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ITALIANO_ SOLUCIONES JUNIO 2019

B2_CO_
TAREA 1 Le code felici

CLAVES DE CORRECCIÓN:
0
1
3
5
7
8

TRANSCRIPCIÓN (duración 3’38)


Si chiama “Il rifugio delle code felici”. È un’associazione di volontari cinofili di Roma, ma soprattutto è la
casa di tanti cani trovatelli, a pochi passi dal raccordo anulare, nella periferia est di Roma. Il rifugio,
operativo da diversi anni, ospita soprattutto cani adulti arrivati al canile dopo una vita passata con qualche
familiglia che non ha avuto scrupoli a libersane. Al rifugio trovano accoglienza, calore, e se va bene, una
seconda occasione di vita da cane di casa. Tutto il lavoro, dalle coccole alla pappa, all’assistenza, viene
svolto con grande passione da personale qualificato e dai volontari. Ci racconta tutto, anche lei volontaria,
Valentina Biondi.
- Questo canile nasce 30 anni fa, nasce dall’esigenza di cercare di raggruppare una serie di cani che
erano stati abbandonati. Fu formato da pochi elementi e poi successivamente si sono aggiunti altri
cagnolini e poi abbiamo formato proprio un’associazione,naturalmente è una Onlus. Dal ‘94 è stata
fondata l’associazione “Rifugio code felici” e dal quel tempo operiamo con l’empatia maggiore che
possiamo avere nei confronti di questi cani che, insomma, ognuno ha la propria storia, chi più chi
meno, sfortunata sicuramente, e cerchiamo per loro soprattutto delle adozioni . Questo è il nostro
scopo.

- Il vostro canile ha una particolarità: i cani sono anziani, non necessariamente belli... e con le adozioni
come va?

- Sicuramente non è facile trovare degli adottanti, soprattutto per i cani anziani, ma siamo riusciti a far
adottare anche cani di 12, 13 e anche 14 anni con persone che hanno un cuore che sicuramente va
oltre. Quando ci sono queste uscite è veramente emozionante.

- Quanti cani potete ospitare?

- Il rifugio non è grandissimo, quindi ovviamente ci teniamo con un numero basso, semplicemente
perché non siamo completametne autonomi. Riceviamo il 5x1000 e quindi con le donazioni noi
riusciamo ad andare avanti ed è per questo motivo che non possiamo prendere un numero alto di
cani, perché altrimenti non riusciamo a gestirli e a mantenere per tutti un buon tenore, per quanto
possiamo, ovviamente perché sempre in un rifugio stanno. Quindi, cerchiamo di tamponare le varie
esigenze e soprattutto a livello sanitario ci sono dei costi elevati perché certi cani sono anziani e
hanno bisogno di cure particolari.

- Vi siete fatti un’idea del perché le persone abbandonano i cani? Qual è l’identikit di chi abbandona un
cane? Soprattutto dopo tanti anni, quindi vuol dire che l’ha avuto per anni..

- Sì, le richieste che ci arrivano sono: “non posso più tenere il mio cane perché mi sto trasferendo”,
“perché non ho soldi”, “perché è nato il classico bambino allergico ai peli del cane”, “sono morti e
genitori e quindi nessuno può accogliere più questo cane”. Sono tutte richieste che hanno una
tristezza inifinita perché provengono da persone che probabilmente hanno una sensibilità pari a zero
e ovviamente per loro la vita che si prospetta, soprattutto per un cane che è vissuto padronale,
diciamo che è vissuto in casa, entrare in canile a un’età alta veramente è una sconfitta più grande,
per cui, come noi crede che, soprattutto, tutta la parte più importante del cane anziano è la parte,
veramente, più difficile da portare avanti, quindi è un grosso dispiacere.

- Come li preparate alla vita futura che li attende?

- Cerchiamo di capire, anzitutto, la richiesta è importante. Ovviamente non è unilaterale, nel senso che
si entra qui e si sceglie il cane. Piuttosto si cerca di capire la componente della famiglia, le esigenze
della famiglia e da là cerchiamo di capire com’è, conoscendo bene i nostri cani, qual è il tipo di cane
che può essere può compatibile con quella tipologia di famiglia. Sì, siamo severi perché il cane non
deve ritornare al rifugio. Non vogliamo sbagliare.
(Le storie di Radio 1, 6/04/2019)

TAREA 2 Dafna Moscati CLAVES: V: 1,2,5, 7, 9,10 - F: 3,4,6, 8

TRANSCRIPCIÓN
Incontri d’autore –
Buonasera da Alesandra Rauti a “Incontri d’autore”, Perché mi ha morso una scimmia- Edizione Spazio
Interiore di Dafna Moscati. Una magnifica raccolta di brevi racconti. La scrittrice, artista poliedrica,
formatesi girando molti paesi, ci insegna a soprire le piccole meraviglie che la vita comunque ci regala.
Ascoltiamo l’autrice:
- Questo libro è nato, in qualche modo, sollecitata da vari amici che nel tempo mi ricordavano
quanto certe storie erano tornate in mente proprio in certi momenti particolari e si erano ricordati
di quella cosa che gli avevo raccontato. Quindi, dopo varie insistenze, mi sono convinta a creare
questa raccolta di racconti autobiografici.

- Può una semplice storia rispondere alle domande della nostra vita, Dafna?

- In realtà sì. Noi, dai tempi dei tempi, siamo attratti da parabole, da storie, riusciamo ad imparare
e ad entrare in contatto con determinate sensazioni e percezioni proprio grazie a delle storie che
ci rispecchiano, dei messaggi molto semplici ma molto profondi e importanti...

- Ci vuoi fare un esempio?

- Le storie sono molto variegate perché diciamo che ho una vita un po’ particolare, abbastanza,
per certi versi avventurosa. Sicuramente nelle stesse piccole cose che mi sono accadute ho
trovato spesso dei grandi insegnamenti, oppure delle cose che mi sono accadute. Infatti, il titolo
del libro “Perché mi ha morso una scimmia” a chi a volte mi chiede “è una bellissima trovata di
marketing”, in realtà dico che è successo, mi ha morso una scimmia. Il fatto è che dopo questo
morso stavo per morire. Comunque, dopo una serie di circostanze che mi hanno portato in fin di
vita e che in quel momento sono entrata in contatto con una percezione molto forte che avrei
lasciato questa terra con la percezione di non aver amato abbastanza. E il non aver amato
abbastanza è stato, in qualche modo una forza molto profonda che mi ha permesso di restare.

- Ma la scimmia la detestavi o no?

- Io, in realtà, ho un rapporto bellissimo con le scimmie dopo questo problema, perché in un
viaggio precedente, in cui sono stata in Thailandia, avevo incontrato scimmie totalmente innocue.
In questo viaggio ero in India e stavo meditando tranquillamente in una pietra, vicino a un tempio
e questa scimmia voleva la mia borsa e, naturalmente, in quel momento non ho lasciato a lei la
borsa. Sembrava che fosse andata via e invece da dietro, prepotentemente mi ha morso e poi è
scappata. Lì per liì non avevo nessun problema perché sentivo che non era una cosa di così
grave, però le persone attorno a me mi hanno fatto notare che usciva del sangue e quindi c’era il
rischio di rabbia e da lì sono stata obbligata ad andare in ospedale a fare un vaccino antirabbia a
cui il corpo ha risposto molto male, con una crisi quasi totale. È stata una situazione molto
delicata.

- Dafna, nel libro hai raccolto 39 racconti. Quali sono quelli più sentiti?

- Allora, ci sono tantissimi temi che affronto attraverso questi racconti. Dalle scelte importanti, dal
ritrovare la propria vocazione, dal seguire le intuizioni. Però, forse quelli che mi sono più a cuore
sono quelli in cui condivido le performance che ho fatto in vari contesti artistici in cui sono entrata
a contatto con il pubblico, dove si è creato un incontro profondo e anche giocoso, pieno di
sorprese.... (Incontri d’autore, Radio 1, 25/03/2019).

TAREA 3 Orientamento Scolastico


CLAVES DE CORRECCIÓN: 0:a; 1:c; 2:b; 3:c; 4:a; 5:a; 6:b; 7:b; 8:c; 9:b; 10:b
TRANSCRIPCIÓN
- Noi siamo a “Tutti in classe”, Radio 1. Sono le 07:48 e stiamo parlando di orientamento, di come
scegliere la scuola giusta e cosa valutare. Siamo partiti dalle attitudini di ogni ragazzo, no sempre
facili da individuare. In questo, un ruolo importante lo hanno sempre i genitori e la scuola, poi,
guardarsi intorno, guardare alle scuole e infine guardare al dopo, al futuro, a che tipo di lavoro si
vorrà fare e per questo è importante e interessante guardare i numeri e i dati. Qualcosa
l’abbiamo ricordata in apertura. L’ONU, non solo l’ONU, ricorda che gli studenti di oggi studiano
per professioni che saranno molto diverse per quando si affacceranno nel mondo del lavoro. Più
di 6 su 10 faranno un lavoro che non esiste. Allora già oggi questo divario esiste: gli esperti lo
chiamano mismatching tra domanda e offerta. Buongiorno a Claudio Gentili.
- Buongiorno a Lei e ascoltatori
- Claudio Gentili è responsabile di JOBORIENTE, il Salone nazionale dedicato all’orientamento. Si
tiene ogni anno a novembre. Fino a due anni fa era responsabile dell’area education di
Confindustria. Voi avete calcolato che da più da qui a cinque anni ci saranno alcune professioni
che resitereanno, alcune no, determinate richieste proprio in termini di numeri. Che cosa dicono i
vostri numeri?
- Ma, intanto, come diceva Lei, è importantissimo. Molti lavori non si cosa faranno, però da ora si
sa già che da qui ai prossimi quattro anni, nel settore meccanico mancheranno 92.000 addetti,
nel settore tessile-moda 46.000 e 42.000 nel settore food, 120-130 nel settore ST (servizi e
turismo). E poi, se andiamo a guardare quanti ragazzi sono iscritti agli istituti tecnici, meccanici e
meccatronici, quanti sono iscritti ai tecnici per la moda, quanti professionali, ci accorgiamo che
c’è una scarsa propensione dei nostri ragazzi a fare scelte tecniche, considerate di seconda
scelta, mentre le nostre imprese, ovviamente al Nord, spesso non riescono a trovare gli addetti di
cui hanno bisogno anche domani.
- I numeri, i dati confermano esattamente quello che Lei dice. L’anno scorso esattametne il 55,3%
di alunni di scuole medie ha scelto un liceo, meno del 30%, quindi meno di uno su tre, ha scelto il
tecnico e il restante 14% un professionale. Quindi ci siamo.
- Diciamo che quello che è successo in Italia è un fenomeno abbastanza strano. Io ho fatto il liceo
classico, quindi per me il liceo è un’ottima scelta, però fino agli anni ’80-’90, la maggioranza
sceglievano tecnici e professionali e una minoranza corposa dei ragazzi, veramente motivati allo
studio (era uno studio disciplinare), sceglievano i licei. Introno agli anni ’90-2000 è successo il
sorpasso, cioè io lo chiamo “lusso di massa”, cioè tutti al liceo. Ora questo “tutti al liceo” è un
fenomeno legato più alle mamme e agli insegnanti di lettere della terza media che spingono i
ragazzi: “sei bravo, quindi fai il liceo”, “sei uno bravo”, che non ai ragazzi stessi. Quindi, il vero
tema è aiutare i ragazzi a scegliere la loro vocazione, sapendo che ci sono – semplifico molto il
mondo – tre tipi di di Umanesimo: non c’è la scelta umanistica e il resto che è secondario... Cioè,
l’Umanesimo letterario è Dante, e c’è il liceo classico, poi c’è l’Umanesimo scientifico, quindi
Galilei – bellissimo il liceo scientifico per chi ha quest’inclinazione – e poi c’è l’Umanesimo
tecnologico, cioè Leonardo e oggi chi lavora sul computer sa che per lavorare sul computer
bisogna conoscere bene l’italiano e la matematica e poi avere forte inclinazione per la
tecnologia.Quindi non fare un discorso della cultura alta e della cultura bassa, ma aiutare i nostri
ragazzi a sognare il loro futuro, sapendo che se fanno, per esempio, il liceo tecnico-meccanico,
poi potranno fare un ITS, potranno andare a lavorare a 20 anni oppure fare i designer, le
accademie... Se fanno una scuola, diciamo informatica, potranno lavorare subito o fare un ITS e
molti ragazzi non sanno che, oltre a all’Università e oltre al lavoro, dopo il diploma c’è l’Istituto
Tecnico Superiore, una scuola di alta tecnologia che dura due anni: un anno in aula, un anno in
azienda dove più dell’80% dei ragazzi che lo fanno trova lavoro. (Tutti in classe, Radio 1,
14/01/2019).
B2_CE_
TEXTO 1A - TAREA 1
RESPUESTAS
A:10 F: 0 M:2
B: 4 G: 9 N:8
C: H: 5
D: 7 I: 1
E: 3 L:6

TEXTO ORIGINAL Y FUENTE

L’elogio del talento e della competenza


L’Italia in questo momento ha bisogno di qualità, di competenza, di meritocrazia. Il
contrario dell’appiattimento verso il basso, di «uno vale uno». L’importante è che l’accesso agli
studi, alla ricerca, alla qualità, sia acconsentito a tutti, questa è la democrazia. Purtroppo però
l’equivoco è passato. Si vuole fare credere che l’ uguaglianza stia nel punire chi si solleva sugli
altri per competenza e capacità.
È vero che la nostra società è ammalata della mortificante prassi dei favoritismi, delle parentele e
delle conoscenze privilegiate. Ma non se ne esce abbassando il livello della preparazione e
punendo chi emerge o chi dimostra qualità eccelse e conoscenze approfondite. Ricordo le
discussioni di quando abbiamo aperto un teatro diretto da sole donne, per contrastare l’antica
abitudine di allontanare il corpo femminile dal teatro: i greci, i latini, gli inglesi del secolo di
Shakespeare non ammettevano le donne sul palco e perciò noi volevamo dare la possibilità al
talento femminile di esprimersi.
Ma il problema è sorto subito: dare spazio a tutte, anche a chi non aveva né talento né qualcosa
in proprio da dire? All’inizio abbiamo deciso che il palcoscenico era aperto a tutte. Ma ci ha
pensato il pubblico a fare la differenza: alcune opere comunicavano, altre no. Il teatro si
svuotava. Che fare? La decisione, difficile per un astratto senso della giustizia, ma proficua per il
progetto comune, è stata quella di dare la possibilità a ogni talento di svilupparsi, facendo però
convergere le energie su chi riusciva a comunicare meglio col pubblico. Alcune non accettavano i
vantaggi del talento, li consideravano solo privilegi. Ma la natura è ingiusta: perché una nasce
con una bella voce da soprano e l’altra no? Per le ideologhe, l’uguaglianza significava mettere
sullo stesso piano ogni donna, rinunciando al giudizio di valore. Ma questo umiliava le migliori
che finivano per andarsene.
Privilegiare, coltivare, valorizzare il talento (anche solo di un bravo ciabattino per non parlare del
bravo chirurgo, del bravo cantante, del bravo amministratore) è un dovere di tutto il Paese.
Invece Internet, questo falso luogo di uguaglianza dove chiunque si sente in diritto di sputare
sulle qualità dell’altro, non fa che stimolare le frustrazioni, l’odio verso il migliore, la voglia di
vendetta e di distruzione.
Il Paese però così non progredisce, ma si trasforma solo in una arena rissosa. (423 parole)

di Dacia Maraini 7 gennaio 2019 © RIPRODUZIONE RISERVATA


TEXTO 1B - TAREA 2 RESPUESTAS
V: 1, 3, 6, 9, 10 F: 2, 4, 5, 7, 8

TEXTO ORIGINAL Y FUENTE

La giornata della lentezza


Ci siamo dimenticati cos'è. Ma la lentezza è un vero e proprio toccasana per mente e corpo. L’antidoto
perfetto contro lo stress e la fatica della vita moderna. Quale miglior scusa quindi della Giornata
mondiale della lentezza, che si celebra il 27 febbraio, per provare a fermarsi un attimo, riflettere, e
riscoprire calma e tranquillità? Ne abbiamo parlato con Roberto Ibba, psicologo del lavoro e
psicoterapeuta dell'Ordine degli psicologi del Lazio, che ci ha suggerito alcuni trucchi per aiutarci a
rallentare i ritmi, recuperare le forze, allontanare lo stress e migliorare così la nostra salute psicofisica.
L'importanza della colazione
Per cominciare queste 24 ore con il piede giusto, provate a dedicare alla prima colazione circa 10 minuti.
Può sembrare un’utopia, schiacciati come siamo tra impegni familiari e incombenze di lavoro. Ma secondo
Ibba è un’abitudine che vale la pena riscoprire. A costo di qualche sacrificio. Affrontare con calma il primo
pasto della giornata, fondamentale per la ripresa di tutte le nostre funzioni fisiche e mentali, consente
infatti non solo di prepararlo in modo equilibrato, ma anche di migliorare e stimolare la comunicazione in
famiglia e di riuscire a organizzare e pianificare meglio la nostra giornata.
Svuotate un poco l’agenda
Che siano piacevoli poco importa. Bisogna evitare di accumulare troppo impegni quotidiani. Imparare a
dire di no, per svuotare un po’ la nostra agenda, ed evitare che le giornate si trasformino in una corsa
continua, in un susseguirsi di appuntamenti a cui non si è voluto rinunciare. Col rischio di arrivare agli
impegni più importanti, quelli con amici e parenti, senza il tempo e le energie per goderseli appieno.
Provate quindi a tenere sempre qualche momento libero nella routine settimanale, da dedicare a voi
stessi, alla famiglia e agli affetti. Vedrete – assicura l’esperto – che vi aiuterà ad affrontare le giornate con
più serenità. “È importante, per esempio, dedicare del tempo per fare passeggiate, e non correre da un
posto a un altro o limitarsi a prendere la macchina”, aggiunge l'esperto. “La camminata ci permette di
osservare i volti delle persone, annusare gli odori, godersi l'ambiente che ci circonda e magari fermasi a
chiacchierare con qualcuno”.
La pausa pranzo
Tra una scadenza lavorativa, un impegno e un imprevisto, molte persone dedicano poco tempo al
momento del pranzo. Qualcuno addirittura lo salta completamente. E invece si tratta del momento ideale
per una pausa durante la giornata, utile sia per liberare la mente sia per il benessere del proprio corpo.
“Durante i pasti – sottolinea Ibba – è bene prendersi del tempo, mangiare lentamente e considerare i
tempi di digestione, rispettando così se stessi”.
Il momento della cena
Al termine di una giornata piena di impegni la cena è il momento per staccare da tutto, e godersi
finalmente un po’ di meritato riposo. Proprio per questo, sottolinea l’esperto, è bene fare di tutto per
assicurarsi che sia un momento realmente rilassante. “Bisognerebbe riuscire a non trasferire la tensione e
i ritmi stressanti a cui siamo sottoposti ogni giorno anche nella vita personale”, spiega Ibba. “Quando si
torna a casa, c'è chi vuole mangiare, chi vuole vedere la partita di calcio, chi deve invece mettersi a
studiare. Ma la cena è un momento di riunione importante per la famiglia, per poter parlare, ascoltare e
guardarsi negli occhi”. Il momento serale, inoltre, può essere una buona occasione per leggere libri,
giornali o ascoltare la musica. “Dovremmo, tuttavia, recuperare brani più lenti e melodici, che ci aiutino a
entrare maggiormente in sintonia con noi stessi”, raccomanda l’esperto.
L'importanza del saper aspettare
“Riuscire a saper aspettare con serenità è il modo migliore per allontanare la tensione, che se prolungata
troppo nel tempo porta allo stress”, conclude Ibba. “Oggi, qualsiasi tipo di attesa viene visto come un
momento vuoto e sprecato. Bisogna, invece, trasformare le attese e i momenti spiacevoli in vere e proprie
opportunità e sfruttare quel tempo per dedicarci a noi stessi”. (643) di MARTA MUSSO 26 febbraio
2019

TEXTO 1C- TAREA 3

Tim Berners-Lee: che brutta fine ha fatto Internet


Trent'anni dopo, l'uomo che creò il Web torna sul luogo del delitto, il Cern di Ginevra, dove allora
presentò il progetto. E lancia l'allarme : troppe opportunità per chi semina odio, colpa degli
algoritmi dei social
Trent'anni dopo il creatore del Web torna dove tutto è iniziato: al Cern di Ginevra, il più grande
laboratorio al mondo di fisica subnucleare. Per festeggiare, certo, ma anche per mettere in
guardia dalla deriva che la sua "creatura" sta prendendo. Nel 1989 Tim Berners-Lee era un
giovane ingegnere informatico britannico che voleva fornire ai ricercatori uno strumento per
condividere le informazioni in modo efficace su Internet. Nel marzo di quell'anno presentò un
progetto che prevedeva l'uso, tra l'altro, di collegamenti ipertestuali. Era l'atto di nascita del
World wide web. Tre decadi e due miliardi di siti online dopo Berners-Lee è diventato Sir per
volere della Regina Elisabetta e sarà ricordato nei libri di storia, alla voce inventori, accanto a
Gutenberg e Marconi. Lo incontriamo, insieme a Fabiola Gianotti, a poche centinaia di metri
dall'edificio dove concepì quegli acronimi simbolo dell'era digitale, come www (World wide
web) o http (hypertext transfer protocol). La direttrice generale del Cern, tra gli autori della
scoperta del Bosone di Higgs, lo accoglie come un vecchio compagno di studi che non si
vede da tempo: "Bentornato tra noi Tim. Nella tua stanza ora lavorano informatici che si
occupano di big data. E non è detto che anche dal loro lavoro non arrivi una innovazione di
cui potrà beneficiare l'umanità intera, come è oggi per il Web". Sir Berners-Lee parla con
entusiasmo delle origini, ma si fa corrucciato quando affronta l'attualità: "Sono qui per
celebrare un anniversario importante e però non nascondo la preoccupazione".
0_ Sir Berners-Lee, questa è la sua prima volta qui al Cern di Ginevra?
“No, ci ero gia stato dieci anni fa”.
1_ Cos'è che la preoccupa?
"In questi trent'anni il web ha creato grandi opportunità di crescita, ha dato voce a chi non ne
aveva, è diventato una piazza, una libreria, un negozio, una scuola, un cinema. E però ha
offerto anche nuove opportunità ai truffatori, a chi diffonde l'odio, ai criminali in generale".
2_ Come è potuto succedere?
"Una risposta possibile è che il web è lo specchio della società, quindi ne riflette sia il bene
che il male. In realtà, sono convinto che se oggi l'immagine che l'umanità dà di sé sul Web è
costruttiva o distruttiva dipende da come sono scritti gli algoritmi dei social network. Ci sono
software progettati intenzionalmente per fornire incentivi perversi a chi sacrifica per esempio i
propri dati personali. Ma anche conseguenze indesiderate di algoritmi pensati a fin di bene,
come quelli che permettono di esprimere liberamente la propria opinione e che invece stanno
diffondendo indignazione e toni esasperati".
3_ Lei ha creato la World Wide Web Foundation proprio per contrastare questa deriva.
Quali sono le azioni da mettere in campo?
"Abbiamo proposto un Contratto per il Web, rivolto ai governi, alle aziende private, ai cittadini.
Tutti insieme per difendere un patrimonio comune, come hanno fatto le generazioni passate
per la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo o per il Trattato sullo spazio extra-
atmosferico. Finora hanno aderito Francia, Germania, Ghana e 200 tra associazioni e società
private. Ma anche i singoli cittadini possono farlo sul sito della fondazione".
4_ Una delle norme previste dal suo "Contratto" è che le Web company si impegnino a
rispettare la privacy dei consumatori. Pochi giorni fa Mark Zuckerberg ha annunciato
che Facebook d'ora in poi tutelerà meglio i dati personali degli utenti. È una promessa
credibile o servono comunque regole imposte dai governi?
"Dipende dalle regole. Il Gdr (Regolamento generale sulla protezione dei dati) varato l'Europa
va nella direzione che noi auspichiamo. Ma è vero che anche le compagnie private stanno
comprendendo l'importanza di questi temi: Google, Facebook, Microsoft e Twitter stanno per
esempio lavorando a un Data transfer project, un sistema attraverso il quale l'utente può
trasferirsi da una piattaforma digitale all'altra portando con sé i propri dati personali".
5_ E i singoli cittadini cosa possono fare?
"Usare i social network per favorire conversazioni costruttive e non distruttive, non continuare
a cliccare il tasto "consenti", pur di usare gratis un servizio, senza chiedere che vengano
rispettati i loro diritti sulla privacy. Eleggere politici che difendano un Web gratuito e
accessibile a tutti".
6_ A proposito di politica, i social network ne sono pieni. Cosa ne pensa?
"Ho suggerito a Facebook di cancellare i post contenenti pubblicità politica. In molti paesi la
comunicazione dei partiti politici in televisione è strettamente regolamentata, con spazi
assegnati per dare a tutti le stesse opportunità. Sul Web invece nessuna regola".
7_ In Italia, il Movimento 5 Stelle utilizza una piattaforma digitale privata per consultare
i propri iscritti prima di decisioni importanti del governo. Qual è la sua opinione in
merito?
"L'esperimento in corso nel vostro Paese è interessante: se però il governo è tenuto a seguire
l'esito di queste consultazioni allora è un governo con le mani legate. Io credo che il Web
possa sì dare un contributo fantastico alla democrazia, ma soprattutto se utilizzato dai governi
per comunicare in modo trasparente con i cittadini tramite gli open data".
8_ Torniamo a quel marzo di trent'anni fa: perché il Web è nato proprio qui al Cern e
non nella Silicon Valley?
"Perché al Cern c'è sempre stato un clima di grande libertà e creatività. Potevo programmare
il primo server del World Wide Web senza che nessuno venisse a dirmi 'siamo qui per fare
altro'. Il mio capo di allora, Mike Sendall, era un fisico delle particelle. Quando lesse la mia
proposta vi scrisse sopra un appunto a matita: 'Vago ma eccitante'. E poi il Web non si
sarebbe mai imposto se il Cern non avesse messo gratuitamente a disposizione di tutti il
protocollo, senza reclamarne i diritti".
9_ Capì subito che aveva inventato qualcosa di importante?
"No. Ma i numeri crebbero subito: gli accessi al server iniziarono a raddoppiare ogni quattro
mesi. Poi tra il 1991 e il 1993 ebbero una crescita esponenziale".
10_ Sir Berners-Lee, come immagina il Web nei prossimi trent'anni?
"È impossibile sapere dove andremo. Ma abbiamo una certezza: dipenderà dalle nostre scelte
di oggi. E io sono ottimista: i buoni vinceranno sui cattivi, anche sul Web".
(https://rep.repubblica.it/pwa/intervista, LUCA FRAIOLI, 11 MARZO 2019)

A 10

B 2

C Di che cosa si occupava esattamente il suo progetto? distrattore

D 4

E Capì subito che aveva inventato qualcosa di importante? 9

F Sir Berners-Lee, questa è la sua prima volta qui al Cern di Ginevra? 0

G In che anno sono iniziate le sue ricerche sui collegamenti ipertestuali? distrattore
H 7

I 1

L 8

M 3

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