara e a Padova.
Nelle ore in cui è più posato, affronta l’argomento in modo estremamente
interessante. Si lamenta di non avere a disposizione la sua biblioteca; però
prende appunti su molte cose, affidandosi alla memoria. Intrattiene una
corrispondenza con la moglie e con il dottor Saxl molto più assiduamente di
prima; si fa spedire libri e chiede informazioni. Si è persino imposto di
ordinare regali per la famiglia e gli amici. Ammette che l’anno scorso non
era riuscito a farlo, perché era convinto che i biscotti fossero stati prodotti
apposta per lui inserendovi brandelli dei suoi familiari.

4 dicembre
È molto irrequieto poiché ieri il dottor Ludwig ha aperto uno dei suoi
rotoli di cioccolata. Il paziente ha dichiarato di aver avuto la sensazione che
gli strappassero un lembo di carne dal corpo. Anche oggi continua a parlare
della cioccolata. Tuttavia affronta la questione in maniera molto più serena
di quanto non accadesse prima.

8 dicembre
È nuovamente turbato, inveisce e si lamenta di tutto, rende la vita
difficile all’infermiera. Oggi ha fatto una scenata perché il suo fazzoletto
era stato stirato a rovescio.

15 dicembre
Ieri l’autore del rapporto ha dovuto prescrivergli un giorno di riposo a
letto, perché il paziente si era alterato oltremodo a causa di una nuova
spugna e aveva preteso una nuova bacinella per potervi lavare la spugna.
Quando ne ha ricevuta una di scorta, l’ha respinta chiedendo che ne venisse
comprata una nuova. Si è arrabbiato a dismisura e ha urlato e imprecato ad
alta voce. Allorché il sottoscritto ha vietato di comprare una nuova
bacinella, ne ha ricavato un poderoso calcio nell’addome.

17 dicembre
Il riposo a letto lo ha in parte calmato. Tuttavia, ieri il paziente ha fatto
una fragorosa scenata all’ufficio postale. Aveva ottenuto l’informazione
errata che, durante il periodo natalizio, lo sportello sarebbe rimasto aperto
anche dopo le sei di sera. Quando però lo ha trovato chiuso, il paziente ha
urlato talmente forte e bussato vigorosamente contro la porta, che siamo
stati avvisati telefonicamente dall’ufficio telegrafico, che si trova al secondo
piano dell’edificio, che il paziente stava facendo un chiasso infernale ed era
necessario andare a controllare.

18 dicembre
Da ieri è di nuovo più tranquillo; aspetta una visita dal dottor Embden, e
se ne dimostra molto contento.
1924

26 gennaio
Le feste sono trascorse in maniera accettabile. Nonostante il
miglioramento dello stato complessivo e la possibilità di lavorare
scientificamente, gli episodi di turbamento riguardo alle piccole cose
quotidiane sono sensibilmente aumentati. Impreca ad alta voce per ore, i
monologhi durante il bagno sono anch’essi di nuovo più chiassosi. Se il
paziente dovesse essere lasciato a se stesso, non riuscirebbe a portare a
termine la toeletta, ad alimentarsi ecc. Perciò deve essere nuovamente
esortato alla puntualità. Forte preoccupazione e agitazione a causa del suo
previsto trasferimento in uno degli altri edifici. Durante il colloquio con il
dottor Embden vengono stabilite alcune condizioni per il suo rientro ad
Amburgo: che sia disposto a rimanere per un periodo sufficientemente
lungo in uno degli altri edifici del complesso per poi trasferirsi con la
moglie in un terzo luogo. Il rientro ad Amburgo avverrà soltanto se tutto ciò
si svolgerà senza incidenti.

1° marzo
Dieci giorni fa è venuto in visita il fratello Max. Il trasloco a Villa Maria
è programmato per la primavera. Prima è necessario che il paziente
raggiunga un grado di disciplina più ferreo. Il rientro ad Amburgo non
avverrà prima dell’autunno. Il paziente si è fatto convincere abbastanza
facilmente a essere più puntuale nel rispettare l’organizzazione della
giornata, e riesce anche a osservare le scadenze. Invece è estremamente
contrariato, ancora prima che si possa in qualche modo intervenire, quando
si cerca di influenzarlo nel momento in cui decide di spostarsi con i suoi
quadri e i suoi libri. Durante tali tentativi il vecchio malato psichico
riemerge nella sua completezza. Il progresso consiste soltanto nel fatto che
le concitazioni si esauriscono molto in fretta. Dato che sono previste
parecchie visite, dev’essere rimandato il provvedimento riguardo alla sua
insensata ostinazione a trascinarsi dietro i propri effetti da una stanza
all’altra.

3 marzo
Visita di due giorni e mezzo dell’addetto ai bendaggi Krauth da
Amburgo, che si impegna moltissimo ottenendo anche un certo successo.
Tuttavia, il paziente non è mai soddisfatto, continua a giocherellare con il
cinto erniario, e vuole di nuovo avere a disposizione altre persone. Ha un
accesso di rabbia quando l’autore del rapporto (Ludwig Binswanger) gli
comunica di non voler essere presente durante le prove del cinto erniario.
Ma nel momento in cui si è reso conto che le proprie scenate erano inutili,
non è più tornato sulla questione.

16 marzo
L’affaire Krauth ha avuto il risultato che il vecchio cinto erniario, fatto
dall’addetto ai bendaggi di Kreuzlingen, è stato di nuovo rivalutato e quello
fatto da Krauth è stato profondamente disdegnato. Quello di Kreuzlingen
viene ora indossato costantemente, dopo aver subito qualche piccola
modifica. Con ciò l’argomento sembra essere stato archiviato.

3 aprile
Spesso sta piuttosto male: si lamenta delle porzioni troppo piccole di
formaggio, delle frittate, della composta di mele ecc. Quando, per una volta,
l’infermiera è rimasta a letto a causa di un raffreddore, il paziente l’ha
definita una putrida carogna. Aveva un foruncolo piuttosto grande sul dorso
della mano, che è stato trattato chirurgicamente dal dottor Sträuli. Il
paziente ha sopportato in maniera piuttosto serena le diverse procedure. Nei
giorni tranquilli si può chiaramente constatare un miglioramento dello stato
generale. Egli lavora molto più assiduamente di prima ai suoi testi
scientifici.

9 aprile
Consulto del Geheimrat Kraepelin da Monaco, il quale accerta a sua
volta un innegabile miglioramento del quadro clinico. Successivamente il
paziente si è lamentato che «quel vecchio ispettore del mattatoio» sia
rimasto così a lungo.

10 aprile
Visita del professor Cassirer da Amburgo, il quale ha delle vivaci
discussioni con il paziente. Quest’ultimo è felice che Cassirer confermi dal
punto di vista del suo campo specifico le ipotesi da lui proposte.
Dal 31 marzo visita del dottor Saxl, che lavora con il paziente alcune ore
al giorno.

2 maggio
Dopo alcuni giorni in cui la situazione stava già peggiorando, il paziente
ha avuto un grave accesso d’ira il 22 aprile; è diventato aggressivo quando
il sottoscritto gli ha spiegato che non era compito suo dettare le condizioni
per il trasferimento a Villa Maria e quando gli si sono fatte notare le sue
grosse valigie. Dopo due giorni di riposo a letto è di nuovo come
trasformato, gentile, accessibile e ragionevole.
Il 30 aprile partenza del dottor Saxl.

4 giugno
Autore del rapporto Ludwig Binswanger.
Trasferimento a Villa Maria.
Il paziente si era già gradualmente abituato all’imminente cambio di
alloggio, ha potuto però partecipare all’arredamento ed esprimere dei
desideri. Tuttavia, l’ultimo giorno aveva predetto che il tentativo sarebbe
fallito. Ha dato, con zelo, una mano a fare e disfare i bagagli. Durante i
giorni del trasloco è stato molto tranquillo; ora è di nuovo leggermente più
irrequieto, ma disturba meno sia con i suoi soliloqui nella stanza da bagno
sia con i suoi monologhi serali, che durano fino alle undici e mezzo.
Comunque dà il suo contributo.
L’aspetto che gli crea maggiori difficoltà è abituarsi alle nuove stanze, in
particolare al lavatoio. Per analogia con le disposizioni dei bagni ad
Amburgo e a Jena, dove il gabinetto e il lavatoio-stanza da bagno erano
separati, già al Parkhaus aveva suddiviso in maniera fittizia la stanza da
bagno in due vani, soprattutto per quanto riguarda gli utensili per il bagno:
per esempio una volta usa la caraffa come «caraffa del gabinetto», la volta
seguente la usa come «caraffa della stanza da bagno», autoconvincendosi
che si tratti di due caraffe differenti. E così si comporta con tutto il resto, il
sapone ecc. – A Villa Maria tutto è ancora piuttosto complicato, poiché ora
il paziente deve far conciliare il lavatoio di Jena e quello del Parkhaus con
quello attuale, cosa che gli crea molte difficoltà. Gli risulta già molto
difficile ricostruire nella memoria la stanza da bagno del Parkhaus. In
generale, è molto turbato dalla nuova disposizione degli spazi, è alquanto
disorientato, per esempio dal fatto che qui l’asse del tavolo è posizionata
verso la finestra in maniera differente e che, di conseguenza, egli deve
compiere movimenti diversi per andare dal tavolo alla finestra ecc.
Appoggia gli effetti personali, come i libri, i quadri, sul tavolo perché ciò
gli facilita l’orientamento. Quando si dedica alla lettura ecc., guarda di
nascosto verso quegli oggetti perché ciò gli conferisce una certa tranquillità.
Perciò non riesce a smettere di trascinarsi dietro le sue cose.

23 giugno
L’altro ieri pomeriggio ha lavorato troppo a lungo e troppo intensamente;
in seguito ha fatto terribili scenate all’infermiera, insultandola con
espressioni estremamente volgari, perché lei gli aveva dato la composta
sbagliata (di pere, che egli non può mangiare, perché non vuole mangiare il
torsolo con i semi, dal momento che conterrebbe i suoi discendenti. Se
potesse prendersi più cura dei propri figli, allora, crede, verrebbero meno
anche simili idee deliranti). In generale, si lagna molto dell’infermiera, che
secondo lui sarebbe troppo vigile; però ieri si è lasciato tranquillizzare
relativamente in fretta, dopo che si era prestata estrema attenzione alle sue
lamentele. Dall’inizio della sua malattia, ora scrive per la prima volta
riutilizzando l’inchiostro, cosa che gli è costata uno sforzo enorme, e molto
più fluidamente. Le lettere di protesta relative al cibo sono più rare e più
ordinate, tuttavia lasciano ancora riconoscere i tratti paranoidi.

12 luglio
Ha reagito alla morte dell’amico Boll molto virilmente; recentemente è
rimasto, su consiglio del medico, un giorno a letto senza fare «storie»,
nonostante prima avesse sempre opposto resistenza. Si occupa già adesso
dei dettagli della sua partenza (carrozza salone) e ha un’intensa attività
intellettuale.

19 luglio
Il processo di rasserenamento prosegue. Da un po’ di tempo è anche più
rispettoso nei confronti dell’infermiera. Recentemente ha tenuto davanti a
un pubblico ristretto una relazione sul suo lavoro su Botticelli ecc.; essendo
però particolarmente sconclusionato, e soltanto abbozzando tematiche
isolate, unite semplicemente da una fragile logica mentale.

12 agosto
Stamani è partito in compagnia del sottoscritto per Francoforte, dove è
stato accolto dal dottor Embden, per proseguire il viaggio verso Amburgo.
Nelle ultime settimane si è via via tranquillizzato, anche nei confronti
dell’infermiera. In generale il suo tono è più tranquillo e gentile. Solo di
tanto in tanto per alcuni giorni è andato a stuzzicare una ragazza addetta alla
cucina, prendendola in giro con cattiveria e denigrandola, cosicché ella è
scoppiata a piangere perché aveva rotto il coperchio di una stoviglia.
Rimproverato, dimostrava comunque un po’ di ravvedimento, facendo
tuttavia passare la ragazza come una persona scaltra, che meritava di essere
sgridata.
Ha accolto ed elaborato come una persona sana la notizia, che lo tocca
molto da vicino, della morte del suo amico, il professor Boll. Ha subito
mosso i passi necessari per acquisirne la biblioteca, procedendo con estrema
prontezza e ragionevolezza. Sino all’ultimo è rimasto immerso nelle sue
problematiche artistico-psicologiche, che continuano a rasentare la
metafisica. Vuole farne un grande libro. Ha fatto i preparativi per il viaggio
in maniera serena e obiettiva, anche la partenza si è svolta senza agitazioni.
Durante il viaggio verso Francoforte è stato sorprendentemente composto,
premuroso, tranquillo. A Francoforte ha pagato lui stesso il conto
dell’albergo, e solo da poco aveva di nuovo imparato a maneggiare i soldi.
Durante il viaggio racconta molti episodi della sua giovinezza, di quanto
fosse stato gracile da bambino, di quanto si rammaricasse che le mucche
non portassero stivali di gomma, di quanto fosse esagerato nell’attribuire
un’anima a tutti i suoi giocattoli, di quanto fosse attaccato alla bambinaia,
che è rimasta per trent’anni in casa e che era protestante. La sua bontà e la
sua mitezza lo avevano profondamente impressionato, cosa che lo aveva
portato, contro la volontà di lei, a nutrire del risentimento nei confronti
delle regole severe del giudaismo e dell’ortodossia del padre. Lei lo avrebbe
salvato dal tifo, che aveva preso all’età di quattro anni; ancora oggi si
ricorderebbe dei deliri di allora. È lampante il contrasto fra il suo amorevole
rispetto per piante, animali e oggetti inanimati da una parte (specialmente
per gli involucri, come per esempio quelli della cioccolata, che non devono
essere eliminati), e dall’altra la sua aggressività intellettuale, la sua sadica
assenza di riguardi durante le fasi psicotiche, la sua ostinazione e indocilità
morali. Ha sempre perseguito tutti i suoi progetti con grande energia e senza
guardare in faccia a nessuno, sin dall’inizio, quando era riuscito a imporre i
suoi studi umanistici. – Nei confronti della donna dimostra un
atteggiamento chiaramente ambivalente, tipo madonna o prostituta. Ha
preso molto a cuore l’innamoramento nei confronti dell’educatrice dei figli
(l’inglese) nel 1914, considerandolo una ingiustizia nei confronti della
moglie; durante la fase psicotica ne aveva provato molto rimorso. Pensa che
tale innamoramento avesse già rappresentato l’inizio di una certa
trasformazione in lui. – Quanto al matrimonio con la moglie, il fatto che
fosse la sorella del suo migliore amico aveva giocato un ruolo rilevante.
L’idea di sposarla era partita da un altro amico e non da lui stesso.
Aby Warburg

Lettere e frammenti autobiografici


Lettera ai Direttori della clinica Bellevue,
16 luglio 19211

Dal 15 aprile mi trovo qui nella clinica psichiatrica Bellevue. Sono


arrivato in carrozza salone, ma in uno stato di temporanea incoscienza a
causa di una iniezione di ioscina fattami di sera nella stazione di Stoccarda
– contro l’esplicita promessa del professor Berger – dopo che avevo già
preso il Medinal. Per questo motivo, delle circostanze esterne del mio
viaggio ricordo solo di non essere stato trasportato nella carrozza salone
come un paziente, ma come un prigioniero, colpevole di qualche misfatto.
Perfino le predelle erano state tirate su e assicurate.
Da allora, nonostante le occasionali assicurazioni dei medici curanti, mi
tormenta il dubbio che contro di me, senza che io sappia nulla al riguardo
(ho spesso rivolto loro tale domanda), esista in qualche modo un’accusa,
della quale non sono mai venuto direttamente a conoscenza. Sono partito
dalla Germania con un certificato di buona condotta ovviamente
irreprensibile e desidero perciò prima di tutto, a formale certificazione di
una esistenza inappuntabile, che mi venga mostrato il mio passaporto. In tal
modo potrò convincermi che tutto è in ordine dal punto di vista formale.
Questo è il minimo che si possa desiderare, poiché mi si è finora negata
l’altra via, quella della comunicazione telegrafica diretta con la Germania.
A questo si aggiunga che non mi si è mai concesso, da parte dei signori
Direttori del Sanatorio, di esaminare la corrispondenza che deve aver
accompagnato il mio ricovero nell’Istituto. Devo insistere che mi venga
almeno mostrato lo scambio di lettere che dev’essere occorso tra mia
moglie, i miei fratelli e i miei medici, perché altrimenti non esco fuori da
questa tormentosa incertezza, contro la quale non vale alcun sedativo.
Devo inoltre – e qui ripeto solamente ciò che ho già detto varie volte ai
signori Direttori – pregarLi con insistenza di prendere l’iniziativa e
consentirmi di ricevere visite, che possono calmarmi, con la loro presenza e
testimonianza, a fronte di questa insicurezza penosa e oltremodo snervante.
Senz’altro accorrerebbe all’appello uno dei miei fratelli, senz’altro
accorrerebbe anche uno dei miei colleghi, come il professor Tschudy o il
professor Sieveking di Zurigo, i quali aspettano solo che venga dato loro un
segnale.
Sarei inoltre grato di ricevere l’assistenza e il conforto di un padre
spirituale, sulla cui scelta mi basterebbe conferire con il signor Direttore. Se
fosse possibile, come è mio ardente desiderio, che mi venisse restituito il
passaporto per il traffico di frontiera a corta distanza, ne sarei
straordinariamente grato, perché in tal modo mi verrebbe data, per esempio,
la possibilità di visitare un amico che ho a Salem2. Sono fermamente
convinto, ed esprimo questa convinzione in relativa calma in questo
momento critico, che solo con una maggiore libertà in merito al ricevimento
di visite mi si può avvicinare alla guarigione. Non desidero nulla più
ardentemente che rivedere mia moglie e i miei figli non appena possibile.
Ma di loro, da quando mia moglie mi ha lasciato a Jena il 26 febbraio, ed è
ritornata ad Amburgo via Naumburg, secondo il suggerimento della Clinica
Berger, non ho più visto traccia. Una visita del dottor Embden il 19 maggio
è stata troppo breve, a mio parere; si dovrebbe ripetere questa visita nel
prossimo futuro, ma molto più importante e desiderato sarebbe l’arrivo di
uno dei miei fratelli o, appena possibile, di mia moglie.
Ho pregato che mi venisse concessa l’opportunità di redigere questa
breve nota, perché ho la sensazione di essere oggi giunto alla fine di una
serie di avvenimenti, senza che io possa ricostruirla, perché non mi è mai
stato detto veramente nulla e sono un oggetto passivo, che cerca inutilmente
di difendersi contro una restrizione della libertà personale, quale viene
applicata solo nei confronti di un imputato. Sono pronto in qualsiasi
momento, o, piuttosto, è mio espresso desiderio ritornare in Germania non
appena possibile, anche a rischio di condurre una vita molto più scomoda.
Ma insisto sul mio diritto, come cittadino dell’Impero, di essere trasportato
ad Amburgo – città della quale sono residente a tutti gli effetti – non appena
ne esprima il desiderio.
A tutti questi interrogativi si potrebbe trovare molto rapidamente una
risposta, verosimilmente nel senso gradito a Kreuzlingen, se i signori
dell’Istituto cercassero energicamente, o soltanto esercitando la minima
pressione, di convincere i miei fratelli a venire per un colloquio. Vedrei in
tale gesto un tentativo, davvero degno di gratitudine, di alleviare la mia
intollerabile condizione, e i signori potrebbero essere certi della mia
perenne riconoscenza. Ma la mia più semplice e urgente richiesta al
momento è, come detto all’inizio, prendere visione del mio passaporto
prorogato.
Kreuzlingen, 16 luglio 1921

P.S. La mia malattia consiste in ciò, che io perdo la capacità di collegare


le cose nei loro semplici rapporti causali, e ciò che si rispecchia nello
spirituale come nel reale, così per esempio posso mangiare per questa
ragione solo cibi semplici e perspicui; perché, mi chiedo, la signora Höfer3,
alla quale avevo esplicitamente fatto la stessa obiezione quando per caso –
sottolineo – visitò la mia infermiera, mi manda melanzane con un ripieno
indefinibile nel piatto, ciò che mi ero appena proibito? Vedo in questa
contraddizione dei miei inutili desideri un serio ostacolo alla mia
autoliberazione4.
Primo frammento autobiografico1

Vorrei, in connessione con ricordi precedenti, porre per iscritto i risultati


della mia autosservazione a partire dall’inizio della mia malattia mentale
nel mese di novembre 1918, perché possano essere d’aiuto come materiale,
da un lato, al medico, dall’altro, a eventuali compagni di sofferenza.
Sono stato malato di tifo nel mio sesto anno d’età, se ricordo bene solo
per sei settimane e non in modo particolarmente grave, affidato alle cure del
dottor Eduard Cohen, allora molto famoso (e che ebbe in seguito in cura,
per breve periodo, Bismarck). Da quell’epoca ho conservato le immagini
fantastiche provocate dalla febbre con tale chiarezza, che mi appaiono alla
memoria come se vi fossero state impresse ieri, associate a sensazioni
olfattive, che mi fanno soffrire da allora una tormentosa sovraeccitabilità
degli organi dell’olfatto. Così ancora oggi so quale odore avesse la pistola
giocattolo che tenevo in mano, quale la tazza di brodo e il brodo che vi era
dentro, e anche quali fossero l’aspetto e l’odore della lana che l’anziana
governante usava per lavorare a maglia, a cagione della quale ancora oggi
ho una accentuata idiosincrasia contro un certo tipo di giallo. In questo
periodo del delirio febbrile ebbi anche visioni di una piccola carrozza con
cavalli che procedeva sul davanzale di una finestra, un ricordo derivato, mi
resi conto più tardi, da una illustrazione in un’opera di Balzac su cui da
piccolo cercavo sempre di mettere le mani, senza comprendere il testo2. A
quest’epoca risale la paura, provocata da ricordi visivi o stimoli degli organi
dell’olfatto e dell’udito sproporzionati e sconnessi, l’ansia evocata dal caos,
e il tentativo di portare intellettualmente ordine in questo caos – un
tentativo che si può designare in generale come il tragico tentativo infantile
dell’uomo pensante – iniziato dunque molto presto e di gran lunga troppo
presto per la mia costituzione nervosa. Da quest’epoca del tifo, che mi è
particolarmente penoso ricordare, anche perché la crescita inquieta si lasciò
dietro l’inclinazione a imprevedibili scatti d’ira, il mio processo di crescita
naturale è stato stravolto a tal punto che, per mia sfortuna, l’intelletto mi si
sviluppò velocemente e a scuola mi fecero saltare due volte metà anno, per
compensare l’inizio ritardato di un anno a causa del tifo. All’asilo avevo
già, senza poterlo confessare, fobie febbrili, per così dire, nella veglia e
senza temperatura, che erano in parte connesse a memorie olfattive. Posso
dire ancor oggi quale fosse l’odore di certi studenti e, soprattutto, l’odore
dell’intera classe. Uno, Ernst Mayer, morì di scarlattina, e non ho potuto
dimenticare fino a oggi questo mio piccolo collega. L’improvvisa irruzione
della morte mi colpì come un accadimento orribile e come l’effetto di un
ambiente, come potenza demoniaca che si esprime nel dominio illogico di
colori, odori e suoni. Il delirio febbrile appunto isola ed enfatizza
l’immagine mnemonica, che ci sta improvvisamente di fronte nella sua
sfrenata potenza individuale. Solo che la paura supplisce e complementa in
modo terrificante, mentre, in una vita reale, è la comunità normale a
intervenire e a porre ordine3. Una circostanza particolare è che la mia
fiducia nella vita, già fragile a causa della febbre tifoide, venne
ulteriormente danneggiata in anni precoci.
Ho imparato a leggere molto presto, prima della scuola: cercavo di
apprendere le lettere contro il desiderio dei genitori e della nostra vecchia
Franziska4 ed ero un così avido spigolatore, che un giorno non mi si trovava
in casa, perché in una camera da letto cercavo, con la testa nell’armadio, di
leggere la carta di giornale usata per foderarlo.
Sfortuna volle che mi capitasse in mano, con questa capacità di leggere,
un orribile libro per bambini, all’epoca molto in auge. Era opera dell’allora
molto famoso Wildermuth e aveva come titolo: Una strana scuola. Mi resi
conto più tardi che non era altro che una traduzione dell’Oliver Twist di
Dickens. Tutta l’atrocità del riformatorio inglese di allora mi si impresse
nella memoria con le sue illustrazioni, come le potenze in agguato di un
mondo satanico a mala pena velato. Ancora oggi so come Mr Morton
derubasse i bambini e poi li minacciasse di tagliar loro le orecchie e simili
furfanterie. A questo serbatoio limaccioso il mio ancora terribile delirio
attinse ricordi supplementari (associazioni stimolate da nuove impressioni),
dapprima senza parlarne a nessuno o chiedere consiglio. Conseguenza ne
fu, per esempio, che io nei primi due anni presi un signore che ci osservava
regolarmente dopo la scuola, per un Mr Morton in agguato. Egli si rivelò
più tardi il nostro eccellente preside Friedländer, a cui devo anzi, al
contrario, il coraggio di lottare contro il caos nella sua lezione di storia, in
prima. Insegnava storia (uno studente di Nitzsch)5 già alla maniera di
Lamprecht a Lipsia.
Dopo la sesta fui separato da mio fratello Max, saltai avanti mezz’anno e
persi di conseguenza la familiarità faticosamente acquisita con il resto della
classe. Mi dovetti abituare da capo a nuovi ragazzi, che si erano già adattati
l’uno all’altro. Quando a fatica finalmente vi riuscii, venni di nuovo
trasferito dalla quinta alla quarta a metà anno. Nella quinta mi è accaduto
qualcosa di banale, ma per me decisamente tragico. Sono stato bacchettato
violentemente sulle dita, senza alcun motivo, da un teologo antisemita con
un righello profilato di ferro. Proteste da parte di mia madre impedirono che
simili attacchi si ripetessero, anche se il candidato Walter si riservò il diritto
di continuare a castigare come un padre severo. Nella quarta mi accolse un
tipo vecchio e logoro, che amava distribuire schiaffi, ma non così
raffinatamente perverso, di nome Liverts. In mezzo a questi dodicenni,
capaci delle più efferate malizie, non riuscii a farmi rispettare, così
naufragai di nuovo, al terzo tentativo di inserirmi nel processo di crescita di
una massa già ordinata, soprattutto perché l’insegnante non aveva il minimo
interesse a rendermi più facile l’adattamento. Dovevo lavorare fino a tarda
sera, mi immalinconii e un giorno caddi in preda al pensiero di essere stato
morso da un cane rabbioso, senza che vi fosse oggettivamente alcun motivo
per pensarlo, e di dover morire di idrofobia con conseguente delirio. Mi
tormentai per settimane in tal modo in una disperazione senza via d’uscita,
finché la nostra Franziska non ne rivelò il motivo, e il dottor Cohen mi fece
ritirare temporaneamente dalla scuola, mi pose sotto cura di bromuro e mi
fece quindi di nuovo saltare in quinta.
Secondo frammento autobiografico1

La teologia medievale distingue, com’è noto, la condizione dell’uomo


secondo tre epoche culturali, prima del Vecchio Testamento, sotto il
Vecchio Testamento, e sotto il Nuovo Testamento, e pone questi periodi
sotto le parole d’ordine della signoria della natura, della legge e della
grazia, sub natura, sub lege, sub gratia. Da adolescente ho dovuto
attraversare tutte queste epoche, se si aggiunge come quarta l’epoca della
fede nella legge, immanente alla natura, della concezione scientifica del
mondo. Ho passato gli anni dai tredici ai diciotto in un liceo scientifico
[Realgymnasium] all’epoca della fioritura del darwinismo. Allo stesso
tempo entrò in marcato contrasto con esso la concezione religiosa della mia
famiglia di parte paterna, di fede rigorosamente ebraica ortodossa, che
all’uomo, nel suo intimo inconsciamente religioso, non permetteva altro che
ciò che gli riusciva di strappare, ogni giorno di nuovo, attraverso l’azione
esterna, a un dio nemico. Questo soggiogamento della libera umanità era
intollerabile, da un lato, dal punto di vista della scienza naturale di allora e,
‹dall’altro›, da quello della storia spirituale tedesca, che aveva raggiunto il
suo apice, nella lotta per l’emancipazione delle coscienze, all’epoca della
Riforma, finché a Marburgo gli spiriti non si separarono, con tragiche
conseguenze per l’Europa2. La filosofia di Hegel3, alla quale ero già stato
introdotto da un amico4 quando avevo all’incirca sedici anni, ‹mi indusse
inoltre› a credere all’immanenza5 della legge, ‹così› che lasciai il liceo da
evoluzionista fiducioso nel progresso. Poiché volevo studiare storia
dell’arte, dovetti passare un secondo esame di maturità al liceo classico
dello Johanneum. Mi fu imposto di superare, dopo un solo anno, un esame
di greco così severo che ‹dovetti eseguire una traduzione dal tedesco al
greco senza› errori, e la dovetti perfino scrivere mentre in classe la lezione
andava avanti, un esame concepito come una trappola e che doveva essere
consegnato senza errori di forma, altrimenti sarei stato bocciato. Ho passato
l’esame grazie alla rigida guida di un insegnante, il professor Bintz6, che
risparmiava se stesso altrettanto poco dei suoi studenti, e mi costringeva
dopo una giornata di studio di otto ore a questo inaudito, logorante lavoro7.
Benché la soddisfazione per aver superato l’ostacolo mi sollevasse e
sostenesse moralmente, soffersi in quell’occasione un trauma del mio
sistema nervoso dal quale non mi sono più ripreso. La paura dell’esame, in
questo periodo liceale di un anno e mezzo, ha naturalmente rafforzato la
mia tendenza alla fantasticheria fobica8 in maniera così decisiva che a essa
si deve se la catena delle mie fobie si è ancorata lì e ha, allo stesso tempo,
guardato alla scienza come a un mezzo di emancipazione. All’università mi
sono, per la prima volta, conquistato una libertà completa, perché mio padre
mi permise di abbandonare la ‹alimentazione›9 ortodossa, ma solamente
dopo che io, per disperazione a causa della forzata frequentazione di
compagni poco congeniali, ero di nuovo caduto in uno stato malinconico,
dominato dall’idea fissa di avere una testa di Giano. Ora finalmente mi fu
dato di godere la libertà dello studente con i miei amici amburghesi, e dal
mio amico Hertz, purtroppo morto troppo precocemente, che sarebbe più
tardi divenuto mio cognato, e da sua sorella, la mia cara moglie, mi fu
mostrato con infinito amore e pazienza il mondo sub gratia e sub natura, se
anche voleva velarsi di fronte al mio sguardo turbato.
A proposito della conferenza
di Ludwig Binswanger Sulla fenomenologia1

Non sapendo se la dattilografa mi sarà messa a disposizione abbastanza


spesso, estraggo ora dalla mia esperienza il tema che, grazie alla conferenza
del dottor Ludwig Binswanger il 16 novembre 1922, è divenuto di nuovo
chiaro come il tema peculiare della mia psiche, e attraverso il cui
trattamento io posso portare il contributo sperato alla conoscenza della
psiche sana e malata di un uomo cerebrale. Vorrei scegliere come titolo:
IMMAGINE E SEGNO [Bild und Zeichen].
E come sottotitolo: Selezione ‹fobica›2 della3 funzione della memoria per
immagini [Phobische Auslese der Funktion des Bildgedächtnisses].
Sia premesso qualcosa di personale. Quando mi fu detto che, se fossi
arrivato dopo le tre, avrei trovato le porte della sala chiuse, mi venne una
tale tachicardia, specialmente perché la sala era sovrariscaldata e non ben
ventilata, e nonostante ciò vi si fumava, che non mi riuscì di esprimere
chiaramente quello che ora vorrei contribuire.
Il dottor Ludwig Binswanger parlò della fenomenologia di Husserl e
commentò con esempi scelti abilmente l’essenza, il tipo di questa
‹intuizione›4 categoriale dell’essenza. Parlò di stile da cattedrale della
musica, menzionò come esempio di tale intuizione i cavalli variopinti di
Franz Marc e la designazione auditorio5, che un infermo di mente aveva
trovato come designazione collettiva per le allucinazioni acustiche di cui
era vittima6.
Lettera a Mary e Max Warburg
e Heinrich Embden, 5 aprile 19241

Prendo come punto di partenza l’idea che la fine di settembre potrebbe


essere la scadenza ultima – già a causa delle condizioni climatiche – per il
mio trasloco da Kösterberg ad Amburgo, poiché non vorrei assolutamente
tornare a casa a inverno già iniziato – già soltanto per la mia freddolosità,
che minaccerebbe molto presto la mia ricreazione preferita, le passeggiate
all’aperto. Non vedo dunque come si possa rispettare, con il tempo che oggi
(5 aprile 1924) ho ancora a disposizione, questa scadenza per il ritorno, se
dev’esser fatta prima la prova con il trasloco e la permanenza a Villa Maria.
Difatti questa prova non può iniziare prima di metà maggio, perché Ludwig
Binswanger rientra allora dalla sua vacanza romana, e con questo trasloco
inizia allora un esperimento ufficiale, che non può risolversi che in un totale
fallimento. Per i seguenti motivi: non si può in alcun modo contare per
questo esperimento su più di due o tre mesi (fino a metà luglio), perché avrò
bisogno di almeno due mesi per il susseguente esperimento di Kösterberg, e
dunque non mi si offre l’opportunità di mettere interiormente radice. Si
tratta di un trasloco in una località estranea senza il sentimento liberatorio
di giungere, come premio per l’enorme sforzo che viene richiesto al mio
senso d’orientamento malato, in un mondo a me noto spazialmente e
umanamente nuovo. Al contrario, si aggiunge a ciò – e questo motivo è per
me assolutamente decisivo nel mio rifiuto di questo esperimento sulle basi
attuali – che in un paio di mesi non posso contare di riuscirci, e che non si
potrebbe assolutamente parlare di attività scientifica – l’unico rimedio
[Heilmittel] che mi sia procurato in questi tre anni, in locali che hanno a
poco a poco perduto per me l’ostilità demoniaca – poiché sicuramente non
avrei la capacità in questo breve tempo di lavorare scientificamente, né dal
punto di vista personale-psichico, né tecnico. Se mi si costringe a
continuare questo equilibrismo spirituale, allora non sono altro che
l’oggetto di misure pompose2 o di un mediocre raggiro, al quale non posso
opporre nient’altro che il desiderio di sedere finalmente sul treno. Diverrà la
spada di Damocle quotidiana vedere quanto a lungo può durare la mia
abilità di urlare di meno, mangiare di più o essere più preciso, basta che un
paio di volte mi si dia un colpetto sulle spalle in forma di Veronal3 e sono
spacciato, poiché, in un regime di completa astinenza, ho bisogno dagli otto
ai quattordici giorni per riavermi da un mezzo grammo di Veronal.
Sarò dunque trasformato in uno spettro di Villa Maria e dovrò vagare in
questi locali nell’inutile speranza che diventi più fioco4. Non devo neppure
ricevere visite in questo periodo, misura contro la quale si produrranno
verosimilmente parecchi foruncoli.
Inoltre si deve considerare che cosa significa affidarmi del tutto alla
direzione dell’infermiera Lydia, che ora mi conosce al punto tale da lasciar
fare al ragazzo le sue sciocchezze da solo.
Si dice che verrebbero in questa casa, che finora se ne sta del tutto
abbandonata, anche alcune signore. Vorrei chiamarle spiriti «pss-pss».
Devono servire come reprimende contro ogni tentativo di lamentarsi.
Dov’è in questo processo anche solo la possibilità di un sentimento di
liberazione? Solo il fatto che non si può chiudere a chiave la porta di casa
dà apparentemente all’Istituto il diritto di autoproclamarsi aperto. In realtà
sarei più incatenato che mai, se dovessi vagare in questo conglomerato di
grosse stanze, ascoltare la mattina presto il treno nelle vicinanze, e non vi
fosse almeno il punto di luce di un progresso in materie spirituali a
rendermi il giorno altro che un catalogo dei miei errori5, che verranno
accuratamente registrati.
Si aggiunga a ciò che non vi sono armadi in cui possa chiudere le mie
cose così come desidero. Mi si ruberà subito il baule. In questi locali dovrò
lasciar fuori tutti i miei averi, dagli abiti ai quadri, e le mie lettere e borse,
molto più di qui, poiché lì non avrò a disposizione armadi.
Inoltre non so chi prenderà il posto dell’infermiera, quando andrà in ferie.
In breve: questo trasloco significa solo un enorme sforzo delle mie
capacità di adattamento, una rinuncia alla funzione di riabilitazione
spirituale attraverso il lavoro scientifico, e un isolamento dagli altri, poiché
oltre alle signore «pss-pss» non ci sarà nessuno in casa con cui abbia
qualcosa a che fare, a parte negarmi quel che desidero.
Il mio tentativo di autoliberazione grazie al ricordo dei miei tentativi di
illuminare la psicologia del Rinascimento [Mein Selbstbefreiungs-Versuch
durch die Erinnerung meiner Aufklärungsversuche in der Psychologie der
Renaissance] incontrerà la sua fine, se non mi viene concessa al più presto
una riutilizzazione degli strumenti scientifici. Con una mensola piena di
mezzi insufficienti non posso più garantire che le idee che perseguo non
finiscano in una via senza uscita; imbattersi in un ostacolo siffatto è il mio
più grande tormento e per disfarsene in Amburgo ci vorrà un colpo di mano.
Invece di ridarmi il più rapidamente possibile questo strumento, che mi
sono creato a costo del mio quieto vivere, mi si spinge di nuovo nel caos, se
mi si trasferisce a Villa Maria.

Continuazione del 7 aprile 1924


Il dottor Ludwig Binswanger è appena stato qui e mi ha rivelato che
vuole fare l’esperimento con il trasloco dopo il suo ritorno, vale a dire tra il
15 maggio e il 15 giugno, e che io durante questo periodo sarò «solo con lui
senza neppure poter ricevere visite».
Il carattere di un tentativo di conversione insistente, da parte del mio
padre confessore psichico, viene accentuato in tal modo ancor più
nettamente come un assalto di prima grandezza.
Alla mia obiezione, che mi si dovrebbe invece consentire un trasloco più
rapido a Kösterberg, per impiegare lì le mie energie di adattamento, ha
replicato che Max gli ha detto che non se ne parla fino a, diciamo, metà
agosto. E qui vi prego almeno, prima di proseguire, che non si lasci
affondare, per difficoltà tecniche, l’opzione che io venga di qui direttamente
ad Amburgo. Vi è un’ombra di possibilità che mi si consenta il trasloco
direttamente dal Parkhaus, perché posso affermare che la mia tendenza a
urlare si sta notevolmente riducendo, e in tal modo uno degli ostacoli
principali sembra aver comunque minor peso.
Proprio per questa eventualità prego con insistenza che tutto venga
preparato in modo tale che io possa al caso traslocare già a metà luglio. Le
mie obiezioni contro l’esperimento del cambio puramente locale sotto gli
stessi medici rimangono assolutamente valide.
Vedo solo caos di fronte a me e prego Embden, che aspetto di vedere qui
verso il 10 maggio, di considerare ancora una volta la situazione dal mio
punto di vista. Spero, di qui ad allora, di aver effettuato cambiamenti in me
stesso rispetto al punto fondamentale del gridare e del portare cose in giro.
È vero che, quando Embden verrà, il dottor Ludwig non ci sarà e questo
renderà di nuovo difficile la decisione […]6.
Lettera ai Direttori della clinica Bellevue,
12 aprile 19241

Stimatissimi Signori,
La presenza del dottor Saxl mi dà l’opportunità, da lungo tempo attesa, di
presentare per iscritto a Voi (e al comitato) qualcosa che le Vostre brevi
visite negli ultimi tempi non mi hanno consentito di fare. Mi rallegro di
poter apparire stavolta non solo come seccatore, perché devo rivolgere
solamente una domanda seria e dar voce ad alcune pressanti preghiere.
A questo deve però precedere la constatazione che oggi, dopo che presto
(il 15 aprile) sarò stato in questo Istituto tre anni, riconosco con gratitudine
che sto iniziando di nuovo a pensare in maniera scientifica, e non nego che
questo risultato oggettivo si deve attribuire in larga parte al trattamento
impartitomi dall’Istituto. Dichiaro con gratitudine che – dopo che tre anni fa
ero tenuto a bada con narcotici – ora da circa tre mesi e mezzo sono in
grado di sopportare il vivere senza sonniferi, come meglio mi riesce.
Solo in un punto posso dire di esser venuto, da parte mia, incontro
all’Istituto: nell’accettazione del desiderio espresso dal dottor Binswanger
che io debba di nuovo lavorare scientificamente. Alla progressiva riduzione
nell’uso di narcotici ha corrisposto il ritorno alla ricerca su problemi di
storia dello spirito, a dispetto dei gravi ostacoli tecnici. Grazie all’aiuto del
mio dottor Saxl mi è riuscito perciò di tenere l’anno scorso la conferenza
sul mio viaggio indiano, e da quel momento ho visto di nuovo terra, vale a
dire il ritorno nella mia patria, la mia famiglia e la mia biblioteca. Ho
parlato a braccio2 un’ora e mezzo, non ho perso il filo e ho fatto
osservazioni di psicologia della cultura in strettissimo contatto con il mio
lavoro precedente.
Sottolineo tutto ciò, perché mi sembra che questa conferenza venga bensì
vista dai miei medici curanti come un sintomo del tutto positivo di una
capacità di comunicazione intatta, ma non come quel che io sento con
gratitudine e sorpresa: come diretta continuazione ed espansione della mia
attività di ricerca intrapresa in giorni sani. Che io lo sottolinei così per
esteso non si deve a vanità, ma a una ragione precisa, molto semplice e
stringente: il professor Kraepelin, che è venuto qui pochi giorni fa come
consiliarius3 – e che peraltro proprio nel gennaio del 1923 espresse la
prognosi di una riabilitazione, per me allora del tutto incredibile, e perciò
mi ordinò la cura di oppio – non aveva inteso, da parte dell’Istituto, neanche
una parola su questa conferenza.
Poiché questa conferenza dev’essere invece vista come punto di svolta,
vorrei perciò pregare che mi venga chiarito, in questa occasione, qual è
l’atteggiamento dei miei medici di fronte al sintomo del ritorno al lavoro
scientifico come fattore terapeutico soggettivo. Il dottor Ludwig
Binswanger ha già lasciato cadere, in una recente conversazione, la
seguente osservazione: «Che Lei lavori scientificamente va benissimo, ma
prima pensi a star meglio [erst werden Sie mal gesund]!» Questo tipo di
atteggiamento mi è incomprensibile e sottolineo, al contrario, che, da
quando il professor Cassirer è stato qui, ho anche ragioni personali di essere
di diverso parere. Si è difatti appurato in questa occasione che i tentativi
compiuti da parte mia, energicamente e tra grandi difficoltà, nonostante i
miserevoli mezzi a disposizione, conducono tuttavia a risultati che
consentono di ricollegare le mie osservazioni individuali sulla psicologia
dell’arte scritte da anni (e conservate ad Amburgo) con il materiale di storia
della cultura esplorato nel corso della mia esistenza, e non è forse troppo
sperare – forse Cassirer Ve ne ha parlato – che io possa ancora schizzare un
nuovo metodo, davvero capace di fondare la comprensione della storia dal
punto di vista della psicologia della cultura.
Ciò richiede peraltro che non mi si interrompa nel mio lavoro, così che la
crescita di questo delicato impulso non venga sensibilmente minacciata.
Desidero in ogni caso che i miei signori medici siano consapevoli di questo
pericolo, se mi espongono a un trasloco che come tappa non mi porta
nessuna reale liberazione dall’Istituto, al contrario, nei pochi mesi che
restano mi pone senz’altro fuori corso dal punto di vista scientifico. I miei
medici devono assumersi la responsabilità di questa interruzione.
Mi posso affidare loro con fiducia soltanto una volta ch’io sappia che la
loro posizione nei confronti della mia attività scientifica coincide in fondo
con la mia, e una volta che mi si dia una reale spiegazione del perché non si
è resa nota al Geheimrat Kraepelin la conferenza del 15 aprile 1923 – a
partire dalla quale dato l’inizio del mio rinascimento4 (che peraltro può
essere una completa autoillusione).
Le mie pressanti richieste, delle quali parlerò a voce, sono che si
provveda a riscaldare meglio e che si prenda più cura della mia biancheria,
al cui trattamento negligente si deve il fatale foruncolo.
Sono in ogni momento pronto a discutere di persona la questione della
valutazione psichiatrica della mia attività scientifica in una riunione con i
miei medici e sono lieto di poter aggiungere che – se non vi sarò costretto –
sono lungi dal trattare in maniera emotiva questo problema.
Lettera al fratello Max, 16 aprile 19241

Quest’ultimo periodo mi ha portato un eccitante miscuglio di speranza di


liberazione e di consapevolezza della difficoltà quasi insuperabile che si
oppone a una prossima uscita da questo inferno.
Kraepelin è stato qui, proprio un giorno prima che venisse Cassirer, il che
mi ha reso il compito di parlare con entrambi molto più difficile. Il
colloquio con Kraepelin, visto dall’esterno, è andato liscio per il signor
consiliarius. Era stato predisposto dai Binswanger a un giudizio favorevole
e lo ha trovato confermato all’esame spirituale della carne. I signori non si
sono dati molta pena. Del fatto principale, che segnala ai miei occhi il
cambiamento nelle mie condizioni, della conferenza sul viaggio indiano,
che ho iniziato ancora sotto l’effetto dell’oppio e nonostante tutto ho portato
a termine, Kraepelin non sapeva niente, perché i signori Binswanger non
hanno ritenuto necessario dargliene comunicazione. Considero questo un
errore psichiatrico di prima grandezza, giacché ne consegue che i signori –
contrariamente alla loro solita accentuazione del significato della ravvivata
attività scientifica per la mia convalescenza – giocano a carte false con me
(nella misura in cui vedono questi sforzi scientifici come tentativi
secondari, lodevoli), mentre io sono fermamente convinto che dal 21 aprile
1923 (conferenza) alla visita di Cassirer il 10 aprile 1924 si manifesti una
crescente forza endogena per la liberazione dal disturbo psichico. Per me
l’occupazione con la mia ricerca professionale è chiaramente un sintomo
che la mia natura vuole ancora una volta tirarsi fuori da questa palude da sé
sola. I signori mi sono ancora debitori della risposta alla mia domanda,
perché allora questo successo non sia stato posto al centro della prognosi.
Sussiste comunque una valutazione del tutto diversa. E questo disaccordo è
della massima importanza in vista dei prossimi passi che devo osare, perché
temo che da questo intervallo, sia pure relativamente breve, a Villa Maria,
la mia capacità di pensare, che sta appena sbocciando, venga disturbata con
esigenze di adattamento a cose pratiche. Su questo problema mi sono già
espresso, prima ancora che venisse Kraepelin, in uno scritto che sarà stato
inviato anche a te.
A fronte di una tale inclinazione dei medici non posso più credere con
intima convinzione che si tratti di un tentativo onesto. La visita – per la
quale sono grato al destino – di Cassirer mi ha dato la prova che sono sulla
retta via con le mie severe autoflagellazioni mentali. Te ne farà lui
relazione. Si è appurato che i miei pensieri più generali, che già da anni ho
annotato indipendentemente dalla mie osservazioni empirico-storiche, si
vogliono d’un tratto chiudere in un sistema, che, sulla base di queste idee,
potrebbe addirittura contribuire all’edificazione di una nuova visione del
mondo. Tu hai letto il mio studio su Schifanoia. Io avanzavo in quel testo
l’esigenza di una «psicologia storica dell’espressione umana»2. Dopo il
colloquio con Cassirer ho, nonostante tutto, il coraggio di ampliare ancora il
tema e dire: «Teoria generale del movimento umano come fondamento di
una scienza generale della cultura».
Fritz Saxl

Memoranda di Kreuzlingen
Settembre 1922

Ho dietro di me giorni di riflessione. Vale a dire, ho fatto il tentativo di


introdurre questi dottori al problema Warburg. Ho preparato un exposé, in
cui faccio il tentativo di comprendere l’uomo psicologicamente nel suo
lavoro. Questi medici, che devono curarlo, non hanno mai letto una riga dei
suoi scritti. Uno di loro è un amabile nessuno, l’altro ha scritto un libro di
metodologia, I fondamenti della psicologia1, è terribilmente preso di se
stesso, molto ebreo, molto astuto2, ma – non un mensh3. Mi ha detto alla
fine: «Lei si meraviglia, che questo caso ci interessi così poco come
psichiatri. Ma io scrivo su un caso solo se ho dal paziente stesso le
informazioni. Certo, se Warburg fosse sano e potesse fare egli stesso
dichiarazioni, allora si potrebbero scrivere volumi su di lui». Warburg mi ha
già dettato più di trenta pagine4, ma ancora senza forma. Più che altro è
ancora tutta psicologia dell’uomo primitivo, assolutamente generica, non
ancora illustrata sulla base del materiale. Questa è la domanda cruciale:
riuscirà Warburg a tornare al materiale, risveglierà il materiale la sua
passione per la ricerca? Ha ragione quando dice: a che pro, qui dove non c’è
nulla. Ma sarebbe forse meglio in Amburgo? Allora sarebbe di nuovo salvo.
Credo di vedere molto bene come stanno le cose, ma non oso una prognosi.
Sono anzi pessimista. Warburg è al momento ancora molto malato.
Marzo 1923

Ieri sono arrivati i Prolegomena to the Study of Greek Religion della


Harrison1. Li ho studiati per la prima volta. E dunque mi sono potuto fare
un’idea del libro per la prima volta. Un lavoro magnifico. Materiale
straordinariamente bello, e però un libro sfortunatamente piatto. Come si
può avere tanta sensibilità, raccogliere materiale tanto più bello degli altri e
tuttavia mancare di profonda comprensione come essere umano? È stato
peraltro il primo materiale nuovo che abbia fatto un’impressione su
Warburg. Si è addirittura avvertito che gli ha dato una spinta a ritornare alla
scienza, alla realtà. Tali momenti sono inauditi.
Per molti aspetti la situazione qui è umanamente molto difficile. Devo
combattere la mia vecchia lotta contro i medici perché riconoscano il valore
di Warburg come scienziato. Il medico capo Binswanger è egli stesso
affamato di riconoscimento, e ne deriva la solita lotta. Io tra i due come
quantité négligeable. Ora ho il successo che a Warburg in queste due
settimane va meglio di quanto gli capiti da anni. Sono anche sicuro che mi è
riuscito, come al solito, di migliorare la sua posizione rispetto agli altri.
Cassirer, per esempio, mi ha scritto ieri una lettera su Warburg, in cui lo
definisce lo storico che ha visto prima di tutti il problema2. Ho subito messo
la lettera sotto il naso di Binswanger, che è diventato furiosamente geloso,
poiché egli vuole soprattutto il riconoscimento di Cassirer. Talvolta ho
paura che la gente qui si vendicherà quando me ne andrò. Ma, d’altra parte,
Warburg ha bisogno di questa posizione polemica per aver lo stimolo di
mostrare quel che vale. E questa sarebbe una via verso la salute. Ma mi è
ancora difficile pensare che Warburg possa ritornare. Certo, in qualche
modo mi considera come suo figlio, ma è un duro padre-Saturno. Fare
eternamente la parte dell’adlatus3? Non lasciare mai libero gioco alle
proprie forze? Certo come carattere scientifico ricavo molto dalla rigorosa
disciplina sotto cui mi tiene quest’uomo, ma non guadagnerei altro e di più
dalla libertà?
Aprile 1923

Oggi1 il medico è stato da Warburg e gli ha promesso il ritorno se le cose


non cambiano in peggio. Con ciò ho virtualmente compiuto la mia missione
qui. E con ciò comincia l’altra, molto più difficile, il vivere insieme
quotidiano con lui. Dobbiamo pensare bene a come organizzare la
Biblioteca. Dovremo certo porre un freno allo sviluppo verso l’apertura al
pubblico. Non credo che Warburg si immischierà molto.
Le lotte più ardue sono alle spalle, spero. Il medico consente a Warburg
di rientrare ad Amburgo. Abbiamo la prova che quando lavora è più
tranquillo. Talvolta ho anch’io paura al pensiero di come andranno le cose
quando ritorna. Ma, in primo luogo, le cose cambiano se ci si rende conto
che gli si è utili, e poi di fatto ricevo infinitamente tanto da lui. In queste tre
settimane ho imparato così tanto. Quanto più chiara mi è diventata l’essenza
dell’uomo primitivo, quanto più chiare le relazioni strette che ci uniscono a
lui.
Ludwig Binswanger, Aby Warburg

Corrispondenza

Aby Warburg tredicenne fra i compagni di classe, terzo da sinistra nell’ultima fila.
Frede, Marietta, Mary e Max Adolf Warburg.
Ludwig Binswanger con la moglie Hertha e il figlio Johannes, 1920.
Aby Warburg, nel 1925 e a Firenze nel 1927.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
25 agosto 1924

Caro Professore!
Il dottor Embden Le avrà spiegato perché Lei non ha ancora avuto mie
notizie. Subito dopo Francoforte, mi sono messo a letto con un’influenza-
angina, dai cui postumi generali sul sistema nervoso e sull’umore mi sono
ripreso soltanto negli ultimi giorni. Durante i primi giorni ero ancora in
grado di leggere bene e sfruttavo quest’occasione per immergermi
completamente in ragionamenti warburghiano-bolliani. Prima ho letto lo
Sternglaube1 di Boll, che Lei mi aveva così gentilmente regalato durante il
viaggio firmandomi una dedica. Poi ho affrontato il Suo lavoro su Ferrara2
e i Vorträge3 della Biblioteca Warburg. Innanzitutto devo ringraziarLa di
cuore per entrambe le cose, così come per la Sua cortese cartolina.
Sono molto felice di avere il Suo bel lavoro su Ferrara nella mia
biblioteca. Capisco perfettamente il successo di questo saggio e la Sua gioia
per una simile scoperta. Personalmente, il lavoro decisamente meno
ambizioso su Sassetti4 mi risulta ancora più intelligibile, dato che
l’ermeneutica di tale lavoro, rivolta esclusivamente a una personalità
individuale, si avvicina naturalmente di più al mio modo di lavorare e
all’obiettivo del mio lavoro5. L’introduzione di Saxl ai Vorträge6 mi sembra
molto valida, mentre dal resto ho estrapolato ciò che poteva essermi utile.
Che cosa si potrebbe ancora fare della conferenza su Eros e amor cortese7!
La Sua idea di una «psicologia storica dell’espressione umana» nel Suo
lavoro su Ferrara8 ha già in sé, come idea, qualcosa di grandioso. Lei
dovrebbe pensare di sviluppare, sia come passatempo sia per
decongestionarsi dalla ricerca positiva su un unico argomento, i fondamenti
di una tale psicologia; psicologia e metodologia per le quali Lei ha offerto
decisamente i migliori contributi. – Trovo la Sua definizione dell’astrologia
come «feticismo onomastico proiettato verso il futuro»9 particolarmente
efficace. Se ci si lascia scorrere di fronte la storia di Boll, non si può che
esser colpiti da tutta la pena dell’umanità, tutta la sua debolezza. Ma quanto
più significativo, e decisamente meno feticista, il comportamento del
giovane catatonico, del quale Le avevo raccontato che nel sole venera e
teme il padre, e sfida questa formidabile forza, facendosi letteralmente
abbagliare da essa. Peraltro si tratta di un esempio di come un’inferiorità
biologica possa portare a un innalzamento della capacità di espressione
spirituale. Come vede, non ho ancora perso l’abitudine di discutere con Lei.
Ho un vivido ricordo del nostro viaggio. È stato per me un gran piacere
vederLa ancora una volta al difuori della clinica e apprendere ancora così
tante cose da Lei. Franziska10 sembra ora anche a me appartenere a quelle
stelle soavi che seguono placide la loro rotta, ignorando il loro effetto,
eppure esercitando un influsso notevolmente più forte di molte luci più
grandi che, rumorose e movimentate, incrociano la nostra rotta.
Ho saputo con molta gioia dalla Sua consorte, che ringrazio di cuore per
la lettera amabile, che va tutto bene. In particolare mi rende felice il fatto
che Lei abbia sfruttato il cambiamento di luogo per un nuovo cambio di
sistema e che stia procedendo secondo il programma. Posso chiederLe la
cortesia di salutarmi cordialmente la Sua consorte e il dottor Embden, e in
particolare anche Suo fratello Max, come anche l’infermiera e Alber? In
questo momento mia moglie si trova in montagna, ma purtroppo ha trovato
cattivo tempo. Io sono rimasto da solo con Boby, Wolfgang e Dieter,11 il
quale ci tiene sempre con il fiato sospeso con il suo temperamento e le sue
scorrerie.
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
24 novembre 1924

Caro Professore,
grazie di cuore per tutti i Suoi nuovi doni e del Suo invito per il 25
aprile1. Per la prossima primavera mi si sono accumulate molte cose, ma
spero proprio di poter venire; entrambi accettiamo con molta riconoscenza
il Suo invito. Mia moglie è a Monaco con una paziente e da lì le manderà
un saluto. Non vedo l’ora di iniziare il Sartor2! Cercheremo di leggerlo
insieme. Il secondo volume dei Vorträge è imponente. Naturalmente la
conferenza che mi ha interessato maggiormente è stata quella di Cassirer3,
poiché io stesso sto approfondendo Platone. Negli ultimi mesi ho anche
letto con Boby il Fedone in greco, con nostro grande piacere. Accanto al
talento per le lingue, Boby ha anche una sorprendente capacità di
comprendere questioni filosofiche, in particolare quelle di carattere
gnoseologico; e Platone è certamente la migliore introduzione alla filosofia.
Ho letto anche il testo di Reitzenstein su Agostino4. Un uomo erudito, che
non mi è però molto simpatico; parla troppo di se stesso.
Tutti noi siamo sempre molto felici di apprendere che Lei sta bene.
Recentemente, Dietrich ha visto l’infermiera Lydia passeggiare nel parco
con una paziente a lui nota e, alla domanda su chi fosse quella signora, non
ha pronunciato il suo vero nome, ma l’ha chiamata la signora Professore.
Mi saluti molto Sua moglie, il dottor Embden, Suo fratello Max e accetti
nuovamente i miei più sentiti ringraziamenti e i miei più calorosi saluti.
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
29 dicembre 1924

Caro Professore!
Con il Suo meraviglioso Rembrandt ha fatto un immenso piacere a mia
moglie e a me, e noi esaudiremo molto volentieri il Suo desiderio di
appendere l’incisione nella biblioteca. Ieri abbiamo già scelto il posto.
Trovo che la riproduzione sia eccellente e sono felice che Lei abbia scelto
proprio questo Rembrandt per farci un regalo. È molto gentile da parte Sua
pensare così tanto a noi e fare tali sorprese ai bambini, i quali hanno accolto
i Suoi doni con tanta approvazione. Grazie a qualche espediente di Joseph,
l’incisione ha passato indenne la frontiera. Oggi è arrivato il dottor Benda,
che ci ha raccontato molto di Lei e della Biblioteca, della Sua famiglia, del
dottor Saxl ecc. Io stesso sto lavorando assiduamente al mio nuovo libro,
devo anche redigere qualche saggio o qualche contributo per riviste
scientifiche, cosicché ho abbastanza cose da fare. Pensiamo con piacere al
25 aprile1, tuttavia non possiamo ancora promettere con assoluta certezza
una nostra visita, dal momento che le date delle mie ferie, del servizio
militare del dottor Kurt ecc. non possono ancora essere stabilite. Le scriverò
ancora, quando saprò qualcosa di certo; ci dispiacerebbe molto se non se ne
dovesse fare più nulla.
Ai miei rinnovati cordiali ringraziamenti aggiungo i migliori auguri di
nuovo anno a Lei, caro Professore, e ai Suoi.
Suo sempre devoto,
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
10 febbraio 1925

Caro Professore!
Ho sempre temuto che qualcosa mi avrebbe ancora giocato un brutto tiro
e mi avrebbe impedito di venire ad Amburgo per la Sua conferenza. Questo
qualcosa si è presentato otto giorni fa, in forma di una convocazione
militare per il dottor Kurt dal 20 aprile al 5 maggio. Non c’è nulla da fare,
dato che si tratta di un corso di aggiornamento per il suo battaglione.
D’altra parte non posso ancora lasciare Benda e Colpe così a lungo da soli,
tanto più che avremo di nuovo molto da fare. È veramente un peccato che il
nostro bel progetto debba così sfumare. Si sarebbe poi trattato di più che di
un semplice ritrovarsi, vale a dire di una sorta di conclusione ufficiale del
Suo essere malato. Con il pensiero sarò comunque con Lei, e forse potrò
recuperare la visita durante l’anno. I primi di settembre sarò a Kassel, ed
eventualmente potrei venire in quella occasione; temo soltanto che tutta
Amburgo sarà ancora in campagna.
Anche mia moglie è molto dispiaciuta che non si possa concretizzare il
nostro progetto, e Le porge i suoi più cordiali saluti. Io stesso mando i miei
a Lei, a Sua moglie e al dottor Embden.
Suo affezionato e amareggiato,
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
21 marzo 1925

Caro Professore!
L’infermiera Lydia mi ha annunciato la possibilità di una Sua lettera.
Sarei molto felice di sentire una volta personalmente da Lei come sta, su
che cosa sta lavorando e chi sta frequentando. Sono, ora come allora, molto
amareggiato di non poter venire in aprile e accolgo dunque le notizie sul
Suo conto – e non sono poche – che ottengo indirettamente, con maggior
gioia. La ringrazio di cuore per Sprache und Mythus [sic] di Cassirer1;
Cassirer stesso mi ha gentilmente inviato una copia del suo Philosophie des
Mythus [sic]2, che ho subito divorato, dato che per il mio lavoro è di grande
importanza, proprio come il primo volume sul linguaggio. – Con Boby ora
sto leggendo la Medea di Euripide. Hilde3 è diventata una piccola
studentessa, dato che ora prende lezioni private per poter a Pasqua saltare
un anno scolastico. Dietrich è come sempre l’estasi di tutti quanti; quando
vede la signora Bodmer, la saluta da lontano «Grüezi4 Bodmer». A
proposito, la signora Bodmer mi chiede di ringraziarLa di cuore per il Suo
Münchhausen, il Suo regalo le ha fatto molto piacere.
Mia moglie ha molto da fare, in parte con la banda di bambini, in parte
con i pazienti. Il numero dei nostri pazienti continua a crescere. – Mia
moglie e io La salutiamo cordialmente; tanti saluti anche a Sua moglie e al
dottor Embden.
Sempre Suo,
Ludwig Binswanger.
Aby Warburg a Ludwig Binswanger,
30 marzo 1925

Caro dottor Binswanger,


Devo ringraziarLa per due lettere molto cordiali, anche se la prima mi ha
portato la notizia, per me molto penosa, della Sua rinuncia per il 25 aprile.
Due ragioni mi hanno consentito di rassegnarmi più facilmente: per prima
cosa, il Suo scritto precedente mi faceva già sospettare una fuga; che il
dottor Kurt si debba di nuovo dipingere con i colori di guerra, ma da
guerriero di riserva, non mi sembra motivo sufficiente, perché Lei ha già
istruito così bene anche il dottor Benda e il dottor Kolpe [sic] da poter
rimanere via un paio di giorni; per seconda cosa, avrò d’altra parte
l’opportunità, grazie alla Sua rinuncia, di potermi un giorno mostrare di
fronte a Lei in condizioni di salute auspicabilmente migliori, poiché in
maggio voglio fare una cura da Heinsheimer a Baden-Baden, che spero mi
aiuti a togliermi di dosso una volta per tutte la parte peggiore dei miei
fastidi, i crampi vasomotori, causati dal nervus vagus. Dal momento che
quest’ultimo ostacolo si presenta in modo molto doloroso proprio in
occasione di un discorso a un gruppo più folto di persone, non so se farei di
fronte a Lei e a Sua moglie quella bella figura che la mia vanità di
convalescente desidera. In cambio deve però decidersi ad accordarmi nel
corso dell’anno la gioia di una visita da parte Sua e di Sua moglie, vale a
dire non appena l’edificio della Biblioteca, che viene progettato nonostante
tutti gli ostacoli, sarà pronto all’uso. Sarà forse difficile che ciò accada
prima dell’autunno inoltrato, ma poi deve venire, altrimenti saranno guai.
Prima vorrei pregarLa di fare il possibile perché Le riesca di visitarmi una
volta da medico-amico a Baden-Baden; potrò allora informarLa più per
esteso sullo stato del mio corpus. Per quanto riguarda la cosa principale,
sono lieto di riferire che dal colletto in su funziona di nuovo, e che ho di
nuovo in mano la direzione della Biblioteca dal punto di vista tecnico,
economico e politico, un miracolo che ogni giorno di nuovo mi sorprende e
mi aiuta a superare le molte difficoltà che ho incontrato. Anche di ciò posso
riferirLe più in dettaglio – come dite voi in Svizzera1 – a voce.
Mi fa molto piacere sentire che le cose vanno così bene nel Suo Istituto;
mi farebbe piacere sapere come vanno per alcuni degli altri pazienti, e Le
chiederò a suo tempo al riguardo. Sta meglio ***? E che cosa fa **** e
soprattutto la signora *****, che La prego di salutare cordialmente, esce più
spesso dal cerchio magico delle sue coazioni, senza che Lei debba tirarla
fuori di persona? Mi saluti Dieterle, quel bel tipo, da parte dello zio
Warburg ci-ci2; penserò io a che si ricordi di me a Pasqua. Ci saluti
l’infermiera Lydia: tutti a casa hanno di lei un ottimo ricordo. Alber3 si è
adattato magnificamente al servizio in biblioteca.
Con i più cordiali saluti a Lei, a Sua moglie e a tutti i bambini.
Il Suo devoto
Warburg.
Cordiali saluti anche al dottor Benda.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
2 aprile 1925

Caro Fessore1!
Grazie di cuore per la Sua cortese lettera. Il fatto che Lei non consideri la
grande «truccatura di guerra» di Kurt come un motivo sufficiente per la mia
disdetta, mi induce a ricordarLe quanto proprio Lei avrebbe imprecato, se
fossimo stati assenti entrambi. E così farebbero molti altri! Scherzi a parte:
siamo talmente «assediati» dai pazienti, e ora siamo arrivati a quota
sessantacinque, che non vorrei lasciare i due giovanotti da soli per più di
due giorni. Inoltre Le dichiaro esplicitamente che non andrò per due giorni
ad Amburgo, ma che ho l’intenzione e dovrò cogliere l’occasione per
andare a trovare i miei pazienti e i loro parenti che abitano lì, per fare visita
a Cassirer e per andare a veder la bottega di Embden. I primi di settembre ci
sarà il congresso di psichiatria a Kassel e io avevo previsto di andare da lì
ad Amburgo. Dove La si può trovare? Probabilmente non sarà più possibile
andare così lontano. Spero di vederLa prima a Baden-Baden, dove dal 5 al 6
giugno si incontrano i neurologi tedeschi del sud-ovest. Ci andrò
sicuramente, e già pregusto il piacere di vederLa. Mi dispiace che Lei abbia
ancora i vecchi disturbi, spero però che le cure presso Heinsheimer Le
facciano bene come le precedenti.
Purtroppo *** sta piuttosto male, **** è da tempo in un sanatorio ad
Atene, fino all’ultimo le sue condizioni sono rimaste invariate, la signora
***** ha fatto progressi sorprendenti, cosa che sinceramente non mi
aspettavo. Al Parkhaus, il dottor Colpe se la sta cavando egregiamente
come medico del reparto, attualmente deve badare a ventiquattro pecorelle,
nella sola cabina di lusso warburghiana ne sono alloggiate cinque.
Personalmente, non mi faccio disturbare nel mio lavoro intellettuale e
scientifico, sebbene la vera e propria elaborazione sia difficile. Prima che
Kurt se ne vada, andrò ancora quattordici giorni in vacanza, precisamente
sul lago di Como e poi il più presto possibile nella Sua seconda città natale,
Firenze, dove naturalmente andrò a visitare anche il Suo Istituto2. Tendo
verso sud e verso luoghi lontani dopo questo rigido inverno. Mia moglie
verrà con me sul lago di Como, ma non è ancora certo se mi accompagnerà
a Firenze, poiché già la Pasqua scorsa non era stata con i bambini. I
bambini scoppiano tutti di salute, tutto il Gartenhaus La saluta, il
capofamiglia e il direttore della clinica compresi.
Cordialmente,
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Max Warburg,
1° maggio 1925

Egregio signor Warburg!


La ringrazio di cuore del gentile invio dei cento franchi, di cui ho già
accusato ricevuta. Come Lei aveva correttamente supposto, sono stato
molto felice dell’istruttivo resoconto della conferenza di Suo fratello1. È
una sua caratteristica quella di non mollare più il pubblico, una volta che ha
preso il via. Anche la moglie del Professore mi ha scritto2 che gli spettatori
sarebbero stati più esausti di lui. Sono molto curioso di leggere il testo della
conferenza. Nel suo caso, la struttura concisa passa sempre in seconda linea
rispetto alla profusione del materiale e degli aperçus mentali, ma comunque
più per l’uditore che per lui stesso. Purtroppo non sempre riesce a formulare
logicamente e verbalmente la connessione che egli stesso aveva intuito.
Spero davvero di vedere Suo fratello a Baden-Baden, poiché mi manca
molto dal punto di vista umano e scientifico.
Con i più cordiali saluti a Lei, alla Sua consorte e alla signorina Sua figlia
e ancora mille grazie.
Sentitamente,
Ludwig Binswanger.
Aby Warburg a Hertha e Ludwig Binswanger,
23 dicembre 1925

Cara Signora, caro Dottore,


Non ho ancora risposto, cara e venerata Signora, alla Sua bella e
sostanziosa lettera; ma Lei non se la prenderà, se La conosco bene, quando
saprà che questo indugio si deve al fatto che ho potuto, con tutta la mia
energia e un certo successo, non soltanto riprendere, ma anche ampliare la
mia attività professionale; dopo che un viaggio in Olanda durante l’estate
mi ha mostrato una strada chiara e sicura per la continuazione delle mie
nuove ricerche – il cui risultato spero di poter illustrare a entrambi in
maggio – la costruzione della Biblioteca mi ha imposto ogni giorno nuovi
compiti. Questo edificio non convenzionale non si è lasciato infatti portare
a termine senza richiedere degli aggiustamenti «in corso», poiché soltanto
durante la costruzione sono emerse certe difficoltà e si sono imposte
esigenze interne allo stile del laboratorio.
Questo periodo è ora finalmente superato: oggi vengono tolte le ultime
tavole dalla grande sala ellittica di lettura e di conferenze, e rimane da
terminare solo la scalinata. La facciata – originariamente concepita in
stucco – è stata invece realizzata in mattoni, e ha perciò un aspetto meno
appariscente ma più solido. Il risultato è una piccola roccaforte per libri, che
dal difuori non lascia indovinare la presenza al suo interno di una arena
abbastanza spaziosa, in cui potrà darsi convegno un’appassionata
sophrosyne1. Dovremo ancora aspettare sino alla fine di aprile per poter poi
aprire al pubblico l’edificio. Avete dunque la scelta se venire entrambi per
la conferenza di Cassirer, che rappresenta la vera e propria inaugurazione2,
o per la mia, che avrà luogo un mese dopo. Vi faccio ritorno, nel metodo,
alla mia dissertazione su Botticelli, e tento di abbracciare in uno sguardo,
come forze espressive, L’Olanda e l’antico nel diciassettesimo secolo3.
Come sintomo di ulteriore maturazione (quanto a me, di senilità) posso
forse menzionare che finalmente sono al lavoro come docente universitario.
Ho un seminario4 di undici studenti, che introduco alle discipline ausiliarie
della storia dell’arte. Poiché sono persone avide di apprendere, ne ricavo
molto piacere, anche se talvolta mi dà fastidio dover riprendere in mano
ricerche che risalgono a più di vent’anni fa, e ritrovarmi in quel contesto.
Ho preso come punto di partenza l’interpretazione, sotto l’aspetto storico e
artistico, del lato anteriore di un cassone fiorentino in America5 che
rappresenta una giostra, proprio per essere costretto a spiegare a regola
d’arte – more majorum – un lavoro iniziato più di vent’anni fa, non per
esibirne i risultati, ma per mostrarne le lacune. È appunto una questione di
ethos scientifico: se si ha l’ambizione di suscitare, da parte degli studenti, il
punto esclamativo dell’ammirazione, oppure il punto di domanda della
modestia. Io sono già contento se gli studenti, quando lasciano l’aula,
mormorano soddisfatti tra di loro: «E dunque neppure il vecchio lo sapeva».
Considero un sintomo positivo il fatto che alcuni dei più avanzati abbiano
già deciso di rimandare la conclusione dei loro studi, per poter più a lungo
beneficiare della possibilità educativa che loro offre la Biblioteca Warburg.
Per quel che riguarda la mia salute, sulla quale, caro Dottore, Le devo
debitamente riferire, non posso lamentarmi. Eseguo il mio lavoro spirituale
senza sostanziale affaticamento, perché ho con estremo rigore evitato di
uscire la sera in società (con l’eccezione delle serate in famiglia a casa dei
miei fratelli). Vedo in ogni caso le persone che mi interessano realmente
quando vengono alle conferenze o altrimenti alla Biblioteca, e comunque
ognuno dei miei conoscenti mi usa la cortesia di una visita, appena ne
faccio richiesta. Mi danno ancora molto fastidio i crampi vasomotori, che si
attivano in presenza di agitazione nervosa, ma mi sembra anche in questo
caso di aver prodotto un lieve miglioramento grazie alla ginnastica
respiratoria.
Per quel che riguarda la mia famiglia, Marietta sta ancora cercando di
prepararsi alla sua carriera d’infermiera e resterà forse quassù nei paraggi,
ciò di cui siamo molto lieti. Max studia filologia con partecipazione
realmente intima; il professor Jaeger lo guida dall’alto della sua superiore
personalità umana e scientifica6. Avremmo voluto che Frede restasse qui
con noi un paio di mesi, prima di andare alla Fröbelei7, ma ha preferito
trasferirsi ad Aschaffenburg, dove come «governante stipendiata» vuol fare
l’esperienza di reggersi da sola sulle proprie gambe, una decisione che io
non approvo particolarmente, poiché le persone di Aschaffenburg con le
quali ha a che fare, elementi estranei e violenti8 – come Lei sa bene – non
mi vanno molto a genio. In ogni caso se ne verrà presto a capo, poiché
Frede ha deciso di entrare a Pasqua nella Pestalozzi-Fröbelhaus9.
Ciò che Lei mi scrive dei Suoi figli, cara e stimata Signora, colma una
grande lacuna nel mio apparato mnestico, poiché io vivo ancor sempre con
Lei e i Suoi figli, e Lei deve continuare a raccontarmi come cresce ciascuno
di loro e che cosa vogliono fare. Bobby10 deve cominciare a pensare
all’università; mandatelo ad Amburgo! Mi ha molto divertito che Butz11
prometta di diventare un tipo così risoluto, e il mio Dieter12 non gli sarà
certo da meno; su di lui mi deve senz’altro scrivere per esteso. Riceverà un
piccolo dono via Schwexe13-Costanza.
Caro Dottore, mi deve riferire come va alla signora *** e al signor ****,
e se ha fatto buoni risultati con la nuova terapia del recurrens14, e poi
ancora di tutto il resto (Kurt).
Con i miei più cordiali auguri per il 1926 (anche da parte di mia moglie),
Il Suo sempre grato e devoto
Warburg.
A tutti i bambini uno per uno i più cari saluti.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
28 dicembre 1925

Caro Fessore1!
Mia moglie e io siamo rallegrati del Suo dettagliato rapporto
autobiografico, tanto più che ha un’aria così lieta. Naturalmente, ciò che più
ci rende felici è il Suo seminario. È una cosa adatta a Lei e i giovani ne
trarranno profitto. Congratulazioni per il completamento dell’edificio; La
ringraziamo di cuore per il recente invito. Quest’anno sono talmente
occupato, che Lei dovrà concedermi di rimandare ancora la decisione se e a
quale conferenza potremo venire. Dato che entrambe le conferenze mi
interessano allo stesso modo, devo far dipendere dalle costellazioni esterne
quando potremo venire. Naturalmente il Suo contributo ha il valore
affettivo più importante. In ogni caso Le darei notizie entro la fine di marzo.
Ciò che mi scrive dello sviluppo del Suo lavoro mi ha interessato molto.
Questo tracciare un arco all’indietro, che allo stesso tempo significa sempre
una tensione in avanti, mi pare sia la cosa più bella nella carriera del
sapiente. Quanto alla Sua salute, sembra che si possa essere del tutto
soddisfatti. Invidio intensamente Max per i suoi studi presso Jaeger; Frede
saprà certamente ciò che fa.
Della mia grande creatura intellettuale2 si può segnalare che
recentemente mi ha scritto Springer, dicendomi che ne possiede ormai
appena sessanta esemplari (di 1200) e che per la fine del 1926 sarà
probabilmente necessaria una ristampa. Un’altra piccola creatura
intellettuale apparirà nella Festschrift per il settantesimo compleanno di
Freud: Esperienza, spiegazione e comprensione nella psicoanalisi3. Al
momento sto lavorando alle tesi per la conferenza di Groningen su
Comprendere e spiegare4; una questione molto difficile e carica di
responsabilità! Alla fine di febbraio avremo una riunione della Società
Svizzera di Psichiatria, alla quale dovrò contribuire, in quanto presidente,
probabilmente con qualcosa su Linguaggio e pensiero5. Le creature fisiche
stanno bene, a parte gli attacchi di influenza, Didi ha avuto la febbre alta
fino a ieri, oggi sfebbrato, era felice della Sua magnifica spugna. Non ho
potuto rinunciare al piacere di consegnargliela io stesso, era il momento
giusto. Grazie mille da parte dei genitori! Boby sta leggendo molto, ma
senza esagerare. Mi sorprende sempre con quanta facilità tutto gli entri in
testa. Ora stiamo leggendo insieme l’Iliade, incominciando dallo scudo6,
del quale non smetto mai di stupirmi. Boby e Butzi7 sono a sciare nella
Foresta Nera. Per Natale mia moglie ha preparato con i bambini e degli
amici una recita, con la musica e ventidue partecipanti, tutto di getto, perché
proveniente da un’unica mano. Ha avuto un grande successo, Hilde e Maria
sono state estremamente commoventi. Il signor Meyer (Parkhaus) sta un po’
meglio, sembra che da tempo ci siamo lasciati l’apice alle spalle, ha passato
un bel Natale in famiglia, anche se è ancora nell’«edificio con le celle»8.
Spero che ritorni a essere più calmo. La signora Bodmer sta facendo
ulteriori progressi, cosicché esteriormente si nota di meno la sua malattia;
per quattordici giorni si è vestita da sola, mangia a tavola. Come
vicecapoinfermiera la Schwexe9 è veramente eccellente. La capoinfermiera
di Villa Maria è molto più adatta lì che non a Villa Tannegg. Entriamo
nell’anno nuovo con tredici pazienti in più del 1924-1925 e ventitré in più
del 1923-1924. Con mio grande rincrescimento, il 1° aprile se ne va Benda,
per lavorare per un po’ di tempo per conto suo. Ho un sostituto (tedesco)
che sembra essere molto piacevole: figlio di un ufficiale, molto portato per
la musica e allievo di Jung.
Io e mia moglie, che La saluta cordialmente, saremmo molto lieti se
questa volta potessimo riuscire a venire ad Amburgo. Avrà certamente
saputo che Embden è stato di passaggio qui da noi. Naturalmente, in quelle
poche ore abbiamo avuto molte cose da raccontarci.
Per oggi può bastare. Sa che tutti noi facciamo a Lei e alla Sua cara
signora i migliori auguri per il nuovo anno. Se dovesse andare di nuovo a
Baden-Baden, potremmo rivederci lì. Nel frattempo saluto cordialmente Lei
e la Sua consorte.
Con l’affetto di sempre,
Suo Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
7 maggio 1926

Caro Professore!
Innanzitutto, mia moglie e io La ringraziamo di cuore per la cartolina da
Stoccolma1. Eravamo entusiasti che Lei si fosse avventurato con Suo figlio
in un simile viaggio2! Inoltre, mia moglie ringrazia di cuore la Sua del
rapporto dettagliato sull’inaugurazione del nuovo edificio e sull’atmosfera
creata da Cassirer durante la sua conferenza3. La ringraziamo anche per il
Suo rinnovato invito! Se solo Amburgo non fosse così lontana! Caro
Professore, non sia arrabbiato con noi, ma dovremo sfruttare l’occasione
quando saremo comunque nella Germania del nord; ciò avverrà, come già
Le scrissi, in settembre, a fine settembre ci sarà infatti il grande congresso a
Düsseldorf che durerà una settimana. Spero che allora Lei sarà
raggiungibile. Avrei così volentieri sentito sia la Sua conferenza sia quella
di Cassirer! Mi rallegro con Lei del fatto che la nuova sala abbia superato la
prova e che tutto il problema relativo alla Biblioteca si sia risolto nel
migliore dei modi. Non pretenda troppo da se stesso; la Sua osservazione,
che ormai anche Lei sia finito, mi porta a frenare nuovamente da lontano il
Suo impetuoso temperamento giovanile! Il 29 ci sarà l’incontro dei
neurologi tedeschi del sud-ovest a Baden-Baden e sono molto felice di
incontrare Embden.
Cordiali saluti da noi due a Lei e alla Sua cara consorte.
Sinceramente Suo,
Ludwig Binswanger.
Aby Warburg a Ludwig Binswanger,
6 ottobre 19261

Al dottor Ludwig Binswanger2


Dopo il mio ritorno da Noordwyk io e Saxl abbiamo dovuto allestire una
piccola mostra, da esibire in occasione del convegno degli Orientalisti
tedeschi, che si è svolto ad Amburgo dal 28 settembre al 2 ottobre, in
concomitanza con la terza edizione di Sternglaube und Sterndeutung di
Boll. Curata con esemplare coscienziosità dal professor Gundel (Giessen),
essa presenta l’opera del mio defunto amico senza trasformarne il carattere
nella parte testuale, ma in una veste molto migliore sia internamente che
esternamente rispetto alle due edizioni precedenti. Subito dopo la morte del
mio indimenticabile amico ho considerato come mio compito far comparire
questa terza edizione – che egli aveva previsto, ma che gli aveva dato molta
pena per la scarsa generosità e lentezza di Teubner – in una forma dignitosa,
così come egli si era segretamente augurato. Le trattative con il dottor
Giesecke3, che avevo già condotto nell’estate del 1924, sono risultate più
facili del previsto perché egli non è tanto l’editore delle nostre opere,
quanto piuttosto il nostro commissionario, e se anche questo libro non
appartiene alle nostre serie, né agli «Studi [Studien]» né alle «Conferenze
[Vorträge]», doveva comunque trattare con noi avvolto nella toga
dell’editore interessato alla scienza. Poiché abbiamo per giunta messo a
disposizione gratis il nostro materiale illustrativo e non abbiamo preteso
neppure un centesimo di onorario per Gundel – che ho a mie spese sottratto
al servizio scolastico – non c’era bisogno di fare sacrifici per dar prova di
«liberalità». Gli introiti del libro, che sicuramente andrà molto bene,
spettano per intero, secondo gli accordi, a Georg Boll, il figlio di Franz
Boll. Così abbiamo di fronte a noi un volume che, nella sua semplice
eleganza, non lascia più intravedere la tenuta da schiavo che ha dovuto
indossare per anni nella collana «Natura e mondo spirituale»4. L’opera, che
io Le manderò di qui a poco, significa per gli Orientalisti un ponte, che io e
Saxl costruiamo da anni in compagnia di altri colleghi; abbiamo con mano
ferma e indefessamente gettato i ponti, su cui vediamo ora chiaramente
migrare i simboli astrali per un periodo di migliaia di anni. Come l’antichità
orientale migra da est a ovest, e l’antichità italiana da nord a sud, così la
raccolta di riproduzioni – che nella sala avevamo disposto su sei grosse
tavole di legno, allestite di fronte agli scaffali sulle pareti ellittiche – mostra
la migrazione dei simboli astrali. Un grosso aiuto ci è venuto in questo
esperimento dalla nostra macchina fotografica – una Photoclark del dottor
Jantsch in Überlingen – che ci permette in brevissimo tempo di riprodurre
una quantità enorme di immagini senza bisogno di negativo di vetro. Così
abbiamo mostrato all’incirca centotrenta immagini, che indicavano le tappe
della migrazione, coprendo uno spazio di tempo di circa quattromila anni.
Di queste immagini venticinque appartenevano alla pittura monumentale,
una riproduceva un dipinto su tavola, dieci appartenevano alla scultura e
settantacinque all’illustrazione, mentre cinque all’incirca al dominio della
incisione, e altre cinque rappresentavano illustrazioni schematiche di
concezioni cosmologiche. A partire dal 1909, Saxl e io abbiamo
esternamente raccolto, e internamente interpretato, materiali che ci
consentono ora di trarre conclusioni decisive: si tratta in primo luogo di
miniature e manoscritti, che abbiamo scovato nelle biblioteche, di fronte a
difficoltà quasi insuperabili, e che abbiamo potuto fotografare grazie ai
generosi mezzi a nostra disposizione. Si vede ora che queste spese sono
valse ampiamente la pena. Un manoscritto spagnolo, per esempio, che ho
potuto scoprire grazie all’aiuto dell’attuale cardinale Ehrle, allora (1909)
prefetto della sala di lettura della Vaticana5, si rivela il vero e proprio
missing link tra l’Oriente, la Grecia e l’Europa. Ho finora fatto uso di questa
inesauribile scoperta soltanto nel mio lavoro su Lutero6. Ma questo solo di
passaggio. Spero di poterLe far da guida di fronte a queste immagini non
appena avrò finalmente la gioia di poterLa salutare nella sala ellittica.
Il pomeriggio del 30 settembre ho tenuto una conferenza di mezz’ora su
queste immagini. Ho dovuto parlare – il che non era originariamente mia
intenzione – di fronte a un pubblico seduto di un’ottantina di colleghi,
poiché la forma più sciolta del dialogo sarebbe stata impossibile di fronte a
tanta affluenza. Mi è riuscito di attirare l’attenzione di questi «colleghi dalle
altre facoltà» sul problema dello scambio di cultura tra Oriente e Occidente
con una riflessione sulla psicologia dell’immagine; alcuni sono tornati
anche nei giorni seguenti a esaminare con più attenzione le immagini.
Anche l’istituzione nel suo complesso ha avuto un’accoglienza favorevole;
il giorno della conferenza ho avuto il piacere di poter mostrare la Biblioteca
al mio collega di un tempo e ora ministro dell’Istruzione Becker7, che era
pienamente d’accordo con i miei sforzi. La tensione fisica è stata molto
grande, ma ne sono venuto alla fine a capo – nonostante si sia aggiunto
anche un raffreddore – e ho parlato la sera ancora con una certa freschezza.
Navigare necesse est, vivere non necesse est8. – Ieri è stato qui anche il
proprietario di una grande compagnia giapponese, il signor Okura9 di
Tokyo; è un filantropo molto sensibile, che vorrebbe di nuovo impregnare
dell’antico elemento spirituale il sistema educativo e bibliotecario del
Giappone. Aveva portato con sé i suoi architetti, per imparare il possibile
dalla costruzione della mia Biblioteca, peccato che non vedrò mai quel che
ne verrà fuori: Les idées d’un Hamburgeois vues par le tempérament d’un
Japonais10.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
26 ottobre 1926

Caro Professore!
Questa volta la lista dei ringraziamenti che Le devo è lunga: per prima
cosa, ho trovato al mio ritorno dalle ferie diversi volumi di Vorträge e
Studien della Biblioteca, che l’amico Saxl mi aveva fedelmente spedito. Poi
è arrivata la Sua bella lettera, che mi ha fatto particolarmente piacere, infine
la splendida e pregevole terza edizione di Boll con il ritaglio di giornale sul
convegno degli Orientalisti1. Sono stato felicissimo di ricevere un resoconto
al riguardo che mi ha dimostrato così bene il Suo rendimento intellettuale e
vitale. Sono contento che Boll, uomo simpatico e vivace oltreché
ricercatore eminente, il cui ricordo è in me ancora vivo, abbia ricevuto da
Lei un così bel monumento. Grazie di tutto, per il pensiero e il gesto!
Cassirer mi ha scritto una lettera deliziosa, in risposta alla nostra
cartolina e al mio saggio sul linguaggio2. Quando avrà un momento libero,
gli dia un’occhiata; ho spedito i miei ultimi lavori alla Biblioteca.
Sono molto occupato, per essere fine ottobre abbiamo un’alta stagione
sorprendente e al momento superiamo le settanta unità. Che una clinica
funzioni bene è, come per le parole straniere, questione di fortuna, e
precisamente intendo dire che va bene dall’interno. Il nostro compito
consiste unicamente nel sorreggere ogni tanto questa fortuna, di modo che
non sia solo una coincidenza. È ciò che sto facendo ora, in quanto sto dando
dappertutto una spazzata e qua e là un’oleata, con tutte le forze che ho
raccolto durante le vacanze, per quanto i miei collaboratori abbiano lavorato
bene in mia assenza.
Saluti la Sua cara moglie da parte nostra, e anche Embden. Sono stato
felice di aver nuovamente passato un po’ di tempo con lui.
Tanti saluti a Lei e a Saxl.
Con immutato affetto, Suo
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
7 dicembre 1926

Caro Professore!
Questa è proprio una novità estremamente interessante! Dato che mia
moglie da settimane è costretta a stare a letto per gran parte della giornata a
causa di una colite, mi assumo il compito di fare a nome di entrambi gli
auguri a Lei e alla Sua cara signora e di ringraziare di cuore Sua moglie per
le dettagliate informazioni1. Credo di ricordarmi del giovane e,
precisamente, con simpatia. Mi sembra che per Marietta sia un buon segno
il fatto che abbia intrapreso la strada dall’introversione all’identificazione
dell’oggetto. Entrambi auguriamo di cuore ogni bene a Lei e alla giovane
coppia. Spero di venire un giorno anche a conoscenza delle Sue
impressioni, nonostante io evinca già dalla lettera della Sua consorte che
anche Lei ne è felice, anche se probabilmente avrebbe preferito anche Lei
come genero un «uomo arrivato».
Prossimamente Le manderò il manoscritto del mio discorso di apertura
della nostra ultima riunione degli psichiatri a Zurigo2, la quale, peraltro, si è
svolta in maniera piuttosto animata. La prego di restituirmi all’occasione il
manoscritto. Deve soltanto servire a dimostrarLe su che terreno fertile
cadano in me i Suoi bons mots, che solitamente sono più di questo3. La
riunione si è svolta a fine novembre. Il tre dicembre ho tenuto presso la
società kantiana a Basilea una conferenza sulla comprensione che, per via
dell’ambiente quasi esclusivamente accademico (professori di teologia,
filosofia, giurisprudenza, biologia), mi ha fatto molto piacere. Adesso sto
lavorando a un saggio sull’alcolismo per la miscellanea Clinica tedesca4, a
una conferenza a Berlino per la fine di febbraio all’Istituto Psicologico e
alla seconda edizione della mia Introduzione5. Dato che anche la clinica
«procede» molto bene, può immaginarsi che io sia piuttosto teso. A luglio,
Häberlin6 e io organizziamo una settimana psicologica a Lucerna, in qualità
di curatori della fondazione psicologico-filosofica «Lucerna», della quale
Le ho sicuramente parlato.
Per quanto riguarda mia moglie, non si tratta di nulla di grave, ma
soltanto di una malattia dal decorso lungo e debilitante. I bambini stanno
bene, ma la perdita di Johannes7 diventa col tempo sempre più tangibile e
difficile da superare.
Entrambi rinnoviamo a Lei e alla Sua cara moglie i nostri auguri di cuore
per il futuro di Vostra figlia, come i nostri cordiali saluti.
Con immutato affetto, Suo
Ludwig Binswanger.
Aby Warburg a Ludwig Binswanger,
16 dicembre 1926

Mio caro dottor Binswanger,


Molte grazie per la Sua dettagliata lettera! Le restituisco subito la stesura
del Suo discorso e il ritaglio di giornale. Entrambi mi hanno avvinto e dato
molto da pensare. Lei presenta il magnifico Kraepelin in maniera plastica e
convincente; voglio volentieri seguirLa nell’ammirazione per questo
ricercatore eccellente, devo però aggiungere che il suo approccio nei
confronti dei malati di mente era di una grossolanità obotrita1. Mi dispiace
molto sentire che Sua moglie combatte con una colite, spero che le sue
condizioni migliorino presto.
Sono enormemente occupato, e intellettualmente produttivo fino
all’audacia, tanto che la mia stimata psiche inizia davvero a ritessere
fedelmente le fila del mio pensiero indipendente di prima della guerra. Così
mi ha preso, sorprendendo me stesso, un entusiasmo giovanile per i
francobolli, di cui volevo scrivere la storia già nel 1913. Di fatto ho già
tracciato di fronte a una piccola cerchia di persone uno schizzo evolutivo, o
meglio la biografia dello stile del francobollo, e ho trovato la completa
comprensione di persone competenti2. Per questo motivo Le invio per i
Suoi ragazzi un volume molto utile, seppure poco appariscente, di Bungerz,
il Grande dizionario della filatelia3, che come tutti i lavori del genere è
insufficiente alla prima, ma alla terza e quarta edizione promette di divenire
un libro prezioso.
La mia Biblioteca è molto visitata e gode del riconoscimento sincero di
persone competenti e congeniali. Il fidanzamento di Detta è per noi
naturalmente una grande gioia, ma semplici gioie familiari non mi sono
apparentemente concesse; sulla base di quel che Lei sa, è chiaro che io vedo
i problemi caratteriali della nostra cara figlia come una pesante dote, e
posso solo sperare che riesca a Braden – che peraltro venne una volta a
Kreuzlingen con Max, di cui è amico – di tirarla fuori dal guscio dei suoi
pregiudizi e inibizioni, il che non sarà facile4. Dal punto di vista fisico, ho
le ragioni più diverse di insoddisfazione: ma dopo i sessanta non è più una
sorpresa, a eccezione […]5 di se stesso, e anche questo solo con misura.
Spero che Lei festeggi le vacanze natalizie gioiosamente: la presente
[…]6 delle esistenze infantili non si può affaticare in […]7 di autotortura8.
Buon 1927 a Voi tutti! Se si comporta nei suoi confronti secondo i nostri
desideri, non avrà di che lamentarsi.
Il Suo sempre amichevolmente devoto
Warburg.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
20 dicembre 1926

Caro Professore!
Grazie di cuore per la Sua lettera, che mi ha fatto, come sempre, molto
piacere. Mi compiaccio particolarmente per la Sua freschezza mentale e per
il riconoscimento di cui gode la Biblioteca. Dal difuori, devo valutare il
fidanzamento come un buon segno. Se Sua figlia ama veramente il giovane,
e non cambia idea. Purtroppo non ho più un ricordo nitido del giovane. Il
fatto che sia un amico di Max va certamente a suo favore.
La ringrazio in anticipo per il dizionario che vuole spedire ai miei ragazzi
e per il quale La ringrazieranno di persona. Approvo assolutamente il Suo
ritorno a questo vecchio amore!
Per la festa di San Nicola e per Natale mia moglie è diventata molto
meno sentimentale e molto più responsabile nei confronti degli altri
bambini di quanto lo sia io, benché questa perdita significhi molto di più
per lei. Perciò sono molto orgoglioso di lei e mi faccio redarguire molto
volentieri.
A Lei, caro Professore, e a tutta la Sua famiglia auguro buone feste e
buon anno.
Sempre Suo,
Ludwig Binswanger.
Aby Warburg a Ludwig Binswanger,
18 giugno 1927

Caro e stimatissimo Dottore,


La ringrazio di cuore per il sentimento di amicizia, che traspira dal Suo
telegramma di auguri di compleanno1. Sono contento che non mi abbia
ancora dimenticato, se pure non Le ho raccontato molto di me negli ultimi
tempi. Le cose vanno abbastanza bene, in considerazione dell’età. Sono
appena rientrato da Karlsbad e a quanto pare non ho più bisogno della
iniezione di insulina, tenuto conto di una dieta d’altronde molto ristretta, o
per lo meno posso temporaneamente farne a meno, ciò che significa un
grandissimo sollievo per il mio stato d’animo soggettivo. Inoltre non mi
sento più uno schiavo di questa duplice iniezione, che presupponeva sempre
che dipendessi dall’aiuto di qualcun altro, poiché non me la posso
somministrare da solo. Sono soltanto insoddisfatto che un disturbo del
corpo vitreo dell’occhio destro receda purtroppo lentamente. Mi tormenta
dal novembre scorso e mi costringe a diminuire notevolmente il numero
delle mie letture. A parte questo, ho potuto tuttavia continuare ed estendere
i miei lavori, così che la Biblioteca è adesso diventata un organo scientifico
necessario a molti esperti. Ho avuto occasione di presentare la Biblioteca al
convegno degli Orientalisti tedeschi e al congresso dei bibliotecari del
Niedersachsen, così come a numerose associazioni educative locali. Le ho
già inviato il resoconto sul convegno degli Orientalisti? In ogni caso Le
allego di nuovo due esemplari, uno per Lei e uno per il dottor Benda.
Marietta, ora signora Braden, è molto contenta del suo matrimonio, e
inoltre alla fine di agosto verosimilmente rinuncerà al suo lavoro di
infermiera, decisione che mi trova consenziente. In autunno spero ancora
una volta di andare in Italia per concludere una serie di studi interrotti dalla
guerra. Pensiamo di essere a Firenze dalla penultima settimana di settembre
fino all’ultima di ottobre; di ritorno potrei passare da Costanza, per parlare
di nuovo di fronte a Voi e rivedervi, una prospettiva che mi rallegra fin
d’ora. Spero allora di trovarvi tutti assieme, poiché ovviamente mi interesso
al destino di tutti Voi. Ma vi dico in anticipo che mi troverete corporaliter
invecchiato. Dal colletto in su va ancora bene. Vi allego anche una piccola
figura in legno con la mia fotografia, è per il compleanno di Dieter, ma
potete anche Voi darle un’occhiata, se ne avete l’appetito.
Mentre La prego di trasmettere i miei più cordiali saluti alla Sua cara
moglie e a tutti i bambini, al dottor Benda, al dottor Kurt e di non
dimenticare la Schwexe, sono
sempre con affetto
il Suo
Warburg.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
22 giugno 1927

Caro Professore!
A tutto il Gartenhaus ha fatto molto piacere la Sua statua1 di Karlsbad e
le sue nuove del 18. Grazie di cuore! Non La dimenticheremo mai.
Congratulazioni per l’affrancamento dall’insulina. Naturalmente, mi rende
particolarmente felice il fatto che l’annebbiamento dell’umor vitreo stia
lentamente diminuendo. Mi aveva già mandato il rapporto sull’incontro
degli Orientalisti; Benda La ringrazia di cuore. Non so se Lei sa che si è
sposato. Anche sua moglie è medico e qui sta facendo velocemente pratica
di psichiatria. Sono molto contento di avere qui questa coppia di coniugi.
Con Benda stesso ho, come Lei sa, parecchi interessi in comune e mi sento
meno isolato, quando è qui. Il dottor Colpe è stato sostituito dal giovane
dottor Weil di Basilea, che ha un gran talento psichiatrico, cosicché la
sostituzione ora sarebbe ben superata. Il primo ottobre subentrerà, al posto
del dottor Kurt, il dottor Wuth, di orientamento squisitamente chimico-
somatico, che ha lavorato a lungo presso l’Istituto di ricerca a Monaco ed è
stato assistente del Suo amico Kraepelin. Ha quarant’anni e ha pubblicato
dei lavori d’impostazione chimico-somatica considerevoli.
Comprensibilmente, le buone notizie sul conto di Marietta mi hanno fatto
particolarmente piacere. Lei ha un debito verso di noi: venire a Costanza in
ottobre! Lei sa che un parcheggio e del personale domestico maschile e
femminile Le saranno messi a disposizione. Inoltre farò installare
un’apposita linea telefonica Inselhotel-Gartenhaus. La nostra nuova Buick
può essere trasformata con pochi sforzi in una vettura-salone!
Mia moglie e Dieter La salutano sentitamente. Boby ha un breve ma
faticoso primo semestre estivo a Ginevra, le scienze naturali non lo attirano
ancora molto ed è felice quando ogni tanto può leggere per mezz’ora
Omero. Una volta sono andato a trovarlo. Ad agosto vorremmo andare tutti
insieme in una casetta comune in montagna, nel caso dovessimo trovarne
ancora una! Anche la Schwexe La saluta tanto, ha moltissimo da fare,
poiché il Parkhaus è pieno fino all’orlo, nonostante cinque veterani siano
stati evacuati nella Parkvilla. Cari saluti anche dal dottor Kurt e dal dottor
Benda.
Cordiali saluti da parte mia a Lei e alla Sua consorte.
Suo,
Ludwig Binswanger.
Aby Warburg a Ludwig Binswanger,
1° agosto 1927

Mio caro e venerato Dottore,


Nel frattempo avrà ricevuto il terzo volume dei Vorträge con il saggio di
Hoffmann su «Platone e il Medioevo»1. A mio parere Lei deve già da un
pezzo avere questo volume dei Vorträge, e temo anzi che stia piuttosto
aspettando lo scritto di Cassirer: Individuo e cosmo2. Le arriverà di qui a
poco e, immagino, Le farà molto piacere. Io sono impegnato in un lavoro
scientifico molto proficuo, che inizia anche esteriormente a estendere i suoi
limiti, e spero solo che possa durare.
La visita a Kreuzlingen mi sta di fronte come un desiderio realizzabile.
Con un cordiale saluto da casa a casa,
il Suo devotissimo
Warburg.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
3 agosto 1927

Caro Professore!
Grazie di cuore per il terzo volume che effettivamente non possedevo
ancora. Quanto a Cassirer: Individuo e cosmo, sono estremamente curioso.
Mi compiaccio che Lei stia lavorando scientificamente con successo. La
settimana di psicologia a Lucerna con Häberlin e Bleuler, una sorta di
università popolare indipendente, si è svolta in maniera estremamente
vivace e armoniosa.
Qui c’è moltissimo da fare. Il 18 agosto andrò con tutta la famiglia a
Braunwald, dove abbiamo affittato una casetta. Dopodiché ci sarà il
convegno a Vienna e la visita a Freud al Sommerring1.
Cordiali saluti da me e da mia moglie a Lei e alla Sua cara consorte.
Sempre Suo,
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
25 maggio 1928

Caro Professore!
Mi rincresce ancora molto di essermi dovuto opporre al Suo progetto
americano1. Posso immaginare che cosa significherebbe per Lei questo
viaggio e gliel’avrei augurato di cuore. La mia unica gioia in tutta la faccenda
è stata quella di vedere che Lei non ha mai dubitato della mia obiettività e
non ha in nessun modo preso la mia opposizione come un fatto personale.
Ripeto che le Sue condizioni psicologiche attuali non mi forniscono alcuna
garanzia che Lei possa realizzare in qualche modo il Suo progetto. Non
escludo però che Lei possa essere in grado di metterlo in atto in una fase
migliore del Suo stato generale. Mi ha fatto un bellissimo regalo con la Sua
visita guidata attraverso il museo2, ho ancora vivo nelle orecchie l’eco di
ognuna delle Sue parole, e penserò sempre a Lei, quando sarò davanti a quei
quadri.
Durante il volo di ritorno sono rimasto fermo a Mannheim per alcune ore,
a causa di un guasto al motore, poi con l’aereo di riserva sono arrivato
soltanto fino a Baden-Baden, dove ho dovuto passare la notte. La mattina
seguente avrei dovuto essere a Costanza. A causa della fitta nebbia siamo
dovuti però atterrare a Villingen, ma alle nove sono poi arrivato sano e salvo.
Sono persone assolutamente prudenti e scrupolose, e volerò ancora. Però non
conti troppo su Amburgo; da quando sono di nuovo qui, vedo quanto sia
difficile per me liberarmi di nuovo a breve scadenza.
Per regolare subito le questioni finanziarie, aggiungo che liquido

per spese di viaggio franchi 200.-


come onorario medico “ 500.-
tot. franchi 700.- = marchi 630.-

Ho scritto a Embden un rapporto dettagliato3.


Spero che Lei sia rientrato bene.
Mia moglie e io porgiamo i nostri cordiali saluti a Lei e alla Sua cara
moglie.
Sempre Suo,
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg
18 luglio 1928

Caro Professore!
Sono molto felice dell’amichevole predisposizione che traspare dalla Sua
lettera del 121. Soprattutto sono contento che il Suo libro volga verso la
conclusione. Un lavoro mostruoso! Comunque non riesco a credere che lo
avrebbe portato compiuto dall’America. Nonostante tutto, ancora oggi sono
dell’opinione di averLe dato a Francoforte il consiglio giusto. Sarei
felicissimo per Lei se Cassirer dovesse restare ad Amburgo. Ho trovato
eccellente e per niente esagerato l’articolo di giornale che mi ha mandato e
per il quale La ringrazio2. Che il glucosio non scompaia del tutto non mi
preoccupa troppo. Stia tranquillo per qualche settimana e vedrà che svanirà
completamente, e come tranquillità intendo naturalmente anche la
tranquillità interiore!
Sarebbe splendido se in autunno potesse venire qui, anche se solo per
poco tempo, come transizione verso l’Italia. Le allego due preventivi, ma
vedo ora che al n. 1 e 2 pagherebbe fr. 35- per l’appartamento, cosa che ho
appuntato sull’altro foglio. Naturalmente, dovrebbe accontentarsi di quello
libero al momento, oppure dovrebbe annunciare il Suo arrivo il prima
possibile, se vuole avere due camere specifiche. Siamo nel mezzo di una
piacevole grande impresa, che però è necessaria, dato che vogliamo rendere
la Bellevue esternamente e internamente più bella, come anche le ville
Harmonie e Maria, e ciò comporterà una grossa spesa. Le ville Roberta,
Tannegg e Felicitas sono già state rinnovate.
La mia seconda edizione3 è dentro e intorno a me, mi avvolge come
atmosfera mentale, ma sono ancora nello stadio dell’incubazione. Perciò
resta anche in dubbio se verrò ad Amburgo dai Neurologi, dal momento che
ora devo dedicarmi completamente a questo progetto. Solo Lei sa cosa
significhi un tale compito, associato alla direzione della clinica.
Nei prossimi giorni Boby sosterrà il suo primo esame di fisica. Sta
magnificamente bene, dato che ha potuto prepararvisi qui per tutta l’estate
in piena tranquillità. Hilde è una figlia estremamente moderna, è molto
indipendente. Dietrich è ora, e non lo dico soltanto io ma anche gli altri,
particolarmente grazioso. Wolfgang e Butzi stanno diventando degli
uomini.
Cordiali saluti a Lei e alla Sua cara moglie, anche da parte di mia moglie.
Con amicizia e devozione, Suo
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Aby Warburg,
11 gennaio 1929

Caro Professore,
Mi scusi per il ritardo nel risponderLe alla questione Lobulin1, l’allegato
le spiegherà questo ritardo. Il mio amico Gigon è un eccellente ricercatore
riguardo al diabete, può fidarsi di lui, quindi le sconsiglio il Lobulin. Per
quanto riguarda gli altri preparati, non dovrò certo dire a Lei che si tratta
sempre di cose che possono essere assunte solo su prescrizione e sotto
stretto controllo medico. Se con von Noorden Lei non fosse in così buone
mani, Le avrei consigliato di consultare una volta Gigon (Basilea). Dato che
von Noorden La conosce così bene, non lo considero necessario.
All’occasione, Le chiedo di restituirmi la lettera.
Dal dottor Bodmer (Firenze) ho avuto molte notizie sul Suo conto. Sono
molto felice che Lei sia riuscito ad ambientarsi così bene a Roma.
Le auguro nuovamente ogni bene per l’anno nuovo. Durante il viaggio di
ritorno passerà di qui? Quanto tempo resterà a Roma? La cosa migliore
sarebbe che io scendessi in quel periodo e che potessi godere della luce
riflessa dalla Sua ombra (questo modo di dire non è un lapsus linguae)!
Cordiali saluti da parte mia e di mia moglie con i migliori omaggi alla
signorina Bing.
Con devozione, Suo
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger a Mary Warburg
18 dicembre 1929

Cara signora Warburg,


mia moglie e io La ringraziamo di cuore per i bei necrologi1 in memoria
del Suo caro marito. L’immagine che adorna i necrologi2 è l’immagine di
Suo marito che preferisco.
È una rara fortuna essere compresi a tal punto dai propri amici e
collaboratori, come risulta da queste parole commemorative, ancora più rara
è la fortuna che agli amici e ai collaboratori sia conferito il dono di dare
un’espressione così meravigliosa al loro amore e alla comprensione per
l’amico, proprio come in questo caso. Ciò non mi rende felice soltanto per il
Suo caro marito, ma anche per Lei stessa! D’altra parte, è anche un segnale
luminoso per lo stesso defunto, che abbia saputo legare a sé tali amici e
collaboratori. Dal punto di vista meramente umano, il necrologio di Saxl mi
ha fatto particolare piacere e soprattutto l’accentuazione del ruolo che la
fanciullezza ha sempre avuto per il Suo caro marito3. Ricordo ancora,
parola per parola, ciò che durante il viaggio verso Francoforte nella famosa
carrozza salone mi aveva raccontato della sua bambinaia4 e come a
entrambi fu chiara l’importanza che quella persona aveva avuto per il suo
sviluppo psichico.
Questi necrologi mi sembrano delle variazioni di un tema musicale
profondo e imperscrutabile, che non può essere esaurito da nessuno ma che
comunque rende felice l’esistenza di ognuno, ogniqualvolta costui senta
risuonare questa o quella battuta nel silenzio della propria essenza.
Tutti noi andiamo incontro a una celebrazione del Natale priva di
allegria. So però che anche Lei è coraggiosa e che sta lottando contro il
dolore.
Mia moglie e io La salutiamo con cordiale affetto.
Sempre Suo,
Ludwig Binswanger.
Ludwig Binswanger e il rituale della salvezza

di Chantal Marazia

Questi psichiatri sono degli aguzzini e dei mistificatori di prima categoria. Non è difficile fare i
giocolieri con la mente, ma così si rovinano gli uomini, invece di salvarli.

E.L. KIRCHNER, paziente di Binswanger tra il 1918 e il 1919

Le abluzioni sciolgono i peccati, ma cristallizzano le idee. Se ad


Archimede immerso nella vasca l’acqua suggerisce l’eureka, per Aby
Warburg essa è invece un vero e proprio catalizzatore del delirio.
Il binomio delirio-acqua è solo uno dei tanti indizi che emergono dalla
cartella clinica di Warburg, se esposta all’estrapolazione del commento.
Come il liquido cambia geometria in relazione al proprio contenitore, la
fisionomia della patologia di Warburg può mutare in base ai paradigmi
interpretativi a cui viene consegnata. Selezionare e seguire le tracce che la
malattia lascia in forma di sintomi è uno dei percorsi naturali della
consultazione (o dell’esegesi), ma anche della stesura di una cartella clinica.
Essa stessa è il risultato di una scrematura preliminare dei dati raccolti dallo
sguardo loquace del medico, e in quanto tale, va affrontata come
documento-filtro e non come documento-specchio di un’esperienza clinica.
La cartella clinica non possiede il monopolio sul vissuto del paziente, e la
sua espunzione dal dossier medico ne evidenzia, oltre alla limitata
autonomia, anche la formulazione originaria: l’incarnazione di una scrittura
squisitamente privata. Tradurla in scrittura pubblica significa, da una parte
restituirle la sua «caratteristica di monumento» (Canguilhem), dall’altra
sradicarla dal suo contesto e tradirne la finalità.
Nel caso specifico della cartella clinica di Aby Warburg, non solo i tratti
del paziente ma anche quelli del medico curante sfumano, confondendosi
con la volontà e l’operato degli altri personaggi coinvolti. Il dossier medico
di Warburg presenta infatti una struttura polifonica, all’interno della quale le
singole voci sono difficilmente isolabili e identificabili. La pluralità di
autori che intervengono nella compilazione di tale rapporto diluisce la
presenza e quindi anche la responsabilità di Ludwig Binswanger nel «caso
Warburg». La storia, finora, ci ha detto che Warburg è stato paziente di
Binswanger e che Binswanger è stato medico di Warburg. Questo volume
ridimensiona soprattutto il secondo inciso, ridistribuendo fra le figure
implicate (mediche e non) il peso dei singoli ruoli terapeutici e, di
conseguenza, anche i meriti della «guarigione infinita» dello studioso
tedesco.
Uno degli scopi originari di una postfazione a un testo inedito è
l’anticipata presa di posizione rispetto a uno o più interrogativi che il libro
potrebbe sollevare. La guarigione di Warburg (come genitivo oggettivo e
soggettivo) rappresenta sicuramente uno dei nodi problematici più
ingombranti di questa pubblicazione. Per sfuggire all’implacabile disegno
del commento immediato, vorrei temporaneamente spostare l’attenzione su
una questione di ordine più generale, vale a dire il concetto di guarigione in
Binswanger, orizzonte nel quale calare poi il caso specifico di Warburg.

Trattare, guarire, salvare

La nozione di guarigione è di per sé equivoca. In psichiatria (come nelle


altre branche della medicina) la prognosi è «fisiologicamente», seppur non
esclusivamente, legata alla diagnosi. Anche l’attività clinica di Binswanger
poggia su questa diade consolidata. Portata alle estreme conseguenze, la
suddivisione delle patologie secondo criteri strettamente prognostici può
innescare, di fronte al destino di un malato considerato incurabile,
un’impostazione terapeutica deterministica. Tale atteggiamento può
giungere a giustificare, oltre all’omissione della cura1, anche il trattamento
mirato alla semplice neutralizzazione del sintomo. Quest’ultima misura,
adottata dallo stesso Binswanger, non esclude le terapie più invasive,
farmacologiche e chirurgiche. Infatti, rispondendo a una lettera del collega e
maestro Karl Bonhoeffer, nella quale quest’ultimo manifesta dei seri dubbi
riguardo al ricorso alla lobotomia (nei casi di schizofrenia), Binswanger
dimostra una certa fiducia in questa nuova pratica terapeutica:
Quanto alla lobotomia, l’anno scorso sono stato in Inghilterra. Vi andai con estremo scetticismo,
ma poi vidi e sentii talmente tante cose buone su questa pratica, che in casi disperati non mi tirerei
indietro. Solo che allora non si può parlare di guarigione2.

Al di là delle considerazioni legate all’esito favorevole o sfavorevole di


una determinata patologia, sembra però che Binswanger non suddivida i
propri pazienti soltanto in malati guaribili e in malati destinati a rimanere
tali. A queste due categorie se ne aggiunge infatti una terza, tacita e latente,
basata su criteri «metadiagnostici». In una lettera al filosofo Martin Buber,
Binswanger individua – riassumendo la propria attività clinica – due
differenti approcci alla malattia, o meglio al paziente:
Naturalmente condivido la Sua differenziazione fra colpa e complesso di colpa, come anche la sua
differenziazione fra guarigione [Heilen] e salvezza [Heil], oppure fra terapia e cura dell’anima
[Seelsorge], ma l’ultima differenziazione più per una questione di principio che per motivi pratici.
La Sua differenziazione varia praticamente da medico a medico, ma soprattutto anche da paziente
a paziente. Ammetto di essermi dovuto spostare, nella maggior parte dei miei casi, sul voler-
guarire, ma ho avuto anche un certo numero di pazienti – e questi li preferivo – per i quali non
potevo e non volevo fare questa differenziazione, e dove piuttosto la guarigione mi sembrava
possibile soltanto se prendevo contemporaneamente in considerazione la possibilità di una
salvezza, e precisamente da entrambe le parti, vale a dire da parte del medico e del paziente…3

Questa confessione rivela almeno due assunti. Il primo, che conferma il


ruolo di Binswanger nel processo di de-reificazione e di ri-valutazione del
paziente, è stato ampiamente valorizzato. La storiografia e la filosofia
hanno infatti già conferito allo psichiatra svizzero la (co-)paternità di una
psichiatria umana, fondata sull’ascolto e sull’empatia (Einfühlung),
sull’incontro e sulla «comunicazione esistenziale» fra medico e paziente. Il
riverbero di questa icona rischia però di offuscare la seconda parte del
discorso, la distinzione cioè – ammessa dallo stesso Binswanger – fra
malati da guarire e malati da salvare o, quantomeno, fra pazienti guaribili e
pazienti salvabili.
Al di là di tutto ciò che trasmettono le sue pubblicazioni scientifiche,
l’attività clinica di Binswanger lascia quindi trasparire almeno tre diverse
intenzionalità (o se non altro tre diversi esiti previsti) che muovono il
trattamento terapeutico: il mero intervento, mirato alla soppressione del
sintomo; la cura del sintomo finalizzata alla guarigione; e la «salvezza»,
basata sulla «presa di coscienza della malattia»4.
Contraltare della guarigione, dunque, non è soltanto la persistenza degli
stati patologici, ma anche la «salvezza». Tuttavia, oltre a risultare spesso
intercambiabili, salvezza e guarigione non raggiungono negli scritti di
Binswanger una nitida definizione. Immagini tanto suggestive quanto vaghe
per descrivere la transizione dalla malattia alla salute mentale, come il
passaggio dal «mondo proprio» (Eigenwelt) al «mondo comune»
(gemeinsame Welt), dalla «illusione» (Täuschung) alla «verità», o
espressioni come «riguadagnare il proprio Sé» (Wiedergewinnung des
Selbst), impediscono sia di delineare sia di delimitare la dimensione della
guarigione e quella della salvezza. Ciò nonostante, possiamo almeno
ipotizzare che il ricorso al termine Heil piuttosto che al sinonimo Rettung
per definire la salvezza potrebbe essere dettato, oltre che da questioni di
stile, anche dall’immediato rimando alla sfera del sacro (Heilig). Non mi
spingerò, come è già stato fatto per Freud5, fino al punto di alludere ad
aspirazioni messianiche da parte di Binswanger. Eppure, mentre guarire
significa sostanzialmente ristabilire un equilibrio (preesistente), salvare
prevede la creazione di una dimensione finora sconosciuta al paziente.
Mentre l’azione medica che guarisce «trova il proprio compimento nella
propria soppressione»6, la medicina che porta alla salvezza protrae la
presenza dell’intervento e dell’attività quantomeno demiurgica del medico.
Arrogarsi la capacità di condurre l’uomo verso se stesso, di comprendere la
presenza umana e il suo «progetto di mondo», significa comunque
garantirsi, in quanto terapeuta, un raggio di volontà e di azione amplissimo,
che va dall’assenza di qualsiasi intervento terapeutico alla terapia totale7.
Non stupisce che questo stesso atteggiamento possa fornire le premesse per
una psichiatria che descriva il suicidio di una paziente come «il necessario
adempimento del senso della vita»8 di tale malata.

I salvabili

Forse è possibile mettere a fuoco l’orizzonte della salvezza restringendo


l’obiettivo su coloro che possono o debbono essere salvati. Chi sono questi
eletti, ai quali Binswanger concede l’accesso al sacro rito di una terapia
salvifica? Ancora una volta possiamo avanzare soltanto delle ipotesi.
Bettina Gockel9 ha proposto di inserire fra questo gruppo ristretto di
salvabili «i veri artisti», facilitati nel processo di autocoscienza, perché
sanno come, accanto alla percezione sensibile, si dia altresì un altro genere di conoscenza, di
esperienza immediata, diretta, e che, accanto alla scomposizione concettuale dell’oggetto nei suoi
singoli elementi, esiste la possibilità di coglierlo in modo più originario e più totale10.

Oltre agli artisti, anche gli intellettuali sembrano godere di uno statuto
privilegiato o, se non altro, di una sorta di immunità professionale rispetto
alle strategie terapeutiche più invasive. In una lettera al collega Mann,
Binswanger propone una legittimazione a questo tacito esonero:
Continuo a rifiutare l’elettroshock, per questioni cliniche e di principio; rispetto alle prime anche
solo a causa dei disturbi della memoria, che durano molto a lungo […] L’introduzione di semplici
assenze elettriche senza convulsioni è un’innovazione felice, soprattutto per le depressioni; in
questo caso le conseguenze organiche sembrano essere decisamente minori. Naturalmente sto
parlando soprattutto di pazienti che svolgono professioni intellettuali11.

La presunta preferenza accordata da Binswanger a un gruppo specifico di


pazienti può essere desunta, oltre che da categorie professionali, anche da
quelle nosologiche. Tuttavia, se si può individuare una predilezione più o
meno manifesta per i malati affetti da sindrome maniaco-depressiva, essa
sembra poggiare più che altro su meriti sociali:
Dobbiamo considerare che effettivamente fra i maniaco-depressivi prevalgono, a prescindere dal
resto, gli individui di valore. Nel caso dei miei malati si tratta soprattutto di persone preziose per la
loro produttività, voglia di lavorare, produzione mentale; di pionieri, fondatori, innovatori nel
senso buono del termine, industriali, ingegneri, commercianti, banchieri, scienziati e artisti12.

Il caso Warburg

Anche nella vicenda clinica di Warburg la prospettiva della guarigione


sembra intimamente legata alla prognosi. In questo caso si potrebbe
ricostruire la parabola ascendente dell’ottimismo terapeutico di Binswanger,
utilizzando come variabili le due differenti diagnosi emesse. Fino a quando
infatti rimarrà arroccato sulla diagnosi d’ingresso di schizofrenia,
Binswanger non potrà che escludere «un ristabilimento dello status quo
ante la psicosi acuta»13. Solo l’ipotesi successiva che si possa trattare di
«stato misto maniaco-depressivo» garantirà la possibilità di una
guarigione14. Nonostante la sensibilità artistica, la «professione
intellettuale» e l’appartenenza agli «individui di valore», Warburg non
sembra però rientrare nella schiera di privilegiati per i quali Binswanger
avrebbe preso in considerazione una guarigione legata alla «possibilità di
una salvezza, e precisamente da entrambe le parti, vale a dire da parte del
medico e del paziente». In ogni caso, i diari di Binswanger15 non
custodiscono alcuna traccia di una salvifica interazione con il suo illustre
paziente. L’unica testimonianza di un intervento significativo di Warburg
nella vita del suo psichiatra avrebbe potuto essere il titolo della conferenza
In che misura il movimento autonomista della nuova psicologia
rappresenta un incentivo per la psichiatria?, «formulazione linguistica di
Warburg, estortagli fra una sfuriata, un’imprecazione e una sbarbata, finché
non calzò…»16. Tuttavia, questa proposta è stata presto sostituita da una
formulazione meno audace17.
Se comunicazione interpersonale c’è stata, essa sembra più la
conseguenza che non la condizione necessaria per la guarigione di Warburg.
Il fatto che questa dimensione emerga soltanto dal rapporto epistolare,
successivo alla dimissione di Warburg, e non dal rapporto clinico fra i due,
sembra avvalorare la dichiarazione pungente – e forse anche tendenziosa –
di Jaspers, secondo la quale «sarebbe grottesco farsi rilasciare un onorario
in cambio di una prestazione della comunicazione esistenziale»18.
Trattato, curato e infine guarito, Warburg non porta i segni di un’evidente
salvezza condivisa con il proprio medico. Forse perché Binswanger non ha
mai messo veramente in gioco la propria soggettività. Nel momento in cui
avrebbe potuto farlo, si è ritirato dalla scena19, delegando le cure
dell’ingombrante paziente al cugino Kurt. È significativo che Warburg
abbia interpretato questo ripiegamento più o meno strategico come «paura
del proprio coraggio»20.
Nonostante la cartella clinica sia un possibile luogo di verifica
dell’incontro fra una dottrina e le pratiche che dovrebbero incarnarla,
l’effettivo radicamento clinico di un paradigma psichiatrico riformatore,
come quello inaugurato da Ludwig Binswanger, non può essere misurato
attraverso la lettura di un unico caso. Non va dimenticato che la proposta di
Binswanger è riuscita a ripensare e a trasformare l’orizzonte fondazionale
della norma psichiatrica, facendo vacillare le costruzioni socioculturali di
sano e di malato. Ma proprio alla luce di questo merito indiscusso appare
ancor più paradossale che, mentre contrastava la discriminazione
assiologica dell’«alterità», professando e promuovendo una sospensione
della dicotomia sano/malato, Binswanger abbia tacitamente sviluppato
(creato e portato alle estreme conseguenze) una suddivisione dei (propri)
pazienti in diverse categorie, legate all’intelligenza e alla riconosciuta utilità
socioculturale dei singoli individui.
Ludwig Binswanger

Sulla fenomenologia

Invitato a riferire sulla fenomenologia, mi vidi costretto a considerare


quale fosse il tipo di relazione maggiormente adatto per un primo
avvicinamento a questo tema. Il tipo di relazione più corrente,
un’esposizione riassuntiva e globale, non mi parve opportuno, perché non è
in grado di fornire un’adeguata visione d’insieme a chi non è ancora
familiarizzato con la materia, e inoltre non si presta alla lettura di fronte a
un pubblico. Per la stessa ragione scartai l’esposizione dello sviluppo
storico della ricerca fenomenologica nel settore della psicopatologia a
partire dai primi lavori di Jaspers fino a oggi. Un’utile esposizione globale
dei più importanti studi fenomeologico-psicopatologici degli ultimi anni,
oltre che dei punti di vista e delle prospettive per il futuro che questi lavori
hanno messo in luce, è stata del resto pubblicata da Kronfeld1. Una
relazione riassuntiva e globale si propone sempre di trasmettere in
condensato una nozione generale, di consentire un’idea complessiva di un
determinato settore della vita scientifica.
Al compendio possiamo poi contrapporre, adottando una suddivisione
piuttosto sommaria, la relazione di tipo conclusivo oppure introduttivo; la
prima, invece di esporre quel sapere generale, lo dà per noto, e cerca di
pervenire a un giudizio conclusivo, a un giudizio cioè quale in genere può
essere formulato con una certa sicurezza scientifica soltanto nei riguardi di
epoche, di personalità, o di scuole del passato. Quale esempio di questo
genere di relazione citerò quella classica di Liepmann sull’influsso di
Wernicke sulla psichiatria clinica2. Ma naturalmente anche questo tipo di
esposizione non era adatto al nostro scopo. Perché, a differenza di esso, e
del primo citato, una relazione introduttiva deve promuovere una
conoscenza soltanto provvisoria dell’argomento, non deve cioè portare né a
una conoscenza globale né a un giudizio conclusivo. Il suo compito è
piuttosto quello di mettere in luce con la massima evidenza possibile, di
illuminare il più possibile l’argomento per il lettore o per l’ascoltatore.
L’esigenza di completezza che si suole esigere dalla relazione scientifica, a
differenza di quanto avviene per la semplice conferenza, tanto più verrà
soddisfatta quanto più chiara riuscirà l’esposizione. Quanto sia difficile
adempiere a questa esigenza nei riguardi della fenomenologia è cosa nota a
chiunque si sia occupato da vicino di questa materia. Visto che la nostra
relazione è destinata agli psichiatri, guadagnerà in evidenza ponendo in
primo piano i rapporti della fenomenologia, che costituisce una teoria
eidetica, una teoria delle essenze, con la psicologia e con la psicopatologia
in quanto scienze empiriche; a questi rapporti appunto la fenomenologia
deve il sempre maggior interesse che negli ultimi dodici anni gli psichiatri
le vengono tributando.

1. Scienza naturale e fenomenologia

Lo studioso della natura, come l’uomo comune, si trova in un mondo di


cose e di eventi, nei cui ingranaggi egli sa di rientrare in quanto «oggetto»
che agisce e patisce. Sin dall’antichità questo mondo viene suddiviso in un
mondo di dati corporei e in un mondo di dati psichici, due mondi che
insieme costituiscono una unica natura e ne fanno parte. La nostra
conoscenza di questi due mondi si costituisce esclusivamente attraverso la
nostra percezione (interna e esterna). La scienza naturale non conosce
nessun altro genere di conoscenza diretta o primaria. L’ulteriore via della
conoscenza, o, in altri termini, il metodo della conoscenza, procede in
questo modo: la cosa corporea o psichica percepita, l’evento percepito,
vengono scomposti concettualmente in proprietà, in elementi o funzioni; e
si ritiene di aver colto scientificamente l’oggetto quando è possibile
coglierlo e spiegarlo in base alla somma delle sue proprietà, dei suoi
elementi o delle sue funzioni. Il metodo delle scienze naturali esige però, se
possibile, che ogni passo della scomposizione, dell’astrazione dell’oggetto
venga sostenuto e convalidato da nuove percezioni. La spiegazione viene
ritenuta una spiegazione scientifica ideale quando, date le funzioni parziali,
gli elementi dell’oggetto, l’oggetto stesso o l’evento che vanno spiegati si
presentano realmente all’intuizione, vale a dire: vengono percepiti. In altre
parole si può dire che l’oggetto è spiegato nel senso delle scienze naturali
quando si possono designare le condizioni del suo prodursi.
Esistono però anche uomini, i quali sanno come, accanto alla percezione
sensibile, si dia altresì un altro genere di conoscenza, di esperienza
immediata, diretta, e che, accanto alla scomposizione concettuale
dell’oggetto nei suoi singoli elementi, esiste la possibilità di coglierlo in
modo più originario e più totale. Flaubert per esempio riconosce questo
modo di conoscenza quando, esprimendo in poche parole il principio
fondamentale di qualsiasi fenomenologia, dice: «À force quelquefois de
regarder un caillou, un animal, un tableau, je me suis senti y entrer»3.
Osservare, guardare e poi ancora guadare; il risultato: un essere trasportati
dentro l’oggetto osservato (un oggetto sia animato che inanimato della
natura o dell’arte). Ciò è ancora molto vago. Vorrei però sottolineare questo
fatto: quando un pittore geniale come Franz Marc dipinge cavalli azzurri,
egli rappresenta del cavallo una qualità che non può essere rinvenuta nella
natura, che non può essere percepita. Così, come si usa dire, egli «fa
violenza alla natura»; oppure ha visto e ha espresso qualche cosa che la più
fedele imitazione di quella natura che si presenta ai nostri sensi non sarebbe
in grado di esprimere, cioè l’«essenza» propria del cavallo, il cavallo nella
sua generalità, nella sua astrattezza, diverso dal cavallo singolo, che è fatto
così e così. Marc non ha dipinto singoli cavalli, quei cavalli che noi
vediamo circolare nella natura, bensì l’essenza del cavallo, l’«equinità»
(che qui non è necessario descrivere in particolare); allo stesso modo egli
non ha dipinto singoli caprioli nella loro articolazione individuale, bensì ciò
che inerisce al genere capriolo, l’essenza capriolo tout court, un’essenza
che noi non riconosciamo soltanto nella specie zoologica capriolo, ma
anche in una ragazza di cui diciamo che ha uno sguardo o un’andatura da
capriolo.
Quando Van Gogh dipinge un albero frustato dal vento o un campo di
grano, vede nell’albero non l’albero singolo, strutturato in un certo modo,
bensì, come egli stesso scrive, «un dramma»; nel grano nuovo, non i singoli
steli, bensì «qualcosa di indicibilmente puro e mite […] che suscita una
commozione analoga a quella suscitata per esempio dall’espressione di un
bambino dormiente»4. Egli vede perciò uno stesso fenomeno nell’albero in
lotta col vento e nel destino dell’uomo (un dramma), uno stesso fenomeno
(la purezza, la dolcezza) nel grano nuovo e nel bambino dormiente. Lo
vede, anche se non lo percepisce sensorialmente. Non si tratta di un vedere
con gli occhi, eppure si tratta di una presa di coscienza immediata, di un
vedere «dentro» che non ha nulla da invidiare alla conoscenza sensoriale e
che è probabilmente più sicuro.
Una visione che Van Gogh è in grado di trasmettere a chiunque abbia
l’«organo» necessario, la capacità spirituale di riprodurla in sé. Oppure nel
campo della narrativa! Nel Sosia Dostoevskij ha descritto la fase iniziale di
una psicosi, quale dal punto di vista clinico non si presenterebbe mai. Nel
senso clinico, nel senso delle scienze naturali, egli «l’ha descritta in modo
erroneo». Eppure, in questo libro, egli ha visto e ha espresso qualcosa che
(all’inizio della malattia, oppure retrospettivamente, dopo la guarigione) ci
viene spesso descritto, in modo altrettanto pregnante, da molti ammalati;
qualcosa che però nella letteratura psichiatrica non si trova mai esposto così
adeguatamente: il fenomeno della alienazione nel pieno senso della parola,
dell’io che viene alienato dalla sua posizione abituale, che viene afferrato da
un «ordine di leggi» di nuovo genere, sconosciute, implacabili, ignote e
spaventose (ho usato qui l’espressione di uno dei miei malati). Per chi
s’intende di musica, citerò ancora un altro esempio di visione e di
rappresentazione che non equivalgono alla visione e alla raffigurazione
sensoriali. Chi meglio di Debussy ha afferrato l’essenza di una vera visione,
quella di una cattedrale sommersa, sprofondata sul fondo del mare? E lo
stesso Debussy non ha forse colto musicalmente l’essenza della luce del
sole che indugia tra le fronde dei faggi in modo altrettanto adeguato di
Flaubert in un noto passo di Madame Bovary?
Ho citato questi esempi artistici, per prospettare, e nel modo più facile,
quell’ampio dominio che la fenomenologia si accinge a conquistare; non
certo perché io rappresenti la convinzione che la fenomenologia sia un’arte,
che l’analisi fenomenologica sia una specie di intuizione e un’attività di
ordine artistico, puramente soggettivo – un errore che ancora di recente
appare evidente nella lettera aperta di Birnbaum a Jaspers5. No! Ciò che mi
proponevo di chiarire ciò che dev’essere stabilito una volta per tutte, prima
di inoltrarsi in questioni più particolari, è il fatto che la nostra conoscenza
intuitiva o immediata va infinitamente al di là della funzione e dell’ambito
della percezione sensibile. Esistono ampi, amplissimi dominî che sono
inaccessibili alla percezione sensibile, e di cui tuttavia noi riusciamo ad
avere e ad elaborare una conoscenza intuitiva; anzi si può dire che per ogni
settore di oggetti è possibile scoprire un corrispondente atto rientrante
nella conoscenza intuitiva. Questa scoperta, che potrà assumere una grande
importanza anche per la nostra scienza particolare, è merito del filosofo
friburghese Edmund Husserl, il quale si rifà del resto ad antichissime
dottrine filosofiche, in particolare a quelle di Platone. Naturalmente, nella
nostra accezione, il termine intuizione non sta a designare – e ciò va
sottolineato – un’intuizione sensibile, per esempio visiva, non concerne i
contenuti immediati della percezione esteriore ed interiore (il che
costituirebbe una limitazione che già Wundt, com’è noto, aveva superato):
nella nostra accezione modale essa si contrappone alla mediatezza del
pensiero non intuitivo, vuoto d’intuizioni e indiretto. Il termine tecnico
usato da Husserl, che intende distinguerlo da quello di intuizione sensibile,
è intuizione categoriale, oppure visione delle essenze o intuizione
fenomenologica. Nelle Ricerche logiche6 egli parla anche di una «ideazione
immanente» che si effettua «sulla base dell’intuizione».
Gli atti di questo genere di intuizione hanno in comune con quelli della
percezione sensibile il fatto che in essi qualcosa si dà «realmente»,
direttamente, in sé; in breve, il fatto che con questi atti noi percepiamo
qualche cosa, anche se non sensibilmente.
Non posso qui inoltrarmi in un’analisi esauriente del significato
fondamentale di questa teoria e rimando perciò alle Ricerche logiche di
Husserl, in particolare al vol. II, parte II, cap. 6: Intuizioni sensibili e
categoriali. Basta un’occhiata a questo capitolo per rendersi conto di come
queste visioni categoriali non costituiscano un che di metafisico o di
mistico. Se, per distinguerle dalla percezione sensibile, vogliamo proprio
definirle intuizioni sovrasensibili, ciò è lecito soltanto nel senso per cui la
visione categoriale, come dice appunto il termine «categoriale»7, costruisce
«sopra i dati sensoriali»! Ciò può essere facilmente chiarito con alcuni
esempi tratti dal mondo dell’arte: il pittore ha bisogno degli occhi per
vedere i cavalli e i caprioli, il grano e gli alberi, il musicista dell’udito per
sentire i suoni e le melodie, il poeta di entrambi i sensi per percepire gli
uomini; tutti hanno poi bisogno di «organi» e di facoltà corporee e
psichiche per rappresentare ciò che hanno percepito con i sensi. Ma agli
stessi risultati arriva anche la fotografia e la fonografia. Ciò che rende
artista l’artista è la capacità di costruire, partendo da questi contenuti
sensibili della percezione, contenuti percettivi sovrasensibili e, inoltre, di
trasmettere questi ultimi sulla base e con l’aiuto dello strumento dei dati
sensibili. Fino a poco tempo fa tendevamo tutti a far risalire queste
percezioni categoriali ad associazioni, a sinestesie, a «sensazioni» più o
meno vaghe e a spiegarle in questo modo. Così, per esempio, a proposito
del fenomeno della «purezza, dolcezza, commozione» di Van Gogh,
avremmo osservato che può essere spiegato benissimo in base alle
associazioni, senza ricorrere a un’intuizione sovrasensibile; secondo questo
modo di vedere, la vista del grano giovane, fresco susciterebbe in Van Gogh
l’associazione del «bambino dormiente», e in base a questa associazione, il
grano gli apparirebbe puro, dolce, commovente. In questo caso si farebbe
uso del processo dell’associazione mediata. Ma così lo psicologo
associazionista presupporrebbe già, come di fatto avviene spesso, ciò che
vuole spiegare. Perché possa nascere l’associazione «bambino dormiente»
bisogna che sia già stato colto il fenomeno «dolcezza, purezza,
commozione»; soltanto su questo fenomeno si «fonda» l’associazione.
Oppure riprendiamo l’esempio di Debussy. In questo caso si potrebbe
ritenere che il compositore, di fronte alla visione di una cattedrale
sommersa, abbia sentito risuonare in sé una determinata melodia, e ciò sulla
base del noto processo delle sinestesie (nel nostro caso della percezione
auditiva di colori e di suoni), e che l’ascoltatore di questa musica veda
emergere, sempre sulla base delle sinestesie, qui di sinopsie o di cromatismi
(audition colorée), corrispondenti rappresentazioni visive. Ma anche qui il
fenomeno dell’essenza della cattedrale non può che essere visto «sulla base
dei suoni», dei colori e delle forme e dev’essere costruito «su» di essi,
perché il compositore lo possa rappresentare nella sua musica e perché
l’ascoltatore lo possa «vedere», lo possa «leggere» in esso. Alla funzione
associativa, che si può senz’altro ritenere attiva anche nella sinestesia8,
viene attribuito più di quanto, anche allargando al massimo il concetto che
la definisce, sia in grado di contenere; nel corso degli ultimi decenni questo
fenomeno è diventato sempre più frequente, tanto che oggi, con
l’associazione, siamo in grado di spiegare quasi tutto e perciò quasi nulla.
Ma facciamo già un passo in avanti se consideriamo più da vicino il
carattere di realtà degli «oggetti» che si danno nell’intuizione categoriale.
Nei nostri esempi abbiamo parlato del fenomeno della «purezza, dolcezza,
commozione», dell’essenza del cavallo, del capriolo, dell’alienazione, e
abbiamo detto che ci si può sentire «trasportati all’interno» di tutti questi
fenomeni. Ora, com’è facilmente intuibile, a questi fenomeni (appunto in
quanto fenomeni presenti alla intuizione categoriale) non spetta l’attributo
della realtà nel senso delle scienze naturali, poiché non si può essere
trasportati «realmente» nel loro interno, e d’altra parte essi ci sono dati
direttamente e immediatamente; è perciò necessario, per designare questo
genere particolare di realtà, un altro concetto. Husserl parla qui di realtà
essenziale, di essenza, contrapponendola all’esistenza reale-naturale. Egli
chiama essenze quegli oggetti, quei fenomeni che noi percepiamo nella
visione categoriale; essenze nel senso più originario e più semplice di
specie, in un senso opposto a quello comune, psicologico e biologico della
parola. Dunque, come abbiamo visto, le essenze della fenomenologia non
hanno una esistenza reale; ma sarebbe anche errato ritenerle formazioni
puramente ideali, idee nel senso di Kant o di Platone. No, le essenze stanno
al di là dell’antinomia gnoseologica reale-ideale. La fenomenologia di
Husserl come tale non ha nulla a che fare con la gnoseologia, non
rappresenta una particolare corrente gnoseologica, anche se il suo nome
potrebbe facilmente indurre a questa supposizione: essa va rigorosamente
distinta dal fenomenismo gnoseologico o dall’idealismo di Kant, in cui i
fenomeni non sono che le apparizioni conoscibili, contrapposte
all’inconoscibile cosa in sé. La fenomenologia, che è fondamentalmente
avversa a tutte le teorie, anche a quelle gnoseologiche, lascia del tutto in
sospeso questi problemi. Essa non assume nei loro confronti né una
posizione positiva né una posizione negativa. Essa pretende semplicemente
di essere una scienza dei fenomeni della coscienza, o meglio dell’essenza
pura dei fenomeni che si danno nell’intuizione categoriale, nella visione
delle essenze. Per distinguerla dalle scienze sperimentali, dalle scienze di
fatti da un lato, dalla gnoseologia dall’altro, nella sua ultima opera, Idee per
una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica9, Husserl
definisce la sua filosofia una scienza eidetica. Questo termine non è nuovo.
Esso deriva dalla parola greca eidos10 (ciò che si rivela allo sguardo, la
struttura, il genere, la specie). Husserl ha adottato la parola eidos quale
termine tecnico per designare l’essenza. Scienze eidetiche sono quelle che,
come per esempio la geometria pura e l’aritmetica pura, formulano
enunciati, elaborano concetti, giudizi, conclusioni del tutto indipendenti
dall’esperienza e quindi a priori. Essenze pure o eidē (plurale di eidos) sono
quindi, per esempio, i concetti matematici di numero, di retta, di triangolo,
di cerchio, ecc. Ma così ci siamo già allontanati di molto dagli esempi da
cui siamo partiti; per non perderli di vista dobbiamo perciò ritornare su di
essi.
I nostri esempi, provvisori, ci avevano semplicemente proposto il
problema dell’intuizione categoriale come tale; così noi avevamo distinto
gli atti dell’intuizione categoriale, dell’intuizione o della visione delle
essenze da un lato, e le essenze o eidē dall’altro. Ma fin dall’inizio avevamo
avvertito come i nostri esempi, per quanto diversi l’uno dall’altro,
alludessero sostanzialmente a «essenze» di ordine estetico o ad atti
dell’intuizione categoriale estetica. Accanto a questi atti ne esistono
naturalmente altri che ci permettono di cogliere immediatamente essenze di
ordine morale o etico. In questi casi noi usiamo parlare di valori e di norme
morali o etiche, di un sentimento originario dei valori, della visione dei
valori, dell’assunzione dei valori (Scheler, von Hildebrand). Nella vita
pratica e in psicopatologia parliamo volentieri di una «cecità ai valori»
(innata o acquisita); con questa espressione intendiamo dire, per esempio,
che l’idiota morale non «vede» quei valori o quei doveri etici, che sono
percepiti invece dalla persona normale. Ora però la fenomenologia afferma
che anche nel campo puramente intellettuale o teoretico esistono essenze
generali e atti corrispondenti: gli atti della visione generale, o
fenomenologica, pura delle essenze o, in altre parole, un’intuizione
puramente intellettuale. La fenomenologia scientifica opera esclusivamente
con questi atti. Proprio a questo punto la comprensione della fenomenologia
si fa più difficile. Mi limito qui ad accennare al fatto che tra queste essenze
«intellettuali» non rientrano soltanto le formazioni matematiche che
abbiamo già citato (il numero, la retta, il triangolo, il cerchio), ma anche
tutti gli altri «oggetti puri del pensiero»: i concetti, i nomi collettivi, i
predicati, le classi di cose, ecc. La fenomenologia come scienza eidetica
avanza la pretesa di cogliere rispetto a tutte le altre scienze, sia alle scienze
naturali sia alle scienze dello spirito, gli Erlebnisse fondamentali a priori o
puri, e di descriverli in modo puro, senza ricorrere a spiegazioni realistiche
o a costruzioni intellettuali; come fa del resto la matematica pura nei
confronti della fisica. Ma per riuscire a comprendere ciò, dobbiamo far
ricorso ormai a quello che viene definito «metodo fenomenologico»,
dobbiamo cioè imboccare quella via lungo la quale si procede, passo per
passo, dai singoli fatti empirici individuali alle essenze sovra-empiriche,
generali e pure. È a questo punto che propriamente nasce l’interesse pratico
della psichiatria per la fenomenologia.

2. Il metodo fenomenologico

Fin qui abbiamo contrapposto due grandi regni, il regno delle scienze
naturali e quello della fenomenologia, e provvisoriamente abbiamo definito
la loro differenza mediante questa formula: nelle scienze naturali tutto
procede, tutto si costruisce a partire dalla percezione sensibile, esterna o
interna; nella fenomenologia invece tutto deriva dall’intuizione categoriale
o visione delle essenze; inoltre: le scienze naturali hanno a che fare con le
cose che esistono realmente, con eventi naturali, la fenomenologia invece
ha a che fare con i fenomeni, con i generi o con le forme della coscienza,
che non fanno parte della natura ma che, in compenso, possiedono
un’essenza che può essere colta attraverso una visione immediata.
Ricorrendo a esempi tratti dal dominio dell’arte abbiamo imparato a
conoscere alcuni di questi fenomeni di coscienza e la loro autonomia
rispetto al mondo sensibile, ma abbiamo anche intravisto come i primi si
costruiscono sul secondo. Ciò che non abbiamo ancora considerato da
vicino è la vita, il metodo attraverso cui l’uomo perviene a queste intuizioni
categoriali. Forse che queste ultime gli sopraggiungono affatto inattese, gli
si affacciano del tutto immediatamente, così come potrebbe far supporre
l’espressione «intuizione», oppure esigono un esercizio, uno sforzo in
breve: un metodo? E quale metodo? La vita dei grandi artisti ci insegna che,
anche a prescindere dall’esercizio tecnico, preparazione, essi si
sottoponevano a sforzi enormi, a grandi fatiche spirituali, per riuscire a
vedere e a rappresentare in modo sempre più puro e chiaro, nelle loro
produzioni artistiche, l’elemento essenziale. Flaubert, Van Gogh, Franz
Marc costituiscono appunto un esempio di questi sforzi. Ma per quanto
questi sforzi possano essere compiuti secondo un certo metodo, esso non è
un metodo scientifico esatto, un metodo verificabile obiettivamente, passo
per passo. In questo campo molto avviene repentinamente, in modo
imprevisto e involontario e s’ingenera, nonostante il duro lavoro
preliminare, grazie al dono impenetrabile dell’ispirazione. Altrimenti stanno
le cose nella fenomenologia scientifica. In quest’ambito prevale, come
abbiamo già detto, un procedere graduale, un metodo che procede passo
dopo passo, un metodo che dev’essere faticosamente appreso anche se
richiede, come ogni scienza, certe doti. D’altra parte però ogni passo
metodico ha un senso e un significato che va al di là di esso e che riguarda
l’insieme del lavoro scientifico; la strada percorsa può essere controllata dal
principio alla fine e può essere convalidata in modo chiaramente scientifico.
Ci troviamo ormai nel campo della fenomenologia scientifica, ed è utile
citare un esempio tratto dalla scienza; poiché il nostro compito specifico è
quello di studiare la vita psichica, ne scegliamo uno pertinente a questa
sfera. Prendiamo questa volta come esempio la percezione, più
precisamente la percezione esterna, un processo psichico dunque, o,
trascurando più sottili distinzioni, una funzione psichica, un atto psichico.
Anche qui contrapponiamo il metodo delle scienze naturali e il metodo
della fenomenologia; ricordiamo ciò che abbiamo detto all’inizio sulla
conoscenza propria delle scienze naturali.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che non possiamo cogliere l’atto della
percezione esterna nella percezione esterna stessa; ciò è possibile soltanto
attraverso la percezione interna, nel senso interno, nell’esperienza interna,
attraverso l’auto-osservazione o introspezione. Anche qui usiamo queste
espressioni come se fossero equivalenti, senza diffonderci sulle loro
differenze, che il fenomenologo tuttavia indagherà con estrema cura. Ma
nell’uso di questi concetti da parte delle scienze naturali e da parte della
fenomenologia, comune è soltanto il termine, il suono verbale, il significato
più elementare del vocabolo, quello che vale per la coscienza prescientifica.
La percezione esterna è appunto l’atto di cogliere direttamente oggetti
che sono «fuori di noi» e, forse, persino il nostro stesso corpo. Ma già qui le
due vie divergono. Lo studioso della natura considera l’atto della
percezione esterna come un processo naturale, come un fenomeno reale,
come una funzione reale dell’organismo psichico. Egli non considera questa
funzione come un tutto, ma passa immediatamente alla sua scomposizione
concettuale e, se possibile, sperimentale. Noi sappiamo però che, a
differenza di quanto avviene nelle scienze della natura che studiano i corpi,
una scomposizione degli atti psichici che miri a rendere percepibili anche le
singole «parti» ha ben poche possibilità di successo. Nonostante ciò, anche
questa scomposizione ha un senso scientifico positivo e una sua legittimità.
Ma una cosa dobbiamo tener presente fin dall’inizio: questa scomposizione
in funzioni parziali, anzi già la semplice descrizione scientifica delle
proprietà psichiche ci attira dentro «l’infinità dell’esperienza». Vale a dire:
già la semplice descrizione implica il contesto complessivo dell’esperienza
delle scienze naturali e quindi la spiegazione, la costruzione concettuale e la
teoria. Quando per esempio Bleuler, come molti altri studiosi, concepisce la
percezione come un’elaborazione di dati sensibili, si mette già sulla strada
della scomposizione, della frammentazione di quel processo vitale che è la
percezione, della distinzione di singoli elementi concettuali che sono frutto
di una costruzione. Questa scomposizione viene poi spinta oltre quando
riporta secondariamente alla percezione esterna anche i processi mnesici e
associativi, e afferma «che le sensazioni o i gruppi di sensazioni evocano
immagini mnesiche di passati gruppi di sensazioni, tanto che in noi emerge
un complesso di ricordi sensoriali i cui elementi, grazie alla loro presenza in
precedenti esperienze, hanno conseguito una connessione particolarmente
salda e una precisa delimitazione rispetto agli altri gruppi di sensazioni»11.
Rorschach12 ha riassunto molto bene questa spiegazione definendo la
percezione «un’assimilazione associativa degli engrammi già disponibili o
delle immagini mnesiche ai recenti complessi di sensazioni». Ciò a cui così
ci troviamo di fronte non è certamente l’Erlebnis stesso, l’atto psichico
della percezione, bensì una teoria della percezione rientrante nelle scienze
naturali, una teoria composta di elementi tratti dalla psicologia, dalla
fisiologia del cervello, dalla psicofisica, dalla biologia generale e dalla
metafisica. Infatti questa teoria non sarebbe pensabile se Bleuler non
concepisse la psiche come «un apparato nervoso unitario per la
conservazione della specie e del genere» e se non credesse nella sua
«identità con il complesso delle funzioni della corteccia cerebrale». Bleuler
cerca da trent’anni di interpretare nel senso delle scienze naturali i concetti
fondamentali della psicologia; per lui le categorie generali e le concezioni
fondamentali delle scienze naturali valgono anche per la considerazione
scientifica e per la rappresentazione della vita psichica. Così egli ha dato un
assiduo apporto alla costruzione di una scienza che io, personalmente, non
mi sento di chiamare psicologia, perché essa non coglie quello che è il
logos della psiche e gli sostituisce quello della natura. Questa scienza
tuttavia, in quanto scienza naturale della psiche o della vita psichica, ha da
tempo legittimato le sue prestazioni e la sua posizione nel sistema delle
scienze. L’esempio della percezione rivela come anche qui si miri in primo
luogo a ricostruire la genesi del processo percettivo partendo dai suoi
elementi, dalle funzioni. Innanzitutto la genesi del processo in quanto tale; a
ciò si aggiungono poi riflessioni sulla genesi onto- e filo-genetica della
facoltà percettiva in generale. Avvertiamo inoltre come proprio qui non si
possa parlare di un isolamento, entro l’ambito della percezione, delle
singole funzioni fondamentali – sensazione, ricordo, associazione – e perciò
di una verifica sperimentale della teoria. Nel campo della psicologia
bisogna necessariamente rinunciare all’ideale delle scienze naturali, al
proposito di rendere percepibili le singole funzioni parziali nella loro
singolarità.
Molti lettori avranno osservato come il mondo scientifico, ad eccezione
delle discipline rigorosamente fisico-matematiche e chimiche, sia
attualmente dominato da una certa stanchezza per la teoria. Questa
stanchezza si rivela chiaramente per esempio, in un campo limitrofo a
quello della psichiatria, nella biologia. Il ritorno all’intuizione,
l’accantonamento delle teorie: ecco la soluzione che si propone. Il
vantaggio della fenomenologia, che a sua volta è un edificio scientifico
dottrinale, sta nel fatto di indurci con la massima energia alla semplice
osservazione dei fenomeni, di insegnarci a ritenere valido soltanto ciò che
vediamo realmente attraverso l’intuizione sensibile o la visione delle
essenze e di evitare che, a quanto si «vede», si sovrapponga una qualsiasi
teoria, anche se perfettamente fondata. Sarà questo il suo durevole merito,
anche se non sarà in grado di realizzare le sue implicazioni filosofiche e
ultime.
Per quanto riguarda la percezione, il ricercatore atteggiato nel senso della
fenomenologia, procederà nel modo seguente: anche egli muoverà dal
singolo, effettivo, reale atto psichico della percezione esterna, e cercherà di
fissarlo e coglierlo mentre è in atto (tralasciamo qui le controversie quanto
alla natura e alla possibilità di questa osservazione) o attraverso il ricordo.
Oppure – e anzi il fenomenologo preferirà quest’ultimo metodo – egli
riprodurrà nell’immaginazione tutti i generi possibili di atti percettivi.
Come, per esempio, posso immaginare il Duomo di Colonia, così posso
immaginare di percepire un centauro, qualcosa cioè che io non ho mai
effettivamente percepito. L’esperienza ha mostrato come proprio la
considerazione di questi fenomeni di coscienza «immaginati» attraverso la
variazione fantastica ci possa aiutare nell’indagine sulle modalità della
coscienza. Poiché ci proponiamo di indagare che cosa sia in sé la
percezione, questo elemento che rimane identico attraverso tutti i possibili
atti percettivi, per non rischiare di restare impigliati in elementi casuali e
particolari, non dobbiamo mai smettere di variare fantasticamente questi
atti. Già da questo risulta chiaro come il fenomenologo sia atteggiato fin
dall’inizio in un modo completamente diverso da quello dello studioso della
natura. Per capire che cosa sia la percezione, egli cerca di cogliere ciò che è
essenziale dei diversi atti percettivi; fedele all’esigenza fenomenologica
fondamentale, egli guarda dentro il fenomeno psichico, cerca di rivivere il
significato suscitato in lui dalla parola percezione, si trasporta all’interno di
esso, invece di trarre un giudizio, come fa lo studioso della natura, dal
concetto «percezione». Perciò egli evita fin dall’inizio qualsiasi «giudizio»
che si riferisca alla connessione della percezione col cervello, anzi con
l’organismo psicofisico; in questo modo egli evita qualsiasi fissazione
indiretta, linguistica e concettuale, e qualsiasi scomposizione dell’oggetto
delle sue ricerche. Per questa ragione egli non è in grado di formulare
nessun enunciato, per esempio sulla relazione tra la percezione e la
sensazione. Infatti, anche se a prima vista ciò potrà sembrare sorprendente,
per quanto il fenomenologo approfondisca intuitivamente il fenomeno della
percezione, non reperisce mai sensazioni o gruppi di sensazioni, e
nemmeno elementi associativi o memorativi. Se, imboccando la via più
breve, considera il «contenuto» della percezione, egli si avvede
immediatamente di non percepire sensazioni bensì oggetti (nel senso
psicologico della parola, per cui essa designa tutto ciò che ci «sta di fronte»,
uomini, animali, raffigurazioni, colori, suoni, spazi, ecc.). In questo
momento io non percepisco sensazioni di volti, vedo bensì, davanti a me, i
miei colleghi, uno spazio configurato in un certo modo, uno sfondo, una
sedia, una finestra, ecc. Quando una locomotiva fischia, io non percepisco
una sensazione acustica, bensì un fischio, un determinato suono in
lontananza. Quando noi parliamo, in relazione con la percezione, di
sensazioni, noi riflettiamo sulla percezione ma non disponiamo
fenomenologicamente la percezione davanti a noi. La stessa cosa vale per i
processi dell’associazione, del ricordo, dell’estraduzione di engrammi, ecc.
L’unica cosa che possa aiutarci a determinare il significato della parola
percezione e a verificare la verità delle nostre affermazioni è l’accesso al
fatto psichico stesso, alla percezione come tale. Ma ciò non significa altro
che questo: noi dobbiamo prendere in considerazione soltanto quelle
determinazioni, quelle caratteristiche che ineriscono all’Erlebnis della
percezione stessa e che possono essere rinvenute in esso. È questo il
principio fondamentale del metodo fenomenologico: la limitazione
dell’analisi a ciò che è realmente reperibile nella coscienza, o in altri
termini, a ciò che è immanente alla coscienza. Ora, che cosa possiamo
trovare nell’atto psichico, nell’Erlebnis della percezione? Per procedere
oltre l’affermazione secondo cui noi non percepiamo sensazioni, bensì
oggetti, dobbiamo considerare il rapporto tra il percepire e gli oggetti. Ci
accorgiamo subito che la percezione non ha l’oggetto in se stessa, bensì
all’esterno di essa. Ma questa espressione, «all’esterno di essa», non va
intesa in un senso spaziale: l’analisi fenomenologica della percezione non è
in grado di pronunciarsi sul «luogo» in cui avviene, sulla sede nell’Erlebnis
percettivo. Il naturalista afferma che esso ha luogo nel cervello, lo
psicologo dice che ha luogo nella psiche. Il primo reifica l’atto percettivo e
può dire perciò dove si trova questa cosa, la percezione; anche il secondo lo
rende obiettivo, ma non fa di esso un che di corporeo, di fisiologico, lo
rende bensì una cosa psichica a cui può essere attribuito un luogo nel
contesto psichico, nell’organismo psichico. Il fenomenologo, che evita
accuratamente qualsiasi contaminazione dei fenomeni di coscienza con la
natura, sa con certezza un’unica cosa: che è lui, il suo io, a compiere l’atto
della percezione, che questo atto è un fenomeno della sua coscienza.
Chiedersi dove si trovi questa coscienza è per lui una domanda oziosa, anzi
priva di senso, perché la spazialità è una caratteristica della natura ma non
della coscienza che costruisce, o meglio che costituisce la natura. Quanto
meno, il problema della localizzazione della percezione ci ha permesso di
compiere un passo in avanti. Se consideriamo attentamente le nostre
percezioni, ci accorgiamo che ciascuna di esse è appunto una nostra
percezione, che viene compiuta da un determinato io; già prima abbiamo
visto che i suoi oggetti si trovano «all’esterno di essa», nella spazialità, in
un determinato punto dello spazio. Dunque la spazialità stessa è
«all’esterno» della percezione. Ora, poiché la percezione non ha i suoi
oggetti all’interno di se stessa, e poiché noi, il mio, il tuo, il suo io, abbiamo
delle percezioni, poiché inoltre senza un soggetto che la compia, non si dà
mai immediatamente una percezione, il fenomenologo non dice che nella
percezione è contenuto un oggetto, bensì che io, nella percezione, sono
diretto verso un oggetto, mi rapporto a esso. Nella terminologia
fenomenologica, che si rifà alla definizione dei fenomeni psichici formulata
da Brentano13, si parla di un’intenzione percettiva. L’oggetto percepito è
definito e chiamato oggetto inteso, intenzionato percettivamente. Il mondo
degli oggetti che sono stati colti o che possono esser colti dalla coscienza è
chiamato mondo intenzionale, è il mondo degli oggetti intenzionali.
Dev’essere però ben chiaro che questo termine, intentio, e tutti quelli che da
esso derivano, non hanno nulla a che fare con l’attentio, con l’attenzione,
con l’attività, con la volontà e simili. L’intenzione è soltanto l’atto della
coscienza che si dirige su qualche cosa (un atto che può avvenire con o
senza «attenzione»); intenzionale è semplicemente ciò su cui noi ci
dirigiamo psichicamente. Così abbiamo già stabilito il carattere
fondamentale di qualsiasi coscienza: ogni soggetto si dirige su un oggetto.
Se riusciamo a penetrare intuitivamente la percezione, troviamo anche in
essa questo tratto fondamentale. Ma l’essenziale non è ancora qui. Il fatto
che noi, in quanto soggetti, siamo diretti verso un oggetto è dimostrato
anche dall’analisi fenomenologica della rappresentazione, del mero sapere
attorno a qualche cosa, del desiderio, del dubbio, ecc. Occorre perciò
riuscire a determinare il modo particolare in cui noi, nella percezione, ci
dirigiamo verso un oggetto! Dobbiamo perciò considerare la percezione in
quanto particolare «modo di coscienza» (Brentano). Come tutte le altre
scienze, accanto all’attualizzazione del fenomeno che va considerato,
dovremo servirci anche di un altro mezzo ausiliario, e cioè della
comparazione e della distinzione.
Specialmente dovremo cercare un confronto tra la mera rappresentazione
di qualche cosa e il sapere, vuoto di qualsiasi intuizione, attorno a qualche
cosa; inoltre dovremo cercare di stabilire quali elementi di questi fenomeni
possono essere distinti. Ci accorgiamo così che nella percezione noi
supponiamo di cogliere d’un colpo, in carne e ossa, direttamente,
immediatamente, l’oggetto, senza alcun travestimento, senza alcuno
schermo, mentre l’intenzione rappresentativa rivela un certo grado di
mediatezza, è in certo modo schematica, coperta. (Husserl, Jaspers, H.
Conrad-Martius.) Nel presentarsi diretto, nel «rendersi noto» dell’oggetto
percepito noi abbiamo una garanzia intuitiva dell’effettiva presenza
dell’oggetto, della sua determinatezza, e nessuna rappresentazione sarà in
grado di sostituirla14. Alla percezione e alla rappresentazione si
contrappone poi il sapere attorno a qualche cosa, che è un dirigersi non-
intuitivo, un’intenzione non intuitiva verso un oggetto. Qui non posso
naturalmente inoltrarmi in ulteriori particolari. Ma una particolarità va
ancora citata, una particolarità rinvenibile nel fenomeno stesso della
percezione. Quando nell’esperienza fenomenologica ci occupiamo degli atti
percettivi, ci accorgiamo con sorpresa del fatto che noi possiamo percepire
un unico e medesimo oggetto attraverso infiniti atti percettivi. Io posso
percepire la chiave del mio reparto davanti e di fianco, dall’alto e dal basso,
ma quella che percepisco è sempre la medesima chiave. Anche questo è un
problema fenomenologico che la psicologia associazionistica non
comprende, o meglio non vede, e non può vedere. Questo fatto ci induce a
una distinzione che riveste un’importanza fondamentale non soltanto per la
fenomenologia ma anche per la psicologia. Possiamo formularla in questo
modo: noi possiamo avere diversi contenuti di coscienza pur percependo lo
stesso oggetto. Se io guardo la chiave in una posizione orizzontale, oppure
obliqua o verticale, il contenuto di coscienza cambia, ma quella che
percepisco è sempre un’unica e medesima chiave; ciò non nel senso
meramente fisico bensì nel senso dell’intenzione delle singole percezioni
stesse. Per designare questa distinzione Th. Lipps15 ha coniato la formula
«contenuto e oggetto»; su di essa è stato possibile costruire un enorme
campo di cognizioni essenziali per la fenomenologia. In particolare
cognizioni che riguardano il rapporto tra i contenuti della sensazione o
contenuti sensoriali, e la percezione. Perché i singoli contenuti di coscienza
di cui parlavamo poco fa non sono altro che dati sensoriali diversi. Così
qualcosa che noi ritroviamo nella coscienza stessa (che è immanente alla
coscienza) – «la identità dell’oggetto percettivo nonostante la diversità dei
contenuti sensoriali» – ci permette di attingere anche una serie di cognizioni
fenomenologiche che illuminano l’essenza peculiare della coscienza in
modo incomparabilmente più chiaro che non una qualsiasi reificazione e
scomposizione scientifica di essa.
Siamo così in grado di capire la definizione di Husserl secondo cui la
fenomenologia deve essere «una disciplina puramente descrittiva
dell’essenza delle formazioni immanenti della coscienza». Che cosa sia una
formazione immanente della coscienza l’abbiamo già visto attraverso
l’esempio della percezione. Avremmo potuto esaminare con uguali risultati
l’esempio della rappresentazione, della volizione, del desiderio, del dubbio,
dell’amore o dell’odio, ecc. Che cosa sia poi una disciplina puramente
descrittiva delle essenze, abbiamo del pari visto, almeno entro certi limiti: è
una dottrina delle essenze colte attraverso la intuizione categoriale e delle
cognizioni essenziali costruite sopra la descrizione di queste essenze. Ciò
che invece non abbiamo ancora chiaramente considerato è un problema che
sta al centro dell’interesse psichiatrico-psicopatologico, il problema cioè
della relazione tra la descrizione psicologica e la visione pura dell’essenza,
in una parola del rapporto tra la fenomenologia psicologica e la
fenomenologia filosofica. Su questo punto Husserl non ci rende certo le
cose facili, perché da un lato egli scava un abisso incolmabile tra la
conoscenza dei fatti e la conoscenza delle essenze, ed era del resto costretto
a farlo per riuscire a realizzare gli intenti della conoscenza essenziale; ma
d’altra parte parla dell’«intima connessione» tra la psicologia e la
fenomenologia16 e sottolinea di continuo come il metodo fenomenologico
«proceda passo passo» dai singoli fatti che si danno nell’esperienza fino alla
visione delle essenze.
Dobbiamo dunque cercare di indicare i criteri che Husserl adotta per
distinguere la visione fenomenologica pura delle essenze e la visione
fenomenologico-psicologica dei fatti. Questi criteri sono sostanzialmente
due: il primo è quello che già abbiamo citato, per cui il fenomenologo
orientato psicologicamente, pur limitandosi a ciò che è immanente alla
coscienza, a ciò che può essere rinvenuto nella coscienza, considera ancora
il suo oggetto, per esempio l’atto percettivo, come un atto reale, un atto che
avviene effettivamente, atto che egli non è in grado di pensare senza
riferirsi a un uomo reale, a un reale essere della natura. Ma nella
fenomenologia pura, eidetica o trascendentale, anche quest’ultimo
riferimento naturale cade, perché tutti i concetti quali natura, realtà, essere
reale della natura, ecc. vengono «messi fuori gioco», «messi tra parentesi»,
«messi fuori azione» attraverso una sospensione del giudizio. Ciò che dopo
questa sospensione rimane è il «residuo fenomenologico puro», la
coscienza pura o trascendentale nel senso dell’essenza pura, della struttura
essenziale, del regno della scienza eidetica.
Il secondo criterio è definito da quanto segue: il fenomenologo atteggiato
in senso psicologico considera soltanto le particolarità individuali, i singoli
atti o i singoli processi; il fenomenologo puro invece procede da questi alle
totalità, alle essenze generali. Egli procede cioè dal singolo atto della
percezione esterna all’essenza generale «percezione esterna», in altre parole
dall’inquadramento di un atto nel senso interno, nella percezione interna,
all’inquadramento di un’essenza nell’intuizione categoriale o visione delle
essenze17.
Se applichiamo questi due criteri, che nel loro insieme rappresentano il
«metodo delle riduzioni fenomenologiche», al nostro esempio della
percezione, ci accorgiamo che in sostanza siamo ancora nella sfera della
fenomenologia psicologica, ma che tuttavia intravediamo già, all’orizzonte,
una serie di cognizioni essenziali: l’essenza della percezione stessa,
l’essenza della coscienza, l’essenza dell’oggetto intenzionale. Se cerchiamo
di applicare a un esempio pratico ciò che in teoria è rigorosamente distinto,
ci accorgiamo che dovunque entrano in gioco tramiti, nessi, passaggi e
interferenze tra una sfera e l’altra, dalla sfera dei fatti alla sfera delle
essenze. Per questa ragione, e anche per mettere in luce la presenza di
questi nessi, il procedere gradualmente di un metodo (un fatto che si rivela
anche nello sviluppo storico della dottrina di Husserl), io preferisco non
parlare di psicologia fenomenologica bensì, rifacendomi a Pfänder, di
fenomenologia psicologica e psicopatologica. Certo, le essenze a cui i nostri
esempi rimandavano si sono presentate all’intuizione in un modo ancora
poco chiaro, vago, essendo noi stati costretti a lasciarle a una certa distanza.
Il compito della fenomenologia pura sarebbe quello di portare queste
essenze a una presenza più chiara, il più possibile distinta e avvicinata, in
una parola: a un grado maggiore di chiarezza. A questo scopo occorre una
perizia nell’uso del metodo fenomenologico puro che io non presumo di
possedere.
Ma a questo punto è utile riconsiderare un momento gli esempi che
avevamo tratto dal campo dell’arte. Ora è molto più facile intravedere ciò
che essi avevano in comune. Questo elemento in comune è stato espresso da
Franz Marc, che di certo non conosceva affatto la fenomenologia scientifica
ma che poteva attingere alla sua profonda personalità d’artista, quando parla
«della profonda tendenza del ricercatore moderno a esprimere, attraverso
l’astratto, qualcosa di universalmente valido, di unificante» e la
contrappone alla tendenza di coloro «che finora erano abituati a cercare
nell’arte soltanto il singolo caso personale»18.
Ma per evitare l’errore di confondere la fenomenologia scientifica con
l’intuizione artistica (nonostante le loro indubbie e strette relazioni,
relazioni che stanno al di là della contrapposizione di scienza e arte), vorrei
proporre un altro esempio, tratto questa volta da un settore che è
particolarmente vicino alle scienze naturali. Questo esempio servirà a
illustrare le relazioni tra una scienza di fatti è una scienza eidetica, in un
modo più chiaro di quanto sia consentito da un esempio psicologico. Un
settore particolare della scienza eidetica è costituito dalla matematica pura,
dalla geometria e dall’aritmetica. Nell’ambito di queste scienze vengono
viste delle essenze, vengono formulati enunciati su di esse, e vengono
stabiliti, attraverso la visione pura, nessi tra di loro. Come già abbiamo
detto, queste essenze matematico-eidetiche sono per esempio il triangolo, il
cerchio, la retta, che si differenziano dai triangoli, dai cerchi, dalle rette
reali che si possono disegnare in un certo punto di una lavagna, che si
realizzano nella natura o attraverso la tecnica, e anche dalle figure
matematiche che i singoli individui si rappresentano attraverso atti
particolari (si confronti quanto abbiamo detto a proposito della percezione).
Il geometra può attingere cognizioni sull’essenza del triangolo sia che lo
disegni realmente sulla lavagna o sulla carta, sia che se lo rappresenti o
meno come un che di reale nella fantasia, che lo disegni grande o piccolo,
in rosso o in bianco, sia che lo costruisca in legno o in ferro. Mentre per lo
studioso della natura queste differenze sono differenze fondamentali (che
per esempio un triangolo sia meramente rappresentato, che sia disegnato
sulla lavagna o che sia costruito in legno, che si tratti della percezione rosso
o bianco, legno o ferro, di differenze di grandezza, ecc.), il geometra vede
sempre la stessa essenza triangolo, anche se non vede né si rappresenta un
singolo triangolo. Così egli è in grado di attingere cognizioni pertinenti
l’essenza geometrica triangolo, cerchio, punto, retta, piano, ecc., l’essenza
aritmetica numero, ecc., e di formulare enunciati su di esse, senza affatto
attingerle all’esperienza reale di triangoli reali o di numeri19. Le sue
cognizioni sono, come si dice, a priori, non vengono attinte alla esperienza
e non sono fondate su di essa. D’altra parte sappiamo bene che le
cognizioni essenziali della matematica vengono applicate al mondo reale;
infatti la matematica pura è il fondamento di qualsiasi scienza esatta della
natura. Ma il dominio della fenomenologia pura va ben al di là di quello
della matematica, la quale rappresenta soltanto una regione della scienza
eidetica o essenziale. Husserl dichiara che la fenomenologia pura, che vuol
essere il fondamento della logica pura, avanza anche la pretesa di essere il
fondamento di qualsiasi scienza esatta della natura. Ma il dominio della
fenomenologia pura va ben al di là di quello della scienza eidetica o
essenziale. Husserl dichiara che la fenomenologia pura ha la pretesa di
essere, per quanto con tutt’altra funzione, il fondamento di qualsiasi
psicologia che possa dirsi legittimamente scientifica. «Le cognizioni
essenziali sulle percezioni e su altri Erlebnisse valgono anche per i
corrispondenti Erlebnisse empirici degli esseri animali, così come le
cognizioni geometriche valgono per le forme spaziali della natura»20. Anzi,
non esiste una scienza di fatti pienamente sviluppata che possa prescindere
dalle nozioni eidetiche e che sia perciò indipendente dalle scienze eidetiche.
Questo fatto basta a far comprendere come Husserl potesse vedere nella
fenomenologia pura una scienza normativa dello psichico –
un’affermazione con cui, tra gli psicopatolgi, è d’accordo per esempio
Schilder e con cui siamo d’accordo noi. Comunque è infondata e basata su
una conoscenza superficiale delle cose l’affermazione (di Bumke) secondo
cui l’indagine fenomenologico-psicologica sui fatti e l’indagine puramente
fenomenologica sulle essenze non avrebbero in comune che il nome. La
nostra esposizione dovrebbe aver dimostrato proprio il contrario, dovrebbe
aver mostrato cioè come l’una si costruisca gradualmente sulla base
dell’altra. Anche Natorp, che come nessun altro ha studiato e discusso la
dottrina di Husserl, ammette che nella sua ultima e fondamentale opera,
Idee per una fenomenologia pura, Husserl «non nega una certa connessione
interna tra la fenomenologia e l’empiria psicologica»21. Se poi questa
intima connessione debba essere intesa nel senso che la fenomenologia
pura, col suo metodo estremamente raffinato, possa elaborare soltanto i
concetti più distinti, più puri e più comprensivi per offrirli quali norme,
quali concetti esemplari, allo psicologo, oppure nel senso che la
fenomenologia pura sia in grado effettivamente di offrire conoscenze
essenziali assolutamente definitive, e che lo psicologo sia costretto a
orientarsi sulla base di esse come lo studioso della natura sulla base dei
concetti matematici, è questo il grande argomento di discussione
dell’attuale situazione filosofica. Io personalmente sono propenso ad
accettare l’opinione di Natorp, il quale, da un certo punto di vista, è il
pensatore che più si avvicina a Husserl e che meglio l’ha capito, e che
tuttavia ha avanzato alcune riserve di un certo rilievo contro il presupposto
filosofico fondamentale della fenomenologia pura, cioè contro la datità
assoluta della coscienza pura; in altre parole: contro il carattere
assolutamente intuitivo della conoscenza fenomenologica22. Ma la
soluzione di questo problema rientra in una regione che sta molto più in alto
del settore in cui avviene l’indagine pratica degli psicologi e degli
psicopatologi. Essenziale per noi è il riconoscimento degli atti della
intuizione categoriale o visione delle essenze in sé e per sé, e del gigantesco
campo di oggetti che così si dischiude di fronte a noi, a prescindere dalla
possibilità di attingere così una conoscenza filosoficamente ultima, a priori
e trascendentale oppure no. Noi dobbiamo collaborare praticamente a
questa conoscenza; è, questa, un’esigenza che oggi la nostra scienza ci
impone, ma non siamo chiamati a decidere sulla sua dignità, sulla misura
della sua validità obiettiva. Di tutt’altra opinione è Kronfeld, il quale, pur
riconoscendo nei dettagli l’esattezza e l’importanza delle ricerche di
Husserl, ritiene erronea la dottrina della fenomenologia trascendentale pura
e la sua pretesa di una conoscenza essenziale a priori (cfr. la sua relazione
citata). Si tratta qui della contrapposizione di due punti di vista filosofici.
Personalmente ritengo che la psichiatria non debba immischiarsi nella
discussione e nella soluzione delle polemiche di ordine filosofico. Spero
tuttavia di aver mostrato e di riuscire a mostrare in modo più preciso
attraverso quanto segue come e quanto essa debba nutrire il massimo
interesse alla fenomenologia in quanto metodo scientifico.

3. Fenomenologia e psicopatologia

Se ora vogliamo sapere quali siano i rapporti tra la fenomenologia e la


psicopatologia, che è quanto più interessa lo psichiatra, non abbiamo che da
trarre le conseguenze di quanto finora si è detto. La psicopatologia è e
rimane una scienza di esperienza, una scienza di fatti: e pertanto non vuole
né pretende innalzarsi fino alla visione delle pure essenze nella loro assoluta
universalità. Non ha d’altra parte nulla da temere se la fenomenologia
investe anche il suo territorio. Anzi: da un chiarimento fenomenologico dei
suoi concetti fondamentali, non può che derivare un incremento, una
chiarificazione del proprio indirizzo di ricerca. Qualsiasi scienza è tanto più
degna di questo nome quanto più puri e limpidi sono i concetti di cui si
serve e quanto più perspicuo è il materiale a cui questi concetti si
riferiscono. Si comprende subito, così, come si possa a buon diritto parlare
di fenomenologia psicopatologica, per quanto profonda sia la differenza tra
la ricerca psicopatologica rivolta ai dati di fatto e quella fenomenologica
che si rivolge alle essenze [Wesen]. Se, come si disse, la fenomenologia
psicopatologica non è in grado di innalzarsi fino a delle pure essenze, essa
d’altra parte non è più identificabile con quella psicopatologia che, per
analogia con la psicologia descrittiva, si usa definire descrittiva o
soggettiva. Se tale venisse considerata, essa verrebbe completamente
fraintesa. Ma perché, possiamo domandarci, ricorrere a questo complicato
strumento di ricerca scientifica che è la fenomenologia, se con esso non
conseguiamo altro se non ciò che stavamo per raggiungere con la nostra
consueta psicopatologia descrittiva e soggettiva? Anche prima, uno degli
scopi della psicopatologia era stato pur sempre quello di descrivere gli
accadimenti psicopatologici così come li espongono i malati e come noi
stessi siamo in grado di descriverli, in base a ciò che i pazienti offrono alla
nostra osservazione, ricorrendo il meno possibile a precostituiti postulati
teoretici. La parte descrittiva dell’opera di Bleuler intitolata Il gruppo delle
schizofrenie23 costituisce un esempio stupendo di questo modo di
procedere. Ma erano ben rari, prima dell’era fenomenologica, i contributi di
quegli autori che si esentavano programmaticamente dall’accettare
presupposti teoretici, che di proposito si ponevano su un piano a-teoretico.
Inoltre, anche a prescindere da queste eccezioni, esiste tra psicopatologia
descrittiva e psicopatologia fenomenologica una differenza così profonda da
giustificare una netta distinzione tra l’una e l’altra, anche se in pratica esse
finiscono poi sempre con l’intrecciarsi. Il fenomenologo infatti ha bisogno
delle distinzioni descrittive dello psicopatologo (per esempio, delle nozioni
di idea delirante, allucinazione, autismo, ecc.), se non altro per avere un
punto da cui procedere e per farsi capire, almeno provvisoriamente, nel
modo più rapido possibile. A sua volta lo psicopatologo abbisogna della
ricerca fenomenologicamente atteggiata per aver a disposizione un
materiale sempre nuovo e chiarito in via essenziale.
Per illustrare meglio i rapporti che intercorrono tra i due atteggiamenti di
ricerca, prendiamo anche qui un esempio (anche se ridotto nei limiti che qui
mi sono imposti). Ma voglio prima ancora ricordare che il metodo della
psicopatologia tradizionale riposa prevalentemente sulla percezione dell’Io-
altro-da-noi, dell’Io-alieno, e molto più di rado sulla percezione del proprio
Io. Perché l’«oggetto» dell’indagine non potrà essere colto attraverso
l’autosservazione. Per penetrare in una psiche estranea sarà giocoforza
valersi di un altro genere di percezione. I fenomenologi hanno studiato in
modo approfondito questo genere di percezione, che un tempo si credeva di
poter spiegare mediante teorie associazionistiche o di capire per via
analogica (e anche oggi, in diversi ambienti, la dottrina
dell’immedesimazione [Einfühlung] trova largo credito). Questa sede
purtroppo mi vieta di riferire anche sommariamente sui risultati di queste
ricerche. Mi limiterò a ricordare che la percezione dell’«estraneo» è una
percezione sui generis («interiore») con cui cogliamo direttamente gli
accadimenti psichici altrui24.
Ed ecco l’esempio. Vediamo anzitutto come proceda lo psicopatologo.
Comincio anche questa volta col metodo naturalistico, senza dimenticare
quello della psicoanalisi; cercheremo poi di considerare il metodo
descrittivo, per confrontarlo alla fine con quello fenomenologico.
Domandiamo a un malato se senta delle «voci». Egli risponde: «No, voci
non ne sento, ma di notte sono aperti degli auditori che farei tacere
volentieri»25. Di fronte a questa risposta possiamo rivolgere innanzitutto la
nostra attenzione alla mera lettera di questa posizione e formulare un
giudizio, dicendo che si tratta di un modo di parlare bizzarro o strambo.
Questo giudizio può essere ritenuto come base di una conclusione secondo
cui si tratta di un caso di schizofrenia. Il concetto «modo di parlare strambo
o bizzarro» viene così subordinato, logicamente, a una determinata specie
nosografica, cioè alla schizofrenia. Si è così eseguita una conclusione
sussuntiva, un determinato atto di pensiero. Su questo atto, altri se ne
possono costruire; a essi si può affiancare una serie di «esperienze», per
giungere alla fine a una teoria generale, schiettamente naturalistica,
secondo cui la schizofrenia è dovuta a un disturbo dell’ideazione (tali sono,
per esempio, le teorie di Bleuler e di Berze). Con l’aiuto di questa teoria
verrà a sua volta «spiegato» il sintomo. Oppure, invece di considerare la
lettera della risposta del malato, si può considerare il significato delle
parole, il loro senso razionale, il loro «contenuto» logico. In base al
significato della parola «auditorio», su cui si cercherà di ottenere dal
paziente più precisi ragguagli, si possono ancora emettere dei giudizi, per
esempio che il malato ha dei disturbi allucinatorio-acustici, anche se non
vuol definirli voci. Si potrà inoltre tentare di «farsi un concetto» di ciò
ch’egli chiama «auditorio» o «auditorio aperto». Si cercherà di rilevare il
più puntualmente possibile che cosa accade nel paziente, ogni sua
particolarità e caratteristica. In altre parole: si procederà descrittivamente.
Sempre considerando il significato logico delle parole del malato, si
continuerà a interrogarlo. Si scopre così che egli ha altri Erlebnisse, pure
acustico-allucinatori, ch’egli chiama «l’eco di Roma», e che non sono altro
se non i presunti «insulti» che gli vengono rivolti dagli infermieri. Ma di
essi – dice – «non gli importa un bel niente». Si scopre inoltre che egli vede
allucinatoriamente anche delle figure, le quali si succedono come al
cinematografo, che lo divertono e attraggono la sua attenzione, ma senza
rivestire per lui un particolare significato, mentre «l’esperienza
dell’auditorio» rappresenta per lui – come si esprime – «qualche cosa di
metodicamente unitario», una «contrattura estrema», un’«azione piena di
significato», «vitale», «provvidenziale», un agire «fortemente compresso»,
«un pezzo di vita reale, che a uno dice qualcosa», che cade nella «zona
della puntura traumatica», che «viene dominato da una più alta potenza»; in
breve, l’«auditorio» è una «aperta dichiarazione da parte di qualcuno», dove
compare un «oratore» che ha una particolare «autorità». Da questo
misterioso linguaggio noi veniamo a sapere così che l’«auditorio» non è
soltanto un fenomeno allucinatorio-acustico, ma un fenomeno ben più
complesso, allucinatorio e delirante a un tempo. È un’azione che si svolge
su un particolare «palcoscenico».
Nelle frasi che l’ammalato dice per descrivere gli Erlebnisse che si
riferiscono all’«auditorio», compare spesso la persona del padre. Si
supponga ora che l’esaminatore fermi la sua attenzione soltanto su questo
«oggetto»; e che, tralasciando di proseguire ulteriormente per la via sin qui
seguita, ponga questo oggetto, cioè il «padre», al centro di ogni successiva
indagine. In questo caso si esaminerà ora il «complesso paterno» del
paziente: una nuova unità descrittiva, di cui si vuol scoprire il significato
nella vita del malato. Anzitutto l’esaminatore si sforza di rappresentarsi il
più esattamente possibile tutto ciò che il paziente riferisce sui suoi rapporti
col padre. Una volta giunto in possesso di un materiale sufficientemente
ricco, l’esaminatore cerca adesso non tanto di chiarirlo
fenomenologicamente, quanto piuttosto di procedere a ulteriori elaborazioni
psicoanalitiche, vuoi di indole dinamico-psicologica, vuoi d’indole
biologico-teologica. Mi limiterò qui a ricordare come, procedendo in questo
modo, si continui a navigare nelle acque delle scienze naturalistiche, e
come, anzi, si finisca col venirsi a trovare nel bel mezzo di una scienza
della natura, qual è in definitiva la teoria freudiana della libido.
Si supponga invece che non ci si arresti al complesso del padre e alle sue
implicanze nel piano della malattia del nostro paziente, ma si continui
ancora procedendo in modo puramente descrittivo. Dal caos di parole e di
significati che il paziente ulteriormente fornisce, si potranno senza dubbio
desumere altri concetti e formulare altri giudizi ancora. Si «scoprirà» allora
che oltre a idee deliranti esistono anche altri fenomeni, quali per esempio
allucinazioni ottiche, acustiche e tattili, disturbi deliranti della corporeità,
Erlebnisse di significato di tipo schizofrenico, stati oniroidi di coscienza e
via dicendo. Sulla base di queste astrazioni, si potrà pervenire a nuovi
concetti, e da questi a concetti ancora più generali; e di nuovo, infine, a
giudizi e a conclusioni, da cui trarre infine delle teorie utili alla spiegazione
degli «elementi» psicopatologici rilevati.
In maniera ben diversa procede il fenomenologo! Lo psicopatologo
tradizionale – che, come si è visto, procede descrittivamente – classifica
l’accadimento psichico abnorme in classi, generi e specie, che si rapportano
e sono connessi tra loro in un sistema gerarchico, da contrapporre in toto a
quello del cosiddetto uomo «sano». Egli indaga inoltre le condizioni
necessarie perché possa darsi questo sistema morboso o una parte di esso,
questo o quello dei sottogruppi che lo costituisce. Così egli considera
sempre il singolo Erlebnis patologico o la singola alterazione patologica di
una funzione come un caso particolare di una specie nosografica; cioè
procede ancora e sempre attraverso sussunzioni, definizioni concettuali e
giudizi. Il fenomenologo orientato verso la psicopatologia per contro si
sforza incessantemente di attualizzare ciò che il paziente gli comunica, di
riferirsi alle sue parole, al significato cui allude, all’«oggetto», alla «cosa»,
all’Erlebnis di per se stesso, come immediatamente gli si rivela. In altre
parole cerca di penetrare, di rivivere il significato delle parole, invece di
trarre da esse concetti e giudizi. E anche qui ritorna opportuno ricordare il
flaubertiano: À force de regarder l’objet se sentir y entrer! Rivivere
l’oggetto, trasportarsi nel suo interno, invece che rilevare ed enumerare
singole caratteristiche o proprietà! Certamente anche il fenomenologo ha
bisogno di una descrizione precisa delle caratteristiche e delle proprietà, ma
non per se stesse, non per usarle quali elementi per costruire dei concetti,
bensì per giungere, partendo da esse, alla cosa stessa, alla visione
dell’essenza dell’oggetto. A ciò però si confanno soltanto quelle
caratteristiche che promanano dalla cosa stessa, dal fenomeno, e non quelle
che definiscono le condizioni della sua genesi, il suo nesso con accadimenti
di altro genere. È così che si arriva a compiere un’analisi dei fenomeni che
rileva soltanto quelle determinazioni che ineriscono al fenomeno stesso, nel
nostro caso all’Erlebnis dell’«auditorio». Bisogna che sia esclusa qualsiasi
ipostatizzazione indiretta. In questo modo di procedere si potrà rilevare
fenomenologicamente la datità dell’Erlebnis psicopatologico
dell’«auditorio» nella sua peculiare modalità; anche se l’essenza così colta
non sarà né prossima, a portata di mano, né distinta, anche se, pur essendo
abbastanza continua e circoscritta, non sarà «pura» nel senso husserliano.
Così un’immagine fornita dalla percezione esterna sarà ora indistinta (per
esempio quando l’ammalato dichiara che l’auditorio è anche una
«conversione di titoli»), ora più distinta (per esempio quando l’ammalato
dice: «Se una signora sta a letto fino alle undici del mattino, sopraggiunge
d’ufficio una comunicazione con un’altra dame au lit – 450 lit»). Con
questa frase ci troviamo di fronte a una nuova situazione: quella di una
comunicazione telefonica, di una comunicazione «a distanza» del tutto
peculiare anche dal punto di vista psicologico. Noi non abbiamo ancora
affatto chiarito l’essenza fenomenologica di questa situazione. Lo
schizofrenico invece, attraverso le sue allucinazioni, è penetrato
profondamente nell’essenza modale di questo «essere-vicino» che è insieme
un «essere-lontano», di questo «esserci» che è insieme un «non-esserci».
La peculiarità di questo stile fenomenologico di cogliere i fenomeni
psicopatologici sta nel fatto di non considerare mai il fenomeno isolato; il
fenomeno avviene sempre nello sfondo di un io, di una persona. In altre
parole, il fenomeno è sempre espressione, manifestazione di una persona
strutturata in un certo modo. Nel particolare fenomeno si manifesta
l’insieme della persona, e attraverso il fenomeno noi vediamo la persona.
Nel caso di cui stiamo occupandoci, nell’Erlebnis dell’auditorio, ci
troviamo di fronte a una persona che è in relazione con oscure potenze
spirituali, che si muove in una sfera totalmente diversa dalla nostra.
L’auditorio è per il malato una «nemesi», una «resa dei conti con la vita
passata»; in esso «si dibattono problemi alla cui coercitiva necessità non si
sfugge» e che non servono a divertirsi come gli Erlebnisse cinematografici.
L’auditorio è per l’ammalato un «fronte di lotta» faticosamente conquistato,
«un punto ben definito al difuori degli avvenimenti, un punto di vista sicuro
di fronte ai problemi della vita», il rovescio di «quella certa mancanza di
serietà e di responsabilità verso la vita», quella manchevolezza che provava
prima di «passare» attraverso la malattia26. Noi ci troviamo dunque di
fronte a una persona che è cambiata dal punto di vista etico o, se vogliamo,
che ha cambiato la sua visione del mondo; l’auditorio è il mezzo attraverso
cui si esprime la sua nuova personale visione. Questo nuovo modo di
esprimere è sempre attraverso «comparazioni simboliche», oppure «per
mezzo di similitudini il più possibile materiali che danno alle sensazioni la
necessaria risonanza». Ma ci manca ancora una sufficiente caratterizzazione
della personalità in generale e della persona schizofrenica in particolare, per
poter considerare fenomenologicamente più da vicino tutte queste cose.
Nella sua Psicologia dei sentimenti27, Pfänder ha elaborato una
caratterizzazione della personalità, e io mi limiterò qui a rimandare a essa.
Per poter cogliere e fissare fenomenologicamente l’essenza della persona ci
occorrono certi concetti fenomenologici fondamentali. Io ho dovuto qui
limitarmi a rilevare come qualsiasi considerazione fenomenologica degli
accadimenti psicopatici, invece che partire dai generi e dalle specie delle
funzioni psicopatologiche, miri fin da principio all’essenza della persona
ammalata e cerchi di rilevarla attraverso la intuizione categoriale.
Naturalmente noi possiamo cogliere modalmente anche i singoli fenomeni
come l’Erlebnis dell’auditorio, passando da una prima presa di contatto
sensoriale e concreta a una considerazione più o meno categoriale e astratta;
ma la persona che ha subito l’Erlebnis sarà sempre intuitivamente
compresente nel fenomeno, nel fenomeno concreto come nel suo contenuto
essenziale astratto; sarà così possibile vedere le connessioni essenziali e
generali, precisamente determinabili, «tra» il fenomeno e la persona. In
questo senso la psicopatologia è appena agli inizi28.
È questo il motivo per cui la nostra conoscenza immediata della
schizofrenia e della sua caratteristica fondamentale, l’autismo, è ancora così
ridotta. Il nostro esempio non ci introduce forse gradualmente in quel
mondo che è designato dal termine autismo? Tuttavia noi siamo ancora
incapaci di vedere questo mondo, di percepirlo immediatamente. Per
chiarire ciò che intendo dire, confrontiamo ancora una volta, sull’esempio
dell’autismo, l’atteggiamento delle scienze naturali e l’orientamento
fenomenologico.
Che cosa sia l’autismo, non sappiamo. Abbiamo un termine che lo
designa e disponiamo di una spiegazione in merito, e tuttavia non
conosciamo l’essenza psicologico-fenomenologica dell’autismo. Quando
Bleuler29 dice: «Chiamiamo autismo lo stacco dalla realtà accompagnato da
un’assoluta prevalenza della vita autonoma», egli definisce soltanto le
condizioni in cui possiamo parlare di autismo, ma non la configurazione
dell’autismo stesso. Anche se enumeriamo l’intera serie delle caratteristiche
dell’autismo, non lo vediamo ancora, per così dire, davanti a noi. Le
caratteristiche che possiamo elencare sono le seguenti: lo schizofrenico
autistico è passivo di fronte all’ambiente che lo circonda, non vuol essere
toccato dall’esterno, è indifferente di fronte a quello che dovrebbe costituire
il suo massimo e più immediato interesse, è più o meno incapace di fare i
conti con la realtà, reagisce distrattamente agli stimoli esterni, non resiste ai
capricci e agli impulsi, la sua vita per sé, autonoma, predomina in modo
morboso, egli considera i suoi desideri e i suoi timori già realizzati, reali, il
suo pensiero è orientato da bisogni di ordine affettivo, si manifesta per
simboli, in concetti incompleti e in analogie, ecc. Tuttavia non è venuto
meno in lui il senso dell’apprensione della realtà. Inoltre si parla anche di
un autismo della persona normale, dell’isterico, del dormiente, si studiano
le condizioni alle quali il pensiero autistico assume il predominio su quello
logico-realistico: nel bambino, in coloro che si occupano di cose che non
sono accessibili alla logica («le questioni ultime»), nei casi di forte tonalità
affettiva, nella nevrosi e infine là dove i nessi delle associazioni si sono fatti
più elastici, nella schizofrenia. Infine si studiano le possibilità filogenetiche
del sorgere della «funzione autistica»30.
La psichiatria sarà sempre grata a Bleuler per l’enorme quantità di
materiale che egli ha raccolto. Ma egli si era proposto anche il difficilissimo
compito di costruire, con questo materiale, un edificio. Oppure, se
ammettiamo che questo edificio sia stato costruito fino a un certo punto,
possiamo ricorrere all’immagine di una casa iniziata: le intelaiature sono
già state posate, ma i vuoti tra esse sono ancora aperti e da tutte le parti
irrompe ancora vento. Perché la casa sia abitabile, occorrono ancora le
pareti che vento. Perché la casa sia abitabile, occorrono ancora le pareti che
chiudano gli interstizi. Fuor di metafora: è ovvio che Bleuler deve aver
visto, deve aver «sentito» le cose che descrive. Il successo del suo libro si
fonda su una profonda «immedesimazione» nella schizofrenia e non sulla
teoria. Ma nella sua opera ci imbattiamo in una confessione caratteristica
del ricercatore che non può dare più di quanto ha: «Tutte queste cose sono
più facili da sentire che da descrivere», oppure: il mondo autistico è «per i
malati una realtà il cui rapporto con la realtà non può essere descritto in
linea generale»31. Ora, proprio ciò che qui viene soltanto sentito ma che non
può esser descritto in linea generale va portato, attraverso il metodo
fenomenologico, a una conoscenza intuitiva, per essere poi colto
concettualmente. Sull’ultima proposizione citata dovremo ancora tornare.
Proponiamo qui un abbozzo, e non più di un abbozzo, del programma
che andrebbe realizzato perché fosse possibile dire di sapere che cosa sia
l’autismo, nel senso in cui già ora possiamo dire di sapere che cos’è la
percezione, il giudizio, la disposizione mentale, la simpatia, ecc.
1) Ci occorre innanzitutto una fenomenologia dell’Erlebnis del mondo
reale esterno in generale, cioè del modo in cui si configura per lo
schizofrenico autistico il fenomeno «mondo reale esterno». Finora però
possediamo soltanto poche indicazioni persino sul modo in cui questo
mondo si configura per le persone normali32.
2) Ci occorrono poi analisi più precise sulle relazioni tra ciò che
all’individuo autistico si dà nella percezione e ciò che gli si dà nella
fantasia, nella allucinazione e nel delirio. A questo scopo ci occorre una
fenomenologia delle allucinazioni, delle pseudo-allucinazioni e del delirio
schizofrenico in tutta la sua enorme estensione. Prendiamo come esempio
questo Erlebnis, che rientra nell’allucinazione e nel delirio di un nostro
paziente: il paziente è a letto e sente salire ed entrare dalla finestra il binario
della tranvia che passa sotto la finestra; il binario gli penetra nella testa.
Quest’impressione è accompagnata da cardiopalmo, dal timore che la
«fiamma della vita» si spenga, e da forti dolori alla fronte causati dal
binario che gli trapana il cervello. Il malato stesso afferma che tutto questo
è stupido, senza senso: egli sa che il binario sta giù, sulla strada e che di lì
non si muove, e tuttavia lo vede entrare dalla finestra. «Dall’esterno» ciò
potrebbe significare che l’ammalato non ha completamente perduto il senso
della realtà nonostante le contemporanee allucinazioni ottiche, tattili e
algiche. Quindi la realtà autistica e quella «normale» sembrano coesistere
l’una accanto all’altra. Ma lo psicopatologo afferma che il loro rapporto
«non può essere descritto in linea generale». A noi nulla sembra tanto
urgente per l’analisi della schizofrenia quanto la descrizione generale di
questo rapporto. Questa descrizione è possibile solo sulla base di
determinati atti psichici, o, diciamo, di quei determinati atti in cui
sostanzialmente si costituisce l’Erlebnis dell’allucinazione. Nei casi più
fortunati siamo in grado di mostrare quali siano questi atti. Così il nostro
malato afferma che quando egli percepisce pensieri astratti, cioè pensieri
«che esistono per sé e che non devono adattarsi alla realtà (come per
esempio i pensieri astratti “fiamma”, “fuoco”, che noi usiamo anche in
locuzioni come “un discorso infiammato”, o “un infuocato fluire del
discorso”)», non sente più i dolori di testa e si sente libero, perché in questo
caso «non si è più costretti a realizzare un adattamento materiale all’oggetto
reale», «non si è più legati alla materia». Sennonché il pensiero è anche
«una concordanza con ciò che è, per esempio tra la persona e il binario, e
perciò possono prodursi tra questi due elementi collisioni che possono
provocare dolori». «Non è il binario che sale, il binario se ne sta giù sulla
strada; eppure, si ha la sensazione che salga. Si tratta appunto di un fissarsi
di una relazione che dipende da forze sovrapposte, di una tensione, di una
dilatazione del pensiero – sono pensieri che confluiscono in una particolare
dilatazione e che poi si rivelano attraverso un particolare segno di
riconoscimento (il dolore!)». Non si tratta qui di una descrizione
fenomenologica, anche se il malato – che non è uno studioso di psicologia e
che ha semplicemente superato l’esame di scienze naturali per
l’insegnamento nelle scuole medie – si osserva e si esprime in modo
eccellente. Ma attraverso queste osservazioni, e tutta una serie di altre
analoghe, dovrebbero venir localizzati fenomenologicamente gli atti di quel
«fissarsi di una relazione», e dovrebbero venir descritti nella loro essenza
pura. Evidentemente in questi atti si dà un mondo unitario di oggetti che
non corrisponde né a ciò che noi viviamo, come il fenomeno del mondo
esterno, né a ciò che noi descriviamo, peraltro negativamente e del tutto
dall’esterno, come un’estraniazione dalla realtà. Non abbiamo cioè a che
fare con due realtà, una autistica e una «reale», bensì con un’unica realtà,
costituita appunto attraverso gli atti di quel fissarsi di una relazione.
3) Ma nei confronti del mondo esterno sono possibili anche atteggiamenti
diversi da quelli della percezione, della rappresentazione e della
conoscenza: gli atteggiamenti del giudizio e della valutazione, dell’amore e
dell’odio, del desiderio e della ripulsa, della creazione attiva e della
dedizione passiva. Nell’ambito di questi «modi della coscienza» o suoi atti
dobbiamo distinguere tra gli atti e comportamenti meramente affettivi o
emozionali e gli atti categoriali rivolti all’essenza e al valore. Costituisce
perciò un passo in avanti il fatto che Schwenninger33 descriva ciò che ci
appare fuga dalla realtà e chiusura autistica sulla base della teoria della
partecipazione e dell’estraniazione elaborata da Pfänder. Qui ci troviamo di
fronte a qualcosa di psichico in senso «sostanziale», a sfere psichiche
individuali, in base alle quali è possibile descrivere questo distacco dalla
realtà come un «disturbo della partecipazione», del rapporto confidenziale
con l’ambiente circostante, della «compenetrazione di soggetto e oggetto».
Ma per evitare che questi rimangano termini nuovi per designare vecchie
cose, bisogna aver piena coscienza delle «cose» a cui ci si riferisce
effettivamente. A questo scopo sarebbe necessario anzitutto indicare in che
cosa gli atti di partecipazione ed estraniazione negli autisti si distinguano
da quelli riscontrabili negli individui sani; indicare, in altre parole, quale sia
il loro genere specifico. In un eccellente suo saggio34, Oettli ha richiamato
l’attenzione ai disturbi di tale partecipazione nei confronti degli altri35. Egli
ha sottolineato a ragione che qui si verifica innanzitutto una alterazione dei
valori e delle norme sociali, e che è proprio in base a tale vuoto assiologico
che vengono meno tanto le aspirazioni quanto le inibizioni sociali; e ne
risultano compromessi anche i moti espressivi, il linguaggio e la scrittura.
Anche Schwenninger ci rimanda alla perdita o alterazione del senso del
valore e alle connesse alterazioni nella capacità di orientamento all’interno
degli ordinamenti assiologici e morali.
4) Arriviamo con questo alle alterazioni qualitative e quantitative degli
atti dell’intuizione categoriale, dell’intuizione nel senso più ampio e quindi
dell’interiorizzazione o della consapevolezza delle essenze e dei valori
estetici, logici, etici, metafisici e religiosi36. In riferimento agli Erlebnisse
motivazionali, Gruhle37 ha rilevato come non si tratti, almeno in molti di
questi casi, di una vera e propria «perdita» bensì di una diversità qualitativa,
di un modo diverso di essere; e la stessa cosa è stata dimostrata in modo
eccellente e con grande penetrazione da Jaspers nei casi di Hölderlin e di
Van Gogh. Con l’indicazione di questa diversa modalità di orientamento nei
confronti del mondo dei valori anche l’autismo risulta definito in modo
assai più adeguato che non in base alla presenza di allucinazioni e idee
deliranti, o alla preponderanza della vita interiore. Da un punto di vista
fenomenologico l’alterazione nell’atteggiamento verso il mondo esterno e
verso di sé riesce più facilmente comprensibile in base all’atteggiamento
modificato dell’individuo verso i valori. È in ciò che consiste l’essenza e il
nocciolo dell’autismo schizofrenico. Predomina cioè un’altra tensione tra
l’io e la sfera dei valori, come abbiamo visto anche dal nostro esempio, ed è
proprio questa tensione che va colta fenomenologicamente. È Jaspers che
ha mosso il primo passo significativo su questo terreno, elaborando
innanzitutto una psicologia delle Weltanschauungen (dei «sani»), per
penetrare però poi anche nel terreno dell’autismo schizofrenico con una
profondità interpretativa che non ha precedenti. Il suo lavoro su Strindberg
e Van Gogh non è soltanto la migliore patografia di cui disponiamo, ma
anche una pietra miliare nella fenomenologia psicopatologica della
schizofrenia. Né dimenticheremo che già nella sua Psicopatologia38 Jaspers
parla di una «intuizione di una totalità, detta schizofrenica» e di una
«atmosfera schizofrenica» in cui i singoli complessi sintomatici possono
essere immersi. Con quella cautela (se non addirittura scepsi) scientifica che
gli è peculiare, tuttavia, Jaspers avverte continuamente che noi non
afferriamo quella totalità, ma enumeriamo soltanto una grande quantità di
particolari e possiamo esperire il fenomeno nel suo complesso sempre
soltanto nella nostra propria esperienza a contatto con il malato. Ora, è
importante arrivare a rendere esplicita, a fissare ed elaborare
fenomenologicamente questa intuizione della totalità dell’autismo,
indipendentemente dal problema se ci sia anche dato o no di cogliere anche
quella totalità che chiamiamo schizofrenica. Quando Birnbaum afferma
trattarsi qui di un metodo che oltrepassa la possibilità di comprensione di
cui lo psichiatra può disporre in base alla sua scienza, dati i limiti empirico-
naturalistici di quest’ultima – di un metodo quindi che non fornisce niente
più che una sicurezza psicologico-soggettiva –, noi affermiamo a nostra
volta che questo metodo può conseguire una validità generale anche
nell’ambito della psicopatologia se venga filtrato da una elaborazione
collettiva; affermiamo, in altre parole, che l’esattezza scientifica di questo
metodo può essere dimostrata anche in questo caso, e che anzi lo è già stata
nella letteratura sull’argomento. Birnbaum ha frainteso il metodo di Jaspers,
considerandolo un metodo meramente soggettivo, dove peraltro tale
fraintendimento può esser fatto risalire al modo di esprimersi cauto e
provvisorio dell’autore. Si aggiunga poi che Jaspers non fa uso di un
linguaggio concettuale fenomenologico nel senso stretto della scuola39.
Rimane a Birnbaum il merito di avere inteso e formulato quanto meno un
punto con una chiarezza che non era stata raggiunta da nessun altro, cioè
che abbiamo a che fare qui con un metodo diverso da quello delle scienze
naturali. Ed è proprio di qui che anche noi abbiamo preso le mosse.
Ma ritorniamo alla fenomenologia dell’autismo. Non si può dire che
l’autismo sia stato ancora individuato fenomenologicamente neppure in
rapporto con la posizione assunta dalla persona schizofrenica rispetto al
mondo dei valori. È la stessa personalità autistica che deve essere recepita
dall’occhio spirituale, cosa che riesce possibile solo operando una
retrocessione da tutti i fenomeni menzionati, in direzione del fenomeno
fondamentale «personalità autistica». Qui la fenomenologia si incontra con
altre correnti moderne della psicologia generale, e particolarmente con
l’intuizionismo di Bergson e con la psicologia ricostruttiva di Natorp. Non
dobbiamo infatti dimenticare che la fenomenologia rappresenta uno
soltanto dei sismi prodotti dalla psicologia e dalla psicopatologia sulla
strada che le ha portate da una scienza obiettivistica a una scienza orientata
verso la soggettività40.
Ma per concludere dobbiamo ancora rispondere alla domanda: che posto
occupa la psichiatria nel suo complesso rispetto all’orientamento
fenomenologico. In quanto ramo della medicina, e quindi della biologia
applicata, la psichiatria è e rimane una scienza della natura: la
fenomenologia psicopatologica le rimane essenzialmente estranea; almeno a
prima vista. Basta però dare uno sguardo alla letteratura per accorgersi che
anche qui è necessario stabilire dei collegamenti. Mi limito a questo scopo a
rinviare ai saggi di Jaspers (Psicopatologia) e di Kronfeld (La natura della
conoscenza psichiatrica41 e la relazione citata). Per quanto mi concerne,
non posso identificare le mie posizioni con nessuna di quelle citate, e mi
pronuncio, insieme a Lewin, Kurt Schneider e altri, in favore di una libertà
e indipendenza quanto più grande possibile della fenomenologia
psicopatologica, la quale in prima istanza chiede d’essere orientata nel
senso della fenomenologia in quanto dottrina eidetica meramente
descrittiva delle formazioni immanenti della coscienza, perché la
psicopatologia ne possa trarre giovamento.
Note

1 La prognosi è sottolineata a matita nella cartella clinica, con tutta probabilità da Ludwig
Binswanger. Vedi sotto, p. 50, la lettera di Berger a Binswanger del 12 marzo 1921, da cui è tratta
anche la citazione che segue.
2 Hans Berger (1873-1941), il pioniere dell’elettroencefalogramma, era succeduto a Otto
Binswanger, zio di Ludwig, nella posizione di direttore della clinica psichiatrica universitaria di Jena.
3 Ludwig Binswanger (1881-1966) assunse la direzione della clinica il 1° gennaio 1911, dopo la
morte del padre Robert. Sulla storia della clinica, fondata nel 1857, cfr. il resoconto redatto dallo
stesso Ludwig in occasione del centenario della fondazione e pubblicato postumo in MAX HERZOG
(a cura di), Ludwig Binswanger und die Chronik der Klinik «Bellevue» in Kreuzlingen. Eine
Psychiatrie in Lebensbildern, Berlin, Quintessenz, 1995. La clinica venne chiusa nel 1980, venduta
nel 1986 e demolita nel 1990, cfr. la documentazione degli ultimi giorni dell’istituto, da cui sono
tratte alcune delle foto qui incluse, in CHRISTINA EGLI, RAINER HOCHER, Belle-vue. Blüte und
Verfall einer Anstalt, Konstanz, Wisslit-Verlag, 1990.
4 Lettera dell’8 novembre 1921, in SIGMUND FREUD, LUDWIG BINSWANGER, Briefwechsel
1908-1938, Frankfurt am Main, Fischer, 1992, p. 176. Era stato Freud a sollecitare informazioni su
un caso che lo interessava per il legame familiare di Warburg con una sua intima amica e
benefattrice, probabilmente da identificare con Helene Schiff (vedi RON CHERNOW, The
Warburgs, New York, Random House, 1993, p. 260), e vedi sotto, p. 23.
5 L’opinione che Binswanger esprime in una lettera del 18 agosto 1921 a Heinrich Embden, medico
di fiducia della famiglia Warburg, rimane valida per tutto il periodo in considerazione: «La prognosi
mi sembra ancor oggi non diversa da quella che abbiamo stabilito in occasione del nostro incontro.
Credo ancora in un miglioramento [Besserung], ma che si verifichi lentamente e solo in maniera
graduale. Ritengo molto improbabile una ripresa del lavoro scientifico. Anche il ritorno all’ambiente
familiare mi sembra ancora una prospettiva molto distante» (Universitätsarchiv Tübingen [d’ora in
poi: UAT] 441/3782, II.6, Corrispondenza di Ludwig Binswanger).
6 Binswanger riferisce che Warburg aveva messo mano «di nuovo in maniera sistematica al suo
lavoro dall’Italia» (vedi sotto, p. 178) e aveva studiato anche le bozze di un suo libro (probabilmente
la Einführung in die Probleme der allgemeinen Psychologie, Berlin, Springer, 1922).
7 UAT 441/3782, II.6, lettera a Embden, 7 novembre 1921. Forse la denuncia di Warburg della
«Katastrophenpolitik» dei suoi medici (vedi sotto, pp. 52-53 e 127) non è dunque da considerare
semplicemente come un altro sintomo di paranoia.
8 UAT 441/3782, II.6, lettera a Mary Warburg, 6 dicembre 1922: «Se il miglioramento [Besserung]
dovesse reggere anche solo in certa misura, saremmo d’accordo che Suo figlio venga ancora prima di
Natale per portare il materiale necessario. Vorremmo fare di tutto perché il Professore tenga appena
possibile la sua conferenza sugli indiani».
9 UAT 441/3782, II.6, lettera a Mary Warburg, 22 gennaio 1923: nella corrente situazione negativa
Binswanger pensa che Warburg possa difficilmente lavorare per anche solo una o due ore; ritiene
quindi preferibile che Saxl venga alla fine di gennaio.
10 Almeno agli occhi di Aby (vedi sotto, pp. 75-76, ma anche il giudizio poco lusinghiero di Saxl, p.
177). Kurt era figlio di Otto Binswanger, anche lui, come Ludwig, figlio d’arte, se così si può dire.
Che Kurt venga troppo sbrigativamente tolto di mezzo come un mero lapsus calami di Warburg nel
libro di PHILIP ALAIN MICHAUD, Aby Warburg et l’image en mouvement, Paris, Macula, 1998, p.
250, mostra quanto sia necessaria la pubblicazione di questi materiali già solamente per evitare
questo tipo di emendazione troppo solerte.
11 UAT 441/3782, II.6, lettera di Kurt Binswanger a Heinrich Embden, 29 gennaio 1923. Vedi sotto,
pp. 119-120.
12 UAT 441/3782, II.6, lettera a Max Warburg, 1° febbraio 1923. Cfr. KARL KöNIGSEDER, Aby
Warburg im «Bellevue», in ROBERT GALITZ, BRITTA REIMERS (a cura di), Aby M. Warburg:
«Ekstatische Nymphe… trauernder Flußgott»; Portrait eines Gelehrten, Hamburg, Dölling und
Galitz, 1995, p. 89.
13 Si veda in proposito l’illuminante testimonianza di Saxl, pp. 177-178.
14 FREUD, BINSWANGER, Briefwechsel, cit., pp. 180-181.
15 Per lui forse ancor più che per Freud: alle scuse di Binswanger, che questo onore gli venga fatto
troppo tardi per provocargli piacere, Freud replica, nell’accettarne il conferimento il 4 dicembre
1926, che «venti, e men che meno trent’anni fa, un riconoscimento del genere per l’analisi, ancora ai
suoi primi passi, sarebbe stato impensabile. Non lo aspettavo, e neppure ne ho sentito la mancanza
all’epoca» (ibid., p. 210).
16 Lettera del 29 novembre 1926 (ibid., pp. 209-210).
17 Cfr. la frase di apertura del resoconto annuale della Biblioteca per il 1920, il primo la cui stesura si
deve a Saxl: «L’assenza del professor Warburg dalla sua Biblioteca, la cui durata non si può ancora
prevedere, costringe a riflettere sui principi fondamentali, in base ai quali, da un lato, i fondi librari
esistenti possono venir messi a disposizione del pubblico e, dall’altro, si dovrebbe condurre
l’espansione della Biblioteca» (pubblicato in TILMANN VON STOCKHAUSEN, Die
Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg: Architektur, Einrichtung und Organisation, Hamburg,
Dölling und Galitz, 1992, p. 116).
18 Cfr. CHERNOW, The Warburgs, cit., p. 80. La storia clinica di Loeb ha interessanti paralleli con
quella di Warburg: anch’egli fu prima paziente di Otto Binswanger a Jena, nel 1905, per esserlo poi
di Kraepelin a Monaco l’anno successivo, e quindi stringere un rapporto di assoluta fiducia con il
medico, tanto da divenire il mecenate della fondazione Deutsche Forschunganstalt für Psychiatrie:
cfr. WOLFGANG BURGMAIR, MATTHIAS M. WEBER, Ein «… Lichtstrahl in das trübe
Dunkel…» James Loeb als Wissenschaftsmäzen der psychiatrischen Forschung, in James Loeb 1867-
1933 Kunstsammler und Mäzen, Murnau, Schloßmuseum Murnau, 2000, pp. 107-126. Nello stesso
volume, che fornisce preziose informazioni sulla vita e l’attività filantropica di Loeb, fondatore, tra
l’altro, della celebre Loeb Classical Library, cfr. DOROTHEA MCEWAN, Façetten einer
Freundschaft: Aby Warburg und James Loeb, pp. 75-98, per il rapporto di parentela e amicizia tra i
due.
19 Cfr. CHERNOW, The Warburgs, cit., p. 80. Bisognerà prendere con le dovute cautele la
testimonianza di Chernow, che parla del più famoso psichiatra dell’epoca come di «un certo dottor
Kroepelin».
20 Ibid., p. 80. Kraepelin si era pensionato nel 1922 dalla sua posizione di direttore della clinica
universitaria di Monaco e aveva assunto quella di direttore della nuova fondazione creata da James
Loeb. È quindi lecito supporre che lo stesso Loeb abbia avuto un ruolo importante nel favorire
l’intervento di Kraepelin.
21 Sul registro dei ricoveri (UAT 442/5, Aufnahmebuch, 1° gennaio 1912-31 dicembre 1929, fol.
190), che conferma le date del 16 aprile 1921 per il ricovero, e del 12 agosto 1924 per la dimissione,
sembra invece che Warburg sia stato registrato in un primo tempo come un caso di Dem.[entia] Pr.
[aecox], poi corretto in Schizophrenie.
22 Vedi sotto, pp. 121-122.
23 EUGEN BLEULER, Dementia praecox oder Gruppe der Schizophrenien, Leipzig, Deuticke,
1911 (trad. it.: Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie, Roma, La Nuova Italia Scientifica,
1985, p. 31).
24 UAT 441/3782, II.6, lettera a Heinrich Embden, 5 febbraio 1923.
25 UAT 441/3782, II.7, Corrispondenza con Binswanger, lettera di Hans Berger, 19 agosto 1924.
26 Corsivo mio. Gli obotriti erano una popolazione slava che aveva anticamente colonizzato le rive
del Baltico fino all’Elba, cfr. CARLO CATTANEO, Sul principio istòrico delle lingue europee, 1842:
«Lungo la riva meridionale del Bàltico oggidì regna quasi sola la lingua tedesca; ma non sono molte
generazioni che vi si udiva l’idioma slavo degli Obotriti». Forse con un’allusione anche al tirocinio di
Kraepelin a Dorpat, l’odierna Tartu, in Estonia. Vedi sotto, p. 225.
27 Secondo GIOVANNI MASTROIANNI, Il buon Dio di Aby Warburg, in «Belfagor», 2000, n. 55,
pp. 413-442, la prima citazione, ancora in vita di Warburg, fu da parte di Karl Vossler, ma solo nel
1928 (pp. 416-417); di Mastroianni vedi ora anche Croce e Warburg, in «Giornale critico della
filosofia italiana», 2003, n. 82, pp. 355-382.
28 LUDWIG BINSWANGER, Eröffnungsrede des Präsidenten (discorso tenuto il 27 novembre 1926
a Zurigo), in «Schweizer Archiv für Neurologie und Psychiatrie», 1927, n. 20, p. 174.
29 Il riferimento è alla diagnosi di Berger: vedi sotto p. 50. Binswanger aveva scritto a Berger il 15
agosto 1924: «Kraepelin è dell’opinione che il delirio presenile di nocumento debba risolversi in una
sindrome maniaco-depressiva» (UAT 441/3782, II.6).
30 LUDWIG BINSWANGER, Der Fall Ellen West, eine anthropologisch-klinische Studie, in
«Schweizer Archiv für Neurologie und Psychiatrie», 1944-1945, nn. 53-55, poi in ID., Schizophrenie,
Pfullingen, Neske, 1957 (trad. it.: Il caso Ellen West, Milano, SE, 2001, p. 12, lievemente
modificata).
31 LUDWIG BINWANGER, Manie und Melancholie. Phänomenologische Studien, Pfullingen,
Neske, 1960, p. 10 (trad. it.: Melanconia e mania. Studi fenomenologici, Torino, Boringhieri, 1971).
32 Cfr. BURGMAIR, WEBER, Ein «… Lichtstrahl in das trübe Dunkel…», cit., pp. 120-123.
33 Dal 18 gennaio 1889 al 24 marzo 1890, cfr. la trascrizione della cartella clinica in Friedrich
Nietzsche: Chronik in Bildern und Texten, München, Hanser, 2000, p. 739. Julius Langbehn accuserà
Binswanger di «aver rovinato» Nietzsche, sia pure soltanto «per non aver fatto nulla per lui» (in una
lettera alla madre di Nietzsche il 27 novembre 1889, ibid., p. 753), e Heinrich Köselitz di «non avere
idea» di quale paziente fosse affidato alle sue cure in Nietzsche (lettera a Paul Heinrich Widemann, 8
gennaio 1890, ibid., p. 754).
34 HANS BERGER, Otto Binswanger, in «Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten», 1930, n.
89, pp. 1-12. Otto Binswanger, nato nel 1852, morì solo pochi mesi prima di Warburg, il 15 luglio
1929.
35 Ibid., p. 8.
36 Cfr. UAT 441/3782, II.7, lettera di Max Warburg del 13 settembre 1921, che richiede la
sospensione delle visite del Geheimrat, senza fornire un motivo specifico, ma per mantenere la
promessa fatta al fratello; e UAT 441/3782, II.6, replica di Binswanger del 27 settembre 1921 a Max
Warburg, che conferma la cessazione delle visite.
37 Così Warburg apostrofa il sanatorio di Binswanger nella dedica di un libro a Carl Georg Heise in
gratitudine per la sua visita del 25 aprile 1922 (riprodotta in MICHAEL DIERS, Kreuzlinger
Passion, in «Kritische Berichte», 1979, n. 7, p. 5).
38 Cfr. l’esercitazione su Burckhardt e Nietzsche, in conclusione del seminario su Burckhardt tenuto
durante il semestre invernale 1926-1927 (trad. it. in «aut aut», 1984, n. 199-200, pp 46-49).
39 Vedi sotto, pp. 150-151. È possibile che l’inquietudine di Warburg fosse dovuta al ricordo di un
episodio narrato nelle memorie di Paul Deussen: Nietzsche, ritornato a Naumburg, la città della sua
infanzia, accompagna la madre e la sorella alla stazione per accogliere l’amico, ma senza
riconoscerlo, e la sua attenzione viene invece completamente assorbita dal movimento di una
locomotiva in transito (PAUL DEUSSEN, Erinnerungen an Friedrich Nietzsche, Leipzig, F.A.
Brockhaus, 1901, pp. 96-97, citato in Friedrich Nietzsche:Chronik, cit., p. 764).
40 Vedi sotto, p. 112, e cfr. Friedrich Nietzsche: Chronik, cit., p. 739, per la diagnosi di Nietzsche.
41 Cfr. CLAUDIA NABER, «Heuernte bei Gewitter»: Aby Warburg 1924-1929, in GALITZ,
REIMERS, «Ekstatische Nymphe… trauernder Flußgott», cit., pp. 104-129.
42 CARL GEORG HEISE, Persönliche Erinnerungen an Aby Warburg, New York, 1947, p. 54. Si
tratta, con tutta probabilità, dell’unico, tra i numerosi ritratti di Nietzsche eseguiti da Olde nel 1899,
che sia assurto a una certa notorietà, accanto alla celebre incisione pubblicata sulla rivista «Pan» (cfr.
JüRGEN KRAUSE, «Märtyrer» und «Prophet». Studien zum Nietzsche-Kult in der bildenden Kunst
der Jahrhundertwende, Berlin, De Gruyter, 1984, p. 127). Il ritratto non è al momento reperibile
nell’Archivio dell’Istituto Warburg. In una foto del 1917 è visibile un ritratto di Nietzsche, che non è
però di Olde e il cui autore non ho potuto ancora identificare. Ringrazio Claudia Wedepohl per
l’informazione.
43 HENRY VAN DE VELDE, Geschichte meines Lebens, München, Pieper, 1962, p. 189, citato nel
catalogo della mostra Malerei nach Fotografie, München, Münchner Stadtmuseum, 1970, p. 122.
44 Cfr. STOCKHAUSEN, Die Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, cit., pp. 52-57, 159-160.
45 FRITZ SCHUMACHER, Stufen des Lebens. Erinnerungen eines Baumeisters, Stuttgart, Deutsche
Verlags-Anstalt, 1935, p. 411, citato in Friedrich Nietzsche: Chronik, cit., p. 805.
46 Titolo tradizionale del ritratto è Friedrich Nietzsche «immerso nella contemplazione del
tramonto», cfr. Friedrich Nietzsche: Chronik, cit., p. 808, e KRAUSE, «Märtyrer» und «Prophet»,
cit., p. 251.
47 FRIEDRICH NIETZSCHE, La gaia scienza e Idilli di Messina, Milano, Adelphi, 1977, pp. 28-29.
48 NIETZSCHE, La gaia scienza, cit., p. 35.
49 Secondo BETTINA BRAND-CLAUSSEN, The Collection of Works of Art in the Psychiatric
Clinic, Heidelberg – from the Beginnings until 1945, in ID. ET AL., Beyond Reason. Art and
Psychosis: Works from the Prinzhorn Collection, London, Hayward Gallery, 1997, p. 7, Kraepelin fu
direttore della clinica universitaria di Heidelberg dal 1890 al 1903. Si veda questo articolo, in
generale, sulla collezione e le sue sorti dopo le dimissioni di Prinzhorn nel 1921, pp. 7-23.
50 Citato in FREUD, BINSWANGER, Briefwechsel, cit., p. 174.
51 Ibid.
52 Ibid., p. 175.
53 Vedi sotto, p. 81.
54 HANS PRINZHORN, Nietzsche und das XX. Jahrhundert, Heidelberg, Kampmann, 1928. Il
giudizio è espresso nel diario della Biblioteca, in data 20 settembre 1928: cfr. ABY WARBURG,
Tagebuch der Kulturwissenschaftlichen Bibliothek Warburg, Berlin, Akademie Verlag, 2001, p. 343
(è il vol. VII della Studienausgabe); e anche più tardi, nel 1929, Prinzhorn verrà menzionato da
Gertrud Bing, nello stesso diario, tra i rappresentanti dei «più moderni metodi di ricerca» in
psicologia (ibid., p. 494).
55 HANS PRINZHORN, Bildnerei der Geisteskranken. Ein Beitrag zur Psychologie und
Psychopathologie der Gestaltung, Berlin, Springer, 1922, uscito nel maggio di quell’anno (trad. it.:
L’arte dei folli. L’attività plastica dei malati mentali, Milano, Mimesis, 1991).
56 Vedi sotto, p. 103.
57 PRINZHORN, Bildnerei der Geisteskranken, cit., p. 4.
58 WILHELM PINDER, Zur Physiognomik des Manierismus, in HANS PRINZHORN (a cura di),
Die Wissenschaft am Scheidewege von Leben und Geist. Festschrift Ludwig Klages zum 60.
Geburtstag 10. Dezember 1932, Leipzig, Barth, 1932, pp. 148-156.
59 LUDWIG BINSWANGER, Drei Formen missglückten Daseins. Verstiegenheit Verschrobenheit
Manieriertheit, Tübingen, Niemeyer, 1956 (trad. it.: Tre forme di esistenza mancata: esaltazione
fissata-stramberia-manierismo, Milano, Bompiani, 2001, p. 170, lievemente modificata). In questa
sezione Binswanger menziona lo «studio, che è sempre ancora agli inizi, della “pittura” degli
schizofrenici» (p. 168), un chiaro riferimento, sia pure in negativo, agli studi di Prinzhorn.
60 PINDER, Zur Physiognomik des Manierismus, cit., p. 156; BINSWANGER, Tre forme di
esistenza mancata, cit., p. 157.
61 FRIEDRICH NIETZSCHE, Aurora, aforisma 114, «Della conoscenza di colui che soffre»,
Milano, Adelphi, 1978, p. 84.
62 Vedi sotto, pp. 35 e 174.
63 Vedi sotto, p. 141.
64 Titorelli discute tre possibilità: l’assoluzione reale, l’assoluzione apparente e la dilazione. I due
ultimi metodi impediscono una condanna dell’accusato, ma anche una sua reale assoluzione, come
Josef K. deve ammettere «a voce bassa, come se si vergognasse di averlo riconosciuto» (FRANZ
KAFKA, Il processo, sez. «Pittore»).
65 Cfr. per comodità la lista in BLEULER, Dementia praecox, cit., p. 208. La «guarigione con
difetto, cioè miglioramento» vi è dichiarata «l’esito più frequente».
66 EMIL KRAEPELIN, Psychiatrie. Ein Lehrbuch für Studierende und Ärzte, Leipzig, Barth, 1909,
vol. I, p. 453.
67 Ibid.
68 BLEULER, Dementia praecox, cit., p. 204.
69 UMBERTO SABA, Trieste, in Trieste e una donna.
70 LUíZ VAZ DE CAMõES, Sonetti, XXVIII.
71 Vedi sotto, pp. 241-242.
72 SIGMUND FREUD, Analisi terminabile e interminabile, cap. III.
73 ABY WARBURG, Lettera a Ullrich von Wilamowitz-Moellendorff, in «aut aut» 2004, nn. 321-
322, p. 24.
74 Cfr. ad esempio il monito, a solo pochi mesi dalla sua dimissione: «Non dimentichi che sono un
revenant dal sanatorio» (Warburg Institute Archive [d’ora in avanti: WIA], General Correspondence
[d’ora in avanti: GC], Warburg a Gustav Herbig, 15 novembre 1924).
75 UAT 443/31, lettera di Aby Warburg del 6 dicembre 1926 e di Ludwig Binswanger del 14 agosto
1925.
76 UAT 443/31, lettera di Max Warburg del 3 novembre 1929.
77 GEORGES DIDI-HUBERMAN, L’image survivante, Paris, Gallimard, 2002, p. 365.
78 NIETZSCHE, La gaia scienza, cit., pp. 11-12.
79 HEISE, Erinnerungen, cit., p. 47.
80 In una lettera a Eric Warburg, figlio di Max, del 4 settembre 1948, conservata nella
corrispondenza che fa parte dei Krankenakte, con la segnatura UAT 441/3782, II.6. La lettera di Eric,
del 6 agosto 1948, che accompagna l’invio delle memorie di Heise è invece conservata nella
corrispondenza UAT 443/31.
81 HEISE, Erinnerungen, cit., p. 48.
82 UAT, 443/31, Ludwig Binswanger a Max Warburg, 6 settembre 1934.
83 FREUD, Analisi terminabile e interminabile, cap. I.
84 L’espressione è usata dallo stesso Benjamin nell’ultimo testo del volume Strada a senso unico, Al
planetario, vedi WALTER BENJAMIN, Opere complete, vol. II: Scritti 1923-1927, Torino, Einaudi,
2001, pp. 461-463.
85 WALTER BENJAMIN, Frammento Teologico-politico, in ID., Il concetto di critica nel
romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, Torino, Einaudi, 1982, p. 171.
86 HEISE, Erinnerungen, cit., p. 46.
87 Ibid., p. 51.
88 Vedi sotto, p. 126.
89 Vedi sotto, p. 89.
90 HEISE, Erinnerungen, cit., p. 56.
91 CARL GEORG HEISE, Persönliche Erinnerungen an Aby Warburg, Hamburg, Gesellschaft der
Bücherfreunde, 1959, p. 10: «La presente ristampa è immutata, con l’eccezione di pochi
miglioramenti fattuali, per i quali il mio ringraziamento sentito va alla professoressa Gertrud Bing,
Londra».
92 Ibid., p. 59.
93 Cfr. la «confessione» fatta allo stesso HEISE, Erinnerungen, I ed., cit., p. 47, e la voce di una
conversione al cattolicesimo menzionata nell’introduzione a WARBURG, Tagebuch der
Kulturwissenschaftlichen Bibliothek Warburg, cit., p. XXX.
94 JOSEPH CONRAD, Cuore di tenebra, cap. III.
95 L’espressione è di Freud, in una lettera a Binswanger del 14 marzo 1920 (FREUD,
BINSWANGER, Briefwechsel, cit., p. 169).
96 HEISE, Erinnerungen, cit., p. 13.
97 Il richiamo all’espressione goetheana, in riferimento agli anni di malattia di Warburg, è di HEISE,
Erinnerungen, cit., p. 45.
98 ITALO SVEVO, La coscienza di Zeno, cap. III.
99 Vedi sotto, p. 174. A questa identificazione con il barone si deve, con tutta probabilità, anche il
dono del Münchhausen a una compagna di degenza, vedi sotto, p. 198.
100 WIA, GC, Heinrich Embden a Aby Warburg, 18 maggio 1906.
101 MAX ADOLF WARBURG, Per il centenario della nascita di Aby Warburg, in «aut aut» 2004,
n. 321-322, p. 180.
102 La scoperta è descritta nell’opuscolo pubblicato da Carl Warburg a Vienna nell’agosto del 1846:
Pharmakologische Notizen über die Wirkung und den Gebrauch der Dr. Warburg’schen
vegetabilischen Fiebertinctur.
103 R.F. BURTON, The Lake Regions of Central Africa, London, 1860, vol. II, p. 169.
104 FRANCIS GALTON, The Art of Travel, London, 1872, p. 14.
105 WILLIAM SHAKESPEARE, Romeo e Giulietta, atto V, scena III, v. 119.

1 HEISE, Erinnerungen, cit., p. 45.


2 Una prima richiesta venne fatta dalla Bing il 10 luglio 1951, con l’approvazione di Eric Warburg, in
data 2 ottobre 1951; dieci anni dopo la Bing, ora in pensione, chiede di poter di nuovo esaminare il
materiale «con sguardo vergine», la richiesta è accettata da Binswanger il 24 maggio 1961, e la
pubblicazione di «stralci dalla corrispondenza», nella biografia annunciata della Bing, è approvata da
Eric Warburg l’11 settembre 1961, senza che venga fatta menzione specifica della storia clinica (UAT
443/31).
3 «Non rientra nell’ambito e negli scopi di questo lavoro descrivere l’agonia mentale di Warburg
durante gli anni della sua psicosi» (ERNST H. GOMBRICH, Aby Warburg. Una biografia
intellettuale, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 189). Gombrich rimanda invece al resoconto «pieno di
simpatia» di Heise (ibid.).
4 EDGAR WIND, On a recent Biography of Warburg, recensione pubblicata sul «Time Literary
Supplement», 25 giugno 1971, pp. 735-736, ristampata in ID., The Eloquence of Symbols, II ed.,
Clarendon, Oxford, 1993, pp. 106-113 (trad. it.: Una recente biografia di Warburg, in ID.,
L’eloquenza dei simboli, Milano, Adelphi, 1992, pp. 161-173).
5 KARL KöNIGSEDER, Aby Warburg im «Bellevue», in GALITZ, REIMERS, «Ekstatische
Nymphe… trauernder Flußgott», cit., pp. 74-98.
6 In «aut aut», 2004, n. 321-322, pp. 11-12.
7 JOSEPH ROTH, La Marcia di Radetzky, Milano, Adelphi, 1987, p. 241.
8 UAT 441/3782, II.6.
9 Erroneamente datato Settembre 1922, mentre, come è possibile stabilire con certezza sulla base dei
riferimenti ad avvenimenti esterni (cfr. pp. 177-181), solo il primo testo risale a quella data.
10 ULRICH RAULFF, Zur Korrespondenz Ludwig Binswanger-Aby Warburg im Universitätsarchiv
Tübingen, in HORST BREDEKAMP, MICHAEL DIERS, CHARLOTTE SCHOELL-GLASS (a
cura di), Aby Warburg. Akten des internationalen Symposions Hamburg 1990, Hamburg, VCH, 1990,
pp. 55-70.
11 Già apparsa in LUDWIG BINSWANGER, Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e
conferenze psichiatriche, Milano, Feltrinelli, 1970, pp. 5-41.

1 Hans Berger (1873-1941), neurologo e psichiatra tedesco. Nel 1897 entra come assistente di Otto
Binswanger nella clinica psichiatrica dell’Università di Jena. Dal 1919 al 1928 gli succede in qualità
di direttore della clinica e di ordinario di psichiatria. Nel corso delle sue ricerche sulla fisiologia del
cervello, è il primo a registrare l’elettroencefalogramma umano. La sua prima pubblicazione al
riguardo risale al 1929.
2 Infermiera privata di Warburg. Non risulta infatti nell’elenco degli infermieri e del personale della
Bellevue. Solitamente, Binswanger non tollerava volentieri la presenza di tali figure, poiché, nella
loro lealtà verso i pazienti, avevano la tendenza a boicottare il trattamento.
3 Composto ad azione ipnotica e sedativa, creato sulla base del più comune Sulfonal.
4 Barbiturico ad azione lunga. Medinal è il nome depositato dalla ditta Schering per il Barbital, primo
sedativo a base di un derivato dell’acido barbiturico. Lo stesso farmaco, prodotto dalla ditta Bayer,
entra in commercio con il nome di Veronal. L’indicazione è simile a quella del Trional, ma con
applicazione terapeutica più estesa. Fra gli effetti collaterali più significativi si possono riportare il
rischio di accumulazione e l’anuria. L’astinenza provoca insonnia e incubi.
5 Ioscina o scopolamina, alcaloide ricavato dalle radici di Scopola japonica, sostanza con proprietà
ipnotiche e sedative dagli effetti depressivi sul sistema nervoso centrale.
6 Ludwig Binswanger. Il traduttore ha scelto la locuzione «autore del rapporto» per rendere il termine
«Referent», al fine di sottolineare il carattere anonimo dei differenti redattori della cartella clinica.
Nei casi in cui risulti identificabile, verrà esplicitato in nota il nome del compilatore. In alcuni casi è
stato preferito il termine «sottoscritto».
7 Questo e i successivi omissis nelle lettere sono già nell’originale.
8 La clinica privata del dottor Lienau (Elmsbüttel) esiste tuttora.
9 Heinrich Embden (1871-1941), dal 1922 al 1933 primario della divisione di neurologia
dell’ospeadale Barmbek di Amburgo, emigrato nel 1938 in Brasile e morto a San Paolo nel 1941 (cfr.
PETER VOSWINCKEL, Der schwarze Urin, Berlin, Blackwell Wissenschaft, 1992, pp. 138-140).
10 Dal tedesco Beeinträchtigungsideen. Forma di delirio in cui il soggetto si sente osteggiato e
danneggiato da tutti, con modalità che non è in grado di precisare.
11 Emil Kraepelin (1856-1926), psichiatra tedesco di fama mondiale. Ordinario di psichiatria in
diverse università della Germania. Sulla base delle sue osservazioni cliniche, rivoluziona la
nosografia e la nosologia psichiatrica, stabilendo i due grandi quadri della malattia mentale: la psicosi
maniaco-depressiva e la demenza precoce.
12 Il cloruro di mercurio o sublimato corrosivo, usato come disinfettante in soluzioni acquose
all’1‰, è altamente tossico.
13 Pratica terapeutica utilizzata per calmare i malati particolarmente agitati. Il bagno, mantenuto a
una temperatura costante di 35-36º, doveva provocare un senso di stanchezza, senza però causare una
vera e propria diminuzione del rendimento fisico. In alcune istituzioni veniva praticato anche di
notte.
14 La catatonia è un insieme di disturbi psicomotori caratterizzati da riduzione dell’attività motoria.
La forma acinetica di tali disturbi può interessare diversi gruppi muscolari; perciò il soggetto può
assumere atteggiamenti posturali, talora bizzarri, che talvolta sono mantenuti anche per diverse ore.
Tipica di una forma di schizofrenia, si può riscontrare anche in altre psicosi e in stati tossinfettivi.
15 Termine coniato alla fine dell’Ottocento da J.A. Koch per raggruppare le sindromi
precedentemente concepite come disturbi dalla forte connotazione morale. Tendenzialmente
considerata come ereditaria, poteva anche emergere in seguito ad alcune affezioni cerebrali.
16 Lacuna nel dattiloscritto.
17 Galimathias o galimatias, dal francese, discorso o scritto tortuoso, confuso, insensato.
18 Segue un rimando alle annotazioni dell’infermiera F. Hecht e all’estratto dall’anamnesi del dottor
Lienau (vedi Nota del Curatore, pp. 41-42).
19 Sono considerati normali i valori fra 0,1 e 0,2 g al giorno presenti nelle urine.
20 Nome commerciale della Bayer per il Barbital. Cfr. nota n. 4.
21 La sonda, inserita attraverso il naso o la bocca nell’esofago, veniva utilizzata prevalentemente per
l’alimentazione artificiale. Il ricorso alla sonda per la somministrazione dei sedativi a pazienti agitati
deve essere considerato come ultima ratio, poiché, applicata con l’uso della forza, la sonda può
essere erroneamente inserita nella trachea, causando complicazioni a livello respiratorio.
22 Il Pantopon (prodotto da La Roche) è un sedativo a base di alcaloidi dell’oppio, contenente il 50%
di morfina.
23 La ioscina, in combinazione con la morfina, ha un’effetto sedativo quasi immediato. Le dosi
consigliate all’epoca erano per la ioscina 0,8-1 mg e per la morfina 8-10 mg per ogni dose
individuale.
24 Wilhelm Weygandt (1870-1939) dal 1897 al 1899 lavora come assistente di Kraepelin a
Heidelberg. Dal 1909 al 1934 ricopre la cattedra di psichiatria all’Università di Amburgo. Fermo
oppositore della psicoanalisi.
25 Procedura diagnostica dell’epoca, finalizzata a stabilire le dimensioni del cuore.
26 All’epoca, con lo sfigmomanometro, strumento inventato nel 1896 da Scipione Riva Rocci (1863-
1937) per misurare la pressione sanguigna, era possibile rilevare soltanto il valore sistolico.
27 Autore del rapporto Ludwig Binswanger.
28 Probabilmente si tratta di Carl Butz, capoguardiano al Parkhaus dal 1908 al 1956.
29 Hermann Haymann, nato nel 1879, psichiatra. Dal 1907 assistente di Alfred Hoche a Freiburg im
Breisgau, e dal 1911 medico alla Bellevue. Nel 1925 apre uno studio privato a Badenweiler.
30 Hertha Buchenberger (1880-1971), moglie di Ludwig Binswanger (qui autore del rapporto), era
coinvolta nelle strategie terapeutiche adottate alla Bellevue, nella misura in cui invitava un piccolo
gruppo di pazienti a prendere il tè oppure facendo con loro delle piccole gite. Lo scopo era quello di
reintegrare i pazienti in un ambiente sociale che risultasse loro familiare.
31 «Consigliere segreto», onorificenza non accademica.
32 Otto Binswanger I (1852-1929), zio di Ludwig Binswanger. Dal 1882 al 1919 professore di
psichiatria alla clinica psichiatrica dell’Università di Jena. Nel 1919 si trasferisce a Landschlacht, nei
pressi di Kreuzlingen. Fino a pochi mesi prima della sua morte si occupa di alcuni pazienti della
Bellevue.
33 Nel 1907 Hertha Binswanger aveva effettivamente lavorato come infermiera a Jena, dove incontrò
Ludwig Binswanger che si stava specializzando con lo zio Otto.
34 I valori fra 1001 e 1035 sono considerati normali.
35 Castello situato sul lago di Costanza, nota meta turistica.
36 È probabile che questo dettaglio fosse considerato rilevante, in quanto possibile base organica
della sintomatica psicopatologica. Erano infatti noti alcuni casi di complicazioni dell’infezione
primaria dopo l’insorgenza del tifo, o della scarlattina con focolai cerebrali circoscritti. Per questo e
altri avvenimenti della vita di Warburg, vedi sotto i due frammenti autobiografici alle pp. 153-159.
37 Il riferimento è alla casa di Wagner a Bayreuth, da lui così denominata.
38 Parola illeggibile nel manoscritto.
39 Vedi sopra, p. 51.
40 Lacuna nel manoscritto.
41 Presenza di glucosio nelle urine. Ha significato patologico perché compare soltanto allorché la
quantità di glucosio presente nel sangue supera i valori compatibili con una condizione fisiologica.
42 Pane svizzero dalla forma ovale.
43 Probabilmente, in questo caso, si tratta del fratello di Ludwig Binswanger, Otto Binswanger II
(1882-1968), che dal 1908 sino alla fine della Seconda guerra mondiale si è occupato delle questioni
economico-amministrative della clinica.
44 Kurt Binswanger (1887-1981), cugino di Ludwig Binswanger, psichiatra e psicoterapeuta.
Formatosi sotto la guida di Max Nonne ad Amburgo, dal 1915 al 1918 è assistente, come il cugino, al
Burghölzli di Zurigo, quindi dal 1918 al 1927 lavora come primo assistente e sostituto di Ludwig alla
Bellevue. Dal 1927 lavorerà nuovamente a Zurigo.
45 Max Nonne (1861-1959), professore di neurologia presso l’Università di Amburgo. Direttore della
Eppendorfer Nervenklinik di Amburgo dal 1896 al 1933. Acquisisce fama internazionale con le sue
pionieristiche ricerche sulla diagnosi della sifilide basata sull’analisi del liquor cerebrospinale.
46 Reparto chiuso, costruito nel 1907, situato ai bordi dell’area della clinica Bellevue e destinato ai
pazienti di sesso maschile particolarmente agitati.
47 Trattamento obsoleto dell’ernia inguinale latente.
48 Nel 1919 Hans Prinzhorn (1886-1933) arriva in qualità di assistente alla clinica psichiatrica
dell’Università di Heidelberg, con l’incarico di occuparsi di una collezione di opere realizzate da
pazienti psichiatrici. Quando nel 1921 Prinzhorn lascia Heidelberg, la collezione conta ormai più di
cinquemila opere. Fra gli artisti figura anche una paziente di Ludwig Binswanger.
49 La cura del riposo, ideata da Weir Mitchell nella seconda metà dell’Ottocento, è stata a lungo la
panacea di molte malattie nervose. Ogni istituzione moderna possedeva una o più sale in cui, sotto
stretta sorveglianza, i malati restavano a letto per giorni. Alla Bellevue i malati venivano sottoposti a
questo trattamento direttamente nelle loro stanze.
50 L’ultima parola in yiddish nel testo.
51 Quotidiano svizzero.

1 Conrad Brunner (1859-1927), medico generico e storico della medicina. Dal 1896 al 1922 è alla
direzione dell’ospedale cantonale di Münsterlingen.
2 Autore del rapporto Ludwig Binswanger.
3 Uno degli edifici principali dell’area della clinica, costruito durante l’amministrazione Robert
Binswanger, padre di Ludwig, nel 1893. Oltre all’edificio principale, che dava il nome alla clinica,
l’area del sanatorio comprendeva numerosi edifici: le ville Waldegg (1881), Tannegg (1885),
Felicitas (1887), Emilia (1889), Harmonie (1891) e Maria (1899).
4 Derivato dell’acido barbiturico, narcotico, somministrazione in compresse da 0,1 g. Effetti
collaterali simili al Veronal.
5 Derivato del bromuro, sedativo leggero che può essere somministrato anche durante il giorno.
Posologia; 1,5-3 g al giorno.
6 Qui non riportato.
7 Le annotazioni da qui fino al 10 agosto sono a penna e spesso di difficile lettura.
8 Walter Rathenau (1867-1922), all’epoca ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar, era stato
assassinato il 24 giugno da due nazionalisti antisemiti.
9Un complotto per uccidere Max Warburg il 27 giugno 1922, da parte dello stesso gruppo di fanatici
che avevano assassinato Walter Rathenau, venne sventato dalla polizia di Amburgo (cfr.
CHERNOW, The Warburgs, cit., pp. 228-229).
10 Segue una parola illeggibile.
11 Nome illeggibile.
12 Qui e nelle voci seguenti, parole illeggibili.
13 PRINZHORN, Bildnerei der Geisteskranken, cit.
14 Edificio, situato all’interno dell’area del sanatorio, dimora della famiglia Binswanger dal 1917.
15 Dieter Binswanger, nato il 29 agosto 1922.
16 Vedine la traduzione in appendice. È possibile che Binswanger abbia proposto questa conferenza,
che terrà poi il 25 novembre 1922 a Zurigo in occasione della 63a riunione della Società Svizzera di
Psichiatria, anche all’Associazione Scientifica degli Psichiatri del lago di Costanza, che si riuniva a
turno a Reichenau, Münsterlingen e Kreuzlingen. Il testo (Über Phänomenologie) fu poi pubblicato
nella «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1923, n. 82, pp. 10-45.
17 Con molta probabilità si tratta di Ewald Schön, nato nel 1884. Dal 1910 al 1914 ha lavorato come
medico alla Bellevue, per poi aprire uno studio privato a Costanza.
18 Qui non riportato.
19 Polvere contenente iodio, antiparassitario utilizzato per il trattamento di ferite purulente e umide.

1 Qui non riportata.


2 Tintura di oppio crocata, «brevettata» nel 1680 da Thomas Sydenham, che propose il nome di
«laudano» (tintura di oppio in alcol). Il contenuto ufficiale di morfina nell’oppio è circa il 10%;
tintura di oppio all’1% 0,6 ml contiene 6 mg di morfina.
3 Secondo gli estratti dalla cartella clinica di Lienau, Warburg avrebbe richiesto quel giorno una
pistola per sfidare a duello lo stesso Lienau.
4 Qui non riportata.

1 UAT 441/3782, II.5: Lettere e annotazioni di Aby Warburg, 49 fogli, maggio 1921-luglio 1924. È il
primo testo battuto a macchina, evidentemente su richiesta di Warburg (vedi sotto), anche se
numerato come fol. 37. Senza intestazione o interventi di sorta.
2 Si tratta probabilmente di Kurt Hahn (1886-1974), più volte menzionato nella cartella clinica, che
aveva appena fondato (nel 1920) la celebre scuola privata di Salem.
3 Si tratta probabilmente della cuoca.
4 UAT 441/3782: Aby Warburg, II.5, foll. 23-24. Ristabilisco qui la corretta sequenza, con il
postscriptum al suo luogo proprio, che in una precedente pubblicazione (in «aut aut», 2004, nn. 321-
322, pp. 11-12, la cui traduzione è qui modificata sulla base di una revisione del testo) faceva invece
erroneamente seguito al frammento qui pubblicato alle pp. 161-162.

1 UAT 441/3782, II.5, foll. 12-15, di cui il primo datato a penna 29 settembre 1922, a macchina 5
ottobre 1922. Del testo esiste una copia nella corrispondenza Warburg-Saxl nel WIA, con correzioni
a penna.
2 Si tratta delle Petites misères de la vie coniugale (cfr. GOMBRICH, Aby Warburg, cit., p. 25).
3 Questa frase è probabilmente corrotta, anche se il senso sembra sufficientemente chiaro.
4 Franziska Jahns, la governante cui venne affidata l’educazione di Aby e dei suoi fratelli.
5 Probabilmente Karl Wilhelm Nitzsch (1818-1880), professore di storia a Königsberg e a Berlino,
autore fra l’altro di una Geschichte der römischen Republik (Leipzig, 1884-1885) e di una Geschichte
des deutschen Volkes bis zum Augsburger Religionsfrieden (Leipzig, 1892).

1 UAT 441/3782, II.5, foll. 21-22, numerati I e II in alto al centro, copia carbone il cui originale si
trova nel WIA, GC, Warburg a Saxl, 24 novembre 1922, con l’annotazione a penna, di pugno di
Warburg: «Trascrizione ricevuta il 3 dicembre 1922», e correzioni e aggiunte a matita che segnalo in
nota o inserisco nel testo tra parentesi uncinate.
2 Il riferimento è al cosiddetto «colloquio di Marburgo» (1-3 ottobre 1529) tra Lutero e Zwingli, che
si concluse con una rottura completa tra i due. Ancora a Kreuzlingen, Warburg ricevette l’opera
monumentale di WALTHER KöHLER, Zwingli und Luther (Leipzig, Verein für
Reformationsgeschichte, 1924), di cui l’Archivio del WI possiede una copia da lui autografata:
«Handexemplar, noch in Kreuzlingen 1924 erhalten» (registrata nel catalogo delle accessioni della
Biblioteca il 16 giugno 1924).
3 Corretto invece di «Hebbel» nel dattiloscritto. La correzione a matita è nella versione di Londra,
che non avevo ancora rintracciato all’epoca della pubblicazione di questo testo in «aut aut», 2004, n.
321-322, pp. 10-11.
4 Si tratta di Paul Ruben, il cui nome è qui inserito a matita. Cfr. un altro frammento, probabilmente
anch’esso risalente a questo periodo, ma solo nell’Archivio di Londra: «Colloquio su Hegel con Paul
Ruben» (WIA, III.133.3.4., fol. [1]), e la lettera a Mary Warburg da Perugia, in cui Aby rivendica
l’importanza di Hegel per comprendere la sua Biblioteca: «Io stesso sono un hegeliano derivato, da
quando a quattordici-quindici anni discutevo di Hegel passeggiando sulla Mittelweg il Sabato Santo
con Paul Ruben, che è un vero conoscitore di Hegel» (WIA, FC, Aby a Mary Warburg, 2 novembre
1928). Su questa importante figura, che fu anche in contatto con Binswanger, ma indipendentemente
da Warburg e probabilmente a insaputa di entrambi, vedi ora Björn Biester, Der innere Beruf zur
Wissenschaft: Paul Ruben (1866-1943), Berlin, Reimer, 2001.
5 Corretto invece di «interiorizzazione» nel dattiloscritto.
6 Corretto invece di «Bing» nel dattiloscritto, un errore forse rivelatore dell’identità della
dattilografa.
7 Su questa giuntura chiaramente cruciale della vita di Warburg si veda il volume di HANS KURIG,
UWE PETERSEN, Aby Warburg und das Johanneum, Hamburg, Gesellschaft der Bücherfreunde,
1991, in particolare su Julius Bintz le pp. 44-45. Warburg sostenne il primo esame di maturità nella
primavera del 1885, quello supplementare in greco e storia antica il 16-17 agosto 1886.
8 Corretto invece di «filosofica» nel dattiloscritto.
9 Avevo congetturato «fede» nella traduzione apparsa in «aut aut».

1 Fol. 23. Senza data, ma numerato III in alto al centro, e quindi probabilmente dettato di seguito ai
due precedenti.
2 Lacuna nel testo pubblicato in «aut aut».
3 Corretto invece di «della mia» nel dattiloscritto.
4 Corregge il testo pubblicato su «aut aut», grazie all’inserimento a matita di schau.
5 Sprechsaal. Seguo la traduzione di Filippini (vedi sotto, p. 287), anche se il problema è
precisamente se si possa tradurre l’espressione come di consueto, e non si debba invece farlo in modo
volutamente straniante, un effetto che avevo tentato di conseguire nella mia precedente traduzione di
questo frammento in «aut aut» (p. 12), riducendo la parola ai suoi elementi costituenti: «sala
parlante».
6 Segue a matita: «Voglio discutere solo gli ultimi due esempi». Si veda sopra il resoconto di
Binswanger, pp. 108-109.

1 WIA, FC, Aby a Mary e Max Warburg e Heinrich Embden, 5 aprile 1924, dattiloscritto, foll. [1-6].
2 Parola cancellata e sostituita a matita da due parole illeggibili.
3 La sintassi della frase è problematica, anche se il senso è chiaro.
4 La parola tedesca leise va qui intesa tanto in senso acustico quanto fisico in senso lato: a voce bassa
e con passo leggero, come uno spettro, appunto. Come il Virgilio dantesco, in altre parole, Warburg
dovrà per forza di cose diventare «fioco» per il «lungo silenzio» nella solitudine di Villa Maria.
5 Irrungen, qui da intendere tanto in senso letterale quanto traslato.
6 Seguono alcune parole a matita, illeggibili, e la firma.

1 Foll. 45-48.
2 Cfr. il resoconto di prima mano di Saxl: «Ed ecco la sorpresa. Suo marito mise il manoscritto sul
tavolo – e quasi non lo usò affatto», WIA, GC, Fritz Saxl a Mary Warburg, 23 aprile 1923.
3 «Consigliere» in latino.
4 Warburg usa qui il termine tecnico Renaissance, e non si può non vedere la parentesi come una
critica implicita di qualsiasi idea naïve di Rinascimento come tale.

1 WIA, GC, Aby a Max Warburg, 16 aprile 1924.


2 Vedi p. 188.

1 Si riferisce probabilmente all’appena pubblicata Einführung in die Probleme der allgemeinen


Psychologie, cit.
2 Gescheit. Come sappiamo da Gombrich (recensione a MARTIN JESINGHAUSEN-LAUSTER,
Die Suche nach der symbolischen Form [1985], in «Kunstchronik», 1986, n. 39, p. 286) la parola
gescheit era un’arma a doppio taglio nelle mani di Saxl, e segnalava la sua diffidenza nei confronti di
studiosi inclini alla speculazione teorica.
3 In yiddish, «persona rispettabile, onesta […] “non è un mensh” è quanto di più offensivo (o quasi)
si possa concepire» (LEO ROSTEN, The Joys of Yiddish, New York, Pocket Books, 1968, trad. it.:
Oy oy oy!, Milano, Mondadori, 1999, p. 186).
4 Cfr. WIA, GC, Saxl a Max Warburg, 21 settembre 1922: «Abbiamo parlato del prossimo lavoro che
il Professore potrebbe intraprendere, e ci siamo accordati che sarà l’edizione di uno scritto che è stato
pubblicato solo in italiano. La questione lo ha così eccitato che ha subito iniziato a dettarmi nuove
intuizioni. Ha espresso il desiderio di dettare i suoi pensieri sulla sua malattia e su questioni di
connessioni nella natura, per cui il dottor Binswanger ha acconsentito a mettergli a disposizione una
dattilografa».

1 JANE HARRISON, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Cambridge, Cambridge


University Press, 1922 (III ediz.; la prima è del 1903, la seconda del 1908).
2 WIA, GC, Lettera di Cassirer a Saxl, 24 marzo 1923: «Non vi è alcun dubbio per me che Warburg,
più di tutti coloro che lavorano dal punto di vista storico, ha visto nella maniera più nitida i problemi
ai quali io sono giunto dal punto di vista puramente sistematico».
3 «Aiutante» in latino.

1 Probabilmente il 4 aprile 1923, vedi sopra, pp. 124-125.

1 Cfr. sotto, pp. 217-218. Si tratta probabilmente della seconda edizione: FRANZ BOLL, CARL
BEZOLD, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen der Astrologie, Leipzig,
Teubner, 1919 (trad. it.: Interpretazione e fede negli astri. Storia e carattere dell’astrologia, Livorno,
Sillabe, 1999), che Warburg aveva con sé a Kreuzlingen.
2 ABY WARBURG, Italienische Kunst und internazionale Astrologie im Palazzo Schifanoja zu
Ferrara, in AA.VV., L’Italia e l’arte straniera. Atti del X Congresso internazionale di Storia
dell’Arte in Roma, Roma, Maglione & Strini, 1922, pp. 179-193 (trad. it.: Arte italiana e astrologia
internazionale a Palazzo Schifanoia a Ferrara, in ID., La rinascita del paganesimo antico e altri
scritti (1889-1914), Torino, Nino Aragno, 2004, pp. 515-555).
3 Incaricato della direzione ad interim, Fritz Saxl aveva trasformato la Biblioteca in un foro pubblico,
specialmente con l’iniziativa delle conferenze (poi raccolte nella serie, da lui curata, dei Vorträge der
Bibliothek Warburg), a nessuna delle quali, tuttavia, Warburg poté assistere fino al suo ritorno ad
Amburgo nell’agosto del 1924.
4 ABY WARBURG, Francesco Sassettis letztwillige Verfügung, in Kunstwissenschaftliche Beiträge
August Schmarsow gewidmet, Hiersemann, Leipzig 1907, pp. 129-152 (trad. it. Le ultime volontà di
Francesco Sassetti, in ID., La rinascita del paganesimo antico, cit., pp. 425-484).
5 Che questo saggio venisse letto con particolare interesse da Binswanger è provato anche da
un’annotazione nel suo diario del 16 settembre 1924 (citata in FREUD, BINSWANGER,
Briefwechsel, cit., p. 200).
6 FRITZ SAXL, Die Bibliothek Warburg und ihr Ziel, in Vorträge der Bibliothek Warburg 1921-
1922, Leipzig, Teubner, 1923, pp. 1-10.
7 EDUARD WECHßLER, Eros und Minne, ibid., pp. 69-93.
8 WARBURG, La rinascita del paganesimo antico, cit., p. 483.
9 Ibid., p. 475.
10 Vedi sopra, p. 155, nota 4, e sotto, p. 244.
11 Robert (1909-1929), Wolfgang (1914-1993) e Dieter (vedi nota 15, p. 104), tre dei figli di Ludwig
Binswanger.
1 In occasione della serata in memoria di Franz Boll, tenutasi il 25 aprile 1925, che avrebbe incluso
la conferenza di Warburg: L’effetto della Sphaera barbarica sui tentativi di orientamento cosmici
dell’Occidente (Die Einwirkung der Sphaera barbarica auf die kosmischen Orientierungsversuche des
Abendlandes), di prossima pubblicazione, a cura dello scrivente, in Germania per Dölling und Galitz,
in Italia per Nino Aragno.
2 Il Sartor Resartus di Thomas Carlyle, del 1833-1834, uno dei libri preferiti di Warburg, menzionato
fra l’altro nelle note in preparazione della conferenza sul Rituale del serpente (cfr. GOMBRICH, Aby
Warburg, cit., p. 194).
3 ERNST CASSIRER, Eidos und Eidolon. Das Problem des Schönen und der Kunst in Platons
Dialogen, in Vorträge der Bibliothek Warburg 1922-1923, I. Teil, Leipzig, Teubner, 1924, pp. 1-27.
4 RICHARD REITZENSTEIN, Augustinus als antiker und mittelalterlicher Mensch, ibid., pp. 28-65.

1 Si veda la lettera precedente, p. 191, nota 1.

1 ERNST CASSIRER, Sprache und Mythos. Ein Beitrag zum Problem der Götternamen, «Studien
der Bibliothek Warburg 6», Leipzig, Teubner, 1925.
2 Il titolo del secondo volume della Philosophie der symbolischen Formen, Berlin, Bruno Cassirer,
1925, è in realtà Das mythische Denken; il primo volume, Die Sprache, era stato pubblicato dallo
stesso editore nel 1923.
3 Hilde Binswanger, nata nel 1911, unica figlia di Ludwig.
4 Saluto colloquiale in tedesco svizzero.

1 Warburg allude alla pronuncia svizzera del comparativo einlässiger.


2 Evidentemente un vezzeggiativo onomatopeico usato in riferimento a Warburg dal figlio di
Binswanger, Dieter, nato a Kreuzlingen ancora durante la sua degenza (vedi sopra, p. 104).
3 Warburg aveva richiesto e ottenuto da Binswanger che il vicecapocustode Franz Alber lo
accompagnasse ad Amburgo.

1 L’abbreviazione scherzosa è di Binswanger.


2 Si tratta dell’Istituto germanico di storia dell’arte, di cui Warburg era stato uno dei fondatori e più
attivi sostenitori.
1 Il riferimento è a una lettera di Max Warburg del 25 aprile 1925, dalla quale si apprende che il
fratello parlò per «due ore, molto spesso improvvisando», e che il programma della serata pretese
troppo dal pubblico, visto che l’altro conferenziere, Wilhelm Gundel, aveva già parlato per un’ora.
Max conclude che «sarà molto meglio leggere la conferenza, perché le connessioni verranno alla luce
con molta più chiarezza» (Max M. Warburg a Ludwig Binswanger, 25 aprile 1925, UAT, 443/31).
2 Lettera di Mary Warburg del 28 aprile 1925.

1 Besonnenheit, «termine etico usato in tedesco per rendere il valore della sophrosyne greca, che
significa misura, distacco, equilibrio» (GOMBRICH, Aby Warburg, cit., p. 99).
2 ERNST CASSIRER, Libertà e necessità nella filosofia del Rinascimento (Freiheit und
Notwendigkeit in der Philosophie der Renaissance), tenutasi il 1° maggio 1926.
3 Tenuta con il titolo Italienische Antike im Zeitalter Rembrandts il 29 maggio 1926.
4 Si tratta del seminario sul Significato dell’antichità per il mutamento stilistico nell’arte italiana del
primo Rinascimento (Die Bedeutungswandel der Antike für den stilistischen Wandel in der
italienischen Kunst der Frührenaissance), iniziato il 25 novembre 1925: vedi ABY M. WARBURG,
Ausgewählte Schriften und Würdigungen, Baden-Baden, Koerner, 1992, p. 618.
5 Nella collezione Jarves, Yale University Art Gallery, New Haven.
6 Max Adolf Warburg (1902-1974) conseguì il dottorato in filologia classica presso l’Università di
Berlino nel 1927 con una dissertazione completata sotto la direzione di Werner Jaeger e da questi
pubblicata nelle sue «Neue Philologische Untersuchungen», 1929, n. 5, con il titolo Zwei Fragen zum
«Kratylos».
7 Fröbelei è probabilmente, come Binswangerei («banda Binswanger»), un conio di Warburg, dal
nome del pedagogista inventore del Kindergarten, Friedrich Fröbel (1782-1852).
8 Warburg cancella la parola «violenti» e la sostituisce a penna con la parola «in qualche misura» e
una parola illeggibile. Questo passo mostra che le preoccupazioni causate dalle ricorrenti visite ad
Aschaffenburg della figlia maggiore, Marietta, che tanto lo avevano turbato a Kreuzlingen (vedi
sopra, pp. 119 e 131), non erano ancora superate.
9 Famoso istituto nel quale aveva già studiato la zia Anna Beata Warburg (1881-1967), moglie di
Fritz Warburg, e attiva propugnatrice del movimento fröbeliano.
10 O Bobi, entrambe abbreviazioni di Robert, figlio primogenito di Binswanger, nato nel 1909 e
morto a soli venti anni, nel 1929.
11 Vezzeggiativo per Ludwig Adolf, terzogenito di Binswanger, nato il 14 febbraio 1913.
12 Il quinto figlio di Binswanger, nato il 29 agosto 1922, durante la degenza di Warburg a
Kreuzlingen, e a lui particolarmente caro.
13 Soprannome, d’ispirazione goetheana, coniato da Warburg per l’infermiera Lydia Kräuter, da
Schwester (sorella, suora, infermiera) e Hexe (strega).
14 Da qui in poi a penna. Il nervo laringeo inferiore (detto appunto recurrens, «ricorrente»),
collaterale del nervo vago, innerva le corde vocali e permette di articolare la parola. La sua paralisi
(paralisi ricorrenziale) ha come sintomo più rilevante la disfonia, di qui probabilmente l’interesse di
Warburg.

1 Vedi sopra, nota 1, p. 201.


2 Si tratta dell’unico libro fino allora pubblicato da Binswanger, la Einführung in die Probleme der
allgemeinen Psychologie, cit.
3 LUDWIG BINSWANGER, Erfahren, Verstehen, Deuten in der Psychoanalyse, in «Imago», 1926,
12, pp. 223-237.
4 LUDWIG BINSWANGER, Verstehen und Erklären in der Psychologie. Thesen für das dem
Internationalen Psychiatriekongress in Groningen zu erstattende Referat, in VIIIth International
Congress of Psychology, held at Groningen from 6 to 11 September 1926, Proceedings and Papers,
Groningen, Noordhoff, 1927, pp. 117-123.
5 La conferenza, tenuta a Berna il 28 febbraio 1926, venne poi pubblicata col titolo Zum Problem von
Sprache und Denken, in «Schweizer Archiv für Neurologie und Psychiatrie», 1926, n. 18, pp. 247-
283.
6 La famosa descrizione dello scudo di Achille, nel libro XVIII del poema omerico.
7 Vedi sopra, nota 11, p. 208.
8 Vedi sopra, Storia clinica, pp. 82, 87, 102. Si tratta evidentemente di una designazione coniata da
Warburg.
9 Vedi sopra, nota 13, p. 208.

1 Non conservata.
2 Sul viaggio a Stoccolma, intrapreso al fine di studiare La cospirazione di Claudio Civile di
Rembrandt, vedi GOMBRICH, Aby Warburg, cit., pp. 200 sgg.
3 Il riferimento è a una lettera di Mary Warburg del 3 maggio 1926.

1 Su carta intestata della Biblioteca, piuttosto che su quella privata di Warburg, come le altre qui
tradotte, a sottolineare il tono ufficiale e meno personale della lettera.
2 A penna nell’angolo a destra in alto.
3 Direttore editoriale della casa editrice Teubner.
4 Nella quale erano apparse prima (1918) e seconda (1919) edizione.
5 Questa clausola è aggiunta a penna.
6 Si tratta del Ms. Reg. 1283, cfr. ABY WARBURG, Heidnisch-antike Weissagung im Wort und Bild
zu Luthers Zeiten, in «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften», 1920, n.
26, p. 41 (trad. it.: Divinazione antica pagana in testi ed immagini dell’età di Lutero, in ID., La
rinascita del paganesimo antico, Firenze, La Nuova Italia, 1966, p. 343).
7 Carl Heinrich Becker (1876-1933), professore di lingua e cultura orientali ad Amburgo dal 1908 al
1912, dal 1925 al 1930 ministro dell’Istruzione a Berlino.
8 Su questo motto, cfr. il mio saggio L’impresa di Warburg, in «aut aut», 2004, n. 321-322, pp. 99-
100.
9 Probabilmente Kihachiro Okura (1837-1928), fondatore, nel 1917, del primo museo privato
giapponese, l’Okura Shukokan Museum di Tokyo.
10 Lettera non firmata.

1 Si tratta del resoconto di Warburg, pubblicato (senza titolo) nel Wissenschaftlicher Bericht über den
Deutschen Orientalistentag in Hamburg vom 28. September bis 2. Oktober 1926, «Zeitschrift der
Deutschen Morgenländischen Gesellschaft», 1927, n. 6, pp. 5-8, poi ristampato nelle Gesammelte
Schriften, Berlin, Teubner, 1932, vol. 2, pp. 559-565, con il titolo Orientalisierende Astrologie.
2 Cfr. sopra, nota 5, p. 212.

1 Lettera non conservata.


2 Svoltasi a Zurigo il 27 novembre 1926. LUDWIG BINSWANGER, Eröffnungsrede des
Präsidenten, in «Schweizer Archiv für Neurologie und Psychiatrie», 1927, n. 20, pp. 173-175.
3 Cfr. sopra, p. 17.
4 LUDWIG BINSWANGER, Alkoholismus (Alkoholsucht und Alkoholvergiftung), in AA.VV., Neue
Deutsche Klinik, Berlin, Urban & Schwarzenberg Verlag, vol. I, 1928, pp. 157-271.
5 Vedi sopra, p. 212 e nota 2. La seconda edizione di quest’opera non è mai stata realizzata.
6 Paul Häberlin (1878-1960), pedagogista e filosofo.
7 Johannes Binswanger (1918-1926), figlio di Ludwig, morto di meningite.

1 Vale a dire barbarica: cfr. l’introduzione, pp. 16-17, nota 26.


2 Cfr. in proposito GOMBRICH, Aby Warburg, cit., pp. 226-227.
3 ALEXANDER BUNGERZ, Großes Lexikon der Philatelie, München, Kürzl, 1923.
4 Da qui in poi a penna.
5 Parola illeggibile.
6 Parola illeggibile.
7 Parola illeggibile.
8 A dispetto delle due parole illeggibili, è chiaro il riferimento alla morte, avvenuta il 31 maggio
1926, del quinto figlio di Binswanger, Johannes, nato nel 1918. Vedi lettera precedente, p. 224 e nota
7.

1 Non conservato.

1 Si tratta probabilmente di una scherzosa iperbole per la «figura in legno» menzionata nella lettera
precedente.

1 ERNST HOFFMANN, Platonismus und Mittelalter, in Vorträge der Bibliothek Warburg 1923-
1924, Leipzig, Teubner, 1926, pp. 17-82.
2 ERNST CASSIRER, Individuum und Kosmos in der Philosophie der Renaissance, «Studien der
Bibliothek Warburg 10», Leipzig, Teubner, 1927 (trad. it.: Individuo e cosmo nella filosofia del
Rinascimento, Firenze, Nuova Italia, 1935).

1 Avvenuta il 16 e 17 settembre 1927, vedine il rendiconto in FREUD, BINSWANGER,


Briefwechsel, cit., pp. 266-268.

1 Binswanger era stato consultato dalla famiglia in merito al progetto di un nuovo viaggio in
America, sul cui significato per Warburg vedi la lettera a Edwin Seligman del 17 agosto 1927 (trad.
it. in «aut aut», 2004, n. 321-322, pp. 30-31).
2 La consultazione era avvenuta a Francoforte, dove Warburg e Binswanger avevano colto
l’occasione per visitare insieme lo Städelsches Museum. Binswanger ricorderà ancora con
commozione la visita nella lettera del 6 settembre 1934 a Max Warburg (sulla quale cfr.
l’introduzione, p. 30 e nota 82).
3 Nel rapporto, inviato a Embden il 23 maggio 1928 (UAT 441/3782, II.6), Binswanger scrive di aver
potuto rilevare in Warburg «soltanto leggeri tratti depressivi, che possono peraltro venir considerati
in lui come normali oscillazioni temperamentali e compresi alla luce della sua situazione spirituale
complessiva. La parola “sentimentalità” [Rührseligkeit] è quasi già troppo forte, mi sembra però
avere, come discusso al telefono, una componente probabilmente organica. Il corso dei pensieri
procedeva più a salti che nei nostri ultimi incontri; nonostante alcuni chiari salti, tuttavia, sicuramente
non si può parlare di fuga di idee» (cfr. in proposito lo scritto del 1931-1933 Über Ideenflucht; trad.
it.: Sulla fuga delle idee, Torino, Einaudi, 2003).
1 Il 12 luglio Warburg aveva scritto per annunciare la decisione di Cassirer di restare ad Amburgo e
declinare l’offerta ricevuta dall’Università di Francoforte (episodio su cui cfr. ABY WARBURG,
ERNST CASSIRER, Il mondo di ieri. Lettere, a cura di Maurizio Ghelardi, Torino, Nino Aragno,
2003), così come la propria decisione di proseguire il lavoro sull’atlante Mnemosyne in Italia o a
Kreuzlingen: «Il mio lavoro si avvicina al compimento: circa novecento riproduzioni sono già
distribuite sulle tavole. Anche la questione della presentazione è fondamentalmente chiara: avrei
portato indietro dall’America il libro finito. Sarebbe stato mille volte meglio che mi si fosse lasciato
andare».
2 ABY WARBURG, Ernst Cassirer. Warum Hamburg den Philosophen Cassirer nicht verlieren darf,
articolo pubblicato sull’«Hamburger Fremdenblatt» del 23 giugno 1928 (trad. it.: Ernst Cassirer.
Perché Amburgo non si può permettere di perdere il filosofo Cassirer, in WARBURG, CASSIRER, Il
mondo di ieri, cit., pp. 105-109).
3 Cfr. sopra, p. 224, nota 5.

1 Farmaco utilizzato nella cura del diabete. Warburg aveva scritto da Roma il 19 dicembre 1928 per
chiedere consiglio in proposito.

1 Si tratta della silloge Worte zur Beisetzung von Professor Dottor Aby Warburg, che include i
necrologi di Erich Warburg, Ernst Cassirer, Gustav Pauli, Walter Solmitz, Carl Georg Heise, a cui
fanno seguito quelli di Erwin Panofsky e Fritz Saxl, raccolti invece con il titolo Nachrufe. Warburg
era morto il 26 ottobre 1929.
2 È la fotografia del 1927 a Firenze riprodotta a p. 186.
3 Saxl aveva detto, fra l’altro: «In pochi pensatori la memoria dell’infanzia può aver avuto una parte
simile a quella avuta nella sua esistenza, in non molti l’impressionabilità del bambino di fronte a
uomini e creature può esser rimasta altrettanto immutata» (Nachrufe, fol. [10]).
4 Cfr. sopra p. 155, nota 4, e p. 189.

1 Fra gli esempi più lampanti dell’assenza di una vera e propria strategia terapeutica è da ricordare la
gestione da parte di Binswanger del caso Ellen West, la cui guarigione era sostanzialmente affidata
«al tempo e al riposo». UAT 702/13, p. 510.
2 UAT 443/3, lettera del 9 ottobre 1947. Il corsivo è mio.
3 Lettera dell’8 ottobre 1957, UAT 443/4.
4 LUDWIG BINSWANGER, Tre forme di esistenza mancata, cit., p. 170. Riguardo alla questione
della presa di coscienza della malattia nel caso di Warburg rimando all’introduzione di Davide
Stimilli a questo volume.
5 Cfr. DAVID BAKAN, Freud and the Jewish Mystical Tradition, Princeton, Van Nostrand, 1958
(trad. it.: Freud e la tradizione mistica ebraica, Milano, Edizioni di Comunità, 1977).
6 HANS-GEORG GADAMER, Apologia dell’arte medica, in ID., Dove si nasconde la salute,
Milano, Raffaello Cortina, 1994, p. 45.
7 Una delle poche studiose sensibili all’ambivalenza intrinseca all’assetto teorico della psichiatria di
Binswanger è senza dubbio CLAUDIA FRANK, Entwurf eines ganzheitlichen
Menschenverständnisses einschließlich einer diesem entsprechenden Methode am Beispiel von
Ludwig Binswanger – Analyse und Kritik, Diss. Med., Würzburg, 1983.
8 LUDWIG BINSWANGER, Il caso Ellen West, cit., p. 98.
9 BETTINA GOCKEL, Der Künstler als Objekt psychiatrischer Theorie und Praxis. Zu Ernst
Ludwig Kirchner und Ludwig Binswanger d.J., in AA.VV., Georges-Bloch-Jahrbuch 2002/2003,
Zürich, Kunsthistorischen Instituts der Universität Zürich, 2003.
10 BINSWANGER, Sulla fenomenologia, qui a p. 259.
11 Lettera al dottor Mann, del 2 novembre 1945, UAT 443/48. Solo alcuni mesi più tardi, nel luglio
del 1946, si insinuerà anche alla Bellevue la terapia elettroconvulsionante (cfr. UAT 442/394).
12 LUDWIG BINSWANGER, Das manisch depressive Irresein, in S. ZURUCKZOGLU (a cura di),
Verhütung erbkranken Nachwuchses. Eine kritische Betrachtung und Würdigung, Basel, Benno
Schwabe & Co. Verlag, 1938. Va tenuto presente che questo saggio è una presa di posizione rispetto
alla profilassi delle malattie genetiche. La scelta di sottolineare l’utilità sociale dell’individuo malato
è probabilmente dettata dal dibattito allora in corso.
13 Ludwig Binswanger, lettera a Sigmund Freud dell’8 novembre 1921, in FREUD, BINSWANGER,
Briefwechsel, cit., p. 176. Questa sentenza senza possibilità di appello, che esclude esplicitamente un
ritorno di Warburg all’attività scientifica, ricorda – per i suoi contenuti e per il suo destino – il
giudizio espresso da Lacan di fronte alla follia di Artaud: «È fissato, vivrà fino a ottant’anni, non
scriverà più una riga, è fissato».
14 Sembra che agli occhi di Binswanger Warburg si sia conquistato lo status di guarito solo alcuni
mesi dopo aver lasciato la Bellevue. Nonostante Warburg sia stato dimesso perché considerato
guarito, in una lettera del 14 agosto 1925 Binswanger sente il bisogno di sottolineare che, in realtà, lo
aveva soltanto «congedato alla normalità» e non «definitivamente dimesso» (UAT 443/31).
15 I riferimenti a Warburg sono soltanto due, e non alludono a nessun rapporto di carattere privato.
Ringrazio Trudi Binswanger per avermi permesso la consultazione di questi documenti.
16 Lettera a Heinrich Embden del 16 gennaio 1924, UAT 443/35.
17 Quali compiti per la psichiatria emergono dai progressi della nuova psicologia? Cfr. LUDWIG
BINSWANGER, Welche Aufgaben ergeben sich für die Psychiatrie aus den Fortschritten der
neueren Psychologie?, in «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1924, n. 91, pp.
402-436.
18 KARL JASPERS, Essenza e critica della psicoterapia, in ID., Il medico nell’età della tecnica,
Milano, Raffaello Cortina, 1991, p. 143.
19 Questa ritirata evoca l’epilogo della vicenda clinica di Ellen West, episodio immediatamente
precedente all’ingresso di Warburg alla Bellevue.
20 Vedi sopra, p. 99.
1 ARTHUR KRONFELD, Über neuere pathopsychische-phänomenologische Arbeiten, in
«Zentralblatt für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1922, vol. XXVIII, fasc. 9, pp. 441-459.
2 HUGO LIEPMANN, Über Wernickes Einfluß auf die klinische Psychiatrie, in «Monatschrift für
Psychiatrie und Neurologie», 1911, n. 30, pp. 1-32.
3 GUSTAV FLAUBERT, Lettera a Louise Colet del 26-27 maggio 1853.
4 VINCENT VAN GOGH, Lettera n. 242 al fratello Theo del 5 novembre 1882.
5 KARL BIRNBAUM, Von der Geistlichkeit der Geisteskranken und ihrer psychiatrischen
Erfassung, in «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1922, n. 77, p. 509.
6 EDMUND HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. I: Prolegomena zur reinen Logik, vol. II:
Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, I. Teil. Elemente einer
phänomenologischen Aufklärung der Erkenntnis, II. Teil, Halle an der Saale, Niemeyer, 19223 (trad.
it.: Ricerche logiche, Milano, Il saggiatore, 1968).
7 Com’è noto Kant distingue le «forme a priori» sia nel campo della sensorialità sia in quello
dell’intelletto che costruisce su di essa. Le prime sono le forme pure dell’intuizione, lo spazio e il
tempo; le seconde le categorie pure del pensiero e dell’intelletto. Tra queste rientrano le categorie di
causalità, di realtà, di necessità, ecc. Kant non conosce però forme pure dell’intuizione in ordine agli
oggetti dell’intelletto. Proprio questo costituisce la novità della teoria di Husserl. Secondo questa
teoria anche gli oggetti dell’intelletto e del pensiero possono essere intuiti, anche quegli oggetti «che
si costruiscono sopra i dati sensoriali»; da ciò l’espressione di intuizione categoriale. Quindi gli atti
dell’intuizione categoriale si dirigono su oggetti dell’intelletto ma non sono a loro volta atti
dell’intelletto: sono semplicemente atti di un’intuizione più vasta e che non si ritrova nel sistema di
Kant. Per coloro che non conoscono Husserl ricorderò soltanto le proposizioni che seguono: «Ma se
le forme categoriali dell’espressione, che esistono accanto ai momenti materiali, non terminano nella
percezione, in quanto essa sia intesa come una mera percezione sensibile, alla base del discorso
sull’espressione della percezione deve stare un senso completamente diverso; deve darsi comunque
un atto che presta per gli elementi categoriali del significato gli stessi servizi che, per i momenti
materiali, sono prestati dalla mera percezione sensibile. Il genere essenzialmente uguale della
funzione riempitiva e di tutte le relazioni ideali che le sono connesse conformemente a una legge
rende inevitabile il denominare percezione quell’atto che fornisce un riempimento nel modo di una
costante auto-rappresentazione, intuizione quell’atto riempiente in generale e oggetto il suo
correlativo intenzionale».
8 EUGEN BLEULER, Zur Theorie der Sekundärempfindungen, in «Zeitschrift für Psychologie»,
1913, n. 65, pp. 1-39.
9 EDMUND HUSSERL, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologische
Philosophie, in ID. (a cura di), Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, vol. I,
Halle an der Saale, Niemeyer, 1913, pp. 1-323 (trad. it.: Idee per una fenomenologia pura e per una
filosofia fenomenologica, Torino, Einaudi, 1965).
10 Questa parola, la quale, oltre che configurazione significa anche immagine, viene usata in un
senso completamente diverso da una scienza che è vicina alla nostra. Da qualche anno la psicologia
sperimentale parla volentieri di immagini eidetiche; ma con questo termine si intendono le immagini
ottiche intuitive soggettive scoperte da Purkinjé, da Johannes Müller, da Urbantschitsch, da Goethe,
da Tieck, da Otto Ludwig e da molti altri, immagini che vengono a disporsi tra le raffigurazioni
fisiologiche e le mere rappresentazioni. Gli uomini che hanno la facoltà di avere simili immagini
eidetiche si dicono «eidetici» (E.R. Jaensch, W. Jaensch e i loro allievi. Cfr. le ultime annate della
«Zeitschrift für Psychologie und Physiologie der Sinnesorgane», sez. I: Zeitschrift für Psychologie).
11 EUGEN BLEULER, Lehrbuch der Psychiatrie, Berlin, Springer, 1916 (trad. it.: Trattato di
psichiatria, Milano, Feltrinelli, 1967).
12 HERMANN RORSCHACH, Psychodiagnostik. Methodik und Ergebnisse eines
Wahrnehmungsdiagnostischen Experiment (Deutenlassen von Zufallformen), Bern, Bircher, 1921.
13 FRANZ BRENTANO, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Leipzig, Duncker & Humboldt,
1874 (trad. it.: La psicologia dal punto di vista empirico, Roma, Laterza, 1997).
14 HEDWIG CONRAD-MARTIUS, Zur Ontologie und Erscheinungslehre der realen Aussenwelt, in
HUSSERL (a cura di), Jahrbuch für Philosophie, cit., vol. III, 1916.
15 THEODOR LIPPS, Ästhetik. Psychologie der Schönen und der Kunst, Hamburg-Leipzig, Leopold
Voss, 2 voll., 1903-1906.
16 HUSSERL, Ideen, cit., p. 158.
17 «Sicché noi compiamo in via esemplare alcuni singoli Erlebnisse di coscienza, presi così come si
danno nell’atteggiamento naturale, come fatti umani e reali, oppure ce li presentifichiamo nella
fantasia liberamente immaginante. Su questa base esemplare, che presupponiamo perfettamente
chiara, cogliamo e fissiamo in un’adeguata ideazione le essenze pure che ci interessano. I fatti
singoli, la fatticità del mondo naturale in generale, scompaiono allora al nostro sguardo teoretico,
come ogni volta che noi compiamo un’indagine puramente eidetica» (ibid.). (Cfr. anche Logische
Untersuchungen, cit., II, 1, p. 440.)
18 FRANZ MARC, Briefe, Aufzeichnungen und Aphorismen, Berlin, Paul Cassirer, 1920. Cfr. anche:
«Ogni cosa nel mondo ha le sue forme, una sua formula, che non è inventata da noi, che noi non
possiamo palpare con le nostre rozze mani, ma che possiamo intuire nella misura in cui siamo
provvisti di doti artistiche». Inoltre: «Quando io voglio rappresentare un cubo, posso rappresentarlo
nel modo che mi è stato insegnato, come una cassettina di sigari e simili. Così io ne rendo la forma
esteriore, quella che mi appare otticamente, un oggetto e nient’altro, e posso far questo bene o male.
Ma io posso anche rappresentare il cubo, non come lo vedo bensì come è, il predicato del cubo».
19 Bisogna tener presente che l’astrazione idealizzante o ideante non equivale all’induzione. Cfr.
anche PAUL NATORP, Die logische Grundlagen der exakten Wissenschaften, Leibniz-Berlin,
Teubner, 1910, p. 317. D’altra parte anche la teoria pura della coscienza, come qualsiasi scienza, per
verificarsi ha bisogno dell’induzione. A questo proposito cfr. la critica di Natorp alle Ideen di
Husserl, Husserls «Ideen zu einer reinen Phänomenologie», in «Logos», 1918, n. 7, pp. 224-246.
20 HUSSERL, Logische Untersuchungen, cit., II, I, pp. 18 sgg.
21 NATORP, Husserls «Ideen», cit.
22 Ibid., pp. 236 sgg. e 241 sgg.
23 BLEULER, Dementia praecox, cit.
24 MAX SCHELER, Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle und von Liebe und
Haß. Mit einem Anhang über den Grund zur Anahme der Existenz des fremden Ich, Halle an der
Saale, Niemeyer, 1913.
25 Ma vedi la nota 5 a p. 162 (N.d.R.).
26 La crisi acuta con cui era cominciata la malattia si era manifestata con una «lotta spirituale» che si
era conclusa con una «scelta per lo spirito», con la «lotta contro gli istinti».
27 ADOL PFäNDER, Zur Psychologie der Gesinnungen, in HUSSERL (a cura di), Jahrbuch für
Philosophie, cit., vol. I, 1913 e vol III, 1916.
28 Prendiamo come esempio la distinzione di Jaspers tra «processo» ed «evoluzione di una
personalità»; è una distinzione che si ritrova già nel suo lavoro sul delirio di gelosia (KARL
JASPERS, Eifersuchtwahn. Ein Beitrag zur Frage: «Entwicklung einer Persönlichkeit»; oder
«Prozeß»?, in «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1910, n. 1, pp. 567-637), che
si può considerare la prima ricerca psicopatologica che utilizzi metodicamente i punti di vista
fenomenologici. Anche se Kraepelin, Bleuler, Wilmanns e altri erano giunti già prima a formularla,
bisogna riconoscere che in Jaspers c’è qualcosa di essenzialmente nuovo, poiché al posto del rilievo
dei distintivi dati clinici esterni viene ora affacciata una discriminazione psicologica immanente al
fenomeno stesso. Se prima erano le caratteristiche cliniche come la dissociazione, la stereotipia, il
rimbecillimento, ecc. a indicare che nella psiche dell’ammalato si stava svolgendo un «processo
estraneo alla sua persona», di «nuovo genere», contrapposto all’evoluzione patologica della
personalità prepsicotica, ora è l’intuizione immediata, «l’unità della persona colta intuitivamente»
(Jaspers), a decidere se nella persona si sia insinuato o meno qualcosa di eterogeneo: «Quando non ci
riesce di cogliere unitariamente l’evoluzione di una personalità, noi ne deduciamo che è accaduto
qualcosa di nuovo, qualcosa di eterogeneo rispetto alla sua disposizione originaria, qualcosa che cade
al difuori della sua evoluzione, che cioè non è più “evoluzione” bensì “processo”». Questa
concezione si è dimostrata feconda, e anche negli ultimi e maggiori lavori a carattere fenomenologico
che la letteratura psichiatrica può vantare essa è stata ulteriormente e metodicamente sviluppata. (Cfr.
ARTHUR KRONFELD, Über schizophrene Veranderungen des Bewußtseins der Aktivität, in
«Zeitschrift für das gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1922, n. 74, pp. 15-68.) In base all’acuta e
puramente descrittiva distinzione tra il vero e proprio Erlebnis della spersonalizzazione e «l’Erlebnis
primariamente schizofrenico della mancanza della coscienza dell’attività», Kronfeld rinviene qui un
sintomo psicotico primario psicologico-immanente, «descrittivo-essenziale», il quale, come il
sintomo clinico, «esterno», «sta entro il continuo psichico come un corpo estraneo, come l’inizio
della distruzione» (p. 30). La mancanza della coscienza dell’attività nel caso di ben precise azioni
psicomotorie (quando per esempio un malato dichiara che non è stato lui a gridare, che è il nervo
vocale a urlare in lui) costituisce il segno di un processo estraneo alla persona, estraneo rispetto
all’evoluzione della personalità, «separato da essa come da un abisso», un segno di genere
psicopatologico-fenomenologico che permette di attingere nozioni essenziali circa la connessione tra
il singolo Erlebnis patologico e la distruzione patologica della personalità.
29 BLEULER, Lehrbuch, cit.
30 Si pensi inoltre alla teoria dell’introversione nel senso di Jung, del narcisismo nel senso di Freud e
agli ampi contesti in cui queste teorie rientrano. Per quanto preziose siano, anche queste teorie,
appunto in quanto teorie, non giungono a una conoscenza immediata dell’autismo.
31 EUGEN BLEULER, Das autistische Denken, in SIGMUND FREUD, EUGEN BLEULER (a cura
di), Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen, Leipzig-Wien, Deuticke,
vol. IV, 1912, p. 13.
32 CONRAD-MARTIUS, Zur Ontologie, cit.
33 In «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie. Originalien», 1922, n. 77.
34 Das Gemeinschafterlebnis der Schizophrenen, ibid.
35 Naturalmente lo stesso Bleuler ha da tempo rilevato questo fenomeno; egli osserva infatti come
negli schizofrenici scompaiano ben presto quei sentimenti che regolano il commercio con gli altri
(Dementia praecox, cit., p. 39).
36 Gli atti dell’intuizione categoriale di Husserl hanno dunque nella psicopatologia un duplice ruolo;
il primo investe il ricercatore: egli coglie in essi i concetti psicopatologici essenziali,
fenomenologicamente depurati; l’altro investe l’oggetto dell’indagine: vengono studiati gli atti
dell’intuizione categoriale modificati in senso patologico.
37 In «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie. Originalien», 1922, n. 77.
38 KARL JASPERS, Allgemeine Psychopathologie. Ein Leitfaden für Studierende, Ärzte und
Psychologe, Heidelberg-Berlin, Springer, 1913 (trad. it. della VII ediz. del 1959: Psicopatologia
generale, Roma, Il pensiero scientifico, 1964).
39 Com’è noto, egli riduce il campo della fenomenologia a ciò che è staticamente comprensibile;
d’altra parte però, nel campo della psicologia comprensiva, lascia sussistere una conoscenza a priori,
«tipico-ideale», che non può essere fondata attraverso l’esperienza, ma evita tuttavia di parlare di
conoscenza essenziale.
40 Cfr. la mia Einführung in die Probleme der allgemeinen Psychologie, cit.
41 ARTHUR KRONFELD, Wesen der psychiatrischen Erkenntnis. Beiträge zur allgemeinen
Psychiatrie I, Berlin, Springer, 1920.

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