Sei sulla pagina 1di 50

CAPITOLO 1 - I CARATTERI DELL’ETA’ CONTEMPORANEA

1. IL PROBLEMA DELLA PERIODIZZAZIONE


La nascita dell’era contemporanea si fa risalire alla Rivoluzione Francese, ma molti critici la segnano con il
Congresso di Vienna (1815), evento che cercò di annullare le spinte progressiste dei rivoluzionari.
La periodizzazione è il tentativo di organizzare il pensiero storico, cioè̀ di dargli una sequenza logica interna
che ci permette di inquadrare l’argomento e dargli delle chiavi interpretative. Ci sono tre esempi di
periodizzazione:
1- quella dello storico inglese Barraclough
2- quella dello storico americano Arno Mayer
3- quella dello storico inglese Eric Hobsbawn
Barraclogh cercò lo spartiacque fra era e contemporanea e propose di considerare un lungo periodo di
transizione, che doveva andare dalle dimissioni di Bismarck (1890) al 1961, anno di inizio della presidenza
di Kennedy in USA. Bismarck rappresentava il massimo esponente di una civiltà conservatrice, mentre
Kennedy diede l’avvio alla grande modernità ed al cosiddetto Mondo globale.
Mayer nel 1981 ha parlato di un “antico regime” che sarebbe durato fino alla I Guerra Mondiale e che,
quindi, non era terminato con la Riv. Francese. I motivi erano diversi tra cui la proprietà fondiaria fino ad
allora non era ancora scomparsa e le vecchie aristocrazie contavano ancora moltissimo;
Hobsbawn ha parlato, invece, di due secoli disuguali: un grande ‘800, che andava dall’Impero napoleonico
alla fine della I guerra Mondiale ed un piccolo ‘900, che andava dal 1918 al 1989, anno della caduta del
muro di Berlino e dei regimi comunisti. Anche se questa tesi è stata considerata positiva dalla maggior parte
degli storici, anch’essa ha subito delle dure critiche.
La periodizzazione non può essere mai assoluta e l’età contemporanea si definisce individuando certe linee
di sviluppo di fenomeni non presenti in precedenza.
2. SOCIETA’ DI MASSA
La Rivoluzione Francese sancendo i diritti fondamentali degli individui, il principio d’uguaglianza e aprendo
la strada al suffragio universale contribuì̀ al processo che portò alla moderna società̀ di massa. In Francia il
principio dell’universalità del suffragio maschile fu introdotto nel 1848 mentre in altri paesi nel corso
dell’800 il diritto di voto rimase vincolato da criteri di sbarramento come il censo (livello di tasse pagate) e/o
l’istruzione. La tendenza era di allargare progressivamente il suffragio perché i sistemi politici avevano
sempre più bisogno di una legittimazione di massa che si esprimeva tramite il voto. L’allargamento del
diritto di voto nel corso dell’800 venne ostacolato da quanti vedevano nelle masse il pericoloso prevalere
dell’irrazionalità sulla ragione. Di fronte alla crescente conflittualità sociale, dovuta allo sviluppo
dell’industrializzazione e delle classi operaie, il timore di molti liberali fu che le rivendicazioni sociali
potessero innescare una nuova rivoluzione o che venissero meno le condizioni di una politica formulata sulla
base della decisione migliore. La presenza delle masse si impose progressivamente in politica e nel sistema
economica partire dalla prima rivoluzione industriale principalmente in Gran Bretagna. Ci fu l’ingresso di
donne e bambini e di lavoratori non qualificati nella produzione, si rese necessario concentrare le masse dei
lavoratori nelle aree vicine alle fabbriche o alle fonti di energia e nacquero così le grandi città industriali.
Tale presenza massiccia diventò un problema politico di primo piano. Lo stato introdusse forme di assistenza
e di sussidi per le classi subalterne, cominciarono a formarsi partiti che richiamavano alle teorie di Marx e
intendevano rappresentare gli interessi della classe operaia. L’industrializzazione ha cambiato le forme di
consumo, l’acquisto di merci si estese a tutti gli strati della società, nacquero i grandi magazzini, le industrie
dei beni di consumo dovettero abbassare i prezzi delle merci per conquistare sempre nuovi acquirenti. Venne
introdotta la pubblicità e l’utilizzo di sistemi di produzione in serie.
3. RICCHEZZA E POVERTA’: L’ECONOMIA DIVENTA POLITICA

1
La Gran Bretagna si affermò come grande potenza grazie alla rivoluzione industriale e all’eccezionale
capacità produttiva.
Gli operai si trovavano a vivere e lavorare in condizioni pessime, dure e malsane. A partire dal 1824-25
sorsero in Gran Bretagna le prime Trade Unions, organizzazioni che raccoglievano gli operai in base alla
professione e cercavano di tutelarne gli interessi con la contrattazione di migliori condizioni salariali e di
lavoro e con lo sciopero. Grazie anche al nuovo associazionismo operaio, che però lasciava esclusi gli
indigenti privi di occupazione, qualche timido miglioramento si incominciano a vedere negli anni Trenta.
Nella prima metà dell’800 i processi di industrializzazione restarono circoscritti all’area nordoccidentale del
continente europeo. A partire da questo squilibrio dalla seconda metà dell’800 prese le mosse la rincorda
verso il cosiddetto modello inglese, fondato sul ferro e sul carbone, sull’industria tessile e su quella
meccanica. Tale rincorsa da parte di paesi come Germania e Stati Uniti subì una battuta d’arresto tra il 1873
e il 1896, si trattò di una fase di assestamento con conseguente abbassamento dei prezzi e licenziamento di
parte della manodopera dalle imprese. Questa battuta d’arresto servì a dimostrare la natura ciclica
dell’andamento economico. La seconda ondata di industrializzazione fra gli anni 1870 e la Prima guerra
mondiale coinvolse Svizzera, Giappone, Russia e Italia. Si delineò un altro modo per acquisire i capitali
necessari alle attività industriali: gli investimenti bancari (le banche d’investimento raccoglievano denaro dai
risparmiatori per impiegarlo nel settore più redditizio). Lo stato interveniva sempre più spesso direttamente
in economia con finanziamenti alle industrie e dazi protettivi per le merci importare dall’estero. Il problema
principale dei governi era l’incremento della ricchezza complessiva del paese quindi vennero introdotti
interventi nel campo sociale, come la tutela degli operai, la lotta all’analfabetismo e gli investimenti nel
campo dell’istruzione tecnica e universitaria per esigenze di protezione e qualificazione della manodopera
oltre che per favorire il progresso scientifico ed industriale.
Gli Stati Uniti nel 1913 contribuivano alla produzione mondiale per il 36%. L’introduzione della produzione
in serie e della catena di montaggio grazie al sistema teorizzato da Taylor permise di aumentare i salari e
stimolò la domanda interna.
Gli anni tra le due guerre conobbero la più grande crisi economica dell’età contemporanea. Il crollo della
borsa di New York fece precipitare le economie di tutto il monto. Tra il 24 e il 29 ottobre del 1929 la borsa
di New York segnò un trend negativo, le banche avevano bisogno di denaro per compensare le perdite di
valore delle azioni possedute ma i risparmiatori non avevano più disponibilità di liquidi. Molte industrie
dovettero chiudere, aumentarono i disoccupati mentre enormi capitali investiti in Europa facevano ritorno in
patria. All’origine del collasso vi era la grande speculazione borsistica degli anni precedenti. La produzione
industriale degli USA calò del 50% tra il 1928 e il 1932.
Keynes postulò una teoria in cui sosteneva che i governi dovevano effettuare investimenti anche a costo di
creare inflazione, secondo lui solo l’investimento pubblico avrebbe fatto ripartire la domanda di lavoro e
restaurato l’equilibrio produttivo inceppatosi. Negli USA gli sforzi per uscire dalla crisi furono compiuti da
Roosvelt, attuò una politica di incentivi, commesse pubbliche e un piano di regolamentazione del mercato.
Questo programma di interventi prese il nome di New Deal. L’URSS fu l’unico grande paese rimasto
indenne dalla catastrofe economica in virtù della propria autoesclusione dal mercato internazionale.
Il nuovo ordine economico mondiale uscito dal secondo conflitto 39-45 si fondava sul principio della
cooperazione e libero scambio e ciò consentì una ripresa generale in tempi rapidi. Gli stati rinforzarono i
meccanismi di protezione (istruzione, salute, previdenza) a partire metà degli anni 40, si iniziò a parlare
welfare state (stato del benessere o stato sociale). Il miracolo economico degli anni 50 e 60 si fondava su un
presupposto di squilibrio sostanziale: una minoranza di paesi monopolizzava le materie prime ed e mercati
mondiali. Il benessere dei cittadini occidentali si fondava sullo sfruttamento di enormi masse di individui,
prevalentemente concentrate nell’emisfero meridionale. Quando nel 1973 in conseguenza alla guerra arabo-
israeliana il prezzo del petrolio fu quadruplicato, il meccanismo di crescita si inceppò. Le industrie
vendevano meno e riapparve la disoccupazione.
4. LE IDEOLOGIE

2
L’ideologia è composta da elementi teorici, idee, valori e credenze. Assume le caratteristiche di un sistema
includendo al proprio interno numerosi elementi che interagiscono tra loro, da un lato intende fornire gli
strumenti per comprendere la realtà, dall’altro intende fornire una guida.
Essa nasce dalla convergenza di concetti/valori di più individui in tempi e luoghi differenti. Le ideologie
ispirano la costruzione di istituzioni, si incarnano in personaggi/movimenti e sono analizzate dagli storici.
Esse debbono essere salvaguardate perché rappresentano il prodotto di una lunga evoluzione storica.
Una ideologia può ritenere che il mondo perfetto sia già esistito in un tempo remoto e che poi sia stato
corrotto da eventi successivi, in questo caso essa intende tornare alla situazione positiva passata. Oppure
potrebbe puntare alla trasformazione del contesto. Inoltre, essa deve indicare quale sia il soggetto legittimato
a detenere il potere politico (tutti gli individui; un unico soggetto; una categoria sociale), deve affrontare il
rapporto tra Stato e società ovvero quanto il primo possa e debba intervenire sul secondo.
L’IDEOLOGIA REAZIONARIA intende reagire a un evento che giudica negativamente, punta a ripristinare
una condizione simile a quelle che esisteva prima del mutamento.
ANTIRIVOLUZIONARI ritengono che l’assetto politico/sociale debba essere modellato sulla base dei
principi che derivano dall’ordine naturale delle cose, la rivoluzione appare una ribellione ai dettati di Dio. Il
potere politico spetta al re che deve anche egli rispettare tali principi. Le strutture della società sono
considerate più importanti del singolo soggetto (famiglia, chiesa ecc), i singoli soggetti sono tenuti a
conservare la posizione sociale a loro assegnata alla nascita.
Il CONSERVATORISMO a differenza del reazionarismo non rifiuta il mutamento ma accetta di interagire
con esso, pure se intende rallentarlo e limitarne i danni. I valori che un conservatore intende salvaguardare
sono: la struttura gerarchica della società (quindi egli è anti egualitario ritiene che le differenze tra gli uomini
non possano essere eliminate e che chi sta in alto abbia il dovere di guidare chi si trova in basso); l’ordine
sociale la piramide gerarchica non deve essere contestata, i diversi strati che la compongono non devono
entrare in contrapposizione ma cooperare.
Il CONSERVATORISMO SOCIALE teorizza l’intervento pubblico al fine di tutelare i meno abbienti con
sussidi, assicurazioni, pensioni. Cercarono di cancellare l’idea di lotta di classe, sono avversi ai principi della
democrazia: il potere politico spetta agli strati superiori della società coloro che sono abituati a utilizzarlo è
sbaglia per loro l’idea che chiunque abbia il diritto di partecipare al governo di essa.
LIBERALISMO l’elemento centrale dell’ideologia è l’individualismo, la tutela del singolo e la sua
valorizzazione di fronte agli organismi collettivi, non agisce in base a un piano razionale nel quale è
designato un mondo perfetto, né ritiene che sarà mai possibile, ma ha fiducia in un processo di
miglioramento graduale.
La libertà dell’individuo deve essere difesa dal potere pubblico, essi però ritengono che lo Stato debba
esistere perché deve intervenire quando la libertà del soggetto è vincolata dal potere sociale oppure da altri
individui, lo Stato in questo caso ha il dovere di intervenire.
La libertà economica è difesa in virtù della convinzione che essa sia lo strumento più efficace per
promuovere il benessere collettivo. L’esistenza d’istituzioni rappresentative premette ai cittadini di
ostacolare i provvedimenti lesivi alla loro libertà. I liberali ritenevano che tale potere dovesse essere affidato
a chi dava garanzia di saperlo usare, i criteri utilizzati per identificare i soggetti erano: proprietà e istruzione.
RADICALISMO estremo sostenitore dei diritti degli individui, della limitazione del potere dello Stato e
della libertà economica si è opposto alle istituzioni non rappresentative, desiderando che quelle
rappresentative si avvicinassero al popolo. Il liberalismo ammette un solo tipo di uguaglianza FORMALE
(tutti devono essere uguali di fronte alla legge). Quanto alle diseguaglianze esistenti nella società ritiene che
esse siano inevitabili, spesso giustificate dal merito individuale, oltre che utile a promuovere la competizione
e quindi lo sviluppo della società. Il liberalismo è considerato l’ideologia della globalizzazione.
NEORADICALI (salvaguardano i diritti delle minoranze).

3
SOCIALISMO Attribuisce massima priorità al corpo sociale ed all’uguaglianza dei suoi membri all’interno.
Comporta la scomparsa della proprietà privata e l’introduzione di forme collettive di gestione della
produzione. Secondo Marx l’elemento chiave del divenire storico è lo scontro tra le classi il cui esito è
costituito dalla sconfitta della classe dominante in un determinato momento ad opera del gruppo sociale
subordinato. La dittatura del proletariato sarebbe diversa poiché per la prima volta andrebbe al potere la
maggioranza della popolazione. Durante la Rivoluzione russa Lenin operò una rielaborazione del pensiero di
Marx, sostenendo che la sola via praticabile per la realizzazione della società senza classi era la rivoluzione.
Il comunismo russo finì per dar vita ad un apparato autoritario e dittatoriale dominato dal partito unico. Tra i
due conflitti mondiali il comunismo leninista si diffuse in tutta Europa e dopo il 1945 cominciò a imporsi
anche nei paesi che stavano uscendo dal processo di decolonizzazione ed in Cina.
5. LA TRASFORMAZIONE DELLA POLITICA E DELLE COSTITUZIONI
Nell’800 i paesi usciti dall’Ancien Regime si diedero un’organizzazione politico-istituzionale che si rifaceva
ai modelli britannico e francese. In Gran Bretagna a partire dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688 si avviò il
costituzionalismo liberale: il potere esecutivo era esercitato dal governo al cui vertice si insediava il leader
del partito vittorioso alle elezioni. Il potere legislativo era detenuto da due camere: elettiva e Lord composta
da membri ereditari o vitalizi. Quest’ultima aveva il compito di preservare le tradizioni e di rallentare i
mutamenti promossi dalle istituzioni efficienti. C’erano due partiti, liberale Whig e conservatore Tory.
In Francia dopo vari tentativi di importare il modello inglese, solo con la terza repubblica si introdusse la
forma del costituzionalismo parlamentare. Il mito del sistema britannico iniziò ad affievolirsi negli ultimi
decenni dell’800, ci si avvide che non poteva essere impiantato in realtà storicamente e socialmente
differenti come, ad esempio, in Italia. Lo statuto albertino prevedeva formalmente un costituzionalismo puro
che legava l’esecutivo alla corona e non al parlamento, la legge elettorale era basata sul collegio uninominale
a doppio turno.
Anche la costituzione dell’impero tedesco del 1871 contribuì a far tramontare il mito del modello inglese. La
costituzione imperiale era fondata sul principio monarchico e configurata come una monarchia militare.
C’era un sistema parlamentare bicamerale composto da una camera bassa e una alta. Il centro di ogni
decisione restava l’imperatore, assistito dal cancelliere dell’impero che era a capo dell’esecutivo e
responsabile solo di fronte all’imperatore.
La Prima guerra mondiale aveva diffuso nella società modelli e valori propri della vita militare, ampliato e
consolidato il ruolo dell’esecutivo e accresciuto le pretese di partecipazione politica delle masse.
La rivoluzione bolscevica portò alla formazione di un modello di partito nuovo: non più di massa ma di
quadri selezionati e rivoluzionari di professione col compito di causare una rottura violenta della continuità
statuale. L’esportazione di questo modello sarebbe stata la sfida al capitalismo su scala mondiale. Il tentativo
non riuscì.
Il primo dopoguerra conobbe tentativi volti a rafforzare il patrimonio liberaldemocratico, il più importante fu
rappresentato dalla repubblica di Weimar, Germania 1919, repubblica federale dotata di un parlamento
bicamerale, un governo che doveva ricevere la fiducia del parlamento e di un presidente eletto ogni 7 anni a
suffragio universale. Tale sistema costrinse il presidente della repubblica nel 1933 ad affidare il governo a
Hitler.
La democrazia è stata sconfitta nel 17 in Russia, in Italia nel 22 e in Germania nel 1933. Questa stagione tra
le due guerre mondiali è chiamata l’era delle tirannie. Il regime di Hitler assunse i caratteri di una dittatura
repressiva a partito unico. Nel 1934 Hitler unifica nella sua persona le funzioni di capo di stato e capo del
governo. Venne abolito il sistema federale, soppresso il pluralismo politico e la progressiva conquista di
quasi tutti i ruoli di dirigenza da parte di uomini del partito che godevano di piena fiducia da parte di Hitler.
Il fascismo ebbe la svolta in senso autoritario solo dopo il 1925 con l’approvazione delle leggi fascistissime.
Furono eliminate le opposizioni e sottratto il governo dal controllo delle camere, la prassi elettorale venne
sostituita con un sistema plebiscitario su lista unica quindi nel 1929 la conseguenza fu un regime

4
monopartitico. Una legge del 1939 abrogava la camera elettiva sostituendola con quella dei fasci e delle
corporazioni.
Le democrazie risorsero solo dopo il secondo conflitto mondiale.
6. RELIGIONI E SECOLARIZZAZIONE
Con l’incidere della modernità le religioni dovettero far fronte ad una serie di sfide, cambiamenti economici
e politici. Con il concetto di secolarizzazione si indica un processo di ridimensionamento della sfera
religiosa a vantaggio di quella profana e descrive il processo connesso alla diffusione della modernità in cui
il ruolo delle chiese viene eroso.
La modernità è l’esito di un processo connesso alla nascita del capitalismo industriale che a sua volta ha
inciso sui processi di inurbamento, massicci flussi migratori cambiarono le città europee ed americane
contribuendo alla nascita delle società multi-religiose. Inoltre, i risultati della scienza moderna si posero in
contrapposizione con le certezze religiose.
La modernità contribuì alla diffusione dello stato liberale all’interno di esso si diffonde la teoria della
tolleranza religiosa, nel corso del 600 si manifestarono i primi conflitti tra religione e scienza.
La religione è un sistema che per essere tale deve comporsi di un gruppo, di un numero di credenti e riti,
attraverso i quali il gruppo si tiene in contatto.
I sistemi religiosi ebbero differenti reazioni all’avvento della modernità: il protestantesimo mostrò un
atteggiamento aperto nei confronti delle scoperte scientifiche, mostrò una grande apertura nei confronti della
critica biblica. Religione della modernità, per prima riconobbe il principio di libertà di coscienza, la
separazione tra stato e chiesa, interesse e apertura nei confronti delle altre religioni.
È sulla questione relativa alle scoperte scientifiche che il protestantesimo manifestò il suo rifiuto dando vita
al FONDAMENTALISMO RELIGIOSO (reazione alla modernità, recupero dei principi fondamentali).
Il cattolicesimo ebbe un rapporto più conflittuale con la società moderna, alcuni storici hanno individuato
questo conflitto nella Rivoluzione francese e nei suoi orientamenti anti-clericali che sfociarono nello scontro
violento con la chiesa cattolica. Ma il concilio di vaticano II negli anni 50 del XX secolo riconobbe il diritto
degli individui alla libertà religiosa e si impegnò attivamente nel dialogo con le altre chiese.
L’ortodossia (cristianesimo ortodosso) raggruppa tutte le chiese cristiane che cessarono di considerare la
chiesa di Roma come il punto di riferimento unico ed esclusivo del mondo cristiano. Anch’essa si
caratterizzò per la sua riluttanza a recepire gli elementi della cultura moderna.
L’ebraismo i cui seguaci, all’inizio dell’era cristiana, vennero sradicati dalla terra d’origine, la Palestina, e si
trasferirono attraverso la diaspora in ogni angolo del mondo. Gli ebrei erano appena tollerati, impossibilitati
a svolgere i commerci, subirono l’espulsione da varie nazioni e furono relegati in luoghi separati dal resto
della popolazione. Solo nel 1948 si chiuse con la nascita di Israele il lungo processo di ottenimento dei diritti
da parte della popolazione ebraica. L’ebraismo fu in grado di confrontarsi con la modernità, accogliendo i
metodi e i risultati delle scienze moderne.
L’islam fondato sull’idea della sottomissione ad un unico Dio (allah) e sulla predicazione di Maometto.
L’islam possiede una tradizione orale utilizzata per regolare la vita dei fedeli. La casta dei sacerdoti è
assente. Alcune correnti dell’islamismo contemporaneo vengono classificate come fondamentalismo
islamico, la cui caratteristica è la tendenza dei fedeli a far precipitare l’appartenenza alla religione
musulmana nello spazio pubblico e istituzionale.
7. LE RELAZIONI INTERNAZIONALI
L’ordine di Vienna, fissato tra il 1814 e il 1815 dai paesi della coalizione antinapoleonica cominciò a
disgregarsi intorno al 1848. La rivoluzione che dilagò in Europa, con eccezione di Gran Bretagna e Russia,
era condotta per realizzare la sovranità nazionale. L’unificazione dell’Italia e della Germania sconvolse la

5
carta europea. O. Von Bismark operò un piano di unificazione. La guerra all’Austria del 1866 fu il passo
decisivo per escludere gli Asburgo dagli affari tedeschi mentre quella alla Francia del 1870 permise a
Bismark di completare l’opera di unificazione dei diversi stati tedeschi sotto la corona prussiana e creare così
il nuovo Reich Tedesco.
Nel frattempo, la Gran Bretagna aveva accentuato il suo carattere di potenza marittima e mondiale con un
atteggiamento di “splendido isolamento”.
La Russia ebbe modesti miglioramenti del proprio status nel mar Nero e sostegno tedesco alla causa della
repressione polacca. La Francia sconfitta iniziò subito a covare rancore nei confronti della Germania.
Bismark diventò il guardiano del nuovo ordine europeo e fece dello stato tedesco il perno degli equilibri
internazionali.
Dopo la conclusione dell’epoca bismarckiana nel 1890 l’Europa entrò in una spirale in cui ciascuno stato
ambiva ad avere caratteri imperiali e a svolgere una politica di potenza. Iniziarono le alleanze bilaterali e
intese segrete e con il tempo si formarono due blocchi contrapposti: Triplice Alleanza (Germania, Austria-
Ungheria e Italia) e dall’altro c’era l’alleanza franco-russa. Nel 1904 ci fu il riavvicinamento franco-inglese
(detto Entente cordiale). L’esasperazione dei contrasti portò alla Grande Guerra.
La guerra europea divenne poi mondiale in seguito all’intervento giapponese contro la Germania e
all’ingresso degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa nel 1917 quando il presidente Woodrow Wilson impegnò
contro il militarismo tedesco il potenziale militare e ideologico degli Stati Uniti. Nel 1917 la Russia uscì
dalla guerra perché travolta dalla rivoluzione bolscevica.
Wilson si impegnò nella costruzione di un moderno ordine internazionale con l’idea di una organizzazione
giuridica permanente della pace, imperniata su stati democratici e nazionali, l’autodeterminazione dei popoli
e lo sviluppo democratico. Al congresso di Parigi del 1919 la proposta di Wilson si scontrò con le potenze
vincitrici, in particolare con la Francia che impose un diktat alla Germania ritenuta unica colpevole. Il
progetto di Wilson fece comunque nascere la Società delle Nazioni anche se presentò da subito i limiti.
Gli anni 20 furono contrassegnati da una stabilizzazione dell’ordine europeo, migliorarono le relazioni
franco-tedesche dopo il 1925. L’URSS nel frattempo aveva scelto una linea di isolazionismo rispetto al
capitalismo mondiale. In Germania la radicalizzazione politica, frutto della disoccupazione, favorì il
movimento nazionalsocialista e questo fece si che Hitler potesse sfruttare il disorientamento della
popolazione per attuare un’aggressiva propaganda antisemita e xenofoba.
L’intervento dei regimi nazista e fascista a fianco dei nazionalisti guidati da Francisco Franco nella guerra
civile di Spagna furono i passi successivi verso lo scontro internazionale tra fascismi ed antifascisti. Il
rafforzamento delle posizioni tedesche in Europa giunse al culmine nel 1938 con l’annessione dell’Austria e
le pressioni sulla Cecoslovacchia per la cessione della regione dei Sudeti, a maggioranza tedesca. Francia e
Inghilterra adottarono l’idea dell’appeasement che intendeva pacificare il dittatore tedesco accettandone le
richieste e confidando che avrebbe attenuato la sua aggressività. Nella conferenza di Monaco nel 1938
accettarono ma la nuova sfida hitleriana del 1939 spense le speranze (smembramento della restante
Cecoslovacchia, patto di non aggressione con l’URSS e invasione della Polonia). La dichiarazione di guerra
di Francia e Gran Bretagna alla Germania il 3 settembre 1939 aprì la strada ad una nuova guerra. Nel 1940 la
Germania sconfigge la Francia e isola la Gran Bretagna, nel 1941 Hitler invade l’URSS in violazione
dell’accordo. Il Giappone sfida il potere marittimo inglese e americano (attacco alla base militare di Pearl
Harbor). Intervengono gli Stati Uniti cooperando con Gran Bretagna, Stati Uniti e URSS: questi 3 paesi
avviarono lunghi negoziati sul futuro assetto europeo non privi di contrasti. Nel 1945 nasce
L’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Al termine della guerra si delineò subito il bipolarismo delle due superpotenze. Fu impossibile accordarsi sul
futuro della Germania che venne divisa in due. La guerra fredda si configurava come una guerra ad alto
contenuto ideologico, contrassegnata dalla permanente minaccia di una guerra atomica. Si raggiunse ben
presto quindi l’equilibrio del terrore che impedì lo scoppio di un nuovo conflitto generalizzato.

6
La guerra di Corea del 1950-53 fu l’episodio di militarizzazione più serio ma si fermò entro i confini della
penisola asiatica. In Europa invece la divisione delle due sfere d’influenza lungo l’immaginaria cortina di
ferro garantirono una certa stabilità, ci furono alcuni episodi di crisi come nel 1956 le rivolte polacca e
ungherese. (sfociata quest’ultima nell’intervento armato sovietico a Budapest).
Al di fuori dell’Europa le tensioni della guerra fredda si fecero sentire, il processo di decolonizzazione portò
alla nascita di molteplici nuovi stati indipendenti negli anni 50/60. I paesi di nuova indipendenza cercarono
di uscire dalla logica del bipolarismo e la conferenza di Bandung dei popoli afroasiatici nel ’55 creò le basi
di un modello di emancipazione del cosiddetto Terzo mondo che portò poi al movimento internazionale dei
paesi non allineati.
Nel 1956 si avvia la destalinizzazione in URSS a opera di N. Chruscev. Ci furono momenti di crisi come la
costruzione del muro di Berlino nel 1961 o la crisi internazionale a Cuba nel 1962, ma la situazione più
critica è in Vietnam, anni ’60 dove dopo la fine dell’occupazione francese nel 1954 portò alla divisione
provvisoria del paese in due parti. Il coinvolgimento americano dal 1963 al 1965 per contrastare i ribelli
vietcong contro il regime filoccidentale di Saigon fu il segnale della volontà americana di estendere il
modello del containment in tutto il mondo.
Negli anni prevalse la leadership americana, normalizzò i rapporti con la Cina, pose fine alla guerra in
Vietnam, offrì appoggio agli stati intermedi (Iran. Israele, Pakistan, Arabia Saudita e Brasile. Al contrario
l’unione sovietica mostrava segni di decadenza, con un sistema economico pianificato immobile e crescenti
spese militari. Nel 1985 Gorbacev avviò una politica di rivitalizzazione del sistema sovietico. Abbandonò le
tensioni della guerra fredda, ritirò le truppe d’occupazione in afghanistan e ridusse la presenza militare all’est
europeo. La guerra fredda si concludeva. Nel 1991 ci fu la dissoluzione dell’URSS.
8. I MOVIMENTI DELLE DONNE
Il 900 è stato definito il secolo delle donne, nel XX secolo sono giunti a conclusione quei processi
avviati nel 700, attraverso i quali le donne hanno conquistato i diritti di cittadinanza, diritti politici,
sociali, civili e hanno affermato la loro soggettività̀ nella sfera pubblica e privata.
Secondo il pensiero greco la donna non era in grado di sviluppare un ordine morale di costituirsi come
soggetto, il suo ruolo era legato alla sfera familiare, alla procreazione e cura della famiglia. Esse erano
soggette all’autorità̀ del padre o del marito.
Fin dall’inizio i movimenti delle donne si sono mossi su due lati: la rivendicazione dell’uguaglianza e la
richiesta di accesso ai diritti universali.
Nel 1890 nacque la National American Woman Suffrage Association che avviò una forte campagna di
mobilitazione e tale circolazione delle idee femministe fu favorita dallo sviluppo dei primi giornali
femminili. Tale associazione legittimava le donne non solo come mogli e/o madri ma anche come
cittadini. L’accesso all’istruzione superiore fu elemento importante della battaglia, alle donne era vietato
l’accesso alle università̀ . Inoltre lottarono per il riconoscimento della maternità̀ , per il miglioramento
delle condizioni di vita delle donne lavoratrici. In Italia nel 1910 fu istituita la cassa di maternità̀ .
Nel 1949 la scrittrice BEAUVOIR pubblicò nella cosiddetta seconda ondata il volume IL SECONDO
SESSO, affermando che la prima condizione per il processo di liberazione della donna era costituita
dall’evoluzione della sua condizione economica, politica e sociale. Il movimento femminista ebbe come
obiettivo anche la liberazione della donna dal potere patriarcale.
Inoltre, negli Stati Uniti le femministe afroamericane misero in evidenza la loro doppia oppressione
come donne e come nere.
Molte e importanti sono state le conquiste raggiunte leggi per la parità̀ salariale, contro la
discriminazione, la violenza, le leggi di legalizzazione dell’aborto.

7
La Prima guerra mondiale ebbe effetti importanti nel movimento suffragista. In Francia solo nel 1965 le
donne furono emancipate dalla tutela maritale, le leggi del 1975 e del 1985 introdussero il divorzio
consensuale, la depenalizzazione dell’adulterio e la parità completa dei coniugi nella gestione del
patrimonio. Italia, Spagna, Portogallo e Grecia le adottarono solo nel 1975-1980.
9. MASS MEDIA E POLITICA
Intorno agli anni 40-50 del XIX secolo con la messa a punto del telegrafo elettrico fu possibile spezzare
il legame tra trasporto e comunicazione dei messaggi. L’invenzione del telegrafo e quella del telefono
(1876) cambiarono le forme di comunicazione pubblica e privata. Tra gli anni ’50 e la prima guerra
mondiale era ancora la stampa il mezzo principale di comunicazione ed informazione. Questi anni sono
considerati l’età dell’oro della stampa che ebbe come effetto l’innalzamento del livello medio di
istruzione e la nascita di una vera e propria industria legata all’editoria dei giornali. Nacque la stampa
popolare (penny paper), con un linguaggio più leggero, brillante e vivace e anche rubriche destinate al
pubblico femminile. Solo all’indomani della Prima guerra mondiale si compresero le enormi potenzialità
di questo mezzo in quanto fu ampiamente utilizzato a fini di propaganda politica.
Dopo la guerra totale entrò un concorrente: la radiodiffusione, operante dal 1895 grazie agli esperimenti
di Marconi, divenne strumento diffuso e popolare, poteva raggiungere un numero ampio di utenti ed
operava in tempo reale. La diffusione in Europa e negli stati uniti fu rapidissima. Lo sviluppo della
radiofonia ruotava attorno due modelli originari: quello americano, formato sulla libertà di antenna e si
finanziava attraverso la pubblicità e quello britannico, non contemplava la pubblicità ed era finanziato
dagli abbonamenti del pubblico. La BBC in origine era una società privata che nel 1923 ricevette
l’autorizzazione a trasmettere e divenne poi impresa pubblica con il monopolio della radiodiffusione. La
maggior parte dei sistemi radiofonici sorti in Europa ebbe caratteri misti. Negli anni Trenta la radio
iniziò ad essere utilizzata per l’informazione e la propaganda politica. (celebri discorsi al caminetto del
presidente americano Roosvelt). I regimi totalitari fecero ampio uso della funzione propagandistica della
radio, infatti furono proprio le vicende belliche ad accentuare le funzioni politiche della radio.
La BBC cominciò a trasmettere in 45 lingue verso tantissimi paesi e finì per rappresentare per gli europei
la voce della libertà dinnanzi alle barbarie delle dittature.
La televisione conquistò tra il 1947 e 1954 oltre la metà delle abitazioni americane, in europa arrivò un
decennio più tardi. In Europa occindentale gli enti radiofonici pubblici si trasformarono in enti
radiotelevisivi. Negli Stati Uniti sorsero televisioni commerciali finanziate dalla pubblicità.
La rivoluzione operata dalla televisione agì a livello sociale e culturale, modificando i costumi dei
cittadini e i rapporti tra vita privata e pubblica. Nel corso degli anni 60 la televisione era vista come un
bene indispensabile. L’impatto della tv fu decisivo anche per la vita pubblica, a questo proposito i
sociologi statunitensi parlano di telepolitics, una forma di spettacolarizzazione del discorso Politico.
Oggi si assiste ad una mediatizzazione della politica, le idee e i contenuti si stanno sottoponendo alle
esigenze dei foramti televisivi e/o mediatici.
CAPITOLO 2 – 1848. LA RIVOLUZIONE DEGLI INTELLETTUALI E L’AFFERMAZIONE DEL
COSTITUZIONALISMO
La prima scintilla scoppia nel gennaio del 1948 in Sicilia dove la borghesia, alla guida del popolino, e
qualche aristocratico insorgono contro i Borbone. Le richieste dei rivoltosi vanno dall’indipendenza della
Sicilia rispetto a Napoli fino al ripristino della costituzione siciliana del 1812. In un contesto politico molto
diverso si accende uno scontro fatale che destituisce Luigi Filippo d’Orleans, il re cittadino.
Dalla Francia il clima di insurrezione si trasmette alla Prussia, all’Austria e ai paesi dell’Europa centrale più
o meno direttamente controllati dall’impero asburgico. La Russia resta estranea. La Spagna invece vive nella
continua instabilità politica. La Rivoluzione del 1848 ha come teatro l’europa centro-continentale.
1. IL NUOVO CROLLO DELLA MONARCHIA FRANCESE

8
Nel febbraio 1848 si ha in Francia un movimento rivoluzionario principalmente perché la monarchia si stava
rivelando sorda alle richieste di equità sociale e partecipazione politica. Viene abbattuta la monarchia e viene
istituita la Seconda repubblica con provvedimenti di grande impatto sociale e politico:
− liberazione degli schiavi nelle colonie;
− riduzione dell'orario di lavoro;
− abolizione della pena di morte;
− creazione di opifici nazionali (= per mitigare la disoccupazione impiegando gli operai in lavori pubblici
finanziati dallo stato)
L’iniziativa degli ateliers non godeva di un totale sostegno neppure all’interno del governo provvisorio. Il
primo segnale di cambiamento si ha con le elezioni a suffragio universale maschile per la formazione di
un'Assemblea costituente per la fine d’aprile dove la maggioranza dell’Assemblea viene occupata dallo
schieramento repubblicano moderato che è tradizionalmente conservatore. Una volta istituita però dimostra
un profilo moderato chiudendo gli opifici nazionali, questo genera gravi disordini, la rivolta del popolo di
Parigi è immediata, rivolte che vengono represse duramente. Questo segna la fine dell'esperienza socialista.
Nel novembre 1948 viene eletto Luigi Napoleone Bonaparte (Napoleone III ) che prima si dichiara
Presidente della Repubblica (paladino delle classi lavoratrici), poi fa un colpo di stato e poi si fa nominare
Imperatore dei francesi. La rivoluzione del 48 ritorna alla normalizzazione, si ha una saldatura tra alcuni
elementi che rievocano la struttura dello Stato napoleonico, un desiderio di ordine e il mantenimento di una
tranquillità sociale interna.
2. I TERRITORI DELL’IMPERO ASBURGICO
Tra i popoli di lingua tedesca, forzatamente riuniti all’interno di una Confederazione germanica dai
restauratori di Vienna, gli eventi di Parigi riaccendono la fiamma del desiderio di unificazione. Il 13 marzo la
rivolta scoppia a Vienne, il primo capro espiatorio è il cancelliere Metternich. La cacciata di quest’ultimo è
stato il tentativo per incanalare la rivolta contro il simbolo per eccellenza della restaurazione ed è anche la
precisa scelta di allontanare dalla corte colui che per la sua politica militare ad alti costi si è reso responsabile
di una situazione finanziaria che rasenta la bancarotta dell’impero. L’allontanamento di Metternich ha un
effetto boomerang. Budapest, Venezia, Milano e Praga insorgono creando notevoli difficoltà al governo
dell’impero. In Prussia gli insorti chiamano a raccolta tutti i popoli della Confederazione affinché
liberamente i tedeschi si diano una propria costituzione. A Budapest le forse autonomiste approfittano della
crisi del governo di Vienna per promuovere una secessione di fatto dall’Austria: vengono modificati i
rapporti feudali che ancora governavano le campagne, si ristruttura la gestione del potere centrale eleggendo
un nuovo parlamento a suffragio universale, creando un governo indipendente e avviando l’organizzazione
di un esercito nazionale che funga da garanzia reale al nuovo ordine costituito.
3. LA QUESTIONE ITALIANA
La rivolta si allarga ai territori della penisola controllati dagli austriaci: Milano e Venezia insorgono. A
Venezia il 17 marzo Daniele Manin dichiara costituita la Repubblica veneta; a Milano l’insurrezione è alla
guida di Carlo Cattaneo. L’idea che si persegue è la costituzione di una federazione di stati italici che prenda
le distanze da pretese dinastiche. Queste pretese vengono in parte modificate dalla dichiarazione di guerra
all’Austria da parte di Carlo Alberto di Savoia. Vincono gli austriaci sui piemontesi ma il fallimento della
prima guerra di indipendenza non chiude lo stato insurrezionale che anima i movimenti irredentisti del
risorgimento italiano. Restano tre repubbliche: quella toscana, veneta e romana. Il loro destino è segnato
dalla capacità dell’Impero austroungarico di far rientrare la rivoluzione. A Vienna viene fatto abdicare
l’imperatore Ferdinando I e viene posto sul trono Francesco Giuseppe che concede una costituzione
moderata che ribadisca l’impianto centralistico dell’impero. L’Austria interviene contro la Toscana, contro
Venezia e contro i territori delle Legazioni pontificie. Mentre viene messa a tacere la rivoluzione italiana
l’esercito austriaco ha ragione anche della rivolta ungherese. Per l’impero austriaco i moti del ’48 possono
ritenersi battuti.
4. LA QUESTIONE TEDESCA

9
In Prussia l’insurrezione ha due valenze: una liberale interna contro la monarchia di Federico Guglielmo IV;
una pantedesca che punta alla creazione di uno stato sovrano fuori dalla logica confederativa imposta nel
1815. Federico Guglielmo IV concede una costituzione che tende a riaffermare il ruolo della corona. Da tutti
gli stati della confederazione germanica vengono mandati a Francoforte dei rappresentanti, eletti a suffragio
universale all’interno di ogni singolo stato, con il compito preciso di redigere una costituzione per la nuova
nazione tedesca. L’Assemblea si divide fin dall’inizio sul problema dei confini dello stato a cui deve essere
riconosciuta la leadership nel processo di unificazione: i grandi tedeschi a favore di una grande Germania i
cui confini si estendono all’Austria, a cui paese va riconosciuto il potere di guida; i piccoli tedeschi
favorevoli alla creazione di una piccola Germania da cui resti esclusa l’Austria e quindi il ruolo di leader
viene riconosciuto alla Prussia. La maggioranza dell’assemblea vota per l’esclusione dell’Austria.
Nell’aprile 1849 i rappresentanti tedeschi di Francoforte presentano a Federico Guglielmo IV, il re di
Prussia, la corona di un impero tedesco simbolo della raggiunta unità dei popoli tedeschi. Il gran rifiuto che il
re oppone, nella volontà di non legittimare alcun potere che venga dal popolo, rende vano l’operato di questa
Assemblea che nel giugno 1849 si disperde con la forza dalle truppe del governo di Wurttemberg.
5. CHE COSA RESTA DEL ‘48
La Rivoluzione del 1848 si conclude restituendo il potere nelle mani delle élite conservatrici. L’indipendenza
resta un sogno irrealizzato. Il dato che accomuna i testi costituzionali è la limitazione del potere dei sovrani.
CAPITOLO 3 – 1860. LA GUERRA CIVILE AMERICANA
Nel 1860 al momento dell’elezione di Lincoln, gli Stati Uniti erano uno stato-continente, il secondo per
estensione nel mondo euro-americano ed il terzo per popolazione, dopo Russia e Francia. Il federalismo
portò all’ingresso nell’Unione di venti nuovi stati con diritti uguali a quelli dei 13 originari. Nel 1860 gli
Stati Uniti non erano più solo un paese agricolo ma avevano completato la propria rivoluzione industriale.
L’America di metà 800 era un paese ricco, con un benessere diffuso capace di servirsi delle tecnologie di
punta, possedeva metà delle ferrovie mondiali le quali davano vita a un’industria siderurgica e meccanica di
primo piano. Il generale sviluppo economico aveva caratteristiche differenti tra Sud e Nord. Gli stati del nord
abolirono uno dopo l’altro la schiavitù, inutile all’economia e moralmente osteggiata, e videro compiersi la
rivoluzione industriale. Nel Sud c’era la prevalenza di un’economia agraria schiavista e portò i bianchi a
equiparare operai e schiavi, entrambi privi di autonomia, e a considerare il lavoro dipendente indegno di un
uomo libero. Nel Nord c’era l’idea che fosse il lavoro in sé, autonomo o salariato, a dare dignità ed
autonomia al singolo. Il buon cittadino era un lavoratore ed il lavoro libero che dava il reddito per sostenere
la famiglia, divenne nella cultura nordista il diritto-dovere di ogni americano. Nord e Sud erano
profondamente integrati. I nordisti non avevano interesse a costringere i sudisti a fare lo stesso.
Fu la progressiva divaricazione culturale che si diede a partire dalle opposte visioni sulla natura della
repubblica.
3. L’ESPLODEE DELLE TENSIONI
Nord e Sud si erano spesso scontrati su questioni politiche ed economiche. La rigida difesa sudista del
sistema di piantagione parve ai nordisti parte di una generale avversione al progresso economico e morale
del paese; mentre a sud il materialismo e l’amore del Nord per un astratta libertà venivano contrapposti alla
vera libertà dei bianchi sudisti, legati alla terra, alla comunità locale, alle tradizioni. Nord e Sud presero ad
auto percepirsi come entità culturali autonome ed a vedersi reciprocamente come nemici. Negli anni 50 i
sudisti, resisi conto di non potersi più espandere, perché le terre dell’Ovest adatte alla coltivazione del cotone
si andavano esaurendo, e di essere ormai minoranza nel paese in quanto gli immigrati si fermavano nel Nord
industriale, temettero che il Nord avesse la forza politica per distruggere la schiavitù e reagirono aspramente
in difesa della loro peculiare istituzione. Cercarono quindi di costituzionalizzarla approvando leggi come il
Fuggitive Slave del 1850 o ottenendo sentenze dalla Corte Suprema, come nel caso di Dred Scott del 1857
che ne riconoscevano la liceità costituzionale. Questo ha portato a radicalizzare il Nord, la cui classe
dirigente ormai pensava in termini economici continentali e pianificava la prima ferrovia dall’Atlantico al

10
Pacifico e che prese a percepire il Sud come luogo di una cospirazione schiavista che imponeva un modello
sociale ed economico retrogrado oltre che moralmente ignobile.
Il maggior partito, quello democratico, era spaccato in una componente nordista e una sudista, mentre il
nuovo partito repubblicano, fondato nel 1854 e sostanzialmente antischiavista stava divenendo la
maggioranza nel nord. La scintilla scoppiò con le elezioni del 1860. Il partito democratico presentò due
candidati, uno a Nord e uno a Sud. Abraham Lincoln vinse in tutti gli stati del Nord, ottenne la presidenza
con una maggioranza relativa del 40% del voto popolare, ma con una maggioranza assoluta del voto
elettorale che secondo la costituzione è quello che assegna la vittoria. Un mese dopo le elezioni la Sud
Carolina dichiarò la secessione dall’Unione e nel febbraio 1861 nacquero gli stati confederati del sud.
4. LA GUERRA CIVILE NEL CONTESTO INTERNAZIONALE E LE SUE CONSEGUENZE
INTERNE
La guerra civile americana venne combattuta negli anni dell’unificazione italiana e di quella tedesca, della
repressione dei moti nazionali polacchi da parte della Russia e del compromesso che diede autonomia agli
ungheresi all’interno dell’Impero asburgico; anche di una serie di guerre in America Latina che portarono al
potenziamento delle strutture statuali e nazionali di Cile, Argentina e Uruguay. Nella grande Europa furono
gli assetti interni ad essere ridefiniti attraverso l’azione di forza di un’area che si impose sulle altre: Piemonte
e Prussia in Italia e Germania, il Nord negli Stati Uniti, la Russia sulla Polonia. Ne uscì rafforzato il potere
dello stato centrale. L’emancipazione degli schiavi, proclamata da Lincoln nell’autunno del 1862, e la
scomparsa della Confederazione fanno parte di una sequenza che terminò solo con l’accordo del 1876 che
pose fine al periodo della Ricostruzione. Con questo accordo l’area nordista ebbe il via libera, si trattava di
un progetto di rapida industrializzazione che intendeva creare un mercato continentale unificato da ferrovie e
telegrafo per far circolare nel modo più efficiente i prodotti industriali, agricoli e le immense risorse
minerarie del paese. Il Congresso approvò dopo il 1865 gli emendamenti costituzionali che assicurarono
cittadinanza e diritti agli ex schiavi e tentò di ricostruire politicamente il Sud, onde fargli accettare sia
l’industrializzazione che la partecipazione dei neri alla vita sociale e politica. La resistenza sudista
all’integrazione dei neri fu talmente aspra però da convincere il Nord che la Ricostruzione aveva un prezzo
troppo alto. Alle elezioni del 1876 si accompagnò l’impegno a lasciare che il Sud gestisse da solo le proprie
questioni interne. La ridefinizione della nazione si concluse con un accordo che diede via libera al progetto
economico nordista, rafforzò i poteri del governo centrale e mise fine ad ogni ulteriore ipotesi secessionista;
ma escluse i neri dal patto nazionale e li lasciò alla mercè della volontà segregazionista del Sud e del
razzismo di gran parte del paese.
CAPITOLO 4 – 1870. IL NUOVO EQUILIBRIO EUROPEO
La causa all'origine degli eventi è sul il fatto che sul trono del Regno di Spagna si esaurisce una dinastia
senza che sia chiaro a chi tocchi la successione. Ciò scatena gli appetiti delle monarchie europee e, allo
stesso tempo, timori derivanti da un possibile disequilibrio nella distribuzione del potere politico fra le
diverse case regnanti.
Nell'intervallo 1848-1870 lo scenario europeo presenta diversi sviluppi. Il '48 aveva negato risoluzione ai
problemi delle "nazionalità" e il tentativo dai popoli di lingua tedesca di darsi una propria struttura
era abortito, ovvero quello di creare una struttura indipendente dal controllo della Confederazione germanica.
Federico Guglielmo IV rifiutò da parte della monarchia prussiana perché rifiutava l’impianto costituzionale
proveniente dal basso che avrebbe indebolito la forma statuale monarchica

1. L’UNIFICAZIONE TEDESCA
La Prussia riorganizza l'esercito e si appresta, nella seconda metà dell'800, a guadagnare quel primato che
l’Austria le ha sempre negato ("la via del ferro e del sangue", Bismarck). Il monarca prussiano, Guglielmo I,
chiama alla carica di primo ministro OTTO VON BISMARCK. Si va in questo modo pianificando per tappe
successive la costruzione di un impero tra i popoli di lingua tedesca non inclusi dell'Impero asburgico
(soluzione "piccolo-tedesca").
Le pietre miliari di questo percorso sono 3 conflitti:

11
 1864: Cristiano IX, re di Danimarca, fa un tentativo di annessione degli stati di Schleswig e Holstein
(confine Confederazione-Danimarca) dove la vittoria dell'alleanza austro-prussiana consente alla
Prussia un tentativo di annessione di questi territori al proprio. Questo sta alla base del secondo
conflitto.
 1866: la Prussia, prima di scendere in battaglia contro l'Austria, si assicura la neutralità della Francia
e l'alleanza con l'Italia (= i territori nord-orientali erano ancora controllati dall'Austria). Il conflitto
si svolge lungo i confini meridionali e l’Austria cerca alleanze negli stati del Sud (Baden, Baviera,
ecc.). Vittoria prussiana: nascono la Confederazione Tedesca del Nord (controllata dalla Prussia) e gli stati
tedeschi indipendenti del Sud, sostenitori dell’Austria, ma costretti a legarsi alla Prussia con una serie di
trattati.
Struttura della nuova Confederazione:
RE/MONARCA = Guglielmo I di Prussia
CANCELLIERE = posto alle dirette dipendenze del monarca  OTTO VON BISMARCK, artefice del
processo di unificazione tedesca, prende il ruolo di primo ministro prussiano e di cancelliere della nuova
Confederazione.
RAPPRESENTANZA = 2 organi:
1) ORGANO RAPPRESENTATIVO dei governi dei singoli stati membri della Confederazione, presieduto
dal Cancelliere (= si occupa dell'indirizzo politico dello stato);
2) ORGANO LEGISLATIVO = Reichstag eletto a suffragio universale secondo il sistema maggioritario
uninominale a due turni (non ha il potere di rovesciare il governo);
Di conseguenza, viene avviata una doppia politica, cercare di ottenere accordi militari privilegiati con gli
stati del Sud e costituire un parlamento doganale composto da Reichstag e rappresentanti degli stati del Sud.
Dopo questo, avviene il fenomeno della successione spagnola dove fra i candidati più solidi c’è Leopoldo di
Hohenzollern, della cascata reale prussiana. Il che porta [la Francia, per timore di venire accerchiata, a
chiedere al re di Prussia rassicurazioni circa il ritiro della candidatura tedesca. Il re prussiano risponde
negativamente (il rifiuto viene chiamato dispaccio di Ems reso pubblico da Bismark volutamente).
Bismarck manifesta la superiorità della Germania.
 1870: la guerra franco-prussiana termina con l’assedio di Parigi e il suo annientamento e con esso
ci fu una svolta nell'equilibrio del sistema politico

L'Impero tedesco di Bismarck si giocava tutto sul contemperamento di due fattori:


LEGITTIMAZIONE attraverso il diretto coinvolgimento della popolazione tedesca nelle scelte politiche
grazie al suffragio universale maschile che portano ad una costruzione di un'identità nazionale.
CONSERVAZIONE attraverso il mantenimento della scala gerarchica:
1) imperatore (principio monarchico  potere sovracostituzionale);
2) cancelliere;
3) ministri;
4) Bundesrat (camera rappresentativa);
5) Reichstag (camera elettiva;)

2. LE CONSEGUENZE DELLA SCONFITTA FRANCESE


La sconfitta della Francia segna la fine del Secondo impero e la formalizzazione della repubblica (1875).
Inoltre, la sua sconfitta lascia campo libero all'azione della monarchia italiana rispetto allo Stato pontificio
che, dopo la formazione del Regno d'Italia (1861), controllava la regione circostante la città di Roma.
Nel 1864 Vittorio Emanuele II e Napoleone III avevano stipulato un contratto che avrebbe dovuto
allontanare qualsiasi spinta annessionistica dell'Italia rispetto a Roma ma i segnali dimostrano che non fu
così (1861: capitale Torino, 1865: capitale Firenze, 1870: capitale Roma che porta alla piena unificazione
nazionale. Questo portò ad un nuovo equilibrio politico europeo.

3. IL NUOVO EQUILIBRIO EUROPEO


FRANCIA
La Repubblica francese si dimostra una scelta istituzionale obbligata e debole. La prima prova del fuoco che
il sistema politico francese attraversa è la sanguinosa repressione della Comune di Parigi (= tentativo di

12
autogoverno dal basso del popolo di Parigi). Da qui c’è l’avvio di una nuova forma di stato moderata basata
anche sulla demarcazione tra la tendenza conservatrice della Francia rurale e quella rivoluzionaria della
Francia urbana. Nel 1877 i conservatori, favorevoli a una repubblica presidenziale in alternativa alla
monarchia, vengono sconfitti, e le forze politiche moderato-progressiste (Partito della repubblica)
impongono l'impianto parlamentare della Terza repubblica francese.
ITALIA
Per l'Italia, il passo avanti nel processo di unificazione porta a un ridimensionamento delle differenze tra
Destra e sinistra del movimento liberale al potere. Ci fu quindi una ridefinizione delle rispettive posizioni nei
confronti dello stato e della politica di governo.
GRAN BRETAGNA
In questo periodo essa è spettatrice esterna di queste trasformazioni. Essa riconosce al nuovo Impero
tedesco la leadership del centro Europa. Negli anni '70 dell'800 continua a procedere sulla via delle
"riforme senza rivoluzione". Nel 1867 aveva trasformato il sistema elettorale, ammettendo all'elettorato
attivo gran parte delle popolazioni urbane modificando ill rapporto tra classe dirigente e società e
accorciandone le differenze. Le novità sono:
− Affermazione istituzionale dei due grandi partiti: LIBERALE e CONSERVATORE;
− Progressiva trasformazione della balance of power (= in passato caratterizzata dall'equilibrio tra corona,
camera dei Lord e camera dei Comuni) avviene affermandosi la ricerca tra la parte "emozionale" del sistema
(corona e camera dei Lord) e quella "propulsiva" (camera dei Comuni e gabinetto). Questa evoluzione
diventerà la caratteristica del cosiddetto popular government britannico.

CAPITOLO 5 – LA GUERRA ISPANO-AMERICANA E L’IMPERO STATUNITENSE


Nel 1898 gli USA dichiarano guerra all'Impero spagnolo in risposta alle azioni spagnole in Cuba, sulla quale
si era sviluppato un movimento nazionalista che rivendicava l'indipendenza dell'isola. La vittoria degli USA
segnò il controllo diretto sulle Filippine, su Portorico e sull'isola di Guam nel Pacifico; Cuba diventa un
protettorato degli USA.
La guerra con la Spagna rappresentò un salto di qualità dell’espansionismo statunitense, sempre più
focalizzata sulla globalizzazione dei propri interessi strategici ed economici (es. annessione delle Hawaii, nel
1898, - un'importante base commerciale e militare in direzione del continente asiatico).
1. CUBA
La Spagna faceva sempre più fatica a controllare Cuba e Portorico. A Cuba, le proteste sociali e le
rivendicazioni politiche avevano contribuito alla formazione di un movimento di resistenza al dominio
spagnolo che rivendicava l'indipendenza dell'isola (dagli anni '60 dell'800). Dal 1895 gli spagnoli cercano di
reprimere l’insurrezione con metodi feroci (campi di concentramento per isolare i civili dai combattenti),
queste pratiche repressive furono denunciate dalla stampa statunitense, infatti gli USA avevano forti interessi
economici in Cuba (settore saccarifero ed estrattivo). La comunità imprenditoriale americana era divisa su un
possibile intervento militare, e il presidente McKinley, optando per un gesto simbolico, invia la corazzata
Maine all'Avana per esprimere l’intenzione di proteggere l’isola ma un incidente causa l'affondamento del
Maine, ma gli USA pensano ad un attentato spagnolo e mandano un ultimatum alla Spagna:
− eliminare i campi di concentramento;
− interrompere le ostilità;
− iniziare un negoziato con i ribelli;
L'ultimatum non viene accettato e il 25 Aprile 1898 gli USA dichiarano guerra alla Spagna. Il conflitto è
breve
e trionfale per gli americani (4 mesi - più morti per malattia che quelli sul campo di guerra).
I fronti di guerra erano diversi: Cuba, Filippine (contro la flotta spagnola) e isola di Portorico
Con l’ACCORDO DI PARIGI del 1898 Cuba conquista l'indipendenza e gli USA acquisiscono Portorico,
l'isola di
Guam e le Filippine.
2. LE CAUSE
Le cause generali possono essere riassunte in quattro categorie di cause:

13
a) CONSIDERAZIONI DI ORDINE STRATEGICO per la volontà di controllare le vie di comunicazione
navale;
b) VANTAGGI ECONOMICI E COMMERCIALI = imprenditori e grandi proprietari terrieri già presenti a
Cuba sollecitarono la guerra per liberarsi dalla dominazione spagnola e sostituirsi a essa; e per la volontà di
costruire una rete di basi navali per ampliare l’economia e avere accesso ai nuovi mercati emergenti in Asia
(mercato cinese);
c) MATRICE IDEOLOGICA = guerra umanitaria contro le barbarie spagnole e guerra di civiltà per
civilizzare popoli ancora arretrati e sottosviluppati (giustificazionismo dell'espansionismo);
d) POLITICA INTERNA = la scelta di entrare o meno in guerra era influenzata da considerazioni di ordine
politico ed elettorale e ci fu un’ondata patriottica e nazionalista (favorisce la popolarità a Theodore
Roosvelt).

3. LE CONSEGUENZE
Gli USA entrano pienamente nell’arena internazionale e diventano una grande potenza. Vengono invitati a
partecipare ai vertici internazionali, fungendo anche da mediatori in alcuni momenti di
Crisi. I territori liberati diventano dei protettorati USA.
CUBA: La dichiarazione di guerra nel 1898 era stata accompagnata dall'emendamento Teller (stabiliva che
gli USA rinunciavano a qualsiasi sovranità, giurisdizione o controllo sull'isola). Tuttavia, dopo la fine della
guerra, Cuba continuò a rimanere sotto l’occupazione militare statunitense (fino al 1902). Fu promossa
inoltre una serie di investimenti finalizzati alla modernizzazione del paese. Nel 1901 fu approvato
l'emendamento Platt che vietava a Cuba la possibilità di firmare trattati con altri paesi, ponendo la politica
estera cubana nelle mani americane. Gli USA costruirono una base navale a Guantanámo e avevano la
possibilità di intervenire militarmente a Cuba per salvaguardarne l’indipendenza.
PORTORICO E FILIPPINE: Si trattava di territori non incorporati ovvero fu concesso diritto ai cittadini di
essere protetti dagli Stati Uniti, ma non quello di essere riconosciuti come cittadini statunitensi). Nelle
Filippine scoppiò un movimento di resistenza e guerriglia indigena contro l'occupazione americana (conflitto
lungo e brutale, nel quale gli USA usarono diversi metodi già utilizzati contro i nativi americani). Sul
territorio vennero poi promossi programmi di modernizzazione, nel sistema dei trasporti, in quello educativo
e sanitario, ma fecero fatica ad essere messi in atto a causa delle guerriglie. Dopo il 1905 gli USA
abbandonarono il tentativo di creare un governo locale, trasferendo tutto il potere esecutivo nelle mani di un
governatore.
MERCATO CINESE: In quel periodo scatenò gli appetiti di diverse potenze mondiali. Nel 1899 e nel 1900
il segretario di Stato Hay emise le note della porta aperta ovvero gli USA chiedevano alle potenze presenti in
Cina di non creare sfere d'influenza chiuse ed esclusive, di garantire la reciprocità di trattamento tra le varie
aree concesse dal governo cinese ai stati stranieri, ed evitare che vi fossero dazi doganali e tariffe ferroviarie
e portuali diverse. Caratteristica dell'imperialismo statunitense era che cercava di evitare sovraestensioni
territoriali; fondato sull'idea della missione civilizzatrice e sulla centralità della dimensione commerciale.
CAPITOLO 6 – FINE SECOLO
Si riproposero le tensioni riguardanti il funzionamento delle istituzioni rappresentative che avevano percorso
la storia politica europea a partire dalla Rivoluzione francese (cause: declino della proprietà terriera, ascesa
del movimento operaio, crisi economiche). Iniziò a incrinarsi la fiducia di una parte delle classi dirigenti
liberali in una possibile integrazione delle grandi masse nei regimi politici di tipo parlamentare.
Si tratta di una crisi nella quale si scontrano due visioni diverse dei SISTEMI POLITICI, quindi si poneva la
questione della definizione dell'assetto istituzionale in senso:
a) LIBERAL-PARLAMENTARE (sistema parlamentare e suffragio universale);
b) CONSERVATORE-AUTORITARIO (sistema incentrato su un esecutivo sganciato dalla volontà
dell'elettorato);

1. ITALIA

14
Nel 1896 inizia la fase acuta della crisi con la sconfitta dell'esercito coloniale ad ADUA e l’uscita di scena di
FRANCESCO CRISPI, quest’ultimo protagonista dell'inasprimento delle misure di polizia per far fronte alle
proteste del proletariato agricolo e al problema delle pressioni del movimento socialista.
In Sicilia, le agitazioni si svolsero sotto la guida dei Fasci dei lavoratori (unioni sindacali dirette da
socialisti). Crispi fece proclamare nell'intera isola lo stato d'assedio e nel 1894 approvò leggi che
aggravavano le pene per reati d’opinione a mezzo stampa e vietavano le organizzazioni con finalità socialiste
e causarono lo scioglimento del partito di Turati, deportazioni e condanne da parte dei tribunali militari.
La caduta del governo Crispi attenua la morsa repressiva, il successore di Crispi è Rudinì, concesse
l’amnistia ai detenuti politici e molti condannati in Sicilia e Lunigiana furono scarcerati.
Nel 1897 il cattivo raccolto e il carovita provocarono un incremento del numero degli scioperi e delle
sommosse a cui il governo rispose con blande misure di riforma tra cui momentanea riduzione del dazio sul
grano. Rudinì riteneva più importante intervenire contro socialisti e anarchici che considerava responsabili
principali dei disordini. Nel frattempo, usciva un famoso articolo di Sidney Sonnino “Torniamo allo Statuto”,
focalizzava le ragioni del disappunto del liberalismo più moderato nei confronti del ruolo assunto dal
parlamento (ovvero potere nuovo, parassita e ibrido, che è riuscito a usurpare le funzioni normali della
Corona). Sonnino invocava un ritorno alla lettera dello Statuto Albertino, che affidava esclusivamente al
sovrano la gestione del potere esecutivo, anziché a un presidente del Consiglio sorretto da una maggioranza
parlamentare. Nel 1898 la situazione si aggravò e ci furono diversi sanguinosi tumulti nelle piazze italiane (il
più grave a Milano, quando l'esercito sparò sui dimostranti e il generale Fiorenzo Bava Beccaris a cui erano
stati concessi pieni poteri soppresse la stampa socialista, repubblicana e cattolica). Dopo Rudinì sale al
potere Luigi Pelloux che voleva limitare il ruolo del parlamento e reprimere le libertà di espressione e
associazione. A quel parlamento adotta la tecnica dell'ostruzionismo da parte dei partiti a capo di Giolitti e
Zanardelli (estrema sinistra - repubblicani, radicali e socialisti) e così si riuscì a impedire la trasformazione in
legge di decreti illiberali e del nuovo progetto di regolamento parlamentare. Il livello di tensione portò alla
decisione dello scioglimento della Camera e a nuove elezioni. A pelloux successe Saracco che raffreddò il
clima di tensione. La crisi di fine secolo si conclude con la sconfitta del tentativo di interpretazione
autoritaria dello Statuto e la morte del sovrano Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci che lo
ritiene responsabile delle stragi degli anni precedenti. Il successore Vittorio Emanuele III incarica
ZANARDELLI (storico leader della sinistra liberale) come Presidente del Consiglio.
2. FRANCIA
La violenta crisi politica e istituzionale a fine secolo deve essere interpretata nel contesto di sfida tra forze
Monarchiche della destra nazionalista contro la Terza repubblica.
La CAUSA SCATENANTE fu l’AFFAIRE DREYFUS, 1894:
 Il capitano ebreo Alfred Dreyfus venne condannato alla degradazione e all’esilio a vita nell'isola del
Diavolo per spionaggio militare a favore della Germania.
 Il fatto si trasforma in vicenda politica, infatti fu preso come l'occasione per un regolamento dei
conti tra avversari e difensori dei valori della repubblica parlamentare
 Il conflitto conquista le prime pagine dei giornali quando lo scrittore Émile Zola pubblica una lettera
aperta al presidente della Repubblica (J'accuse = articolo che evidenziava le irregolarità giudiziarie di quegli
anni. Gli intellettuali prendono posizione a favore o contro la revisione del processo)
Si trasforma in un affare di opinione che da vita a leghe contrapposte:
 ACCUSATORI (colpevolisti) = facevano leva su un forte antisemitismo e sulla difesa dell’onore
dell’esercito. L’obiettivo reale era colpire l’intera cultura liberale, considerata responsabile del declino della
tradizione, della cattolicità e della grandezza della patria. C’era la volontà di compattare e rilanciare le
speranza di un nazionalismo che predicava la necessità di un nuovo sistema di potere autoritario (1899 - tenta
anche un colpo di stato la "Ligue des patriotes", senza successo);
 DIFENSORI (dreyfusardi) = difendevano gli ideali della repubblica parlamentare con l’appoggio dei
socialisti (in particolare Jean Jaurès) con l’obiettivo reale di sconfiggere la destra;

15
 Nel 1898-1899 si scoprono documenti falsificati a danno di Dreyfus. Il ministero della Guerra
mantenne l’ombra del sospetto sull’ex capitano e di seguito gli fu concessa la grazia. Questo portò
alla sconfitta della politica antidreyfusarda. Nel 19063 ci fu la definitiva sconfessione del verdetto e
reintegrazione di Dreyfus nell’esercito.
Si tennero le elezioni nel 1902, la Francia stabilizzò le proprie istituzioni repubblicane attraverso il governo
di difesa repubblicana capeggiato da Waldeck Rousseau che comprendeva anche un esponente socialista;
assunsero un profilo marcatamente laico e radicale.

3. GRAN BRETAGNA
La causa scatenante della crisi fu che nel 1885 il leader liberale William Gladstone propone di concedere
l’autonomia all'Irlanda (Irish Home Rule). Viene respinta, questo scatena un violento scontro politico che
porta alla divisione del Partito liberale e consente ai Tories un lungo periodo di egemonia. C'era
l'inquietudine di una società che aveva cominciato a interrogarsi sul tema della nation efficiency e su come
adeguare le proprie strutture socioeconomiche e amministrative alle nuove sfide provenienti da paesi in
crescita che intendevano sostituire il primato britannico (Germania e USA).
Nel 1889 nacque il NUOVO UNIONISMO, nuovo tipo di sindacato nato da un malcontento e disagio di
fondo che voleva difendere gli interessi delle categorie dei lavoratori. Fu un segnale della trasformazione in
corso all'interno del movimento operaio che cominciava a mettere in discussione le tradizionali fedeltà
politiche. Nel 1900 i sindacati (Trade Unions) decidono di darsi una propria autonoma rappresentanza
politica in parlamento, fu così che ebbe origine il LABOUR PARTY (federazione di diversi organismi
politici e sindacali). Gli sforzi del movimento di concentrano sul versante partitico per aumentare l'impatto
politico del laburismo, ciò aumenta le ansie sul mantenimento di un equilibrio costituzionale basato su
consuetudini, antiche tradizioni ed equilibri sociali. La mancanza di un testo costituzionale scritto rendeva
più insicura la classe dirigente.
I simboli più evidenti della crisi:
− proposta dell’autonomia irlandese;
− perdita di competitività sui mercati mondiali;
− scarsa efficienza degli apparati amministrativi e militari;
− conflitto con la popolazione bianca del Sud Africa (boeri) per il controllo del Transvaal (1899-1902) in
quanto le difficoltà incontrate nel respingere una piccola comunità accrebbero interrogativi sul modo
migliore di gestire la sfera pubblica.

La crisi divenne l'occasione per ridefinire i rapporti di potere all'interno delle istituzioni liberali. Tra il 1909-
1911 le forze del nuovo liberalismo, spalleggiate dai laburisti, introdussero alcuni elementi basilari di
assicurazione sociale e ridussero il potere della Camera dei Lord. Dal 1911 fu sancita la superiorità della
camera dei Comuni e si arrivò quindi alla fine di una tradizione e inizio di una rinnovata fiducia nei valori
del parlamentarismo che ha inglobato la nuova forza politica laburista.

4. SPAGNA
Gli anni tra 1875 e 1923 furono il periodo della restaurazione di una stabile monarchia spagnola dopo un
lungo periodo di violente lotte civili e dinastiche e di una serie di eventi drammatici:

 guerra contro gli USA e conseguente perdita delle grandi colonie (Cuba e Filippine);
 Assassinio del primo Cànovas del Castillo (artefice della costituzione 1876), esponente moderato
conservatore e inventore della formula "turnista" (alternarsi al potere di forze moderate di diverso
orientamento
Nel 1890 ci fu l’introduzione del suffragio universale maschile che comportò una svolta nella gestione della
politica. Ci fu una brutale manipolazione delle elezioni che viene chiamata caciquismo. D’altra parte questo
determinò un graduale emergere nelle grandi città di forze antisistema (anarchici, socialisti e repubblicani)
che rivendicavano autonomia politico-amministrativa in opposizione al centralismo dello stato spagnolo (es.
Catalogna, Paesi Baschi). Si arrivò alla repressione e alla ripresa del potere da parte dell’esercito.

16
A partire dalla crisi del 1898 il dirigente conservatore Francisco Silvela esprimeva l'appello a ripensare la
politica e ad adoperarsi per una rigenerazione, nacque quindi il MOVIMENTO RIGENERAZIONISTA
(nazionalista) che puntava alla modernizzazione economica e sociale attraverso valori cattolici tradizionali;
tentativo fallito a causa dell'ostilità della monarchia, chiesa ed esercito alla modernizzazione.
5. GERMANIA
Nel 1894 venne licenziato in maniera brutale il cancelliere succeduto a Bismark, Leopold von Caprivi. Al
suo posto fu nominato un vecchio aristocratico bavarese, Hohenlohe-Schillingfurst. Si intendeva colpire il
parlamentarismo attraverso l’approvazione di nuove leggi repressive contro la sinistra.
C’era un nuovo clima imperialistico, entrano nella scena nella politica come ministro della marina von
Tirpitz che sosteneva che non si poteva essere una grande potenza senza dominare i mari e come ministro
degli estero von Bulow che rilanciò la politica coloniale. In Germania ci fu molta più agitazione delle forze
della "destra", nel 1893 venne formata la lega pangermanica per sostenere l’imperialismo; nel 1898 la lega
navale per sostenere le leggi di investimento sulla flotta. Si diffondevano culture e idee conservatrici sempre
più aggressive che criticavano la moderazione. Il clima divenne così avvelenato che nel 1900 il cancelliere
Hohenlohe si dimise e fu chiamato a succedergli von Bulow che però non riuscì ad affrontare tempi
importanti come far rientrare l’imperatore in un sistema costituzionale bilanciato e non trovò un modus
vivendi coi grandi partiti di massa. Le classi dirigenti restarono incontrollate.
CAPITOLO 7 – LA PRIMA GUERRA MONDIALE LUGLIO 1914 - NOVEMBRE 1918
SCINTILLA: attentato a Sarajevo, il 28 giugno 1914, all'erede al trono austriaco Francesco Ferdinando
Le CAUSE erano diverse: rivalità tra le grandi potenze; il radicarsi dei nazionalismi e la rigidità dei sistemi
di alleanze;
1) POLITICHE: il contesto competitivo e conflittuale delle relazioni tra le grandi potenze europee;
La crisi del 1914 è scatenata dalla rottura dell'equilibrio internazionale raggiunto alla fine degli anni '70
dell'800 con la guerra franco-prussiana (1870-71) e l'ascesa del Secondo Reich avevano mutato i rapporti di
forza sul continente.
FRANCIA = perseguiva una politica revanchista che la spinse a riavvicinarsi alla Russia zarista e creare
un'alleanza antitedesca. In più, la Gran Bretagna, si unisce all'alleanza franco-russa:
GERMANIA = risponde con una politica militare aggressiva, viene aumentato l'esercito e la marina, tuttavia
essa non aveva le risorse per dotarsi in tempi rapidi di una marina da guerra in grado di competere con la
Royal Navy britannica.
RUSSIA = voleva porsi come tutore del regno serbo e proporsi come paladina di una politica panslava e con
questo minacciava direttamente l'Austria-Ungheria (indeboliva il suo ruolo di principale potenza dell'area
balcanica).
AUSTRIA-UNGHERIA = sentendosi minacciata dalla Russia, stipula un'alleanza con la Germania, alla
quale poi si aggiunge anche il Regno d'Italia.
CROLLO DELL'IMPERO OTTOMANO = viene prima aggredito dall'Italia (guerra in Libia) e poi
sconfitto nella Prima guerra balcanica (1912) da una coalizione di Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia.
L’impero ridotto alla Turchia più alcuni possedimenti mediorientali. Si scatena la seconda guerra balcanica
(1913) che fu una guerra tra gli exalleati per la suddivisione dei territori.

ALLEANZE:
1894: DUPLICE INTESA (Francia + Russia)
1907: TRIPLICE INTESA (+ Gran Bretagna)

1879: DUPLICE ALLEANZA (Austria-Ungheria + Germania)


1882: TRIPLICE ALLEANZA (+ Regno d'Italia)
2) CULTURALI: la convinzione che la lotta per la sopravvivenza e la supremazia delle potenze

17
fosse inevitabile; il radicalizzarsi dei NAZIONALISMI. Tutte queste convinzioni alimentarono l'immagine
di un'imminente grande guerra. Tuttavia, la maggioranza della popolazione (contadini) si rassegnarono alla
guerra come un evento sventurato e fatale. L'antimilitarismo internazionalista e il pacifismo di matrice
cristiana non avevano fatto
breccia nelle masse europee.
3) TECNICHE -MILITARI: c’era la convinzione che la guerra sarebbe stata breve
2. LO SCOPPIO DELLA GUERRA
Il 28 Giugno 1914 FRANCESCO FERDINANDO D’ASBURGO, erede al trono d’Austria-Ungheria viene
assassinato a Sarajevo da GAVRILO PRINCIP, uno studente bosniaco. Si scopre che l'attentato era sto
progettato da una società segreta, la Crna Ruka, della quale facevano parte membri delle forze armate e del
governo serbo. L'Austria-Ungheria invia un ultimatum alla Serbia che conteneva richieste di ordine politico e
l’espresso proposito di partecipare alla repressione del movimento sovversivo in territorio serbo. Belgrado
accettò tutte le richieste di Vienna salvo l’ultima. La Russia aveva già dichiarato la sua ferma opposizione
all’annientamento della Serbia.
28 luglio 1914: Austria-Ungheria dichiara guerra al Regno di Serbia.
29 luglio: la Russia comincia la mobilitazione.
1 agosto: la Germania dichiara guerra alla Russia e, prevedendo l'entrata in guerra dei francesi, mette in atto
il piano Schlieffen (rapido attacco violando la neutralità belga a sorpresa in direzione di Parigi); dichiara
guerra alla Francia. L’invasione del Belgio provoca scontento nel Regno Unito che dichiara guerra alla
Germania.

NAZIONI ALLEATE POTERI CENTRALI


Serbia Impero austro-ungarico
Francia Germania
Inghilterra Turchia
Italia Bulgaria
Russia
Statu Uniti d'America
Giappone
Belgio
Portogallo

NEUTRALI
Svizzera
Paesi Bassi
Spagna
Svezia

3. OPINIONE PUBBLICA E GOVERNI


Al momento dello scoppio del conflitto, i singoli partiti socialisti perseguirono la propria politica nazionale e
non la proclamata solidarietà di classe. I socialdemocratici tedeschi vedevano lo scontro con l’impero zarista
come la lotta contro lo spirito reazionario europeo. Ognuno si schierò a difesa della propria patria, mentre
l’iniziativa politica era subordinata alle operazioni militari. La guerra sollevò un grosso problema di gestione
economica. L’iniziativa privata venne affiancata dalla pianificazione statale. Ci fu un incremento vertiginoso
della burocrazia e del debito pubblico. L’intensa propaganda mise in luce quanto l’opinione pubblica stesse
diventando importante per i governi.
4. I TEMPI DELLA GUERRA SI ALLUNGANO
Il piano Schlieffen prevedeva l’accerchiamento e annientamento delle truppe franco-inglesi in ritirata, ma
riescono a ritirarsi fino al fiume Marna, respingendo l'offensiva tedesca e questi ultimi fallirono
nell’obiettivo. Il conflitto si trasforma in una logorante guerra di trincea. La battaglia della marna indebolisce
l’economia della Germania, già colpita dal blocco navale attuato da Francia e Inghilterra.

18
5. L’INTERVENTO DELL’ITALIA
Dopo diverse trattative segrete, l'Italia entro in guerra al fianco della Triplice Intesa (patto di Londra, aprile
1915). Il 24 MAGGIO 1915 dichiarò guerra all'Austria-Ungheria. Le motivazioni dell'entrata in guerra
erano
diverse: possibilità di completare il progetto risorgimentale con l'annessione della terra irredente
(Trentino, Trieste, Istria, Dalmazia costiera); possibilità che la guerra dimostrasse le capacità militari della
nazione, assicurando conquiste territoriali e una vasta area di influenza nel Mediterraneo orientale; desiderio
che la guerra disciplinasse il paese e rendesse più forte il sentimento nazionale o che, viceversa, innescasse
una rivoluzione proletaria o anarchica;
INTERVENTISTI: Nazionalisti; Parlamentari liberali di destra (Salandra e Sonnino); scrittori di
estrema destra, futuristi); intellettuali e politici della sinistra democratica di ispirazione mazziniana;
repubblicani; socialisti rivoluzionari; irredentisti e mondo giovanile
NEUTRALISTI: Socialisti; mondo cattolico e liberali di sinistra (Giovanni Giolitti - capo del governo)

Benito Mussolini, direttore del quotidiano socialista "L'Avanti!", aderì all'interventismo, fu espulso dal
Partito socialista e fondò uno dei più aggressivi quotidiani interventisti - il "Popolo d'Italia".

L'ingresso in guerra dell'Italia fu un insuccesso. In quell'anno, l'esercito russo era indebolito e non
rappresentava una minaccia così grande per gli Imperi centrali, i quali riuscirono a spostare gran parte del
proprio esercito sul fronte italiano. L'esercito italiano, guidato da LUIGI CADORNA, non riuscì a forzare
le linee difensive austriache sul Carso, davanti a Trieste dove avvennero le battaglie dell'Isonzo, 1915-17
(disfatta di Caporetto, 24 ott-12 nov 1917, a Cadorna viene sostituito da ARMANDO DIAZ).
Per quanto riguarda tutti i fronti, gli anni 1915-16 furono anni caratterizzati dal tentativo di porre fine alla
guerra di posizione. I tedeschi attaccarono i francesi nella Battaglia di Verdun (21 febb-11 lug 1916), la
vittoria fu francese ma senza risultati. Gli austriaci iniziarono la spedizione punitiva contro l’Italia ma fu
costretto ad arretrarsi sull’altopiano di Asiago. I franco-inglese attaccarono sulla Somma - Battaglia di
Somme (1 lug 1916) ma anche questa battaglia fu di logoramento.

7. L’ANNO DECISIVO: IL 1917


Nel corso del 1917 le condizioni morali dei combattenti e delle popolazioni andarono rapidamente
peggiorando e il consenso alla guerra si incrinò progressivamente.
Il 1917 vide la Germania rompere le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti che si schierarono a fianco
dell’Intesa. L’intervento americano fu determinato da fattori di varia natura: per la ripresa della guerra
sottomarina tedesca contro il blocco navale anglo-francese, per l’opinione pubblica statunitense nel
condannare la violazione della neutralità belga e l’affondamento della nave passeggeri in Lusitania e per la
volontà di una crociata per la democrazia contro il militarismo. Nell’aprile 1917 ci furono grandi scioperi in
Francia, Italia, Germania e Austria-Ungheria. La situazione era di stallo fino a quando l’Austria attivò
un’iniziativa diplomatica e propose alle potenze dell’Intesa una pace generale che incontrò però le riserve
della Germania che non era disposta a restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia. Intanto Papa Benedetto
XV invitava i contendenti a porre fine alla lotta armata e a Torino si diffuse la propaganda pacifista dei
socialisti.
Ai primi di novembre il partito bolscevico di Lenin prese il potere in Russia. Uno dei primi atti fu l’appello
per la pace immediata e la richiesta di armistizio con la Germania. La Russia firma la pace di Brest-Litovsk
(3 maggio 1918) con la quale rinuncia alla Polonia, Lituania, Estonia e Ucraina.
A quel punto il presidente Wilson precisò in 14 punti le linee guida della sua politica. (libertà di commercio,
riduzione armamenti, autodeterminazione dei popoli e creazione di una Società delle Nazioni).

8. LA FINE DEL CONFLITTO


Primi di agosto del 1918 gli anglo-franco-americani attaccarono nel settore di Amiens riuscendo a rompere il
fronte tedesco. I tedeschi cominciano ad arretrare. I primi di ottobre Austrua e Germania avanzano offerte di
pace.

19
In Germania nasce un nuovo governo, presieduto da von Baden che apre le porte alla breve esperienza di
Weimar.La Germania accettando le condizioni imposte dall’Intesa con l’armistizio di Rethondes,
abbandonava tutti i terreni occupati consegnando ai vincitori l’armamento pesante.
9. IL COMPROMESSO DELLA PACE
La conferenza di pace di Parigi del gennaio 1919 che si chiude a gennaio 1920 portò alla stesura di vari
trattati. Le decisioni furono prese da Inghilterra, Francia, Stati Uniti ed Italia. Per alcuni anni c'è una grande
instabilità in Europa. Iniziano le trattative di pace. Uno dei più famosi trattati di pace è il patto di
Versailles tra la Germania e i vincitori. Viene negoziato dai vincitori e tra di loro e i tedeschi ne sono
esclusi e solo dopo vengono obbligati ad accettarlo. CONDIZIONI imposte alla Germania:
− in Germania si proclama la repubblica  le forze social-democratiche di sinistra proclamano la fine della
monarchia (sia in Prussia che in altri stati tedeschi) e l'inizio della REPUBBLICA DI WEIMAR (1919-
1933);
− perdita di: - Alsazia e Lorena; Prussia occidentale, Danzica, Posnania e parte della Slesia (ricostruzione di
uno stato nazionale autonomo polacco); tutte le colonie;
− divieto di avere un esercito di leva, ma solo un contingente limitato per la sicurezza interna,
divieto di avere un'aviazione militare e una flotta;
− clausola che dice che la guerra è stata iniziata dalla Germania; la conseguenza è l'imposizione alla
Germania di ripagare i danni della guerra, viene prevista una riparazione che i tedeschi avrebbero dovuto
pagare nei decenni successivi.

Viene creata la nuova organizzazione internazionale - la Società delle Nazioni (proposta da Wilson) con
sede a Ginevra (stato neutrale) con gli obiettivi di mantenere la pace tra gli Stati membri, avviare delle
politiche di disarmo progressivo, di riduzione degli armamenti, risolvere le controversie in modo pacifico
(attraverso un tribunale arbitrario), sanzioni economiche e militari nei confronti degli Stati che avrebbero
violato il patto;
Tuttavia, fin dall'inizio si manifestano una serie di criticità:
a) Gli stati sconfitti non vengono ammessi nella Società delle Nazioni (si dice che la Germania deve prima
pagare i danni della guerra e poi potrà entrare)
b) La Russia viene marginalizzata a causa della guerra civile, perché gli stati membri non riconoscono
lo Stato sovietico;
c) Gli Stati Uniti non entrano nella Società. Wilson perde le elezioni; vincono i repubblicani che non
vogliono immischiarsi nelle faccende europee
CAPITOLO 8 – 1917. LO SPARTIAQCUE DELLA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA
La Rivoluzione russa da avvio al cosiddetto "secolo breve", il Novecento (1914-1989), che coincide con la
parabola dell'Unione Sovietica. Nel 1917 succedono due eventi importanti:
 Entrata in guerra degli USA;
 Succedersi di due Rivoluzioni (febbraio e ottobre) nell'Impero russo che provocano prima
l'indebolimento della resistenza antitedesca sul fronte orientale e poi l'uscita della Russia dal
conflitto con la pace di Brest-Litovsk (1918)

1. LA RIVOLUZIONE RUSSA NELLA STORIA EUROPEA E MONDIALE


Le Rivoluzioni russe hanno una duplice valenza:
a) rivoluzione nazionale in quanto ci fu la fondazione di un nuovo stato, di una nuova legittimazione
popolare e di un nuovo senso di appartenenza collettiva;
b) rivoluzione internazionale ovvero suoi principi e l’ordinamento vengono presi come modelli e punti di
riferimento per i rivoluzionari di altri paesi. L'Impero russo era esteso tra l'Europa (anello arretrato) e
l'Asia (avamposto dell'Occidente in Oriente).
La rivoluzione produsse in Russia una drammatica accelerazione del mutamento storico:
 Disgregazione delle istituzioni;
 Sovvertimento dei rapporti sociali;
 Ricostruzione di un nuovo stato;
 Costruzione di un nuovo sistema di potere brutale guerra civile (1918-20)

20
È importante precisare che furono i protagonisti della Rivoluzione a fornirne l'immagine di rottura radicale
nella storia dell'umanità. La storiografia sovietica ha poi consolidato quest'immagine in modo funzionale alla
legittimazione del regime, attribuendo un grande rilievo all'ottobre. Alcuni storici hanno proposto di
collocare il vero spartiacque della storia russa contemporanea nel 1914 e interpretare la sequenza "guerra-
rivoluzione e guerra civile" come un continuum di crisi, con il fulcro nel 1917.
Conseguenza della Rivoluzione bolscevica e degli accordi di Brest-Litovsk è il ridimensionamento del
versante occidentale dell’ex Impero zarista che comporta la fine temporanea per la Russia di grande
potenza europea e spostamento del suo baricentro verso l'Oriente e l'Asia (= all'inizio la combinazione
leninista di socialismo e autodeterminazione nazionale sembrò inaugurare una stagione di riscatto ed
emancipazione).
In Europa, l'esempio della Rivoluzione Bolscevica infiammò le masse popolari nel 1918-20 (ripudio della
guerra e programmi di giustizia sociale) e scatenarono rivoluzioni in Europa centro-orientale e massicce
agitazioni sociali e politiche in Europa occidentale che portano alla nascita dei partiti comunisti (consenso
di intellettuali e operai rimasti delusi dalle ambiguità e dai compromessi delle socialdemocrazie nell'epoca
della Prima Guerra Mondiale).
Nella storiografia si fa ricorso al termine “guerra dei Trent’anni” o "Guerra civile europea" per definire il
periodo 1914-45 in cui ci fu la contrapposizione tra sistemi politici e sociali alternativi (democrazia,
fascismo e comunismo), scontro tra ideologie e fedi contrapposte, trasformazione della politica interna dei
singoli paesi.

2. LE RIVOLUZIONI DI FEBBRAIO E D'OTTOBRE

Nell'autunno 1916 la Rivoluzione era un'eventualità concreta per diversi motivi. Alla delegittimazione dei
vertici, provocata dalla pessima gestione della guerra si aggiungeva il discredito gettato sulla famiglia reale
dalle voci scandalistiche e dal ruolo di consigliere ricoperto dal monaco Grigorij Rasputin. Seguiva un
peggioramento della vita quotidiana a causa dell'inflazione e dalla penuria di viveri e di combustibile e il
deterioramento del sistema dei trasporti.
23-27 febbraio 1917 (Pietrogrado) parte la RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO con una mobilitazione di
massa spontanea partita dalle manifestazioni per la festa della donna, si formano cortei di operai e sfociò
nello sciopero generale. Lo zar ordinò la repressione violenta, ma i soldati mandati a reprimere la
mobilitazione si ammutinarono. Gli insorti prendono il potere e i membri del governo pian piano rassegnano
le dimissioni.
Lo zar Nicola abdicò a favore del fratello, che abdicò a sua volta, ponendo fine alla dinastia dei Romanov e
del potere monarchico in Russia.
In tal modo si formano i nuclei costitutivi del nuovo potere:
il SOVIET (Consiglio) degli operai e soldati egemonizzato dei menscevichi, trudoviki e socialisti
rivoluzionari;
la DUMA (parlamento russo) ovvero un governo provvisorio composto da deputati appartenenti al
blocco progressista (cadetti, ottobristi e progressisti) e del socialista Aleksandr Kerenskij. Presieduto dal
liberale Georgij L'vov.

I due organismi attingevano a fonti diverse di legittimazione e giunsero a un accordo instabile attorno
ad alcuni punti programmatici, per esempio: amnistia per tutti i prigionieri politici, preparazione delle
elezioni per l’Assemblea costituente, smantellamento degli organi di polizia e sostituzione con le milizie
popolari, elezioni a suffragio universale di nuovi organismi di autogoverno.
Diedero vita al dualismo di potere: la Duma deteneva formalmente tutte le responsabilità del potere,
ma era costantemente vincolata dalle deliberazioni dell'ISPOLKOM (Comitato esecutivo del soviet) su
questioni come l'organizzazione delle forze armate e la conduzione della guerra.
La prima crisi di governo divampa in primavera sul tema della guerra e della pace. Si risolve con le
dimissioni del ministro degli esteri Miliukov e del ministro della guerra Guckov in quanto sostenitori del
mantenimento della guerra. Entrano dei socialisti, menscevichi e socialisti rivoluzionari al governo
(Kerenskij divenne ministro della Guerra). Questi ultimi erano fautori del difensivismo rivoluzionario che
prevedeva l’adesione ad una campagna contro la guerra imperialista.

Allo scoppio della rivoluzione gran parte dei leader dei partiti rivoluzionari russi erano all'estero, in prigione

21
o in esilio. VLADIMIR LENIN rientrò a Pietrogrado il 3 aprile con l'aiuto del governo tedesco. Le sue
posizioni
furono presentate nella famose Tesi di aprile inizialmente viste con scetticismo ma guadagnarono molti
consensi ai bolscevichi presso operai, soldati e marinai delle generazioni più giovani:
− rottura netta con il governo provvisorio;
− uscita dalla guerra;
− concentrazione del potere nelle mani dei soviet;
− superamento della fase borghese della rivoluzione;
− instaurazione della dittatura del proletariato.
In estate ci furono molte diserzioni tra i soldati, vinceva il bolscevismo di trincea. Ci fu una sollevazione
nella capitale, nella quale i bolscevichi miravano a esautorare il governo provvisorio per attribuire tutti i
poteri al soviet.
In questo contesto, reso ancora più incandescente con la questione nazionale ucraina (la rada, il parlamento
di quella nazione, aveva proclamato l’indipendenza) si apre una nuova crisi di governo che porta alle
dimissioni di L'vov e salita di Kerenskij al potere. Il suo tentativo di accreditarsi come il leader che avrebbe
salvato la Russia dall'anarchia rivoluzionaria fallì: le forze moderate vedevano in Lavr Kornilov un leader,
Kerenskij, per paura di essere scalzato, proclama se stesso comandante in capo. Kornilov decide di marciare
su Pietrogrado con le truppe a lui fedeli, ma viene bloccato da una mobilitazione organizzata dai militanti
bolscevichi. Avviene quindi il salvataggio della rivoluzione con la riabilitazione del partito di Lenin e
l’indebolimento del governo provvisorio e di Kerenskij.

Tra la fine di agosto e ottobre, i bolscevichi conquistano la maggioranza nelle elezioni per i parlamenti
municipali e negli esecutivi dei soviet locali (LEV TROCKIJ diventa presidente dell'Ispolkom)
Nel frattempo, stava procedendo la rivoluzione agraria sfociata in estate, le comunità di villaggio
avevano approfittato della debolezza del potere centrale per procedere alla spartizione tra i contadini
delle terre dei proprietari (causa anche della diserzione dei soldati).

Lenin intanto preparava la rivoluzione armata, intenzionato a prendere il potere prima dell'apertura del
Congresso panrusso dei soviet. Il 21 ottobre 1917 il Comitato rivoluzionario militare (composto in
maggioranza da bolscevichi) si autoproclama suprema autorità militare della capitale e il 24 ottobre: si
impadronisce di luoghi strategici (stazioni, poste, ponti).Kerenskij fugge e il Palazzo d’Inverno viene
espugnato e i ministri richiusi nella fortezza di Pietro e Paolo.

A questo punto, il Congresso dei soviet ratifica la presa del potere da parte dei bolscevichi. Furono poi
approvati i decreti sulla pace e sulla terra:
1° DECRETO: appello internazionale per l’immediata sospensione delle attività belliche e diritto delle
nazioni all’autodeterminazione;
2° DECRETO: programma di socializzazione della terra elaborato dai socialisti;
3° DECRETO: istituzione del nuovo governo = SOVNARKOM (Consiglio dei commissari del popolo)
struttura analoga a quella del governo provvisorio ma con l'introduzione del ministero delle Nazionalità,
affidato a Stalin.

LENIN era a capo del Sovnarkom e presiedeva il Comitato centrale bolscevico. Il 3 novembre, insieme a
Stalin, promulga una Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia (autodeterminazione nazionale).

3. I PRIMI PASSI DEL NUOVO REGIME


Ai vertici istituzionali il potere fu concentrato eliminando ogni possibile opposizione politica. C’era una
strettiissima interazione tra Sovnarkom e Comitato centrale bolscevico. Si accompagnò il rapido
esautoramento del comitato esecutivo del soviet. Le elezioni per l’Assemblea costituente portarono alla
vincita dei socialisti rivoluzionari, il Sovnarkom decise di rinviare a tempo indeterminato l’inaugurazione ed
istituì la revisione dei risultati elettorali sgraditi. L’assemblea si riunì una sola volta, all’indomani fu sciolta
con la forza dal regime bolscevico.
Lenin aveva più volte sostenuto la necessità del terrore per difendere la rivoluzione. Giornali e riviste
dell’opposizione furono poste fuorilegge, il sistema giudiziario venne smantellato per instaurare una giustizia
fondata sulla coscienza rivoluzionaria; il governo legittimava quindi l’esecuzione sul posto, senza processo,
di speculatori, criminali e agitatori controrivoluzionari (nella quale potevano rientrare gli avversari politici).

22
Il 3 Marzo a Brest-Litovsk venne siglata la pace in condizioni difficilissime sotto le molteplici conquiste
tedesche. Sancì la perdita di Finlandia, Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Ucraina; consentì però di salvare
il regime comunista in Russia come Lenin voleva.

CAPITOLO 9 - 1929. IL GRANDE CROLLO DELL'ECONOMIA


La Grande depressione giunse, nel 1929, in seguito all'inversione nel ciclo economico americano e al crollo
della borsa e portò alla fine dell'egemonia economica del laissez-faire.
Nel 1929 si manifestò una profonda recessione economica, il mercato azionario di NY subisce un
violento crollo e la crisi ha una portata mondiale. In Italia le difficoltà economiche rafforzano la dittatura
fascista; le difficoltà economiche rendono più profondo il rancore dei tedeschi verso i paesi vincitori della
guerra favorendo così l'ascesa di Hitler al potere; vennero adottat di politiche protezionistiche ostili.

1. LA SMANIA SPECULATIVA
Durante la Prima Guerra Mondiale, gli USA avevano fornito ai paesi europei beni e risorse finanziarie
necessarie per finanziare le economie in guerra. Alla fine della guerra gli USA erano nella posizione di paese
creditore netto e si trovarono alla guida dell'economia mondiale, godevano di condizioni favorevoli in
fatto di materie prime (petrolio) ed erano nel bel mezzo di un rapido progresso tecnologico.
Negli anni '20 adottarono politiche economiche che favorirono il loro sviluppo (periodo di espansione
produttiva, di progresso tecnologico e di prosperità):
− Aumento dei dazi sulle importazioni di beni stranieri allo scopo di proteggere i beni americani dalla
concorrenza mondiale;
− Sospensione delle leggi antitrust come incoraggiamento delle concentrazioni industriali e sviluppo
delle grandi società finanziarie;
− Creazione all'estero di imprese di proprietà americana con la conseguente creazione di profitti molto
elevati;
− Restrizioni all'immigrazione, limitando le quote di lavoratori in entrata per favorire salari più elevati e
consentì agli operai di godere di condizioni economiche più favorevoli;
Tuttavia, alcuni settori rimanevano esclusi dai benefici dell'espansione economica: agricoltori, periferie
urbane. Si pensò che gli USA fossero entrati in un'era di progresso e benessere. La popolazione cominciò a
pensare che l'arricchimento fosse un'attività semplice e veloce. Questo portò boom degli investimenti
immobiliari (acquisto di terreni specialmente in Florida). Si comprava non per edificare, ma per rivendere,
quindi con intenzioni speculative.
Avviene il Boom della borsa di NY nel 1927 quando gli investitori americani avevano cominciato a
comprare azioni in vista del rialzo del loro prezzo. Le azioni salgono di valore e vengono vendute a prezzi
più elevati.
Nascono sistemi di finanziamento "a riporto", azioni comprate senza pagarne interamente il prezzo, in
questo modo tutti possono quindi permettersi di comprare azioni. Fu una vera e propria smania speculativa.

2. LE CAUSE DELLA CRISI


Nel 1928 il prezzo dei titoli continuava a crescere, ma l'economia americana cominciava a dare i primi segni
di una contenuta flessione: in alcuni settori, es. edilizia e automobili, la produzione era in diminuzione. Nei
primi tre trimestri del 1929 cominciarono a ridursi la produzione industriale complessiva. Cause dibattute:
 stretta monetaria attuata dal Federal Reserve System (autorità responsabile della politica monetaria
americana);
 aumento dei tassi d'interesse richiesti da chi prestava denaro agli speculatori;
 inversione di tendenza di mercato a causa della sfiducia o della flessione dell'attività economica
A settembre 1929 gli operatori di Wall Street cominciarono a ricevere ordini di vendita da parte dei
possessori di attività finanziarie, determinando così un ribasso dei prezzi dei titoli e inducendo altri
investitori a tirarsi fuori prima di altri ribassi.
24 ottobre 1929 = GIOVEDÌ NERO Fu la prima di una serie di ondate di panico in cui una folla di
proprietari di titoli che vuole vendere non trova acquirenti se non a prezzi fortemente ridotti. Più il panico si
diffondeva, più si cercava di vendere a qualsiasi prezzo, sfumano le ricchezze e la borsa crolla.
La borsa americana continuò a scendere fino al 1932. Agli speculatori che vendevano titoli per necessità si
aggiunsero i ribassisti (speculatori che vendevano allo scoperto) e determinarono ulteriori cadute dei prezzi
dei titoli.

23
Nei mesi della crisi tutti ebbero bisogno di molta liquidità: i detentori dei titoli chiesero alle banche il
rimborso dei loro depositi per ripagare i debiti, la conseguenza fu la corsa agli sportelli. Purtroppo, la
speculazione aveva coinvolto non solo i singoli risparmiatori, ma anche imprese, società e le stesse banche.
Molte imprese e società falliscono e il patrimonio in azioni delle banche si ridusse drasticamente; non c’era
più certezza del rimborso dei depositi.
Le somme che una banca poteva rimborsare in tempi brevi erano ancora più limitate anche a causa della
pressione da parte di banche e di privati di altri paesi per convertire in oro i loro dollari, per paura che il
dollaro potesse essere svalutato.
Il [Federal Reserve System (organismo decentrato formato da 12 banche distrettuali coordinate dal
Federal Reserve Board) fu contrario a concedere finanziamenti alle banche in difficoltà. I fallimenti
bancari furono inevitabili, una nuova corsa agli sportelli in marzo e ottobre 1931.
Nel 1933 avvenne la più grave ondata di panico che portò il sistema bancario americano sull'orlo del crollo
totale; le banche americane rimasero chiuse per una settimana sospendendo tutte le operazioni.

3. L'ENTITÀ DELLA CRISI

Tra il 1929 e il 1933 la riduzione della produzione fu drastica in termini di media annuali. Il livello dei
prezzi
si ridusse ininterrottamente. La produzione crollò perché chiusero i battenti società finanziarie e istituti
bancari, fabbriche e imprese commerciali, miniere e imprese agricole. Il fallimento delle imprese portò
all'aumento del tasso di disoccupazione.

4. LE RISPOSTE
Le politiche economiche adottate dal 1929 al 1932 peggiorarono la situazione:
a) Il Federal Reserve System ebbe una parte rilevante di responsabilità nella recessione. Nel 1919 limitò la
disponibilità di credito ai clienti da parte del sistema bancario nella convinzione che tale limitazione avrebbe
calmato la borse (siccome la speculazione si effettuava con denaro preso a prestito). Tuttavia, questa misura
danneggiò quei settori che dipendevano dal credito bancario e nei mesi successivi al crollo si verificò un
conflitto di competenze tra la Federal Reserve Bank di New York e il Federal Reserve Board. Le banche, per
scelta, non furono salvate dal fallimento.
b) I presidenti degli USA: Calvin Coolidge (1923-28) e Herber Hoover (1928-32). Quest’ultimo si trovò
nella tempesta: la sua ostilità verso la speculazione e le sue dichiarazioni allarmistiche svolsero una parte
nella perdita di fiducia che sfociò nella crisi di borsa.
La dottrina economica prevalente in quell'epoca, dottrina del LAISSEZ-FAIRE, professava la fiducia
nella
capacità del mercato di ristabilirsi da sé e il precetto di non intervenire nella sfera economica e del pareggio
del bilancio pubblico, cioè uguaglianza tra entrate e spesso dello stato. Negli anni della crisi, per Hoover, fu
difficile attenersi sempre a questo principio.
Quando la crisi si fece più intensa e gli effetti sociali cominciarono a essere drammatici, Hoover promosse
programmi di rilancio dell'economia e dell'occupazione. Queste misure furono insufficienti:
Hoover era contrario all'assistenza diretta e ai sussidi ai disoccupati. Nel 1932, con il Revenue Act, impose
nuove tasse e riduzioni della spesa pubblica deprimendo ulteriormente la produzione.

5. LE CONSEGUENZE SULLE ALTRE NAZIONI


La Grande depressione fu un fenomeno che colpì più o meno tutti i paesi del mondo. L'unico paese a non
risentire degli effetti della crisi fu l'URSS, grazie alla limitatezza dei suoi rapporti economici con il resto del
mondo e alla pianificazione della sua economia prevista e attuata sulla base del primo piano quinquennale
relativo al periodo 1929-1932.
Dopo la Grande guerra i paesi europei, per saldare i debiti di guerra e finanziare la ricostruzione, chiesero
finanziamenti prevalentemente agli USA. Molti di essi ricorsero all'emissione di moneta determinando
spinte inflazionistiche (aumento dei prezzi), anche iperinflazione, che fu posta sotto controllo con grandi
costi e con l'adozione di nuove monete. L'obiettivo prioritario divenne il ripristino del sistema del gold
standard, che era stato in vigore prima del conflitto [accordo monetario tra diversi paesi che prevedeva la
convertibilità delle valute in oro a un tasso fisso (parità aurea) e di conseguenza tassi di cambio fissati in
termini di oro tra le valute]. Quello che si ristabilì fu una versione modificata del sistema: il [gold exchange
standard (sistema che prevedeva che le monete nazionali fossero convertibili non direttamente in oro, ma in

24
valute estere convertibili in oro es. dollaro e sterlina); anche in questo caso i tassi di cambio tra le valute e
con l'oro erano fissati].
L’andamento della borsa di NY fu nocivo per i paesi europei già prima del 1929 gli investitori statunitensi
ritiravano i prestiti concessi all’Europa per farne uso speculativo e anche gli europei fecero altrettanto, la
ridotta disponibilità di fondi in Europa ebbe un impatto depressivo.
Dopo il crollo della borsa americana ci furono due ulteriori eventi negativi:
1) ulteriore ritiro dei prestiti americani;
2) caduta della spesa americana in beni europei;
L'imperativo di mantenere il gold exchange standard indusse misure monetarie restrittive che depressero
la produzione, i prezzi e l'occupazione in tutti i paesi che aderivano al sistema; si risollevarono prima dalla
crisi i paesi che si ritirarono dal gold exchange standard.
L'anno delle crisi bancarie e valutarie in Europa fu il 1931 (es. fallimento della Credit Anstalt). Per prima ad
uscire dal sistema fu la Germania, poi la Gran Bretagna e poi altri 25 paesi, compresi gli USA (l'Italia no).

6. LA CRISI E L'ITALIA
L'Italia era rientrata nel gold exchange standard nel dicembre del 1927 dopo una politica deflazionistica
volta a stabilizzare la lira. A partire dal 1926 l'imperativo del regime fu raggiungere "quota novanta". Per
l'Italia la difesa della parità era stata fonte di pesanti sacrifici: riduzioni di salari, controllo dei prezzi,
politiche monetarie e fiscali restrittive che portarono alla diminuzione della spesa, della produzione e
dell'occupazione. Con la crisi la situazione peggiorò ulteriormente.
Le difficoltà si trasmisero dalle imprese alle banche che le avevano finanziate e al sistema bancario. In Italia
c'erano le banche miste. Non si verificò nessuna corsa agli sportelli e non vi furono fallimenti, grazie ai
"salvataggi bancari". La dittatura consentì di condurli in assoluta segretezza, non trapelò nessuna notizia
sui problemi del sistema bancario e né il parlamento né il pubblico ne vennero a conoscenza
[salvataggio bancario = trasformazione, con l'aiuto dello stato, dalle banche miste in banche ordinarie e
cessione dei loro titoli e dei crediti difficilmente esigibili dapprima a società finanziarie appositamente
create e sostenute da finanziamenti statali, poi direttamente allo stato]. Venne inoltre fondato l’ Imi e l’Iri.
Altri interventi furono un piano generale che comprendeva anche opere pubbliche (nell'edilizia), lavori di
bonifica e l'autarchia (dal 1936) ovvero il protezionismo spinto fino all'annullamento degli scambi
commerciali con l'estero. La dittatura di Mussolini portò alle decisioni di politica economica centralizzate e
al controllo sulla struttura industriale italiana.

7. IL NEW DEAL
Negli USA la ripresa cominciò nel 1933, il nuovo presidente USA democratico FRANKLIN D.
ROOSEVELT nei
primi "cento giorni" elaborò il New Deal, programma di ripresa economica:
− impose la chiusura delle banche in tutta la nazione per una settimana;
− sospese i pagamenti in oro;
− obbligò chiunque possedesse oro a depositare o a cedere in cambio di dollari alle banche della Federal
Reserve tutte le monete, i lingotti o i certificati d'oro;
− ridusse il contenuto aureo del dollaro;
− abbandonò il gold exchange standard che determinò la fluttuazione del valore della moneta americana.
Nel 1934: stabilì una nuova, più bassa, parità aurea. Il dollaro era svalutato rispetto all’oro e ciò contribuì
all'aumento di valore in termini di dollari delle riserve del tesoro americano. Ci fu l’emissione di titoli per un
valore pari all’incremento del prezzo in dollari dell’oro. I titoli dovevano essere depositati nella Federal
Reserve in cambio di un credito, che veniva usato poi per spese pubbliche. Questo piano aumenta la
quantità di moneta in circolazione. Inoltre, promosse un programma di assistenza per alleviare la
miseria.
Ciò rappresentò una svolta drastica nel ruolo dello stato nella vita economica e viene definito capitalismo
democratico capitalismo che prevedeva la regolamentazione dell'attività economica e la mediazione da parte
dello stato tra le parti sociali. La depressione durò circa 10 anni.

8. NASCE LA MACROECONOMIA
Dopo la crisi, gli economisti si dedicarono allo studio del ciclo economico, delle sue cause, della durata
delle sue fasi, delle possibili misure per stabilizzare le oscillazioni del reddito.

25
John Maynard Keynes, un economista inglese, nel 1936 pubblicò la Teoria generale dell'occupazione,
dell'interesse e della moneta. Individuò il circolo vizioso che accompagna i sistemi economici. Egli dette
un fondamento teorico alla crucialità del ruolo dello stato nell'economia. Questo nuovo approccio teorico è
definito macroeconomia.

Il ruolo dello stato nella vita economica era diventato più attivo e più responsabile + ci si rese conto che
l'economia ha un andamento ciclico.
CAPITOLO 10 - 1936. LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E LO SCONTRO TRA FASCISMO E
ANTIFASCISMO
La guerra civile dal 1936-39 fu la conseguenza di un colpo di stato militare. Si internazionalizza per gli aiuti
che i ribelli ottennero da Mussolini e Hitler, dall'URSS e dai volontari antifascisti accorsi per difendere la
repubblica, per questo viene definito come lo scontro tra fascismo e antifascismo.
Il 17-18 luglio 1936 l’ALZAMIENTO, ovvero la presa di posizione contro il governo da parte dell’esercito,
innesca la guerra civile. I generali avevano in piano di agire con la massima tempestività e violenza,
pensavano di impadronirsi del potere in pochi giorni imponendo un direttorio militare.
Nel 1923 Miguel Primo de Rivera aveva instaurato una dittatura militare per garantire l’ordine, questo
perché:
il sistema politico vigente era incapace di rinnovarsi e integrare le forze politiche d'orientamento
democratico;
richieste d’autonomia politica-amministrativa dalla Catalogna e dai Paesi Baschi;
scioperi e agitazioni post rivoluzione bolscevica.
Il direttorio militare viene appoggiato da conservatori ed ecclesiastici perchè il solo in grado di sopperire alle
insufficienze della politica, di ripristinare l'ordine e rigenerare il paese.
Il suo tentativo fallì, Primo de Rivera si dimette nel gennaio 1930 e il re affida il compito di transitare
gradualmente il paese verso la normalità nelle mani di Dàmaso Berenguer, che si dimette a sua volta dopo
aver tentato invano un ritorno al parlamentarismo controllato dal sistema nobilitato conservatore.
Alle elezioni amministrative dell’aprile 1931 la maggioranza repubblicana e socialista vince, il re
abbandona il paese e il 14 aprile viene proclamata la repubblica e la formazione di un governo provvisorio
guidato dal cattolico moderato Niceto Alcalà-Zamora. La situazione economica era difficile, a complicare le
cose c’era anche la questione religiosa: la Spagna era cattolica, aveva una chiesa tradizionalista e fornita di
materiali. In più zone si dovette fronteggiare l’istintivo anticlericalismo dei ceti emarginati. Le forze ostili ai
repubblicani e socialisti si organizzano sotto la bandiera del cattolicesimo politico conservatore, guidato da
Robles. La lotta politica cresce e lo scontro diventa la regola: il movimento anarchico cresce e forza la mano
nelle piazze, alimenta violenze e repressione, la chiesa si sente vittima di violenze anticlericali.
Il generale Sanjurjo tenta una sollevazione militare che viene facilmente battuta. La facile vittoria contro la
ribellione militare illude i socialisti che la sinistra abbia in mano la situazione. La destra di Robles guarda al
fascismo italiano come un modello per la lotta al bolscevismo.

2. LE ORIGINI DELL’ANTITESI FASCISMO-ANTIFASCISMO

I cattolici vincono alle elezioni del novembre 1933, il biennio 1934-36 viene battezzato come “biennio
negro”. Le sinistre sconfitte non si rassegnarono e coltivarono propositi di rivincita. Nel febbraio 1936
vennero indette le nuove elezioni, in Spagna si crea un “Fronte popolare” come alleanza delle forze di
sinistra contrarie al fascismo.
Intanto in Italia Benito Mussolini era stato nominato alla testa del governo nell’ottobre 1923 e il suo successo
portò molti intellettuali di sinistra a riconsiderare con realismo l’opportunità di sviluppo che era contenuta
nel sistema costituzionale vigente.
I comunisti si opposero a questa svolta, gli sembrava un tradimento agli ideali rivoluzionari e si rifiutarono di
stipulare qualsiasi alleanza. La rivoluzione fascista si realizzò in maniera lenta e ambigua. Il fascismo nella
prima fase presentò un volto rassicurante: stato autoritario, tasso di repressione del dissenso circoscritto e
non troppo violento. Mussolini era percepito come un dittatore ma anche modernizzatore e realista.

3. IL CASO TEDESCO
Gli effetti della crisi del 1929 negli Stati Uniti radicalizzano lo scontro sociale in Europa, soprattutto in
Germania dove la ripresa economica era sostenuta da capitali americani che vennero ritirati. Nel marzo del

26
1933 avviene l’ascesa al potere di Adolf Hitler e dei nazionalsocialisti in Germania. Dopo le elezioni del
1932 dove i nazisti ottengono la maggioranza Hitler riceve un’investitura legalitaria dal presidente della
repubblica di Weimar. Hitler scioglie la camera con un pretesto e indice nuove elezioni ma fallì il suo
obiettivo di ottenere la maggioranza dei due terzi per modificare la costituzione. Si sbarazza dell’opposizione
del partito cattolico e si assicura la maggioranza necessaria per far passare leggi eccezionali costringendo gli
avversari alla scomparsa. Il 14 luglio 1933 una legge dichiara il partito unico come l’unico legale e il 1°
dicembre statuisce l’unità del partito e dello stato mettendo i nazisti in una posizione sovraordinata rispetto ai
cittadini.
Viene introdotto il principio del capo secondo cui ogni parola del capo era di per se legge ed il sistema legale
dello stato era subordinato ad esso. Hitler è andato al potere facendo della Germania di nuovo il centro
dell’Europa, la sua ideologia conteneva un antisemitismo violento e principi razziali quasi assenti nel
fascismo. Anche Hitler voleva esportare il suo modello: in URSS si sviluppavano le grandi purghe
(repressione da parte di Stalin contro gruppi di uomini del suo partito con fucilazioni di migliaia di persone e
deportazioni nei campi di lavoro GULAG). In Francia avvenne un tentativo di assalto al parlamento da parte
di una coalizione di estrema destra, anche a Londra si diffusero le violenze.

4. IL CONTESTO INTERNAZIONALE
Nel 1934 Churchill aveva denunciato alla camera dei comuni il riarmo tedesco. Mussolini intanto invade
l’Etiopia nel 1935 ma Francia e Gran Bretagna sfruttando il meccanismo Società delle Nazioni cercano di
fermarlo fallendo nello scopo. Diventa comune a una pluralità di forze l’obiettivo di impedire che l’estrema
destra giunga al potere nei vari paesi. Il rapporto Dimitrov stabiliva che era interesse del partito comunista
aderire a coalizioni con partiti socialisti per la difesa dei sistemi costituzionali democratici, coalizioni con il
nome di Fronti popolari. Il primo esperimento fu in Francia dove il fronte popolare ottenne un notevole
successo.
Lo scontro tra fascismo e antifascismo andava dal problema del ripensamento alla teoria economica liberale
a quello della nuova dimensione dei diritti sociali nei paesi industriali.

5. LA GUERRA CIVILE
La guerra civile fra ribelli nazionalisti e le forze fedeli alla repubblica si svolge con i militari ribelli guidati
da Francisco Franco. Sul versante di questi ultimi la violenza fu maggiore e programmata, Franco puntava
sul terrore per piegare la volontà di resistenza della popolazione, la storia ha certificato il bagno di sangue
che egli provocò. Gli insorti potevano contare sull’appoggio da parte di Hitler e Mussolini. La Gran Bretagna
sperava di trovare un accordo con Hitler per evitare la guerra e la Francia non voleva perdere l’intesa con il
governo di Londra. Così le potenze europee si accordarono per astenersi dall’ingerenza interna negli affari
spagnoli. I due regimi fascisti anche se lo avevano sottoscritto, lo violarono tranquillamente. L’unico apporto
su cui poté contare la repubblica fu quello dell’URSS che inviò del materiale e consiglieri militari. Sul fronte
repubblicano confluirono rinforzi con l’arrivo di volontari spontanei da tutto il mondo che formarono le
Brigate internazionali. L’apporto di tecnologia militare portava i nazionalisti in vantaggio. Il gruppo di
intervento tedesco provò per la prima volta il bombardamento terroristico a tappeto di una città indifesa. 26
aprile 1937 giorno di mercato la città di Guernica fu rasa al suolo dopo tre ore ed un quarto di incessanti
bombardamenti aerei.
La guerra finisce con qualche mese di anticipo sullo scoppio della Seconda guerra mondiale, ci fu mezzo
milione di caduti. Franco giudicò impossibile unirsi a Hitler e Mussolini nella guerra mondiale e restò fuori
dal conflitto. Il Caudillo (si faceva chiamare così) governò fino alla sua morte, 1975 ma vide cancellarsi tutto
ciò per cui aveva combattuto. La Spagna diventò una democrazia di modello occidentale.

CAPITOLO 11 – LA SECONDA GUERRA MONDIALE


1. SIGNIFICATO E CAUSE DEL CONFLITTO
Il 1° SETTEMBRE 1939 la Germania invade la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale. Quando
ordina l’invasione della Polonia la Germania aveva già di fatto demolito le clausole del trattato di pace del
1919. Furono dapprima ricreate le condizioni per il ritorno della Germania a grande potenza militare con la
decisione di ripristinare il servizio di leva (1935) e poi procedette alla rimilitarizzazione della Renania
denunciando il trattato di Locarno. Si passò poi alla fase di espansione del Reich attraverso la ricerca dello
spazio vitale ad oriente per raggiungere vari obiettivi:
- recuperare i territori perduti nel 1919
- affermare la superiorità della razza germanica a danno dei popoli slavi

27
- mettere la Germania nelle migliori condizioni strategiche in vista del conflitto con L’unione
Sovietica
Nel novembre 1937 Hitler espone i suoi progetti dicendo che è inevitabile lo scontro con la Francia e Gran
Bretagna che si oppongono al rafforzamento della posizione tedesca in Europa e che bisogna accelerare i
preparativi per l’espansione del Reich specificando gli obiettivi: Austria, Cecoslovacchia e Polonia
(programma realizzato in meno di due anni).
Marzo 1938: Anschluss, ovvero annessione dell’Austria alla Germania. Lo stesso anno avviene
l’annientamento dello stato cecoslovacco (inizialmente la Germania pretende la cessione della regione dei
Sudeti e la ottenne con il consenso della Francia e Gran Bretagna e Italia alla conferenza di Monaco di
settembre 1938, a marzo 1939 ordina l’invasione di ciò che resta della Cecoslovacchia che venne smembrata
con la creazione di una Slovacchia indipendente ma filotedesca.
L’atteggiamento di Francia e Gran Bretagna dall’appeasement mutò quando Hitler volle invadere la Polonia.
Chamberlain, ministro inglese garantì che il Regno Unito avrebbe difeso l’indipendenza della Polonia e
altrettanto fece il capo del governo francese Daladier.
La diplomazia tedesca opera su due fronti:
- rafforzamento legame con Italia fascista
- raggiungimento accordo con unione Sovietica che evita che quest’ultima faccia fronte comune con le
democrazie occidentali
Il 22 maggio 1939 venne firmato il PATTO D’ACCIAIO in cui Italia e Germania si aiutano reciprocamente
in caso di conflitto.
Il 23 agosto 1939 si firma il patto Patto Ribbentrop-Molotov, patto di non aggressione russo-tedesco con cui
la Germania si assicurava la benevolenza dell'URSS in cambio della cessione della Polonia orientale.

2. 1939-40: LA GUERRA SUL FRONTE ORIENTALE


I tedeschi applicarono sul fronte orientale la strategia della guerra lampo, in poche settimane l’esercito
polacco fu annientato e la capitale Varsavia occupata. L’Unione Sovietica invase la Polonia orientale e i tre
paesi baltici indipendenti. Smembrata la Polonia Hitler lanciò l’offensiva di pace nei confronti delle
democrazie occidentali. Offrì un ccordo a Francia e Gran bretagna ma sia Daladier che Chamberlain
declinarono e tale rifiuto fornì al dittatore tedesco l’occasione per riversare sulle potenze occidentali la
responsabilità del conflitto.
Tra Settembre 1939 e primavera 1940 ci fu un periodo di inattività in cui gli anglo-francesi rimangono
trincerati dietro la linea Maginot, complesso di fortificazione lungo la frontiera che si forma con la
convinzione che fosse invalicabile. Mentre gli anglo-francesi si aspettano un attacco frontale i tedeschi
l'armata tedesca aggira la linea Maginot e sorprende gli Alleati invadendo il Belgio e l’Olanda, violando la
loro neutralità. La Francia si arrende il 25 giugno 1940. La Germania costituì un governo collaborazionista
con sede a Vichy sancendo così la fine della Terza Repubblica.
Hitler pensò di piegare l’Inghilterra alternando offerte di pace a massicci bombardamenti aerei. L’Inghilterra
oppose resistenza, nella battaglia d’Inghilterra nella quale l’aviazione tedesca procedette a violenti
bombardamenti per indebolire il nemico e creale le condizioni per la sua resa; ma in sostanza si concluse con
un fallimento per i tedeschi. Hitler fu costretto ad abbandonare il progetto di invasione della Gran Bretagna.

3. L’ITALIA DALLA “NON BELLIGERANZA” ALLA “GUERRA PARALLELA”


Inizialmente Mussolini annunciò che l’Italia avrebbe assunto una posizione di non belligeranza. Il timore di
rimanere isolato diplomaticamente e la certezza che la guerra sarebbe terminata a breve
spinsero Mussolini a far entrare in guerra il paese, nonostante alcune resistenze all'interno della corte e
della stessa dirigenza fascista. Le forze armate italiane erano impreparate a una guerra moderna (incapacità
dell'industria nazionale di produrre armamenti competitivi in quantità soddisfacenti e i generali invecchiati).
Il 10 giugno 1940 l'Italia dichiara guerra a Francia e Gran Bretagna, in cui si mostrano le deficienze
dell'esercito. Per ritagliarsi la propria sfera di influenza imperiale, Mussolini impegna il paese in una guerra
parallela, attaccando la Grecia che si rivela essere un disastro, fu aiutata dai tedeschi per impedire la perdita
delle posizioni italiane in Libia e il mantenimento del controllo in Albania.
La Germania in pochi mesi assume il controllo della penisola balcanica invadendo Jugoslavia, Bulgaria e
Grecia e in precedenza si è assicurata l’alleanza di Romania, Slovacchia ed Ungheria.
Nel giugno 1941 praticamente tutta l’Europa continentale era controllata dalla Germania o comunque non le
era ostile.

28
Hitler decide quindi di sferrare l’attacco all’Unione Sovietica. L’operazione barbarossa scattò il 22 giugno
1941: l’esercito sovietico colto di sorpresa fu costretto alla ritirata. In poche settimane l’esercito tedesco
arrivò alle porte di Mosca e completò l’assedio a due città simbolo: Leningrado e Stalingrado.
Al giungere dell’inverno e la riorganizzata resistenza dei sovietici impedirono una capitolazione completa
dell’URSS:.

4. L’IMPERIALISMO GIAPPONESE E L’INTERVENTO DEGLI STATI UNITI


PATTO ANTI-COMINTERN, 1936 La GERMANIA e il giappone siglano un accordo politico che
impegnava i
contraenti a condurre una lotta comune contro la generica minaccia dell'Internazionale comunista. Il
Giappone non entrò subito in guerra, perché dal 1937 stava conducendo una guerra di conquista in Cina. Nel
1940 viene Italia, Germania e Giappone siglano il patto tripartito. La tensione con gli stati uniti cresce, questi
ultimi erano interessati al controllo del pacifico e al libero commercio in Cina. Prima fornirono materiale
bellico ai rivali dei nazifascisti e poi giungono ad uin accordo con il regno Unito sulla rioranizzazione del
mondo su basi democratiche ed espressa nella Carta atlantica, una sorta di manifesto ideologico antifascista
redatto da Chirchill e Roosvelt nell’agosto del 1941.
7 dicembre del 1941 la flotta navale americana ancorata nel porto di Pearl Harbor fu attaccata e distrutta da
aerei giapponesi. Fu l’evento che sancì l’ingresso in guerra degli stati uniti e aprì il nuovo fronte del Pacifico.

1942-43 GLI ANNI DELLA SVOLTA


Nell'estate 1942 le forze dell'Asse ripresero ad avanzare sul fronte russo giungendo fino a Stalingrado.
Tra agosto 1942 e gennaio 1943 i tedeschi e russi combattono per Stalingrado, fino a quando i tedeschi si
arrendono. Nel frattempo, i sovietici lanciano un'offensiva contro le linee tedesche, italiane, ungheresi e
rumene sul Don (operazione Urano). Il corpo d’armata italiano (Armir) rimase coinvolto e morirono
migliaia di soldati.
I tedeschi furono sconfitti nella battaglia di Kursk e le truppe italo-tedesche furono battute in Nord Africa. Il
possesso delle coste africane permise agli Alleati di sbarcare il Sicilia il 10 luglio 1943, sconfiggendo così la
guarnigione italo-tedesca. Caduta del regime fascista: il 25 luglio Mussolini viene arrestato e il generale
Badoglio diventato capo del governo. L'8 settembre Italia si arrende firmando l’armistizio di Cassibile.
Il re e il governo italiano si rifugiarono nel Sud, mentre i tedeschi occupavano Roma e il Centro-Nord
piegando la resistenza disorganizzata dell'esercito italiano. Nel Nord Italia viene instaurato un regime
fantoccio filo-tedesco, la Repubblica sociale di Salò (guidata da Mussolini). Si trovarono a fronteggiare
resistenze partigiane che combattevano i tedeschi con metodi di guerriglia, diedero vita al Comitato di
liberazione nazionale.

6. LA FINE DELLA GUERRA IN EUROPA


La caduta dell’Italia lascia i tedeschi soli in guerra. I giapponesi stavano svolgendo una guerra parallela nel
pacifico contro gli stati uniti. Nel novembre 1943 si svolge a Teheran il primo incontro tra i tre grandi
(Stalin, Roosvelt e Churcill). Viene decisa l’apertura di un secondo fronte mettendo a punto l’operazione
overlord che scattò il 6 giugno 1944 con lo sbarco degli Alleati in Normandia; Parigi viene liberata e il
generale De Gaulle divenne capo del governo provvisorio. Il 25 agosto e il 20 giugno la flotta giapponese
viene sconfitta nella battaglia del Mar dei Coralli.
Nel febbraio 1945 si svolge la conferenza di Jalta che sancì di fatto la spartizione dell’Europa in aree di
influenza. La Germania viene divisa in quattro zone e avviene la denazificazione. Viene approvata la
Dichiarazione sull’Europa liberata, le popolazioni liberate dal nazismo avrebbero dovuto eleggere
democraticamente i propri governi.
Nel mese di aprile l’Italia settentrionale insorse ponendo fine al regime di Salò. Gli angloamericani
riuscirono a spezzare le ultime resistenze tedesche scatenando violenti bombardamenti sulle citta. Il 2
maggio i sovietici conquistano Berlino dopo che Hitler si era tolto la vita, il maggio la Germania si arrende.
Il conflitto finisce anche nel Pacifico dove le bombe atomiche su Nagasaki e Hiroshima costrinsero il
Giappone alla resa.

7. IL MONDO DI FRONTE ALLA TRAGEDIA DEGLI EBREI


L’aspetto più atroce del conflitto fu senz’altro rappresentato dalla soluzione finale della questione ebraica. I
tedeschi puntarono alla costruzione di un nuovo ordine mondiale basato sul predominio assoluto della razza
eletta, quella ariana, e sulla completa sottomissione degli altri popoli fino all’organizzazione d vere e proprie

29
campagne di eliminazione di quelli considerati di razza inferiore. Le truppe alleate cominciarono a liberare i
numerosi campi di sterminio creati dai nazisti nell’Europa centro-orientale quando il mondo si trovò di fronte
alla tragedia del popolo ebraico, considerato da Hitler nemico principale e per cui aveva organizzato una
sistematica opera di eliminazione fisica. L’antisemitismo era stato da subito una componente essenziale della
politica di governo del nazismo. Nel novembre 1938, durante la cosiddetta notte dei cristalli, le milizie
naziste avevano organizzato un vero e proprio pogrom devastando sinagoghe, abitazioni e negozi ebraici e
subito dopo erano state varate misure antisemite che avevano ridotto alla povertà gli ebrei. La persecuzione
portò gli ebrei a essere confinati nei ghetti e poi deportati nei campi di concentramento dove venivano
sottoposti a esperimenti medici come cavie ed eliminati nelle camere a gas.
6 milioni di ebrei furono vittime della cosiddetta soluzione finale pianificata dai vertici nazisti a partire dal
1941 ed attivata nei lager concentrati soprattutto in Europa orientale e in Germania. A guerra finita solo un
esiguo numero di gerarchi nazisti fu condannato per i crimini commessi e ciò avvenne al termine del
processo di Norimberga dove per la prima volta su applicato il nuovo codice penale di diritto internazionale.

CAPITOLO 12 - 1949. LA RIVOLUZIONE CINESE


Il 1° ottobre 1949, al termine di vent'anni di lotta armata terminatosi con la vittoria dei comunisti di Mao
Tse-tung, venne proclamata la Repubblica Popolare di Cina. Fu la Terza (francese e russa) total revolution in
ordine cronologico, per tre motivi:

 politico: abbattimento dell'ancien régime e nascita di un nuovo ordinamento statale


 socio-economico: trasformazione radicale delle strutture sociali e produttive
 nazionale: la rivoluzione costituì un processo di decolonizzazione accompagnato da un
riposizionamento del paese nello scacchiere internazionale
1. LA LUNGA MARCIA VERSO LA VITTORIA
Fondato nel 1921 il Partito Comunista Cinese nel 1927 insorse contro il Guomindang ed il governo
nazionalista di Chiang Kai-shek (che aveva fatto massacrare i principali esponenti comunisti di Shanghai).
Le repressioni, proseguite sia nelle città che nelle campagne, fecero capire a Mao che poteva contare
sull’appoggio dei contadini (il 90% della popolazione) più che negli operai cittadini. Tra il '34 e il '35, per
evitare l’annientamento, i comunisti si ritirano nello Yenan (regione del nord-ovest) dopo una “lunga
marcia” (12 mila km). L'avvento dell'invasione giapponese e la seconda Guerra Mondiale, riunirono tutte le
forze politiche sotto il “secondo fronte unito” patriottico. Alla fine della guerra scattò nuovamente la guerra
civile: il fronte nazionale (appoggiato dagli USA) aprì le ostilità, ma i comunisti, forti del consenso delle
masse contadine, rilanciarono con un'offensiva nella Manciuria, costringendo alla ritirata il nemico.
Nel gennaio del '49 Pechino era comunista, e le forze rivoluzionarie si impossessarono pure delle città del
sud, costringendo il governo di Guomindang a riparare nell'isola di Formosa (Taiwan) che, comunque,
continuava a proclamarsi unico governo legittimo.
2. I COMUNISTI AL POTERE: I PRIMI ANNI DELLA REPUBBLICA
Il nuovo governo di Mao venne accettato immediatamente dai cinesi, e dovette subito fronteggiare numerosi
problemi: il paese era stato devastato da dodici anni di guerre interne ed esterne, andava ripristinata l'unità e
la sovranità nazionale, ribadendo l'indipendenza dall'imperialismo occidentale.
“Dalle masse alle masse”: per Mao lo scambio di vedute tra stato e popolo doveva essere continuo,
nonostante l'adozione di un sistema politico-economico sostanzialmente sovietico. Agli occhi dell'opinione
pubblica mondiale, questo socialismo democratico aveva una valenza ben migliore di quello burocratico
sovietico. Nel '50 vi fu la riforma agraria ed altre riforme:

 Ridistribuzione di terre e materiali da lavoro confiscati ai latifondisti per trecento milioni di


contadini, distruggendo ogni rimasuglio di prestigio aristocratico e legando indissolubilmente
contadini e nuovo potere comunista

30
 Nazionalizzazione delle imprese (fine della borghesia imprenditoriale) e confisca delle imprese
estere
 Legge matrimoniale: veniva alzato il limite di età a 20 anni per gli uomini e 18 per le donne,
abolizione di concubinaggio ed infanticidio, introduzione del divorzio consensuale (con tutela
maggiore per la donna in caso di separazione). Il potere del capofamiglia era sostituito da quello del
partito, ma ciò non risolse alla radice i problemi della donna
Nel 1953 fu lanciato il primo “piano quinquennale”:

 crescita accelerata dell'industria pesante come punto di rilancio dell'economia nazionale, che arrivò
ad eguagliare come crescita quella agricola
 collettivizzazione delle terre in cooperative di tipo socialista
Vi fu dunque un esodo dalle campagne verso le città: il regime non cercò di adattare il piano quinquennale al
cambiamento di orientamento sociale, ma usò il cosiddetto “grande balzo” che avrebbe dovuto accelerare la
strada verso il comunismo, andando così a forzare il corso della storia.
3. POLITICA ESTERA: TRA MOSCA E L’ISOLAMENTO
Ovviamente, nell'ambito della guerra fredda, Pechino si trovò allineato sulle posizioni dell'URSS. Il 14
febbraio 1950 Mao negoziò a Mosca il trattato sino-sovietico di alleanza e reciproca assistenza. Al termine
della Guerra di Corea, il governo cinese si trovò ancora più legato al potente vicino, dato che l'ONU
continuava a non accettare la sua autorità a favore del governo di Taiwan. La morte di Stalin (da sempre
diffidente verso i cinesi) permise rapporti più stretti con l’unione sovietica, ma la Cina si voleva porre anche
come potenza ragionevole e s'impose in fronte estero per l'abbattimento della logica dei blocchi, rifiutandosi
di aderire al Patto di Varsavia. Incominciò dunque un periodo di isolazionismo (anche in conseguenza del
XX Congresso del PCUS), in cui i cinesi si arroccarono sulle posizioni socialiste delle dottrine marxiste e
leniniste, rifacendosi però alla persona di Stalin che, comunque, aveva decretato il successo del modello
rivoluzionario socialista: Pechino non avrebbe potuto rinnegare Stalin senza rimettere in discussione la
legittimità stessa del potere comunista in Cina, che avrebbe portato una critica diretta alla persona di Mao.
Nel '56, il governo di Pechino si schierò a favore dell'annientamento dell'insurrezione ungherese, rinnegando
tutti i bei discorsi sulla pluralità di vie del socialismo. La spedizione anglo-francese di Suez e le posizioni
distensive di Chruščëv diedero i primi motivi di conflitto ideologico tra Unione Sovietica e Cina. Nonostante
la firma di un patto segreto per la collaborazione tecnologica e bellica, le posizioni sino-sovietiche si stavano
allontanando: per Mao la corsa al riarmo sarebbe conclusa con un'apocalisse nucleare, per l'URSS era l'unico
modo per garantire una distensione sotto due uniche superpotenze.
Tra il '59 e il '60 i rapporti si interruppero. La “via” cinese, il “grande balzo”, inaugurò infatti un proprio
sviluppo che avrebbe dovuto permetterle tanto di superare le difficoltà economiche apparse alla fine del
primo piano quinquennale quanto di abbreviare la fase di transizione verso il comunismo, irrealizzabile in
URSS per via di gravi derive revisioniste. Differenze vi erano anche nelle organizzazioni agrarie: in Cina la
collettivizzazione non era solo per l'impresa, ma faceva riferimento proprio alla vita sociale stessa del
contadino; il primato dell'industria pesante era stato sostituito dalla radicalizzazione di piccoli progetti
decentralizzati; si sviluppava un'imponente mobilitazione della popolazione alla quale venivano
propagandate immagini eroico - ascetiche in antitesi al supposto “comunismo del gulasch” di Chruščëv.
La Cina si impose dunque come antagonista al percorso politico russo, distinguendosi circa la
destalinizzazione, la coesistenza pacifica, la transizione al comunismo e, soprattutto, la guida del campo
socialista. In un contesto simile, il famoso slogan di Mao della “rinascita a partire dalle proprie forze” deve
così essere inteso come espressione di convinzioni fondamentali ma al tempo stesso come realizzazione di
una situazione di emergenza: fu infatti ben presto chiaro come la Cina fosse entrata in un doppio vicolo
cieco, stretta tra una drammatica crisi economica e un assoluto isolamento diplomatico.
CAPITOLO 13 1950. LA GUERRA DI COREA E LA GUERRA FREDDA

31
Nonostante di solito venga trascurata, la guerra di Corea costituisce un punto fondamentale non solo
dell’evoluzione dello scenario asiatico durante la guerra fredda, ma della guerra fredda stessa. Essa ha anche
rappresentato la definitiva sanzione della divisione netta del mondo in due zone separate e non comunicanti.
Inoltre è importante, in quanto dimostra che si può analizzare la guerra fredda anche da un punto di vista
non-eurocentrico. La già difficile analisi del fenomeno “guerra fredda” si complica ulteriormente se si
osserva lo scenario orientale, innanzitutto perché la divisione fra territori “nemici” o “alleati” è confusa e
poco chiara. Questo rende anche difficile l’applicazione in Asia delle linee di condotta che le superpotenze
elaborano per lo scenario Europeo, ben più nitido. Questa situazione di “confusione” è principalmente
causata da meccanismi politici interni alla regione che affrontava in quel periodo la decolonizzazione: nei
singoli stati, quindi, si mescolavano le questioni ideologiche tipiche della guerra fredda e problemi di
indipendenza politica; al nation-building si affiancavano la necessità di aprirsi all’estero in campo economico
e di collocarsi in uno dei due “schieramenti”.
1949-50: IL BIENNIO CHIAVE
All’inizio degli anni 50, per gli USA, l’Asia era una zona di interesse e importanza strategica limitata, salvo
forse per il Giappone. L’approccio americano alle questioni che sorgevano nella zona era una semplice
trasposizione delle politiche utilizzate in Europa. Il conflitto in Corea e la rivoluzione comunista in Cina
saranno quindi interpretate come un movimento del comunismo che dalle “periferie” del mondo vuole
muovere al centro. Questo non cambierà l’approccio “Europe-first” degli USA, ma amplierà a dismisura la
sfera dei loro impegni. L’URSS, invece, fino alla morte di Stalin (’53), imporrà ai partiti comunisti di
opporsi a tutti i movimenti nazionalisti-non comunisti nell’ambito della decolonizzazione. Gli USA, inoltre,
in ogni mossa di un partito comunista vedranno un complotto sovietico, e questo li porterà a considerare tutto
nell’ottica di una guerra globale. Nel 1949, due elementi porteranno la tensione ad alzarsi fino a segnare il
vero avvio della guerra fredda: il primo esperimento atomico russo, e la vittoria dei comunisti nella guerra
civile cinese. Nei confronti dei comunisti cinesi, la russia sarà in primis cauta, ma nel febbraio 1950 sarà
firmato il Trattato di Amicizia sino-sovietico, risposta alla NATO. Il “fronte interno” degli USA vede una
forte sfiducia nei confronti di Truman e un’ansia generalizzata (emblematico il senatore McCarthy, e la sua
“caccia al comunista”. In generale, si afferma una visione della guerra fredda come scontro fra due entità
perfettamente antitetiche, un “gioco a somma zero”, in cui cioè qualsiasi cosa venga perso da uno dei due
blocchi va direttamente nell’altro. Questo porterà gli USA a interpretare in questo modo qualsiasi caso, senza
considerarlo nei particolari. Questo porterà al documento NSC-68, della primavera del ‘50, che implica
l’assunzione da parte dell’america della “missione” di contenere l’avanzata comunista in tutto il mondo,
impegnandosi militarmente pressoché ovunque.
2. I PRODROMI DEL CONFLITTO COREANO
In epoca imperialista Russia, Giappone e Cina si erano litigati ferocemente la Corea, che alla fine era stata
conquistata dal Giappone, ed era rimasta sotto il suo dominio dal 1910 al ’45. In teoria, secondo i piani di
Roosevelt, avrebbe quindi dovuto diventare indipendente dopo la seconda Guerra Mondiale. I Russi, però,
per far notare che vogliono partecipare alle trattative sull’indipendenza coreana, ne invadono tutto il nord.
Gli USA rispondono occupando il sud. Il confine viene posto sul 38mo parallelo. Nel Nord, i comunisti
proclamano la Repubblica Democratica Popolare di Corea. Sarà riconosciuta dall’URSS nel ’46, e
ufficializzata nel ’48 (9 settembre). Suo presidente è Kim Il Sung (breve excursus: la Corea del Nord è
l’unico regime dittatoriale comunista e anche ereditario, per cui l’attuale Kim Jong Il è il figlio di Kim Il
Sung). La Corea del Nord non è una pedina di Cina e Urss, anche se deve loro molto. Nel Sud, gli americani
mettono al potere Syngman Rhee, simpatico ultranazionalista, che odia tutto e tutti, comunisti compresi, e si
allea con gli USA per convenienza. La Repubblica di Corea viene proclamata nel 48 (15 agosto). Gli USA
spingeranno per una commissione temporanea ONU sulla Corea, per sostenere il loro alleato.
Nel 48, in pratica, son già pronti per la guerra. Ma:

32
 Il nord ha bisogno dell’appoggio cinese ed eventualmente russo. Mao promette appoggio non appena
finita la guerra civile (che finirà nel 49), Stalin temporeggia dicendo che la nord corea non ha i mezzi
per vincere quella guerra, ma in realtà teme un’escalation a livello globale del conflitto.
 Il sud aspetta l’appoggio dell’America, che però ha rivisto le sue strategie e ora la considera una
zona secondaria, quindi assume un ruolo di sostegno economico, e militarmente difensivo, ma non
vuole impegnarsi in una guerra.
Nel 49, gli USA cambiano ancora rotta, spaventati dall’avanzare del comunismo in Cina e dal rafforzarsi
della minaccia militare russa. Inoltre, dimostrandosi abbastanza paranoici, interpretano il trattato sino-
sovietico come un fronte comune unito del comunismo, che vuole attaccare “il mondo libero”. Seguono il
documento NSC-68, e i test sulla bomba all’idrogeno.
Nel 1950, la Cina stipula il patto sino-coreano, e dà appoggio ufficiale alla Corea. Stalin dice che è d’accordo
con loro, ma che dipende da Cina e Corea, e non si sporca le mani.
3. IL CONFLITTO E LE SUE FASI
Il 25 giugno del 1950 i nordcoreani attaccano, senza incontrare particolare resistenza; Truman porta la
questione all’ONU. C’è prima, il giorno stesso, una risoluzione di condanna, poi, due giorni dopo,
un’autorizzazione ai membri ONU a sostenere la Corea del Sud. Il 19 le truppe USA vengono schierate.
Viene istituito un comando unificato delle Nazioni Unite, in realtà composto quasi del tutto dagli USA,
comandato dal generale McArthur. Per tre mesi le forze del nord avanzano senza problemi, poi le truppe
americane, dopo lo sbarco ad Inchon, le respingono in 15 giorni. A questo punto, Rhee chiede l’invasione
della Corea del Nord. Per quanto sia difficile da giustificare, a Truman conviene come propaganda (elezioni
del congresso vicine). Le truppe americane superano il confine e avanzano, in 20 giorni si arriva alla
conquista di Pyongyang (20 ottobre 1950). Kim Il Sung chiede aiuto, e Stalin (sempre restandone fuori)
convince Mao che ormai il conflitto è su scala globale, quindi Mao manda dei battaglioni di volontari. Nel
novembre del 1950 Truman dichiara possibile l’uso di armi atomiche in Corea. Canada, Francia e Regno
Unito si accorgono del rischio che il conflitto raggiunga davvero scala globale. Il problema, in realtà, è uno: i
leader dei due blocchi si sono convinti che la Corea sia una specie di banco di prova per una guerra su larga
scala.
Le truppe cinesi conquistano Seul, il 4 gennaio 1951. I vertici militari americani fanno pressioni perché si
invada la Cina stessa. Gli altri paesi alleati tentano di mediare all’interno dell’ONU, per evitare il peggio.
Il 7 marzo Seul viene liberata dagli USA. Da qui in poi la guerra è in stallo, il problema è interno
all’America. Ci sono scontri fra Truman e il generale McArthur, che viene destituito. Sembra che Truman
non voglia più ottenere una vittoria totale sulla Corea del Nord, e anzi sia disponibile ad accettare i due stati
separati. Ci sono i negoziati di Kaesong. Per due anni, i negoziati si trascinano, principalmente per un
irrigidimento delle posizioni dell’amministrazione Truman, a cui i repubblicani avevano rimproverato un
atteggiamento troppo morbido. Direttamente da questa inversione di tendenza nasce il nuovo documento
NSC 48/5, nel maggio ‘51, che prevede un contrasto frontale con la Cina e l’utilizzo della guerra di Corea
per indebolire forza e prestigio del comunismo. Altro problema è la restituzione dei prigionieri di guerra
cinesi e coreani, a cui Truman si oppone. La situazione si risolve fra il 52 e il 53, grazie alla mediazione
dell’India, alla politica aggressiva del nuovo presidente USA Eisenhower, che intimorisce URSS e Cina
(addirittura, un nuovo documento sulla sicurezza nazionale e la politica estera prevedeva più di uno scenario
in cui le armi atomiche venissero utilizzate), e al nuovo leader russo Malenkov, che si insedia dopo la morte
di Stalin ed è maggiormente disposto a risolvere pacificamente le controversie. Si arriva quindi all’armistizio
di Panmujion nel luglio 1953, ma la guerra aveva lasciato le due Coree in condizioni critiche, ed era stata
caratterizzata da un fortissimo uso della guerriglia e da un (troppo) massiccio coinvolgimento dei civili.
LA STABILIZZAZIONE DELLA GUERRA FREDDA
Innanzitutto, la guerra di Corea aveva messo in luce due incapacità delle superpotenze: la prima, di portare a
termine i loro obiettivi “assoluti” con la forza, perché si sarebbe arrivati alla distruzione reciproca; la

33
seconda, di non essere in grado di interpretare i singoli casi locali, venendo “accecati” dalla logica dello
scontro bipolare. L’America, conclusa la crisi coreana, restituirà una parziale indipendenza al Giappone e
stringerà una fitta rete di alleanze con varie potenze “locali”, dovendo però ampliare ancora di più i suoi
impegni militari. Questo sottolineerà la necessità di un’indipendenza militare dell’Europa. Inoltre, dalla fine
della guerra di Corea in avanti, si può dire che i due blocchi si sono “stabilizzati”, quindi l’unico scontro non
possibile (cioè che non abbia come conseguenza la distruzione totale reciproca) è nei nuovi stati che nascono
liberandosi dall’imperialismo, e che si notano i primi segni di contrasto fra la Russia e la Cina di Mao, che si
presenta come parte indipendente nel conflitto, non sottomessa all’URSS.
CAPITOLO 14 1956. UNA SVOLTA NEL XX SECOLO
Il 1956 fu un “anno breve”, cominciato in febbraio con il XX Congresso del PCUS e terminato in novembre
con la fine simultanea della crisi ungherese e di quella di Suez. A metà degli anni ’50 (maggio 1955)
l’istituzione del Patto di Varsavia pareva aver sancito tanto la realizzata costruzione di 2 blocchi
contrapposti quanto l’omogeneizzazione dei 2 campi. La nuova direzione collegiale dell’URSS, dalla quale
stava emergendo Nikita Chruscev, venne interpretata come un segno positivo di svolta rispetto all’ultimo
oscuro ventennio del potere staliniano. I primi segnali di svolta si era già avuti subito dopo la morte del
dittatore (5 marzo 1953), quando i vertici del partito avevano stabilito che il sistema piramidale fondato
sull’accentramento di tutte le cariche nelle mani del leader avrebbe dovuto lasciare il posto ad una direzione
collegiale. Nel giro di pochi mesi si verificarono altri avvenimenti importanti: il 27 marzo 1953 il Soviet
Supremo decretò l’amnistia per tutti i detenuti dei gulag, la cui pena non superasse i cinque anni, mentre il
10 giugno sulla Pravda comparve l’espressione: “Culto della Personalità”. I nuovi dirigenti sovietici
avevano cominciato a far circolare le prime critiche sul periodo precedente. In politica estera si dovrà
aspettare qualche anno per assistere a un disgelo, dimostrato dalla pace sovietico-jugoslava del 1955, e nel
riconoscimento della necessità di sviluppare una politica di coesistenza possibile tra i blocchi. In America la
dottrina del containment era stata sostituita da quella del roll-back, patrocinata da John Foster Dulles,
segretario di stato del nuovo presidente Eisenhower. Non ci si doveva solo limitare a contenere il minaccioso
“orso russo”, ma bisognava sconfiggerlo, liberando i popoli dal comunismo.
2. XX CONGRESSO: IL COMUNISMO CAMBIA VOLTO?
Il XX Congresso del PCUS si aprì il 14 febbraio 1956 al Cremino, a meno di tre anni dalla morte di Stalin. Il
Congresso si costituì di due parti: una pubblica, aperta a tutti i 1436 delegati dei 55 partiti fratelli, ed una
segreta. Il rapporto del Comitato Centrale confermava il cambiamento della linea politica e la rottura con le
pratiche staliniste. Questa correzione di rotta non lasciava certo presagire il terremoto che si sarebbe prodotto
appena dieci giorni dopo. Chruscev sottolineò l’importanza di favorire la distensione internazionale,
riconoscendo che lo scontro tra blocchi poteva essere evitato e che la coesistenza pacifica avrebbe dovuto
costituire la linea della politica estera dell’URSS. Altra rottura con lo stalinismo fu il riconoscimento di una
pluralità di vie verso il socialismo. La principale denuncia del “culto della personalità” di Stalin venne da
Mikojan che disse che per circa vent’anni era stato violato un principio base di un partito proletario quale la
direzione collettiva e che per un periodo analogo erano state trascurate le idee leniniste. Dopo dieci giorni
(24 febbraio), Chruscev fu eletto primo segretario e informò solo i delegati sovietici che quella sera, dopo la
chiusura del Congresso, avrebbero dovuto assistere a una riunione a porte chiuse. I rappresentanti stranieri
avrebbero poi ricevuto una copia della relazione. Chruscev lesse nella notte fino alle 4 del mattino il
“rapporto segreto”. Il testo spiegava come si fosse imposto il culto della personalità e quali ne fossero state le
conseguenze. Per rendere ancora più evidente la deviazione personale di Stalin, oltre a elogiare la
collegialità, denunciava la perversione del “centralismo democratico” operata da Stalin ed evoca le purghe
che avevano condotto molti comunisti alle confessioni più insensate, ed altri alla morte. Dopo aver demolito
il mito di Stalin “Successore” il rapporto attaccò il mito di Stalin “capo militare”, alla immagine del
Generalissimo “padre della vittoria” venne sostituita quella di un uomo esitante ed incapace; troppo intento a
preparare una guerra offensiva, si era lasciato sorprendere dai nazisti e veniva individuato come causa delle
sofferenze del ’41- ‘42. dal rapporto emerse un’immagine di un despota premuroso soltanto di edificare il
proprio culto, di un tiranno incompetente e crudele, responsabile di scelte sbagliate a livello politico,
economico, militare. Non veniva però mai messa in discussione nessuna scelta del partito. Alla fine di marzo

34
Chruscev decise di diffonderlo a tutti i sovietici. Il 30 giugno il Comitato centrale del PCUS pubblicò una
deliberazione chiarificatrice che spiegava la deviazione del culto della personalità dalla retta via che
conduceva al socialismo. Le cause erano da imputare a doppia serie di ragioni: le prime, di carattere
oggettivo, risiedevano nelle concrete condizioni storiche in cui risiedeva l’URSS, fortezza assediata da un
accerchiamento capitalistico; le seconde, soggettive, rappresentate dalle qualità personali di Stalin che, a
lungo nel giusto, aveva poi ecceduto nei metodi. Il testo non poteva però evitare che la notizia dell’esistenza
del rapporto facesse il giro del mondo: il New York Times pubblicò articoli e il Dipartimento di Stato
americano rese persino pubblica la copia del della versione del di Chruscev. I sovietici non autenticarono ne
smentirono tale versione: di fronte a questa ambiguità della linea ufficiale, ogni partito reagì in funzione
della sua strategia politica, ma nei paesi dell’est il “rapporto” era già portatore di fermenti di rivolta.
2. POLONIA E UNGHERIA: LA DESTALINIZZAZIONE ALLA PROVA
Le scuse di Chruscev a Tito e la ventata riformatrice del XX Congresso decretarono nell’aprile ’56 a Mosca
lo scioglimento del Cominform. Fu in Polonia e in Ungheria che le conseguenze del nuovo clima misero in
pericolo l’unità del campo socialista. In Polonia le rivelazioni del XX Congresso e il riconoscimento della
pluralità di vie verso il socialismo avevano provocato una crisi sia nel partito che nella società. La morte di
Bierut, il “piccolo Stalin“ polacco aprì una possibilità di liberalizzazione dal vertice, scatenando una lotta
interna al partito alla cui testa fu posto l’oscuro Ochab. Cominciarono poi a diffondersi scioperi operai, che
manifestavano la volontà di introdurre in Polonia un modello di autogestione di tipo jugoslavo. I toni della
protesta montarono rapidamente fino a che la sommossa antistalinista degli operai di Poznan fu repressa nel
sangue con 60 vittime. Gli animi erano stati surriscaldati da false voci riguardanti l’arresto della delegazione
polacca del XX Congresso, messe in giro dall’ala ortodossa del partito comunista polacco. In Polonia stava
prendendo forma una destalinizzazione alla base. La giustificazione ufficiale della repressione fu il segnale
dell’imbarazzo di un governo che traeva la legittimità proprio dalla classe su cui aveva usato i fucili. Il
gruppo dirigente polacco fu convocato a Mosca e ottenne che venissero accettate le proprie rivendicazioni a
patto che nn fosse rimessa in questione l’appartenenza della Polonia al campo socialista. Gomulka, leader
antistalinista, fu nominato alla guida del partito polacco; il 1956 e l’epilogo della crisi in Polonia parevano la
via alla destalinizzazione dell’intero blocco socialista. Pochi mesi dopo, la drammatica fine delle vicende
ungheresi avrebbe spento ogni speranza. Infatti subito dopo la morte di Stalin la trojka Chruscev-Malenkov-
Molotov aveva convocato nella capitale Matyas Rakosi, il “piccolo Stalin” ungherese, per fargli
comprendere che il mutato clima richiedesse una cessione di parte del suo potere. Rakosi riuscì a
temporeggiare, fino a quando le sommosse di Berlino del giugno ’53 non costrinsero Mosca ad accelerare i
tempi anche a Budapest. Rakosi venne riconvocato a Mosca, insieme a Nagy che lui stesso aveva allontanato
dal partito. Così Rakosi restò alla guida del partito e Nagy andò a capo del governo.
Programma innovativo e moderato di Nagy si divideva in 4 punti:
 Sviluppo di una prima industrializzazione leggera per incentivare i consumi
 Fine della collettivizzazione delle campagne
 Liberalizzazione sociale
 Rifiuto del “Culto della Personalità”.
Il programma fu strenuamente boicottato dalle istanze del partito, generando una tensione sociale
crescente. In tale contesto le scuse di Chruscev a Tito, spinsero un Rakosi in difficoltà ad attaccare
duramente Nagy, costringendolo alle dimissioni. Nel 1955 la tentata “destalinizzazione anticipata”
ungherese era fallita. Non appena però si ebbe notizia delle rivelazioni di Chruscev, l’Ungheria fu
attraversata da una ventata di liberalizzazione culturale. Rakosi cedette la segreteria del partito a Gero:
incoraggiati dagli avvenimenti polacchi gli ungheresi insorsero il 22 ottobre reclamando il ritiro dei
sovietici e il ritorno di Nagy a capo del governo. Mosca comprese che in questo frangente l’unica figura
rappresentativa e tranquillizzante fosse Nagy: fu stipulato un compromesso in base al quale egli
assumeva la guida del governo, mentre Kadar, che offriva ai sovietici più garanzie sulla fedeltà
ideologica, quella del partito. Il movimento popolare, anticomunista ed antisovietico travolse il governo
di Nagy, il quale non potè far altro che assumere la guida della rivoluzione. Il 1 novembre, il governo
annunciò il ristabilimento del pluralismo politico e l’uscita dal Patto di Varsavia, proclamando la

35
neutralità del paese. Allora Chruscev si decise per la repressione della rivolta. Ebbe l’appoggio
dell’intero campo socialista, sia l’assicurazione del non intervento statunitense. A partire dal 4 novembre
i sovietici rioccuparono Budapest, con combattimenti aspri che costarono la vita a 20mila insorti, mentre
Nagy fu rapito e portato in Romania (dove un tribunale sovietico lo condannò a morte). Mentre l’URSS
si dimostrava più interessata a mantenere il controllo sui territori che già possedeva, l’ipotesi americana
deliberare i popoli si faceva sempre più inconcludente ed ideologica: l’unico roll-back del 1956 fu quello
nei confronti della disastrosa spedizione militare anglo-francese a Suez, in seguito alla nazionalizzazione
del canale avvenuta il 26 luglio per volontà del presidente egiziano Nasser.
3. SUEZ: IL TRAMONTO DEL COLONIALISMO EUROPEO
Gamal Abdel Nasser, leader della rivoluzione egiziana che nel ’52 aveva rovesciato la monarchia di
Faruq I proclamando la repubblica, prese a pretesto il mancato finanziamento angloamericano della diga
di Assuan per proclamare la nazionalizzazione del canale di Suez. La decisione di Nasser fu presa per
eliminare quella sorta di Stato nello Stato costituito dalla Compagnia, di eliminare la presenza inglese
(controllava la compagnia) e presentarsi come leader nascente del nazionalismo arabo. Sul piano legale
poi la decisione pareva legittima: la Compagnia era egiziana e la sua nazionalizzazione costituiva una
sorta di trasferimento di sovranità al suo vero proprietario: lo stato egiziano. Il premier britannico
Anthony Eden cominciò a dipingere Nasser come un Hitler o un Mussolini arabo nelle mani del
Cremlino. La decisione inglese di intervenire dipese tanto da cause materiali (petrolio) quanto da motivi
ideologici (salvaguardia dei princìpi di proprietà, di libero scambio e dei soldati di Sua Maestà che
avevano sacrificato la loro vita per difendere il canale). Anche Francia e Israele si allearono con
l’Inghilterra: la prima intendeva neutralizzare il sostegno egiziano alla guerriglia algerina, mentre il
secondo puntava a indebolire un pericoloso e scomodo vicino. Nonostante gli appelli dell’ONU e le
perplessità americane, Eden ordinò a Israele di attaccare l’Egitto (30 ottobre), prima di imbastire con i
francesi una spedizione aerotrasportata nel canale. I sovietici minacciarono un intervento diretto. La
paura di una rappresaglia sovietica, il voto di condanna dell’ONU e l’intransigenza dell’amministrazione
americana nell’ esigere il ritiro delle truppe costrinsero Eden e i suoi alleati ad una marcia indietro.
Mentre gli USA emergevano come la potenza egemone dell’occidente, l’URSS era la padrona
incontrastata del blocco orientale. Il 1956 viene considerato un anno di svolta: sancì il rafforzamento
sovietico e americano all’interno della propria sfera di influenza. “Coesistenza” e “distensione”
sostituivano parole più minacciose come “inevitabilità della guerra” e “roll-back”. Dal 1956 alla crisi dei
missili del ’62, la situazione internazionale fu caratterizzata da una prima Distensione: si stava entrando
in anni di espansione economica, nei quali il benessere sarebbe stato la vera sfida sulla quale misurarsi.
L’immagine di svolta del 1956 fu anche un’altra: rese tutti più consapevoli della complessità della
politica internazionale e mostrò come stesse per scoccare l’ora nella quale tutti i popoli avrebbero
cercato di prendere in mano il proprio destino.

CAPITOLO 15 1960. LA DECOLONIZZAZIONE IN AFRICA: UN PROCESSO INCOMPIUTO


Il 1960 viene scelto ad emblema del processo storico che pone fine agli imperi coloniali: molti paesi
africani ex colonie francesi ed inglesi accedono all’indipendenza. Tale decolonizzazione è stato un
processo traumatico che ha investito le stesse Nazioni Unite ed ha evidenziato le difficoltà della
costituzione politica degli stati-nazione postcoloniali. Il processo di decolonizzazione è il risultato
congiunto di trasformazioni e decisioni a livello internazionale insieme alla diffusione di idee e
rivendicazioni di tipo sociale e politico dei territori coloniali di Africa e Asia. In Asia il processo di
decolonizzazione prende avvio già nel 1946: Filippine, Medio Oriente, Siria, Libano, Giordania
raggiungono l’indipendenza; nel 1947 l’India viene divisa però tra India e Pakistan; nel 1948 Myanmar,
nasce lo stato di Israele e si apre la non risolta questione palestinese; nel 1954 Laos e Cambogia, con il
Vietnam, che viene diviso in due. In Africa oltre allo strano caso del Sudafrica nel quale nel1948 viene
istituzionalizzato il regime di apartheid, il secondo dopoguerra produce una frettolosa decolonizzazione

36
nelle colonie francesi inglesi e belghe. Questa sarà la situazione che darà origine alla “seconda
decolonizzazione” in Africa, caratterizzata da movimenti armati di liberazione nazionale.
1. L’ANNO DELL’AFRICA
Il 1960 può essere considerato l’anno di svolta per la formazione dell’africa indipendente in quanto
diventano indipendenti 16 stati. Negli anni precedenti erano già diventati indipendenti Libia, Sudan,
Marocco, Tunisia, Ghana e Guinea. L’Egitto, nel 1952, ci fu la presa del potere da parte dei militari
guidati da Gamal Nasser che assume un ruolo di primo piano nella politica nazionalista anticoloniale e
panaraba. Tutto ciò alimenta maggiormente le speranza per un consesso nuovo democratico basato
sull’autodeterminazione ed emancipazione dei nuovi stati, dunque su garanzie di libertà politica riscatto
sociale ed economico. La IIa Guerra Mondiale è sicuramente, per gli effetti appena descritti un momento
di cesura a livello internazionale, che decreta la fine degli imperi coloniali.
2. IDEE E MOVIMENTI NAZIONALISTI
In Africa i movimenti nazionalisti, per quanto diversificati, avevano tutti lo scopo di portare i propri
paesi all’indipendenza, e contribuivano assieme ai movimenti politici e culturali (quali il
panafricanismo) a rafforzare le idee di emancipazione degli africani, l’affermazione nazionale e la
sovranità popolare. Infatti era quanto mai necessaria la “liberazione dell’Africa intera”, a sottolineare
l’unità di intenti nel continente. Tale unità, pur restando debole e più dichiarata sulla carta che reale,
portò nel 1963 alla formazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana. Rivendicazioni venivano rivolte
agli europei da élite intellettuali, insieme a decise denuncie del colonialismo e della sua oppressione,
condanne dello sfruttamento coloniale e di quella che era stata definita “missione civilizzatrice”.
3. INDIPENDENZA POLITICA E SVILUPPO ECONOMICO
Era prioritaria era la questione dello sviluppo economico e sociale. Il processo di decolonizzazione è
inoltre da legare all’idea di creare un nuovo ordine mondiale basato oltre che sulla sovranità popolare
anche sul rispetto dei diritti umani, dell’eguaglianza fra popoli e nazioni. Nella conferenza di Bandung in
Indonesia del 1955 si rafforza l’immagine del Terzo Mondo e del non allineamento, sancito
ufficialmente nel 1961 alla conferenza di Belgrado.
4. LA FINE DEL PROGETTO COLONIALE
Da ricordare è certamente la svolta al disimpegno coloniale in Africa di Francia ed Inghilterra avuta nel
1956 con la crisi di Suez, alla quale è da aggiungere, per quanto riguarda il processo di indipendenza di
alcuni territori dalla Francia, la guerra di Indocina e l’inizio della lotta di liberazione in Algeria nel 1958.
Per quanto riguarda la guerra in Algeria, diverse opinioni, tensioni interne e regionali tra i leaders
africani delle colonie francesi portarono alla fine della costituzione franco-africana, avanzata da de
Gaulle e votata positivamente da referendum, favorendo l’indipendenza dei diversi territori africani nel
1960 e negli anni immediatamente successivi. Anche se più graduale e programmato, il processo di
decolonizzazione avviato in Africa dalla Gran Bretagna incontra parecchi problemi e difficoltà nella fase
di transizione all’indipendenza: il Kenya raggiunge nel 1963 l’indipendenza mediante un processo
negoziale a seguito della rivolta armata Mau-Mau degli anni ‘50.
5. LA DECOLONIZZAZIONE MANCATA?
L’indipendenza economica ed il progresso sociale per la maggior parte delle popolazioni non si è
realizzato: il conflitto ancora in corso nella Repubblica Democratica del Congo esemplifica questo
percorso problematico e può esser preso come simbolo della violenza coloniale e delle grosse
contraddizioni della politica internazionale: diviene infatti teatro di scontro del confronto tra est est ed
ovest, sottolineando le difficoltà delle Nazioni Unite nell’affrontare la crisi. La crisi congolese esprime in
maniera drammatica la cesura e gli effetti tragici del colonialismo in Africa: discriminazioni, violenze,
sfruttamento. Tutto ciò viene riportato nel discorso di Patrice Lumumba (30 giugno 1960) nuovo leader
del Congo che dichiara così la rottura con tutti i poteri, ma proprio per questo ucciso nel gennaio 1961.

37
La morte stessa di Lumumba deve dunque esser presa come emblema del fallimento delle aspettative di
riscatto e speranza dei popoli colonizzati, di un processo di decolonizzazione che rimane ancora un
percorso difficile nel suo completo raggiungimento in Africa come altrove.

CAPITOLO 16 GLI ANNI SESSANTA


È da ricordare che non è un periodo omogeneo per:

 Specificità dei casi nazionali


 Questioni inerenti lo sviluppo del decennio. La recente storiografia parla di “lunghi anni ’60”,
ossia prende in considerazione un periodo più lungo del semplice decennio. Per Marwich: anni
’60 a partire dal ’58 (si inizia a percepire il benessere dato dall’espansione economica) fino al
’74 (crisi petrolifera). ‘68 come momento chiave: partecipazione politica attiva della prima
“generazione del benessere”
Anni ’60 considerabili come momento di cesura in quanto:
 Passaggio dalla povertà al consumo
 Passaggio dallo stato paternalista allo stato sociale
 Affermazione del benessere come parametro di legittimazione politica
1. LA “SOCIETÀ DEL BENESSERE”
L’Europa dopo la Seconda guerra mondiale è distrutta. Segue una rinascita:

 Politica: sostituzione dei precedenti schieramenti bellici con la contrapposizione ideologia della
guerra fredda
 Economica: (forte influenza del piano Marshall), modernizzazione e trasformazione più veloce
rispetto alla politica Analisi dei fattori (prettamente di stampo economico) caratterizzanti la
“società del benessere”; prodotto interno lordo reale (ossia misurato escludendo gli effetti
dell’inflazione) torna rapidamente ai livelli post-bellici.
Due fasi dei rapporti lavorativi Fase 1: (anni ‘40 - prima metà anni ‘50): stretto controllo di forza
lavoro. Fase 2: riconoscimento e integrazione delle rivendicazioni dei lavoratori
Metà anni ’50 c’è il superamento di obbiettivi di ricostruzione e stabilizzazione. Tra il 1950-70 ci
furono gli anni dell’età dell’oro, crescita media PIL paesi Europei del 5%. Aumento della spesa
pubblica media di ¼, che determina la nascita dello stato sociale. Il miracolo economico dei paesi
sconfitti (Germania, Italia,Giappone): crescita del PIL particolarmente elevata. L’Industria acquista
sempre maggiore importanza lo sviluppo dei consumi privati (specialmente negli anni 60) rispetto
all’industria pesante. Beni voluttuari come arredamento, automobili e tempo libero in rapidissima
ascesa. L’economista Galbraith conia il termine affluent society (società del benessere) a significare
(partendo dalla società statunitense) che la maggior parte delle persone è libera dai problemi di
sussistenza. Gli stati si concentrano su “essenziali servizi pubblici”, atti a rimuovere le nuove forme
di ineguaglianza.
 Rivoluzione culturale, data dal nuovo benessere
 Automobile: trasformazione del paesaggio urbano e nuova dimensione di libertà
 Elettrodomestici: donna alleggerita da lavori domestici; facilitato il suo accesso nel mondo
del lavoro
 Consumi femminili e giovanili: riconoscimento sociale di questi gruppi di consumatori;
veicoli di emancipazione nella sfera politica (culmine di questo processo: il ’68)
 I cittadini hanno a disposizione un nuovo complesso di bene che ne definisce lo status
(arredamento, auto, tv, vestiti, vacanze).
 Standard di vita come elemento di misura della legittimazione dei governi
2. LA POLITICA E IL BENESSERE

38
Metà anni ’60: promozione e garanzia del benessere diventano una questione politica. Volti simbolo:
 Papa Giovanni XXIII: immagine di una Chiesa che si impegna nella promozione di un
progresso sociale per l’emancipazione degli oppressi
 John Fitzgerald Kennedy: immagine di un’America più concentrata sul benessere che sulla
guerra fredda (firma nel ’63 di un trattato con Chruscev che bandisce esplosioni nucleari
nell’atmosfera: inizio di “coesistenza pacifica”)
 Europa: spostamento a sx degli equilibri governativi
 Italia: a partire da 1960 governi di solidarietà nazionale (DC+PSI). Riforme (nazionalizzazione
dell’energia elettrica, scuola obbligatoria fino a 14 anni, istituita la Commissione per la
Programmazione Economica)
 GB, 1964: laburisti di Wilson vincono le elezioni. Vince con un programma che vuole unire il
socialismo alla scienza
 Germania,1964: Erhard deve lasciare il potere per fare una coalizione con i socialdemocratici
(1959 “svolta di Bad Godesberg”: abbandono dell’ideologia marxista e ricerca del benessere
come fine). Brandt ministro degli esteri (nel ’69 diventa cancelliere con una diversa coalizione)
• Finlandia 1966: Fronte Popolare al potere (socialdemocratici+comunisti)
 Francia 1968: de Gaulle a seguito di tumulti lascia il potere al suo successore Pompidou (vedi
cap.18)

CAPITOLO 17 1967. LA SVOLTA DELLA «QUESTIONE MEDIORIENTALE»


Gamal Abdel Nasser, leader del mondo arabo, era molto restio a una nuova guerra contro Israele, dopo la
guerra del 1956 per il canale di Suez. Sebbene la distruzione di Israele rappresentasse infatti per il rais
egiziano il metodo per cementare l’unità araba, nel 1967 non era ancora pronto al conflitto e anzi temeva
di essere trascinato in una folle avventura dalla Siria, mossa da un rinnovato impeto religioso. Per frenare
la politica di Damasco, Nasser arrivò a stringere un accordo di mutuo soccorso, sempre per timore di un
diretto coinvolgimento statunitense nella faccenda, temendo una mancata unità del mondo arabo, come
già nel 1948. La spinta rivoluzionaria del 1952 si stava rapidamente esaurendo, e Amer, comandante in
capo delle forze armate, l’“anima nera” di Nasser, spingeva per far precipitare la situazione e arrivare al
conflitto, soprattutto dopo le accuse di codardia mosse dal re cisgiordano a seguito di una rappresaglia
israeliana.
3. UN ESCALATION DI VIOLENZA E AMBIGUITA’
Il 1967 si apre dunque in un clima pesantissimo: ad aprile un piccolo screzio fra Siria e Israele sulle
alture del Golan si conclude con l’abbattimento di sei MIG arabi. Anche in questo caso l’Egitto preferì
non intervenire, e forse a causa di questo lassismo i Russi millantarono che Israele si stava preparando a
invadere la Siria, cominciando ad ammassare truppe sul fronte, costringendo l’Egitto alla mobilitazione
in difesa dell’alleato. Il 14 maggio venne dichiarato lo stato di emergenza e truppe armate dirette nella
penisola del Sinai vennero fatte sfilare davanti all’ambasciata americana, con lo scopo di intimorire
Israele. Il 20 maggio l’Egitto chiese all’ONU di ritirare le truppe stanziate al confine dopo la guerra di
Suez come interposizione tra Egitto ed Israele, e U’Thant, segretario generale dell’ONU, non tentò
minimamente di dissuadere Nasser da questo gesto, che gli Israeliani avrebbero certamente interpretato
come ostile. Il 23 maggio l’Egitto chiuse alle navi battenti bandiera israeliana gli stretti di Tiran, e
dislocò l’aviazione in posizione tale da minacciare il reattore nucleare di Dimona, nel deserto del Negev.
Intimorito da una possibile invasione, il re Hussein stipulò con l’Egitto un patto di mutuo soccorso, che
prevedeva non solo il passaggio delle forze armate sotto il controllo egiziano, ma anche il dislocamento
in Giordania di truppe irachene e saudite. Israele era intanto indeciso sul da farsi. I tradizionali alleati,
Francia e Gran Bretagna, non avevano alcun interesse ad aiutarlo e non era sicuro nemmeno l’intervento
degli Stati Uniti, timorosi di un nuovo Vietnam e di un intervento dell’URSS. In questo clima di
incertezza, cresceva la pressione attorno al primo ministro Eshkol, da parte dei generali, dell’opposizione
e da frange del suo stesso partito. Anche il popolo voleva la guerra. La situazione venne sbloccata il 1°

39
giugno, quando Eshkol dette vita a un governo di unità nazionale, nominando al ministero della difesa
Dayan, eroe della guerra di Suez e sostenitore dell’attacco preventivo immediato.
4. LA GUERRA DEL MIRACOLO
Il 5 giugno 1967 Israele dette inizio alle ostilità senza un piano di conquista territoriale, l’unico scopo era
vanificare un qualsiasi attacco egiziano e evitare l’apertura di fronti contemporaneamente anche con la
Giordania e la Siria. Israele doveva inoltre evitare di “lasciare il lavoro a metà” e quindi infliggere
ingenti danni prima dell’intervento dell’ONU. Decisiva per la guerra fu la distruzione a terra di gran
parte dell’aviazione egiziana e di quella siriana la mattina del 5 giugno, come altrettanto importante fu il
lavoro di intelligence e l’incapacità araba di passare al contrattacco. La sera dal 6 giugno Nasser ordinò
la ritirata delle truppe del Sinai, ritirata che si trasformò presto in una rotta disordinata. Il 7 giugno le
Israeli Defence Forces (IDF) avevano già preso la striscia di Gaza e l’8 il canale di Suez, badando di non
attestarvisi per non ripetere l’errore commesso nel ’56. Hussein di Giordania dette ordine fin dal 5
giugno di attaccare Israele e di bombardare Gerusalemme ovest, in mano israeliana. Già la sera del 5,
vista la schiacciante vittoria in Egitto, il gabinetto israeliano aveva deciso di portare l’attacco anche
contro la Cisgiordania, e il 6 giugno venne deciso di sfruttare l’occasione storica di conquistare
Gerusalemme est, la zona del Monte del tempio e del Muro del pianto, nonostante il cessate il fuoco
delle Nazioni Unite. Il 9 giugno la conquista della Cisgiordania era terminata, e il giorno stesso fu dato
l’ordine di passare all’attacco anche sulle alture del Golan e quando, il 10, entrò effettivamente in vigore
il cessate il fuoco dell’ONU, l’avanzata delle IDF cessò. La tregua fu accelerata dalle preoccupazioni
siriane che gli israeliani arrivassero a Damasco, e dal mancato intervento dell’Unione Sovietica a fianco
degli alleati arabi.
5. VINCITORI E VINTI
L’URSS gestì in modo reticente ed incerta questa crisi, lasciando Egitto e Siria soli di fronte a Israele,
dopo averli spinti alla guerra. L’unica azione intrapresa dai sovietici nei confronti di Israele fu la rottura
delle relazioni diplomatiche. Si pensa che questo comportamento ambiguo fosse dovuto alla lotta
intestina fra i fautori di uno scontro con gli USA anche in Medio Oriente e quanti invece erano contrari.
Israele, con il successo nella guerra, si dimostrò ancora potenza regionale, potendo contare solo sulle sue
forze. Alla fine della guerra, durata meno di 132 ore, si ritrovò ad aver conquistato territori per 730 mila
km2 che ampliavano di tre volte e mezzo la sua superficie rispetto al 1948. Il numero di profughi
palestinesi si aggira sui 350mila, molti dei quali presero la via della Giordania, mentre circa 7 mila ebrei
furono espulsi dai paesi arabi circostanti. La Guerra dei Sei Giorni aveva completamente sconvolto gli
equilibri mediorientali, ma soprattutto aveva dato a Israele una valida carta di scambio per farsi accettare
nella regione: la restituzione dei territori conquistati in cambio della pace. Il primo tentativo di negoziare
la pace tra israeliani e palestinesi fu nel 1993 con gli accordi di Oslo.
6. LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA
L’unico territorio che fu subito annesso all’indomani della guerra fu Gerusalemme Est, vi fu infatti
estesa l’amministrazione di Gerusalemme Ovest e fu, di fatto, un’annessione. Per volere di Dayan fu
comunque lasciata la libertà di culto in tutti i luoghi sacri della città vecchia. Israele voleva dare
profondità strategica ai propri confini, ma senza consolidare le proprie conquiste, con lo scopo di tenere
aperto un canale di trattativa con il mondo arabo. Mondo arabo che trovò l’ormai insperata unità soltanto
nel rifiuto totale delle proposte di Israele, ma ormai l’umiliazione era terribile. Nasser arrivò a dimettersi,
ma manifestazioni di piazza lo obbligarono a restare fino alla sua morte, nel 1970. In Siria le faide
interne al regime si concluderanno nel 1970 con un golpe con cui Hafez al-Assad si impadronirà del
potere. In Iraq nel 1968 prese il potere il partito Ba’ath di Ahmed Hassan al-Bakr, un lontano parente di
Saddam Hussein. Ma soprattutto il 1967 mise alla luce la fragilità dei regimi “nazionalisti arabi laici”,
dando una fortissima spinta all’islamismo come unica speranza per le masse arabe. Dentro Israele invece
il fondamentalismo si manifestò con il Movimento per la Terra di Israele, che non aveva nessuna

40
intenzione di restituire i territori conquistati agli arabi perché non “occupati” dalle IDF ma “liberati da
Dio per la salvezza del suo popolo eletto”.

CAPITOLO 18 - 1968. L’ANNO DEGLI STUDENTI


Il clima internazionale, alla fine degli anni ’50, sembrava di crescente distensione, di dialogo fondato su
una coesistenza pacifica, in quanto a capo dei due blocchi c’erano Chruscev (che nel ’56 aveva sconvolto
il mondo con le rivelazioni sui crimini di Stalin e l’idea di una “destalinizzazione” interna ed esterna) ed
Eisenhower (che aveva chiuso la guerra in Corea). Nelle elezioni statunitensi del novembre 1960 vince il
democratico John F. Kennedy. Ma in agosto a Berlino, per evitare il continuo esodo verso ovest, venne
costruito il muro che sanzionò la divisione della Germania e dell’intera Europa.
Estate ’62: crisi di Cuba. L’URSS, ad un anno dal fallito tentativo di invasione dell’isola da parte di
dissidenti castristi appoggiati dalla CIA, installò a Cuba dei missili; Kennedy, in risposta, predispose un
blocco navale per costringerla a smantellare le postazioni. Chruscev accettò, in cambio di una simile
mossa americana in Turchia e l’impegno degli USA a non tentare più di abbattere il regime castrista con
la forza. Proprio Cuba, fu da esempio a molti paesi dell’America Latina, dove sorsero movimenti di
guerriglia e aumentò il sentimento antiamericano e di indipendenza economico-politica dagli USA.
Questi ultimi, infatti intervenivano molto nelle questioni interne a questi paesi, direttamente (come
nel’65 quando dei marines sbarcarono a Santo Domingo per abbattere il governo Bosch,
democraticamente eletto) e indirettamente (per esempio appoggiando colpi di stato militari in Brasile e
Argentina). Nel 1963 Kennedy venne assassinato a Dallas; gli succedette Lyndon Johnson, che nel ’64
iniziò a bombardare il Vietnam del Nord e dopo alcuni mesi inviò contingenti americani nel Sud. I morti
e i feriti aumentavano ogni giorno, e i massacri contro i civili erano sempre più documentati dai media: il
consenso vacillò e prese piede la protesta dei giovani e degli studenti contro la guerra. In Russia,
Chruscev venne rimosso da segretario del PCUS e sostituito da Breznev, col quale il partito tornò
dominare sulla società; si ampliò il conflitto con la Cina. I contrasti portarono alla spaccatura del
movimento internazionale comunista. Nel ’66 Castro inaugurò all’Avana la Conferenza tricontinentale,
che raccoglieva i movimenti di liberazione nazionale del terzo mondo: con questa mossa Cuba tentava di
uscire dall’isolamento economico e poilitico in cui gli USA l’avevano relegata. Così, esportare la
rivoluzione divenne una questione interna; Che Guevara era convinto che fosse necessario un aiuto nella
rivoluzione continentale e portò la lotta armata in Africa e poi in Bolivia, dove venne ucciso nel 1967.
2. L’ESPERIENZA MONDIALE: STATI UNITI ED EUROPA
The Movement, movimento nato inizialmente nel sud degli USA, che racchiudeva tutto l’attivismo
sociale e culturale che negli anni ’60, acquisì ruolo politico. In seguito, si diffuse in molte università e il
tema dei diritti civili venne affiancato da quello del Vietnam e del problema dei neri. I militanti
dell’associazione studentesca (SDS) si riunirono nel ’62 e stilarono il manifesto di Port Huron: rottura
col passato, responsabilità dell’individuo, partecipazione di massa alla vita politica e sociale, condanna
della politica estera, fine del razzismo, partecipazione democratica. L’università di Berkeley divenne il
luogo simbolo del movimento: i figli della baby-boom generation, consapevoli di una incolmabile
lontananza generazionale coi propri genitori, occupavano giorno e notte le aule. Tra il ’65 e ’67 nacquero
moltissimi movimenti pacifisti uniti dalla protesta contro l’impegno statunitense in Vietnam. Nacquero
anche gli hippies, gruppi anticonformisti apparsi per la prima volta a San Francisco nel 1965 che
introdussero una controcultura estetica e morale (capelli e barbe lunghe, vestiti colorati, uso di marijuana
e LSD; musica: Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan, Jim Morrison, stampa alternativa; rivoluzione
sessuale causata dalla scoperta della pillola anticoncezionale, che portò all’abbattimento di molti tabù
puritani sul sesso). Fermenti del mondo studentesco erano avvenuti nel ’67 e all’inizio del ’68 in
Giappone, Polonia, Francia, Gran Bretagna e Spagna. Il maggio di Parigi decretò l’inizio del ’68 vero e
proprio: la polizia fece irruzione alla Sorbona, arrestando e schedando diversi studenti lì riuniti. Il 6
maggio studenti e polizia si scontrarono provocando centinaia di feriti da entrambe le parti. Nei giorni
seguente furono indetti molti cortei e manifestazioni, ma la polizia continuò a reprimere gli studenti con
violenze di massa, umiliazioni e arresti: questo portò alla rivolta dell’opinione pubblica e il 13 maggio i

41
sindacati indirono uno sciopero contro la violenza repressiva dello stato contro de Gaulle, cui
parteciparono migliaia di persone. Il 30 maggio de Gaulle chiamò i francesi alle elezioni entro 40 giorni,
li mise in guardia dalla minaccia comunista e promise di riformare scuola e università; alle elezioni del
30 giugno si aggiudicò il 60% dei seggi, dinnanzi al crollo di socialisti e comunisti. La notte tra il 20 e il
21 agosto i carri armati russi invesero la Cecoslovacchia. La primavera di Praga (l’inizio della politica di
riforme del socialista Dubcek) finì sotto repressione. Il 16 gennaio 1969 lo studente Ian Palach si diede
fuoco a Praga in piazza San Venceslao per attirare l’attenzione del mondo contro l’occupazione
sovietica. In Messico, il movimento studentesco intensificava la sua protesta in vista delle Olimpiadi; il
governo promise di riaprire le università, mentre gli studenti garantirono di non boicottare i Giochi. Il
movimento organizzò una grande manifestazione pacifica il 12 ottobre, ma l’esercito scese in piazza con
i carri armati uccidendo centinaia di persone a tradimento.
3. IL SESSANTOTTO ITALIANO
Anche l’Italia negli anni ‘60 vide un nuovo protagonismo giovanile. La causa reale era la rapidità di
modernizzazione del paese e della sua forza disorientante. La critica alla società derivava dalla scoperta
della “falsa coscienza” tipica della democrazia nelle società opulente: vuota, perché priva di progettualità
e pregna di controllo selettivo del potere che imponeva cosa mangiare, come vestire, a cosa credere.
Proprio per questo, il movimento dei “capelloni” (che ebbe i suoi epicentri a Roma e Milano) sceglieva
di restare fuori dall’ingranaggio, vivendo in un mondo a parte, dopo una rottura con famiglia e società,
assumendo uno stile di vita nomade. Tre elementi avrebbero caratterizzato il movimento studentesco
italiano anche dopo il ’68: la critica alla società dei consumi (che in antitesi con questa “rivolta del
soggetto”, minacciava la perdita dell’identità personale), il rifiuto di un’integrazione imperniata solo su
modelli acquisitivi e l’internazionalismo pacifista. Alla base di questi fermenti c’era una gioventù
insoddisfatta, alla ricerca di modelli di vita alternativi e che mirava all’esercizio di una libertà più
autentica, perciò al movimento non ci si iscriveva, ma si stava, si viveva, poiché era un’esperienza
totalizzante. La politicità del movimento del ’68 fu occupare dei luoghi (università, piazze ecc) per
trasformarli in spazi di vita alternativa e centri di aggregazione. Vennero occupate le università di Pisa,
Trento, Roma, Milano con dure critiche ai saperi impartiti dalle istituzioni accademiche e rivendicazioni
del diritto allo studio. La stessa università Cattolica fu uno dei laboratori politici più significativi
(contribuendo a ridefinire l’identità dei credenti con dei processi promossi dal conciliarismo giovanneo):
lì si sperimentarono contro-concorsi e controlli studenteschi sui processi formativi. Lo scopo era
costruire un fronte sociale antagonista alla società borghese, al suo modo di produrre e Le repressioni
non furono solo le cariche della polizia, le condanne e i processi, ma si manifestò in una sordità culturale
delle istituzioni per i bisogni messi in campo dai giovani; il movimento fu lasciato ai margini, senza
legittimazione: la frattura col sistema politico avvenne quando il movimento decise di non partecipare
alla campagna elettorale, non identificandosi con la democrazia e invitando i giovani a disertare le urne.
Il paradosso fu che la prima generazione cresciuta nella democrazia, rifiutò un dialogo reale con le
istituzioni.
3. L’EREDITÀ DEL SESSANTOTTO
Il ‘68 non ha prodotto nessun mutamento istituzionale, ma ha cambiato la coscienza di un’epoca,
contribuendo a una rivoluzione nella mentalità, nel costume, nel linguaggio e non fu solo quel sussulto
piccolo-borghese denunciato da Pasolini. Nelle università presero forma i diritti democratici con la
liberalizzazione dei piani di studio e degli appelli mensili e l’abolizione della certificazione delle
bocciature sul libretto. La rivolta giovanile inoltre rimodellò morale sessuale, comportamenti familiari ed
atteggiamenti religiosi. Questo processo di democratizzazione dal basso avrebbe potuto avere esiti
migliori se il sistema politico fosse stato in grado di tradurre le spinte in progetti di riforma: proprio
questa è l’anomalia del ‘68 italiano, che ebbe come conseguenze il prolungamento del conflitto sociale
nelle fabbriche e il collasso del centro-sinistra in una grave crisi politica di sistema: si aprì l’epoca della
strategia della tensione con le bombe studiare, ai suoi stili di vita e modelli culturali. Nelle lotte gli
studenti esprimevano una contestazione globale al sistema: il rifiuto dell’autoritarismo accademico e
della cultura universitaria si trasformò in rifiuto del capitalismo e dei suoi modelli culturali: così

42
l’università divenne una sorta di “casamatta” dove realizzare il contropotere studentesco e un’apertura a
contatti con la classe operaia. esplose nel ‘69 alla fiera campionaria di Milano.

CAPITOLO 19 1973. LA FINE DELL’«ETÀ DELL’ORO»


La straordinaria crescita economica dei paesi appartenenti all’area occidentale nel secondo dopoguerra fu
fondata su: accordi di Bretton Woods del luglio 1944 che stabiliscono la nascita del nuovo sistema
monetario internazionale; illimitata disponibilità di petrolio a basso prezzo. A partire dal 1970, tuttavia,
tali paesi vennero sconvolti da una grave crisi economica. Gli accordi di Bretton Woods avevano
stabilito un sistema di cambi fissi tra le monete ed anche il ruolo centrale del dollaro nell’economia. In
tal modo erano regolati gli scambi fra le monete nazionali e tra ciascuna di queste e l’oro; in pratica però
solo gli USA potevano effettivamente convertire la loro moneta in oro. Quindi le singole divise potevano
agganciarsi ad esso solo attraverso il cambio con il dollaro. Nel 1971 il presidente USA Richard
Milhouse Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro a causa del peso delle spese militari per la
guerra in Vietnam e in seguito al boom economico di Giappone, Italia e RFT. Tali economie, diventate
forti e concorrenti con quella americana, avevano fatto sì che una crescente quantità di dollari venisse
esportata dagli Stati Uniti, rimasti a corto delle loro riserve, e dunque che fosse impossibile sostenere la
richiesta di conversione. Era così diventato inevitabilmente attivo un sistema di cambi flessibile fra le
monete che decretava la fine del sistema di Bretton Woods.
2. LO SHOCK PETROLIFERO
Nel gennaio 1972 i paesi dell’OPEC avevano adeguato il prezzo del greggio alla svalutazione del
dollaro. Nel giugno del 1973 ci fu un secondo adeguamento con il conseguente aumento del prezzo del
petrolio. Inoltre, la guerra dello Yom Kippur, che vide Israele vittoriosa su Siria ed Egitto, spinse i paesi
dell’OPEC a ridurre la produzione di greggio fino a quando Israele non avesse ceduto i territori
conquistati. Le conseguenze furono l’aumento del prezzo del greggio e un embargo di sei mesi imposto a
Stati Uniti ed Olanda. L’inflazione crebbe notevolmente e l’industria automobilistica, che era il cuore del
boom economico fu pesantemente colpita: ci fu anche una complessiva riduzione della produzione
industriale. Furono dunque gli anni della “stagflazione” (stagnazione ed inflazione). L’espansione
economica fu notevolmente rallentata, i prezzi al consumo aumentarono vertiginosamente, il tasso di
inflazione triplicò. La dottrina di Keynes, secondo cui era opportuno un leggero aumento dei prezzi per
favorire la crescita degli investimenti e produrre così tassi di crescita costantemente più alti a quelli
dell’inflazione, si rivelò fallimentare; a partire dagli anni ’70 stagnazione ed inflazione cominciarono a
coesistere. Nuove teorie economiche proposero, sostanzialmente, un richiamo al liberismo. La cosiddetta
economia “neoliberale” riconosceva il mercato come istituzione centrale di governo dell’economia e
guardava ad un etica individualistica ritenendo che una azione orientata all’interesse individuale avrebbe
prodotto anche benefici pubblici. Di fatto si era realizzato un progressivo passaggio dall’interventismo
dello stato al ritorno al mercato. Evidenti furono le conseguenze a livello politico e sociale; ad esempio il
ritorno al conservatorismo di cui emblema furono la vittoria in Gran Bretagna [in inglese non esiste
differenza tra “autorità” ed “autorevolezza” della Thatcher e negli USA di Reagan.
CAPITOLO 20 1973. PRIMA E DOPO IL SETTEMBRE CILENO
Cesura in quanto traumatico passaggio dalla politica all’anti-politica e dalla contestazione al
conformismo. L’11 settembre 1973 golpe Pinochet: le forze armate assediano la Moneda, il palazzo
presidenziale cileno. Il presidente socialista Allende nel palazzo, si suicida. Il governo già in difficoltà
causa boicottaggio USA, lotte intestine, rivolta sociale e politica. Questo colpo di stato porterà a un
regime autoritario e repressivo. I fatti cileni all’estero avranno due letture diverse: sacrificio di Allende
come eroico messaggio per il sogno socialista, rischio di intervento militare in caso di governi socialisti.
In Italia, Berlinguer ricerca il “compromesso storico”.
IL CONTESTO LATINO-AMERICANO

43
Il settembre cileno viene visto come chiusura di una fase di risveglio sociale e idealismo politico
sudamericano, apertasi nel 1959 con la rivoluzione cubana. Ma non è un unicum nel suo genere: vi sono
fatti analoghi sia antecedenti che successivi. FATTI ANTECEDENTI 1967: Bolivia, ucciso Che
Guevara 1968: Messico, massacro di studenti in Plaza de las Tres Culturas Anni ’60-’70: Brasile, molti
omicidi da parte della dittatura militare al governo 1973: Uruguay, si instaura una dittatura. FATTI
SUCCESSIVI 1975: Perù, la dittatura progressista del generale Velasco Alvarado è rovesciata da un
golpe militare 1976: Argentina, si instaura la dittatura dei colonnelli, prende il via il fenomeno dei
desaparecidos 1979: Rivoluzione sandinista in Nicaragua (flebile illusione di un nuovo risveglio
politico). A Puebla, durante la conferenza episcopale latino-americana, il Papa si preoccupa più di
questioni strutturale e teologiche che degli oppressi (a differenza del precedente pontefice). Filo
conduttore di questi eventi: Il passaggio da una partecipazione politica e sociale attiva delle masse a una
svolta di autoritarismo che le costringe al silenzio. FASI DELLA VITA POLITICA
SUDAMERICANA Post IIa Guerra Mondiale: modernizzazione (industrie, città, consumi,
secolarizzazione) ma lo spettro delle guerra fredda porta alla creazione di regimi autoritari. Post 1959
(Rivoluzione cubana): partecipazione delle masse alla vita politica del paese (basta monopolio politico di
elites bianche), ricerca di sovranità morale e materiale rispetto agli USA, idee di trasformazione insite in:
Chiesa (idea di redenzione sociale) e marxismo latino-americano (idea di emancipazione degli oppressi).
Processo di liberazione materiale e sociale. Studenti, operai e marxisti cercano una via nazionale di
costruzione del socialismo. Rivoluzione dei rapporti sociali preesistenti e creazione del “mito della
rivoluzione” (anche armata). Età dei golpe: si può restaurare la democrazia solo con una fase transitoria
autoritaria, che cambi la società al punto tale da rendere impensabile una nuova ondata rivoluzionaria.
Regimi militari come militanti della “IIIa guerra mondiale contro il comunismo”. Metodi usati:
soppressione di libertà espressive, omicidi e torture sistematiche.
2 IL MODELLO ECONOMICO DEI PAESI LATINO-AMERICANI
Ministeri dell’economia in mano ai Chicago Boys (economisti formatisi con Friedman) i quali rigettano
il modello adottato dall’America latina fin da ’30. Passaggio dal dirigismo protezionista (teorizzato da
Prebisch) e dalla commissione economica dell’ONU per l’America latina al liberismo ortodosso:
abbattimento dello stato corporativo, apertura dei mercati, rilancio esportazioni, incentivi per
investimenti stranieri, privatizzazione di imprese e servizi pubblici.
3. L’ATTEGGIAMENTO DEGLI STATI UNITI
1970: vittoria di Allende; grave attentato a egemonia USA in sud-America. Timore di effetto domino.
Nixon e successive amministrazioni, si impegnano a rovesciare governi di stampo marxista. Presidenza
Carter (1976): imbarazzo derivante dall’alleanza con regimi dittatoriali e sanguinari. Età dei golpe
sudamericani: decisione USA di riportare in qualsiasi modo il Sud-America sotto la sua egemonia.

CAPITOLO 21 1975. IL RITORNO DELLA DEMOCRAZIA IN SPAGNA


1. LA SPAGNA DI FRANCO
Durante il suo regime, che ebbe inizio nel 1939 dopo la guerra civile, Franco diresse la Spagna in veste
di Caudillo per gracia de Dios e in qualità di capo dello stato, del governo, del Movimiento e delle forze
armate. Credeva di essere il salvatore in una crociata per riscattare la vera Spagna dall’anti-spagna,
sostituendo la democrazia inorganica del suffragio universale con quella organica, basata su un suffragio
corporativo. Il suo potere fondava sui tre pilastri vincitori della guerra civile: esercito, Falange e Chiesa.
Il Concordato della Chiesa cattolica, ratificò e quasi santificò l’autorità di Franco verso gli spagnoli.
“Cattolicesimo di stato”: la chiesa faceva parte dello stato, i vescovi sedevano nelle Cortes, le leggi
dovevano essere conformi al dogma cattolico. La Falange (fondata da Antonio Primo de Rivera) non fu
mai quello che furono in Italia e Germania i partiti fascisti e nazisti: Franco impose di ampliarla
inserendo carlisti, ufficiali dell’esercito e altri, riunendoli tutti nel Movimiento. Fu un regime autoritario
stabilizzato, molto anti-partitico, e basato non sulla ricerca di appoggio o entusiasmo ma su
un’accettazione passiva e spoliticizzata. Nei suoi primi anni di vita, si scelse un’autarchia in campo

44
economico-politico e la neutralità nella IIa Guerra Mondiale: con la vittoria dell’antifascismo mondiale,
la Spagna si ritrovò isolata e condannata dalle Nazioni Unite. Nel ’53 però, quando ormai il conflitto non
era più tra fascismo e antifascismo ma tra comunismo e anticomunismo, con la guerra fredda arrivò un
accordo con gli USA: per dieci anni essi avrebbero costruito e utilizzato tre basi aeree e una navale in
Spagna, in cambio di aiuti economico-militari. La “notte oscura del franchismo” terminò. Due anni dopo
la Spagna entrò nelle Nazioni Unite e Franco divenne la sentinella dell’Occidente anti-comunista. Nel
’53 fu firmato inoltre il Concordato con la Santa Sede: la Spagna fu dichiarata uno stato confessionale,
furono previsti molti privilegi per il clero ed in cambio il Vaticano riconobbe a Franco il controllo sulla
nomina dei vescovi. Era necessario migliorare l’immagine spagnola di fronte al mondo: nella squadra
ministeriale gli uomini politici falangisti lasciarono il posto ai tecnocrati dell’Opus Dei. Gli anni ‘60
videro una politica di grande liberalizzazione, con un duplice obiettivo esterno ed interno: preparare la
Spagna per l’entrata nella CEE e diffondere tra i cittadini disinteresse verso la politica a causa del nuovo
benessere. In realtà la nuova politica economica provocò una rivoluzione di speranze crescenti in tutte le
classi, e proprio negli anni ’60 la “pace di Franco” fu demolita pian piano dal risveglio del movimento
operaio, la ribellione studentesca e il declino del cattolicesimo di stato. Dal 1962 gli operai, sebbene
fosse illegale, scioperarono nelle Asturie e nei Paesi Baschi, creando sindacati per risolvere i problemi di
lavoro e già nel ’56 si verificarono proteste tra gli studenti universitari, espressione del malessere verso il
regime. Nacquero inoltre organizzazioni politiche clandestine e nel 1966 venne dichiarato lo stato di
emergenza quando gli studenti di Barcellona ruppero un busto di Franco e, dopo l’uccisione di uno
studente a Madrid, le proteste invasero tutte le università che tra il ’68 e il ’73 furono occupate
permanentemente dalla polizia: una nuova insolubile contraddizione tra la nuova e dinamica società
spagnola e la struttura che la reggeva. Con l’elezione di papa Giovanni XXIII l’entusiasmo vaticano per
il Generalìsimo sparì. La gerarchia ecclesiastica spagnola fu turbata dalle continue richieste di libertà e
pluralismo dei diritti di associazione ed espressione, della divisione tra stato e Chiesa che gli venivano
dalle encicliche papali. E tra il ‘64 e il ‘74 vennero nominati cinquantatre vescovi in sostituzione dei
fedelissimi di Franco. Il rapporto tra chiesa spagnola e papato si inasprì ulteriormente dopo una
costituzione pastorale che affermava il diritto dei popoli al pluralismo, alla partecipazione e alle libertà
fondamentali. Nel ’71, la prima assemblea congiunta spagnola di preti e vescovi chiese alla chiesa di
rompere ogni rapporto col regime, rivedere il concordato e ritirare tutti i vescovi dalle Cortes. Franco
rifiutò di cedere il diritto di nomina dei vescovi e fino alla fine governò il suo stato cattolico con
l’opposizione della chiesa. Tutti questi mutamenti contribuirono ad una lenta erosione del regime e
Franco si preoccupò del problema della successione verso una monarchia franchista: nel ’69 fu
proclamato erede Juan Carlos in qualità di principe di Spagna e Franco cedette per la prima volta la
presidenza del governo a Carrero Blanco, un suo uomo di fiducia. Nel ’70 morirono tre operai a Granada
in uno scontro con la polizia; a Burgos ebbe luogo il processo ai militanti dell’ETA (esercito clandestino
basco); le università furono chiuse e sorse un nuovo gruppo terroristico, il FRAP. Il 20 dicembre del ’73
un commando dell’ETA uccise Carrero Blanco facendo saltare in aria la sua macchina e risolvendo così,
di fatto, il problema del franchismo dopo Franco. Franco, ormai anziano, nominò presidente del governo
Carlos Asia Navarro, vecchio politico franchista. Molti chiedevano una revisione del franchismo e
sperarono in una revisione dato che non entrarono membri dell’Opus Dei nel governo Arias. Egli
promise un’apertura democratica ma continuavano azioni di repressione coerenti al franchismo, così
Arias Navarro non ebbe successo oltre che per l’indecisione nelle scelte politiche, anche per cause
esterne: la rivoluzione portoghese e il regime dei colonnelli greci crearono grandi aspettative di
trasformazioni nell’opposizione. Franco morì il 20 novembre ’75 e due giorni dopo Juan Carlos fu
incoronato re. I suoi primi mesi di governo furono pregni di ambiguità per la paura di non scontentare
nessuno, poi il re riconfermò Arias Navarro a capo del nuovo governo formatosi nel dicembre ’75 e in
cui erano stati inclusi tre riformisti. Ma nei primi mesi del ’76 ci fu un disfacimento del franchismo ad
opera di continui scioperi e manifestazioni di piazza della società spagnola: la repressione fallì e Arias si
dimise.
2. LA TRANSIZIONE ALLA DEMOCRAZIA: IL PRIMO GOVERNO SUÀREZ

45
In seguito il re nominò primo ministro Adolfo Suàrez, ex ministro del Movimiento, e proprio il suo
passato franchista fu causa di delusione per molti. In realtà proprio lui ristabilì la democrazia in Spagna:
fu la persona in grado di gestire il processo di transizione poiché provenendo dal franchismo godeva
della fiducia degli uomini del regime e avendo occupato posizioni nel Movimiento era adatto a smontare
dall’interno i meccanismi dello stato e della struttura politica. Il nuovo governo, formato da uomini
giovani e sconosciuti, si mise subito al lavoro dimostrando una grande volontà riformatrice che si
concretizzò nel superamento delle due Spagne e la riconciliazione nazionale. Il governo Suàrez liberò i
detenuti politici, legalizzò i partiti, smantellò il Movimiento, ripristinò le libere organizzazioni sindacali,
introdusse il suffragio universale e dette alla Spagna una costituzione. Inoltre, nel ’76, venne varata la
Ley de Reforma polìtica che sopprimeva le più importanti istituzioni franchiste (le Cortes organicas, il
Movimiento e il Consejo National), e proclamava la sovranità popolare, il suffragio universale e il
pluralismo politico; vide la luce anche una nuova legge elettorale. Dopo 40 anni si tornò dunque ad un
sistema partitico: sinistra: centro: destra: Partido Socialista Obrero UCD (Uniòn de Centro -AP(Alianza
Popular) Espanol; Democratico, con a capo Partido Comunista de Suàrez); -la Falange Espania PNV
(Partido Nazionalista -Derecha Social Cristiana Izquierda Democrata Cristiana Vasco) PCD (Pacte
Democràtic per Catalunya); Alle prime elezioni libere, indette per il 15 giugno, la partecipazione
elettorale fu molto alta e vinse l’UCD ottenendo 165 seggi, seguito da PSOE con 118 seggi ed infine il
partito comunista con 20 seggi e AP con 16. Gli spagnoli dunque optarono per la moderazione e
sparirono dalla scena piccoli partiti che non entrarono in parlamento: i democristiani e la falange. Nel
’78 si lavorò ad un grande progetto costituzionale frutto del consenso di tutti i partiti: fu accettato il
principio monarchico e la costituzione confermò i regimi preautonomisti già in vigore in Catalogna e
Paesi Baschi; venne soppressa la pena di morte e affermata la laicità dello stato. Dopo l’accettazione
della costituzione nelle Cortes venne indetto il 6 dicembre 1978 un referendum confermativo, col quale
l’87,8% dei votanti si espresse favorevolmente. La democrazia però continuava ad essere minacciata da
vari fattori: la crisi economica; l’attività terroristica dell’ETA che non era cessata, ma anzi nel ’77
intensificata; e il militarismo politico diffuso tra alcuni settori delle forze armate rimasti ideologicamente
legati al franchismo e contrari alle riforme. Le elezioni politiche del ’79 furono un ulteriore successo per
Suàrez e la sua coalizione UCD, mentre le amministrative videro la maggioranza della sinistra. All’inizio
del 1980 i rapporti tra governi e le frange dell’esercito antiprogressiste peggiorarono e circolavano voci
sulla volontà di creare un grande governo di coalizione guidato da un militare. Suàrez si oppose e fu
costretto a dimettersi e venne sostituito da Calvo Sotelo. Il 23 febbraio ’81 un gruppo di militari sotto il
colonnello Tejero fece irruzione nel parlamento dando l’impressione di agire in nome del re e
preannunciando l’arrivo di un’autorità militare. Intanto a Valencia il generale Milans del Bosch ritenne
necessario proclamare lo stato d’emergenza a causa del vuoto di potere e mobilitava carri armati. Il golpe
era stato preparato bene ma “fallì grazie al telefono”: infatti il re Juan Carlos si mobilitò e ordinò alla
giunta di difesa dello stato maggiore di richiamare i dissidenti all’obbedienza verso il re e la costituzione,
cercando di parlare lui stesso telefonicamente con molti militari e apparendo anche in televisione per
tranquillizzare il popolo. All’alba le truppe lasciarono Valencia rientrando nelle caserme e Tejero fu
arrestato. Nell’agosto del 1982 Sotelo sciolse le camere e convocò nuove elezioni poiché il suo governo
era stato sommersi da molti problemi (forze armate, disoccupazione, autonomie, terrorismo, sconfitte
nelle elezioni locali). Con le elezioni dell’ottobre ’82 l’UCD fu distrutta e si assistette alla vittoria del
partito socialista guidato da Gonzàles e seguito dall’AP presieduto da Iribarne. La vittoria del PSOE
decretò da parte degli spagnoli la scelta irreversibile della democrazia e allontanò definitivamente ogni
fantasma di ritorno al passato. Segnò il termine della fase di transizione politica con una coalizione
nuova, non compromessa con il franchismo. Gli anni ’80 furono quelli del boom della Spagna che entrò
nella CEE e fu guidata da Gonzàles, un uomo nuovo, verso un processo di secolarizzazione e
laicizzazione.
3. CONCLUSIONI
La transizione spagnola, lenta e priva di lacerazioni traumatiche, rientra nella terza ondata (fenomeno
politico così definito da Huntington): il più importante processo di trasformazione politica che dal ’74 al
’90 ha portato trenta sistemi non democratici ad abbracciare la democrazia. In questo processo Spagna,

46
Grecia e Portogallo fecero da modello a molti paesi dell’America latina e dell’Europa orientale. Questa
soluzione non traumatica fu favorita da tre fattori: la monarchia (per il ruolo di traghettatore svolto da
Juan Carlos), i partiti politici (che dimostrarono grande maturità nell’abbandonare la strategia della
rottura politica, favorendo una riforma cotrattata tra Scaricato da Svjetlana Vidovic
(vidovic.s92@gmail.com) lOMoARcPSD|2940466 58 vecchio e nuovo e divenendo il maggior canale di
comunicazione tra stato e società civile), la memoria collettiva (il ricordo delle violenze della guerra
civile fece sorgere nell’opinione pubblica un sentimento di moderazione). La peculiarità spagnola è stato
proprio quella di aver utilizzato le istituzioni franchiste per riformare il franchismo e arrivare a un nuovo
ordine.

CAPITOLO 22 1989. LA FINE DELLA GUERRA FREDDA


Innanzitutto, la fine della guerra fredda va letta considerando due punti cardine differenti: il ruolo svolto
dai due leader Reagan e Gorbacev e le dinamiche di lungo periodo di cui anche le azioni di questi
facevano parte. RONALD REAGAN Reagan salì al potere basandosi su due promesse fatte ai cittadini:
“restaurare” il prestigio estero degli Stati Uniti e “trattare con il comunismo solo da una posizione di
forza”. Quest’ultimo assunto sarà sempre centrale nella sua conduzione degli affari internazionali, ed è
molto importante. L’approccio alla politica estera di Reagan fu fortemente ideologico, caratterizzato in
origine da un rifiuto della distensione iniziata con Carter, e da una linea di scontro permanente con
l’URSS, in qualsiasi caso; la sua politica estera ebbe una notevole coerenza, mancata negli anni
precedenti, seguendo l’idea della “missione” americana di difendere il mondo libero dal comunismo. È
importante notare che ogni mossa di Reagan era studiata per avere anche un grande impatto sulla
propaganda. Per ottenere la “posizione di forza” assoluta che voleva, innanzitutto riavviò la corsa agli
armamenti, per dotare gli USA di un arsenale atomico e convenzionale superiore a quello della Russia
che, oltre al primato da sempre detenuto in fatto potenza militare convenzionale, aveva ora anche la
supremazia in fatto di armi nucleari. Le sue due mosse principali, dotate sia di un grande valore
strategico sia di un fortissimo e molto rilevante impatto sulla propaganda, furono lo sviluppo dei
bombardieri Stealth, invisibili ai radar, e l’ideazione del progetto SDI, noto anche come lo “scudo
spaziale”: il progetto SDI, per quanto particolarmente “fantasioso”, aveva in realtà un grandissimo peso
in altri campi: andava ad abbattere la logica della “mutua distruzione” (la dottrina per cui, in caso di uso
di armi atomiche, si sarebbe arrivati alla distruzione totale e reciproca delle due potenze); rilanciava la
corsa agli armamenti e agli investimenti bellici, che la russia, in crisi economica, avrebbe faticato molto
a sopportare; era un progetto di “arma difensiva”, quindi giustificabile e “vendibile” molto facilmente
all’opinione pubblica. Proprio per gestire al meglio l’immagine e la propaganda, Reagan alternava azioni
di stampo aggressivo ad aperture distensive. Nel 1981, gli USA proposero l’“opzione zero”, cioè
l’eliminazione di una parte dei missili atomici sovietici e il non dispiegamento in Europa del loro
equivalente americano, ma la Russia rifiutò. MIKAIL GORBAČËV Gli alti quadri dirigenti dell’URSS
facevano fatica a sopportare l’atteggiamento dell’amministrazione Reagan (la famosa cosa della
“posizione di forza”), e a relazionarsi con essa. A Breznev, si succedettero Andropov e Cernenko,
entrambi anziani e malati, entrambi alla guida per poco. Alla morte di Cernenko, stabilendo la fine della
“gerontocrazia”, salì al potere Michail Gorbacev, un leader dalla grande capacità di analisi politica, che
improntò il suo governo sul duplice binario della glasnost, “trasparenza”, in politica, e sulla perestrojka,
“ristrutturazione”, in economia, sfruttando così quelle forze di rinnovamento che il regime aveva sempre
represso. Bisogna notare comunque che l’approccio di Gorbacev, per quanto antistalinista e critico nei
confronti dei predecessori, era comunque pienamente socialista. Un altro importante cambio di tendenza
operato da Gorbacev fu quello di non considerare più la distensione come la creazione delle condizioni
per esportare il comunismo, ma per ottenere una stabilizzazione dell’assetto internazionale e ottenere la
pace con gli Stati Uniti: aveva intuito che, in una situazione in cui gli stati erano sempre più
interdipendenti, era necessario che, per assicurare sicurezza ed ordine, i principali attori politici della
scena internazionale collaborassero (questa fu la cosiddetta “dottrina Gorbacev”). Il primo incontro tra i
due leader avvenne nel 1985, a Ginevra. Gorbacev avanzò proposte di limitazione sull’arsenale nucleare,
che Reagan rifiutò, ma il vero successo fu la stima e la simpatia che legò i due leader. Altre proposte

47
simili vennero avanzate da Gorbacev l’anno dopo, durante un vertice a Reykjavik, ma Reagan di nuovo
non potè accettare, perché riguardavano anche lo SDI, che era centrale per i suoi progetti e la sua
immagine; Gorbacev comprese che era necessario tentare accordi su fronti diversi. Poco dopo, alcuni dei
membri più conservatori dell’amministrazione Reagan, compreso il ministro della difesa, si dimisero.
Nel dicembre dell’87, venne siglato un trattato sullo smantellamento dei missili a media e breve gittata,
realizzando così l’“opzione zero”, ma soprattutto ottenendo un risultato concreto dopo dieci anni di
negoziati bloccati. Il trattato, siglato a Mosca, ebbe uno straordinario successo sul fronte dell’opinione
pubblica, lanciando moltissimo l’immagine dei due leader. Sul fronte interno dell’URSS, vari movimenti
riformisti travolsero le amministrazioni comuniste locali. Gorbacev (non capendo quanto questo avrebbe
contribuito a disgregare l’URSS) non li represse, lasciandogli anzi spazio. Nel 1989 la Polonia ebbe
libere elezioni, sulla spinta del movimento sindacalista cattolico di Solidarnosc. Ungheria e
Cecoslovacchia si resero indipendenti e in Romania una rivolta travolse il regime del corrotto e
sanguinario Ceausescu.
IL MURO DI BERLINO E LA GERMANIA UNITA
L’evento “mediaticamente” più importante del processo di fine della guerra fredda e di crollo del
comunismo fu certamente l’abbattimento del muro di berlino, e la conseguente riunificazione della
Germania. L’amministrazione comunista della Germania Est era in un periodo critico, di grande
confusione e debolezza. C’era una continua “fuga” di cittadini verso l’ovest (attraverso l’Ungheria) e ai
primi di Novembre il muro venne abbattuto. Il principale ostacolo alla riunificazione della Germania a
quel punto erano Polonia e Russia, che temevano una Germania di nuovo unita e potente, ma il processo
avvenno sotto la guida dell’autorevole cancelliere tedesco Helmut Kohl, che riuscì a convincere tutti.
Non ci furono interventi americani perché il nuovo presidente Gorge W. Bush voleva evitare ogni
interferenza, giudicata nociva, e affidava tutto a Gorbacev.
IL CROLLO DELL’URSS
Se dal punto di vista della politica estera Gorbacev era stato geniale, la sua politica interna non ebbe
altrettanto successo. Le riforme lanciate non furono all’altezza delle aspettative, e l’immagine del leader
ne risentì. Era stato molto efficiente nello smantellare il vecchio sistema, ma non riusciva a metterne in
piedi uno nuovo, più “moderno”, con la stessa efficienza. Alle richieste di riforme si sommarono
richieste di indipendenza, e fra l’88 e il 90 le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania)
riguadagnarono l’indipendenza persa nel ’40 ad opera di Stalin. Nel 1991 ci fu un tentativo di colpo di
stato a causa del malcontento di chi voleva ancora un’URSS forte e contrapposta all’America, ma fallì
miseramente. Bisogna notare come, già detto da Tocqueville, il momento in cui un regime crolla è quello
in cui allenta il controllo, diminuendo il proprio potere assoluto.
ULTIME ANALISI
Guerra fredda come contrasto di supremazie: economica e nucleare (USA, per il nucleare solo nei primi
vent’anni), militare e di attrazione sugli stati uscenti dalla decolonizzazione (URSS). Il sistema sovietico,
fortemente rigido e militarizzato, era costantemente mobilitato per la guerra. Questo, pur dandogli una
grande forza apparente, sulla lunga distanza lo fece crollare. Gli USA, invece, si erano anche “evoluti”
socialmente, politicamente e culturalmente. La corsa agli armamenti di metà anni 80 era in realtà il
risultato di un processo iniziato molto prima (da Carter a Reagan, Da Andropov, con la sua “teoria
dell’accelerazione”, a Gorbacev). Kissinger affermò che la fine della guerra fredda fu “il risultato di
quarant’anni di sforzi bipartitici americani e settant’anni di ossificazione comunista”. Inoltre, il libro dice
che questa definizione è “un po’ Tranchant”. Questa parte ammetto che mi risulta incomprensibile. È
molto importante vedere come gran parte del “merito” del crollo dell’URSS sia da attribuirsi a una crisi
endogena del sistema comunista.

CAPITOLO 23 1992. L’Europa di Maastricht

48
LE ORIGINI Nella concezione di Churchill si delineava la presenza di tre cerchi tra le nazioni libere e
democratiche: quello dei paesi satellite degli USA, l’Impero britannico e L’Europa unita. Queste tre
grandi potenze, se unite, avrebbero costituito una potenza invincibile. Questa visione era condivisa anche
da tre antifascisti italiani che durante il regime erano stati esiliati nell’isola di Ventotene: Ernesto Rossi
(“del movimento giustizia e libertà”), Eugenio Calorni (socialista) e Altiero Spinelli (ex dirigente del
partito comunista deluso dalla terza internazionale). Diedero vita a un movimento europeista attraverso
la pubblicazione del manifesto di Ventotene nel luglio del 1941. In molti vi era la convinzione che
attraverso un’unificazione ci si poteva mettere al riparo da nuovi sanguinosi conflitti bellici. Nel maggio
del 1950 il francese Schuman fece il primo passo per la costruzione di un’unione proponendo una
collaborazione tra il suo paese e la Germania (questo fu molto importante visto il secolare conflitto tra le
due nazioni). La collaborazione si basava nel condividere le risorse legate alla produzione del carbone e
dell’acciaio e potevano aderire anche gli altri stati europei. L’obbiettivo di Schuman era unire
politicamente ed economicamente i paesi europei. Il 3 giugno del 1950 Francia, Germania,
Lussemburgo, Belgio, Italia e Paesi Bassi sottoscrissero la dichiarazione di Schuman; successivamente si
riunirono a Parigi nel 1952 per sancire definitivamente il trattato istitutivo della Comunità Economica
del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Questo innescò una graduale nascita di un mercato comune e poi
anche forme di unificazione politica. In seguito Jean Monnet intuì che l’atomo avrebbe rappresentato il
futuro e venne preso in considerazione dal ministro belga Spaak che presento ai membri della CECA il
progetto della CEE (Comunità Economica Europea) e dell’EURATOM (Comunità Economica per
l’Energia Atomica) e vennero poi firmati a Roma nel 1957. Lo scopo (che si completerà nel 1993) era
creare un mercato comune nel quale tutto potesse circolare liberamente. Quando il presidente americano
Nixon nel 1972 diede fine agli accordi di Bretton Woods ebbe inizio in Europa il cammino verso la
moneta unica attraverso il sistema del “serpente monetario”, che venne presto sostituito con il Sistema
Monetario Europeo (SME) e si concluse infine con la firma del trattato di Maastricht nel 1992 che
stabiliva una serie di criteri il cui rispetto era necessario per partecipare all’unione economica e
monetaria. Nel contempo (1972) la comunità accolse un altro membro: la Gran Bretagna; che al tempo
non aveva aderito all’integrazione economica e in contrapposizione nel 1959 propose un’associazione
per il libero scambio (EFTA) tra i paesi che non avevano aderito alle iniziative della comunità.
Quest’associazione fallì e la Gran Bretagna volle unirsi alla comunità ma il francese de Gaulle bloccò i
negoziati perché vedeva la GB come “nemica”, fu possibile riprendere le trattative quando il generale de
Gaulle si ritirò dalla scena politica. Infatti, nel 1972, la Danimarca, l’Irlanda, la Norvegia ed il Regno
Unito firmarono i trattati di adesione. Nel 1981 Grecia e Austria, nel 1986 Portogallo e Spagna e in
seguito nel 1995 Svezia e Finlandia, così divenne l’Europa dei 15. Nel 1989, vista la grande adesione, il
Consiglio si espresse favorevolmente sul progetto di costruire un’entità politica.
IL CROLLO DELL’UNIONE SOVIETICA
Con il crollo dell’Unione Sovietica e l’unificazione della Germania, molti paesi dell’est si riavvicinarono
alla Comunità Europea in quanto rappresentava un’immagine positiva per il futuro. L’unificazione della
Germania portò a forti dibattiti e grandi perplessità tra gli stati membri, soprattutto in Francia e in Gran
Bretagna, poiché ci si domandava degli effetti socio-politici che avrebbe portato all’interno della
Comunità. Ma nel 1990 si potè festeggiare l’entrata della Germania unita all’interno della Comunità. A
questo punto gli stati membri erano disposti ad accettare un certo trasferimento della propria sovranità a
favore di un’istituzione sopranazionale.
IL TRATTATO DI MAASTRICHT
Le novità di questo trattato erano di natura politico-istituzionale ed economico-finanziario. Vi erano
nuovi compiti attribuiti al Parlamento, soprattutto in campo legislativo, all’Assemblea venne
riconosciuto il diritto di approvare o respingere i candidati della Commissione. Per quanto riguarda il
settore economico finanziario vennero stabiliti dei criteri a cui i paesi aderenti avrebbero dovuto
rispettare per fare parte dell’Unione. Si stabilì anche l’entrata della moneta unica entro il 1999 a cui
decisero di non aderire GB e Danimarca per diverse ragioni.

49
LA COSTITUZIONE EUROPEA:
Per aumentare il livello identitario che era basso tra i cittadini dei vari paesi membri, il Consiglio
Europeo riunito a Colonia decise di elaborare una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. In questa
carta vennero sanciti: i principi fondamentali, i diritti fondamentali tra cui i diritti di terza generazione
(ad esempio i servizi sociali). La democrazia e lo stato di diritto erano i pilastri fondamentali su cui
doveva essere basata la cittadinanza europea. Il Trattato di Nizza del 2003 portò alla successiva
elaborazione della carta costituzionale firmata in seguito a Roma nel 2004; ma ancora non è entrata in
vigore a causa del disaccordo di alcuni paesi.

50

Potrebbero piacerti anche