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IL RAPPORTO DI LAVORO SPORTIVO


INDICE

1. Il rapporto di lavoro sportivo professionistico prima della legge n. 91 del 1981.


2. (segue) Il lavoro sportivo professionistico come lavoro subordinato...............4
3. I profili ordinamentali del rapporto di lavoro sportivo.....................................6
4. I provvedimenti legislativi anteriori alla legge n. 91 riguardanti il rapporto di
lavoro sportivo.................................................................................................10
5. La struttura della legge n. 91...........................................................................11
6. I soggetti del rapporto......................................................................................13
7. I presupposti e gli elementi oggettivi del rapporto..........................................16
8. La prestazione sportiva dell’atleta: lavoro subordinato e lavoro autonomo....20
9. Il contratto di lavoro subordinato. Generalità..................................................26
10. Il procedimento di costituzione del rapporto di lavoro sportivo..................... 27
11. (segue) Il deposito del contratto e l’approvazione federale.............................33
12. L’accordo collettivo e il contratto tipo............................................................ 35
13. Le norme non applicabili al contratto di lavoro sportivo................................ 37
14. I requisiti soggettivi di accesso al contratto di lavoro sportivo professionistico:
la cittadinanza; l’età.........................................................................................40
15. La prestazione sportiva. I doveri di fedeltà ed obbedienza..............................48
16. Il potere direttivo e il potere disciplinare delle società sportive e delle
federazioni........................................................................................................52
17. Le sanzioni e i provvedimenti disciplinari.......................................................55
18. La retribuzione e l’indennità di fine carriera....................................................57
19. I diritti accessori alla prestazione di lavoro: In particolare: il diritto ai riposi
settimanali e annuali; il diritto di sciopero.......................................................61
20. La tutela sanitaria e antinfortunistica...............................................................63
21. La tutela previdenziale.....................................................................................69
22. L’impossibilità sopravvenuta e l’inadempimento nel contratto di lavoro
sportivo. Sospensione e risoluzione del rapporto.............................................71
23. La durata del contratto, i trasferimenti e la cessione del contratto. L’abolizione
del vincolo sportivo e dell’indennità di preparazione e promozione................76
24. Il rapporto di lavoro degli sportivi professionisti con la federazione...............80
25. La tutela dei diritti derivanti dal contratto di lavoro sportivo...........................82
Indice analitico………………………………………………………………………. 89

1. Il rapporto di lavoro sportivo professionistico prima della legge n. 91 del


1981.

La legge 23 marzo 1981, n. 91 (Norme in materia di rapporti fra società e


sportivi professionisti) segna il passaggio del rapporto di lavoro sportivo
professionistico dall’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale alla sistemazione
normativa e definisce anche alcuni aspetti controversi, sui quali si era incentrata
2

precedentemente la discussione, regolando in via definitiva quelli che erano stati


oggetto di provvedimenti episodici del legislatore adottati sulla spinta di
estemporanei interventi della magistratura sui quali torneremo in seguito, come nel
caso del D.L. 14 luglio 1978, n. 367, convertito con modifiche nella legge 4 agosto
1978, n. 430, che aveva sottratto gli atti relativi all’acquisto e al trasferimento del
“titolo sportivo” dei giocatori di calcio e degli atleti di altri sport, nonché le
assunzioni di tecnici da parte di società e associazioni sportive, all’allora vigente
disciplina sul collocamento dei lavoratori.
Il tentativo di assetto organico della materia oggetto della legge n. 91
rappresenta anche il primo consistente intervento del legislatore nella
regolamentazione di rapporti regolati in precedenza dalle norme interne degli
ordinamenti sportivi, tanto che si è scritto di “emersione” dell’ordinamento sportivo
nell’ordinamento statale.1
A questo proposito, occorre, in primo luogo, precisare, anche se la cosa può
sembrare ovvia, che l’attenzione degli autori, così come i casi pratici decisi dalla
giurisprudenza, sono essenzialmente concentrati sulle questioni insorte nel gioco del
calcio la cui problematica ha anche ispirato e informato la struttura del rapporto di
lavoro professionistico, così come è stata disegnata dalla legge n. 91, ma la
precisazione è comunque doverosa ove si consideri che il legislatore, avendo di mira i
problemi e le esigenze dell’organizzazione calcistica, sembra, invece, non aver tenuto
conto delle diverse realtà di altri sport, che, già al momento dell’ emanazione della
legge, ammettevano l’esercizio dell’attività agonistica in forma professionistica e
rispetto ai quali é stato notato che gli schemi disposti dalla stessa legge non sarebbero
serviti ed, anzi, avrebbero potuto complicare la soluzione delle questioni connesse
alla loro differente conformazione tecnica ed organizzativa.2
Nel periodo precedente alla legge n. 91 e in assenza di una specifica normativa
di carattere organico sul rapporto di lavoro sportivo, gli aspetti, ai quali si è
accennato, venivano in evidenza a causa dell’innegabile difficoltà degli interpreti di
spiegare in base al diritto positivo e di conciliare con i principi dell’ordinamento
giuridico, soprattutto con quelli dettati a protezione del lavoratore subordinato, alcuni
singolari connotati del suddetto rapporto, primo fra tutti il divieto di recesso
unilaterale del giocatore previsto dalle norme federali, segnatamente quelle della
Federcalcio, in cui si sostanziava il c.d. vincolo di appartenenza del giocatore
medesimo all’associazione sportiva.
Ciò, tuttavia, non ha impedito che l’opinione assolutamente prevalente,
soprattutto nella giurisprudenza, si orientasse con sempre maggior convinzione nel
senso della configurabilità del rapporto di lavoro subordinato, sia pur con qualche
profilo di specialità rispetto al rapporto di diritto comune,3 e si risolvesse a scartare le

1
LANDOLFI, La legge n. 91 del 1981 e la “emersione” dell’ordinamento sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, 36.
2
(AA.VV.) LENER, Una legge per lo sport? (Premessa), in Foro it., 1981, V, 297; D’HARMANT FRANCOIS, Il
rapporto di lavoro sportivo tra autonomia e subordinazione, in Dir. lav., 1988, I, 265. In argomento v. le considerazioni
svolte nel paragrafo 8.
3
Nella giurisprudenza di legittimità, Cass., Sez. un., 26 gennaio 1971, n. 174; Cass., 21 aprile 1961, n. 2324; Cass., 4
luglio 1953, n. 2085. Nella giurisprudenza di merito, tra i precedenti più prossimi all’emanazione della legge n. 91,
3

proposte di inquadramento, avanzate da taluni autori, nel lavoro autonomo o nel


contratto d’opera professionale, ovvero anche in un particolare rapporto di natura
associativa in cui convergono gli interessi e le finalità perseguite da atleti e società.4
Non è dubbio che il consolidamento dell’opinione riferita sia stato favorito
proprio dalla progressiva espansione del professionismo sportivo, fenomeno al quale
molti hanno collegato l’attenuazione delle finalità ludiche, pur sempre insite nel
rapporto in esame, a vantaggio di quelle utilitaristiche, che, almeno per chi pratica lo
sport professionistico, hanno ormai il sopravvento sulle prime.
Le voci di dissenso, rispetto all’indirizzo maggiormente seguito, prendevano lo
spunto proprio dalla tradizionale contrapposizione, derivante dalla comune
esperienza, fra sport e lavoro, attività umane antitetiche ed inconciliabili, almeno per
quanto attiene alle ragioni e allo spirito che le animano e la pretesa antitesi ha in
qualche modo condizionato il giudizio sull’effettiva natura giuridica del lavoro
sportivo. Una pronuncia, destinata a restare isolata fra quelle della Suprema Corte
che hanno affrontato l’argomento, notava che, mentre il lavoro nasce sempre come
rapporto bilaterale in ogni sua forma, subordinata, associata o autonoma, l’attività
sportiva è un’espressione individualistica, frutto d’iniziativa personale, cui
l’inquadramento successivo in rapporti onerosi nulla aggiunge alla sua prima natura
di sforzo fisico e mentale che si produce e si pratica in sé e per sé per l’affermazione
di superiorità di un atleta o di un gruppo di atleti su altri, quale manifestazione
soggettiva di personalità, e concludeva affermando che dilettantismo e
professionismo costituiscono solo un titolo personale del giocatore, uno status

Trib. Genova, 4 maggio 1976, in Riv. dir. sport., 1977, 90; Pret. Taranto, 22 marzo 1975, ibid., 1975, 412; Trib. Busto
Arsizio, 14 novembre 1972, ibid., 1972, 248, concernente il caso di un giocatore semiprofessionista (categoria così
allora qualificata); Trib. Genova, 2 maggio 1972, ibid., 1973, 56; Trib. Taranto, 22 aprile 1970, ibid., 1970, 424. In
dottrina cfr. GIROTTI, Il rapporto giuridico del calciatore professionista, in Riv. dir. sport., 1977, 171; ALBANESI,
Fallimento e sciopero. Limiti di compatibilità con l’ordinamento sportivo, ibid., 1974, 179; NICOLINI, In tema di
diritto sportivo, in Dir. lav., 1972, II, 92; GERACI, Natura del rapporto fra la società calcistica e il giocatore, in Arch.
resp. civ., 1972, 503 e in Riv. dir. sport., 1971, 262; POCHINI FREDIANI, Aspetti sostanziali e processuali del
‘vincolo’ dei calciatori professionisti, ibid., 1967, 179; VISCO, Natura del rapporto giuridico tra giocatore di calcio ed
associazione sportiva, in Nuovo diritto, 1969, 251; MAZZONI, Note in tema di rapporto di lavoro nell’attività
professionale sportiva, in Dir. economia, 1965, 599; ID. Dilettanti e professionisti, in Riv. dir. sport., 1968, 368;
FONTANA, Il contratto di lavoro sportivo come contratto speciale di lavoro subordinato, in Monit. trib., 1966, 1370;
DE GERONIMO, La cessione delle prestazioni di calcio, in Foro pad., 1964, I, 1069; ODRIOZOLA, Natura giuridica
del contratto relativo al professionismo sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, 27; MARTONE, Osservazioni in tema di
lavoro sportivo, ibid., 102; GIACOBBE, Il giocatore di calcio professionista è lavoratore subordinato?, in Giust. civ.,
1963, I, 1892; BORRUSO, Lineamenti del contratto di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1963, 52; RAMAT, Aspetti
sostanziali e processuali del contratto fra giocatori e associazioni sportive, in Foro pad., 1959, I, 904; TOSETTO-
MANESCALCHI, Profili giuridici del fenomeno sportivo con particolare riguardo alla natura giuridica del rapporto
fra associazioni calcistiche e calciatori, in Foro pad., 1951, III, 50; CANEPELE, Appunti sul rapporto giuridico
società sportive-calciatori, in Riv. dir. sport., 1950, n. 3-4, 23.
4
V., per la prima prospettazione, BIANCHI D’URSO, Il contratto di lavoro sportivo, in Il diritto del lavoro nella
elaborazione giurisprudenziale, Novara-Roma, 1971, vol. 16-II, 439; ID., Lavoro sportivo e ordinamento giuridico
dello Stato: calciatori professionisti e società sportive, in Dir. lav., 1972, I, 396; SCOGNAMIGLIO, In tema di
responsabilità delle società sportive ex art. 2049 c.c. per illecito del calciatore, in Dir. Giur., 1963; GRASSELLI,
L’attività dei calciatori professionisti nel quadro dell’ordinamento sportivo, in Giur. it., 1974, IV, 44. Secondo
BARILE, La Corte di Giustizia della Comunità Europea e i calciatori professionisti, in Giur. it., 1977, I, 1, 1409,
invece, l’aspetto economico del lavoro sportivo si innesta e viene assorbito da una causa di natura associativa nella
quale, come detto, coincidono gli interessi degli atleti e della società allo svolgimento professionale dell’attività
sportiva; cfr. anche VOLPE PUTZOLU, Sui rapporti fra giocatori di calcio e associazioni sportive e sulla natura
giuridica della c.d. cessione del giocatore, in Riv. dir. comm., 1964, II, 7.
4

giuridico che lo qualifica, ma al fondo di ciascuno di essi vi è un’identica attività che


difficilmente può collimare con il concetto tipico del lavoro subordinato.5
D’altra parte i fautori della tesi del lavoro subordinato hanno ristretto
l’indagine ai rapporti intercorrenti nella sfera dello sport professionistico sostenendo,
come si è accennato, la trasformazione dell’originaria causa ludica, permeante ogni
attività ed ogni relazione sportiva, in causa essenzialmente o prevalentemente
utilitaristica, in vista di uno scambio economicamente apprezzabile tra prestazioni
agonistiche, finalizzate alla produzione e all’offerta di spettacoli sportivi, e
retribuzione. Lo sport si è quindi trasformato in lavoro per l’atleta professionista, il
cui interesse principale non è più solo quello di primeggiare nelle competizioni, ma
soprattutto quello di conseguire dalla propria attività un guadagno che gli valga come
mezzo normale di sostentamento. Al contrario, l’essenza dello sport allo stato puro è
quella dove l’aspirazione ludica è rimasta intatta, non contaminata da intenti
speculativi: il dilettante che lo pratica, anche per qualità e quantità delle prestazioni,
non pretende e, in genere, neppure mira a trasformarlo in occupazione abituale
redditizia.6
La disciplina speciale introdotta dalla legge n. 91, in un certo senso,
presuppone la contrapposizione fra sport professionistico e sport dilettantistico e ne
imprime il suggello sul piano normativo. Ma la prospettiva in tal modo dischiusa è
apparsa a molti commentatori insoddisfacente e discriminatoria perché fondata, come
vedremo in seguito, su una qualificazione formale di professionismo che spesso
ignora la realtà sostanziale di rapporti improntati allo scambio di prestazioni sportive
contro compensi che certamente non sono compatibili con la nozione giuridica e
sportiva di dilettantismo che promana dallo stesso ordinamento sportivo.

2. (segue) Il lavoro sportivo professionistico come lavoro subordinato.

Le ragioni che hanno condotto alla qualificazione del lavoro sportivo


professionistico come lavoro subordinato, prima dell’emanazione della legge n. 91,
sono state analizzate in modo più esauriente nella giurisprudenza di legittimità da
Cass. 21 ottobre 1961, n. 2324,7 la cui decisione risale ad un periodo in cui il
5
Cass., 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it. 1963, I, 894, e in Riv. dir. sport. 1963, 100. L’estraneità della “causa” sportiva
al lavoro, la sua inerenza anche al rapporto professionistico, la difficoltà di adattarvi principi ed istituti giuslavoristici
erano già ben rappresentati da CESARINI SFORZA, Diritto del lavoro e diritto sportivo, in Dir. lav., 1951, II, 264, e da
MIRTO, L’organizzazione sportiva italiana. Autonomia e specialità del diritto sportivo, in Riv. dir. sport., 1959, 6; v.
anche MANGANI, Il contratto sportivo del calciatore inquadrato nella teoria generale dei contratti, ibid., 1950, n. 3-4,
40; VESPIGNANI, Il rapporto fra il giocatore e la società sportiva, ibid., 1960, 321.
6
Ad avviso di A. MARANI TORO, Sport e lavoro, in Riv. dir. sport., 1971, 175, la dicotomia dilettantismo-
professionismo e la distinzione fra sport-divertimento o puro esercizio fisico e sport-professione sono il frutto di un
equivoco costruito intorno alla causa ludica e alle finalità ordinamentali sportive egualmente presenti in entrambi i tipi
di attività quando siano dirette all’attuazione dell’agonismo programmatico e siano collegate alle istituzioni che lo
governano; la distinzione non corre quindi fra atleti dilettanti e atleti professionisti, ma fra professionisti sportivi e
lavoratori sportivi (questi ultimi potendosi qualificare, per es., i cestisti della nota squadra degli Harlem Globetrotters)
che svolgono, per puro spettacolo, giochi e gare non collegati alle suddette istituzioni.
7
La motivazione si può leggere per esteso in Foro it., 1961, I, 1608, e in Giust. civ., 1962, I, 50. In precedenza la
Suprema Corte aveva trattato per incidens l’argomento con la sentenza 4 luglio 1953, n. 2085, risolvendo in senso
negativo la questione della risarcibilità del danno subito dall’associazione calcistica per la morte dei propri giocatori a
5

professionismo sportivo, soprattutto nell’ordinamento calcistico, aveva già raggiunto


una cospicua articolazione organizzativa e una non trascurabile consistenza
economica, tanto da consentire una più consapevole ed approfondita valutazione dei
diversi aspetti qualificanti del rapporto di lavoro sportivo.
Secondo la motivazione della sentenza, le prestazioni degli atleti rivestono i
caratteri della continuità e della professionalità in quanto i calciatori, a tal fine
retribuiti, vincolano le proprie energie fisiche e le proprie attitudini tecnico-sportive a
favore dell’associazione, dedicandole in via esclusiva la loro attività agonistica in
tutte le gare, di campionato ed amichevoli, in Italia e all’estero, e si obbligano, altresì,
ad ottemperare alle istruzioni e alle direttive dei dirigenti e degli incaricati
dell’associazione anche per ciò che attiene agli allenamenti e alle loro modalità.
Sussiste, per tali motivi, il vincolo della subordinazione che si esprime anche con
l’obbligo di mantenere un contegno disciplinato e una condotta civile e sportiva
irreprensibile e regolare e nel divieto di partecipare a manifestazioni sportive estranee
alla società anche nei periodi di riposo o di sospensione dell’attività agonistica;
divieto nel quale la sentenza ravvisa una manifestazione, nel rapporto in questione,
dell’obbligo di fedeltà previsto dall’art. 2105 c.c., mentre le restrizioni cui il
giocatore può essere assoggettato anche nella vita privata, giustificate dalla necessità
di conservare l’efficienza fisica, ben possono essere collegate all’elemento fiduciario
che connota il lavoro subordinato. A tali obblighi fa da riscontro il potere della
società di irrogare provvedimenti disciplinari per la loro inosservanza o per illeciti
civili o sportivi commessi dal giocatore.
Non manca, inoltre, l’elemento della collaborazione, così come configurato
dall’art. 2094 c.c., per il fatto che l’attività agonistica prestata dagli atleti si inserisce
nel quadro di una complessa organizzazione economica, tecnica e di lavoro,
coordinandosi con la stessa per il conseguimento delle sue specifiche finalità.
Sotto altro profilo, sempre secondo la sentenza, il rapporto viene anche
assoggettato in concreto e in virtù degli accordi fra federazione e associazione dei
giocatori alla regolamentazione collettiva che si adegua, per molti aspetti, ai principi
fondamentali ai quali è improntata la disciplina legale del rapporto di lavoro
subordinato, quali, fra gli altri, il diritto del giocatore ad un periodo annuale di riposo
(art. 2109 c.c.), il diritto ad uno specifico trattamento di malattia ed infortunio (art.
2110 c.c.), l’obbligo previdenziale a carico delle società sportive (art. 2114 c.c.), ecc.
Tutti questi caratteri, dunque, sono inconciliabili con la fattispecie del lavoro
autonomo, mentre non valgono a scalfire la qualificazione di lavoro subordinato
alcune peculiarità del rapporto (riferibili alla disciplina federale allora vigente), come
l’esclusione della facoltà del recesso ad nutum, di cui si sarebbe semmai potuto
discutere della validità, o la facoltà dell’associazione di trasferire il giocatore ad altra

seguito del non dimenticato sinistro aereo di Superga del quale rimasero vittime i calciatori dell’A.C. Torino. In quella
occasione la Cassazione aveva affermato che la particolari caratteristiche del rapporto che lega i calciatori alla società
sportiva che li ha ingaggiati e gli ampi poteri dispositivi e di controllo della stessa potevano, al più, far considerare
atipici i contratti che attengono alla prestazione di attività agonistica, ma non ne snaturano l’essenza giuridica che, nelle
linee fondamentali e nel contenuto sostanziale, resta quella di un contratto di lavoro, fonte di un diritto di credito,
ritenuto (allora) non risarcibile.
6

associazione che non sopprimeva integralmente la volontà e la libertà del giocatore


che doveva pur sempre esprimere il proprio consenso al trasferimento.8
A queste considerazioni, Cass., Sez. un., 26 gennaio 1971, n. 174, aggiungeva
che le peculiarità del rapporto di lavoro sportivo derivavano, comunque, da un atto di
autonomia negoziale consistente nella volontaria sottoposizione di tutti i soggetti
inquadrati nella F.I.G.C. - società e giocatori tesserati - all’osservanza dei
regolamenti federali,9 con ciò intendendo evidentemente offrire un ulteriore sostegno
alla tesi della subordinazione e della sostanziale irrilevanza, ai fini di una diversa
qualificazione, di profili di specialità o, se si vuole, di caratteri anomali che, se taluno
sosteneva essere incompatibili con la qualificazione prevalente, ben potevano essere
giustificati e trovare collocazione nella regolamentazione del rapporto per effetto di
una libera manifestazione di volontà negoziale.
Le decisioni che abbiamo ricordato mettevano però in risalto un altro
importante elemento di valutazione e di indirizzo, quello, cioè, che la disciplina
concreta di questo rapporto di lavoro subordinato doveva essere ricercata nelle
disposizioni dell’ordinamento interno federale, senza pregiudizio della loro
integrazione con quelle di legge.
Come vedremo, la legge n. 91 ha seguito in parte questo indirizzo, recependo e
riproducendo, per molti aspetti, quelle disposizioni, ma regolandone altri in modo
diverso e stabilendo espressamente quali norme di legge sul lavoro subordinato non
sono applicabili al rapporto di lavoro sportivo professionistico.

3. I profili ordinamentali del rapporto di lavoro sportivo.

Per completare il quadro della configurazione giuridica del rapporto di lavoro


sportivo professionistico antecedente alla legge n. 91, occorre aggiungere che
l’indagine giurisprudenziale e dottrinaria dovevano inevitabilmente appuntarsi sullo
schema delineato dalla concreta regolamentazione e dalla prassi adottate dalla
federazione d’appartenenza (e segnatamente, come si è accennato, della F.I.G.C.,
essendo l’indagine stessa incentrata sul gioco più diffuso e popolare del calcio) e,
pertanto, non poteva trascurare quel complesso assetto di interessi, espressione di un
corpo di istituzioni e di relazioni di tipo ordinamentale e di estensione
sovranazionale, che, per quanto attiene la particolare regolamentazione di ciascuna
specialità sportiva, trova proprio nella federazione nazionale l’ente esponenziale.
E’ da premettere sinteticamente che con la legge 16 febbraio 1942, n. 426,
l’ordinamento statale ha riconosciuto l’ordinamento giuridico sportivo al quale è
8
Secondo Trib. Genova, 2 maggio 1972, cit., qualora il calciatore sia ancora vincolato contrattualmente alla società,
egli non ha alcun obbligo di prestare il consenso al trasferimento disposto da quest’ultima ed il rifiuto opposto non
costituisce fonte di danno per la stessa.
9
La sentenza delle Sezioni unite è nota, soprattutto, per aver enunciato il principio innovativo dell’ammissibilità della
tutela aquiliana del credito (negata dalla precedente decisione n. 2085 del 1953, cit.) e, nella specie, di quello avente ad
oggetto la prestazione di lavoro del calciatore, nella sola ipotesi, però, dell’infungibilità o insostituibilità della
prestazione medesima, nel senso che al creditore non sia possibile procurarsi prestazioni eguali o equivalenti, se non a
condizioni più onerose.
7

preposto il C.O.N.I. come parte dello stesso ordinamento giuridico statale; del
C.O.N.I. è stata pacificamente riconosciuta la personalità giuridica di diritto pubblico.
Nonostante la legge n. 426 parlasse di “costituzione”, essa, sul punto, aveva semplice
valore ricognitivo, poiché l’ente era preesistente in modo originario ed autonomo per
il fatto di appartenere ed essere componente attivo dell’ordinamento sportivo
internazionale facente capo al C.I.O. (Comitato internazionale olimpico). La legge
istitutiva e le norme di attuazione, successivamente emanate con il D.P.R. 2 agosto
1974, n. 530, e il D.P.R. 28 marzo 1986, n. 157, prevedevano il potere delle
federazioni sportive nazionali di stabilire, con regolamenti interni (art. 5, legge n. 426
del 1942), le norme tecniche e amministrative per il loro funzionamento e le norme
sportive per l’esercizio dello sport controllato in armonia con l’ordinamento sportivo
nazionale ed internazionale (art. 27, D.P.R. n. 530 del 1974; art. 29, D.P.R. n. 157 del
1986). Le stesse norme d’attuazione prevedevano, inoltre, che il C.O.N.I.
perseguisse le sue finalità in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del C.I.O.
(art. 1, 2° co., di entrambi i decreti).
Specificamente, per quanto riguarda gli atleti professionisti, le norme
d’attuazione prevedevano che la loro attività fosse disciplinata da norme
regolamentari particolari emanate dalla federazione competente secondo i principi
dettati dalla rispettiva federazione internazionale (art. 34, 4° co., D.P.R. n. 530 del
1974 e art. 35, 4° co., D.P.R. n. 157 del 1986).
La legge n. 426 del 1942 è stata abrogata dal D. Lgs. 23 luglio 1999, n. 242
(con espressa disposizione che avrebbe dovuto coinvolgere automaticamente anche le
norme di attuazione, ivi però non menzionate). Quest’ultimo provvedimento ha
riformato la struttura organizzativa del C.O.N.I. e delle federazioni nazionali, ma non
ne ha sostanzialmente mutato i compiti e, per altro verso, ha confermato, ora in
termini più netti, l’appartenenza dell’ente all’ordinamento sportivo internazionale e la
rilevanza delle sue norme nell’ordinamento statale.10
Secondo la giurisprudenza,11 il sistema legale, sopra sinteticamente
tratteggiato, indica, come si è accennato, un rapporto di riconoscimento
dell’ordinamento giuridico statale nei confronti dell’ordinamento giuridico sportivo
al quale è stata attribuita in tal modo la funzione amministrativa nel settore sportivo,
in virtù della coincidenza fra la funzione propria dell’ordinamento giuridico sportivo
e una delle funzioni che l’ordinamento giuridico statale si è attribuito, vale a dire, la
tutela, la disciplina e l’incremento dell’attività sportiva. La funzione amministrativa
si traduce nella potestà amministrativa, cioè, nel potere di emanare atti concreti,
indirizzati a soggetti determinati, per il conseguimento di fini specifici rientranti
nell’interesse generale sportivo, e nella potestà regolamentare, cioè, nel potere di
emanare norme attinenti all’organizzazione e al funzionamento degli uffici che
esercitano la potestà amministrativa ed attinenti alla sua regolamentazione ed
10
Secondo NAPOLITANO, La nuova disciplina dell’organizzazione sportiva italiana: prime considerazioni sul
decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, di “riordino” del CONI, in Riv. dir. sport., 1999, 617, i principi
dell’ordinamento sportivo internazionale e gli indirizzi del C.I.O., per il fatto di essere evocati nella disciplina dedicata
alla potestà statutaria del C.O.N.I. (art. 2), assumono il valore di criteri direttivi dell’esercizio di questa, contribuendo
alla conformazione del soggetto prima ancora che della sua azione
11
Cass., 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro it., 1978, I, 862, con nota di BARONE, e in Giust. civ. 1978, I, 897.
8

incidenza, nonché alla regolamentazione dello svolgimento dell’attività sportiva.


Non è stata attribuita, invece, la potestà normativa e, in particolare, il potere di
emanare norme attinenti ai rapporti intersoggettivi privati e, specificamente, ai
rapporti negoziali.
Ciò significa che al rapporto di lavoro sportivo si applica la legge dello Stato
nell’ordinamento statale, mentre le norme dell’ordinamento sportivo hanno efficacia
solo all’interno dello stesso. Avvalendosi di questo principio la giurisprudenza, in
ripetute occasioni, ha affermato che gli accordi collettivi inerenti al contratto di
lavoro sportivo e contrastanti con le disposizioni federali sono tuttavia validi per
l’ordinamento statale e, perciò, ammessi alla tutela da parte di quest’ultimo.12
Successivamente, però, la giurisprudenza, riprendendo il tema della potestà
regolamentare delle federazioni in materia negoziale, ha argomentato che l’efficacia
giuridica dei rapporti negoziali, la cui disciplina è contenuta nei regolamenti federali,
dipende direttamente dalla logica dell’autonomia privata, nel senso che l’istituzione
ha il potere di vincolare i soggetti ad essa appartenenti che, con la loro adesione alla
stessa, manifestano la volontà di sottostare anche alle regole che disciplinano, al pari
dei contratti normativi, i futuri eventuali contratti che volessero porre in essere
nell’ambito della corrispondente organizzazione. Conseguentemente, il controllo
dell’efficacia dei contratti o delle clausole contrattuali nell’ordinamento statale si
esplica mediante l’accertamento che essi siano diretti o meno a realizzare interessi
meritevoli di tutela, secondo la previsione dell’art. 1322 c.c. Pertanto la violazione di
norme interne sportive, se non determina la nullità del contratto per violazione di
norme imperative, incide sulla sua funzionalità, vale a dire sulla sua idoneità a
realizzare quell’interesse, rendendolo, comunque, improduttivo d’effetti.13
In altri casi, ai quali si è accennato in precedenza e di cui si dirà più
diffusamente in seguito a proposito dei singoli istituti, l’analisi interpretativa si è
sforzata di ricercare un punto di adattamento fra disposizioni confliggenti e,
comunque, di individuare un criterio di composizione dei possibili conflitti fra
l’ordinamento sportivo e quello statale.
Con la regolamentazione legale del rapporto di lavoro sportivo
professionistico, introdotta dalla legge n. 91, siffatte questioni hanno perso molta
della loro rilevanza e, piuttosto, si è registrata una variazione di atteggiamento
rispetto al metodo di risoluzione dei possibili conflitti, nel senso che, questa volta,
sono state le federazioni, nell’esercizio del potere regolamentare, ad adattare, ove
necessario, le norme interne al dettato della legge.
Ma, al di là di queste considerazioni, resta il fatto che anche per tali situazioni
di conflitto, si era resa manifesta la particolarità del rapporto di cui si tratta, destinato

12
Nella stessa causa decisa dalla sentenza citata alla nota precedente, v. Trib. Genova, 5 giugno 1972, in Riv. dir. sport.,
1973, 59, e App. Genova, 8 febbraio 1973, ibid., 65; ed ancora, Trib. Genova, 2 maggio 1972, cit.; Trib. Varese, 12
ottobre 1970, ibid., 1971, 105; contra, Trib. Piacenza, 5 luglio 1973, in Riv. dir. sport., 1973, 301.
13
Cass., 28 luglio 1981, n. 4845, in Giust. civ., 1982, I, 2411; v. anche Cass., 5 gennaio 1994, n. 75, in Foro it., 1994, I,
413, nonché in Riv. dir. sport. 1994, 660, con commento di CARINGELLA, “Tratta” dei giocatori e profili di
“meritevolezza sociale”, e in Contratti, 1994, 264, con commento di TAGLIETTI, Autonomia contrattuale e cessione
di un calciatore, in tema di contratto di cessione della titolarità del cartellino di un giocatore stipulato da persona fisica
che ne risultava, appunto, titolare; Trib. Spoleto, 20 febbraio 1997, in Foro it. Rep., 1997, v. Sport, n. 30.
9

a produrre effetti in due distinti ordinamenti e modellato sulle caratteristiche


organizzative e sulle finalità specifiche di quello che aveva provveduto in origine a
conferirgli una veste giuridica.
Si deve, infatti, considerare che il predetto rapporto si inserisce nella trama di
relazioni giuridiche che intessono l’ordinamento sportivo ed è pertanto conformato
alle sue particolari esigenze e finalità, espresse principalmente dalla federazione,
soggetto istituzionale estraneo alle parti contraenti, le cui determinazioni hanno, non
di meno, una straordinaria incidenza sulle sue vicende. La federazione, esercitando la
potestà regolamentare, si assicura il controllo di ogni fase in cui si sviluppa l’attività
giuridica dei contraenti: dalla regolamentazione dell’affiliazione delle società
sportive e del tesseramento degli atleti, atti che comportano l’ammissione di tali
soggetti nella comunità sportiva di riferimento e sono, perciò, il necessario
presupposto per la valida costituzione del rapporto, alla concordanza delle clausole
normative ed economiche dei contratti con le disposizioni in materia contrattuale,
finanziaria e fiscale; dalla correttezza della condotta delle parti, sia rispetto
all’esecuzione del contratto che rispetto all’osservanza dei doveri derivanti
dall’appartenenza all’ordinamento sportivo, al correlativo diretto esercizio del potere
disciplinare e, come conseguenza, con la possibilità di recare modifiche sostanziali e
definitive ai diritti sorti dal rapporto di lavoro fino alla sua estinzione; infine, alla
ratifica dei trasferimenti, dai cui dipendono la loro efficacia e la possibilità per gli
atleti di stipulare validamente un nuovo contratto di lavoro.
Il rapporto di lavoro sportivo, dunque, pur sempre intercorrendo fra soggetti in
posizione paritaria, risente intrinsecamente e in misura non trascurabile
dell’intervento regolatore di un soggetto terzo e sovraordinato alle parti. Questo,
probabilmente, è l’elemento che, più di ogni altro, vale a determinarne la specialità
rispetto al rapporto di lavoro subordinato di diritto comune14 ed anche rispetto a quei
rapporti di lavoro ai quali l’ordinamento generale ha riservato un trattamento
normativo specifico.
Si tratta, evidentemente, di una situazione giuridica diversa da quella
riscontrabile in tutti questi ultimi rapporti, la cui disciplina dipende non solo
dall’incontro della volontà delle parti ma anche dalla legge, dalle norme collettive,
dal regolamento d’impresa. Nel contratto di lavoro sportivo professionistico, infatti,
operano egualmente queste fonti estranee al contratto individuale, ma, in più, vi è un
terzo soggetto agente - la federazione - dalle cui azioni e determinazioni, appunto,
possono dipendere le sue sorti.
La legge n. 91 ha confermato l’essenzialità della regolamentazione e della
presenza federale nell’articolazione del rapporto e, per taluni aspetti, l’ha addirittura
rafforzata dando ingresso, anche nell’ordinamento statale, a figure differenziate di
lavoro subordinato e, entro certi limiti, di lavoro autonomo.

14
Cfr. (AA.VV.) DE CRISTOFARO, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, in Le nuove
leggi civ. comm. 1982, 574 e ss.
10

4. I provvedimenti legislativi anteriori alla legge n. 91 riguardanti il


rapporto di lavoro sportivo.

Un paio di leggi antecedenti alla legge n. 91 ne avevano anticipato alcuni


contenuti riguardanti il rapporto di lavoro sportivo professionistico, lasciando
chiaramente intendere l’indirizzo del legislatore sulla natura giuridica del rapporto
stesso: la legge 14 giugno 1973, n. 366 (Estensione ai calciatori ed agli allenatori di
calcio della previdenza ed assistenza gestite dall’Ente nazionale di previdenza e di
assistenza per i lavoratori dello spettacolo) e il D.L. 14 luglio 1978, n. 367,
convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 1978, n. 430 (Interpretazione
autentica in tema di disciplina giuridica dei rapporti tra enti sportivi ed atleti iscritti
alle federazioni di categoria).
La prima ha esteso l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i
superstiti e l’assicurazione contro le malattie gestite dall’E.N.P.A.L.S. ai giocatori di
calcio dei campionati di serie A, B e C, agli allenatori di calcio vincolati con società
sportive affiliate alla F.I.G.C., svolgenti professionalmente la loro attività in
campionati di divisione nazionale, agli allenatori federali direttamente alle
dipendenze della F.I.G.C. I contributi per l’assicurazione per l’invalidità, la
vecchiaia e i superstiti, da calcolarsi sul compenso globale annuo e sui premi di
rendimento, erano ripartiti tra società e assicurati rispettivamente nella proporzione di
due terzi ed un terzo, mentre per l’assicurazione contro le malattie erano a totale
carico delle società.
E’ da notare che la giurisprudenza, in alcuni casi, come conseguenza della
dichiarata qualificazione dei giocatori di calcio professionisti come lavoratori
subordinati, aveva già stabilito espressamente l’obbligo di applicazione della
disciplina legale in materia di assicurazioni sociali,15 che erano, comunque, allora
regolate da una convenzione del 1960 fra leghe professionistiche e
semiprofessionistiche e I.N.P.S. La legge n. 366, invece, non distingue fra lavoratori
subordinati ed autonomi e deve perciò considerarsi applicabile ad entrambe le
categorie, come è desumibile anche dall’accostamento ai lavoratori dello spettacolo,
indifferentemente assicurati all’E.N.P.A.L.S., subordinati o autonomi che siano.
L’unico dubbio riguarda gli allenatori federali della F.I.G.C. rispetto ai quali la legge
richiede il requisito della dipendenza, sicché se ne dovrebbe arguire che restano
esclusi dall’assicurazione gli allenatori per ipotesi vincolati alla federazione con
contratto di lavoro autonomo.
Il secondo provvedimento è il decreto legge al quale si è accennato all’inizio
del primo paragrafo. Emesso con sorprendente rapidità ed altrettanto rapidamente
convertito in legge, a seguito di un’iniziativa del Pretore di Milano che avrebbe

15
Così, mentre Trib. Genova, 2 maggio 1972, cit., fa riferimento all’assicurazione INPS, Trib. Livorno, 17 dicembre
1963, cit., fa generico riferimento al trattamento previdenziale ed anche a quello infortunistico di legge. Per gli
allenatori, cfr. Trib. Genova, 13 gennaio 1973, in Riv. dir. sport., 1973, 69. Già DEL GIUDICE, Natura e obblighi
previdenziali del contratto di attività sportiva, in Riv. dir. lav., 1966, I, 3, aveva indicato, de iure condendo, l’iscrizione
all’ENPALS come forma più appropriata di tutela previdenziale della categoria.
11

potuto produrre effetti dirompenti sul mondo del calcio,16 esso conteneva
un’interpretazione autentica della legge sul collocamento dei lavoratori subordinati e
precisava che non vi erano assoggettati gli atti (cioè, i contratti o gli accordi) relativi
all’acquisto e al trasferimento del “titolo sportivo”17 dei giocatori di calcio o degli
atleti praticanti altri sport, nonché le assunzioni dei tecnici da parte delle società o
delle associazioni sportive.
Come si vede, il disposto derivante dalla c.d. interpretazione autentica si
prestava ad una duplice lettura e, cioè, che i contratti o gli accordi di cui si tratta non
potevano considerarsi attinenti ad un rapporto di natura subordinata e non erano
perciò soggetti alla disciplina del collocamento, ovvero, più verosimilmente, anche
perché in senso contrario aveva esplicitamente deciso il Pretore di Milano, che essi
riguardavano una fattispecie di lavoro subordinato che, tuttavia, per la sua specialità,
non era contemplata dalla disciplina del collocamento.
Nel contempo, l’art. 2 della legge del 1978 preannunciava la prossima
promulgazione di una legge organica per la tutela degli interessi degli atleti nel
rispetto dell’autonomia dell’ordinamento sportivo. Già in questa occasione,
comunque, il legislatore mostrava l’intento di estendere la regolamentazione
normativa dal calcio alle altre discipline sportive nell’ambito delle quali l’attività
agonistica fosse prestata in forma professionistica, come è reso manifesto dal fatto
che venivano sottratti alla legge del collocamento sia i contratti degli atleti praticanti
altri sport, sia le assunzioni dei tecnici in generale, senza alcuna particolare
precisazione o limitazione riguardanti l’uno o l’altro settore dell’attività sportiva.

5. La struttura della legge n. 91.

La legge n. 91 è suddivisa in 4 capi di cui il primo (articoli da 1 a 9) dedicato


allo sport professionistico; il secondo (art. da 10 a 14, quest’ultimo in seguito
abrogato dal D. Lgs. n. 242 del 1999) alle società sportive e alle federazioni sportive
nazionali, il terzo, composto dal solo art. 15, alle disposizioni tributarie; l’ultimo (art.
da 16 a 18) alle disposizioni transitorie e finali.
16
Nell’estate del 1978, su ordine del Pretore, la forza pubblica faceva irruzione nell’albergo dove si svolgevano le
trattative per la cessione dei calciatori e sequestrava documenti e quant’altro necessario all’accertamento di eventuali
reati commessi dai partecipanti. Successivamente il Pretore di Milano, con decreto 7 luglio 1978, in Foro it., 1978, II,
319, stabiliva che il trasferimento dei giocatori comportava l’obbligo della richiesta nominativa di rilascio del nulla osta
da parte del competente ufficio del collocamento; che non era consentito l’intervento di alcun mediatore, mentre tale
veste assumevano i responsabili della società cedente, terzi rispetto al rapporto che sarebbe dovuto intercorrere
direttamente fra il calciatore e la società richiedente; pertanto, inibiva ai suddetti rappresentanti di svolgere trattative e
stipulare contratti aventi ad oggetto il trasferimento del calciatore ad altra società e vietava alla Federazione la ratifica
dei contratti. La clamorosa operazione provocava una ridda di reazioni, minacce da parte delle società (serrata, blocco
dei campionati, paralisi del totocalcio, ecc.). Di qui il decreto legge e l’impegno del Governo a presentare un disegno di
legge sulla disciplina organica del settore che sfocerà, quindi, nell’emanazione della legge n. 91.
17
Per “titolo sportivo” in questo caso deve intendersi la titolarità a favore della società del diritto alle prestazioni
sportive dei calciatori e degli altri atleti. Il cpv. dell’art. 1 del d.l., poi opportunamente soppresso dalla legge di
conversione, conteneva una significativa e più ampia disposizione stabilendo che la costituzione, lo svolgimento e
l’estinzione dei rapporti fra società ed atleti o tecnici, anche se professionisti, tenuto conto del loro carattere di specialità
ed autonomia, “continuano” ad essere regolati “in via esclusiva” dagli statuti e regolamenti delle federazioni sportive
nazionali.
12

L’art. 1, peraltro, non riguarda direttamente la disciplina dello sport


professionistico, contenendo l’affermazione di principio per la quale l’esercizio
dell’attività sportiva, individuale o collettivo, professionistico o dilettantistico, è
libero, affermazione che potrebbe sembrare pleonastica alla luce dei principi generali
dell’ordinamento anche di rango costituzionale.
Se riferita specificamente allo sport professionistico, come suggerisce anche la
sua collocazione, la norma può essere interpretata nel senso di garantire, nei limiti
della disciplina legale, la libertà contrattuale dall’imposizione di qualsiasi vincolo che
potrebbe, in ipotesi, essere introdotto sia dall’ordinamento sportivo che da quello
statale.18 Più in generale, è probabile che essa abbia voluto confermare che
l’organizzazione e la regolamentazione dell’attività sportiva in genere e di quella
professionistica in particolare non è prerogativa esclusiva del C.O.N.I. e delle
federazioni sportive nazionali nella sfera dell’ordinamento statale che, pur regolando
con la legge in esame lo sport professionistico svolto in seno a tale organizzazione,
riconosce la libertà di organizzarlo e praticarlo al di fuori dello stessa.
L’affermazione di principio dell’art. 1 ha, o meglio, aveva valore contro qualsiasi
dubbio che poteva essere agitato per effetto dell’enunciazione della legge n. 426 del
1942 in merito ai compiti affidati al C.O.N.I. che assumevano un chiaro significato
accentratore, dovendo l’ente, per assolvere allo scopo di organizzare e potenziare lo
sport nazionale (art. 2), provvedere alla conservazione, al controllo e all’incremento
del patrimonio sportivo nazionale, coordinare e disciplinare l’attività sportiva
comunque e da chiunque esercitata e sorvegliare e tutelare tutte le organizzazioni che
si dedicano allo sport (art. 3).19
Di fatto, poi, almeno nel nostro ordinamento, la possibilità di esplicazione della
libertà di organizzare e praticare l’attività sportiva autonomamente in uno o più
sistemi distinti da quello controllato dal C.O.N.I. e, di riflesso, dalle federazioni
internazionali, è del tutto marginale20 a causa dell’estensione, della capillarità su scala
mondiale di quest’ultima organizzazione; dell’importanza preminente, della notorietà
e della popolarità degli eventi competitivi che in essa si celebrano (si pensi ai giochi
olimpici, ai campionati mondiali e continentali, ma anche a quelli nazionali) e,
conseguentemente dei risultati sportivi che, riconosciuti, comparati e migliorati,
18
GERMANO, Lavoro sportivo, in Digesto discipline privatistiche-sez. comm., VIII, 462.
19
In verità la giurisprudenza, sia pur incidentalmente, aveva già escluso che il riconoscimento del C.O.N.I., attuato con
la legge n. 426 del 1942, concretasse un’attribuzione di poteri di tipo monopolistico, non avendo l’ente il potere di
inibire o contrastare le varie attività sportive che possono essere svolte sia singolarmente che in associazioni, anche
fuori di quelle dallo stesso organizzate, ma senza la comunanza dei mezzi e dei fini propri di quest’ultimo: cfr. Cass.,
Sez. un., 25 maggio 1965, n. 107, in Giur. it., 1965, I, 1, 91, ed ivi il commento critico di AMATO, Problemi
costituzionali connessi all’attuale disciplina del C.O.N.I., a proposito della riferita precisazione limitativa della
Cassazione; v. anche App. Firenze, 3 giugno 1970, in Riv. dir. sport., 1970, 260. A sua volta la Corte Cost., 26 giugno
1962, n. 69, in Foro it., 1962, 1226, aveva dichiarato illegittime le norme del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, sulla
protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia, che imponeva ai cacciatori l’obbligo di pagare la quota
d’iscrizione al C.O.N.I. e l’importo della tessera d’iscrizione alla Federcaccia, giudicandole incompatibili con l’art. 18
Cost. (libertà di associazione).
20
Cfr. BIANCHI D’URSO-VIDIRI, La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, 3 ss. La
notazione di cui al testo vale, però, per quasi tutti gli ordinamenti nazionali. Fa eccezione, forse, solo la realtà
statunitense, dove gli sport più diffusi nel paese sono organizzati in leghe professionistiche, dotate di autonomia
amministrativa e tecnica, che attribuiscono titoli sportivi specifici, non comparati con quelli degli ordinamenti sportivi
internazionali e nazionali.
13

rappresentano anche in parte la traduzione in cifre o in emblemi dell’obiettivo che si


è posto lo stato con l’affidamento al C.O.N.I. del compito di organizzare e potenziare
lo sport nazionale; infine, del confluire in tale sistema degli interessi, non solo di
natura squisitamente tecnico-sportiva, ma anche economico-finanziaria.
L’art. 2 definisce l’ambito di applicazione soggettiva ed oggettiva della legge.
L’art. 3 detta i criteri di inquadramento delle prestazioni sportive dell’atleta nel
lavoro subordinato e nel lavoro autonomo. L’art. 4 regola il contratto di lavoro
subordinato. Gli art. 5 e 6 la cessione del contratto e gli effetti economici che ne
derivano. Gli art. 7, 8 e 9 predispongono, rispettivamente, la tutela sanitaria,
infortunistica e il trattamento pensionistico.
Negli altri capi hanno immediata attinenza con il rapporto di lavoro
professionistico l’art. 10, 1° co., che contribuisce a delimitare il campo di
applicazione soggettiva della legge, l’art. 15, concernente il trattamento tributario dei
redditi e delle indennità derivanti dalle prestazioni sportive e dalla cessione dei
contratti, l’art. 16 che regola la graduale abolizione del vincolo sportivo.

6 I soggetti del rapporto.

L’ambito soggettivo di applicazione della legge n. 91, dalla parte del


lavoratore, è definito dall’art. 2 che stabilisce che sono sportivi professionisti “.....gli
atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che
esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito
delle discipline regolate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle
federazioni sportive nazionali.....”.
La specialità della disciplina e la formulazione della norma, che individua
specifiche figure professionali in numero chiuso, inducono a ritenere che essa abbia
contenuto tassativo, non estensibile ad altre categorie.21 E’ da notare che l’accordo
collettivo F.I.G.C.-A.DI.SE., concernente la categoria dei direttori tecnico-sportivi,
inquadra i direttori generali, i direttori tecnici, i segretari generali o di settore.
Per altro verso la norma richiede che i soggetti indicati conseguano la
qualificazione rilasciata dalle federazioni d’appartenenza, all’ordinamento delle quali,
pertanto, rinvia per la loro definizione e configurazione, sicché non sembra che si
possa prescindere dalla tipicità delle corrispondenti qualificazioni per comprendere
soggetti esprimenti professionalità diverse da quelle elencate.
Inoltre, come è stato giustamente osservato, i soggetti individuati dall’art. 2
sono caratterizzati da un elemento comune costituito dal concorso diretto della loro
attività, anche mediante il miglioramento e il perfezionamento della prestazione
agonistica, la sua impostazione e finalizzazione sotto l’aspetto tecnico-agonistico, al
21
Cass., 17 maggio 2009, n. 10867; Cass., 11 aprile 2008, n. 9551, in Foro it., 2008, I, 3641. In dottrina: (AA.VV.)
PICCARDO, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, cit., 562; BIANCHI D’URSO-VIDIRI,
cit., 9; contra, (AA.VV.) DE CRISTOFARO, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, cit.,
576; DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1983, I, 699; BERTINI, Il contratto
di lavoro sportivo, in Contratto e impresa, 1998, 743; SANINO-VERDE, Il diritto sportivo, Padova, 2011, 213. Contra:
TORTORA-IZZO-GHIA, Diritto sportivo, Torino, 1998, 85.
14

conseguimento del miglior risultato sportivo, al quale sembrano invece essere


estranee altre figure professionali, che, pur potendo essere legate da un rapporto - non
importa se di natura subordinata o autonoma - con la società sportiva, esercitano,
tuttavia, competenze non strettamente connesse all’attività agonistica, quali, per
esempio, i medici, i massaggiatori, gli impiegati o gli incaricati di mansioni
amministrative o organizzative o di servizi ausiliari22 Pertanto, non essendo regolati
dalla legge n. 91, siffatti rapporti devono ritenersi assoggettati al diritto comune.
Tenuto anche conto che, in via generale, già l’art. 34, 4° co, del D.P.R. 2
agosto 1974, n. 530, poi riprodotto dall’art. 35, 4° co. del D.P.R. 28 marzo 1986,
n.157, prevedeva che l’attività dell’atleta professionista fosse disciplinata da norme
regolamentari particolari emanate dalla federazione competente, come si è accennato,
per l’identificazione dei soggetti indicati dall’art. 2 occorre far riferimento alle
disposizioni interne delle singole federazioni e, specificamente, proprio alle relative
qualificazioni che, spesso, a loro volta, presuppongono la sussistenza di prestabilite
situazioni di fatto e di requisiti necessari per ottenerle. Per esempio, le Norme
Organizzative Interne della F.I.G.C. (N.O.I.F.) qualificano professionisti i calciatori
che “esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità,
tesserati per società associate nella Lega Nazionale Professionisti o nella Lega
Professionisti Serie C” (art. 28), ripetendo, in tal modo, la formula dell’art. 2 che la
adotta indistintamente per tutti i professionisti elencati: calciatore professionista è,
quindi colui che pratica il gioco del calcio in modo continuativo ed essendone
retribuito, vale a dire, in sostanza, colui che lo pratica come lavoro primario. Così,
sempre riferendoci ai regolamenti della F.I.G.C., quello del settore tecnico stabilisce
che gli allenatori professionisti di 1° categoria sono abilitati alla “conduzione tecnica”
di squadre di ogni tipo e categoria e devono, al pari degli altri soggetti inquadrati nel
settore tecnico, tutelare e valorizzare il potenziale tecnico-atletico delle società,
curare la formazione tecnica e le condizioni fisiche dei calciatori, promuovere, fra i
calciatori, la conoscenza delle norme regolamentari, tecniche e sanitarie,
disciplinarne la condotta morale e sportiva, ecc. I preparatori atletici sono abilitati
alla preparazione fisico-atletica dei calciatori. Infine, i direttori tecnico-sportivi
collaborano agli indirizzi tecnici delle squadre della società per la quale sono tesserati
e partecipano alla loro attuazione, d’intesa con i tecnici responsabili. Il regolamento
in questione chiarisce, quindi, che l’attività del direttore tecnico è prestata a favore
delle società calcistiche.
Secondo un Autore, alla figura di direttore tecnico-sportivo, cui è applicabile
l’art. 2, possono essere ricondotte anche quelle funzioni che derivano
22
Cass., 11 aprile 2008, n. 9551, cit., ha escluso i massaggiatori dal campo d’applicazione della legge n. 91. Dei
massaggiatori, ed incidentalmente dei medici, si è occupata anche Pret. Venezia, 22 luglio 1998, in Riv. dir. sport.,
1998, 164, con nota di LAMBO, Massaggiatori calcistici: lavoratori sportivi o “comuni” ?. Entrambe le sentenze
hanno motivato l’esclusione per il fatto che la legge speciale, che contiene vistose deroghe alla disciplina generale del
lavoro subordinato, non può essere estesa analogicamente a casi che non contempla, mentre non è ammessa
l’interpretazione estensiva per includervi figure significativamente diverse da quelle menzionate dalla legge, perché non
coinvolte direttamente nell’attività agonistica. Secondo Cass., 17 maggio 2009, n. 10867, cit., l’arbitro di calcio non
può essere considerato lavoratore subordinato della Federazione o dell’A.I.A., ma le sue prestazioni, ancorché
retribuite, sono l’adempimento del patto sociale e sono riconducibili all’oggetto sociale. Così anche SANINO-VERDE,
cit., 302.
15

dall’affidamento della conduzione tecnica di un’area federale con le relative


responsabilità sui risultati nell’ambito della promozione e dello sviluppo di
determinate attività agonistiche.23 Tuttavia, è chiaro che in questi casi manca il
requisito soggettivo dell’appartenenza del professionista ad una società sportiva
costituita in forma di s.p.a. o s.r.l., come si vedrà tra breve. Essi, quindi, restano fuori
dal campo d’applicazione della legge.
L’individuazione delle figure professionali abilitate alla stipulazione di un
contratto di lavoro professionistico rende, com’è logico, incompatibile con il relativo
rapporto la tradizionale distinzione per categorie dell’art. 2095 cod. civ., che, attesa la
particolare natura delle prestazioni, non avrebbe avuto alcun senso richiamare.24 Né è
possibile l’accostamento al metodo di classificazione dei lavoratori per figure
professionali, ormai generalmente adottato dalla contrattazione collettiva, sia perché,
nel nostro caso, si tratta di soggetti appartenenti a categorie diverse che partecipano
ad una contrattazione collettiva separata e ricevono pertanto una regolamentazione
distinta da quella delle altre, sia perché la natura delle prestazioni e la loro
valutazione, orientata dal vario apprezzamento, di regola a carattere strettamente
individuale, che ne fanno le società sportive, non agevolano la definizione del
trattamento economico secondo livelli retributivi uniformi.
Dalla parte datoriale, occorre riferirsi in primo luogo alla disposizione del 1°
co. dell’art. 10 della legge: “Possono stipulare contratti con atleti professionisti solo
società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a
responsabilità limitata”.
Qui la norma ha ripreso (e così si spiega anche la previsione limitata ai
contratti tra atleti e società) l’assetto già vigente nell’ordinamento interno della
F.I.G.C. dove, mediante una complessa opera di riforma che aveva portato, nella
seconda metà degli anni sessanta, alla trasformazione delle associazioni calcistiche
militanti nei campionati nazionali di serie A e B in società per azioni, si mirava al
loro risanamento finanziario anche mediante l’osservanza delle norme sulla
formazione e sulla pubblicità del bilancio.25 La legge n. 91, anch’essa privilegiando
l’obiettivo della corretta gestione delle società sportive, ha conservato tale assetto, lo

23
PICCARDO, cit., 565, porta ad esempio il regolamento organico della F.I.S.I. che prevede, nel quadro delle strutture
organizzative federali, la funzione del Direttore agonistico che ha il compito precipuo di curare la formazione, la
preparazione, l’allenamento e la selezione degli atleti per le squadre nazionali, nonché quello di proporre l’assunzione
di allenatori e tecnici federali. Si tratta, comunque, di figure professionali contigue o assimilabili a quella del
Commissario tecnico che provvede alla selezione, preparazione e direzione degli atleti delle rappresentative nazionali
nelle gare e nei tornei internazionali e di cui si parlerà nel successivo par. 24.
Ancor più evidente è l’estraneità della figura del general manager o direttore generale di un club sportivo alla
previsione dell’art. 2, come precisato anche da VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in
Giust. civ. 1993, II, 205.
24
DEL GIUDICE, cit., 11, ritiene che, ai fini previdenziali, si tratti di mansioni impiegatizie.
25
Nel 1966 il Consiglio federale della F.I.G.C. aveva disposto lo scioglimento degli organi delle associazioni
calcistiche affiliate alla Lega nazionale nominando commissari straordinari con pienezza di poteri e con il compito di
procedere alla costituzione di società per azioni, secondo le direttive tracciate dall’autorità governativa come condizione
per l’erogazione di mutui e la concessione di agevolazioni tributarie idonee a favorire il risanamento dei bilanci. Dopo
la dichiarazione di illegittimità del provvedimento federale (Cass., 20 giugno 1968, n. 2028), il medesimo obiettivo era
stato raggiunto con la delibera di scioglimento delle associazioni, presa dalle rispettive assemblee, la costituzione delle
società per azioni e l’adozione dello statuto tipo predisposto dalla Federazione. La legge n. 91, per quanto qui interessa,
ha aggiunto la possibilità di costituzione di società a responsabilità limitata.
16

ha esteso a tutte le società sportive professionistiche, oltre a quelle del calcio, ed ha,
anzi, introdotto un sistema più rigoroso di controllo da parte delle federazioni, potere
già istituito dal regolamento del settore professionisti della F.I.G.C.; il sistema si
avvale di una serie di meccanismi fra i quali, appunto, si annovera la disposizione in
commento da integrarsi con l’obbligo, previsto dal 2° co. dell’art. 4, di deposito del
contratto di lavoro presso la federazione per l’approvazione. Si coglie così la ragione
per cui la predetta disposizione, che pur concorre alla definizione del campo di
applicazione soggettiva della legge, sia contenuta nel capo riguardante i rapporti fra
società sportive e federazioni e nell’articolo che regola le modalità di costituzione e
l’affiliazione delle prime.26
La stessa formulazione dell’art. 10, 1° co., che si riferisce solo ai contratti di
lavoro professionistico stipulati con gli atleti, presuppone che, per quanto riguarda gli
altri soggetti indicati dall’art. 2, sia possibile comprendere nel campo di applicazione
della legge i contratti con società sportive costituite in forma diversa dalla s.p.a. e
dalla s.r.l., oppure con associazioni o altri enti sportivi. E’ il caso, per esempio,
ancora della F.I.G.C., ove esistono l’accordo collettivo e il contratto-tipo fra
allenatori professionisti e società della Lega nazionale dilettanti.
Tuttavia, la giurisprudenza di merito si è espressa in senso contrario
dichiarando che la mancanza della qualità di società di capitali comporta
l’applicazione dell’ordinaria normativa del lavoro.27
L’art. 10, 1° co., infine, riferendosi genericamente ai contratti con atleti
professionisti, comprende evidentemente sia quelli di lavoro subordinato che quelli di
lavoro autonomo dei quali tratta l’art. 3 della legge, norma anch’essa che riguarda
specificamente gli atleti e non gli altri soggetti indicati dall’art. 2.

7. I presupposti e gli elementi oggettivi del rapporto.

I presupposti oggettivi del rapporto di lavoro subordinato professionistico


attengono ai profili istituzionali dell’organizzazione sportiva nella quale esso si
inserisce. Essi sono:
a) l’esercizio dell’attività sportiva nell’ambito delle discipline regolate dal C.O.N.I.;
ciò vuol dire che solo i tesserati e le società affiliate alle federazioni sportive
nazionali possono concludere un contratto di lavoro sportivo professionistico, o
meglio, che la legge n. 91 si applica solo ai contratti intercorsi fra soggetti
appartenenti alla federazione, mentre ne restano esclusi quelli appartenenti ad altri
organismi sportivi, come, per esempio, gli enti di promozione sportiva anche se

26
Secondo LANDOLFI, cit., 42, in mancanza di affiliazione la società sportiva neppure può ottenere l’omologazione da
parte del Tribunale. In tal senso anche Trib. Napoli, 9 gennaio 1995, e App. Napoli, 28 maggio 1995, in Dir. giur.,
1995, 163, con commento di CALDERONI, La trasformazione delle associazioni e il limite della causa alla luce dell’a.
10 l. n. 91/1981
27
App. Ancona, 27 gennaio 2005, in Foro it. Rep., Sport, n. 121
17

associati al C.O.N.I. (v. l’art. 5 del D. Lgs n. 242 del 1999). A maggior ragione,
restano escluse le attività sportive estranee all’organizzazione del C.O.N.I.28
b) la qualificazione professionistica delle suddette discipline da parte della rispettiva
federazione d’appartenenza e, cioè, il riconoscimento da parte di quest’ultima di un
settore di attività specificamente regolato in forma professionistica. E’ stato
osservato che, con tale disposizione, il legislatore ha inteso delegare alle federazioni
la delimitazione del campo di applicazione della legge n. 91.29 In termini forse più
aderenti alla realtà si può dire che l’intento primario del legislatore è stato quello di
non turbare gli equilibri interni delle singole federazioni lasciando loro piena
autonomia di determinazione in merito ad una delle materie più delicate della
regolamentazione dell’attività sportiva, qual è, appunto, la definizione del discrimine
fra sport professionistico e sport dilettantistico, anche in considerazione del fatto che,
in tale materia, le decisioni federali devono essere conformi alle direttive stabilite dal
C.O.N.I., le quali, a loro volta, devono rispecchiare quelle assunte dagli organismi
sportivi internazionali, essendo il C.O.N.I., anche in base alla legislazione
dell’ordinamento italiano, (D. Lgs. n. 242 del 1999), garante e tutore dell’osservanza
di quelle direttive nel territorio italiano.30 Si deve anche ricordare che, all’epoca della
preparazione e della promulgazione della legge, la distinzione professionismo-
dilettantismo stava subendo una sensibile evoluzione e trasformazione proprio a
livello internazionale.31 E’ apparso quindi opportuno il rinvio alle disposizioni
federali in materia, sia per evitare che la qualificazione professionistica dipendesse
dai soli elementi oggettivi della prestazione di lavoro, dando così al professionismo
una possibilità di estensione non coerente rispetto alle esigenze dell’organizzazione
sportiva,32 sia, a maggior ragione, per non intromettervi regole eteronome, magari
inconciliabili con le predette esigenze. Più che di una delega alle federazioni a
determinare il campo d’applicazione delle legge n. 91, si è trattato, dunque, del
riconoscimento del potere di autonoma regolamentazione della materia da parte delle
medesime federazioni e della predisposizione di uno strumento di disciplina dei
rapporti di lavoro per quelle che già avevano, o si sono date in seguito, o si daranno
in futuro, un assetto professionistico.33 34 E’ chiaro, poi, che l’elasticità della norma

28
Cfr., a proposito del gioco della pelota basca e sulla qualificazione del rapporto di lavoro in base ai criteri di diritto
comune, Pret. Milano, 9 dicembre 1988, in Riv. it. dir. lav., 1989, II, 426, con nota di FORTUNAT, Sulla qualificazione
del lavoro sportivo.
29
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 8.
30
V. in tal senso anche PICCARDO, cit., 565 ss. Attualmente il D. Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, all’art. 5, 2° co., lett.
d), prevede fra i compiti del Consiglio Nazionale del C.O.N.I. quello di stabilire, in armonia con l’ordinamento sportivo
internazionale e nell’ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale, criteri per la distinzione dell’attività sportiva
dilettantistica da quella professionistica.
31
Mentre ancora le regole olimpiche definivano dilettante colui che si dedica allo sport per divertimento o svago senza
ricavarne alcun profitto materiale di qualsiasi genere, nel 1978 il C.I.O. ammetteva, tuttavia, il dilettantismo c.d.
oneroso, autorizzando gli atleti partecipanti ai giochi olimpici a percepire rimborsi spese, indennizzi per mancato
guadagno, borse di studio e premi in competizioni e nel 1992 apriva le frontiere dei giochi anche ai professionisti di
fatto e di nome, pur se non appartenenti e non tesserati dalle federazioni, come i cestisti della N.B.A. americana.
32
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, op. loc. cit.; GRASSELLI, L’attività sportiva professionistica: disciplina giuridica
delle prestazioni degli atleti e degli sportivi professionisti, in Dir. lav., 1982, I, 27 ss..
33
GIUGNI, La qualificazione di atleta professionista, in Riv. dir. sport., 1986, 166, riconduce esattamente il potere di
qualificazione a quello più generale di regolamentazione riconosciuto alle federazioni, oggetto di rinvio formale da
parte dell’ordinamento statale, e, al contrario di altri autori, distingue, tale potere di normazione astratta e generale dal
18

consente la variazione, in termini quantitativi, dei soggetti destinatari e del campo


d’applicazione della legge n. 91, ed è altrettanto evidente che, in difetto di
qualificazione professionistica, il rapporto, anche se sussistano gli altri presupposti ed
elementi oggettivi, è considerato formalmente dilettantistico e, come tale, sottratto
alle disposizioni della legge n. 91.35 Questo è uno degli aspetti più critici e contrastati
del dettato normativo sul quale si è intrattenuta soprattutto la dottrina. Infatti, è
evidente che situazioni di fatto identiche e ormai generalizzate nello sport ad alto
livello (diverse, semmai, solo sul piano quantitativo: l’entità dei compensi,
giuridicamente irrilevante) soggiacciono a discipline diverse solo in base all’elemento
formale della qualificazione federale.
La scelta del legislatore non si accorda con la giurisprudenza comunitaria che,
come si vedrà (par. 14), ha dato rilievo esclusivo alla circostanza che la prestazione
sportiva sia retribuita e abbia i connotati di un’attività economica, trascurando
completamente la distinzione professionismo-dilettantismo. Lo stesso giudice
amministrativo ha scritto parole non troppo velatamente critiche quando,
disputandosi sulla legittimità di una norma regolamentare utilizzata per lo svincolo di
una nota campionessa di pallacanestro, ha avuto occasione di osservare che
“certamente la mancata applicazione al settore del basket femminile della legge 23
marzo 1981 n. 91, è la vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame,
appare difficile configurare come dilettantistica un’attività comunque connotata dai
due requisiti richiesti di cui all’art. 2 (‘remunerazione comunque denominata’ e la
continuità della prestazione) per l’attività professionistica”.36 Per altro verso, la
critica ha investito il metodo della qualificazione federale per vari profili di ritenuta
incostituzionalità connessi alla disparità di trattamento rispetto al vincolo sportivo
che l’art. 16 ha abolito nel professionismo “qualificato”.37 Del resto, lo stesso
legislatore ha superato ogni distinzione determinando i criteri d’ingresso degli
sportivi stranieri “che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque
retribuita” (co. 5-bis dell’art. 27 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286: v., ancora, par. 14). Il
dettato dell’art. 2 appare ormai obsoleto anche in rapporto all’evoluzione delle
disposizioni emanate dagli ordinamenti sportivi: ad esempio, nel calcio, la F.I.F.A., la

concreto atto di ammissione, cioè il tesseramento, comunque propedeutico alla costituzione del rapporto di lavoro.
Anche secondo PAGLIARA, La libertà contrattuale dell’atleta professionista, ibid., 1990, 11, il rinvio è di natura
ricettizia.
34
In atto le federazioni con attività professionistica sono quelle del calcio, ciclismo, motociclismo, golf, pallacanestro e
pugilato.
35
E’ il caso deciso da Trib. Venezia, 27 maggio 2014, in www.giustiziasportiva.it 2014, n. 2 del 20 ottobre 2014, con
nota di NICOLELLA, Ancora sul c.d. “professionismo di fatto”, a proposito dell’assoggettamento a contribuzione delle
remunerazioni di giocatori di hockey su ghiaccio tesserati per la F.I.S.G. che non ha adottato il regime professionistico.
36
T.A.R. Lazio, 16 maggio 2003, n. 4103, riportata da FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza,
Milano, 2005, 365. Trib. Pescara, 18 ottobre 2001, in Foro it., 2002, I, 897, non ha giudicato accoglibile la distinzione
tra professionisti e dilettanti perché implicherebbe una discriminazione a danno dei secondi.
37
E. LUBRANO, Vincolo sportivo pluriennale: verso una fine annunciata?, in www.giustiziasportiva.it, n. 3/2005. Se i
professionisti di fatto non beneficiano della soppressione del vincolo sportivo, ad essi dovrebbero invece applicarsi le
norme elencate negli ultimi due co. dell’art 4 (v., infra, par. 13), agitandosi tuttavia il dubbio della loro compatibilità
con un rapporto che non differisce nella sostanza da quello dei professionisti “qualificati”. Sull’applicazione delle
norme dei contratti a termine e sul patto di conglobamento o di onnicomprensività della retribuzione, se risultante dal
contratto, Cass., 11 aprile 2008, n. 9551, cit., a proposito di soggetto non compreso tra le figure professionali di cui
all’art. 2 e, quindi, fuori del campo d’applicazione della legge n. 91 come i professionisti di fatto.
19

federazione internazionale, considera professionista l’atleta che vanta un contratto


scritto con una società sportiva e, in cambio della prestazione riceve pagamenti
superiori alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio dell’attività calcistica.38
Inoltre, vari regolamenti federali attinenti ai settori dilettantistici si spingono a
determinare la misura delle remunerazioni dovute agli atleti e i loro minimi.
In ogni caso, l’orientamento largamente prevalente è favorevole alla tesi del
ricorso alle norme e ai principi di diritto comune alla luce dei quali andrà compiuta
l’indagine diretta a stabilire la natura subordinata o autonoma del rapporto del
professionista di fatto e, conseguentemente, la sua regolamentazione e i suoi effetti.39
Gli elementi oggettivi del rapporto attengono, invece, ai caratteri e alle
modalità della prestazione di lavoro offerta e precisamente:
c) l’onerosità; la prestazione deve essere remunerata con un compenso avente il
carattere della corrispettività e, quindi, proporzionato alla quantità e qualità della
prestazione stessa, indipendentemente dalla sua misura effettiva che, in questo settore
dell’attività lavorativa, viene liberamente determinata dalle parti contraenti con patto
individuale, salva la predefinizione di minimi collettivi in genere assai inferiori
rispetto ai compensi pattuiti in concreto. Non potrebbe pertanto definirsi onerosa la
prestazione sportiva che non riceva un vero e proprio corrispettivo ma un
emolumento versato, per esempio, a titolo di rimborso spese o di indennizzo per

38
Art. 2.2. del regolamento sullo status e sui trasferimenti dei calciatori. Si è già visto che i criteri di distinzione tra
professionisti e dilettanti devono essere stabiliti dal C.O.N.I. in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale in
base al D. Lgs. n. 242 del 1999.
39
Il contributo dottrinario è vastissimo. Si vedano le analisi approfondite di ZINNARI, Atleta dilettante, sportivo non
professionista?, in www.giustiziasportiva.it, n. 1/2007; DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico, ibid., n.
1/2006, e sempre nello stesso sito, ARMENTANO, Ostracismo della subordinazione dallo sport dilettantistico, n.
1/2011, a commento di Trib. Torino, 25 maggio 2010; GIUA, Sport dilettantistico: lavoro parasubordinato e
prestazioni sportive tra fisco e previdenza, n. 3/2005; inoltre, TOGNON, Rapporto di lavoro sportivo: professionisti e
falsi dilettanti, in www.giuslavoristi.it; ALLEGRO, Sport dilettantistico e rapporto di lavoro, in CANTAMESSA-
RICCIO-SCIANCALEPORE, Lineamenti di diritto sportivo, Milano, 2008, 187; SPADAFORA, Diritto del lavoro
sportivo, Torino, 2005, 62; VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, 39;
BERTINI, cit., 749; DE MARZO, Profili della tutela giuridica del calciatore dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, 101;
MARTINELLI, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, ibid., 1993, 13. In giurisprudenza Trib.
Roma, ord. 7 febbraio 1995, ibid., 1995, 633, con nota di LORUSSO, La competenza per territorio e funzionale nelle
controversie sorte fra atleta ed associazione sportiva, ed altra nota di ZANOTTI, che cita alcune decisioni concordanti
in parte inedite; Pret. Roma, 1 aprile 1992, ibid., 1992, 678, con nota di PICONE; Trib. Verona, ord. 23 luglio 2002, e
Trib. Reggio Calabria, ord. 28 marzo 2002, ricordate da ZINNARI, cit., e ancora, per quanto è dato comprendere dalla
motivazione, Trib. Roma, ord. 11 ottobre 2008, in www.giustiziasportiva.it, n. 3/2008, con nota di DEL VECCHIO, Il
caso Mastrangelo: luci e ombre della qualificazione giuridica dell’atleta “dilettante”. Di diverso avviso,
SFERRAZZA, Il rapporto di lavoro del calciatore dilettante, in Dir. lav., 2006, I, 415, e REALMONTE, L’atleta
professionista e l’atleta dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, 371, contrari all’applicazione del diritto comune perché si
finirebbe per assicurare ai falsi dilettanti una tutela più intensa di quella della legge n. 91. Quest’ultimo autore sostiene
che in rapporto all’espansione in senso professionistico delle specialità sportive regolate, spetti alle federazioni non un
potere discrezionale in ordine alla qualificazione, bensì il riconoscimento dovuto, onde, se non vi provvedono, si potrà
prescindere da siffatto requisito privilegiando la sostanza dei rapporti anziché le qualificazioni formali. Infine, ad avviso
di MERCURI, Sport professionistico (Rapporto di lavoro e previdenza sociale), in Noviss. Dig. it., VII app., 511, sono
applicabili quanto meno in via analogica le norme della legge n. 91 ai rapporti onerosi qualificati non professionisti.
Nega, invece, l’applicazione analogica della legge n. 91, Trib. Venezia, 27 maggio 2014, cit. E’ stato letto come
implicito riconoscimento dell’estensione ai professionisti di fatto delle norme della legge n. 91, l’inciso di Cass., 1
agosto 2003, n. 11751 (e, in precedenza, Cass. 6 aprile 1990, n. 2889) che richiama l’art. 4, 5° co., sulla clausola
compromissoria apposta al contratto di un atleta non professionista. Sui problemi degli pseudo dilettanti e sulle
prospettive di riforma della legge in materia rimaste inattuate, v. BELLAVISTA, Il lavoro sportivo professionistico e
l’attività dilettantistica, in Riv. dir. lav. prev. soc., 1997, I, 521, e più recentemente ZINNARI, cit.
20

mancato guadagno, ecc., come accade spesso nell’attività dilettantistica c.d. onerosa.
Poiché, in ogni caso, la legge ha elevato a presupposto dell’attività professionistica la
qualificazione in tal senso da parte della federazione, è evidente che la questione
relativa alla natura retributiva o indennitaria del compenso ha scarso rilievo, una volta
che l’atleta o un altro dei soggetti indicati dall’art. 2 sia stato inquadrato nel settore
professionistico. Anzi, nella pratica, essa neppure si pone, dato che accordi economici
e contratto tipo prevedono il pagamento della retribuzione sotto forma di compenso
lordo per stagione sportiva o annuo, integrato da eventuali premi individuali o
collettivi collegati ai risultati sportivi;40
d) la continuità dell’esercizio dell’attività sportiva o, meglio, delle prestazioni
sportive nell’arco della durata del contratto e indipendentemente dalla stessa. In
particolare, per quanto riguarda le prestazioni degli atleti, la nozione di continuità,
nella legge, astrae comunque dalla frequenza delle stesse, secondo quanto si ricava
dalla lettera c) del 2° co. dell’art. 3, che stabilisce la durata minima della prestazione
nei diversi periodi della settimana, del mese e dell’anno, per far luogo alla tutela del
lavoro subordinato approntata dalla legge, sicché, anche quando si verifichi il
superamento della durata minima, la possibile frammentarietà della prestazione, pur
oltre quella misura, non ne esclude il carattere continuativo.

8. La prestazione sportiva dell’atleta: lavoro subordinato e lavoro


autonomo.

L’art. 3, 1° co., della legge precisa che la prestazione a titolo oneroso


dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalla legge
stessa, mentre il 2° co. precisa che la prestazione costituisce oggetto di contratto di
lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più
manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a
sedute di preparazione o allenamento;
c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non
superi otto ore settimanali, oppure cinque giorni ogni mese, ovvero trenta giorni ogni
anno.
In primo luogo occorre, dunque, rilevare che la norma, nel dettare rigidi criteri
distintivi fra lavoro sportivo subordinato ed autonomo, si riferisce, sia
nell’intestazione che nella formulazione dei due commi, solo all’atleta e non nomina
gli altri soggetti elencati dall’art. 2. Per la qualificazione della natura del rapporto di
lavoro di costoro bisognerà, quindi, ricorrere agli ordinari criteri ricavabili dagli art.
2094 e 2222 cod. civ. secondo l’interpretazione giurisprudenziale che verifica di volta
in volta la sussistenza degli elementi di qualificazione nel caso concreto.41 Ove sia
40
V., in particolare, quanto in tal senso stabilito dagli accordi collettivi della F.I.G.C.
41
Cass., 28 dicembre 1996, n. 11540, in Riv. dir. sport., 1997, 233, con nota di PAGANELLI, in riferimento alla
qualificazione del rapporto di lavoro di un direttore sportivo risolta con la valorizzazione del criterio ermeneutico
21

accertata o riconosciuta la natura subordinata del rapporto, si applicheranno le


disposizioni dell’art. 4 della legge, come vedremo in seguito. Occorre però segnalare
che è emerso l’orientamento giurisprudenziale e dottrinario che sembra voler
ricondurre la disciplina del rapporto di queste figure professionali al diritto comune
del lavoro. 42
Per gli atleti, invece, la prima parte del 1° co. reca una presunzione assoluta di
sussistenza del lavoro subordinato. Il necessario coordinamento con l’art. 2 e con la
seconda parte dello stesso comma implica che debbano essere presenti, oltre
all’onerosità, tutti i presupposti e gli elementi oggettivi di cui al cit. art. 2. La
seconda parte del 1° co. precisa, infatti, che il contratto di lavoro subordinato è
regolato dalle norme della stessa legge. Questa precisazione appare pleonastica
anche se la si volesse contrapporre al silenzio mantenuto dal legislatore a proposito
del contratto di lavoro autonomo, a meno che non le si attribuisca un significato
esclusivo di altre norme; siffatta interpretazione, però, contrasterebbe con il principio
di organicità dell’ordinamento e non potrebbe comunque impedire l’integrazione con
le norme di diritto comune non incompatibili con la specialità del rapporto al fine di
colmare eventuali lacune o di ricavarne chiavi interpretative utili per risolvere
questioni scaturenti dalla lettura della legge.43 D’altra parte, le norme riguardanti il
rapporto di lavoro subordinato di diritto comune non applicabili a quello sportivo
sono espressamente enumerate dal successivo art. 4, 8° e 9° co.
La prestazione sportiva a titolo oneroso dell’atleta costituisce, invece, oggetto
di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno degli accennati requisiti
dell’accertamento della comune intenzione delle parti, risultante dal contesto letterale del contratto, cui adde Cass., 23
aprile 1998, n. 4207, in Lav. giur., 1998, 946; D’HARMANT FRANÇOIS, Il rapporto di lavoro subordinato ed
autonomo nelle società sportive, ibid., 1986, 3 ss. CANTAMESSA-RICCIO-SCIANCALEPORE, cit., 154. E’ da
notare che l’accordo collettivo F.I.G.C.-A.DI.SE. ammette per gli appartenenti alla categoria tanto il lavoro subordinato
che quello autonomo. Per la possibile coesistenza della titolarità in capo ad un allenatore di calcio di entrambi i rapporti
di lavoro - subordinato e autonomo - ove siano ben distinti le prestazioni e i compensi relativi ai due rapporti, v. Cass.,
17 gennaio 1996, n. 354.
I criteri accennati per la determinazione della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, individuati dalla
giurisprudenza, sono l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’azienda datoriale e il suo assoggettamento al
potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro e, quando essi non siano agevolmente apprezzabili a causa della
peculiarità delle mansioni e del relativo atteggiarsi del rapporto, subentrano alcuni criteri sussidiari, quali la
collaborazione, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario predeterminato, il pagamento a cadenze fisse di
una retribuzione prestabilita, ecc.
E’ da notare che i suddetti criteri sono stati adottati dalla giurisprudenza anche per la qualificazione di rapporti di lavoro
aventi ad oggetto prestazioni sportive ed estranei al campo d’applicazione della legge n. 91, come, ad esempio, nei casi
decisi da Pret. Bari, 26 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, 140, con nota di SCODITTI (allenatrice-giocatrice
dilettante di pallavolo); Trib. Firenze, 4 marzo 1987, ibid., 1988, 265, che ha confermato Pret. Firenze, 27 luglio 1985,
ibid., 1985, 630 (maestro di scherma impiegato presso un circolo schermistico); Pret. Vigevano, 9 aprile 1984, ibid.,
1984, 523 (assistenti e istruttori di nuoto).
42
Cass., 8 settembre 2006, n. 19275, che però ha trattato incidentalmente la questione occupandosi dell’applicazione
dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 in una controversia sul licenziamento di un dipendente non addetto a mansioni
sportive; Cass., 25 luglio 2001, n. 10159, anch’essa incidentalmente in una controversia riguardante l’obbligo di
contribuzione della federazione a favore dei maestri federali e degli allenatori di tennis; Cass., 8 giugno 1995, n. 6439,
in Riv. dir. sport., 1997, 748, con nota di PAGANELLI, ha invece ritenuto assoggettabile al diritto comune del lavoro il
rapporto con un direttore sportivo, ma nel diverso caso di mancata stipulazione del contratto tipo di cui all’art. 4 della
legge n. 91. In dottrina, cfr. ROMEO, Il lavoro sportivo tra subordinazione e autonomia: il dilemma ordinamento
statale o sportivo, in Lavoro giur., 2008, 337.
43
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 13. Accenna all’assoggettabilità solo alle norme della legge n. 91, in conseguenza
dell’atipicità del lavoro subordinato sportivo, GRASSELLI, Lavoro autonomo e subordinato nello spettacolo e nello
sport, in Dir. prat. lav., 1994, 1621; ID., L’attività sportiva professionistica, cit., 38.
22

stabiliti dal 2° co. Come è evidente, tale disposizione prescinde totalmente


dall’esistenza o meno del vincolo di subordinazione e dagli altri possibili elementi di
qualificazione desumibili dal carattere e dalle modalità della prestazione del singolo
rapporto per valorizzare, invece, altri elementi o del tutto estrinseci al rapporto stesso
(quanto meno quello della lettera a), oppure fissati aprioristicamente e, comunque,
secondo una logica di tipo quantitativo.44 La presenza di uno solo di essi è sufficiente
per integrare il contratto di lavoro autonomo ed escludere il lavoro subordinato che
sarebbe altrimenti configurabile
Esattamente, pertanto, è stato osservato che il 2° co. ha introdotto una sorta di
soglia minima per la rilevanza giuridica del lavoro subordinato sportivo, ovvero
ipotesi di prestazioni che, alla stregua di una valutazione di opportunità del
legislatore, sono sottratte alla disciplina del lavoro subordinato sportivo.45
Sotto altro aspetto è stato anche rilevato che la disposizione non distingue fra
sport di squadra e sport individuali, come sarebbe stato opportuno per una più
completa regolamentazione delle diverse situazioni che si presentano nelle diverse
discipline sportive.46 Il legislatore, in effetti, poco si è preoccupato di fare distinzioni
nel senso indicato; al contrario, è apparso animato dall’intento di dettare una
disciplina comune a tutto il lavoro professionistico sportivo, fissando anche i
parametri idonei, in linea di principio, a stabilire ex ante la natura e la disciplina dei
singoli rapporti.47 Per altro verso, si è occupato solo dei contratti degli atleti con le
società sportive, come si evince già dalla titolazione della legge e dal coordinamento
degli art. 1, 2, 4 e 10, 1° co., e ha tralasciato le ipotesi in cui l’atleta svolge l’attività
professionistica, per così dire, a titolo personale, cioè non militando per i colori di
una società sportiva, ovvero l’appartenenza ad un sodalizio non influendo
sull’individualità della prestazione sportiva; a ben vedere, si tratta spesso proprio di
sport individuali, come nel caso del pugilato e del tennis, disciplina, quest’ultima che
tuttavia non contempla il settore professionistico.48 L’attività professionistica dei
44
ROMEO, cit., 339.
45
(AA.VV.) PERSIANI, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, cit., 569; secondo l’Autore,
ove non ricorrano le ipotesi formulate dal 2° co., non è preclusa l’indagine sull’esistenza o meno di altre fattispecie di
lavoro autonomo.
46
V., in particolare, (AA.VV.) MAZZOTTA, Una legge per lo sport? (Il lavoro sportivo), cit., 303, che ricorda, fra gli
sport individuali, il pugilato, dove il rapporto pugile-procuratore è stato ricondotto al contratto associativo da una
lontana sentenza (Trib. Roma, 20 febbraio 1957, in Foro it., 1958, I, 271), e l’automobilismo, dove il più complesso
rapporto pilota-casa costruttrice-organizzatore è stato inquadrato fra i contratti misti (Cass., 5 novembre 1966, n. 2728,
ibid., 1967, I, 2426).
47
Si deve ricordare, a questo proposito, che nella prima stesura, approvata dal Governo e dal Senato, non v’era traccia
della definitiva formulazione dell’art. 3 che aveva tutt’altro contenuto, poi trasferito parzialmente nella stesura
definitiva dell’art. 4, mentre l’individuazione della natura del rapporto era demandata all’art. 4, secondo il quale “La
prestazione dello sportivo professionista è considerata prestazione di lavoro autonomo ed è svolta mediante
collaborazione coordinata e continuativa fra le parti” (testo tratto da AMBROSIO-MARANI TORO, L’iter
parlamentare della L. 23 marzo 1981, n. 91 sui rapporti tra società e sportivi professionisti, in Riv. dir. sport., 1981,
492). Nel testo emendato ed approvato dalla Camera e divenuto legge è stata operata la trasformazione da lavoro
autonomo in lavoro subordinato ed il radicale ripensamento può esser stata la causa di qualche incertezza del legislatore
nella coerente formulazione e sistemazione delle regole dettate per il contratto. Per un esame analitico delle variazioni
intervenute dal testo originario a quello definitivo, v. DE CRISTOFARO, cit., 582.
48
Il rapporto di lavoro del pugile intercorre, sulla base di un contratto c.d. di procura, con il procuratore sportivo che ha
ottenuto licenza e tesseramento dalla federazione e che ha il compito di rappresentare e tutelare gli interessi dell’atleta
nei confronti dei terzi e, in particolare, delle società organizzatrici e, quindi, essenzialmente di rappresentarlo nella
stipulazione dei contratti d’ingaggio. Le società affiliate a seguito di un esame davanti ad una commissione istituita
23

pugili è inquadrata dalla F.P.I. nel lavoro autonomo in linea con la previsione della
lett. a) del 2° co. dell’art. 3.
Non è escluso, appunto, che la disposizione del 2° co. sia stata dettata anche al
fine di tener conto delle diverse caratteristiche delle varie discipline sportive e del
modo di svolgimento delle competizioni, in vista delle quali apprestare una
regolamentazione più flessibile del rapporto di lavoro e non costringere
necessariamente nei vincoli della subordinazione tipi di prestazioni che ad essi mal si
adatterebbero, come nel caso del pugilato appena esaminato.
E’ evidente, pertanto, che, indipendentemente dalle caratteristiche di ciascuno
sport, ogni tipo di prestazione professionistica, anche individuale, ricade nella
previsione dell’art. 3, a maggior ragione se la prestazione individuale, che sia tale
nello svolgimento e agli effetti del riconoscimento dei risultati o delle classifiche,
avviene pur sempre quando l’atleta gareggi per conto di una società sportiva.
Alcune difficoltà interpretative emergono dalla lettura dei casi in cui la legge
esclude la subordinazione.
Nel caso della lettera a), che, a differenza degli altri enunciati dal 2° co.,
riguarda esclusivamente un’ipotesi di lavoro occasionale o saltuario, si deve definire
cosa s’intenda per manifestazione sportiva e per collegamento in un breve periodo di
tempo di più manifestazioni.
Manifestazione sportiva è l’evento in sé completo ed unitario dal punto di vista
funzionale, cioè rispetto al risultato sportivo finale conseguibile, anche se ripartito in
una molteplicità o successione di gare in uno o più giorni. Tali sono, per esempio,
una Sei giorni ciclistica o un torneo ad eliminazione diretta dei concorrenti con rapida
sequenza di incontri.
Analogamente, collegamento fra più manifestazioni vuol significare che
ciascun episodio agonistico, identificabile in una singola manifestazione, deve essere
considerato unitariamente quanto al risultato sportivo finale, ma tutti insieme devono
svolgersi in un breve periodo di tempo. Premesso che un adeguato termine di
paragone, al riguardo, può essere ravvisato nella durata della stagione sportiva, di
regola ma non necessariamente coincidente con il periodo di un anno, quest’ultimo
non sempre coincidente con l’anno solare, la valutazione della brevità di quello
durante il quale si svolgono le manifestazioni fra loro collegate deve avvenire caso

dalla F.P.I. hanno il compito precipuo di organizzare le manifestazioni pugilistiche. Di conseguenza il rapporto di
procura è strutturato come mandato, mentre quello con le società si configura come prestazione d’opera. La peculiarità
del lavoro professionistico del pugile rispetto allo schema ordinario della legge n. 91, in relazione alle norme statutarie e
regolamentari allora vigenti, è stata messa in evidenza da BORRIONE, Osservazioni sul contratto di procura sportiva
nel pugilato professionistico, in Riv. dir. sport., 1999, 646.
Conformemente all’assetto dilettantistico federale, le società di tennis possono costituirsi in forma di società di capitali
senza scopo di lucro a norma dell’art. 90 della legge n. 289 del 2002. Dell’accordo fra federazione e maestri e
allenatori di tennis e del relativo contratto-tipo, previsto sia in forma subordinata che autonoma, si è occupato
BURICELLI, Sull’applicabilità dell’art. 4, comma 1, della legge 23 marzo 1981, n. 91, al rapporto di lavoro
subordinato dei giocatori ed insegnanti di tennis, ibid., 1984, 668, che riferisce che, nell’ambito della F.I.T., mentre non
è disciplinato il lavoro professionistico dei giocatori, in quanto svolto essenzialmente con prestazioni individuali, lo è
quello dei maestri e degli allenatori non ostandovi la natura giuridica dei circoli tennistici, per i quali in genere essi
operano. Sulla natura autonoma ed associativa del rapporto dei giocatori di tennis con i club tennistici (in antitesi con il
titolo dell’articolo) v. PECORA, Il giocatore di tennis è sportivo professionista e lavoratore subordinato ex art. 2 e 3
della legge 91/1981, in Dir. lav., 1988, I, 306.
24

per caso: per fare ancora alcuni esempi, non potrà essere considerata breve la
partecipazione ad un campionato o torneo che occupi tutta o buona parte della
stagione sportiva, mentre lo sarà quella per la quale sia stato stipulato un contratto
che impegni l’atleta solo per un limitato numero di gare valide per tale campionato o
torneo; se questi, invece, si risolvono nella disputa di incontri ravvicinati nel tempo e
per una durata di molto inferiore rispetto alla stagione agonistica, il contratto di
lavoro sportivo sarà qualificato autonomo: ciò può accadere nel caso di ingaggio per
disputare un torneo le cui gare sono concentrate in pochi giorni o per partecipare ad
una gara a tappe, come il Giro d’Italia, che si esaurisce in un periodo di tempo molto
più ristretto in rapporto alla durata della stagione ciclistica su strada.
L’ipotesi della lettera b), cioè la mancanza dell’obbligo contrattuale dell’atleta
di frequentare le sedute di preparazione o di allenamento, disposizione nella quale si
avverte un’eco del criterio della libertà di scelta delle modalità di organizzazione e di
effettuazione del proprio lavoro, che è uno degli indici della probabile autonomia
della prestazione e del rapporto, non comporta, di per sè, particolari dubbi
interpretativi. Essa, semmai, li pone in correlazione alle altre due ipotesi del 2° co..
Basterebbe, infatti, che le parti si astenessero dal prevedere siffatto obbligo o lo
escludessero espressamente, per eludere la disciplina del lavoro subordinato sportivo
e foggiare un contratto di lavoro autonomo, pur in presenza di una prestazione
eccedente i limiti stabiliti dalle lettera a) e c).49 In concreto, però, grazie al
meccanismo dell’inserimento nel contratto tipo delle clausole dell’accordo collettivo
previsto dal capoverso dell’art. 4, il rischio di elusione è insussistente almeno nei casi
in cui l’obbligo di partecipazione agli allenamenti è stabilito dalle suddette clausole,
così come accade, per esempio, nel caso della F.I.G.C. Ove ciò non avvenga, è
indubbio che la presenza o meno dell’obbligo, indipendentemente dalla sua
previsione per iscritto, deve essere verificata in concreto.50 Ma vi è di più: secondo
una decisione giurisprudenziale, l’assenza nel contratto della prescrizione relativa alla
preparazione e agli allenamenti non esclude automaticamente l’indagine e la
valutazione della comune intenzione delle parti e delle loro relazioni negoziali ai fini
della qualificazione del rapporto.51
Sotto un ulteriore aspetto è indiscutibile che la disciplina della lettera b) non
influisce ed è autonoma rispetto a quella della lettera a), che riferisce la brevità del
periodo di tempo alle manifestazioni sportive e non all’attività dell’atleta; è lecito,
invece, porsi l’interrogativo per l’ipotesi di cui alla lettera c), dovendosi determinare
se nel computo delle ore o dei giorni in essa indicati entri anche il tempo impiegato
per gli allenamenti o la preparazione cui l’atleta sia vincolato a partecipare. La
risposta deve ritenersi affermativa se si considera che anche l’attività in questione fa
parte della prestazione sportiva intesa come attività lavorativa richiesta all’atleta e ne
costituisce il complemento.
49
PERSIANI, cit., 573.
50
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 12.
51
Così Pret. Treviso, sez. dist. Conegliano, 30 ottobre 1991, in Riv. dir. sport., 1991, 360, che, però, ha esaminato una
fattispecie in cui le parti avevano stipulato un duplice accordo, il primo, di durata quinquennale, non recante la clausola
di cui si tratta, il secondo, per una sola stagione sportiva, conforme al contratto tipo di lavoro subordinato predisposto
nell’ambito della F.I.G.C.
25

In merito al contenuto normativo della lettera c), nessun problema sorge in


ordine alla qualificazione giuridica del rapporto se il contratto dura esattamente una
settimana, un mese, un anno.
Assai più complessa ed incerta si prospetta, invece, la soluzione nel caso di
prestazioni che si collocano nelle fasce intermedie dei suddetti periodi perché, da un
lato, la disposizione in esame sembra frazionarli assegnando a ciascuno di essi un
limite proprio e, dall’altro, indica parametri temporali differenti, le ore settimanali e i
giorni per il mese e l’anno. Quest’ultima differenza, a meno che non la si voglia
attribuire a mera superficialità del legislatore, non si può ritenere casuale e può voler
significare che il calcolo va eseguito in riferimento ai periodi durante i quali si
prolunga la prestazione, senza possibilità di sovrapporre il calcolo per settimane
nell’arco dei mesi e dell’anno e quello per mesi nell’arco dell’anno. In tal senso si
può spiegare l’adozione del diverso sistema di calcolo ad ore e a giorni e si può anche
asserire che, nel secondo caso, è indifferente (o al legislatore è apparso indifferente)
determinare di quante ore sia formata la giornata lavorativa dell’atleta, sembrando,
invece, sufficiente stabilire, come termine di confine fra lavoro subordinato e
autonomo, l’impegno lavorativo in cinque e trenta giorni, indipendentemente dal
numero di ore della prestazione in ciascun giorno.
Non ci si può, tuttavia, nascondere che questa interpretazione conduce, in
alcuni casi, a conseguenze pratiche alquanto discutibili. Esemplificando: per un
contratto di quattro settimane il limite è di trentadue ore, mentre per un contratto
mensile, quindi di durata pressoché uguale, il limite è di cinque giorni; per un
contratto di quarantacinque giorni o sei settimane si dovrà scomporre l’intero periodo
in un mese, pari a cinque giorni, e due settimane, pari a sedici ore, variando così il
parametro di calcolo; per un contratto di sei mesi avremo un totale di trenta giorni,
pari a quelli previsti per un contratto di un anno, limite che sarà invece superato
nell’ipotesi di un contratto di nove mesi in cui la prestazione potrà essere distribuita
nel massimo di quaranta giorni.
Quest’ultima e più evidente incongruenza potrebbe essere superata
ammettendo che il limite annuo di trenta giorni costituisce comunque il massimo
della durata della prestazione in tutti i casi in cui il computo per mesi porti ad
un’eccedenza di giorni rispetto a quello. L’aggettivo “ogni” anteposto alle parole
mese ed anno rende però problematica tale possibilità alludendo sia al fatto che in
ciascun mese di tutti quelli in cui si realizza la prestazione vale il limite di cinque
giorni, sia al fatto che un intero anno deve essere compiuto per l’applicazione del
limite di trenta giorni.
Invece, secondo un’autorevole opinione,52 il riferimento al giorno corrisponde
a quello delle ore che lo compongono, equivalenti a otto in base all’art. 1 della legge
17 aprile 1925, n. 473, norma di carattere generale e quindi applicabile anche alla
disciplina speciale del lavoro sportivo, onde i limiti devono considerarsi superati
quando le ore di lavoro prestate, ragguagliate a giorno, superano i giorni stabiliti dalla
lett. c). Inoltre, poiché tale disposizione riguarda ipotesi di lavoro continuativo, il

52
PERSIANI, cit., 572.
26

ripetersi di prestazioni non superiori a otto ore settimanali per tutte le settimane
dell’anno non realizza il superamento dei cinque giorni al mese, essendo questo
composto mediamente da quattro settimane, né il superamento dei trenta giorni
all’anno, composto mediamente di cinquantadue settimane. Nello stesso senso si deve
intendere la disposizione quando l’atleta presti servizio cinque giorni al mese e
sessanta giorni all’anno. A sua volta, la previsione del limite annuale di trenta giorni
non sarà inutile perché varrà in tutti i casi in cui non si abbiano prestazioni
continuative che si svolgono per tutte le settimane o per tutti i mesi.
In tutte le ipotesi ora esaminate, il tenore letterale della lettera c) sembra anche
escludere la possibilità di compensare, nell’arco della durata del contratto, prestazioni
di durata superiore e inferiore al limite legale relativo a ciascun periodo in cui si
estende l’intera prestazione. Un’interpretazione ragionevole della norma suggerisce,
però, la conclusione che la compensazione sia possibile, anzi necessaria, se non si
vuole sostenere l’assurdo di un rapporto la cui natura si trasforma, con conseguente
mutamento della disciplina, secondo la mutevole durata della prestazione nei singoli
periodi (settimana, mese ed anno) in cui è ripartita.
In ogni caso il calcolo della durata della prestazione e del periodo di
riferimento ha, come momento iniziale, l’inizio della prestazione contrattuale.
V’è comunque da osservare che le questioni alle quali abbiamo accennato
sull’interpretazione della lettera c) non hanno sinora avuto alcun riflesso pratico,
come si può dedurre dalla mancanza di precedenti giurisprudenziali.
Infine, come già anticipato nel paragrafo precedente, dalla disposizione
esaminata appare evidente che, anche secondo la legge n. 91, la nozione di continuità
delle prestazioni prescinde dalla loro frequenza e anche la prestazione di lavoro
autonomo, in quanto contenuta nei limiti ivi prefissati e, si deve aggiungere, in
quanto evidentemente distribuita nel tempo, può essere considerata continuativa, in
armonia con il principio di carattere generale racchiuso nell’art. 409 n. 5) c.p.c. che
pur prevede la collaborazione continuativa (e coordinata) di natura autonoma.

9. Il contratto di lavoro subordinato. Generalità.

L’art. 4 della legge, nei primi sei commi, regola la costituzione e il contenuto
del contratto di lavoro sportivo subordinato. Il 7° co. detta una disposizione parallela
all’art. 2123 c.c., espressamente richiamato, prevedendo la possibilità per le
federazioni di costituire fondi gestiti da rappresentanti delle società e degli sportivi
per la corresponsione dell’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva. Gli
ultimi due commi precisano le norme non applicabili al contratto o i limiti di non
applicabilità.
La rubrica dell’art. 4 che titola “Disciplina del lavoro subordinato sportivo”
potrebbe far pensare che tale disciplina riguardi solo gli atleti, destinatari esclusivi,
come abbiamo visto, dell’art. 3, ove sono individuati gli elementi di distinzione fra
lavoro subordinato e lavoro autonomo, e, in effetti, v’è stata in dottrina qualche
incertezza e divergenza di opinioni sull’estensione della norma a tutti i soggetti
27

nominati dall’art. 2.53 E’ però fuor di dubbio che il tenore letterale dell’art. 4 che si
riferisce, da un lato, al rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso tra lo sportivo
e la società destinataria della prestazione e, dall’altro, ai “rappresentanti delle
categorie interessate” che stipulano con la federazione l’accordo collettivo ed il
conforme contratto tipo, ha inteso comprendere, con ogni evidenza, tutti gli sportivi
professionisti elencati dall’art. 2. Del resto, la pratica mostra come la norma abbia
avuto attuazione oltre la categoria degli atleti e, in specie, per gli allenatori nelle
federazioni aperte al professionismo sportivo.
Ciò premesso, l’art. 4 stabilisce, innanzi tutto, le fasi e le formalità del
procedimento mediante il quale si costituisce il rapporto di lavoro sportivo (1° e 2°
co.); nello stesso 1° co. è racchiuso anche il rinvio alla contrattazione collettiva alla
quale spetta la precisazione del contenuto del contratto attraverso la modulazione
accordo collettivo-contratto tipo-contratto individuale. Seguono, nei commi
successivi, una serie di disposizioni dirette, esse stesse, a definire il contenuto del
contratto: alcune hanno carattere precettivo ed ostativo nei confronti delle parti
individuali e della loro libertà contrattuale e, indirettamente, anche di quelle collettive
(inefficacia delle clausole peggiorative rispetto a quelle del contratto tipo: 3° co.;
obbligo del rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il
conseguimento degli scopi agonistici: 4° co.; divieto di clausole di non concorrenza o
limitative della libertà professionale dello sportivo: 6° co.); altre hanno carattere
permissivo riconoscendo la facoltà di ampliare il contenuto del contratto nel caso
dell’eventuale omissione riscontrabile nel contratto tipo (previsione di una clausola
compromissoria per il deferimento ad un collegio arbitrale delle controversie
concernenti l’esecuzione del contratto: 5° co.).
Gli ultimi tre commi, invece, come si è accennato, non attengono al contenuto
del contratto: in particolare, il 7° ha come destinatarie dirette le federazioni, e
prevede, con una formulazione piuttosto infelice, che esse possano costituire fondi
per la corresponsione dell’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a
norma dell’art. 2123 c.c., e su ciò torneremo a tempo debito.
L’esame della disciplina del contenuto del contratto di lavoro sportivo, che ci
accingiamo a compiere, non può naturalmente trascurare quella posta dalla
contrattazione collettiva di maggior rilievo.

10. Il procedimento di costituzione del rapporto di lavoro sportivo.

Il 1° co. dell’art. 4 dispone: “Il rapporto di prestazione sportiva a titolo


oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un
contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria
delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente
all’accordo stipulato ogni tre anni, dalla federazione sportiva nazionale e dai
53
Cfr., per l’interpretazione restrittiva, DURANTI, cit., 710; per l’estensiva e, comunque, prevalente, fra gli altri,
D’HARMANT FRANÇOIS, Note sulla disciplina giuridica del rapporto di lavoro sportivo, in Mass. giur. lav., 1981,
851, e, per una più ampia trattazione del tema, DE CRISTOFARO, cit., 578.
28

rappresentanti delle categorie interessate”. Aggiunge il 2° co. che: “La società ha


l’obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per
l’approvazione”.
La valida costituzione del rapporto si ottiene, quindi:
a) con l’assunzione diretta;
b) con la stipulazione in forma scritta del contratto;
c) con l’adeguamento del contenuto del contratto a quello tipo predisposto in
conformità all’accordo collettivo fra la federazione e i rappresentanti delle categorie
interessate;
d) con il deposito del contratto individuale presso la federazione e con l’approvazione
di quest’ultima.
Abbiamo già visto che il D.L. 14 luglio 1978, n. 367, convertito con modifiche
nella legge 4 agosto 1978, n. 430, aveva sottratto gli acquisti e i trasferimenti dei
giocatori di calcio e degli altri atleti, nonché le assunzioni dei tecnici, alla disciplina
della legge 24 aprile 1949, n. 264 sul collocamento. Considerato il precedente
normativo, la previsione dell’assunzione diretta suonava come una conferma della
statuizione del 197854, più che una deroga o un’estensione dell’ipotesi permissiva
dell’art. 19 della legge n. 264 del 1949 che l’ammetteva solo nel caso particolare
d’urgenza. La novità dell’art. 4 è consistita nel comprendere fra i beneficiari anche i
direttori tecnici e i preparatori atletici non contemplati dalla legge del 1978.55
Il co. 8° dell’art. 4, inoltre, ha escluso il rapporto in questione dalla sfera
d’applicazione degli art. 33 e 34 della legge 20 maggio 1970 n. 300 che regolano
rispettivamente l’avviamento numerico e le richieste nominative.
Appare, perciò, chiaro che il legislatore ha voluto sciogliere i contraenti dai
vincoli imposti per la tutela dell’avviamento, così come era allora congegnata,
riconoscendo loro, sotto questo aspetto, piena libertà contrattuale, quasi il preludio
dell’indirizzo affermatosi, sul piano del diritto positivo, con la legge 28 novembre
1996, n. 608, che ha esteso il sistema dell’assunzione diretta a tutte le forme di
avviamento al lavoro.
Qualche dubbio è persistito in dottrina sulla liceità o meno della mediazione,
fenomeno che, come abbiamo ricordato, era stato l’occasione del provvedimento
inibitorio del Pretore di Milano e aveva portato all’emanazione della legge del
1978.56 In verità, né questa legge, né la legge n. 91 si sono occupate della
mediazione, ma nel mondo del calcio l’attività intermediaria è scomparsa, almeno
nelle forme che avevano provocato la sanzione del magistrato milanese, forse anche

54
Secondo DE CRISTOFARO, cit., 593, l’art. 4, 1° co., ha abrogato implicitamente la legge n. 430 del 1978 avendo
regolato ex novo la materia.
55
I direttori tecnici, peraltro, potevano considerarsi già ammessi all’assunzione senza ricorso alle liste di collocamento
in forza dell’art. 11, 3° co. n. 2), della legge del 1949.
56
Hanno affermato che l’art. 4 vieta implicitamente la mediazione BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 14, e lo stesso
VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo, cit., 205, e nella nota a Trib. Napoli, 27 ottobre 1994, in Società, 1995, 668;
contra, DE CRISTOFARO, cit., 593 Secondo D’HARMANT FRANÇOIS, Note sulla disciplina giuridica, cit., 855,
l’esclusione dell’applicazione degli art. 33 e 34 della legge 20 maggio 1970, n. 300, fa pensare allo stesso istituto
dell’art. 11 della legge n. 264 del 1949 e, quindi, al divieto di mediazione ivi imposto. Viceversa, proprio la
disposizione interpretativa della legge n. 430 del 1978, non contraddetta dall’art. 4, indurrebbe a concludere che, per la
legge dello Stato, la mediazione nella professione sportiva non è proibita.
29

per effetto del più stringente divieto che la F.I.G.C. aveva introdotto nel proprio
regolamento di giustizia proibendo sia l’attività di mediazione per il trasferimento o il
tesseramento di calciatori e tecnici, sia le riunioni in luogo pubblico fra dirigenti o
tesserati per trattare siffatte pratiche.57
La forma scritta è richiesta ad substantiam, con la conseguenza, in difetto,
della nullità del contratto.58 E’ ovvio che la mancanza del contratto scritto impedisce
il deposito e l’approvazione da parte della federazione, ma teoricamente potrebbe
configurarsi un accordo verbale mediante il quale le parti si obbligano ad osservare le
disposizioni del contratto tipo. In tal caso, come in tutti gli altri in cui siano
ipotizzabili prestazioni di fatto, il rapporto, secondo un orientamento che può
definirsi costante, sarà regolato dall’art. 2126 cod. civ. e la nullità del contratto non
avrà effetto per il periodo in cui esso ha avuto esecuzione.59
Nello sport professionistico, tuttavia, i rapporti basati su prestazioni di fatto
sono molto improbabili per le implicazioni di carattere disciplinare cui sarebbero
esposte le parti in una situazione di tal genere. Alla nullità di un contratto concluso
verbalmente, senza tutela nell’ordinamento sportivo e con limitata tutela
nell’ordinamento generale, qual è quella concessa dall’art. 2126, si aggiungerebbe,
ancora nell’ordinamento sportivo, il rischio di gravi sanzioni a causa dell’illiceità
della condotta sotto il profilo dell’inosservanza di norme regolamentari.
Fermandosi all’esame letterale dell’art. 4, la nullità colpisce, espressamente,
solo la mancanza di forma scritta per il fatto che l’inciso sulla nullità è inserito subito
dopo la prescrizione di tale forma e non all’inizio dell’intero periodo successivo alla
previsione dell’assunzione diretta, ovvero in altro modo più idoneo a chiarire
l’intenzione di estendere la sanzione d’invalidità agli altri presupposti della
costituzione del contratto.60 Ma l’esordio della disposizione (“Il rapporto di
prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce...”) che collega la forma scritta del
57
Il divieto era però presente anche nei regolamenti più risalenti della F.I.G.C., come testimonia la motivazione della
sentenza di Cass., 2 aprile 1963, n. 811, cit., che, decidendo una controversia sul pagamento di un compenso ad un
mediatore della cessione di un calciatore, aveva negato l’applicabilità delle norme pubbliche sul collocamento. Nello
sport professionistico da tempo è invalso l’uso degli atleti di affidarsi a procuratori (per i quali sono state varate
specifiche discipline federali) il cui compito ufficiale è di assisterli nella conclusione del contratto e nella definizione
delle relative condizioni, attività ritenuta pertanto legittima: cfr., al riguardo, CIANCI, Intermediazione nel
trasferimento di calciatori: obblighi dell’agente e disciplina comunitaria, in Nuova giur. civ., 2006, II, 606; ROTUNDI,
La legge 23 marzo 1981, n. 91 ed il professionismo sportivo: genesi, effettività e prospettive future (II parte), in Riv. dir.
sport., 1991, 31. Peraltro i regolamenti federali (per esempio, quelli della F.I.G.C. e della F.C.I.) ammettono che i
procuratori prestino la loro opera anche per proporre e concludere cessioni e trasferimenti).
58
La norma ha quindi incluso il contratto di lavoro subordinato sportivo nel campo di operatività dell’art. 1350 n. 13)
c.c. e rappresenta una deroga, non unica, al principio generale di libertà di forma del contratto di lavoro. A mente
dell’art. 1351 c.c. anche l’eventuale contratto preliminare del contratto di lavoro sportivo dovrà rivestire forma scritta a
pena di nullità.
59
Sull’applicazione dell’art. 2126 c.c., in caso di nullità del contratto di lavoro sportivo, la dottrina è pressoché
concorde, ad eccezione dell’isolata opinione di DALMASSO, Il contratto di lavoro sportivo alla luce della legge 23
marzo 1981 n. 91, in Riv. dir. sport., 1982, 148, per il quale, in caso di nullità, sarebbero applicabili tutte le norme
escluse dalla legge speciale. In giurisprudenza v. Pret. Busto Arsizio, 12 dicembre 1984, in Giust. civ., 1985, I, 2085,
con nota di ZOLI, Sul rapporto di lavoro sportivo professionistico.
60
In tal senso, però, solo Trib. Perugia, 21 maggio 1993, in Giust. civ., 1993, I, 2837, con commento critico di VIDIRI,
Sulla forma scritta del contratto di lavoro sportivo, che anticipa in questa sua nota le conclusioni cui è pervenuta la
giurisprudenza successiva e di cui si dirà in seguito nel testo. Secondo la motivazione della sentenza citata, l’effetto
estensivo avrebbe potuto essere attribuito anche alla collocazione dell’inciso sulla nullità subito dopo le parole “secondo
il contratto tipo predisposto”, ma il brano appare tutto un po' claudicante e di scarsa chiarezza.
30

contratto al suo contenuto oggettivo e l’ulteriore collegamento funzionale fra tali


requisiti e la previsione del deposito e dell’approvazione federale che, come si è
accennato, sarebbero materialmente impossibili in mancanza di quella, sono indici
consistenti che il 1° co., nel suo complesso, e il 2° co. dell’art. 4 devono essere letti
unitariamente o, in altri termini, che la sanzione di nullità colpisce in egual misura il
vizio che si manifesti in una qualsiasi delle fasi del procedimento di costituzione del
rapporto.
Questo orientamento sembra ormai essere acquisito in dottrina e in
giurisprudenza anche con riferimento al requisito della conformità del contratto
individuale al contratto tipo predisposto sulla base dell’accordo collettivo fra
federazione e rappresentanti delle categorie interessate61 e s’impernia sull’analisi
delle ragioni sostanziali che hanno determinato tanto l’imposizione di una ferrea
restrizione dell’autonomia contrattuale quanto l’introduzione dell’anomalia di un
contratto fra privati la cui validità è condizionata all’approvazione di un soggetto
terzo.
La prima essenziale ragione risiede nell’esigenza di controllo da parte della
federazione sugli atti di gestione delle società sportive e, in particolare, su quelli
concernenti esposizioni finanziarie, di cui si occupa l’art. 12 della legge n. 91, ed è
finalizzato ad impedire che l’assunzione di impegni economici non sostenibili,
mediante la stipulazione da parte delle società di contratti di lavoro eccessivamente
onerosi, possa incidere negativamente e destabilizzare il regolare ed ordinato
svolgimento delle competizioni. In vista di questo obiettivo il legislatore si è
preoccupato di assicurare l’omogeneità dei contratti conclusi da una pluralità di
soggetti diversi, raccordando forma scritta ed uniformità rispetto allo schema

61
Cass., sez. lav., 12 ottobre 1999 n. 11462, in Riv. dir. sport., 1999, 530, con nota di VIDIRI, Forma del contratto di
lavoro tra società ed atleti professionisti e controllo della federazione sportiva nazionale; Cass., 4 marzo 1999, n. 1855,
in Giust. civ., 1999, I, 1611, con nota dello stesso VIDIRI, Contratto di lavoro sportivo, patti aggiunti e forma ad
substantiam; Cass., 8 giugno 1995, n. 6439, cit., che, come già accennato (v. par. 8 n. 2), ha anche enunciato il principio
che, in mancanza di accordo collettivo e di contratto tipo non predisposti dalla federazione e dai rappresentanti della
categoria interessata (nella specie, quella dei direttori sportivi) il rapporto con la società sportiva è un comune rapporto
di lavoro subordinato cui sono applicabili le norme dichiarate inapplicabili dagli ultimi due cpv. dell’art. 4; Trib.
Teramo, 8 novembre 2007, in www.giustiziasportiva.it , n. 2/2008, per il quale la nullità è rilevabile d’ufficio; v. anche
Pret. Treviso, sez. dist. Conegliano, 30 ottobre 1991, cit., confermata da Trib. Treviso, 3 marzo 1994, in Riv. dir. sport.,
1994, 683, con nota dissenziente di CARINGELLA, Brevi considerazioni in tema di forma del contratto di lavoro
sportivo, e in Giur. mer., 1994, 610, con nota di DEL BENE, Formalismo giuridico e prescrizione di forma ad
substantiam nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo. Secondo il Tribunale di Treviso, con il
recepimento della disciplina contrattuale standard, l’art. 4 ha riconosciuto l’effetto costitutivo del rapporto solo ai
contratti che rivelano la volontà delle parti di aderire al programma negoziale stabilito nel contratto tipo. Infine, secondo
Trib. Pescara, 16 marzo 1995, in Rass. dir. civ., 1996, 449, con commento di CUCCINIELLO, Considerazioni in tema
di “contratto di lavoro sportivo professionistico”: prescrizioni di forma e di contenuto dell’art. 4 l. 23 marzo 1981,
n.91, la nullità del contratto e, nella specie, di accordi integrativi, per violazione dell’art. 1352 cod. civ. in relazione alla
forma convenzionale stabilita dall’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., segue anche alla stipulazione degli stessi,
avvenuta per iscritto ma senza utilizzare i moduli federali conformi al contratto-tipo all’uopo predisposti. Su tali
questioni v. anche ROTUNDI, cit. (II parte), 33.
Interpellata in merito alla validità dei contratti individuali non conformi agli accordi collettivi e ai contratti tipo scaduti
e stipulati nelle more del rinnovo di questi ultimi, l’Alta Corte di Giustizia Sportiva del C.O.N.I. ha espresso parere
favorevole (n. 2/2010, consultabile in www.coni.it), purché essi non contrastino con norme imperative dell’ordinamento
statale e con i principi e le regole speciali dell’ordinamento sportivo.
31

standard del contratto tipo all’obbligo del deposito del contratto presso la federazione
e all’approvazione di questa.62
Peraltro è da mettere in evidenza che il procedimento di costituzione del
rapporto di lavoro voluto dal legislatore ha riprodotto in parte quello già in atto nel
settore professionistico della F.I.G.C., il cui regolamento, a proposito del
trasferimento dei giocatori, richiedeva la forma scritta per la validità del contratto, il
suo deposito presso la Lega nazionale, organo della federazione, e la ratifica
“accertata la solvibilità della società cessionaria”63, integrando e raccordando tali
modalità, riferite in genere alla costituzione del rapporto, con la prescrizione
dell’uniformità dei contratti mediante il congegno del recepimento del contratto tipo
nel contratto individuale.
Dunque, mentre nel caso della qualificazione professionistica dell’attività
sportiva la legge ha concesso alle federazioni il potere di autodeterminazione, nella
definizione delle modalità di costituzione del rapporto di lavoro professionistico ha
attuato un processo in certo senso inverso, ma di egual valore, con l’assunzione di un
modello legale ricavato da quello già adottato dall’ordinamento calcistico e, quindi,
con la conferma dell’autonomia funzionale dell’organizzazione sportiva e, al tempo
stesso, con la consacrazione sul piano degli interessi generali, sottesi alla disciplina
legale del lavoro sportivo, della funzione di regolamentazione giuridico sportiva
devoluta agli enti rappresentanti, del resto già inseriti in una struttura di natura
pubblicistica.64
La trasformazione delle federazioni da organi del C.O.N.I. in associazioni con
personalità giuridica di diritto privato, operata dal D. Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, non
ha scalfito l’assetto definito dalla legge n. 91. Al più la nuova configurazione
giuridica delle federazioni può essere utile per esprimere un giudizio di preferenza a
favore di una delle diverse costruzioni teoriche sulle fasi in cui si articola la
costituzione del rapporto di lavoro e, in particolare, sull’approvazione del contratto da
parte della federazione, che si leggono nelle decisioni della Suprema Corte. Infatti,
mentre la sentenza n. 1855 del 1999 include l’approvazione fra gli elementi della
fattispecie formale complessa a formazione progressiva del rapporto di lavoro, quella
di poco posteriore n. 11462 del 1999 qualifica il potere di approvazione come
espressione della funzione amministrativa della federazione, condizionante l’efficacia

62
Secondo VIDIRI, Forma del contratto, cit., 541, la disposizione in esame realizza anche, per un verso, la tutela del
lavoratore sportivo, che, pur godendo talvolta di elevati trattamenti retributivi, è considerato pur sempre la parte
contraente più debole, com’è attestato anche dalla previsione del 2° co. nel senso della sostituzione delle clausole
peggiorative del contratto individuale con quelle del contratto tipo; per altro verso, il controllo della federazione, reso
efficace dalle formalità richieste, realizza una miglior tutela dei risparmiatori che investono nelle società sportive
quotate in borsa.
63
Si tratta del regolamento del settore professionisti della F.I.G.C., vigente alla data d’emanazione della l. n. 91,
pubblicato nella raccolta di A. MARANI TORO-CANEPELE, Codice dello sport, II, Milano, 1982, 407.
64
Cfr. DE CRISTOFARO, cit., 595, che individua, appunto, nella natura pubblica delle federazioni e nella loro
predisposizione a svolgere il controllo di conformità dei contratti al sistema normativo legale e regolamentare la ragione
della penetrante limitazione dell’autonomia privata. Secondo VIDIRI, Forma del contratto, cit., 542, a seguito della
trasformazione delle federazioni da organi del C.O.N.I. ad associazioni con personalità giuridica di diritto privato,
operata dal D. Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, il controllo esercitato dalle stesse non può più considerarsi espressione di
potestà pubblica ma è assimilabile al potere di vigilanza spettante alle associazioni sull’operato dei propri affiliati al fine
di impedire l’elusione dei fini statutari.
32

del contratto, già perfezionato in tutti i suoi elementi, e ricorre, quindi, alla nozione di
condizione legale (condicio iuris) i cui effetti retroagiscono al momento della sua
stipulazione.65 La prima tesi sembra dunque più coerente con la rinnovata natura
giuridica delle federazioni.66
Secondo l’ultima decisione citata, la mancata approvazione non consente al
contratto di spiegare i suoi effetti, mentre, secondo la prima, esso sarebbe nullo per la
mancanza di uno dei requisiti costitutivi (art. 1418, 2° co., in relazione agli art. 1325
n. 4) e 1350 n. 13) cod. civ.). Ora, se il contratto non ha avuto ancora esecuzione, sul
piano pratico la distinzione esaminata non sembra avere eccessiva rilevanza. In caso
contrario potrebbe sorgere il dubbio, nell’ipotesi prospettata dalla decisione più
recente, sull’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. che ha come presupposto la nullità o
l’annullabilità del contratto di lavoro, ma l’effetto finale, l’inefficacia del contratto, è
identico, sicché è forse azzardato ipotizzare una diversità di disciplina del caso in
questione rispetto alla norma considerata. In linea di principio, invece, la predetta
distinzione può avere qualche riflesso rispetto alla decorrenza dei diritti e degli
obblighi contrattuali nel caso, presumibilmente più comune, dell’approvazione
federale perché, se essa costituisce l’ultimo atto della fattispecie a formazione
progressiva che determina la costituzione del rapporto, gli effetti dello stesso si
producono solo in tale momento, mentre, se si tratta di condicio iuris, essi
retroagiscono al momento della sottoscrizione del contratto.
Le regole stabilite per la costituzione del rapporto si applicano anche ai
contratti preliminari e ai patti aggiunti al contratto e, quindi, estensivamente, a
qualsiasi integrazione o modifica che fosse concordata dalle parti, considerata
l’esigenza del controllo federale, per evidenti motivi, anche su tali atti.67
Con gli enunciati dell’art. 4 e delle decisioni sopra analizzate, nella sfera dei
rapporti professionistici e nella sequenza degli adempimenti e degli atti necessari per
la regolare costituzione del rapporto di lavoro, è stata attuata la saldatura fra le norme
sportive e quelle statali e la nullità del contratto, per la violazione di quegli
adempimenti o la mancanza dell’approvazione federale, è ora comminata dalla legge.
Devono così intendersi superati, in argomento, quegli indirizzi giurisprudenziali, ai
quali si è accennato in un precedente paragrafo68, che avevano, da un lato, ammesso
la validità nell’ordinamento statale degli accordi conclusi in violazione delle regole
sportive, e, dall’altro, dichiarato la loro inefficacia anche nell’ordinamento statale per
effetto dell’inidoneità a realizzare nell’ordinamento sportivo la loro funzione
economico-sociale e, nell’ordinamento dello Stato, l’interesse meritevole di tutela

65
Così anche DE CRISTOFARO, cit., 595, SANINO-VERDE, cit., 230, e, nella motivazione, Cass., 23 aprile 1998, n.
4207, in Lavoro giur., 1998, 946. Al concetto di condizione d’efficacia si richiama l’accordo F.I.P.-G.I.B.A.
66
Tale è l’opinione anche di VIDIRI, Forma del contratto, cit., 544.
67
Per i contratti preliminari v. Trib. Roma, ord. 3 agosto 1994, in Riv. dir. sport., 1995, 638, che ha deciso che la
disposizione delle Norme Organizzative Interne Federali (N.O.I.F.) della F.I.G.C. che prevede, a pena di nullità, la
forma scritta in moduli predisposti e il deposito dei preliminari che hanno ad oggetto cessioni di contratto e
trasferimenti di calciatori non si applica, per quanto riguarda la scrittura in moduli predisposti, ai preliminari di rinnovo
del contratto. Per i patti aggiunti v. Cass., 4 marzo 1999, n. 1855, cit.; Trib. Teramo, 8 novembre 2007, cit.;
CUCCINIELLO, cit., 457, sostiene che gli accordi nulli per difetto di forma sono fonte di obbligazioni naturali alle
quali è applicabile l’art. 2034 c.c.
68
V. il terzo par., ed ivi le note 11, 12 e 13 per i richiami giurisprudenziali.
33

nell’ordinamento medesimo, secondo la previsione dell’art. 1322 c.c. A tali principi,


tuttavia, la giurisprudenza continua ad attenersi, ad esempio nel caso
dell’inosservanza delle norme federali nei trasferimenti di cui tratta l’art. 5, 2° co.,
della legge.69

11. (segue) Il deposito del contratto e l’approvazione federale.

Poiché la legge prescrive l’obbligo di conformità del contratto individuale al


contratto tipo e il controllo federale ha la finalità principale di preservare la stabilità e
l’equilibrio economico e finanziario delle società sportive, è palese che siffatto
controllo, oltre alla verifica formale della coincidenza delle clausole dei contratti in
questione, importa anche la valutazione di merito sulla congruità dell’impegno
economico assunto dalla società, valutazione che, per essere esauriente e dimostrativa
della situazione effettiva, non può essere circoscritto al singolo contratto ma deve
essere esteso a tutti i contratti che risultano depositati in un dato momento da una
determinata società sportiva comparandone il contenuto economico alle emergenze
del bilancio della stessa società.
Ancora, sotto l’aspetto del controllo formale, v’è da chiedersi quale sorte
tocchi alle clausole difformi rispetto al contratto tipo e quale debba essere, nei diversi
casi, la delibera federale riguardante l’approvazione.
Per quanto attiene alle clausole peggiorative (per l’atleta), dispone direttamente
la legge sancendone l’inefficacia e la sostituzione con quelle corrispondenti del
contratto tipo. Esse, quindi, non ricevono alcuna tutela dall’ordinamento giuridico al
pari di quanto avviene per qualsiasi altro contratto di lavoro subordinato quando il
contratto collettivo contiene una disposizione più favorevole al lavoratore. Il 3° co.
dell’art. 4 riproduce, in sostanza, per il contratto di lavoro sportivo, il principio
generale già stabilito dall’art. 2077 c.c., con l’avvertenza, tuttavia, che l’art. 4 implica
un’importantissima deviazione rispetto alla norma di diritto comune, la quale,
secondo un principio radicato, disciplina i rapporti fra lavoratori e datori di lavoro
che aderiscono alle associazioni sindacali stipulanti, ovvero, in genere, i rapporti
individuali in cui siano state richiamate e recepite le norme collettive, mentre l’art. 4,
come vedremo meglio in prosieguo, obbliga anche i soggetti non appartenenti alle
associazioni stipulanti.
Nell’ipotesi di clausole del contratto individuale più favorevoli al lavoratore
non sembra invece automaticamente replicabile il principio della loro prevalenza su
quelle corrispondenti dell’accordo collettivo, perché esse, talvolta, non sono neutre in
rapporto alle finalità perseguite dall’art. 4.70 Così, per esempio, la clausola che
dispensi l’atleta dalla preparazione e dagli allenamenti sotto la direzione della società,

69
Cass., 23 febbraio 2004, n. 3545, in Giur. it., 2004, 1886, con nota di IOZZO, e in Contratti, 2004, 881, con nota di
IZAR.
70
Di parere contrario DE CRISTOFARO, cit., 589. L’accord paritaire 2010, stipulato tra CPA (l’Associazione
internazionale dei ciclisti professionisti) e AIGCP (l’Associazione internazionale dei gruppi ciclistici) dichiara valide le
pattuizioni più favorevoli ai ciclisti rispetto a quanto previsto dall’accordo stesso. Invece, secondo Trib. Teramo, 8
novembre 2007, cit., non vi sono margini di autonomia rispetto all’accordo federale nemmeno in senso più favorevole
al lavoratore.
34

quando essa sia stabilita dall’accordo collettivo e dal contratto tipo, non potrebbe
ottenere l’approvazione federale in forza dell’obbligo di conformità di cui si è
parlato. Così, ancora, la clausola che riconoscesse per la prestazione sportiva un
compenso assai elevato, ben superiore ai minimi collettivi ed in misura tale da
intaccare l’equilibrio economico finanziario della società, fatto non del tutto ipotetico
nell’attuale temperie del professionismo sportivo, non potrebbe egualmente ottenere
l’approvazione, attese le finalità per le quali il controllo deve essere effettuato.
In ogni caso, anche nel raffronto fra contratto individuale e contratto tipo vale
il principio enunciato da ormai costante giurisprudenza secondo il quale per la
valutazione del miglior trattamento si deve tener conto non delle singole clausole,
quanto piuttosto dell’istituto controverso come si configura nella rispettiva intera
disciplina, ed una volta individuato quello più favorevole, esso si applicherà
integralmente senza possibilità di cumulare i diversi trattamenti negli aspetti più
vantaggiosi per il lavoratore.
L’art. 4 nulla dispone sia in ordine alle modalità del deposito e alle
conseguenze dell’omesso deposito del contratto nel rapporto fra le parti, sia in ordine
all’omissione di qualsiasi provvedimento, positivo o negativo, da parte della
federazione.
A ciò, tuttavia, provvedono gli accordi collettivi: in particolare l’accordo fra
calciatori e società sportive prevede l’obbligo per la società di depositare il contratto
entro 10 giorni dalla stipulazione presso l’organo federale competente.71 Inoltre, gli
accordi collettivi prevedono che l’incombenza può essere eseguita anche dal
professionista il quale, secondo la giurisprudenza, ha comunque diritto al
risarcimento del danno per l’eventuale negligenza della società.72
La federazione, a sua volta, deve dare immediata notizia alle parti della
mancata approvazione, mentre, nel caso di mancata pronuncia entro il trentesimo
giorno successivo al deposito, il contratto s’intende approvato. Poiché la federazione
è parte contraente dell’accordo collettivo questa ipotesi di silenzio-assenso sembra
legittima, ma non si può, per contro, sottacere che, sempre in rapporto alle finalità
sottese al controllo federale, essa appare non consona al rigore della legge almeno
quando funzioni come rimedio al mancato esame della federazione.
L’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C. detta un principio che potrebbe trovare
applicazione anche in casi simili: ove il contratto non venga approvato per fatto non
imputabile al calciatore questi ha diritto ad un equo indennizzo la determinazione del
quale, mancando l’accordo tra le parti, spetta al Collegio arbitrale che lo liquida
rapportandolo all’annualità relativa alla stagione sportiva inerente al diniego di
approvazione e tenendo conto dell’eventuale altro contratto concluso dal
professionista.

71
V. l’art. 3 dell’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C. e, analogamente, l’art. 3 dell’accordo F.I.G.C.-A.I.A.C. Entrambi
prevedono che se la federazione non si pronuncia, rispettivamente entro 30 o 60 giorni dal deposito del contratto, lo
stesso si intende approvato. Le formalità stabilite dall’accordo F.I.P.-G.I.B.A. sono pressoché identiche: il deposito è
effettuato presso la Lega che inoltra il contratto alla F.I.P.. Se non vi provvedono la società, o in sua vece l’atleta entro
30 giorni, l’accordo diviene inefficace.
72
Cass., sez. lav., 12 ottobre 1999, n. 11462, cit.
35

12. L’accordo collettivo e il contratto tipo.

Dal dettato dell’ultima parte del 1° co. dell’art. 4 balza subito in evidenza la
singolarità della disciplina della rappresentanza sindacale nel lavoro sportivo sulla
quale è stato avanzato il sospetto di illegittimità costituzionale e che può essere
spiegata solo considerando che il legislatore ha voluto rispettare l’esistente e
collaudata struttura associativa ed organizzativa degli enti sportivi e il sistema dei
vincoli relazionali che la caratterizzano.
Infatti, dalla parte datoriale, la rappresentanza sindacale delle società sportive è
stata attribuita alle federazioni, che già le raggruppavano per le funzioni e gli scopi
tecnico-sportivi ed amministrativi, dando così vita ad una forma di rappresentanza
obbligatoria limitativa della libertà e del pluralismo sindacale.
I regolamenti federali dei settori professionistici che prima prevedevano anche
il potere degli organi federali di formulare le regole del rapporto di lavoro sono stati
prontamente adattati alla nuova funzione che è stata in genere delegata alle leghe
delle società, organismi, anch’essi, a partecipazione obbligatoria.
Vero è che, con l’affiliazione e l’accettazione dei regolamenti federali, le
società accettano anche di essere rappresentate dalle leghe al fine della stipulazione
degli accordi di lavoro e dei contratti tipo, ma la radice volontaria cui si fa
riferimento ridimensiona solo in parte il problema dell’obbligatorietà della
rappresentanza e sposta l’analisi critica sull’elemento anteriore della necessità
dell’adesione e del vincolo associativo alla federazione e ai suoi organi per svolgere
l’attività sportiva e tutte le altre attività, tecniche, amministrative, organizzative in cui
essa poi si articola.73
Sul fronte opposto dei lavoratori, dove operano i rappresentanti delle categorie
interessate, non sono stati posti limiti al principio della libertà di associazione
sindacale e del pluralismo, ed anzi, la dottrina ha avvertito che non essendo stati
definiti i criteri o gli indici per individuare la rappresentatività e, quindi, le
associazioni che, vantando tale requisito, possono essere abilitate a trattare la
stipulazione dell’accordo collettivo, la legge sembrerebbe ammettere la
frammentazione della rappresentanza sindacale e l’apertura di varchi alla
contrattazione anche a favore di rappresentanze non sufficientemente rappresentative
o, addirittura, a delegazioni occasionali.74 Ma, in qualche caso, per esempio nella
F.I.G.C., si è rimediato affidando al Consiglio federale, ove sono presenti i
rappresentanti delle Leghe e dell’Associazione calciatori, il compito di stabilire i
criteri di riconoscimento delle associazioni e il grado della rispettiva
rappresentatività.75 Si deve però aggiungere che, di fatto, il rischio paventato si è

73
Si vedano, in argomento, BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 16.
74
Ha lamentato la mancata definizione dei suddetti criteri MAZZOTTA, cit., 304; sul pericolo dell’eccessiva
frammentazione delle rappresentanze v., ancora, BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 15; sulla possibilità di ammettere
alla trattativa e alla stipulazione organismi non aventi una struttura sindacale permanente v. CIANCHI, Profili sindacali
del rapporto di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1990, 285.
75
Art. 35 N.O.I.F. F.I.G.C.
36

rivelato insussistente per la presenza generalizzata di un solo sindacato per ciascuna


categoria interessata.
Per contro, come è stato posto in luce già nei primi commenti alla legge, se il
lavoratore sportivo non aderisce ad alcun sindacato, ovvero non è iscritto al sindacato
stipulante, l’accordo collettivo e il contratto tipo hanno valore egualmente nei suoi
confronti, il che significa che egli non può concludere un contratto di lavoro se non
alle condizioni stabilite dal contratto tipo. In altri termini l’art. 4 conferisce alla
contrattazione collettiva una sorta di efficacia erga omnes e si ripropongono, anche su
questo versante, i dubbi di legittimità costituzionale, già adombrati a proposito delle
società sportive, sotto l’aspetto della violazione del principio di libertà d’associazione
sindacale garantito dal 1° co. dell’art. 39 Cost.76 e formalmente riconosciuto anche
nella sede aziendale dall’art. 14 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Tuttavia è stato osservato che l’art. 4 non istituisce una forma di
rappresentanza legale a favore dei rappresentanti delle categorie interessate, ma trova
la sua spiegazione nel vincolo d’appartenenza di società e sportivi professionisti alla
federazione.77 Resta pur sempre da vedere, come nel caso delle società sportive, se la
necessità di tale appartenenza possa a sua volta violare qualche fondamentale diritto
che la stessa legge n. 91, per esempio all’art. 1, dichiara di tutelare.
Preoccupazioni forse eccessive, se è vero che questioni di compressione della
libertà sindacale non sono sorte nel mondo del professionismo sportivo e che il
pluralismo sindacale, nell’ambito delle diverse categorie, è rimasto di fatto
sconosciuto.
Come abbiamo già rilevato, l’accordo concluso fra le parti sindacali, delimita
rigorosamente l’autonomia delle parti del contratto individuale mediante la
predisposizione del contratto tipo che costituisce l’oggetto, sia pur parziale,
dell’accordo medesimo. L’autonomia collettiva, però, è a sua volta condizionata dalle
disposizioni della norma di legge che, pur essendo indirizzata a determinare il
contenuto del contratto individuale, per il meccanismo della trasposizione in
quest’ultimo del contratto tipo, non può non riflettersi anche sulla libertà di
esplicazione di quella e ciò dovrebbe valere tanto per le disposizioni di carattere
precettivo, sia che rafforzino sia che restringano la tutela dei lavoratori rispetto
all’ordinario contratto di lavoro (l’accordo collettivo, per esempio, non potrebbe
ammettere la possibilità di prevedere patti di non concorrenza e, sul fronte opposto,
neppure estendere al lavoro sportivo la tutela stabilita dalle norme dello statuto dei
lavoratori che l’ultimo co. dell’art. 4 dichiara inapplicabili)78, quanto per le
disposizioni di carattere permissivo (quindi, in ipotesi, l’accordo collettivo non
potrebbe stabilire la competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria per la soluzione
delle controversie, impedendo di fatto l’inserimento della clausola compromissoria
nel contratto individuale).
76
V., fra gli altri, BERTINI, cit.; BONAVITACOLA, Manuale di diritto sportivo, Milano, 1991, 30.
77
DE CRISTOFARO, cit., 588; CIANCHI, Profili sindacali, cit., 297.
78
Contra DE CRISTOFARO, cit., 587, secondo il quale le disposizioni restrittive dovrebbero essere suscettibili di
modifica o adattamento a favore degli sportivi. Inoltre, mentre il testo approvato dal Senato travolgeva indistintamente
tutte le clausole difformi disponendone la sostituzione di diritto con quelle del contratto tipo, quello definitivo sembra
invece riconoscere implicitamente la validità delle clausole migliorative.
37

Nella pratica gli accordi collettivi seguono le prescrizioni normative e


regolamentari e, in più, richiamano espressamente le seconde per quanto in essi non
previsto. Per il resto prevedono in genere la clausola compromissoria per la
soluzione delle controversie concernenti l’attuazione del contratto (individuale) e si
sono limitati ad affrontare in autonomia temi abbastanza tradizionali della
contrattazione collettiva, quali la costituzione di Commissioni paritetiche fra gli
organi federali e le associazioni sindacali per risolvere i problemi di applicazione e
d’interpretazione dell’accordo collettivo o l’impegno a tenere consultazioni
periodiche per la valutazione congiunta dei problemi di organizzazione e
regolamentazione dell’attività sportiva e dei rapporti fra società e professionisti.

13. Le norme non applicabili al contratto di lavoro sportivo.

Gli ultimi due commi dell’art. 4 elencano le norme di legge non applicabili al
contratto di lavoro sportivo e, precisamente, della legge 20 maggio 1970, n. 300, gli
art. 4 (divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di
controllo dell’attività dei lavoratori); 5 (divieto di accertamenti sanitari da parte del
datore di lavoro); 13 (assegnazione alle mansioni d’assunzione o a quelle
corrispondenti alla categoria superiore successivamente acquisite; divieto di
dequalificazione e di riduzione della retribuzione; divieto di trasferimento da un’unità
produttiva ad un’altra); 18 (diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al
risarcimento del danno in caso d’inefficacia o d’illegittimità del licenziamento); 33 e
34 (articoli concernenti il collocamento dei lavoratori ed abrogati con il D. Lgs. n.297
del 2002); della legge 15 luglio 1966, n. 604, gli art. 1 (licenziamento per giusta
causa o giustificato motivo nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato); 2 (obbligo
della comunicazione per iscritto del licenziamento e dei motivi); 3 (licenziamento per
giustificato motivo con preavviso); 5 (onere della prova dei motivi del licenziamento
a carico del datore di lavoro); 6 (onere dell’impugnazione del licenziamento a pena di
decadenza); 7 (tentativo facoltativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del
lavoro;79 8 (obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro o del risarcimento del
danno in caso d’illegittimità del licenziamento); dell’intera legge 18 aprile 1962, n.
230, sulla disciplina dei contratti a termine.80
L’ultimo comma dell’art. 4 dichiara inapplicabile l’art. 7 della predetta legge n.
300 del 1970 (sull’applicazione delle sanzioni disciplinari) alle sanzioni irrogate dalle

79
L’inapplicabilità dell’art. 7 s.l. si accorda con la disposizione dell’art. 4, 5° co., che consente di rimettere la soluzione
delle controversie nascenti dal contratto di lavoro sportivo, comprese quelle in tema di licenziamenti, ad un giudizio
arbitrale. Di quest’ultimo si tratterà nel par. 25 a proposito della tutela dei diritti.
80
La legge n. 230 del 1962, e successive modifiche, è stata abrogata e sostituita dal D. Lgs. 6 settembre 2001, n. 368,
parzialmente modificata dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, che hanno dettato una nuova disciplina del contratto a tempo
determinato, anch’essa ovviamente inapplicabile al contratto di lavoro sportivo.
Cass., 24 giugno 1991, n. 7090, ha deciso che la prestazione di fatto di un allenatore di calcio dopo la scadenza del
termine non comporta la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, in base all’art. 2 della legge cit., ma deve
essere ricondotta alla disposizione dell’art. 2126 c.c. La decisione ha anche confermato l’inapplicabilità delle norme sui
licenziamenti censurando la diversa opinione del giudice di merito che, avendo ritenuto l’illegittimità del licenziamento
intimato dalla società, aveva ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro.
38

federazioni nazionali e di tale disposizione ci occuperemo specificamente trattando


l’argomento in questione.81
La ragione dell’esclusione delle norme dello statuto dei lavoratori è palese e
va ricondotta alla natura e alle esigenze del tutto peculiari della prestazione sportiva
dell’atleta, che, specie a livello professionistico, hanno essenza e finalità di spettacolo
e non tollerano restrizioni dell’uso di mezzi audiovisivi, che, anzi, sono un
formidabile veicolo di promozione e, oltre tutto, sono largamente impiegati per
ragioni di studio e di perfezionamento delle capacità agonistiche e della strategia di
gara. Sono altrettanto incompatibili e la procedura garantistica di accertamento delle
condizioni fisiche del lavoratore che, almeno per quanto riguarda quelle dell’atleta,
oltre ad essere spesso di interesse generale, necessitano di interventi diretti e rapidi
oppure di accertamenti accurati e periodici per la stessa convenienza del
professionista,82 e i concetti di (equivalenza di) mansioni, di avanzamento o di
dequalificazione professionale alla cui tutela provvede l’art. 13 s.l. che ha modificato
l’art. 2103 cod. civ.83
Quanto alle norme sui licenziamenti individuali, che, dopo l’emanazione della
legge n. 91, nel corso degli anni sono state ampiamente modificate o sostituite84 onde
l’esclusione del penultimo co. dell’art. 4 va ora naturalmente riferita alle disposizioni
modificate o sostituite, l’inapplicabilità è giustificata sia dal fenomeno dell’estrema
mobilità connessa alle alterne vicende sportive ed economiche dei sodalizi, sia al
carattere strettamente fiduciario del rapporto di prestazione sportiva ai quali mal si
adattano le norme restrittive che regolano la risoluzione del rapporto di lavoro
ordinario e i suoi effetti, quando siano assenti i presupposti sostanziali e formali per
confermarne la legittimità.
Gli stessi motivi ora esaminati hanno determinato nella pratica l’adozione del
contratto a termine come regola della durata del rapporto di lavoro sportivo, a
differenza di quanto avviene, almeno nell’intenzione del legislatore, nel rapporto di
lavoro ordinario rispetto al quale costituisce l’eccezione: di qui, da un lato,
l’esclusione dell’applicazione della legge sul contratto a tempo determinato e,
dall’altro, la conferma della possibilità di apposizione del termine, contenuta nell’art.
5 della legge n. 91, termine che non deve superare il quinquennio.
Quel che si è detto a proposito degli atleti vale in buona misura anche per gli
allenatori, mentre ha sicuramente minor attinenza con la posizione e le mansioni delle
altre figure professionali, direttori sportivi e preparatori atletici, alle quali si applicano
le disposizioni dell’art. 4 e il cui trattamento è stato equiparato a quello degli atleti e

81
V. infra par. 16.
82
Esattamente VIDIRI, Il contratto di lavoro sportivo, in Mass. giur. lav., 2001, 980, sottolinea che anche la mancanza
di un potenziale conflitto tra produttività aziendale e tutela della salute del lavoratore giustificano l’esclusione di cui si
tratta.
83
Secondo IANNIRUBERTO, L’atleta al servizio della società sportiva, in Mass. giur. lav., 2006, 15, lo sportivo non
potrebbe, per esempio, invocare giudizialmente il diritto ad essere impiegato nello stesso ruolo.
84
L’art. 18 della legge n. 300 del 1970 è stato riscritto, dopo precedenti modifiche al testo originario, dalla legge n. 92
del 2012, cit. A sua volta la legge n. 604 del 1966 ha subito parziali modifiche dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, e
dalla legge n. 92 del 2012.
39

degli allenatori evidentemente per non differenziare soggetti che lavorano nello
stesso settore professionale o alle dipendenze dello stesso datore di lavoro.85
Secondo un’opinione dottrinale diffusa, l’elenco delle norme inapplicabili al
contratto di lavoro sportivo non è tassativo e può essere integrato in base ad un
giudizio d’incompatibilità,86 che, ove non vi provvedano le parti collettive, per
esempio, mediante la regolamentazione difforme, rispetto a quella legale, di specifici
istituti, sarà compito del giudice definire. Poiché il principio informatore
dell’esclusione di norme del penultimo co. dell’art. 4 è centrato proprio sul motivo
dell’incompatibilità, esso ben può rappresentare la ratio ispiratrice dell’integrazione
in via interpretativa delle esclusioni.
Limitando per ora la rassegna allo statuto dei lavoratori e rinviando ad una
successiva trattazione relativa ad altre norme dell’ordinamento lavoristico, sono stati
ritenuti applicabili gli art. 1 (libertà di manifestazione del pensiero nei luoghi di
lavoro); 8 (divieto di indagini sulle opinioni e su fatti non rilevanti per valutare
l’attitudine professionale); 9 (diritto del lavoratore di controllare l’applicazione delle
norme per la previdenza infortunistica e le malattie professionali e di promuovere
iniziative per la tutela della salute); 11 (promozione delle attività culturali e
ricreative); tutto il titolo II, ad eccezione dell’art. 18, riguardante la tutela delle libertà
sindacali. Sono stati invece ritenuti incompatibili, salva qualche ulteriore eccezione,
sia il titolo III riguardante l’organizzazione dell’attività sindacale, che le rimanenti
disposizioni.87
Restando nell’ambito delle norme dello statuto dei lavoratori, si possono
prospettare problemi di coordinamento, tanto di quelle non applicabili come di quelle
compatibili ed applicabili, con le disposizioni dell’ordinamento sportivo, queste
ultime potendosi trovare talvolta trasfuse nell’accordo collettivo e nel contratto tipo
come fonte di diritti o di obblighi per il professionista sportivo.
Considerando, ad esempio, l’art. 4 s.l., v’è da chiedersi se l’uso di mezzi
audiovisivi sia comunque libero anche nelle situazioni o rispetto alle prestazioni in un
certo senso accessorie e conseguenti all’attività agonistica vera e propria, quando il
professionista sia a disposizione della società e sia rilevante il suo comportamento in
quanto soggetto a particolari prescrizioni impartite al fine di preservare la sua
condizione fisico-atletica.88 Se si ritiene che tali situazioni non siano classificabili

85
Secondo VIDIRI, Il contratto di lavoro, cit., 989, per gli allenatori e gli istruttori si può ipotizzare, con riferimento
all’art. 13 s.l. e nel caso di declassamento, la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno per inadempimento in
base all’art. 1453 cod. civ. L’accordo collettivo F.I.G.C.-A.DI.SE. vieta espressamente il mutamento di mansioni
senza consenso scritto del lavoratore.
86
VIDIRI, Il contratto di lavoro, cit., 989; ID., La disciplina del lavoro sportivo, cit., 219; GRASSELLI, L’attività
sportiva professionistica, cit., 38; MERCURI, cit., 516; DE CRISTOFARO, cit., 590.
87
Ancora VIDIRI, Il contratto di lavoro, cit., 990, e DE CRISTOFARO, cit., 591. Secondo quest’ultimo Autore sono
applicabili agli sportivi, fra i più importanti, anche gli art. 26 (prelievo dei contributi sindacali), 28 (repressione della
condotta antisindacale), 31 (che riconosce il diritto di aspettativa senza retribuzione per i lavoratori chiamati a funzioni
pubbliche o a ricoprire cariche sindacali), 38 (sanzioni penali per la violazione delle norme non escluse dall’art. 4). Nel
caso dell’art. 31 non si vede, però, come l’aspettativa possa sposarsi con la necessità di impiego continuativo delle
prestazioni sportive, difficilmente rinunciabili per periodi di tempo più o meno lunghi.
88
Si pensi all’obbligo del calciatore di osservare le prescrizioni attinenti al comportamento di vita (art. 10 dell’accordo
collettivo F.I.G.C.-A.I.C., 5 settembre 2011, cit.), oppure al contegno tenuto durante i ritiri, i viaggi, o negli spogliatoi
prima o dopo la gara che ben potrebbe essere oggetto di indagine con la predisposizione di apparecchi audiovisivi.
40

come attività lavorativa in senso stretto, il divieto dell’impiego di mezzi audiovisivi,


dovrebbe derivare, più che dall’art. 4 s.l., dalle norme che tutelano il diritto alla
riservatezza.
Più agevole è la soluzione del problema concernente l’art. 1 s.l., in rapporto
alle disposizioni piuttosto frequenti nei regolamenti federali, che vietano le critiche e
le censure nei confronti degli organi federali o delle persone che li rappresentano
avvalendosi della stampa o di altri mezzi di comunicazione o, comunque, rendendole
pubbliche; alcune di tali disposizioni aggiungono, opportunamente, che le
dichiarazioni non possono essere formulate in termini irriguardosi o lesivi dell’altrui
reputazione o del prestigio e decoro della federazione. Siffatte disposizioni possono
acquistare rilievo anche nel rapporto di lavoro in forza del richiamo e
dell’accettazione delle norme regolamentari cui possono rinviare l’accordo collettivo
e il contratto tipo.89 La giurisprudenza disciplinare federale ha ripetutamente
affermato che il divieto in questione è una proiezione del principio di lealtà sportiva
ed opera quando la critica travalichi i confini della correttezza e della dialettica civile,
conformemente ai limiti imposti alla libera manifestazione del pensiero, Ora, se il
diritto riconosciuto dall’art. 1 s.l. deve intendersi esteso anche oltre le materie
politica, religiosa e sindacale, esplicitamente enunciate dalla norma, e se la libertà di
manifestazione del pensiero è da considerarsi garantita, secondo il dettato della stessa
norma, con condizioni e limiti identici a quelli ammessi dall’art. 21 Cost.,90 il quale
esige che la manifestazione sia espressa nel rispetto dei principi e dei valori
egualmente garantiti a livello costituzionale, fra i quali quello della tutela della
dignità della persona, si vede come le disposizioni ora confrontate siano
sostanzialmente coincidenti.
Nel caso in cui l’accordo collettivo e il contratto tipo regolino in un certo modo
l’esercizio di un diritto che costituisce già oggetto di disposizione statutaria, come
potrebbe essere il caso dell’art. 11 s.l. in tema di attività culturali, è pacifico che le
regole contrattuali debbano adattarsi o, comunque, vadano integrate con i precetti
statutari per effetto della forza imperativa di questi ultimi.91

14. I requisiti soggettivi di accesso al contratto di lavoro sportivo


professionistico: la cittadinanza; l’età.

Per lunga tradizione, radicata nella vocazione all’identità territoriale nazionale


dell’agonismo sportivo contrapposta alle altre identità nazionali, i regolamenti
89
Si veda, per esempio, l’art. 22 dell’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., cit., e l’art. 5 dell’allegato contratto tipo,
oppure l’art. 13 dell’accordo F.I.P.-G.I.B.A. del 2003 relativo alla Legadue di pallacanestro.
90
V., in tal senso, FOIS, Commentario dello statuto dei lavoratori, dir. da U. PROSPERETTI, sub art. 1, Milano, 1975,
35 ss.
91
L’art. 6.1 dell’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., cit., enuncia che è dovere delle società promuovere e sostenere
iniziative e istituzioni per il miglioramento e l’incremento della cultura dei calciatori. Esse devono essere attuate
mediante organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori, come stabilisce l’art. 11 s.l.. Eguali
considerazioni valgono per l’art. 6.2, dell’accordo che regola il diritto allo studio, ove le intese quivi previste fra
F.I.G.C. e A.I.C. dovranno attenersi alle prescrizioni dell’art. 10 s.l., salvo che esse non siano specificamente
incompatibili con le esigenze dell’attività sportiva.
41

federali, specie per quanto riguarda gli sport di squadra, hanno elevato barriere al
tesseramento e all’impiego di sportivi di nazionalità estera o, addirittura, provenienti
da una federazione straniera anche se in possesso o aventi diritto alla cittadinanza
italiana,92 in nome dell’esigenza di tutela dei vivai nazionali e della formazione delle
squadre nazionali.
Negli anni in cui la preclusione al tesseramento e all’impiego di atleti stranieri
era assoluta, la nazionalità italiana ha rappresentato un requisito soggettivo di
capacità a concludere un contratto di lavoro sportivo professionistico. In linea
generale, la possibilità di avvalersi delle prestazioni di un numero limitato e
predeterminato di tali atleti costituiva pur sempre una limitazione estrinseca alla
potenziale possibilità di tesseramento e, conseguentemente, alla capacità di
concludere il contratto sia per gli atleti stranieri che vogliano trovare una
collocazione professionale nelle società sportive, i cui ranghi siano, però, già
completi rispetto al numero ammesso, sia per le stesse società che versino in tale
condizione.
Effetti analoghi hanno avuto le disposizioni di vari regolamenti federali dirette
a limitare la sola possibilità di schierare giocatori stranieri in ciascuna squadra per
ciascuna gara. Esse, infatti, lasciano teoricamente libere le società di tesserare un
numero di atleti eccedente quello utilizzabile in gara e, tuttavia, in pratica e per
evidenti ragioni di carattere organizzativo ed economico, si traducono in un
impedimento di fatto al tesseramento e all’accesso al contratto di lavoro per effetto
della cittadinanza straniera. Difatti, come tali, sono state ritenute contrastanti con il
diritto comunitario.
Il contrasto è stato ravvisato anche in una specifica disposizione, situata sempre
nel solco delle limitazioni all’impiego di giocatori stranieri per dare spazio a quelli di
formazione tecnica italiana, laddove sia negato il tesseramento come italiano a un
cittadino formatosi all’estero e quindi formalmente privo del requisito in questione.
Secondo un recente orientamento, la disposizione, oltre ad incidere su prerogative
proprie dello status di cittadino della U.E., dà luogo ad una “discriminazione alla
rovescia” nel senso che l’atleta italiano formatosi tecnicamente all’estero è
discriminato, senza plausibile giustificazione, rispetto all’atleta straniero formatosi in
vivai nazionali.93

92
Si tratta dei c.d. “oriundi” a proposito dei quali la giurisprudenza ha avuto occasione di esprimersi: Pret. Roma, ord.
18 settembre 1979, in Riv. dir. sport., 1980, 357, che, in riferimento al regolamento esecutivo della F.I.P. allora vigente
(limitazione al tesseramento di due giocatori per ogni squadra e al trasferimento ad altra società), dichiarava che la
disposizione federale non contrastava con i principi dell’ordine pubblico e, in particolare, con gli art. 3 e 4 Cost., sotto
quest’ultimo aspetto rilevando però la natura dilettantistica dell’attività sportiva esplicata. Cass., sez. un., 9 maggio
1986, n. 3091, in Foro it., 1986, I, 1257, che, sempre a proposito della norma restrittiva della F.I.P., ne ha riconosciuto
indirettamente la validità argomentando che fra i poteri di natura pubblicistica delle federazioni, in tal caso coincidenti
con quelli del C.O.N.I., vi era quello di disciplinare il professionismo sportivo ponendo limiti alla possibilità delle
società di ingaggiare lavoratori provenienti dall’estero. T.A.R. Lombardia, 6 dicembre 1994, inedita, in causa S.G.
Milano c. C.O.N.I. e F.I.S.G., che, in relazione a limitazioni al tesseramento e all’impiego di giocatori stranieri ed
oriundi fra loro parificati, dettate dalla Federazione degli sport del ghiaccio, ne ha rilevato il legittimo fondamento nella
comune provenienza da una federazione straniera, indipendentemente dall’elemento della cittadinanza (notizie dalla
Gazzetta dello Sport, 8 dicembre 1994, 25).
93
Si trattava dell’art. 11bis del regolamento esecutivo setto re professionisti della F.I.P. dichiarato illegittimo da Cons.
Stato, 17 giugno 2014, n. 2029, in riforma dell’opposta decisione di T.A.R. Lazio, 22 ottobre 2011, n. 8135. Entrambe
42

Il sistema protezionistico accennato, in un primo tempo e in un certo senso


tollerato dalla giurisprudenza italiana e dalla stessa autorità comunitaria, è stato
invece rivoluzionato da una serie di decisioni della Corte di Giustizia della C.E.E.,
culminate con la soluzione del noto caso Bosman. La Corte, interpellata nell’ambito
di una complessa vicenda giudiziaria promossa dal calciatore belga sulla rispondenza
ai principi del Trattato comunitario delle norme emesse da associazioni sportive
(nella specie, la Federazione internazionale del calcio - F.I.F.A. - la Federazione
europea - U.E.F.A. - e le singole federazioni nazionali) implicanti distinzioni fondate
sulla cittadinanza nella regolamentazione del lavoro sportivo, ha risposto che esse
contrastano con l’art. 48 del Trattato di Roma e costituiscono un ostacolo alla libera
circolazione dei lavoratori perché limitano il diritto dei cittadini di altri Stati membri
di partecipare, come professionisti, ad incontri di calcio, anche se non riguardano il
loro ingaggio ma la possibilità per le società di farli scendere in campo nelle partite
ufficiali, dato che queste ultime costituiscono l’oggetto essenziale dell’attività di un
calciatore.94

le sentenze sono reperibili nel sito giustizia-amministrativa.it, e in questo stesso sito nella cat. CONI e Federazioni-
Giurisprudenza.
94
Corte Giust. C.E.E., 15 dicembre 1995, in Riv. dir. sport., 1996, 541, con nota critica, già esplicita nel titolo, di
COCCIA, La sentenza Bosman: summus ius, summa iniuria? Alla sentenza è dedicato l’intero fascicolo n. 3 del 1996
della Rivista con i contributi dottrinari di CLARICH, La sentenza Bosman: verso il tramonto degli ordinamenti
giuridici sportivi?, 393; MANZELLA, L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman, 409; TIZZANO-DE
VITA, Qualche considerazione sul caso Bosman, 416; ROMANI-MOSETTI, Il diritto nel pallone: spunti per
un’analisi economica della sentenza Bosman, 436; ANASTASI, Annotazioni sul caso Bosman, 436; DIEZ-
HOCHLEITNER-MARTINEZ SANCHEZ, Le conseguenze giuridiche della sentenza Bosman per lo sport spagnolo ed
europeo, 469; BASTIANON, La libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza
Bosman, 508. La sentenza è pubblicata anche in Giust. civ., 1996, I, 601, con commento favorevole di ORLANDI,
Ostacoli alla libera circolazione e numero massimo di “stranieri” comunitari in una squadra: osservazioni in margine
alla sentenza Bosman, 619; in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 209, con commento di DI FILIPPO, La libera circolazione dei
calciatori professionisti alla luce della sentenza Bosman, 232; in Dir. comm. intern., 1996, 655, con commento di
ADOBATI, Il Trattato di Roma si applica anche alle attività sportive. L’incidenza della sentenza Bosman sulla
disciplina delle attività calcistiche, 663; in Dir. comun. scambi intern., 1996, 311, con commento di TELCHINI, Il caso
Bosman: diritto comunitario e attività calcistiche, 323; v., inoltre, in Foro it., 1996, IV, 3 e 13 gli scritti di
BASTIANON, Il calcio e il diritto comunitario, e VIDIRI, Il caso Bosman e la circolazione dei calciatori professionisti
nell’ambito della Comunità europea; in Resp. civ. prev., 1996, 433, FRAU, Il ”caso Bosman” e il principio di libertà di
circolazione dei lavoratori comunitari;
La Corte è stata investita da un’ordinanza del Tribunale di Bruxelles, 23 aprile 1996, in Riv. dir. sport. 1996, 656, con
nota di BASTIANON, Sport e diritto comunitario: la sfida continua. I casi Deliège e Lehtonen, del giudizio sulla
compatibilità con l’art. 48 del Trattato di Roma dei regolamenti di una federazione (nella specie, quella belga di
pallacanestro) che vietano di far scendere in campo per una competizione ufficiale un giocatore (nella specie, il
giocatore finlandese Lehtonen) tesserato dopo una certa data, quando questi sia un cittadino di uno Stato membro
dell’Unione europea, nonostante le ragioni addotte dalla federazione per giustificare il divieto, vale a dire la necessità di
non alterare l’equilibrio competitivo delle squadre. In questa occasione la Corte ha deciso che l’art. 48 osta
all’applicazione in uno Stato membro di norme emesse da associazioni sportive che vietino ad una società di schierare
in campo, nelle partite del campionato nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano stati trasferiti
dopo una certa data, qualora essa sia precedente a quella che si applica ai trasferimenti di giocatori provenienti da paesi
terzi, a meno che ragioni obiettive, attinenti unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la
situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e quelli provenienti da una zona
ad essa non appartenente, non giustifichino una simile disparità di trattamento e ha demandato tale indagine al giudice
nazionale: Corte Giust. C.E.E., 13 aprile 2000, ibid., 2001, 434, ancora con commento di BASTIANON, La libera
circolazione degli atleti nella giurisprudenza comunitaria post-Bosman: i casi Deliège e Lehtonen, il quale annota che
la Corte sembra dire che, in assenza delle ragioni suindicate, in nessun caso ai giocatori comunitari può essere riservato
un trattamento meno favorevole rispetto ai giocatori extracomunitari. I termini per effettuare il tesseramento non
sarebbero, quindi, incompatibili con il diritto comunitario in quanto tali, ma potrebbe essere incompatibile la previsione
di differenti termini a seconda della nazionalità dell’atleta.
43

Le decisioni della Corte di Giustizia hanno dunque fatto cadere ogni vincolo e
ogni forma di discriminazione nel tesseramento e nell’impiego dei cittadini
comunitari, siano essi calciatori o atleti praticanti altre discipline sportive a livello
professionistico, indipendentemente dalla qualificazione in tale senso ricevuta dalla
federazione a ciò competente, essendo solo essenziale lo svolgimento di attività
sportiva remunerata e, quindi, avente carattere economico.95
Per le altre figure professionali di cui all’art. 2 della legge n. 91 non si
conoscono limitazioni espresse al tesseramento da parte dei regolamenti federali, ma
impedimenti indiretti alla libera circolazione nei paesi comunitari possono derivare
dalla previsione di criteri per il riconoscimento dei titoli di formazione e di
qualificazione conseguiti legittimamente all’estero. Per quanto concerne, in
particolare, gli allenatori, che, in genere, ottengono l’abilitazione con la
partecipazione con esito positivo a corsi organizzati dalle federazioni e l’iscrizione ad
albi o ruoli appositamente istituiti, sul tema della validità nell’intera area comunitaria,
la Corte di Giustizia ha comunque specificato che quando l’accesso alla professione
di allenatore di calcio è subordinato al possesso di un diploma nazionale o di un

Prodromiche alla sentenza sul caso Bosman erano state altre decisioni della Corte europea sempre in tema di non
discriminazione in ragione della cittadinanza, di libera circolazione dei lavoratori e di libera prestazione di servizi,
principi ai quali devono uniformarsi anche i regolamenti sportivi in materia di attività professionistica sui quali, allora,
si era appuntata l’analisi della Corte. In un primo caso gli allenatori professionisti olandesi della specialità ciclistica del
mezzofondo, Walrave e Koch, si erano rivolti al Tribunale di Utrecht per denunciare l’invalidità, a fronte delle norme
comunitarie, del regolamento dell’Unione Ciclistica Internazionale che non consentiva la partecipazione ai campionati
mondiali di corridori in coppia con stayers di nazionalità diversa, anche se cittadini comunitari (Corte Giust. C.E.E., 12
dicembre 1974, in Foro it., 1975, IV, 81; la sentenza è stata commentata da TRABUCCHI, Sport e lavoro lucrativo.
Partecipazione alle gare e requisito di cittadinanza in uno dei paesi della Comunità Europea, in Riv. dir. civ., 1974, II,
622). Nel secondo caso un certo Donà aveva adito il giudice conciliatore di Rovigo per chiedere il rimborso delle spese
sopportate per la pubblicazione di un annuncio pubblicitario in un giornale belga allo scopo di reclutare colà calciatori
disposti a giocare nella squadra locale e si era sentito opporre dal responsabile della squadra l’intempestività
dell’inserzione compiuta a dispetto dei regolamenti federali che non consentivano l’ingaggio di calciatori stranieri
(Corte Giust. C.E.E., 14 luglio 1976, in Giur. it., 1976, I, 1, 1649, con nota che riporta le conclusioni dell’avvocato
generale presso la Corte TRABUCCHI, Le limitazioni all’ingaggio dei giuocatori stranieri e la libera circolazione dei
lavoratori nella Comunità Europea, poi riprodotte in Riv. dir. sport., 1976, 348; la sentenza è stata commentata
criticamente da BARILE, op cit., pubblicata anche in Riv. dir. sport., 1977, 303). In entrambi i casi la Corte, ritenendo
contrastanti le norme regolamentari esaminate con il principio di libera circolazione, aveva precisato che il campo di
applicazione delle norme comunitarie antidiscriminatorie era limitato ai rapporti sportivi di rilevanza economica
immediata, mentre ne aveva escluso l’applicazione nei casi in cui emerge una preminenza di interessi tecnico-sportivi,
come nell’ipotesi della formazione e composizione delle rappresentative nazionali. Sulla problematica aperta delle
decisioni ricordate, alimentata anche dagli intralci e dai ritardi delle federazioni nazionali e della F.I.G.C. nell’adeguare
i regolamenti ai principi dettati dalla Corte e nel percorrere la via della liberalizzazione delle frontiere calcistiche,
comunque attuata in misura ridotta prima della sentenza del caso Bosman, la dottrina si è soffermata ampiamente: cfr.
D’HARMANT FRANCOIS, La libera circolazione nel calcio professionistico: alcune riflessioni, in Riv. dir. sport.,
1987, 617; GIARDINI, Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori, in Dir. comun. scambi intern., 1988,
437; FOGLIA, Tesseramento dei calciatori e libertà di circolazione nella comunità europea, in Dir. lav., 1988, I, 300;
VIDIRI, La libera circolazione dei lavoratori nei paesi della C.E.E. ed il blocco “calcistico” delle frontiere, in Giur.
it., 1988, IV, 66; BIANCHI D’URSO, Attività sportiva e libera circolazione nella CEE, in Dir. lav., 1992, I, 482;
BERNINI, Lo sport e il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali, in Riv. dir. sport., 1993, 653;
CASTELLANETA, Libera circolazione dei calciatori e disposizioni della F.I.G.C., in Dir. comun. scambi intern.,
1994, 635.
95
V., al riguardo, le considerazioni di BASTIANON, Dal calcio alla pallamano: la giurisprudenza Bosman nella
pronuncia di un giudice nazionale, a commento della sentenza del Trib. aff. soc. Santander, 14.ottobre 1996, in Riv. dir.
sport., 1997, 856, che ha sancito l’applicazione diretta dell’art. 48 del Trattato di Roma in ambito nazionale e la
conseguente illegittimità di una disposizione regolamentare della federazione spagnola di pallamano limitativa del
tesseramento di giocatori comunitari, ancorché essi non siano qualificati come professionisti dalla medesima
federazione.
44

diploma straniero riconosciuto come equivalente, il provvedimento di rifiuto del


riconoscimento dell’equivalenza deve essere motivato e deve essere suscettibile
d’impugnazione in ottemperanza al principio della libera circolazione.96
Riprendendo l’esame delle disposizioni restrittive riguardanti gli atleti, quelle
che limitano il tesseramento e l’impiego di giocatori di paesi non appartenenti
all’Unione europea o extracomunitari (non interessati dagli effetti della sentenza
Bosman) hanno resistito ancora qualche tempo dopo le pronunce della Corte europea,
finché, anche per la sopravvenienza, nell’ambito comunitario, di nuovi accordi di
associazione di Stati terzi e, in ambito nazionale, delle nuove leggi sull’immigrazione
e sulla condizione dello straniero e di quella sul riordino del C.O.N.I., la
giurisprudenza ne ha decretato l’incompatibilità con i principi dettati dalle norme
sopravvenute.
Sotto il primo aspetto, la Corte di Giustizia ha ampliato la tutela
antidiscriminatoria a favore degli atleti provenienti dallo Stato associato con il quale
sia in vigore un accordo comprendente, appunto, il principio di non discriminazione
ed esteso alla libera circolazione dei lavoratori che hanno il diritto di essere assunti e
impiegati alle stesse condizioni degli atleti comunitari, con la conseguenza che la
federazione non può validamente imporre limitazioni d’impiego.97
Sotto il secondo aspetto, alcune decisioni di merito, risalenti al periodo di poco
successivo al T.U. delle leggi sull’immigrazione, approvato con D. Lgs. 25 luglio
1998, n. 286, ed altre più recenti,98 hanno stabilito che il divieto o la limitazione al
tesseramento di atleti extracomunitari (ma anche comunitari) previsto da norme di

96
Corte Giust. C.E.E., 15 ottobre 1987, in Dir. lav., 1988, II, 34, con nota di FOGLIA, Attività sportiva e libera
circolazione in area comunitaria. In argomento v., estesamente, COCCIA, La libera circolazione degli allenatori
nell’U.e., in Riv. dir. sport., 1995, 3, che analizza il problema della formazione e qualificazione per l’accesso alla
professione di allenatore anche alla luce delle direttive C.E.E. in materia e sostiene che le farraginose procedure di
riconoscimento dei titoli istituite con il D. Lgs. 2 maggio 1994, n. 319, per l’attuazione della direttiva n. 92/51 del 18
giugno 1992, riguardanti il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in uno stato membro, non sono
applicabili alla professione di allenatore sportivo, dato il silenzio mantenuto dal decreto governativo e che, per il
riferimento specifico dell’art. 2 della legge n. 91 agli allenatori, è compito del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive
nazionali decidere sull’equivalenza dei titoli conseguiti negli altri Stati dell’Unione europea. V., inoltre, GRASSELLI,
Quali frontiere per i lavoratori sportivi, in Dir. prat. lav., 1993, 2117.
97
Corte Giust. C.E.E., 25 luglio 2008, n. 158/08, in Foro it., 2009, IV, 18; Corte Giust. C.E.E., 12 aprile 2005, n.
265/03, ibid., 2006, IV, 441, e in Cons. Stato, 2005, II, 779, con nota di ANTONUCCI, Il mercato dei calciatori:
ampliata libertà di circolazione; Corte Giust. C.E.E., 8 maggio 2003, n. 438/00, in Guida dir., 2003, n. 20, 111, con
commento di CASTELLANETA, Dai limiti dell’ingaggio alla retribuzione, illegittima ogni disparità di trattamento.
98
Trib. Varese, ord. 10 dicembre 2010, in www.ipsoa.it; Trib. Reggio Emilia, ord. 2 novembre 2000, in Corriere giur.,
2001, 236, e Trib. Teramo-Giulianova, ord. 4 dicembre 2000, ibid., 238, commentate da CALO’, Via libera agli atleti
extracomunitari: i casi Ekong e Sheppard; Trib. Pescara, ord. 18 ottobre 2001, cit.: quest’ultimo provvedimento è stato
annullato dallo stesso Trib. Pescara, 14 dicembre 2001, in composizione collegiale, su reclamo proposto dalla resistente
F.I.N. Ad eccezione della prima, tutte le altre decisioni si leggono in Foro it., 2002, I, 897, ivi con il commento di
AGNINO, Statuti sportivi discriminatori e attività sportiva: quale futuro?; Trib. Bolzano, 26 gennaio 2006, in
www.giustiziasportiva.it, n. 3/2006, con nota di BELLOMO, L’ordinamento sportivo italiano e la discriminazione dello
straniero, che ha concesso il risarcimento del danno non patrimoniale per le sofferenze causate alla perdita ingiustificata
dell’attività di formazione dell’atleta extracomunitario minorenne. Per quanto attiene agli atleti comunitari, Trib.
Trento, ord. 27 ottobre 2008, ibid., n. 1/2009, con nota di ZINNARI, Lavoratori sportivi senza troppi “formalismi”, ha
pure definito discriminatorio, perché fondato sulla nazionalità straniera e sull’impedimento all’esercizio di una libertà
fondamentale in campo economico, il rifiuto di tesseramento derivante dal divieto d’ingaggio di atleti stranieri di età
inferiore ai 23 anni stabilito dalla F.I.P.A.V. A commento delle decisioni citate e di altre menzionate nell’articolo, v.
MUSUMARRA, La condizione giuridica degli stranieri, ibid., n. 2/2006.
45

regolamenti federali (in particolare, si trattava di calcio, pallacanestro e pallanuoto)


hanno o avevano contenuto discriminatorio e impedivano l’esercizio di una libertà
fondamentale in campo economico, e cioè il diritto al lavoro sportivo nell’ambito del
territorio nazionale, contrastando con l’art. 43 del T.U. ed anche con l’art. 16 del D.
Lgs. n. 242 del 1999 sul riordino del C.O.N.I.99 Pertanto, come hanno precisato i
giudici di Bolzano e di Varese, la Federazione che dovesse negare il tesseramento
sarebbe tenuta al risarcimento del danno. A proposito della pallanuoto, il Tribunale
di Pescara, 14 dicembre 2001, ha manifestato un’opinione non allineata a quella degli
altri giudici di merito e allo stesso insegnamento della Corte europea, affermando che
la pratica sportiva non forma oggetto di alcuna delle libertà fondamentali tutelate
dalla Costituzione, né risulta compromesso il diritto al lavoro, non essendo il
campionato di pallanuoto organizzato su base professionistica.
L’art. 40, 7° co., delle N.O.I.F. della F.I.G.C., oggetto della pronuncia
d’illegittimità del Tribunale di Reggio Emilia, è stato in seguito annullato dalla Corte
Federale che vi ha ravvisato la violazione, non solo dell’art. 43 cit., ma anche dell’art.
2 dello stesso dello stesso T.U. del 1998 che attribuisce allo straniero regolarmente
soggiornante in Italia e, quindi, anche a quello che vi abbia fatto legittimamente
ingresso per lo svolgimento di attività sportiva professionistica, i diritti in materia
civile attribuiti al cittadino italiano.100 Questa decisione ha osservato che le
disposizioni del T.U. ammettono l’ingresso degli stranieri non incondizionatamente
ma nell’ambito delle quote programmate per il lavoro subordinato e autonomo,
subordinando il rilascio del visto d’ingresso all’autorizzazione al lavoro, mentre per
alcune categorie di lavoratori, tra i quali gli sportivi professionisti, l’art. 27 stabilisce
che, al di fuori degli ingressi per lavoro della generalità dei lavoratori, particolari
modalità e termini per il rilascio dell’autorizzazione al lavoro, del visto d’ingresso e
del permesso di soggiorno dovevano essere disciplinati dal regolamento d’attuazione.
Quest’ultimo, approvato con D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, all’art. 40, 16° co., come
sostituito dall’art. 37, 16° co., D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, per quanto riguarda gli
sportivi, ha stabilito che l’autorizzazione al lavoro (anche di quello in forma
autonoma) è sostituita dalla dichiarazione nominativa di assenso del C.O.N.I. su
richiesta della società destinataria della prestazione sportiva. La Corte Federale ha
notato che, ferma l’illegittimità della disposizione regolamentare laddove non
consentiva l’utilizzo in gara di più di tre stranieri, per la parte in cui, invece, poneva

99
L’art. 43 cit. definisce come discriminatorio “ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una
distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o
etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il
riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in
campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”. L’art. 16 cit. stabilisce che le
federazioni sportive nazionali sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base “del principio di partecipazione
all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità…..”
100
Corte Federale F.I.G.C., 4 maggio 2001, in Foro it., 2001, III, 529, con nota di NAPOLITANO, La condizione
giuridica degli stranieri extracomunitari nell’ordinamento sportivo: divieto di discriminazione e funzione di
programmazione del Coni, e in Corriere giur., 2001, 820, con commento di CALO’, Giurisdizione sportiva:
l’equiparazione tra cittadini stranieri approda anche nel mondo del calcio. Il caso deciso dalla Corte era stato sollevato
da calciatori extracomunitari già tesserati per varie società, anch’esse ricorrenti, la cui doglianza si appuntava su quella
parte della norma che limitava la possibilità di schieramento di soli tre giocatori extracomunitari nelle gare ufficiali in
ambito nazionale.
46

limiti numerici al tesseramento, pur non essendo del tutto conforme al sistema di
legge, appariva tuttavia finalizzata a realizzare una forma di programmazione
dell’ingresso dei calciatori extracomunitari, anche se con lo strumento del
tesseramento piuttosto che dell’autorizzazione al lavoro; l’elaborazione dei criteri per
l’ammissione avrebbe dovuto essere attribuita al C.O.N.I. in un quadro che garantisse
il perseguimento delle sue finalità istituzionali tra cui quelle dell’organizzazione e del
potenziamento dello sport nazionale.
In tal senso ha provveduto la successiva legge 30 luglio 2002, n. 189, che ha
recato modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo e che, con il
suo art. 22, ha aggiunto al cit. art. 27 un comma 5 bis in base al quale il C.O.N.I. ha il
compito di proporre al Ministro per i beni e le attività culturali il limite massimo
annuale d’ingresso degli sportivi stranieri da ripartire tra le federazioni. Insieme alla
ripartizione, il C.O.N.I. delibera i criteri generali di assegnazione e di tesseramento
per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili.101
Pertanto, il regime legale per il tesseramento e l’impiego degli atleti
professionisti di nazionalità straniera può essere sintetizzato come segue:
a) piena libertà di tesseramento e d’impiego degli atleti comunitari o in possesso di
passaporto di paese comunitario;102 103
b) tesseramento ed assegnazione alle federazioni degli atleti extracomunitari nel
limite massimo annuale proposto dal C.O.N.I. ed approvato dal Ministro vigilante.104

101
Il testo del comma 5 bis è il seguente: “Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del
Comitato olimpico nazionale italiano, sentiti i Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato
il limite massimo annuale d’ingresso degli stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque
retribuita, da ripartire fra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da
sottoporre all’approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di
assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili”. E’
da notare che la norma, facendo riferimento all’attività sportiva comunque retribuita, comprende nella propria sfera
d’applicazione anche l’attività non qualificata come professionistica in base all’art. 1 della legge n. 91.
102
L’apertura delle frontiere calcistiche ai giocatori comunitari e le persistenti restrizioni rispetto a quelli
extracomunitari è stata all’origine della vicenda, oggetto d’indagine giudiziaria e di procedimenti disciplinari, collegata
alla contraffazione di passaporti o al loro ottenimento per mezzo di documenti ritenuti invalidi al fine di far risultare la
cittadinanza italiana o, comunque, di aggirare in questo modo le disposizioni restrittive sugli extracomunitari.
103
Dal 2012 la F.I.P. ha equiparato ai comunitari i giocatori provenienti dai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico,
secondo l’accordo di cooperazione sottoscritto nel 2000 dalla U.E. a Cotonou .
104
Con il C.U. n. 166/A del 27 maggio 2014 la F.I.G.C. ha deliberato che : “A) le società in possesso del titolo per la
partecipazione al campionato di serie A nella stagione 2014/2015, che, alla data del 30 giugno 2014 avevano più di
due calciatori cittadini di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E., tesserati per esse a titolo definitivo, potranno
tesserare un numero massimo di due calciatori di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. provenienti dall’estero, a
condizione che: 1. uno vada a sostituire altro loro calciatore di paese non aderente alla U.E. o alla E.E.E. che (i) si
trasferisca all’estero, sottoscrivendo contratto con società estera, o (ii) il cui contratto sia scaduto al 30.06.2014, o (iii)
che acquisisca, a qualunque titolo, la cittadinanza di paese aderente alla U.E. o alla E.E.E. o che l’abbia acquisita dal
1 febbraio 2014 alla data di pubblicazione del presente provvedimento;
2. uno vada a sostituire altro loro calciatore di paese non aderente alla U.E. o alla E.E.E. che (i) si trasferisca
all’estero, sottoscrivendo contratto con società estera, o (ii) che acquisisca, a qualunque titolo, la cittadinanza del
paese aderente alla U.E. o alla E.E.E. o che l’abbia acquisita dal 1 febbraio 2014 alla data di pubblicazione del
presente provvedimento.
I calciatori da sostituire dovranno essere espressamente indicati dalla società interessata e, quelli di cui ai punti 1 (i), 1
(ii) e 2 (i) non potranno tesserarsi per quest’ultima nella medesima stagione sportiva. Ai fini della sostituzione non
potranno essere utilizzati calciatori ex giovani di serie che hanno ottenuto il primo contratto da professionista dopo il
30 giugno 2012.
B)Le società in possesso del titolo per la partecipazione al campionato di serie A nella stagione 2014/2015 che, alla
data del 30 giugno 2014, non avevano calciatori cittadini di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E., tesserati per
47

Il secondo requisito soggettivo, quello dell’età minima per l’acquisto della


capacità di stipulare il contratto di lavoro sportivo professionistico, è pure talvolta
stabilito dalle norme federali. Nulla essendo previsto al riguardo dalla legge n. 91,105
il riferimento normativo è dato dalla legge 17 ottobre 1967, n. 977, sulla tutela del
lavoro dei fanciulli e degli adolescenti, il cui art. 3 fissa a 15 anni compiuti l’età
minima per l’ammissione al lavoro. Sono inapplicabili l’art. 4, che riduce l’età a 14
anni per i lavori leggeri in attività non industriali, purché compatibili con la tutela
della salute e con gli obblighi scolastici del minore e non comportino lavoro notturno
e in giorni festivi, e l’art. 5 che la innalza a 16 anni per alcuni lavori tra i quali quelle
pericolosi e faticosi, dato che i suddetti lavori sono specificamente individuati,
rispettivamente dal D.P.R. 4 gennaio 1971, n. 36, e dal D.P.R. 20 gennaio 1976, n.
432, entrambi, del resto, antecedenti alla legge n. 91, e non vi è contemplata l’attività
sportiva.
Fermo restando il limite minimo non derogabile di cui alla norma imperativa
dell’art. 3, le disposizioni dei regolamenti federali che prevedono un’età superiore per
l’accesso alla professione sportiva e che pure potrebbero essere ritenute lesive del
diritto ad accedervi compiuti i 15 anni, a parte la loro fonte contrattuale perfezionata
con l’adesione dell’affiliato e del tesserato, appaiono coerenti sia con la prescrizione
legislativa che, appunto, fissa solo l’età minima per l’accesso al lavoro, sia con
l’esigenza, riferibile anche all’interesse degli atleti, di impiegarli quando siano
prossimi ad acquisire o abbiano acquisito la maturità psicofisica e abbiano comunque
un bagaglio di esperienza idoneo per affrontare una professione spesso rischiosa e
faticosa. Così, nel calcio (art. 33 N.O.I.F. della F.I.G.C.) e nella pallacanestro
l’accesso al professionismo è consentito alla categoria dei giovani di serie (cioè i
giovani tesserati da società associate ad una lega professionistica) rispettivamente al
compimento del sedicesimo106 e del quindicesimo anno, con la precisazione, nel

esse a titolo definitivo o ne avevano uno solo tesserato a titolo definitivo, potranno tesserare, senza alcun vincolo di
sostituzione di altro loro calciatore, calciatori di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E., provenienti dall’estero,
fino al raggiungimento di un numero massimo di tre calciatori di detti paesi per esse tesserati.
Le società in possesso del titolo per la partecipazione al campionato di serie A nella stagione 2014/2015 che, alla data
del 30 giugno 2014, avevano due calciatori di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E., già tesserati per esse a titolo
definitivo, potranno tesserare senza vincoli di sostituzione di altro loro calciatore ai sensi del capoverso che precede,
un calciatore di detti paesi proveniente dall’estero, nonché un solo altro calciatore di paese non aderente alla U.E. o
alla E.E.E., a condizione che vada a sostituire altro loro calciatore di paese non aderente alla U.E. o alla E.E.E. che (i)
si trasferisca all’estero, sottoscrivendo contratto con società estera, o (ii) il cui contratto sia scaduto al 30.06.2014, o
(iii) acquisisca, a qualunque titolo, la cittadinanza di paese aderente alla U.E. o alla E.E.E. o che l’abbia acquisita dal
1 febbraio 2014 alla data di pubblicazione del presente provvedimento.
Il calciatore da sostituire dovrà essere espressamente indicato dalla società interessata e, nell’ipotesi sub (i) o (ii), non
potrà tesserarsi per quest’ultima nella medesima stagione sportiva. Ai fini della sostituzione non potranno essere
utilizzati calciatori ex giovani di serie che hanno ottenuto il primo contratto da professionista dopo il 30 giugno 2012”.
Altre restrizioni al tesseramento riguardano le società di serie B e dei campionati della Lega del Calcio Professionistico.
I calciatori con cittadinanza svizzera sono equiparati a quelli comunitari.
Sulle criticità del sistema di tesseramento dei calciatori extracomunitari in rapporto all’art. 5 bis della legge n. 189 del
2002, v. GIARRATANA, Caso Babù: applicazione virtuosa o elusione della legge Bossi-Fini per i calciatori?, in
www.altalex.com, articolo dell’8.5.2014.
105
La disciplina dell’accesso alle singole attività sportive è dettata, sotto altro aspetto, dal D.M. 5 luglio 1975, che, ai
fini della tutela della salute, ha stabilito l’età d’inizio e di termine dell’attività agonistica in rapporto alle varie specialità
sportive, alla qualifica e al sesso.
106
Il tesseramento da professionista è comunque consentito se il calciatore ha giocato almeno 10 gare di campionato e
di Coppa Italia in serie A, 12 in serie B, ecc. Al di fuori dell’ipotesi dei giovani di serie l’art. 28 N.O.I.F. ammette la
48

primo caso, che la società per la quale il giovane è tesserato ha diritto di stipulare con
lo stesso il primo contratto da professionista, mentre, nel secondo caso, il
tesseramento come professionista è consentito solo alla società con cui l’atleta ha
svolto la precedente attività, mentre non è ammessa la costituzione di un rapporto di
prestazione professionistica se l’atleta non è mai stato tesserato per la F.I.P. o per una
federazione straniera. Per il passaggio al professionismo dei pugili sono richiesti
particolari requisiti, oltre alla maggiore età; il regolamento del settore professionistico
della F.P.I. dispone anche il limite massimo di 40 anni per lo svolgimento dell’attività
agonistica. Invece, per il passaggio al professionismo dei ciclisti occorre
l’abilitazione federale che si acquisisce dopo aver gareggiato con continuità nei tre
anni precedenti ed aver conseguito un punteggio prestabilito in funzione dei
piazzamenti ottenuti nelle gare dei due anni precedenti.
La tabella I allegata al D.M. 5 luglio 1975 stabilisce per le discipline sportive
(allora regolate nell’ambito del C.O.N.I.), oltre all’età d’accesso all’attività
agonistica, anche quella di cessazione, ma, trattandosi di normativa secondaria e
diretta specificamente alla tutela sanitaria degli atleti, è da ritenere che non introduca
un ulteriore requisito soggettivo di validità del contratto di lavoro professionistico.
Invece, quanto meno nell’ambito endoassociativo, un tal efficacia, di natura
contrattuale, si deve attribuire alle norme federali che dispongono un termine finale
all’attività agonistica.107

15. La prestazione sportiva. I doveri di fedeltà e d’obbedienza.

La prestazione di attività sportiva, oggetto dell’obbligazione principale del


professionista sportivo, alla quale si contrappone, nel rapporto di corrispettività,
l’obbligazione di retribuzione della società sportiva, ha naturalmente diverso
contenuto per ciascuna delle figure professionali individuate dall’art. 2 della legge.
Considerandole, quindi, separatamente, non è tuttavia possibile, come abbiamo
osservato in un precedente paragrafo, operare distinzioni in base alla classificazione
dell’art. 2095 cod. civ., né in base ai profili professionali elaborati dalla
contrattazione collettiva dei diversi settori dell’attività produttiva. Inoltre, non si dà
distinzione di mansioni che possa assumere connotazioni rilevanti dal punto di vista
giuridico. Infatti, le differenti attitudini, il livello e la qualità delle prestazioni, il
diverso ruolo o il rango in seno ad una determinata formazione o nel contesto di una
specifica disciplina sportiva non incidono sull’identità e sulla natura della prestazione
e delle relative mansioni, non sono motivo di distinzione di qualifica e di posizione
del lavoratore rispetto all’impresa, ma, tutt’al più, producono effetti circoscritti agli
aspetti tecnici inerenti all’organizzazione e alla direzione del gioco ed eventuali

stipulazione del primo contratto da professionista al compimento del diciannovesimo anno nell’anno precedente a
quello in cui ha inizio la stagione sportiva.
107
Come nel caso deciso dal Collegio di Garanzia (Alta Corte di Giustizia Sportiva), 28 luglio 2014, n. 22, sia pure con
riferimento alla F.I.D.A.F., federazione non professionistica; la motivazione è consultabile nel sito ufficiale del C.O.N.I.
ed anche in questo sito nella cat. Provvedimenti federali-ACGS-TNAS – Giurisprudenza.
49

riflessi sul piano disciplinare ove siano disattesi i compiti affidati a ciascun
professionista.
Nel senso ora precisato la prestazione di lavoro sportivo ha un’accentuata
genericità, sicché, come pure si è accennato, l’esclusione della tutela legale delle
mansioni apprestata dall’art. 13 s.l. deve considerarsi senza dubbio in sintonia con il
carattere rilevato. Quanto detto vale specialmente per gli atleti e per gli allenatori,108
mentre l’esclusione sembra meno giustificata per i direttori sportivi, ma la loro
posizione è identica a quella degli altri lavoratori sportivi perché la legge non ha
espresso distinzioni in proposito.
Pur nella predetta genericità, la prestazione di lavoro sportivo è tuttavia
fortemente improntata dall’intuitus personae e, di conseguenza, il modo d’esecuzione
della stessa richiede l’apporto di una particolare diligenza che deve essere valutata e
correlata alla natura dell’attività e all’interesse dell’impresa (peraltro, per certi
aspetti, coincidente con quello del prestatore), come prescrive l’art. 2104 cod. civ.
Occorre anche tener conto che, non a caso, le norme collettive autorizzano la
società datrice di lavoro ad imporre prescrizioni attinenti al comportamento di vita
del professionista, sempre che siano giustificate delle esigenze dell’attività da
svolgere e rispettino la dignità del lavoratore, in quanto siffatto comportamento può
avere riflessi diretti sul rendimento e sull’utilità della prestazione. Nel nostro caso,
perciò, la diligenza del lavoratore deve essere rivolta all’osservanza delle regole di
condotta prescrittegli e le direttive in tal senso assumono autonomo rilievo, ai fini
della valutazione della prestazione, indipendentemente dall’incidenza che il
comportamento non consono abbia avuto sull’adeguatezza della prestazione stessa.
La specialità dell’atteggiarsi della prestazione sportiva, soprattutto degli atleti e
negli sport di squadra, sta in ciò che la legge non protegge il diritto all’integrità delle
mansioni e, d’altra parte, l’assoluta discrezionalità delle decisioni tecniche che
condiziona le scelte d’impiego della suddetta prestazione hanno suggerito la
conclusione che la sua esecuzione, oggetto della principale obbligazione del
lavoratore, non è, nel contempo, un suo diritto, come per la generalità dei lavoratori
subordinati, anche se tale opinione è da mettere in discussione.109 Infatti, quanto non
deriva direttamente dalla legge speciale può essere riconosciuto ed è riconosciuto da
quelle norme interne (per esempio, l’art. 93 delle N.O.I.F. della F.I.G.C.) che
configurano lo svolgimento dell’attività sportiva da parte dei tesserati come obbligo
delle società sportive e, conseguentemente e correlativamente, come diritto del
professionista, tanto più che nel caso di specie la disposizione si rivolge

108
L’accordo collettivo fra allenatori professionisti e società sportive della F.I.G.C. sostanzialmente ripristina il diritto
alla conservazione delle mansioni di assunzione stabilendo che il “trasferimento” di mansioni per la conduzione di altra
squadra della stessa società rispetto a quella contrattuale o per lo svolgimento di altri compiti, come quello di
osservatore tecnico o altro, può avvenire solo con il consenso scritto dell’allenatore. In modo analogo dispongono gli
accordi riguardanti gli allenatori della serie B e della Lega Pro.
109
Sull’insussistenza del diritto alla prestazione sportiva, BIANCHI D’URSO, Attività sportiva, cit., 488; DE
CRISTOFARO, cit., 597; CANTAMESSA-RICCIO-SCIANCALEPORE, cit., 161, a proposito della giusta causa
sportiva, cioè del diritto del calciatore di risolvere il contratto per ridotta o mancata utilizzazione riconosciuto
dall’ordinamento F.I.F.A (v. infra par. 22, 75). In argomento v. anche Pret. Grosseto, 1 agosto 1995, in Foro it. Rep.,
1996, v. Sport, n. 38. Al contrario, che il diritto in questione possa invece derivare da quello della tutela della salute e
dell’integrità psicofisica assicurato dall’art. 2087 cod. civ., è sostenuto da DENTICI, cit., 1077.
50

indistintamente a tutti i soggetti dell’ordinamento calcistico, siano essi o meno


appartenenti al settore professionistico. Comunque, una volta che siano stati rimossi
gli eventuali ostacoli frapposti al tesseramento anche dalle federazioni competenti110
e, quindi, alla possibile utilizzazione, secondo l’orientamento della giurisprudenza,111
deve essere assicurato il diritto minimo ma essenziale di partecipare agli allenamenti
e alla preparazione precampionato nella prima squadra, diritto, infatti, sancito dagli
accordi collettivi e dai contratti tipo.112 In ogni caso, anche qualora non si intraveda
nel sistema la pienezza del diritto alla completa esecuzione della prestazione e, in
sostanza, alla partecipazione all’attività agonistica vera e propria, per la quale il
professionista è stato assunto, ciò deve essere inteso in modo relativo, cioè nei limiti
in cui l’esclusione sia giustificata dalle sue condizioni fisiche, dalle effettive esigenze
tecnico-sportive della società o da motivi o sanzioni disciplinari che determinano la
temporanea interruzione dell’attività medesima. Non dovrebbe essere invece
ammesso che l’atleta ne venga escluso a tempo indeterminato e senza una causa
plausibile e, ove ciò accada, le conseguenze e i rimedi non possono che essere quelli
d’ordine generale, fino alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno, del
resto previsti dall’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C. per effetto della violazione degli
obblighi delle società calcistiche. D’altra parte, le stesse conseguenze discendono
anche dall’inosservanza dei principi dell’ordinamento in tema di correttezza e buona
fede nell’esecuzione e nell’adempimento delle obbligazioni e dei contratti (art. 1175
e 1375 cod. civ.).
In virtù dell’obbligo a collaborare nell’impresa (art. 2094 cod. civ.) anche il
professionista sportivo è onerato dai doveri di fedeltà ed obbedienza.
Il dovere di fedeltà, in merito al quale l’art. 4 tace, deriva direttamente dall’art.
2105 cod. civ. ed è ribadito dagli accordi collettivi e dai contratti tipo. In particolare,
per i calciatori e gli allenatori di calcio, il dovere consiste nell’inibizione a svolgere
altra attività sportiva, salva l’autorizzazione della società, o altra attività lavorativa o
imprenditoriale incompatibile con l’esercizio dell’attività agonistica.113 In ogni caso,
quando essi intendano iniziare una di tali attività devono darne notizia alla società che
può opporsi.
Il divieto di svolgere attività concorrente, come nel comune rapporto
contrattuale di lavoro, vale in costanza dello stesso e finché esso dura, ma, mentre il
comune lavoratore subordinato entro certi limiti può essere vincolato all’obbligo di

110
Pret. Modena, 10 febbraio 1987, in Nuova giur. civ., 1987, 721, con nota di PESCE, ha stabilito che il diniego di
tesseramento della federazione d’appartenenza sulla base di un’errata applicazione del regolamento, determinando la
forzata inattività del giocatore, lede irreversibilmente, sia sotto l’aspetto morale e della personalità che della specifica
attitudine sportiva, il diritto soggettivo dell’atleta a svolgere l’attività agonistica ed è suscettibile di tutela con
provvedimento d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ.
111
Trib. Reggio Emilia, ord. 2 novembre 2000, e Trib. Teramo, ord. 4 dicembre 2000, già cit.
112
V., in particolare, l’art. 16 dell’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., attualmente in vigore. Sul diritto del calciatore a
partecipare agli allenamenti e alla preparazione pre-campionato e sulla sua esclusione come fonte di pregiudizio
imminente ed irreparabile, tutelabile, anche in questo caso, a norma dell’art. 700 cod. proc. civ., v. Trib. Roma, ord. 3
agosto 1994, cit. In merito al diritto al risarcimento del danno del calciatore escluso, v. Coll. arb. L.N.P., 23 settembre
1999, in Riv. dir. sport., 2000, 315.
113
Cass., 17 gennaio 2013, n. 1150, ha giudicato gravemente inadempiente la condotta dell’atleta che prima della
scadenza del contratto con la propria società si rechi a giocare in una squadra estera ancorché il campionato italiano sia
già cessato.
51

non concorrenza anche dopo la cessazione del rapporto in forza di un patto specifico
(art. 2125 cod. civ.), il 6° co. dell’art. 4 vieta tali pattuizioni e quelle che comunque
limitano la libertà professionale dello sportivo, come, per esempio, il patto d’opzione,
ammesso solo a certe condizioni, e il divieto del patto di prelazione a favore della
società, secondo la previsione dell’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C. Non si tratta
tanto di una deroga alla norma codicistica, quanto piuttosto di un divieto formulato in
aderenza al modo naturale dell’esplicarsi dell’attività sportiva in un “ambiente”
contrassegnato dall’antagonismo fra sodalizi contendenti e concorrenti e
giuridicamente impostato dalla legge n. 91 su principi di libertà (art. 1 e 6).114
Al dovere contrattuale di fedeltà si può far risalire anche l’obbligo di astenersi
da atti o comportamenti integranti il tentativo o la commissione di illecito sportivo,
oggetto di vigorosa repressione da parte dei regolamenti federali, quegli atti e
comportamenti, cioè, diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato della gara o ad
assicurare a qualche altro interessato un vantaggio di natura sportiva, mediante
accordi (c.d. combines) di vario genere, atti di corruzione, patti “a vincere” e “a
perdere” che, se diretti a favorire l’avversario, rappresentano un’immediata
violazione del dovere di cui si parla e, se diretti a favorire la società d’appartenenza,
inconsapevole, possono, non di meno, tradursi in pregiudizio per quest’ultima, tenuta
egualmente responsabile sotto il profilo disciplinare in base alla regola della
responsabilità oggettiva. In questa ipotesi si può affermare che il dovere di lealtà e di
correttezza sportiva che s’innesta nel contenuto del rapporto contrattuale e che fa
parte degli obblighi inerenti alle modalità d’esecuzione della prestazione, viene a
compenetrarsi con il dovere di fedeltà, pur esso correlato alla medesima prestazione.
Il dovere d’obbedienza trova, invece, una specifica previsione, forse superflua
per effetto della qualificazione subordinata del rapporto,115 nel 4° co. dell’art. 4 che
obbliga lo sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite
per il conseguimento degli scopi agonistici. Queste ultime comprendono le
prescrizioni riguardanti il comportamento di vita dell’atleta, di cui abbiamo trattato a
proposito del modo della diligenza del lavoratore sportivo, e, in qualche caso,
richiedono comportamenti consoni allo standard del buon cittadino, correttezza,
onestà e fair play, regole per l’abbigliamento, per la dieta da seguire, per i rapporti
con la stampa, ecc.116
E’ appena il caso di notare che le istruzioni tecniche rivestono assoluta
preminenza anche per la loro estrema mutevolezza ed esigono, pertanto, un pronto
adeguamento della condotta. E’ stato appropriatamente osservato che l’obbligo in
questione grava solo sugli atleti e non anche sui direttori tecnici e sugli allenatori che
sono coloro che, di norma, anche d’intesa fra loro, impartiscono ai giocatori le
istruzioni tecniche e le prescrizioni.117

114
DURANTI, cit., 715; REALMONTE, cit., 382. Nel senso della deroga all’art. 2125 c.c., BIANCHI D’URSO-
VIDIRI, cit., 20, e DE CRISTOFARO, cit., 597.
115
La precisazione, in termini analoghi, era però già contenuta nel testo originario della legge, sub art. 3, ed era
giustificata, in tal sede, dalla qualificazione del rapporto come autonomo.
116
Cfr., nel senso del testo, l’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. attualmente in vigore.
117
DE CRISTOFARO, cit., 596. L’art. 18 dell’accordo economico F.I.G.C.-A.I.A.C., cit., stabilisce tra i compiti
dell’allenatore quello di predisporre ed attuare l’indirizzo tecnico, l’allenamento e di assicurare l’assistenza nelle gare
52

Peraltro, il dovere d’obbedienza, nel contratto di lavoro sportivo, investe una


molteplicità di obblighi e di comportamenti dovuti che sono la proiezione della
pertinenza del rapporto all’organizzazione federale, le cui disposizioni, oltre tutto,
sono recepite nel contratto individuale con la conseguente soggezione del
professionista anche al potere disciplinare della federazione per la quale è tesserato.

16. Il potere direttivo e il potere disciplinare delle società sportive e delle


federazioni.

Al dovere d’obbedienza del prestatore sono contrapposti il potere direttivo e il


potere disciplinare del datore di lavoro ai quali il primo è assoggettato in funzione
della prestazione di lavoro e conformemente alla scala gerarchica determinata dalla
società sportiva.
Si è detto in precedenza del potere direttivo evocato dall’art. 4, 4° co., la cui
disposizione presuppone, appunto, il diritto potestativo del datore di lavoro e dei suoi
collaboratori di emettere istruzioni e ordini, non solo di carattere tecnico, effetto
essenziale della subordinazione nel rapporto di lavoro sportivo, ma anche di tutti
quelli che attengono all’organizzazione e all’esecuzione del lavoro.
Il potere disciplinare delle società sportive, complementare al potere direttivo,
rafforza la garanzia dell’adempimento della prestazione e delle altre obbligazioni del
professionista e si intreccia organicamente al potere disciplinare della federazione - e
ne risulta alquanto affievolito - in forza dell’ingerenza riservata a quest’ultima, di cui
abbiamo incontrato altri esempi, nel quadro del rapporto associativo in cui s’inscrive
anche il rapporto di lavoro subordinato che necessariamente lo presuppone e può
concludersi fra le parti solo in quanto queste siano state ammesse dalla federazione
rispettivamente all’affiliazione e al tesseramento.
In parole più semplici, il professionista sportivo soggiace al potere disciplinare
della federazione per le violazioni delle norme regolamentari di qualsiasi tipo -
organizzative e tecniche - e le sanzioni irrogate possono riverberarsi sul rapporto di
lavoro sportivo fino a comprometterne, nei casi più gravi, la continuità e la stabilità.
Su questi casi si è pronunciata la giurisprudenza che ha sottolineato come certi
provvedimenti disciplinari irrogati dalla federazione al giocatore, come una squalifica
per un lungo periodo di tempo, colpiscono oltre al giocatore, inibendogli l’attività
agonistica, anche la società, inibendone l’impiego e si riflettono sul rapporto di
lavoro con la conseguente attenuazione dei diritti che ne derivano.118 Non a caso,
alcuni accordi collettivi (F.I.G.C.-A.I.C. e F.I.P.-G.I.B.A.) determinano e regolano le
della squadra affidatagli e di cui assume la responsabilità e, per quanto riguarda il conseguimento degli scopi agonistici,
quello di tutelare e valorizzare il potenziale atletico della società, di sorvegliare la condotta morale e sportiva dei
calciatori, di favorire e sviluppare lo spirito di corpo della squadra. Inoltre, di particolare rilievo in senso negativo, è
posto il divieto di trattare il trasferimento dei calciatori (art. 10).
118
Pret. Roma, 17 luglio 1981, in Riv. dir. sport., 1983, 438, e in Nuovo dir., 1983, 459, con nota di QUATTROCCHI.
Secondo Cass., 5 marzo 1986, n. 1438, in Riv. dir. sport., 1987, 284, nell’ipotesi di licenziamento intimato dalla società
a seguito di radiazione dell’allenatore-preparatore atletico, il datore di lavoro, trattandosi sostanzialmente di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve dimostrare che la condizione di tesserato è stata dedotta in
contratto, come qualità essenziale del lavoratore, e che essa sia richiesta per lo svolgimento delle concrete mansioni.
53

conseguenze dei provvedimenti disciplinari federali, come ad esempio la squalifica,


sulla retribuzione e la sua decurtazione.
Anteriormente all’emanazione del D. Lgs. n. 242 del 1999 i provvedimenti
disciplinari delle federazioni nei confronti degli associati, in quanto promananti da
enti in rapporto d’immedesimazione organica con il C.O.N.I., e in quanto fondati sul
potere di supremazia speciale attribuito alle federazioni in funzione del
perseguimento delle finalità pubbliche assegnate al C.O.N.I. e con esso condivise,
sono state concordemente qualificate come provvedimenti amministrativi riferibili a
situazioni soggettive protette come interessi legittimi e tutelabili dinanzi al giudice
amministrativo. Opportunamente, però, la giurisprudenza, a fronte di situazioni in
realtà non omogenee, ha successivamente introdotto una distinzione fondata sulla
diversa incidenza dei provvedimenti disciplinari, argomentando che, come l’atto
costitutivo del rapporto di affiliazione è un provvedimento autoritativo e
discrezionale delle federazioni che si avvalgono di ampie facoltà di apprezzamento,
al cospetto delle quali l’interesse dell’affiliando è tutelato solo in via mediata e
secondaria, così i provvedimenti disciplinari che alterano o recidono stabilmente il
suddetto rapporto devono considerarsi provvedimenti amministrativi che, in quanto
lesivi di interessi legittimi, sono soggetti al sindacato del giudice amministrativo.119
Peraltro, da un lato, l’art. 15 del decreto legislativo citato ha sancito la natura di
associazioni con personalità giuridica di diritto privato delle federazioni, onde
l’orientamento accennato dovrà essere soggetto a revisione, con la conclusione che
anche la materia disciplinare debba essere ricondotta all’alveo contrattuale del
rapporto associativo e alla categoria dell’inadempimento delle obbligazioni. D’altro
lato, l’art. 2, 1° co., della legge 17 ottobre 2003, n. 280, come è noto, ha riservato agli
organi federali di giustizia sportiva la cognizione sui comportamenti rilevanti sul
piano disciplinare e sull’irrogazione delle relative sanzioni sportive e il quadro di
riferimento sembra ormai definitivamente delineato dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 49 del 2011 che ha deciso che, nelle ipotesi in cui il provvedimento
disciplinare interessi una situazione giuridicamente rilevante per l’ordinamento
generale, come previsto dall’art. 1 della stessa legge, il giudice amministrativo può
sindacare in via incidentale e indiretta la sanzione disciplinare solo al fine di
pronunciare sulla domanda di risarcimento proposta dal destinatario della sanzione e
senza il potere di annullare la sanzione che è riservato, come detto, alla giustizia
sportiva.120
119
V., tra le ultime, T.A.R. Lazio, 19 marzo 2008, n. 2472, in Foro it., 2008, III, 599; T.A.R. Lazio, 22 agosto 2006, n.
4666 e n. 4671, rispettivamente in Foro it., 2006, III, 538, e Foro amm.-TAR, 2006, 2967; Cons. Stato, 30 ottobre 2000,
n. 5846, in Cons. Stato, 2000, I, 2353 (m.); T.A.R. Lazio, 29 marzo 1999, n. 781; T.A.R. Lazio, 16 aprile 1999, n. 962 e
963, tutte in Riv. dir. sport., 1999, 582, nonché le numerose decisioni dello stesso Tribunale e di altre autorità giudicanti
citate nella nota di commento di GUIDOLINI, Sulla sindacabilità, da parte del giudice statale, dei provvedimenti
disciplinari delle federazioni sportive nazionali e dell’Unione Nazionale Razze Equine, ibid., 590.
120
Sull’appartenenza al diritto privato delle sanzioni disciplinari, inquadrando il problema nella prospettiva
dell’ordinamento statale, si era già espresso LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975, 239 e ss. Di recente, Cass.,
sez. un., ord. 4 agosto 2010, n. 18052 e, in precedenza, Cass., sez. un., 23 marzo 2004, n. 5773, hanno confermato che il
sistema di giustizia sportiva è di tipo associativo e funziona secondo gli schemi del diritto privato. La sentenza della
Corte Costituzionale, 8 febbraio 2011, n. 49, commentata criticamente da DE SILVESTRI, La Corte Costituzionale
”azzoppa” il diritto d’azione dei tesserati e delle affiliate, in www.giustiziasportiva.it, 2011, I; E. LUBRANO, La
Corte Costituzionale n. 49/2011: nascita della giurisdizione meramente risarcitoria o fine della giurisdizione
54

Inoltre, il professionista sportivo soggiace al potere disciplinare della società


per gli inadempimenti contrattuali e, in questa ipotesi, si realizza una convergenza
dell’interesse punitivo della società con quello della federazione, dato che l’esercizio
del potere disciplinare della prima vale a rinsaldare anche il vincolo d’appartenenza
dal quale promana l’interesse a conservare, nella sfera dei rapporti associativi,
l’ordinato svolgimento delle relazioni intersoggettive. Il potere disciplinare delle
società è regolato essenzialmente dagli accordi collettivi che, del resto, sono stipulati
dalle leghe delegate per questa funzione dalle federazioni. Di qui l’attenzione degli
ordinamenti federali, anche al di là della configurazione di un settore professionistico
nel loro ambito, che si esprime nella previsione dell’obbligatorietà della clausola
compromissoria per devolvere a collegi arbitrali la risoluzione delle controversie sui
provvedimenti disciplinari e nella predisposizione degli strumenti per rendere efficaci
e dare esecutività alle decisioni dei collegi stessi nell’ordinamento federale.121
Per quanto riguarda più specificamente il contratto di lavoro sportivo, v’è da
considerare che l’abituale previsione negli accordi collettivi e nei contratti tipo del
rinvio alle norme statutarie e regolamentari della federazione e dell’accettazione e
sottomissione da parte del professionista ai provvedimenti federali, determina la
sostanziale equivalenza, nel rapporto fra le parti contraenti, tra illeciti sportivi ed
illeciti o inadempimenti contrattuali, cosicché anche l’infrazione alle norme
regolamentari può essere sanzionata dalla società e dagli organi preposti della
federazione.122
In questa cornice, del tutto speciale, si inserisce l’ultimo comma dell’art. 4
della legge n. 91 che dichiara non applicabile l’art. 7 s.l. alle sanzioni disciplinari
irrogate dalle federazioni.
Considerando che sarebbe stato inutile o di poco senso esimere espressamente
la federazioni dall’osservanza di tale norma rispetto alle sanzioni inflitte per
infrazioni sportive, in quanto non correlate al rapporto di lavoro ma a quello
associativo, non sembra dubbio che l’ultimo comma dell’art. 4 abbia voluto riferirsi
alle sanzioni disposte dalla federazione per la violazione degli obblighi del contratto
di lavoro,123 salvaguardando, ancora una volta, l’organizzazione sportiva e le
modalità e le forme proprie dei suoi procedimenti interni.
Dato che le società sportive non sono state accomunate alle federazioni, esse,
pur nella ridotta autonomia nell’esercizio del potere disciplinare, sono tenute, invece,
al rispetto delle garanzie procedurali dell’art. 7 s.l.124 Devono quindi, innanzi tutto,

amministrativa in materia disciplinare sportiva…?, in Riv. dir. economia sport, 2011, 1, 63, ha pronunciato su rinvio
del T.A.R. Lazio, ord. 28 gennaio 2010, n. 241, e ha ripreso il pensiero già espresso da Cons. Stato, 25 novembre 2008,
n. 5782. Queste sentenze, per la parte che qui interessa, sono riportate in questo sito nella sezione Giustizia sportiva-
Giurisprudenza.
121
Per l’approfondimento di questo e degli altri aspetti dell’apparato disciplinare sportivo v. FRATTAROLO, I
procedimenti disciplinari sportivi, in Riv. dir. sport., 1992, 555.
122
SENSALE, Il potere d’iniziativa delle società di calcio in relazione ai procedimenti disciplinari a carico di tesserati
della F.I.G.C., in Riv. dir. sport., 1984, 36, a commento di una decisione del Collegio di disciplina e conciliazione
istituito presso la Lega Nazionale Professionisti, in parte riportata nello scritto, che ha dichiarato ammissibile il ricorso
alternativo all’uno e all’altro tipo di sanzione.
123
V., fra gli altri, DE CRISTOFARO, cit., 598; ID., Problemi attuali di diritto sportivo, in Dir. lav., 1989, I, 95;
BONAVITACOLA, cit., 39; BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 22; VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo, cit., 220.
124
ICHINO, Il contratto di lavoro, in Trattato dir. civ. comm., a cura di CICU-MESSINEO-MENGONI, 355.
55

provvedere all’affissione in luogo accessibile ai lavoratori delle norme disciplinari


relative a sanzioni, infrazioni e procedure di contestazione, secondo quanto stabilito
in materia dagli accordi collettivi, così come previsto dal cpv. dell’art. 7. L’accordo
collettivo F.I.P.-G.I.B.A. dispone espressamente in tal senso.
Per quanto concerne specificamente le procedure contrattuali, di cui ci
occuperemo nel prossimo paragrafo, occorre però verificare in concreto se possano
sostituire o meno, in virtù delle garanzie offerte, quelle stabilite dalla legge.

17. Le sanzioni e i procedimenti disciplinari.

La regolamentazione della materia disciplinare nei principali accordi collettivi


e nei contratti tipo, e cioè F.I.G.C.-A.I.C., F.I.G.C.-A.I.A.C. e F.I.P.-G.I.B.A.,
rispecchia il sistema sanzionatorio descritto nel paragrafo precedente, ove il potere
disciplinare federale si aggiunge e interferisce con quello societario datoriale.
Nei primi due casi riguardanti il calcio, le sanzioni applicabili sono
l’ammonizione scritta, la multa, la riduzione dei compensi, l’esclusione temporanea
dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la prima squadra
(naturalmente non prevista per gli allenatori del calcio) e la risoluzione del contratto.
L’accordo collettivo dei calciatori ha introdotto nella procedura la previa
contestazione scritta dell’addebito e la difesa dell’incolpato nell’ipotesi in cui la
sanzione può essere comminata direttamente dalla società, vale a dire quando si tratta
dell’ammonizione scritta e della multa di importo non superiore 5% di un dodicesimo
della retribuzione fissa annuale lorda. La previa contestazione scritta, ma senza
termine per le giustificazioni, è prevista anche nel caso in cui la società intenda
applicare la sanzione provvisoria e diretta dell’esclusione dalla preparazione e/o dagli
allenamenti con contestuale invio della proposta al calciatore e al Collegio arbitrale.
Invece, le sanzioni più gravi sono decise in unica istanza dal Collegio arbitrale su
proposta della società e non sono previste la previa contestazione e la difesa del
calciatore, dato che l’accordo collettivo rinvia al regolamento del Collegio che,
tuttavia, detta le disposizioni di carattere procedurale per lo svolgimento
dell’arbitrato, con l’ovvia regola base del rispetto del contraddittorio.
L’accordo collettivo degli allenatori autorizza la società all’irrogazione diretta
della multa per le prime due volte e con il limite del 10% su un dodicesimo del
compenso globale annuo. Non prevede la contestazione preventiva, che dovrebbe
comunque essere indirizzata all’allenatore, a mente dell’art. 7 s.l., limitandosi a
prescrivere che il provvedimento disciplinare deve essere comunicato insieme alla
motivazione all’allenatore che ha la possibilità di ricorrere al Collegio arbitrale.
Quest’ultimo decide in unica istanza anche sulle sanzioni più gravi su proposta
motivata della società.125

125
Il Collegio arbitrale, che assume la funzione ex art. 4 della legge n. 91, è composto di tre membri di cui due designati
di volta in volta rispettivamente dalla società e dal calciatore o dall’allenatore tra le persone nominate in elenchi
depositati dalla Leghe e dall’A.I.C. (o dall’A.I.A.C.) presso la Federazione. Anche il Presidente deve essere scelto in un
56

Dunque, ad esclusione delle sanzioni minori a carico dei calciatori, le


disposizioni contrattuali accennate appaiono in contrasto con l’art. 7 s.l., e la
possibilità e il diritto di ricorrere al Collegio arbitrale dopo l’irrogazione della
sanzione non possono essere equiparati al diritto di discolparsi prima della decisione
della società, sia perché essa, esaminate le giustificazioni del lavoratore, potrebbe
mutare opinione ed astenersi dall’irrogazione, sia perché il ricorso al Collegio
arbitrale, senza essere ammessi preventivamente a far valere le proprie ragioni e
come unico mezzo per evitare la definitiva applicazione della sanzione, è un rimedio
intrinsecamente più gravoso e dispendioso. Del resto, una simile forma di controllo
successivo e di tutela a favore del lavoratore è preordinata dall’art. 7, 6° e 7° co., s.l.,
mediante la facoltà riconosciutagli di promuovere la costituzione di un collegio di
conciliazione e arbitrato tramite l’Ufficio provinciale del lavoro e con gli ulteriori
benefici della sospensione della sanzione fino alla pronuncia del collegio (o del
giudice, se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria) e dell’inefficacia della
sanzione medesima se il datore non nomina entro dieci giorni il proprio
rappresentante in seno al collegio.126
Peraltro, è da escludere, per una molteplicità di ragioni, che per quanto
riguarda le sanzioni di competenza dei Collegi arbitrali, questi possano essere
considerati organi di giustizia federale e valga quindi l’esenzione di cui all’ultimo co.
dell’art. 4 e, cioè, se i relativi provvedimenti rientrino fra quelli federali non soggetti
all’osservanza dell’art. 7 s.l.: la loro composizione, demandata anche alle indicazioni
e alle scelte delle associazioni sindacali dei professionisti; la precarietà dei singoli
collegi che vengono nominati dalle parti “private” e cessano la loro funzione per ogni
specifica controversia; la definitività delle decisioni senza possibilità di ricorrere ad
altro organo di giustizia interna. Il Codice di giustizia della F.I.G.C., nella sintetica
disposizione che gli è dedicata, separa concettualmente il Collegio arbitrale dagli
organi di giustizia ed afferma soltanto che le sue decisioni hanno piena efficacia per
la Federazione, affidandone per il resto la regolamentazione alla contrattazione
collettiva.
Gli accordi collettivi non precisano se i Collegi in questione debbano limitarsi
ad accogliere o respingere la proposta, ovvero abbiano anche il potere di stabilire una
diversa sanzione, almeno in senso più favorevole al professionista. La soluzione in

elenco depositato presso la Federazione, preventivamente concordato fra le parti firmatarie dell’accordo collettivo. In
entrambi i casi il lodo è irrituale.
126
Nell’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. la sanzioni più lieve del richiamo verbale può essere adottata direttamente
dalla società, mentre per le ulteriori (richiamo scritto, multa, sospensione dall’attività anche nella forma dell’esclusione
dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato della prima squadra, licenziamento per giusta causa) la procedura
segue lo schema dell’art. 7 s.l. Tratti distintivi del sistema disciplinare in questione, rispetto a quello in vigore nel
calcio professionistico, sono l’istituto della recidiva, valida solo in riferimento alle infrazioni commesse durante la
medesima stagione sportiva, con la specificazione delle sanzioni applicabili in tal caso; la responsabilità solidale delle
società per il pagamento delle sanzioni pecuniarie, salvo il diritto di regresso. La cognizione dei ricorsi contro i
provvedimenti disciplinari è devoluta ad un Collegio permanente di conciliazione e arbitrato, istituito presso la Lega di
serie A e a composizione mista Lega-G.I.B.A., che funziona, anch’esso, come collegio arbitrale ex art. 4 della legge n.
91 per tutte le controversie originate dall’accordo collettivo e dal contratto di lavoro. Il Collegio decide all’esito di un
procedimento che richiama le formalità e ricalca le fasi essenziali del processo civile e del lavoro. Il lodo è irrituale ed
è impugnabile, con l’autorizzazione federale, nei modi e nei termini dell’art. 412 quater cod. proc. civ. (v., infra, par.
25).
57

senso positivo è confortata, sotto un primo aspetto, dal fatto che gli arbitri devono pur
sempre valutare la congruità della sanzione e l’accoglimento e il rigetto della
proposta racchiudono anche la soluzione intermedia della riduzione; sotto un secondo
aspetto, dal fatto che anche nella materia disciplinare contrattuale, come accade
d’altronde per qualsiasi altro rapporto di lavoro, la sanzione deve essere commisurata
e graduata in funzione della gravità dell’infrazione, come pure l’accordo collettivo
F.I.G.C.-A.I.C. dispone espressamente sia in via generale che nell’ipotesi di riduzione
del compenso a seguito di squalifica federale.
Restano da esaminare brevemente le sanzioni che il Collegio arbitrale può
infliggere.127
L’importo massimo della multa per i calciatori è del 25% (30% per gli
allenatori) di un dodicesimo del compenso annuo lordo e la riduzione di tale
compenso non può superare il 40% della quota relativa al periodo per il quale è
richiesta la riduzione. Inoltre la riduzione del compenso può essere ancora richiesta in
misura fino al 50% per i calciatori (e al 40% per gli allenatori) degli importi relativi
al periodo in cui deve essere scontata una squalifica comminata dalla F.I.G.C.,
dall’U.E.F.A. o dalla F.I.F.A. Nel caso di squalifica per doping, la riduzione può
essere pari all’intera retribuzione fissa e variabile
La sospensione temporanea dagli allenamenti e dalla preparazione
precampionato e la risoluzione del contratto devono essere proposte dalla società
entro dieci giorni dalla data in cui è stata accertata l’infrazione.
La risoluzione del contratto del calciatore è specificamente prevista in caso di
doping (in alternativa alla riduzione della retribuzione) e per malattia o
menomazione dipendenti da colpa grave, oltre che per un grave inadempimento
contrattuale. E’ indubbio che si sia voluto qui far riferimento al principio generale
dell’art. 2119 cod. civ., principio ovviamente valido anche per gli allenatori per i
quali, inoltre, l’accordo collettivo stabilisce come causa di risoluzione l’inabilità, per
malattia o infortunio dipendente da condotta sregolata o da altre cause attribuibili a
colpa del professionista e per condanna a pena detentiva per reati non colposi, passata
in giudicato e non sospesa o condonata.128

18. La retribuzione e l’indennità di fine carriera.

Il corrispettivo della prestazione di lavoro sportivo consiste in un compenso


annuo lordo che gli accordi collettivi definiscono, in genere, globale e
127
Per un’esauriente casistica in tema di applicazione di sanzioni da parte del collegio arbitrale F.I.G.C.-A.I.C., cfr. DE
SILVESTRI, Il contenzioso tra pariordinati nella Federazione Italiana Giuoco Calcio, in Riv. dir. sport., 2000, 503 ed
ivi 558 e ss.
128
L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A., di dubbia legittimità in quanto esplicitamente concordato in deroga all’art. 7
s.l., fissa la misura massima della multa in 4 ore della retribuzione base (intendendosi per ora di retribuzione 1/200 del
compenso annuo) e quindi 2/100 del compenso stesso. In caso di reiterazione di multe per le medesime infrazioni la
loro entità non può superare nella stagione sportiva 1/10 del compenso. L’esclusione dagli allenamenti è applicabile per
un periodo da 1 a 3 mesi. La risoluzione del contratto, oltre al caso delle infrazioni alle quali si è accennato nel testo a
proposito dei calciatori, è applicabile anche nel caso di uso di sostanze e metodi doping, di sostanze psicotrope, di frode
sportiva, di assenza ingiustificata a più di una gara nel corso della stagione.
58

onnicomprensivo, nel senso che comprende e assorbe ogni emolumento o indennità


cui il professionista possa aver diritto per trasferte, ritiri, gare notturne, ma anche per
riposi, ferie, permessi, ecc.129
E’ evidente, pertanto, che con il compenso o la retribuzione così definita deve
intendersi remunerata ogni prestazione, prescindendo dalla sua distribuzione
temporale nell’arco del giorno, della settimana o della stagione sportiva. Alla
disciplina del lavoro sportivo restano perciò estranei elementi retributivi quali le
maggiorazioni per lavoro straordinario (così come lo è qualsiasi determinazione
dell’orario di lavoro da osservare), notturno, festivo o istituti di origine contrattuale,
quali le mensilità aggiuntive e gli scatti di anzianità.
Il compenso globale fisso può essere integrato da elementi variabili, anche solo
eventuali, come premi individuali130 e collettivi, tipicamente ancorati al rendimento e
ai risultati positivi conseguiti dal professionista o dalla squadra,131 ovvero compensi
derivanti dalla partecipazione ad iniziative promozionali e pubblicitarie della società.
Anche questa parte della retribuzione deve essere determinata ed individuata
nel contratto, in modo particolare nei contratti pluriennali nei quali deve essere
indicata l’annualità della retribuzione, talvolta essendo prevista, in difetto, la nullità
del contratto.132
Si è già visto che per la validità di qualunque patto riguardante la retribuzione è
necessario che esso risulti dal documento depositato ed approvato a norma del 2° co.
dell’art. 4, ed occorre che sia risolto in senso positivo l’interrogativo
sull’ammissibilità di clausole più favorevoli al prestatore di lavoro come quelle che
riconoscano individualmente elementi retributivi non contemplati dall’accordo
collettivo e dal contratto tipo.
La misura del compenso individuale è rimessa alla libera pattuizione delle
parti, con l’obbligo dell’osservanza dei minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva
in funzione della serie d’appartenenza delle squadre o delle diverse figure
professionali o anche dell’età degli atleti.133
Secondo l’espressa disposizione dell’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., la
retribuzione non è riducibile e non può essere sospesa, salve le ipotesi

129
Così l’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. per la più ampia previsione, mentre l’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C.
include nell’assorbimento trasferte, ritiri, gare notturne e qualsiasi ulteriore indennità o trattamento cui il calciatore
abbia diritto in forza di legge o contratto.
130
Nell’ambito della F.I.G.C. i premi individuali per calciatori ed allenatori, vietati da una delibera del 1993 diretta a
frenare l’indebitamento delle società, sono ora consentiti (art. 93 N.O.I.F.), purché stipulati contestualmente al contratto
oppure con scritture integrative da depositare entro il 31 dicembre di ciascuna stagione sportiva.
131
Secondo Trib. Perugia, 10 aprile 1996, in Giur. merito, 1996, 864, quando il mancato raggiungimento del risultato
sia addebitabile a fatto della società sportiva, a seguito d’annullamento della promozione alla serie superiore per fatto
illecito disciplinare, è dovuto egualmente il compenso pattuito per tale risultato.
132
Così, ancora, l’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. che consente che il compenso fisso possa essere composto anche da
benefit, quali l’uso di alloggio, di autovettura anche in questo caso da esplicitare nel contratto imputando il costo
sostenuto dalla società all’ammontare della retribuzione.
133
L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. ha stabilito minimi da 19.000 a 25.000 euro proprio in funzione dell’età con
incrementi per i giovani di serie che iniziano l’attività professionistica.
Da tempo si discute sull’opportunità dell’introduzione, a scopo calmieratore dei costi di gestione delle società e di
equilibrio finanziario dei settori professionistici, sul modello delle leghe professionistiche statunitensi, del c.d. salary
cap, vale a dire di un tetto massimo di spesa per gli stipendi dei giocatori. V., in proposito, WEILER, Sui problemi
giuridici delle leghe professionistiche: il modello americano, in Riv. dir. sport., 1997, 416.
59

dell’applicazione del provvedimento disciplinare della riduzione a seguito di


squalifica dell’atleta. Con il divieto di riduzione viene recuperato a livello
contrattuale un diritto fondamentale del lavoratore che ha la sua principale
espressione normativa nell’art. 2103 c.c., come modificato dall’art. 13 s.l. non
applicabile al contratto di lavoro sportivo.
Oltre alla riduzione unilaterale della retribuzione da parte del datore di lavoro,
non dovrebbe essere ammessa anche quella frutto di accordo fra le parti, di fatto
verificatosi in qualche caso, in forza del 2° co. dell’art. 2077 c.c. e del 3° co. dell’art.
4 della legge n. 91, se si ritiene che l’accordo di riduzione introduca nel contratto una
clausola difforme e meno favorevole al lavoratore rispetto a quella dell’accordo
collettivo che vieta, appunto, la riduzione.
Il pagamento del compenso fisso annuale deve essere effettuato in dodici rate
mensili eguali posticipate e il ritardo oltre un mese dà diritto agli interessi legali,
oppure pari al tasso ufficiale di sconto (accordo F.I.G.C.-A.I.A.C).134 In base
all’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., la morosità della società, protratta per altri
venti giorni oltre il suddetto termine è motivo di risoluzione del contratto. Anche in
questa materia decide in unica istanza il Collegio arbitrale competente per le sanzioni
disciplinari su richiesta del calciatore che deve essere preceduta dalla messa in mora
della società da inviarsi una volta trascorso l’intero periodo di morosità. La società
può evitare la risoluzione del contratto pagando il dovuto entro venti giorni dal
ricevimento della raccomandata di messa in mora e, se non vi provvede e non si
oppone con le proprie contestazioni motivate e documentate al Collegio, quest’ultimo
pronuncia la risoluzione. Il calciatore conserva il diritto alla retribuzione fino al
termine della stagione o fino alla stipulazione di un nuovo contratto, se antecedente, e
nel caso in cui sia avvenuta la cessione temporanea del contratto, ha diritto al
ripristino del rapporto con il cedente che sarà tenuto, salvo regresso, al pagamento di
tutte le retribuzioni maturate e, per il prosieguo della stagione, al pagamento del
maggior compenso pattuito fra il calciatore e la società cessionaria inadempiente.
L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. dispone una procedura in molti punti coincidente
con quella accennata, ma in relazione a morosità per un importo corrispondente a due
mensilità del compenso fisso.
L’art. 4, 7° co., della legge n. 91 dispone che le federazioni possono prevedere
la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per
la corresponsione dell’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a norma
dell’art. 2123 cod. civ.
L’ambigua disposizione, ereditata da un accordo collettivo risalente al 1974,
che per primo aveva previsto la costituzione di un fondo per l’indennità di “fine
carriera” per i calciatori e gli allenatori appartenenti alla F.I.G.C., ha suscitato
qualche perplessità e qualche opinione divergente. In effetti il diritto all’indennità di
anzianità è attribuito dall’art. 2120 c.c., poi sostituito dall’art. 1 della legge 25
maggio 1982, n. 287, istitutiva del trattamento di fine rapporto, mentre l’art. 2123
concede all’imprenditore la facoltà di dedurre quanto ha versato per atti di previdenza
134
Ai calciatori è riconosciuta anche la rivalutazione monetaria per ritardi di pagamento superiori al mese. L’accord
paritaire AIGCP-CPA, cit., invece riconosce il tasso fisso d’interesse del 5%.
60

volontaria dall’importo dell’indennità di anzianità o del t.f.r., che il prestatore di


lavoro ha diritto di percepire. Non sembra dubbio, perciò, che la maldestra
formulazione del 7° co. non possa avere altro significato plausibile se non che il
fondo di cui si tratta, laddove sia stato costituito, sostituisce il t.f.r. Esso, altrimenti,
viene corrisposto al termine del rapporto di lavoro, secondo le disposizioni della
legge n. 297 del 1982, anche, in ipotesi, a favore degli appartenenti ad una categoria
professionale (per es.: i direttori tecnici) che, a differenza di altre nell’ambito della
medesima federazione, non sia stata interessata dalla costituzione del fondo. Questa
soluzione spiega anche perché l’art. 2120 cod. civ. e l’art. 9 della legge n. 604 del
1966, che aveva esteso ad ogni caso di risoluzione del rapporto l’obbligo di
pagamento dell’indennità di anzianità, non siano stati richiamati dal penultimo
comma dell’art. 4 come norme non applicabili al rapporto di lavoro sportivo.135
L’elemento che emerge con prevalenza dal dictum normativo esaminato è
quello della corresponsione dell’indennità di anzianità e, quindi, al pari di questa o
del t.f.r., al quale si avvicina per la modalità dell’accantonamento, dovrebbe rivestire
la natura ed assumere la funzione di retribuzione differita, almeno per la quota di
contribuzione a carico della società sportiva, dato che i fondi costituiti sono
alimentati anche dai versamenti degli sportivi effettuati dal datore di lavoro mediante
trattenuta sulla retribuzione.136 Il meccanismo è pertanto quello stesso dell’art. 2123,
la cui disciplina ha tenuto conto del fatto che tradizionalmente nei fondi di previdenza
volontaria affluiscono, appunto, i contributi dei lavoratori.
In conclusione, nel rapporto di lavoro sportivo i fondi di previdenza volontaria,
in quanto previsti dalla federazione, tengono luogo del t.f.r., con la differenza che
all’accantonamento partecipa anche il professionista lavoratore subordinato. Al t.f.r.,
da corrispondere al termine del rapporto, fa invece esplicito riferimento l’accordo
collettivo F.I.G.C.-A.DI.SE. applicabile ai direttori tecnico-sportivi.
Peraltro, un secondo elemento distintivo stabilito dal 7° co. si sostanzia nella
corresponsione di siffatto trattamento al termine dell’attività sportiva, non al termine
del rapporto di lavoro.137 Supponendo il caso più comune, soprattutto per gli atleti e
gli allenatori, di una pluralità di rapporti nel corso della carriera, il professionista
sportivo acquisisce il diritto alla liquidazione del fondo con la cessazione dell’ultimo
rapporto, coincidente con il termine della sua attività sportiva, e ciò sembra conferire
al fondo stesso una funzione piuttosto previdenziale che retributiva, mentre, sotto
altro aspetto, ne conferma la funzione sostitutiva del t.f.r.
135
SANINO-VERDE, cit., 289; BIANCHI D’URSO-VIDIRI, cit., 20; GRASSELLI, L’attività sportiva
professionistica, cit., 36; D’HARMANT FRANCOIS, Note sulla disciplina, cit., 856; ID., Il rapporto di lavoro, cit., 10,
secondo il quale l’indennità di anzianità spetta in ogni caso in forza della generale applicazione ad ogni rapporto di
lavoro delle norme che ne stabiliscono l’obbligo di corresponsione. Sostanzialmente non dissimile l’opinione di
MAZZOTTA, cit., 305, e MERCURI, cit., 515, che attribuiscono, però, al fondo funzione sussidiaria-integrativa e/o
sostitutiva, funzioni, queste, in certo modo fra loro antitetiche, mentre BONAVITACOLA, cit., 36, sostiene che
l’indennità di anzianità spetterebbe al momento della risoluzione del rapporto e l’eventuale eccedenza del fondo al
termine dell’attività sportiva.
136
Gli accordi collettivi prevedono uniformemente l’aliquota del 6,25% a carico delle società e dell’1,25% a carico
degli sportivi sul compenso globale lordo e sui premi. L’accordo F.I.P.-G.I.B.A. fissa un massimale di 60.000 euro
rivalutabile in base agli indici ISTAT in ogni stagione successiva.
137
In tal senso, con specifico riferimento all’accordo collettivo del 1974, Pret. Napoli, 6 febbraio 1980, in Foro it.,
1980, I, 1201, e in Riv. dir. sport., 1980, 362.
61

In tale assetto è di ben difficile attuazione pratica il disposto dell’art. 2123


perché solo l’ultimo datore di lavoro potrebbe detrarre i propri contributi versati al
fondo. Si deve pertanto concludere che il richiamo dell’art. 2123 vale limitatamente
al principio della volontarietà e della partecipazione contributiva del lavoratore.138

19. I diritti accessori alla prestazione di lavoro. In particolare: il diritto ai


riposi settimanali e annuali; il diritto di sciopero.

In correlazione con l’obbligo d’esecuzione della prestazione sportiva, il


lavoratore ha diritto a periodi di riposo settimanale e annuale la cui durata è stabilita
dalle norme collettive. Non si parla di pausa nell’esecuzione della prestazione
giornaliera, dato che ben raramente essa attinge la durata di otto ore in funzione della
quale la legge prescrive la necessità dell’interruzione e, seppur ciò possa accadere, si
tratta il più delle volte di impegno discontinuo o di situazioni caratterizzate da fasi
d’attesa.
Nella determinazione dei giorni e dei periodi di riposo settimanale e annuale
gioca un ruolo importante l’esigenza del rispetto dei calendari agonistici, sicché non
si adatta al lavoro sportivo, almeno nel caso degli atleti e degli allenatori, la regola
del rispetto del riposo domenicale affermata dalla legge (art. 2109, 1° co., c.c.; v.
anche l’art. 9 del D. Lgs. 8 aprile 2003, n. 66), così come quella della sospensione del
lavoro nei giorni in cui cadono le festività nazionali e infrasettimanali, essendo in
genere la domenica e gli altri giorni festivi per lunga tradizione deputati allo
svolgimento delle manifestazioni sportive e il lunedì il giorno dedicato al riposo,
compatibilmente, però, con eventuali impegni nei giorni feriali o con eventuali
convocazioni nella rappresentativa nazionale, comunque restando impregiudicato il
diritto ad un giorno di riposo.
La pausa annuale (ferie) è generalmente fissata in 4 settimane consecutive,
compresi i giorni festivi e di riposo settimanale, corrispondenti al periodo di
sospensione estiva dell’attività agonistica, salve anche in tale ipotesi la convocazione
in nazionale o la possibilità di interruzione del periodo per richiamo in sede con
diritto al recupero in un altro periodo dell’anno.139
L’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C. attribuisce al calciatore anche il diritto ad
un congedo matrimoniale di 5 giorni consecutivi usufruibile dal giorno precedente il
matrimonio ma, tenendo conto delle esigenze dell’attività agonistica, anche nei 30
giorni successivi.140
138
E’ da notare che l’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A., pur richiamando il concetto di “fine carriera”, sembra però
ignorare la disposizione sul termine dell’attività sportiva, quando afferma che i versamenti effettuati al fondo sono
sostitutivi di ogni prestazione, indennità o trattamento cui l’atleta abbia diritto in relazione alla cessazione del rapporto.
139
L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. nello stabilire in 40 giorni il diritto alle ferie e i periodi in cui esse possono
essere godute, fa salvi gli impegni con la squadra nazionale che perciò non danno diritto al recupero. I ciclisti, in base
all’accord paritaire, cit., hanno diritto a 35 giorni di riposo, in genere coincidente con la pausa invernale delle gare e
non sostituibile con compensi monetari.
140
Dato che il congedo matrimoniale ha genesi legale (art. unico R.D.L. 24 giugno 1937, n. 1334), esso deve ritenersi
spettante, con il limite di 15 giorni, a tutti i professionisti sportivi secondo un’interpretazione estensiva della norma che
riguarda specificamente gli impiegati.
62

Un rapido cenno va fatto ad altri diritti degli atleti riconosciuti dalle norme
collettive: quello di disporre di attrezzature e impianti idonei alla preparazione
atletica e di ambienti adeguati alla loro dignità professionale, cui però corrisponde
l’obbligo di custodire con diligenza indumenti e materiali sportivi forniti dalla
società; quello di usufruire di adeguati mezzi di trasporto e di vitto ed alloggio in
occasione di trasferte e ritiri; il diritto allo studio e all’incremento della cultura che la
società ha il dovere di promuovere e sostenere, secondo le condizioni stabilite
d’intesa fra le parti collettive compatibilmente con le esigenze dell’attività
sportiva.141
Del trattamento spettante nei casi di malattia e infortunio o di altri casi di
sospensione del rapporto di lavoro si dirà nel prossimo paragrafo.
All’esercizio dei diritti e delle libertà sindacali si è già accennato nel paragrafo
relativo alle norme dichiarate non applicabili o incompatibili con il contratto di
lavoro sportivo.
Resta da esaminare il tema del diritto di sciopero, delle modalità del suo
esercizio e delle conseguenze sul contratto di lavoro.
Essendo indiscussa la legittimità del ricorso dei lavoratori sportivi
all’astensione collettiva dal lavoro, come espressione di autotutela a sostegno di
istanze di carattere contrattuale, ed essendo legittimate nella pratica anche
manifestazioni di protesta diverse dall’astensione dal lavoro ed aventi particolari
finalità,142 è stata auspicata l’iniziativa delle parti collettive per la regolamentazione
delle modalità di attuazione dello sciopero,143 soprattutto con riferimento all’obbligo
di preavviso144 e in vista di possibili conseguenze prospettabili sul piano sportivo,
come, per esempio, la perdita della gara sanzionata per la sua mancata disputa.145
La consueta riluttanza sindacale ad imbrigliare in regole prefissate l’esercizio
di una libertà fondamentale del lavoratore e, quindi, l’assenza di tali regole è tuttavia
rimediabile, in parte grazie ai concreti mezzi di diffusione delle notizie, sempre
dispensate con prodigalità intorno agli avvenimenti sportivi di maggior risonanza,
tanto da consentire completezza d’informazione sui tempi e i modi dell’eventuale
astensione o di altre azioni di protesta. Per altro verso l’elaborazione di regole valide
anche per il lavoro sportivo dai principi di diritto comune consente, nei rapporti
giuridici con i terzi, di ricondurre il fatto dello sciopero di portata generale
all’esimente della forza maggiore, non invocabile, al contrario, nell’ipotesi in cui si

141
Come si è già osservato (v. par. 13 n. 91), le disposizioni degli accordi collettivi devono essere coordinate in specie
con le prescrizioni dell’art. 10 e 11 s.l., dovendosi comunque ammettere il contemperamento, ove possibile, delle stesse
disposizioni con gli impegni dell’attività agonistica.
142
Una di queste manifestazioni è stata l’inizio in ritardo delle partite di calcio di un turno di campionato per denunciare
all’opinione pubblica l’intollerabilità di alcune aggressioni perpetrate a danno di calciatori.
Illecita l’astensione dalla gara secondo DINI, I diritti di un atleta. Sciopero e protesta, in Riv. dir. sport., 1974, 172, a
commento di un episodio in cui i piloti di una corsa automobilistica l’avevano disertata in segno di solidarietà a favore
di un collega squalificato, al quale, pertanto, era stato impedito di parteciparvi.
143
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, Spunti in tema di sciopero dei calciatori, in Riv. dir. sport., 1983, 193; MILITERNI,
Sciopero dei calciatori e sua eventuale regolamentazione, ibid., 1989, 167
144
SANDULLI, Autotutela collettiva e diritto sportivo, in Dir. lav., 1988, I, 281, che riconnette la necessità del
preavviso all’esigenza di tutela dell’ordine pubblico nelle manifestazioni con seguito di massa e, per lo stesso motivo,
ritiene illegittimi lo sciopero improvviso attuato nel corso della competizione.
145
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, Spunti in tema, cit., 200; SANDULLI, cit., 285.
63

tratti di sciopero circoscritto all’ambito di una determinata società e il motivo


dell’astensione sia addebitabile ad un comportamento (illegittimo) della stessa.
Meno agevole è la determinazione delle conseguenze della mancata
prestazione di lavoro sulla controprestazione retributiva per la difficoltà di
ragguagliare la quantità della prestazione mancata a quella della retribuzione
complessiva e l’irriducibilità di entrambi gli elementi in termini di orario di lavoro.
E’ stata quindi proposta la trattenuta sullo stipendio di un’intera settimana, rispetto
all’astensione dal lavoro per una sola gara settimanale, dovendosi in tal caso tener
conto della perdita di proficuità della preparazione svolta per la gara medesima,146
ovvero la riduzione della retribuzione nella misura del 60%, assumendo come
parametro di riferimento la riduzione comminata in caso di squalifica.147 Un altro
criterio, nel caso di astensione da una o più gare, potrebbe essere quello di dividere il
compenso complessivo per il numero complessivo di gare disputate o da disputare
nella stagione sportiva, moltiplicando il risultato per il numero di gare non disputate e
trattenendo eventualmente il relativo importo al termine della stagione.

20. La tutela sanitaria e antinfortunistica.

La tutela sanitaria degli sportivi professionisti è affidata all’art. 7 della legge n.


91 che appronta una specifica disciplina aggiuntiva in ragione della specialità
dell’attività prestata, ma, com’è evidente, non esaurisce la gamma delle disposizioni
dirette a garantire il diritto alla salute nello svolgimento dell’attività sportiva,
concorrendovi, ad un livello più generale, tanto le disposizioni dell’ordinamento
statale di cui sono destinatari tutti i cittadini, oppure, più specificamente, i lavoratori
subordinati, quanto quelle che si rivolgono alla comunità sportiva ricollegandosi però
alla tutela dell’interesse pubblico alla salute, quanto, ancora, quelle che si rivolgono
al datore di lavoro stabilendo a suo carico obblighi direttamente connessi
all’esecuzione del contratto di lavoro.148
Sul piano contrattuale sono poi da considerare le norme collettive che, in varia
guisa, vengono a completare il quadro dei diritti dei lavoratori sportivi nella materia
ora in esame.

146
BIANCHI D’URSO-VIDIRI, Spunti in tema, cit., 205. Quella accennata nel testo è la domanda avanzata da una
società al Collegio arbitrale F.I.G.C.-A.I.C. che ha così avuto occasione di pronunciare se siano imputabili al calciatore,
rimasto a disposizione della società, gli effetti dello sciopero, rispondendo negativamente, e se la partecipazione agli
allenamenti integri attività lavorativa in adempimento degli obblighi contrattuali, rispondendo positivamente: cfr. DE
SILVESTRI, Il contenzioso tra pariordinati, cit., 557 n. 168.
147
In tal senso, con qualche riserva, SANDULLI, cit., 286 e ss.
148
Sull’applicabilità di tutte le norme di tutela sanitaria e previdenziale dettate a favore del lavoratore, cfr.
CIANNELLA, La tutela della salute nell’attività sportiva, in Riv. dir. sport., 1985, 409; SINISCALCHI, Profili
previdenziali del lavoro sportivo: la legge 23 marzo 1981 N. 91, in Dir. lav., 1988, I, 289. In senso affermativo,
mancando ancora le norme che hanno poi disposto la regolamentazione della materia, si era già espresso Trib. Livorno,
17 dicembre 1963, cit.
64

Al primo ordine di norme di applicazione generale appartengono la legge 23


dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale,149 il D. Lgs. 9 aprile
2008, n. 81 integrato dal D. Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, sul miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.150
Nel secondo ordine sono comprese le norme che tutelano il bene della salute
nello svolgimento dell’attività sportiva in genere, in tutte le sue dimensioni,
professionistica, dilettantistica, giovanile e scolastica, quali quelle recate, in
precedenza, dalla legge 26 ottobre 1971, n. 1099, dal citato D.M. 5 luglio 1975 sulla
disciplina dell’accesso alle singole attività sportive, dal D.M. 18 febbraio 1982,
integrato dal D.M. 28 febbraio 1983, sulla tutela sanitaria dell’attività agonistica, dal
D.M. 13 marzo 1995, sulla tutela sanitaria degli sportivi professionisti, dalla legge 14
dicembre 2000, n. 376, specificamente indirizzata alla lotta contro il doping.151 Si
tratta, in questo secondo caso, di disposizioni che possono talvolta assumere rilievo
indiretto nel rapporto contrattuale poiché la loro inosservanza è motivo d’irrogazione
di sanzioni disciplinari che incidono sullo svolgimento di tale rapporto.152
Ancora sul piano contrattuale opera l’art. 2087 c.c. sotto il duplice profilo della
tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, da
realizzare con l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure ritenute
necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. Sul punto,
dopo alcune lontane decisioni dei giudici di merito, ha interloquito autorevolmente la
Cassazione che ha precisato che, in virtù di questa norma, la società sportiva è tenuta
ad adottare le misure generali di prudenza e diligenza e le cautele necessarie, secondo
le norme tecniche e d’esperienza, a tutelare l’integrità fisica dell’atleta
parametrandole sulla specifica pericolosità dell’attività svolta e seguendolo e
controllandolo con continuità a livello medico.153 In effetti, considerando la natura
dell’attività prestata, spesso altamente pericolosa, soprattutto rispetto alla probabilità
di infortuni, l’eventuale responsabilità della società deve essere valutata con
149
Sui problemi di coordinamento dell’art. 7 della legge n. 91 con la legge n. 833 del 1978, cfr., oltre agli autori citati
nella nota precedente, (AA.VV.) BELLINI, Norme in materia di società e sportivi professionisti, cit., 605; GERMANO,
cit., 484.
150
Gli adempimenti stabiliti dal D. Lgs. n. 81 del 2008 devono intendersi estesi alle società sportive qualora siano
proprietarie o gestiscano luoghi che gli atleti o gli altri professionisti frequentano per eseguire le loro prestazioni,
compresi gli allenamenti, i ritiri, ecc. L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. include tra gli obblighi delle società quello
dell’osservanza e dell’applicazione delle tutele del D.Lgs n. 626 del 1994 e quindi della normativa successiva in
materia.
151
L’art. 1 di quest’ultima legge mette in risalto la relazione di reciprocità fra sport e salute nel senso che l’attività
sportiva è strumento di promozione della salute individuale e collettiva e, quindi, deve essere soggetta ai controlli
previsti dalle vigenti norme in tema di tutela della salute.
152
E’ il caso, per esempio, dell’art. 6 della legge n. 376 del 2000 che impone al C.O.N.I., alle federazioni e alle società
ed associazioni sportive di stabilire le sanzioni e le procedure disciplinari nei confronti dei tesserati in caso di doping o
di rifiuto di sottoporsi ai controlli. L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. vieta espressamente l’assunzione di farmaci non
prescritti o autorizzati dal medico sociale e l’uso, anche occasionale, di sostanze psicotropiche o di metodi doping,
conseguendone, altrimenti, la risoluzione anticipata del contratto.
153
Cass., 8 gennaio 2003, n. 85, in Resp. civ. prev., 2003, 765, con nota di GHERARDI, Responsabilità contrattuale
delle società calcistiche a livello professionistico per infortunio dei calciatori; in Mass. giur. lav., 2003, 236, con nota
di LANOTTE, Infortunio del calciatore, obblighi di sorveglianza sanitaria e profili di responsabilità civile; in Dir. lav.,
2003, II, 277, con nota di LASPINA, Obbligo di sicurezza e società sportive; in Nuova giur. civ., con nota di MINALE,
Specialità del lavoro sportivo, obblighi di sorveglianza sanitaria e responsabilità risarcitoria della società sportiva. La
motivazione è consultabile anche in questo sito nella sezione Lavoro e Società-Giurisprudenza. Precedentemente, nel
senso indicato, Trib. Taranto, 22 aprile 1970, cit., e App. Milano, 23 luglio 1963, cit.
65

particolare attenzione, dovendosi tener conto e ponderare i criteri dettati dalla norma
con il rischio intrinseco alla specifica disciplina sportiva e l’assunzione consapevole
dello stesso da parte dell’atleta. Si può cogliere un’eco degli obblighi datoriali in
questione in quelle disposizioni della contrattazione collettiva che impongono alla
società - e non solo al fine di incrementare il rendimento delle prestazioni agonistiche
- di curare e mantenere la miglior efficienza fisica dell’atleta, fornendo impianti ed
attrezzature idonee alla preparazione e mettendo a disposizione un ambiente consono
alla sua dignità professionale. A fronte dell’obbligo della società, sta però il dovere
dell’atleta di preservare la propria integrità fisica mantenendo una condotta di vita
sana e regolata, a pena, anche in questo caso, come in quello dell’assunzione di
sostanze dopanti, della risoluzione del contratto.
L’art. 7, prescrivendo i modi e le forme del controllo medico dell’attività
sportiva professionistica, ha consolidato il regime di tutela preventiva della salute dei
professionisti sportivi, già instaurato dalla legge n. 1099 del 1971 per la generalità dei
praticanti l’attività agonistica con la previsione di accertamenti periodici
obbligatori154 la cui operatività, a seguito dell’entrata in vigore delle legge n.91, deve
considerarsi ormai riferita all’attività sportiva non professionistica. Infatti, mentre per
la legge n. 1099 la tutela sanitaria era devoluta alle regioni (e, in via transitoria, al
Ministero della sanità in collaborazione con il C.O.N.I.) ed era garantita da visite
mediche obbligatorie di controllo la cui frequenza, in base alla tabella allegata al
D.M. 5 luglio 1975, non è stata mai stabilita, in relazione alle varie discipline sportive
anche professionistiche, in misura inferiore ad un anno, l’art. 7 rinvia, per i controlli
medici, alle norme emanate dalle federazioni ed approvate dal Ministero della sanità;
stabilisce l’istituzione, a cura delle società sportive, di una scheda sanitaria per
ciascun sportivo professionista con l’obbligo di ripetizione degli accertamenti clinici
e diagnostici ed aggiornamento semestrale della stessa scheda. E’ da notare che nel
D.M. 18 febbraio 1982, successivo alla legge n. 91, la disciplina dell’accertamento
d’idoneità per l’accesso alle singole specialità sportive è riferito solo all’età e al sesso
(art. 2) e non più, come nella legge n. 1099, alla qualificazione dilettantistica o
professionistica, ed è inoltre prescritto il rilascio di un certificato d’idoneità valido
sino alla visita successiva (art. 5). Ciò pare confermare che per i professionisti
valgono attualmente solo le regole dell’art. 7.155
Queste ultime, oltre ai controlli semestrali e all’istituzione della scheda,
prescrivono l’obbligo della società di aggiornarla e custodirla con oneri a suo carico,
mentre gli atleti con rapporto di lavoro autonomo devono provvedere personalmente
con spese a proprio carico (co. 4° e 5°), scegliendo un medico di fiducia tra gli
specialisti di medicina dello sport. In particolare, a norma del D.M. 13 marzo 1995,
le funzioni nell’ambito della società sportiva sono svolte dal medico sociale che è il
responsabile diretto della tutela della salute dei lavoratori subordinati, deve assicurare
l’effettivo e puntuale assolvimento degli adempimenti sanitari ed è tenuto a verificare

154
Le modalità di esercizio della tutela, in base all’art. 2, 2° co., della legge n. 1099 del 1971, sono state definite dai
D.M. 5 luglio 1975 e 18 febbraio 1982, già cit., le cui disposizioni sono assistite da sanzioni pecuniarie nei casi
d’inosservanza.
155
Secondo MAZZOTTA, cit., 307, la tutela predisposta dalla legge n. 91 integra le disposizioni della legge n. 1099.
66

costantemente lo stato di salute degli atleti e le eventuali controindicazioni alla


pratica sportiva.
L’istituzione e l’aggiornamento della scheda - dice il 7° co. - costituiscono
condizione per l’autorizzazione da parte della federazione allo svolgimento
dell’attività degli sportivi professionisti.156 L’omissione di tali adempimenti può,
dunque, ripercuotersi sull’esecuzione del contratto di lavoro, qualora la federazione
inibisca l’effettuazione delle prestazioni sportive, con l’attribuzione della relativa
responsabilità alla parte che vi abbia dato luogo, potendosi prefigurare anche quella
dello sportivo, sia esso lavoratore autonomo tenuto a quegli adempimenti, o
subordinato, se, per esempio, si sia sottratto all’obbligo delle visite mediche.
Come si è già accennato, considerando la natura della prestazione sportiva, si
può affermare che, anche prescindendo dalle prescrizioni dell’art. 7, l’accertamento
delle condizioni di salute degli atleti, costantemente aggiornato a scopo di
prevenzione, costituisce un obbligo della società proprio in base all’art. 2087 c.c. e la
sua condotta, anche semplicemente omissiva e negligente al riguardo, è generatrice di
responsabilità.157
Nonostante il 2° e il 7° co. dell’art. 7, concernenti l’istituzione e
l’aggiornamento della scheda, si riferiscano genericamente agli sportivi
professionisti, la particolarità della tutela preventiva, diretta specificamente al
controllo dello stato fisico e le modalità del controllo stesso, suggeriscono la
conclusione che le norme in questione si rivolgano solo agli atleti, come del resto
appare espresso nei co. 4° e 5°.158
Sotto l’aspetto curativo, la contrattazione collettiva integra le prestazioni di
assistenza del servizio sanitario nazionale, in genere, ponendo le relative spese
sanitarie, farmaceutiche, chirurgiche e di degenza a carico delle società sportive, ove
non coperte dall’assistenza pubblica, in ogni caso di malattie o infortuni o
limitatamente a quelli dipendenti o connessi alla pratica agonistica.159

156
Come è stato precisato, la federazione ha il potere di esercitare direttamente il controllo, non solo sull’esistenza e
sulla regolarità formale della scheda, ma anche sul merito degli esami clinici e diagnostici disponendo eventualmente la
loro ripetizione o accertamenti diversi ed ulteriori: cfr., in tal senso, DURANTI, cit., 723; VIDIRI, La disciplina del
lavoro sportivo, cit., 226 e ss.
157
Oltre ai precedenti citati alla nota 146, la responsabilità della società sportiva, a titolo contrattuale ed
extracontrattuale a norma degli art. 1228 e 2049 c.c., per eventi dannosi subiti dall’atleta è stata affermata per il fatto
colposo dei dirigenti e dei responsabili sanitari: si veda, nell’un caso, relativo al giocatore di basket Vendemini, per vero
attinente ad un comportamento doloso per aver il presidente della società, condannato per truffa, ceduto il giocatore ad
altra società pur conoscendo le sue precarie condizioni di salute che ne provocavano poi il decesso, Trib. Forlì, 12
giugno 1981, in Foro it., 1982, I, 269; nell’altro caso, relativo al calciatore Curi, per comportamenti omissivi del
medico sociale, Cass. pen., 9 giugno 1981, ibid., 268. In dottrina, LEPORE, Pratiche sportive e obblighi di protezione
– La tutela della “persona-atleta”, in Contratto Impresa Europa, 2010, 109. Naturalmente nulla si può imputare alla
società se l’evento dannoso sia stato provocato dalla condotta dell’avversario sul terreno di gioco, come ha deciso Trib.
Monza, 23 giugno 1981, in Riv. dir. sport., 1982, 349.
158
In tal senso DURANTI, cit.,723; SINISCALCHI, cit., 293; TORTORA-IZZO-GHIA, cit., 83. Pertanto le altre
categorie professionistiche beneficiano solo dell’assicurazione generale, salvo eventuali disposizioni più favorevoli
delle norme collettive, come nel caso dell’obbligo dell’assicurazione infortuni a favore dei direttori tecnico-sportivi con
contratto di lavoro autonomo.
159
Il primo caso è quello degli accordi collettivi e dei contratti tipo F.I.G.C.-A.I.C. e F.I.G.C.-A.I.A.C. che non recano
distinzioni sull’origine della malattia o dell’infortunio, mentre l’accordo F.I.P.-G.I.B.A. riconosce la tutela integrativa
solo nel secondo caso.
67

Per ciò che attiene alla tutela antinfortunistica, alla quale concorre in misura
rilevante quella apprestata in via preventiva e di cui abbiamo trattato, essa è
completata da strumenti risarcitori piuttosto articolati, promananti da norme di legge
e contrattuali.
L’assicurazione contro gli infortuni è la forma più remota di tutela
previdenziale degli atleti, essendo stata istituita nel 1934 con la costituzione in seno
al C.O.N.I. della Cassa di Previdenza per l’assicurazione degli sportivi (SPORTASS),
che, con la legge 5 gennaio 1939, n. 133, venne autorizzata all’esercizio diretto delle
assicurazioni - divenute obbligatorie - a favore degli atleti di tutti gli sport e con oneri
a carico delle singole federazioni.160 Il campo d’applicazione dell’assicurazione
SPORTASS era circoscritto agli infortuni occorsi nello svolgimento dell’attività
sportiva, ivi compresi gli allenamenti e i viaggi, ed abbracciava qualsiasi tipo di
attività agonistica, professionistica, dilettantistica e giovanile. Tuttavia, l’art. 28 del
D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modifiche nella legge 29 novembre 2007,
n. 222, ha soppresso l’ente a causa dell’ingente indebitamento, mentre, in precedenza,
l’art. 6 del D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di premi
dell’INAIL) aveva introdotto l’obbligo assicurativo per gli sportivi professionisti
dipendenti anche in presenza di altre disposizioni contrattuali o di legge di tutela con
polizze privatistiche. La determinazione del premio assicurativo è demandata a un
decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, su delibera del
Consiglio d’amministrazione dell’INAIL. In tal modo anche il rapporto di lavoro
sportivo è stato assoggettato all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali recata dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, con le
integrazioni e le modifiche dello stesso D. Lgs. n. 38 del 2000, fra le quali la più
innovativa è la inclusione del danno biologico nelle prestazioni dell’Istituto (art. 13),
quando l’invalidità permanente è pari o superiore al 6%.
Non necessariamente alla locuzione “sportivi professionisti”, adottata dall’art.
6 del D. Lgs. n. 38 del 2000, deve attribuirsi lo stesso significato di quella dell’art. 2
della legge n. 91, dovendosi piuttosto far riferimento ai criteri stabiliti dal T.U. n.
1124 per l’individuazione delle attività protette e delle persone da assicurare.
All’iscrizione degli sportivi professionisti all’assicurazione obbligatoria
seguono, per le società, gli obblighi che la legge pone a carico del datore di lavoro
(tenuta dei libri di matricola e di paga, pagamento dei premi, denunce degli infortuni,
ecc.).
Sulla traccia di quanto da tempo in atto nel settore professionistico del calcio161
è stato poi formulato l’art. 8 della legge n. 91 che prevede l’obbligo delle società
sportive di stipulare una polizza individuale contro il rischio di morte e di infortuni
(integrativa dell’assicurazione SPORTASS) a favore degli sportivi professionisti.

160
Per un riepilogo della storia dell’istituto v., oltre a GERMANO, cit., 480, LA CAVA, Problemi assicurativi dello
sport, in Riv. dir. sport., 1963, 185.
161
Una rassegna sulle assicurazioni contratte dalla F.I.G.C. e dalle altre federazioni, anteriormente alla legge n. 91, si
legge in POCHINI FREDIANI, La previdenza sociale nell’ordinamento sportivo italiano, in Riv. dir. sport., 1968, 244.
Il regolamento del settore professionistico del calcio stabiliva che i massimali d’assicurazione erano determinati
unilateralmente dalla Lega, mentre l’art. 8 prevede che essi vengono definiti d’intesa fra federazione e rappresentanti
delle categorie interessate.
68

Non avendo la norma, anche in questa ipotesi, precisato se tali debbano intendersi i
soggetti appartenenti a tutte le categorie individuate dall’art. 2, sembra di dover dare
risposta affermativa argomentando dalla seconda parte dello stesso art. 8 che rimanda
la definizione dei limiti, cioè dei massimali assicurativi, tenuto conto dell’età e del
contenuto patrimoniale del contratto di lavoro, all’intesa fra federazione e
rappresentanti delle categorie interessate.162 Del pari, l’art. 8 non precisa se siano
compresi nella tutela obbligatoria anche gli sportivi con contratto di lavoro autonomo
e, questa volta, la risposta è probabilmente negativa, dato il riferimento ad un metodo
di determinazione degli obblighi assicurativi simile a quello dell’art. 4, 1° co.; il che,
naturalmente non esclude la possibilità di una polizza volontaria, anche collettiva.
Infine, ancorché non sia specificato, nemmeno dalle disposizioni collettive che
regolano gli adempimenti assicurativi, si devono ritenere compresi i rischi derivanti
da infortuni extra lavorativi, come si desume dalla clausola contrattuale che impegna
i calciatori e gli allenatori alla tempestiva comunicazione dell’infortunio accaduto “al
di fuori dell’ambito dell’attività svolta per la società d’appartenenza” perché questa
possa farne denuncia all’assicurazione;163 né, in senso contrario, milita l’altra clausola
contrattuale che obbliga alla stipulazione della polizza prima dell’inizio dell’attività
sportiva e ne vieta, in mancanza, lo svolgimento, dato che essa rappresenta pur
sempre l’occasione di rischio più incombente per l’atleta.
Secondo la previsione dell’art. 8, la società è comunque responsabile
dell’inadempimento degli obblighi assicurativi, anche in relazione alle condizioni e ai
limiti concordati con l’associazione sindacale di categoria, risponde per il
risarcimento del danno ed è soggetta a provvedimenti disciplinari, fermo restando che
la Lega competente ha facoltà di sostituirsi alla società nella stipulazione della
polizza.
E’ da notare che gli accordi collettivi, nel precisare che sono gli sportivi i
beneficiari della polizza, prevedono la loro rinuncia ad ogni azione nei confronti della
società per il risarcimento del danno e stabiliscono così l’esonero di responsabilità del
datore di lavoro, che ha, però, incidenza diversa rispetto a quella dell’assicurazione
obbligatoria per gli infortuni sul lavoro, che riguarda il danno patrimoniale
indennizzato dall’INAIL; infatti, l’esonero riguarda la parte del danno che supera il
massimale assicurativo o il danno per sua natura eventualmente non garantito
dall’assicurazione privata. Si tratta di esenzione di dubbia validità poiché la rinuncia,
inserita nell’accordo collettivo e riportata nel contratto tipo, ha carattere preventivo
ed è di contenuto indeterminato e non determinabile ancora nel momento della
sottoscrizione del contratto individuale.
La legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4 co. 197, ha aggiunto un secondo
comma all’art. 8 della legge n. 91, precisando che le disposizioni del primo comma,
concernenti l’obbligo di stipulazione della polizza assicurativa, non si applicano

162
Di parere contrario, VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo, cit., 228, e MERCURI, cit., 518. In deroga all’art. 8
l’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. fissa massimali unici per tutti gli atleti per il rischio di morte (150.000 euro) e per
l’invalidità permanente (250.000 euro) indipendentemente dall’età dell’atleta e dal valore del contratto.
163
L’esecuzione degli adempimenti previsti dalla polizza, infatti, secondo gli accordi F.I.G.C.-A.I.C. e F.I.G.C.-
A.I.A.C., è compito delle società.
69

quando sia stato adempiuto l’obbligo di cui al citato art. 6 del D. Lgs. n. 38 del 2000.
Ciò lascia intendere, non essendo stato abrogato il primo comma dell’art. 8, che si
tratti di adempimenti facoltativi, salva contraria disposizione degli accordi collettivi,
e che, avvenuta l’iscrizione all’INAIL, non sussista l’obbligo di stipulazione della
polizza neppure per la franchigia dell’indennizzo del danno biologico stabilita
dall’art. 13 del D. Lgs. n. 38 del 2000.

21. La tutela previdenziale.

L’art. 9 della legge n. 91 ha esteso l’assicurazione obbligatoria i.v.s., allora


gestita dall’ENPALS con un fondo autonomo, già riconosciuta dalla legge 14 giugno
1973, n. 366, ai giocatori e agli allenatori di calcio, in tre direzioni: a favore di tutti i
soggetti indicati dall’art. 2 della legge n. 91; a favore dei praticanti di tutte le
discipline sportive professionistiche; a favore degli sportivi con contratto di lavoro
autonomo.164
Dall’1 gennaio 2012, a seguito della soppressione dell’ENPALS operata dal
D.L. 6 dicembre 2011, convertito con modifiche dalla legge 23 dicembre 2011, n.
214, le funzioni del ente soppresso sono state attribuite all’INPS.
Il regime pensionistico, inizialmente formato dall’integrazione della legge n.
366 del 1973 con l’art. 9, è stato in seguito profondamente modificato, nel quadro
della riforma generale e dell’armonizzazione dei sistemi pensionistici, dal D. Lgs. 30
aprile 1997, n. 166, e successive modifiche, che ora è la fonte normativa di
riferimento per quanto concerne la determinazione dei contributi, i criteri di calcolo e
i requisiti di accesso al trattamento di pensione.
Restano naturalmente immutate la base normativa dell’obbligo di iscrizione
all’ente previdenziale da parte delle società che occupano sia lavoratori subordinati
che autonomi soggetti all’assicurazione, come, appunto, gli sportivi professionisti,165
le disposizioni di carattere organizzativo dell’art. 9, 5° co., concernente la
composizione del comitato di vigilanza previsto dall’art. 5 della legge del 1973. Per
gli adempimenti derivanti dall’iscrizione, occorre ora fare riferimento alle norme che
regolano i compiti e il funzionamento dell’INPS.

164
Restano, invece, fuori dalla tutela previdenziale dell’art. 9 i professionisti non qualificati dalla federazione ai sensi
dell’art. 2 della legge n. 91: Pret. Roma, 1 aprile 1992, cit., relativa alla professione di maestro di tennis; CARBONE,
Profili generali della tutela previdenziale degli sportivi, in www.giustiziasportiva.it, n. 1/2006, e in
www.marconatoli.altervista.com. Invece è dubbia l’opinione di Cass., 25 luglio 2001, n. 10159, cit., che, in identica
fattispecie concernente i maestri federali e gli allenatori di tennis, pur confermando che per le figure professionali
diverse dagli atleti occorre verificare in concreto la sussistenza del rapporto di subordinazione, non prende posizione
sull’applicazione della legge n. 91 a tali figure professionali.
L’art. 9 è commentato da (AA.VV.) ROSSI, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, cit., 609
e ss., che si sofferma anche sulla regolamentazione del contenzioso con l’Istituto assicuratore. Per l’esauriente
trattazione dell’argomento previdenziale, oltre al cit. CARBONE, v. CENDAMO, La previdenza degli sportivi, in
www.rdes.it/TESI_CENDAMO.
165
Principio confermato da Trib. Firenze, 8 giugno 1994, in Giust. civ., 1995, I, 1385, con nota di CINELLI,
Sull’inquadramento ai fini previdenziali del lavoro sportivo; la sentenza, peraltro, ha esaminato la posizione
previdenziale del personale dipendente addetto ad attività connessa e strumentale rispetto a quella agonistica.
70

Con il D. Lgs. n. 166 del 1997 l’aliquota contributiva a carico del datore di
lavoro è stata stabilita inizialmente nel 9,11% con successivo incremento166 e quella a
carico del lavoratore nella misura in vigore nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti
dell’assicurazione generale obbligatoria, mentre il 4° co. dell’art. 9 prevedeva la
suddivisione fra società e assicurato, in ragione di due terzi ed un terzo, ferma
restando la contribuzione a totale carico dello sportivo titolare di contratto di lavoro
autonomo; sono stati disposti: l’innalzamento del massimale annuo di retribuzione
imponibile, l’istituzione di un contributo di solidarietà dell’1,20% sulla parte di
retribuzione eccedente il massimale da dividersi a metà fra società e sportivo, cui si
aggiunge un’ulteriore aliquota dell’1% dovuta dal solo lavoratore in forza della legge
n. 438 del 1992; l’innalzamento dell’età pensionabile, portata gradualmente
dall’1.1.1998 da 45 a 52 anni per gli uomini e da 40 a 47 anni per le donne, ferma
restando l’anzianità assicurativa e contributiva di 20 anni, ivi compresi quelli per
eventuale prosecuzione volontaria; l’adozione integrale del sistema retributivo, per i
lavoratori che alla data del 31.12.1995 potevano far valere un’anzianità assicurativa
e contributiva di 18 anni; del sistema pro-quota, di cui all’art. 1, co. 12, della legge 8
agosto 1995, n. 335, per i lavoratori che alla predetta data non avevano conseguito
l’anzianità contributiva di 18 anni; del sistema contributivo per i lavoratori privi di
anzianità assicurativa e contributiva alla stessa data.167
Il versamento dei contributi deve essere eseguito mensilmente a cura del datore
di lavoro e la quota a carico del lavoratore viene recuperata mediante rivalsa all’atto
del pagamento dei compensi.
In forza dell’art. 9 del D.P.R. 28 ottobre 2013, n. 157, il diritto alla pensione di
anzianità si acquisisce attualmente con il compimento di 53 anni per gli uomini e di
49 anni per le donne168 con 20 anni d’iscrizione e 20 anni di versamenti o accrediti di
contributi giornalieri per il lavoro svolto esclusivamente con la qualifica di
professionista sportivo. Ai lavoratori iscritti al fondo successivamente al 31.12.1995,
privi di anzianità assicurativa e contributiva alla predetta data, viene erogata un’unica
prestazione denominata pensione di vecchiaia, in luogo delle pensioni di vecchiaia e
di anzianità (art. 2, 9° co.).
Il sistema di calcolo dei trattamenti pensionistici nelle differenti ipotesi è
regolato dall’art. 3.
Alcuni autori hanno esaminato se gli sportivi professionisti possano usufruire
di altre misure di previdenza sociale. Le opinioni in proposito sono alquanto

166
Il 2° co. dell’art. 1 stabilisce l’incremento dell’aliquota a carico del datore di lavoro di 2 punti percentuali annui fino
a concorrenza dell’aliquota dell’assicurazione generale obbligatoria. Nel 2014 l’aliquota è pari al 33% di cui il 23,81%
a carico del datore e il 9,19% a carico del lavoratore. Per gli iscritti dopo il 31.12.1995 il contributo è calcolato sulla
retribuzione giornaliera entro il limite del massimale annuo pari, per il 2014, a euro 100.123,00. Per gli iscritti prima del
1.1.1996 il contributo si calcola sulla retribuzione giornaliera entro il detto massimale diviso per 312 (circ. INPS n.
20/2014).
167
Per approfondire adeguatamente le regole e gli istituti previdenziali (tra cui anche la prosecuzione volontaria, la
ricongiunzione, la totalizzazione, la reversibilità, il trattamento degli stranieri, ecc.) si possono consultare i siti
www.lavoroprevidenza.com/leggi_articolo.asp?id=222;www.assocalciatori.it/enpals/file_scarica_ok/PRESTAZIONI%
20PREVIDENZIALI%20SPORTIVI%20PROFESSIONISTI.pdf;
168
Sempre in forza dell’art. 9, l’età pensionabile delle donne verrà elevata 50 anni dal 2016, a 51 nel 2018, a 52 nel
2020 e nel 2022 verrà equiparata a quella dell’uomo e si acquisirà a 53 anni.
71

divergenti perché, secondo alcuni, come lavoratori dipendenti, essi avrebbero diritto
all’assegno per il nucleo familiare erogato dall’INPS, purché, naturalmente, il reddito
non superi il livello variamente stabilito in funzione della composizione del nucleo
stesso, così come avrebbero diritto al trattamento per la disoccupazione involontaria,
dato che le norme che lo regolano non prevedono specifiche esclusioni sotto il profilo
soggettivo; altri, invece, negano che sussistano tali diritti, così come il diritto a
percepire il trattamento economico di malattia, l’indennità di maternità, ecc.169 In
effetti il dato normativo è esplicito, in quanto l’art. 1, 3° co., della legge n. 366 del
1973 esclude dalle prestazioni (già a carico dell’ENPALS) la pensione d’invalidità
prevista dall’art. 8 del D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420, riguardante i lavoratori
dello spettacolo, nonché il trattamento economico di malattia e il trattamento
economico delle lavoratrici madri e non sembra che con il passaggio della gestione
all’INPS la situazione possa cambiare almeno rispetto ai trattamenti ai quali si
riferisce la disposizione richiamata.

22. L’impossibilità sopravvenuta e l’inadempimento nel contratto di


lavoro sportivo. Sospensione e risoluzione del rapporto.

I difetti funzionali della causa rilevanti nel contratto di lavoro sono


essenzialmente l’inadempimento e l’impossibilità sopravvenuta di una delle
controprestazioni che determinano, come nella generalità dei contratti, la cessazione
o una modifica del rapporto.
In particolare, nel rapporto di lavoro, l’inadempimento dà luogo alla
risoluzione del contratto ad iniziativa dell’autonomia privata, che si esercita
mediante il recesso per giusta causa o giustificato motivo, oppure soltanto ad una
modifica.
L’impossibilità sopravvenuta, nel rapporto suddetto, ha una specifica
disciplina, divergente dal diritto comune, in relazione a determinati eventi previsti
dalle norme costituzionali e dalla legge, fermo restando che essa interessa la
prestazione di lavoro e non quella pecuniaria del datore di lavoro, che per tal sua
natura è sempre possibile.
Tralasciando le ipotesi in cui la Carta costituzionale stabilisce il diritto alla
conservazione del posto di lavoro170 e, quindi, determina la traslazione del rischio
dell’impossibilità sopravvenuta dal lavoratore all’imprenditore, egual effetto è
prodotto dal verificarsi degli eventi (malattia, infortunio, gravidanza o puerperio,
servizio militare) regolati dagli art. 2110 e 2111 cod. civ.,171 senza le cui disposizioni

169
Nel primo senso, v. DEL GIUDICE, cit., 16; SINISCALCHI, cit., 298; GERMANO, cit., 486; in senso negativo
CARBONE, cit.
170
Si tratta dello sciopero legittimamente esercitato (art. 40); dell’adempimento di funzioni pubbliche elettive (art. 51,
3° co.); del servizio militare obbligatorio (art. 52, 2° co.).
171
La disposizione del primo co. dell’art. 2111, per il quale la chiamata alle armi era ancora causa di risoluzione del
rapporto, salvo diversa previsione delle norme collettive, è ora sostituito dall’art. 77 della legge 24 dicembre 1986, n.
958, in base al quale la ferma di leva sospende il rapporto di lavoro per tutto il periodo con diritto del lavoratore alla
conservazione del posto.
72

il prestatore dovrebbe subire, secondo le norme di diritto comune, la perdita totale o


parziale della retribuzione o l’eventuale risoluzione del contratto.
L’art. 2110, invece, riconosce la permanenza del diritto alla retribuzione o ad
una indennità nella misura e per il tempo determinato dalle leggi speciali, dalle norme
collettive, dagli usi o secondo equità. Decorso il periodo come sopra determinato,
l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118 c.c.
Gli accordi collettivi degli sportivi professionisti hanno regolato con specifico
riferimento al contratto a tempo determinato, le ipotesi di gran lunga più frequenti di
impossibilità sopravvenuta della prestazione sportiva, l’infortunio e la malattia,172
stabilendo la conservazione del diritto alla retribuzione sino alla scadenza del
contratto. Qualora l’inabilità si protragga oltre un certo periodo, la società ha facoltà
di richiedere la risoluzione del contratto oppure di corrispondere i compensi
contrattuali ridotti a metà e, comunque, non oltre il termine di scadenza del
contratto.173 L’immediata risoluzione può essere richiesta quando la menomazione
dovesse compromettere in modo definitivo l’idoneità allo svolgimento dell’attività
agonistica.
La giurisprudenza ha stabilito che la risoluzione del contratto per impossibilità
sopravvenuta della prestazione sportiva può essere determinata non solo da una causa
violenta idonea di per sé sola a cagionare lo stato invalidante, ma anche da
un’infermità occasionata dall’attività agonistica, pur nel caso in cui il giocatore vi sia
predisposto.174
Le norme collettive esaminate non precisano se il periodo di comporto sia da
riferire solo ad un unico episodio morboso (c.d. comporto secco) ovvero anche ad una
possibile pluralità di episodi (c.d. comporto per sommatoria) e l’omessa
determinazione di un più lungo periodo cui rapportare la durata dell’assenza della
prestazione, come in uso nei contratti collettivi più importanti quale quello dei
metalmeccanici, nonché la disciplina mirata al contratto a tempo determinato, in
genere di breve durata, fanno propendere per la prima soluzione, ma ciò non
dovrebbe precludere all’organo giudicante, eventualmente chiamato a decidere sulla
legittimità del recesso per superamento del periodo di comporto per sommatoria, di
stabilire, in relazione al caso concreto, il termine esterno, corrispondente all’arco
172
In entrambi i casi il fatto inabilitante non deve essere provocato da colpa grave del professionista, essendo previste,
in tal caso, la riduzione del compenso o la risoluzione del contratto (cfr. par. 17).
173
L’accordo F.I.G.C.-A.I.C. fissa un periodo di comporto di 6 mesi e la risoluzione del contratto, al termine del
suddetto periodo, deve essere richiesta al Collegio arbitrale di cui abbiamo parlato. In alternativa è prevista la riduzione
a metà della retribuzione fino alla cessazione dell’inabilità. Analoghe disposizioni sono contenute nell’accordo
F.I.G.C.-A.I.A.C. A sua volta, l’accordo F.I.P.-G.I.B.A. prevede un periodo di 7 mesi e mezzo, e, trascorso il termine, le
stesse facoltà di riduzione a metà del compenso o di risoluzione del contratto anche a richiesta dell’atleta.
Il Coll. arb. F.I.P., 23 settembre 1994, in Riv. dir. sport., 1995, 154, con nota di LORUSSO, Infortunio dell’atleta e
recesso della società, ha confermato che durante il periodo d’infortunio, pur se subito all’inizio della stagione
precampionato, l’atleta ha diritto al pagamento della retribuzione pattuita in applicazione dell’accordo collettivo già
intervenuto fra F.I.P. e G.I.B.A. prima della professionalizzazione del settore.
174
Cass. 8 maggio 2000, n. 11404, in Riv. dir. sport., 2001, 204, con note di commento di PALLANTE e DE SALVO,
Infortunio dell’atleta e diritto alla salute: il caso Levingston, che ha sostanzialmente confermato, nel giudizio di
annullamento, il lodo del Coll. arb. F.I.P., 19 marzo 1994, ibid., 1994, 99, con nota di SCODITTI. La Suprema Corte ha
aggiunto che il giocatore non può essere considerato inadempiente, attesa l’indisponibilità del diritto alla salute, se
decide di interrompere l’esecuzione della prestazione per sottoporsi ad un intervento chirurgico, pur quando vi sia
contrasto di diagnosi mediche in ordine alla necessità d’intervento immediato.
73

temporale nel quale i periodi di assenza vanno sommati, compatibile con l’effettiva
durata del contratto.
Nei casi in cui l’atto risolutivo deve passare al vaglio dell’organo costituito per
la decisione delle controversie contrattuali, come nel caso dei calciatori, è difficile
ipotizzare che il recesso possa aver luogo prima del termine stabilito dalla norma
collettiva e, se anche ciò avvenisse, esso sarebbe comunque inefficace fino alla
scadenza del termine o fine alla scadenza del contratto, se anteriore al suddetto
termine. In entrambi i casi sorgerebbe il diritto al risarcimento del danno, in genere
commisurato alle retribuzioni da erogare fino alla cessazione del rapporto.175
Una sorta di impossibilità sopravvenuta definitiva della prestazione di lavoro
per fatto riguardante la società sportiva si verifica nel caso d’inattività della stessa
quando non partecipi al campionato di competenza, se ne ritiri, ovvero ne sia esclusa
o le venga revocata l’affiliazione, onde ne consegue che i calciatori tesserati sono
svincolati d’autorità e possono tesserarsi per altra società, a meno che non abbiano
già disputato anche una sola partita del girone di ritorno del campionato.176
L’inadempimento della prestazione sportiva e degli altri obblighi gravanti sul
professionista è motivo di risoluzione del contratto, sia nei casi tipizzati dalle norme
collettive, sia, secondo i principi generali, in altri casi dalle stesse non previsti ma la
cui gravità non consente la prosecuzione neppure temporanea del rapporto (giusta
causa).177
La giurisprudenza ha anche ravvisato un giustificato motivo oggettivo di
recesso nell’ipotesi di radiazione dai ruoli federali del professionista, ritenendo però
necessario che la società dimostri che la qualità di tesserato sia stata dedotta in
contratto come essenziale, che sia necessaria per lo svolgimento delle concrete
mansioni e che non vi sia possibilità di impiegare il dipendente radiato in altre
mansioni equivalenti a quelle svolte in precedenza.178
A parte l’inadempimento di uno dei contraenti, nel qual caso è lecito ipotizzare
il diritto dell’altro al risarcimento del danno, è opinione diffusa, ma discutibile, che il
legislatore abbia lasciato alla società sportiva libertà di manovra in tema di recesso,
175
V., in tal senso, in applicazione della legge francese, che consente la risoluzione del contratto a termine solo per
inadempimento o forza maggiore, e per l’illegittimità della risoluzione ante tempus del contratto con un giocatore
vittima di un infortunio di gioco, con conseguente condanna della società al pagamento dei compensi fino alla scadenza
del contratto stesso, Corte App. Parigi, 26 febbraio 1993, in Riv. dir. sport., 1995, 198, con nota di BORRELLI-
LORUSSO, Infortunio dell’atleta e recesso della società.
176
In tal senso dispongono le N.O.I.F. della F.I.G.C (art.110). Secondo la Corte Fed. F.I.G.C., 28 ottobre 1995, in Riv.
dir. sport., 1996, 789, la mancata iscrizione al campionato di competenza e l’iscrizione a un campionato minore non
comportano la risoluzione di diritto del contratto di lavoro.
177
Ad esempio, la giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza di una giusta causa di licenziamento dell’allenatore e
del direttore sportivo di una società di calcio nelle ripetute sconfitte subite dalla squadra nelle partite di campionato:
Trib. Venezia, 14 settembre 1993, in Riv. dir. sport., 1996, 781, e in Giur. mer., 1994, 878, con commento fortemente
critico di BONAMORE, Il licenziamento di allenatori e direttori sportivi; la decisione, peraltro, è stata confermata da
Cass., 28 dicembre 1996, n. 11540, cit. Un’ipotesi di risoluzione per giusta causa dovuta non a comportamenti attinenti
alla prestazione sportiva ma di carattere ingiurioso nei confronti del rappresentante della società è stata ritenuta
legittima da Coll. Arb. F.I.G.C., 16 dicembre 2010, che però ha optato per una sanzione meno grave per il fatto che la
società aveva dichiarato che avrebbe accettato le scuse del giocatore: v., in proposito, MESTO, Il caso Cassano/U.C.
Sampdoria: gli obblighi di condotta del calciatore lavoratore, in www.giustiziasportiva.it, 3/2010.
178
Cass., 5 marzo 1986, n. 1438, cit. Si deve però precisare che la sentenza ha regolato una fattispecie precedente alla
legge n. 91, avendo fatto riferimento, in tema di onere della prova, all’art. 5 della legge n. 604 del 1966, che l’art. 4, 8°
co., ha dichiarato inapplicabile al rapporto di lavoro sportivo.
74

rifacendosi al regime codicistico di libera recedibilità delineato dall’art. 2118 cod.


civ.179
Tuttavia, se si parla dell’applicazione di tale norma, la libertà di recesso, nel
contratto a tempo indeterminato, deve competere ad entrambi i contraenti, salvo, in
entrambi i casi, l’obbligo del preavviso o dell’indennità sostitutiva180 i cui termini
quantitativi, in difetto di previsione degli accordi collettivi, potrà essere stabilita dal
giudice o dal collegio arbitrale in presenza di clausola compromissoria.
Nel contratto a tempo determinato, quasi esclusivamente adottato nei rapporti
di lavoro sportivo, la libertà di recesso non può esimere il recedente dall’obbligo del
risarcimento del danno, s’intende, in assenza di giusta causa, come si deduce a
contrario dall’art. 2119 cod. civ. E’ chiaro, invece, che l’esclusione del rapporto di
lavoro sportivo dal campo d’applicazione dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 (art.
4, 8° co.), secondo la sua espressa formulazione, è limitata al licenziamento per giusta
causa, ai sensi dell’art. 2119, oppure per giustificato motivo nel rapporto a tempo
indeterminato.
Il risarcimento del danno, per il recesso anticipato dal rapporto a tempo
determinato attuato dalla società, di norma consiste nel pagamento dei compensi
commisurati alla sua residua durata, da cui devono essere detratti eventuali proventi
che il lavoratore si sia procurato con una diversa occupazione. Similmente,
nell’ipotesi di recesso dell’atleta per giusta causa, di frequente configurabile nel
mancato pagamento di rate di stipendio181, il danno è individuabile nei minori
compensi percepiti con un successivo contratto di lavoro ed è perciò quantificabile
nella differenza tra i due emolumenti nei limiti della durata del contratto risolto.182
Nel caso di recesso non giustificato del giocatore l’individuazione dei criteri ai
quali risalire per la liquidazione del danno della società è più ardua perché possono
entrare in gioco diversi fattori anche di segno opposto: dal costo non ammortizzato
del giocatore, agli stipendi risparmiati, dal costo per l’ingaggio di un sostituto al
beneficio o pregiudizio eventualmente derivanti sul piano del rendimento agonistico
da una tal sostituzione, ecc.183 Peraltro, specie nei casi di atleti di maggior prestigio,
è frequente la pattuizione di buyout clause nei contratti individuali . Restano salvi gli

179
DE CRISTOFARO, Norme in materia di rapporti, cit., 599; VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo, cit., 222;
DURANTI, cit., 719; MERCURI, cit., 516; contra ROTUNDI, cit., 41, che ha osservato che l’illimitata possibilità di
recesso potrebbe comportare reazioni negative sull’organizzazione societaria e sulla stessa regolarità dei campionati.
180
Si veda in tal senso, con specifico riferimento al recesso del giocatore, GUIDOLIN, Da Bosman a Ronaldo: i
trasferimenti in pendenza di contratto, in Riv. dir. sport., 1998, 70. Del caso Ronaldo, ma a proposito della spettanza
dell’indennità di preparazione, di cui si parlerà al paragrafo seguente, si è occupata la decisione del Comitato Esecutivo
F.I.F.A., 4 settembre 1997, ibid., 1998, 204, commentata da PERTA, Il caso Ronaldo, ibid., 210, e da PALMIERI, Il
superamento della politica dello struzzo, ibid., 229.
181
L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. ha istituito un Fondo di garanzia e solidarietà a favore degli atleti professionisti
ai quali non sia stato corrisposto il compenso da società dichiarate morose in base alle disposizioni federali vigenti
oppure fallite. Il Fondo è alimentato sino all’importo massimo di euro 192.000 con versamenti in parti uguali della Lega
e del Fondo di fine rapporto.
182
V., recentemente, Dispute Resolution Chambers F.I.F.A., 30 luglio 2014, n. 0714643, in Riv. diritto economia
sport, 2014, n. 9.
183
Cfr. ancora, in argomento, GUIDOLIN, cit., 84, che indica alcuni rimedi pattizi, quale la stipulazione di una clausola
penale per la predeterminazione del danno, però di impossibile applicazione nel sistema legale italiano finché non sia
introdotta dagli accordi collettivi a norma dell’art. 4. Una penale pari a sei mensilità della retribuzione fissa è stata
inserita nell’accordo F.I.P.-G.I.B.A. nel caso di interruzione ingiustificata delle prestazioni da parte dell’atleta.
75

eventuali provvedimenti federali, comminati in siffatte circostanze, quale l’inibizione


per un certo periodo di tempo alla prosecuzione dell’attività sportiva con altra società.
Nei trasferimenti internazionali, l’art. 17 del regolamento F.I.F.A. sullo status e
i trasferimenti dei calciatori (2010) sanziona la risoluzione unilaterale del contratto
senza giusta causa o giusta causa sportiva nel c.d. “periodo protetto”184 stabilendo che
la parte inadempiente (in realtà, però, la norma disciplina solo l’inadempimento del
calciatore) è tenuta a pagare un’indennità calcolata nel rispetto delle leggi nazionali
vigenti, della specificità dello sport e dei criteri oggettivi del caso, quali la
remunerazione e gli altri benefici dovuti al giocatore in base al contratto esistente e/o
al nuovo contratto, la durata residua del contratto fino a un massimo di 5 anni, le
spese sostenute dalla società. Inoltre, è prevista la sanzione sportiva del divieto di
giocare partite ufficiali da 4 a 6 mesi.185
L’inadempimento della prestazione retributiva della società sportiva è
anch’esso causa di risoluzione del contratto, ma abbiamo visto che, secondo
l’accordo collettivo F.I.G.C.-A.I.C., la dichiarazione di risoluzione, che spetta al
Collegio arbitrale, è assoggettata ad una specifica procedura che consente, fra l’altro,
alla società inadempiente di purgare la mora e di evitare la risoluzione.186
Vale, comunque, ove sia configurabile qualsiasi altro grave inadempimento
della società non tipizzato dalle norme collettive, la regola dell’art. 2119 cod. civ. per
il quale anche il lavoratore può recedere per giusta causa con diritto, nel contratto a
tempo determinato, di conseguire i compensi convenuti fino alla scadenza del
contratto.187
Sempre secondo l’art. 2119 il fallimento dell’imprenditore, evento ormai
tutt’altro che raro per le società sportive, non costituisce causa di risoluzione del
contratto, specie se, come talvolta è avvenuto, la società fallita sia stata autorizzata
dal tribunale all’esercizio provvisorio dell’azienda.188 Si applica la regola, già
accennata, dello svincolo d’autorità e dell’autorizzazione ai giocatori a stipulare un

184
La giusta causa sportiva si identifica, in linea di massima, salve particolari eccezioni, nella partecipazione del
professionista “affermato” a meno del 10% delle gare ufficiali della stagione agonistica. Il periodo è “protetto” prima
del decorso di tre stagioni intere o di tre anni per contratti conclusi prima del compimento del 28° anno del calciatore,
ovvero di due stagioni intere o di due anni dopo il compimento del 28° anno.
185
Il Tribunale Arbitrale dello Sport, in recenti decisioni ha applicato il principio del replacement costs, cioè gli oneri
affrontati dalla società per la sostituzione dell’atleta, detratta la retribuzione risparmiata per la durata residua del
contratto e aggiunta una somma per la specificità dello sport, considerata come criterio sussidiario: v. i casi Matuzalem
(T.A.S. 19 maggio 2009, di cui riferisce diffusamente IUDICA, Il diritto alla libera circolazione del calciatore, Il TAS
ci ripensa: il Caso “Matuzalem”, in Lav. giur., 2009, 783) e De Sanctis c. Udinese (T.A.S. 28 febbraio 2011, di cui
riferisce altrettanto diffusamente MESTO, I replacement costs nell’indennità dovuta dal calciatore, in
www.giustiziasportiva.it, n. 2/2011. Entrambe le decisioni sono reperibili in www.tas.cas.org, Sull’art. 17 del
regolamento F.I.F.A, v. ALESSI, La rescissione del contratto del calciatore professionista, ancora in
www.giustiziasportiva.it, n.3/2011; CIARROCCHI, L’evoluzione dei rapporti tra società sportive e atleti professionisti
e il suo influsso sulla crisi economica del calcio, in Riv. giur. lav., 2004, I, 55.
186
V. par. 18. Anche l’accordo F.I.P.-G.I.B.A. stabilisce una procedura analoga per la morosità della società e identiche
conseguenze per la persistenza dell’inadempimento.
187
BONAVITACOLA, cit., 45.
188
Si veda, a tal proposito, Trib. Verona, decr. 23 febbraio 1991, in Riv. dir. sport., 1992, 350. Secondo Trib. Catania,
decr. 21 maggio 1992, in Foro it., 1992, I, 2514, anche nella fase di liquidazione, attivata con la procedura prevista
dall’art. 13 della legge n. 91 per gravi irregolarità di gestione della società, è ammissibile l’esercizio temporaneo
dell’attività sportiva, limitatamente alla disputa delle partite di campionato con le risorse disponibili, al fine di non
disperdere il patrimonio calciatori.
76

nuovo contratto se, in casi simili, la società venga esclusa dal campionato di
competenza o le sia revocata l’affiliazione. Quest’ultima, comunque, non ha effetto,
se è stata disposta la continuazione provvisoria dell’esercizio dell’azienda. fino al
termine della stagione sportiva o se il titolo sportivo della fallita sia stato attribuito ad
altra società.189

23. La durata del contratto, i trasferimenti e la cessione del contratto.


L’abolizione del vincolo sportivo e dell’indennità di preparazione e
promozione.

Il 1° co. dell’art. 5, intitolato “Cessione del contratto”, della quale, peraltro, si


occupa solo il 2° co., stabilisce che il contratto di lavoro subordinato sportivo può
contenere un termine risolutivo non superiore a cinque anni dalla data d’inizio del
rapporto, con possibilità di successione del contratto a termine fra gli stessi
soggetti.190 La disposizione, pertanto, si coniuga con quella dell’8° co. dell’art. 4 che
dichiara inapplicabile la legge sui contratti a tempo determinato sancendo la
legittimità del contratto a termine, già adottato nel lavoro sportivo all’epoca
dell’emanazione della legge e la preferenza del legislatore per questo tipo di contratto
più confacente ed adeguato ad un sistema emancipato dal c.d. vincolo sportivo o
d’appartenenza.
E’ noto, infatti, che uno dei capisaldi della legge n. 91 è rappresentato
dall’abolizione del vincolo per gli atleti professionisti che nasceva con il
tesseramento dell’atleta da parte della società sportiva e comportava il diritto
esclusivo di quest’ultima di disporre delle sue prestazioni a tempo indeterminato e di
decidere ed attuare il trasferimento, nel qual caso il vincolo proseguiva a favore della
società acquirente. Esso, in altri termini, comportava una rigida costrizione della
libertà contrattuale e di recesso del giocatore, relegata ad ipotesi marginali, ed era
sempre più sospettato di ledere diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento,
oggetto di accese polemiche e bersaglio di pesanti attacchi.
A fianco del vincolo vi era il contratto, con il quale il giocatore e la società
concordavano le condizioni d’impiego. La cessione del giocatore da una società
all’altra, effettuata dietro corrispettivo, era ricondotta alla cessione di contratto e per
il trasferimento era comunque necessario il consenso del giocatore e l’approvazione
della federazione. In sostanza la società cedente rinunciava, dietro corrispettivo, al
vincolo d’appartenenza e consentiva la stipulazione di un nuovo contratto di lavoro
con altra società con la quale si ricostituiva il vincolo.191

189
ABATE, Fallimento della società di calcio e competenza del collegio arbitrale, in Riv. dir. sport., 1994, 17.
190
Il 1° co. dell’art. 5 è stato inserito nella stesura definitiva della legge approvata dalla Camera.
191
Trib. Taranto, 29 dicembre 1956, cit.. La giurisprudenza, comunque, aveva variamente configurato la natura
giuridica del vincolo sportivo, talvolta considerandolo in modo autonomo rispetto al contratto di lavoro, come oggetto
stesso del negozio di trasferimento: App. Torino, 24 aprile 1956, cit.; oppure come oggetto di un patto di non
concorrenza: Cass., 2 aprile 1963, n.811, cit.; o, ancora, come un bene immateriale compreso nel patrimonio della
società sportiva e trasferibile a titolo oneroso: App. Bologna, 26 aprile 1962, cit.
77

Il postulato della libertà dell’attività sportiva, proclamato dall’art. 1 della legge


n. 91, ha trovato la più rilevante applicazione proprio nell’abolizione del vincolo che
è stata decretata dall’art. 16, rispetto al quale l’art. 5, 2° co., e l’art. 6 costituivano la
disciplina integrativa e complementare. Il risultato concreto dell’abolizione del
vincolo era, infatti, enunciato dalla proposizione d’esordio dell’art. 6 e, cioè, che
“cessato un rapporto contrattuale l’atleta professionista è libero di stipulare un
nuovo contratto”, ciò implicando, di norma, una completa cesura fra il nuovo
rapporto e quello estinto.192 A sua volta, l’art. 5, 2° co., che sembra in realtà
formulato a vantaggio delle società sportive, riconoscendo la possibilità di effettuare
la cessione del contratto da una società all’altra, purché vi consenta l’altra parte e
siano osservate le modalità prescritte dalle federazioni, in fin dei conti agevola anche
la mobilità degli atleti.193
Come controvalore della perdita del vincolo sportivo, l’art. 6, nel caso di nuovo
contratto stipulato dall’atleta, prevedeva la possibilità per le federazioni di obbligare
la società titolare del nuovo contratto al versamento a favore di quella precedente di
un’indennità di preparazione e promozione. Egual obbligo poteva essere previsto,
nell’ipotesi di passaggio dell’atleta dall’attività dilettantistica a quella
professionistica, a favore della società o associazione presso la quale egli aveva
svolto la sua ultima attività dilettantistica.194
Nel gioco del calcio una tal indennità era prevista anche dai regolamenti
internazionali della F.I.F.A. e dell’U.E.F.A per i trasferimenti di giocatori da un paese
all’altro, ma le disposizioni allora vigenti, adottate dalle singole federazioni nazionali
aderenti, al pari di quelle che recavano limitazioni al tesseramento e all’impiego di
giocatori di nazionalità straniera, sono cadute sotto la scure della Corte di Giustizia
C.E.E. che ha risolto il caso Bosman, perché anch’esse contrastanti con l’art. 48 del
Trattato in quanto “un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla
scadenza del contratto che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una
società di altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza
un’ indennità di trasferimento, di formazione o di promozione”: disposizioni, quindi,

192
Una possibile conseguenza del precedente raccordo fra i successivi contratti poteva essere rappresentata
dall’insorgere della responsabilità della società cedente per l’inidoneità dell’atleta dovuta a stati morbosi o a precedenti
infortuni, nel qual caso la giurisprudenza arbitrale ha ritenuto applicabile l’art. 1492 c.c. sulla garanzia per vizi della
cosa venduta: Coll. arb. F.I.P., 25 maggio 1995, in Riv. dir. sport., 1996, 133.
Tuttavia vi sono casi in cui le norme federali, come ad esempio le N.O.I.F. della F.I.G.C., ammettono la possibilità di
concordare, nei trasferimenti o nelle cessioni di contratto, la condizione risolutiva collegata all’esito della visita medica
del giocatore.
193
Era controverso se le norme in argomento avessero come destinatari solo gli atleti, come sostiene DURANTI, cit.,
720, e risultava dall’art. 6, ovvero anche le altre figure professionali di cui all’art. 2, secondo l’opinione di (AA.VV.)
FERRARI, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, cit., 602. Con la sostituzione dell’art. 6, di
cui si dirà fra breve nel testo, la questione ha perso importanza pratica, essendo chiaro che la disposizione dell’art. 5,
applicabile al contratto di cui all’art. 4, riguarda indistintamente tutti gli sportivi professionisti.
194
Del caso della retrocessione di società calcistica, in seguito dichiarata fallita, dal campionato professionistico a
quello dilettantistico, disposta dalla federazione per irregolarità amministrative, si è occupato Trib. Pisa, 21 marzo 1997,
in Riv. dir. sport., 1997, 512, con nota di LAMBO, Società calcistica retrocessa al campionato di Eccellenza Regionale
e indennità per preparazione e promozione, che, con esauriente motivazione incentrata sull’interpretazione delle norme
federali, ha negato il diritto della società fallita al pagamento dell’indennità da parte delle società presso le quali i
giocatori si erano successivamente accasati. Sostanzialmente concorde Corte Fed. F.I.G.C., 28 ottobre 1995, ibid., 1996,
789.
78

idonee ad intralciare, anche sotto questo profilo, la libera circolazione dei


lavoratori.195
Sebbene, secondo i regolamenti internazionali, il calciatore, dopo la scadenza
del contratto, fosse libero di impegnarsi e di giocare con altra società,
indipendentemente dall’avvenuto pagamento dell’indennità o dall’insorgenza di
controversie sulla sua entità,196 e nonostante la sentenza della Corte non avesse
chiarito quale sorte toccasse all’indennità dovuta per i trasferimenti all’interno dei
singoli paesi membri, o da o verso un paese terzo, per effetto della propria
pronuncia,197 l’art. 6 è stato sostituito dall’art. 1 del D.L. 20 settembre 1996, n. 485,
convertito nella legge 18 novembre 1996, n. 586, che ha eliminato l’indennità di
promozione e formazione conservandola, sotto mutato nome, per il solo caso del
primo contratto professionistico.198
Fatto salvo il principio di libertà degli atleti nella conclusione di un nuovo
contratto una volta scaduto quello precedente, il quadro normativo dei trasferimenti è
dunque racchiuso nel 2° co. dell’art. 5 che consente la cessione del contratto in corso
nell’accordo di tutti i contraenti e nell’osservanza delle modalità stabilite dalla
federazione d’appartenenza e si rifà, per opinione unanime, alla cessione regolata
dagli art. 1406 e ss. cod. civ.199 La società cessionaria e l’atleta possono concordare,
all’atto della cessione, la variazione del contenuto contrattuale, come l’importo del
corrispettivo o la durata del contratto, in particolare valendo il vincolo quinquennale
dell’art. 5, 1° co., per ciascun contratto.200 Manca, invece, una specifica disciplina

195
Sulla problematica aperta dalla sentenza Bosman e dalle altre pronunce della Corte europea v. il par. 14 e gli autori
ivi citati, in particolare nella n. 3, cui adde COCCIA, L’indennità di trasferimento e la libera circolazione dei calciatori
professionisti nell’Unione europea, in Riv. dir. sport., 1994, 350, che hanno trattato ampiamente anche la questione
dell’indennità di preparazione e promozione. Lo stesso Autore, nella nota critica di commento, Il trasferimento dei
calciatori e il diritto della concorrenza, a Trib. Charleroi, ord. 2 luglio 1998, ibid., 1998, 683, che ha rimesso alla Corte
di Giustizia C.E.E. il giudizio sull’incompatibilità con gli art. 85 del Trattato e 53 dell’accordo S.E.E. dell’indennità per
i trasferimenti dei calciatori professionisti non cittadini della U.E. o dello S.E.E. tra società con sede in tali territori o in
uno Stato terzo, ha ben puntualizzato le ragioni per le quali le relative norme regolamentari non possono considerarsi
lesive della concorrenza (mancanza del mercato rilevante e di accordi tra imprese o di decisioni di associazioni di
imprese o pratiche concordate).
196
Cfr., fra gli altri, ADOBATI, cit., 668. La disciplina dei trasferimenti internazionali, all’epoca della sentenza
Bosman, prevedeva che la società con la quale il giocatore aveva stipulato un nuovo contratto, alla scadenza del
precedente, ne desse tempestiva informazione a quella di provenienza la quale doveva interessare la propria federazione
per il rilascio di un certificato internazionale di svincolo. Il rilascio del certificato alla federazione cui era affiliata la
nuova società contraente poteva essere negato solo quando il giocatore non aveva interamente adempiuto alle
obbligazioni contrattuali nei confronti della società precedente o fosse sorta una controversia di carattere non
economico fra le due società interessate al trasferimento.
197
E’ stato, infatti, notato che, in forza della sentenza Bosman, si sarebbe creata una discriminazione a scapito dei
giocatori trasferiti all’interno di un medesimo paese, permanendo l’obbligo del pagamento dell’indennità, eliminata, al
contrario, nei trasferimenti dei cittadini comunitari: cfr. GUIDOLIN, cit., 105; ANASTASI, cit., 458.
198
L’indennità è stata soppressa anche dalla F.I.F.A. con effetto dall’1 aprile 1999 sia per i trasferimenti di giocatori
comunitari tra società dei paesi comunitari e dello S.E.E., sia di giocatori extracomunitari, così equiparati ai primi.
199
Tra gli altri, SPADAFORA, cit., 143 e ss.; D’HARMANT FRANÇOIS, Note sulla disciplina giuridica, cit., 862.
CANTAMESSA, La cessione di contratto dei calciatori professionisti, in CANTAMESSA-RICCIO-
SCIANCALEPORE, cit., 238, riguardo alla cessione di contratto nell’ordinamento F.I.G.C., ne sottolinea l’atipicità,
senza però divergere dallo schema del codice civile, dato che il nuovo contratto tra il calciatore e la società cessionaria
determina la variazione del trasferimento ed è soggetto alla valutazione delle Leghe al fine della concessione
dell’esecutività.
200
GALGANO, La compravendita dei calciatori, in Contratto e impresa, 2001, 1.
79

legale in merito alla risoluzione unilaterale dei contratti in corso che, pertanto, è
soggetta ai principi generali e alle regole già esaminate nel precedente paragrafo.
Ai trasferimenti, sia nel corso che a fine contratto, e alla cessione dei contratti
le norme federali dedicano una disciplina articolata, dominata, almeno per quanto
riguarda il calcio, dal principio della forma scritta e della validità di ogni pattuizione,
ivi compresa l’indispensabile sottoscrizione del professionista,201 solo se conforme
alle stesse norme federali e se manifestata nell’accordo scritto. Il documento,
depositato presso la Lega per il visto di esecutività, è l’unico idoneo alla variazione di
tesseramento.202
Il requisito della forma e la procedura dei trasferimenti sono stati esaminati dai
giudici di legittimità che, riferendosi agli art. 4 e 5 della legge n. 91, hanno negato
che quanto prescritto dalla prima norma valga anche per i trasferimenti disciplinati
dalla seconda, ma l’inefficacia di un atto integrativo in cui è stata indicata l’intera
somma concordata per la cessione e non la sola parte ufficiale, come nel contratto
regolarmente depositato, deve essere valutata non in base alle norme imperative
dell’ordinamento statale, ma, trattandosi di rapporto intercorso tra società sportive,
alla stregua delle norme regolamentari interne la cui violazione non è priva di rilievo
nell’ordinamento statale, dato che esse incidono sulla funzionalità del contratto, cioè
sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento
giuridico a norma dell’art. 1322 cod. civ.203
Nel caso di controversie sul trasferimento o sulla cessione, la società cedente è
tenuta all’adempimento delle obbligazioni economiche nei confronti dell’atleta, con
diritto di rivalsa nei confronti della società cessionaria, per tutta la loro durata e fino
alla decisione definitiva. I regolamenti federali stabiliscono anche restrizioni al
numero di trasferimenti nel corso della medesima stagione sportiva.204
Quanto al contenuto del rinnovato art. 6, si è già accennato che il compenso
alla società di provenienza, ora denominato “premio di addestramento e formazione
tecnica”, è riservato alle società o associazioni presso le quali l’atleta ha svolto la sua
ultima attività dilettantistica o giovanile. Ad esse è riservato, come in precedenza,
anche il diritto di stipulare il primo contratto professionistico che deve essere

201
L’art. 95 delle N.O.I.F. della F.I.G.C. richiede la forma scritta a pena di nullità.
202
Una volta avvenuti la cessione e il trasferimento con il consenso dell’atleta, questi non può accampare diritti verso la
società cedente a causa dell’inadempimento della società cessionaria: è quanto ha deciso il Collegio arbitrale F.I.G.C.,
20 aprile 1995, che ha stabilito che, ove la società cessionaria sia morosa nel pagamento delle retribuzioni e venga
perciò risolto il contratto, il giocatore non ha titolo per ottenere dalla società cedente le differenze retributive derivanti
dall’aver pattuito con la cessionaria condizioni più svantaggiose; cfr. DE SILVESTRI, Il contenzioso tra pariordinati,
cit., 556 n. 168.
203
Cass., 23 febbraio 2006, n. 3545, in Giust. civ., 2005, I, 495, con nota critica di VIDIRI, Forma della cessione del
contratto di lavoro del calciatore professionista, ad avviso del quale la nullità doveva essere pronunciata dalla stessa
Corte per il mancato rispetto della procedura dell’art. 4 e perché risultava leso l’interesse alla trasparenza dell’attività
sportiva che il legislatore ha inteso perseguire per il rilievo socio-economico dell’attività a livello professionistico.
204
Le N.O.I.F. della F.I.G.C. consentono fino a tre tesseramenti per società diverse ma con la possibilità di disputare
gare ufficiali solo per due di esse. Il regolamento esecutivo del settore professionistico della F.I.P. consente
trasferimenti anche temporanei due volte per la serie A e una sola volta per la Legadue. In caso di trasferimento
temporaneo è consentita la cessione temporanea a un’altra società con il consenso scritto della società originaria. In
caso di retrocessione a campionato non professionistico o di rinuncia o di non ammissione, pur verificandosi la
risoluzione automatica del contratto, permane il tesseramento con la stessa società qualificato non professionistico, ma
nella stagione successiva alla retrocessione è consentito stipulare un contratto professionistico.
80

esercitato in pendenza del precedente tesseramento nei tempi e con le modalità


stabilite dalla federazione. Il premio deve essere reinvestito dalle società o
associazioni che svolgono attività dilettantistica o giovanile nel perseguimento dei
fini sportivi.

24. Il rapporto di lavoro degli sportivi professionisti con la federazione.

L’inequivoca disposizione dell’art. 10, 1° co., della legge, secondo il quale,


come ricordiamo, solo le società sportive costituite nella forma di s.p.a. o di s.r.l.
possono stipulare contratti con atleti professionisti, esclude che possa configurarsi un
rapporto di lavoro subordinato o autonomo tra questi ultimi e la federazione
d’appartenenza per quelle attività o prestazioni consistenti, in genere, nella
partecipazione alle rappresentative nazionali cui gli atleti selezionati sono obbligati.
Nonostante ciò, la Suprema Corte, affrontando una questione di carattere
tributario attinente all’obbligo della federazione di effettuare la ritenuta d’acconto sui
compensi versati ai calciatori in maglia azzurra, scartata la tesi del comando o
distacco collegato alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con la società
sportiva, sulla quale pure grava l’obbligo di mettere a disposizione della federazione
per le competizioni delle squadre nazionali i propri giocatori, ha deciso che il
rapporto temporaneo che intercorre fra tali soggetti s’inquadra nello schema del
lavoro autonomo e, precisamente, nella disposizione dell’art. 3, 2° co. lett a), cioè
quando l’attività è svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più
manifestazioni fra loro collegate in breve periodo di tempo.205
Pur ammettendo che in siffatte occasioni l’attività prestata possa corrispondere
alla previsione della lettera a), tuttavia la fonte dell’obbligo dell’atleta non risiede in
un accordo concluso di volta in volta fra lo stesso e la federazione ad ogni
convocazione, bensì nella disposizione stabilita in via astratta e generale dai
regolamenti federali, che ha come destinatarie anche le società sportive, di rispondere
alle convocazioni in nazionale: è quindi l’obbligo derivante dal rapporto associativo,
che le società e gli atleti sono chiamati ad adempiere e che determina in concreto
l’espletamento dell’attività di cui si tratta (o, in caso contrario, l’irrogazione di
sanzioni disciplinari), non la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con la
società sportiva, né l’instaurazione di un rapporto ad hoc di natura autonoma con la
federazione.206 Il fatto che quest’ultima sia tenuta a sua volta, per prassi o per accordi

205
Cass., 20 aprile 1990, n. 3303, in Dir. lav., 1992, II, 14, con nota critica di CIANCHI, Problemi di qualificazione
della prestazione atletica degli ‘azzurri’, e in Foro it., 1990, I, 3169, con commento di BIANCHI D’URSO-VIDIRI,
Sul rapporto fra Figc e calciatori delle squadre nazionali. Sull’argomento v. ancora CIANCHI, Il rapporto di lavoro
sportivo degli ‘azzurri’, in Riv. dir. sport., 1991, 283. Con identica motivazione si era già pronunciata Cass., 1 marzo
1990, n. 1548, ibid., 1990, 352. Si può leggere la sentenza riformata di App. Roma, 19 marzo 1984, ibid., 1985, 53, con
nota di A. MARANI TORO, I calciatori e i tecnici facenti parte delle rappresentative nazionali: problemi giuridici,
critico sull’angolazione giuslavoristica dalla quale il problema è stato valutato e risolto, privilegiata rispetto alla “causa”
sportiva che caratterizza il rapporto. La Suprema Corte ha comunque confermato il proprio orientamento con decisione
più recente: Cass., 14 giugno 1999, n. 5866.
206
La prima prospettazione, in base alla quale si configurerebbe il comando o distacco da parte della società sportiva, è
di App. Roma, 19 marzo 1984, cit. Ad avviso di BIANCHI D’URSO-VIDIRI, Sul rapporto tra Figc e calciatori, cit.,
81

particolari, a versare all’atleta un compenso per la partecipazione, magari


commisurato al risultato ottenuto, non significa che esso abbia il carattere di
retribuzione o di corrispettivo del lavoro svolto, ma piuttosto di premio per la
partecipazione e per il risultato.
Più corretta appare, dunque, la soluzione di quella giurisprudenza che ha
ravvisato proprio nel rapporto associativo il fondamento della prestazione resa
dall’atleta partecipante alle gare in cui sono impegnate le selezioni nazionali.207
In ogni caso, secondo la giurisprudenza, non si applica al rapporto in questione
l’art. 4 della legge n. 91 e non occorre la forma scritta per la validità del contratto.208
Diversa soluzione si prospetta, invece, per le altre figure professionali elencate
dall’art. 2 che non sono interessate dalla limitazione soggettiva dell’art. 10 e, in
genere, sono contraddistinte, nel rapporto con la federazione, da una relativa stabilità
rispetto alle prestazioni richieste agli atleti per le competizioni delle squadre
nazionali, sempre di breve durata, comunque intermittenti se non, addirittura,
episodiche.
Originariamente il 4° co. dell’art. 14, in seguito abrogato dall’art. 3 della legge
31 gennaio 1992 n. 138, prevedeva espressamente la possibilità per le federazioni di
avvalersi di personale assunto in base a contratto di diritto privato per le attività di
carattere tecnico e sportivo.209 La disposizione, di contenuto neutro, sembrava
abbracciare una rosa di figure professionali potenzialmente più ampia rispetto a
quelle nominate dall’art. 2, purché operanti nel settore tecnico-sportivo e
indipendentemente dalla denominazione adottata e dalle specifiche funzioni attribuite
dai regolamenti federali, nonché, com’è naturale, dalla qualificazione professionistica
richiesta dallo stesso art. 2. In mancanza di distinzione era ammissibile tanto il
rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo.210
L’art. 3 della cit. legge n. 138 del 1992 ha invece disposto l’inquadramento del
personale in servizio presso le federazioni al 31 dicembre 1990 con rapporto di lavoro
di diritto privato nei ruoli del personale del C.O.N.I. mediante concorso per titoli e
prova selettiva attitudinale tendente ad accertare la qualificazione degli interessati e la

3181, l’individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto con la federazione deve essere ricavata dalle
concrete modalità con cui esso si svolge in ciascuna occasione. Esclude il lavoro subordinato anche IANNIRUBERTO,
Sport e diritto del lavoro, in Foro it., 2006, V, 233.
207
Trib. Milano, 3 aprile 1989, in Foro it., 1989, I, 2951, con nota di SIMONE, che valorizza, però, non un vero e
proprio rapporto contrattuale ma un rapporto di tipo associativo diretto al conseguimento di una finalità comune,
almeno in quelle discipline sportive in cui il fulcro dell’attività agonistica è centrato sulla partecipazione alle
rappresentative nazionali e dove il rapporto fra atleti e federazione, per questo motivo, è preponderante. Sul punto, nella
motivazione, v. anche Trib. Roma, 15 settembre 2000, in Contratti, 2002, 254.
208
Cass., sez. lav., 13 aprile 1995, n. 4219.
209
Con riferimento ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore dell’art. 14, la giurisprudenza, dopo qualche
oscillazione, ponendo l’accento sull’utilizzazione del personale tecnico per il perseguimento dei fini istituzionali
dell’ente federale, che, quale organo del C.O.N.I., era allora considerato ente pubblico, li ha infine decisamente inseriti
nell’impiego pubblico: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 1984, n. 249, in Riv. dir. sport., 1985, 24; Cons. Stato, sez.
VI, 12 gennaio 1982, n. 4, ibid., 1982, 557; Cons. Stato, ad. plen., 15 dicembre 1981, n. 12, ibid., 551; v., però, in senso
contrario, successivamente, Cass., sez. un., 21 aprile 1989, n. 1904, ibid., 1989, 206.
210
Secondo CIAMMARUCONI, La federazione sportiva nazionale ‘datore di lavoro’, in Riv. dir. sport., 1983, 7,
argomentando dagli art. 4, 10 e 14 della legge n. 91, consegue che gli allenatori, i direttori sportivi e i preparatori atletici
possono essere titolari di rapporto di lavoro subordinato o autonomo con la federazione
82

loro idoneità alle mansioni da svolgere.211 In tal modo il personale addetto ad


incarichi tecnico-sportivi avrebbe potuto essere inquadrato nell’impiego pubblico.
Senonché l’orizzonte normativo è di nuovo rapidamente mutato a seguito della c.d.
privatizzazione dell’impiego pubblico attuata dal D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e si
è tornati di fatto al punto di partenza della legge n. 91, pur con l’avvenuta
abrogazione del 4° co. dell’art. 14, situazione che appare ora rafforzata dall’art. 15
del D. Lgs. n. 242 del 1999 e dalla dichiarata natura di associazioni con personalità
giuridica di diritto privato disciplinate dal codice civile delle federazioni e, quindi,
con l’attribuzione di un’autonoma soggettività e la conseguente applicazione delle
norme civilistiche.
In questo quadro la scelta del tipo contrattuale, subordinato o autonomo, in
funzione delle diverse caratteristiche e modalità del rapporto, è rimessa alla libera
determinazione delle parti ed ove sorga una controversia sulla natura del rapporto
medesimo, essa si risolverà ricorrendo agli usuali criteri adottati dalla giurisprudenza
in casi simili.212

25. La tutela dei diritti derivanti dal contratto di lavoro sportivo.

Il 5° co. dell’art. 4 consente che nel contratto di lavoro subordinato individuale


possa essere inserita una clausola compromissoria con la quale le controversie
concernenti l’attuazione del contratto stesso, insorte tra la società e il professionista
sportivo, sono deferite ad un collegio arbitrale. La clausola deve contenere la nomina
degli arbitri oppure stabilire il loro numero e il modo di nominarli. Di fatto la
clausola compromissoria è già contenuta negli accordi collettivi che stabiliscono il
numero degli arbitri, le modalità di nomina e le norme di procedura dinanzi al
collegio, ed è automaticamente trasposta nei contratti individuali in virtù del già noto
congegno di cui al 1° co. dello stesso art. 4.
La possibilità di devoluzione delle controversie tra società e sportivi
professionisti con contratto di lavoro subordinato ad un collegio arbitrale, ove sia
stata stipulata la clausola compromissoria, è stata ribadita dall’art. 3, 1° co., del D.L.
19 agosto 2003, n. 220 (“Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”),
convertito con modifiche nella legge 17 ottobre 2003, n. 280, che, nel provvedere alla
regolamentazione e ripartizione delle competenze tra gli organi della giustizia
sportiva e il giudice amministrativo per la decisione delle controversie tra soggetti
dell’ordinamento sportivo, ha fatto salvo quanto stabilito nelle clausole

211
La Suprema Corte ha precisato che l’abrogazione dell’art. 14 non ha avuto effetto sui rapporti precedentemente
costituiti e non ha comportato l’automatica trasformazione del rapporto da privato a pubblico, occorrendo
l’espletamento del concorso e della prova attitudinale: v., con riferimento al personale tecnico, Cass., sez. un., 9 gennaio
1993, n. 138, e Cass., sez. un., 24 marzo 1993 n. 3522, entrambe in Riv. dir. sport., 1993, 123 e 124, con commento di
CARINGELLA, Profili giurisdizionali (e non) dei rapporti tra federazioni sportive e lavoratori subordinati alla luce
della privatizzazione del pubblico impiego.
212
Cass., 13 aprile 1995, n. 4219, in Riv. dir. sport., 1996, 332, concernente un maestro di tennis addetto ad un centro di
addestramento gestito dalla federazione, che ha confermato anche l’inapplicabilità dell’art. 4 della legge n. 91 e ha
escluso la nullità del contratto di lavoro per mancanza di forma scritta; Cass., 24 marzo 1993, n. 3522, cit.
83

compromissorie inserite nei contratti di cui al ricordato art. 4.213 Inoltre, la prima
parte del 1° co. dell’art. 3 ha anche affermato la giurisdizione del giudice ordinario
sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti214 e la norma nel suo
complesso non può che essere intesa nel senso che la stipulazione della clausola
compromissoria avvia la controversia verso la soluzione arbitrale, mentre il giudice
ordinario, dinanzi al quale l’azione diviene improponibile, rimane competente per
l’eventuale impugnazione del lodo e in ogni caso di mancanza della suddetta
clausola, secondo principi di alternatività e facoltatività che devono essere garantiti e
che, nell’ipotesi in cui la scelta si orienti verso la soluzione contrattuale della
controversia, liberano le parti dal c.d. vincolo di giustizia, come del resto riconoscono
le N.O.I.F. della F.I.G.C.215 Egualmente, il ricorso all’arbitrato non è condizionato al
previo esaurimento dei gradi di giustizia sportiva, come richiede l’art. 3 in
riferimento alle azioni giudiziarie.216
La clausola compromissoria in questione, infatti, non deve essere confusa con
quella, prevista dagli statuti e dai regolamenti federali, nella quale si sostanzia
l’accennato vincolo di giustizia, cioè l’obbligo degli affiliati e dei tesserati di
accettare le decisioni degli organi di giustizia sportiva nelle controversie riservate alla
loro cognizione e il divieto di eluderne la competenza. Egualmente, va tenuta distinta
dall’obbligo degli affiliati e tesserati di deferire ad un collegio arbitrale la risoluzione
di tutte le controversie che non rientrano nella suddetta competenza.217 Occorre però

213
La competenza degli organi di giustizia sportiva è definita dall’art. 2 della legge n. 280 del 2003 e comprende le
controversie tecniche e disciplinari, mentre l’art. 3, 1° co., fa anche salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole
compromissorie degli statuti e dei regolamenti del C.O.N.I. e delle federazioni.
214
E’ stato osservato da LUBRANO, nella relazione al convegno La giurisdizione amministrativa in materia sportiva
dopo la legge 17 ottobre 2003, n. 280, Roma-Milano, 2003, che l’art. 3, 1° co., deve considerarsi esteso anche agli altri
professionisti elencati dall’art. 2 della legge n. 91, ai quali, altrimenti, sarebbe preclusa la tutela giudiziaria ed essi
sarebbero discriminati rispetto agli atleti, con forte sospetto di violazione degli art. 3 e 24 Cost.
215
Sul punto, ancor prima dell’emanazione della legge n. 280, Pret. Roma, ord. 9 luglio 1994, cit. Secondo Cass., 1
agosto 2003, n. 11751, in Nuovo dir., 2004, 597, con nota di NAZZARO, il principio di facoltatività è inserito
automaticamente nelle clausole compromissorie relative a controversie di lavoro in forza di varie disposizioni di legge
tra cui l’art. 24 Cost., senza bisogno di specifica previsione. In dottrina PERSICHELLI, Le materie arbitrabili
all’interno delle competenze della giurisdizione sportiva, in Riv. dir. sport., 1996, 702; CECCHELLA, Giurisdizione e
arbitrato nella riforma della L. n. 91 del 1981 sullo sport, in Riv. dir. proc., 1995, 841; DE CRISTOFARO, Problemi
attuali di diritto sportivo, in Dir. lav., 1989, I, 95; più recentemente: SFERRAZZA, La “giurisdizione” sportiva, in
www.giustiziasportiva.it, n. 3/2010; VENANZI, Il vincolo di giustizia arbitrale nelle controversie di tipo economico tra
calciatori (allenatori, direttori tecnico-sportivi, ecc.) professionisti e le società sportive tra la Legge 91/1981 e la Legge
280/2003, ibid., n. 1/2006. Sul rapporto tra vincolo di giustizia e clausole compromissorie e sull’esenzione
dall’autorizzazione federale per proporre l’impugnazione del lodo arbitrale, v. estesamente, ZINNARI, Vincolo di
giustizia e clausole compromissorie in materia “economica” alla luce del nuovo articolo 30 dello statuto della FIGC,
ibid., n. 1/2008. Il principio di alternatività e, quindi, la libertà di ricorrere al giudice statale sono riconosciuti anche dal
regolamento F.I.F.A. più volte citato (art. 22).
216
SPADAFORA, Contratto di lavoro sportivo: clausole compromissorie e razionalizzazione del sistema di giustizia
sportiva, in Giur. merito, 2004, 848.
217
VESCOVI, Le clausole compromissorie nei contratti collettivi di lavoro, in www.giustiziasportiva.it, n. 2/2008.
Secondo un convincimento diffuso, le norme dei regolamenti federali da cui prende vita il vincolo di giustizia,
costituiscono esse stesse un patto compromissorio e sono oggetto di adesione o di accettazione da parte di affiliati e
tesserati, come tutte le altre norme regolamentari, al momento della loro ammissione nell’ordinamento federale, senza
che ciò comporti la necessità di specifica approvazione scritta in base all’art. 1341 cod. civ. (Cass., 1 agosto 2003, n.
11751, cit.; Cass., 9 aprile 1993, n. 4531, in Riv. dir. sport., 1993, 484; Cass., 18 febbraio 1985, n. 1367; Pret. Trento-
Tione, 10 dicembre 1996, in Nuovo dir., 1997, 909, con nota di FRONTINI, Sulla natura e gli effetti dell’arbitrato nel
rapporto di lavoro tra società e tesserati della F.I.G.C.). In linea generale il problema della compatibilità del vincolo di
giustizia con il principio di livello costituzionale che garantisce l’accesso al giudice statale è stato risolto nel senso che,
84

aggiungere che in taluni casi organi o strutture interne federali sono investiti di
dirimere controversie di natura economica anche in campo professionistico, come
accade nella federazione pugilistica dove la Commissione Vertenze Economiche
decide inappellabilmente le controversie tra tesserati ed affiliati e, in particolare, tra
pugili professionisti e società organizzatrici.218
Il sistema di tutela dei diritti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato
sportivo appare coerente e sufficientemente armonico rispetto alle disposizioni
riguardanti il comune rapporto di lavoro e l’arbitrato, secondo il quadro generale
disegnato con le riforme del 2006 concernente l’arbitrato (D. Lgs. 2 febbraio 2006, n.
40) e del 2010 sulle controversie di lavoro (legge 4 novembre 2010, n. 183). Infatti,
l’art. 806, 2° co., cod. proc. civ. dispone che le controversie di cui all’art. 409
possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti e accordi
collettivi. L’art. 412 quater conferma che esse possono essere proposte ad un
collegio di conciliazione e arbitrato irrituale, ferma restando la facoltà di ciascuna
parte di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e
arbitrato previste dalla legge. Il lodo produce tra le parti gli effetti di cui agli art. 1372
e 2113, 4° co., cod. civ., è impugnabile a norma dell’art. 808 ter cod. proc. civ. e
decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui
circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Contro la decisione del tribunale è ammesso
solo il ricorso per cassazione.219
Se ora si esaminano le clausole compromissorie e le regole procedurali degli
arbitrati sportivi, concentrando l’attenzione sugli accordi collettivi delle categorie di
professionisti più numerose, vale a dire gli accordi F.I.G.C.-A.I.C. e F.I.P.-G.I.B.A.,
si nota in primo luogo che essi, nonostante la struttura complessiva e la terminologia
adottata farebbero propendere piuttosto per un’attività di natura giurisdizionale e
quindi per la ritualità, definiscono espressamente irrituale l’arbitrato,220 in linea con la
previsione dell’art. 412 quater cod. proc. civ., tra l’altro richiamato dall’accordo
F.I.P.-G.I.B.A. a proposito dei modi e termini d’impugnazione del lodo. A sua volta
l’accordo F.I.G.C.-A.I.C. dichiara che il lodo ha efficacia negoziale vincolante tra le
parti e l’affermazione evoca immediatamente quella dell’art. 412 quater, secondo cui
il lodo produce tra le parti gli effetti di cui agli art. 1372 e 2113 cod. civ. Ciò significa

non potendosi ravvisare negli organi di giustizia federale l’istituzione di una giurisdizione speciale, né un sistema di
ricorsi amministrativi preventivi, né un arbitrato obbligatorio, tutti rimedi contrari alla legge, non resta preclusa la
facoltà di agire davanti al giudice ordinario, salva la devoluzione volontaria della controversia all’arbitrato che trova
ormai la propria legittimazione normativa nella legge n. 280 del 2003, che subordina al previo esaurimento dei gradi di
giustizia sportiva anche il ricorso a quella statale nelle materie ad essa riservate. Né il vincolo di giustizia comporta la
rinuncia a qualunque tutela dato che l’ordinamento ha creato un sistema, nella forma dell’arbitrato irrituale ex art. 806
cod. proc. civ., che costituisce espressione di autonomia privata costituzionalmente garantita: Cass., 27 settembre 2006,
n. 21005; Cass., 28 settembre 2005, n. 18919; Cass., 1 agosto 2003, n. 11751, cit.; Cass., sez. un., 21 luglio 1998, n.
7132.
218
Art. 31 statuto F.P.I. Inoltre, l’art. 48, nel corpo della clausola compromissoria, impegna affiliati e tesserati a
rimettere ad un giudizio arbitrale definitivo le controversie arbitrabili ai sensi dell’art. 806 e ss. cod. proc. civ. che siano
originate dalla loro attività sportiva od associativa e non rientrino nella competenza normale degli organi di giustizia
federale e nella competenza esclusiva del giudice amministrativo.
219
Cass., sez. lav., 19 agosto 2013, n. 19182.
220
Secondo tutti gli altri accordi collettivi l’arbitrato è ormai considerato irrituale. In particolare, sulla clausola
compromissoria dell’accordo collettivo dei direttori sportivi delle società calcistiche (A.DI.SE.), riferisce
PERSICHELLI, cit., 713.
85

che l’osservanza delle regole procedurali, che pur si differenziano per vari aspetti da
quelle poste dall’art. 412 quater, senza che il fatto incida sulla loro validità
sembrando anzi in sintonia con l’ultimo periodo del 1° co. dell’art. 808 ter cod. proc.
civ., è questione rilevante agli effetti di quest’ultima norma che determina i casi in
cui il lodo può essere annullato dal giudice competente. D’altra parte, la specialità
della materia, presidiata dal principio legale di autonomia dell’ordinamento sportivo,
dall’art. 4, 5° co., della legge n. 91 e dal rinvio, quanto meno implicito, del 2° co.
dell’art. 806 cod. proc. civ., giustifica pienamente lo scostamento rispetto alle
disposizioni sull’arbitrato nelle normali controversie di lavoro.
I regolamenti dei collegi arbitrali (quello dell’accordo F.I.G.C.-A.I.C. è
separato, ma ne entra a far parte e ne integra la clausola compromissoria, a differenza
dell’accordo F.I.P.-G.I.B.A. che incorpora le regole procedurali)221 presentano tratti
comuni e, come anticipato nel par. 17, sono modellati, per gli aspetti fondamentali,
sul processo civile e su quello del lavoro.222
In entrambi è prescritto il tentativo obbligatorio di conciliazione che,
nell’accordo F.I.G.C.-A.I.C., costituisce una fase indipendente rispetto alla procedura
ordinaria e la funzione è demandata ad un conciliatore distinto dagli arbitri. Il verbale
di conciliazione ha efficacia negoziale vincolante tra le parti. Il quesito è se, in
mancanza di una specifica disposizione di legge, esso acquisisca la medesima
efficacia di cui all’art. 2113, 4° co., come modificato dalla citata legge n. 183 del
2010, che ha riservato alla conciliazione dinanzi al collegio arbitrale disciplinato
dall’art. 412 quater la prerogativa dell’inoppugnabilità, oppure se tali effetti
conseguono dalla conciliazione di qualsiasi controversia devoluta ad arbitrato
irrituale in materia di lavoro subordinato ma diverso nella procedura rispetto a quella
221
Nell’ambito della F.I.P. opera, come già detto, il Collegio Permanente di Conciliazione e Arbitrato che decide anche
le controversie tra le società e il Fondo di fine rapporto dei giocatori professionisti.
222
Il regolamento del collegio arbitrale F.I.G.C.-A.I.C. prescrive che il ricorso introduttivo da notificare alla parte
avversa deve contenere, tra l’altro, oltre alla nomina dell’arbitro di parte, l’esposizione in fatto e in diritto della materia
controversa, l’indicazione delle prove offerte e dei documenti depositati e le conclusioni. La “memoria di costituzione”
della parte contro cui è proposto il ricorso deve avere gli stessi requisiti del ricorso. La memoria deve essere notificata
entro il termine perentorio di 15 giorni dalla ricezione del ricorso e, a pena di inammissibilità, deve contenere
l’eventuale “domanda riconvenzionale”. Il ricorrente può depositare la memoria di replica alla riconvenzionale. Le
ragioni di inammissibilità della domanda del ricorrente sono rilevate su “eccezione di parte”. Se il successivo tentativo
di conciliazione non riesce, il collegio fissa termini perentori per repliche e deposito documenti, deduzione di prove ed
eventuali domande nuove, fatte salve le decadenze in cui le parti siano incorse. I documenti regolari secondo le norme
federali e dell’accordo collettivo sono mezzi di prova privilegiati. La discussione è orale, ma possono essere autorizzate
memorie conclusive. E’ prevista la sospensione feriale nel mese di agosto. La pronuncia del lodo (che può essere anche
parziale) deve avvenire entro 60 giorni dalla accettazione della nomina da parte del Presidente. Sono stabiliti anche i
motivi e la procedura per la ricusazione e la sostituzione degli arbitri.
A proposito dei limiti della domanda sulla quale gli arbitri possono provvedere, Trib. Pescara, 16 maggio 1995, cit., ha
rilevato esattamente che essa può avere ad oggetto solo le pattuizioni risultanti dal contratto depositato. Inoltre, secondo
quanto riferito da DE SILVESTRI, Il contenzioso tra pariordinati,. cit., 154 n. 155, i collegi arbitrali della F.I.G.C. sono
propensi a circoscrivere la cognizione arbitrale alle questioni funzionali del contratto, ritenendo quelle genetiche sulla
sua validità di competenza della Commissione Tesseramenti, organo di giustizia federale.
Anche in base al regolamento del collegio F.I.P.-G.I.B.A., il ricorso deve contenere la designazione dell’arbitro di parte,
l’oggetto della domanda, l’esposizione in fatto e in diritto, l’indicazione delle prove e dei documenti offerti in
comunicazione. Il ricorso contro i provvedimenti disciplinari deve essere proposto, a pena di decadenza, entro 10 giorni
dalla comunicazione del provvedimento. Nel “controricorso” la “parte convenuta” deve proporre a pena di decadenza le
“eccezioni procedurali e di merito non rilevabili d’ufficio” e le domande riconvenzionali ed indicare i mezzi di prova e i
documenti offerti in comunicazione. Il Collegio esercita i poteri stabiliti dagli art. 420 e 421 cod. proc. civ. e decide
sulle spese a norma dell’art. 91 stesso codice. Il procedimento è sospeso dal 10 luglio al 31 agosto.
86

dell’art. 412 quater. L’esigenza di integrazione ed omogeneità degli istituti apprestati


dall’ordinamento per regolare materie analoghe farebbe preferire la seconda
soluzione.
Come è ovvio, gli arbitri non possono concedere provvedimenti cautelari, del
resto vietati in via di principio dall’art. 818 cod. proc. civ.223 Peraltro, il regolamento
F.I.G.C.-A.I.C. istituisce un procedimento accelerato che si potrebbe definire, almeno
per un presupposto, cautelare e sommario, ma che tale in effetti non è. Ha invece
carattere sommario l’ingiunzione di pagamento disciplinata dall’accordo F.I.P.-
G.I.B.A.224
Entrambi i regolamenti stabiliscono che il lodo deve essere pronunciato
secondo diritto.
Le considerazioni svolte pocanzi a proposito dell’efficacia della conciliazione
si ripropongono per l’esecuzione del lodo. Nonostante esso costituisca uno strumento
contrattuale vincolante tra le parti che lo hanno riconosciuto ed accettato come mezzo
di definizione delle liti tra loro insorte, potrebbe accadere, anche se l’ipotesi sembra
marginale e remota, che non gli sia data spontanea esecuzione e che a tal fine si
mostrino infruttuosi anche i rimedi e le sanzioni predisposti dalle norme interne, a
parte la loro operatività nella sfera dei singoli ordinamenti e le conseguenze di
carattere disciplinare e sportivo, spesso gravi, come l’esclusione dal campionato delle
società inadempienti. A mente dell’11° co. dell’art. 412 quater, il giudice, su istanza
di parte e accertatane la regolarità formale, dichiara esecutivo il lodo una volta che
siano decorsi i termini per l’impugnazione o questa sia stata respinta o le parti
abbiano dichiarato per iscritto di accettare la decisione. Se ci si può avvalere per
analogia di tale norma nell’arbitrato sportivo, il controllo della regolarità formale
espletato dal giudice attiene all’osservanza delle disposizioni dello specifico
regolamento d’arbitrato, dopo di che seguirebbe il decreto di esecutività. Se invece si
ritenesse che l’efficacia esecutiva non può che scaturire da una previsione di legge ad

223
La concessione di provvedimenti cautelari è naturalmente riservata all’autorità giudiziaria. Si è già visto che Trib.
Roma, ord. 3 agosto 1994, cit., ha ravvisato il periculum in mora nel fatto dell’esclusione del calciatore dagli
allenamenti e dalla preparazione precampionato in accoglimento di un ricorso ex art. 700 cod. proc. civ.
224
Infatti, il regolamento d’arbitrato F.I.G.C.-A.I.C., oltre a un procedimento speciale di nomina di un medico o di una
struttura medica per la certificazione d’inidoneità o d’inabilità dei calciatori al fine della risoluzione del contratto o della
riduzione dei compensi, prevede il rito accelerato, esperibile, come recita l’art. 8, nelle controversie di cui all’art. 11.11
(non presente nel vigente accordo collettivo), 12.2 (violazione del diritto di partecipazione agli allenamenti e alla
preparazione precampionato) e in ogni altra controversia in cui il collegio ravvisi la sussistenza di un grave pregiudizio
di una o di entrambe le parti, nel tempo necessario allo svolgimento del procedimento ordinario. Tuttavia, il rito
accelerato consiste semplicemente nell’abbreviazione dei termini concessi per l’effettuazione degli adempimenti della
procedura, sia a carico delle parti che degli arbitri.
Il Trib. Milano, 28 febbraio 2006, in Giur. it., 2007, 961, ha deciso che il termine per la pronuncia del lodo, quando vi
sia stato il passaggio dal rito d’urgenza a quello ordinario, decorre dal giorno in cui è stata fissata la riunione per
l’eventuale istruzione e la discussione della controversia.
L’accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. ha istituito il procedimento sommario di ingiunzione di pagamento per morosità di
oltre 10 giorni dei ratei del compenso fisso e dei premi, oltre interessi e spese. L’ingiunzione è opponibile (e si segue in
questo caso il rito ordinario) nel termine di 10 giorni dalla ricezione del provvedimento, termine oltre il quale esso
diviene comunque esecutivo: l’opposizione, infatti, non ne sospende l’esecutività. L’esecuzione dell’ingiunzione è
affidata ai rimedi interni approntati dal regolamento dell’arbitrato: in caso di soccombenza della società, la Lega
provvede all’esecuzione per la quale la società stessa deve prestare una garanzia finanziaria, mentre la mancata
esecuzione integrale delle obbligazioni derivanti dall’ingiunzione (così come dal lodo) preclude il diritto di partecipare
al campionato successivo.
87

hoc, che anche in questo caso manca, non resterebbe allora che considerare il lodo (e
l’ingiunzione di cui all’accordo F.I.P.-G.I.B.A., ma anche il verbale di conciliazione
di cui si è detto) come documento contrattuale idoneo per ottenere un decreto
ingiuntivo immediatamente esecutivo (art. 642 cod. proc. civ.) da azionare
nell’ordinaria sede esecutiva.225
Tornando all’argomento già accennato dell’impugnazione del lodo irrituale,
l’art. 808 ter, 2° co., elenca i motivi per i quali il giudice può annullarlo: 1) se la
convenzione dell’arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni
che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel
procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei
modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non
poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812; 4) se gli arbitri non si sono
attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non
è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio.
Si tratta di disposizioni certamente applicabili agli arbitrati di cui si discute,
tant’è che, come si è visto, l’accordo F.I.P.-G.I.B.A. le richiama esplicitamente.
Al di là di quelli puramente formali, quali siano i vizi denunciabili nel giudizio
di annullamento è materia di discussione e si fronteggiano due opinioni contrapposte,
una più restrittiva che non ammette che possano essere dedotti gli errores in
iudicando e, addirittura, la manifesta iniquità, data la formulazione della norma che
non consentirebbe un’estensione di tal genere. L’altra opinione sostiene invece che
errori di fatto e di diritto siano da ricondurre sotto l’enunciazione del n. 4) in forza
della regola implicita voluta dalle parti della corretta decisione della controversia.226
Quest’ultimo sembra l’orientamento più appropriato almeno quando, come nella
specie, gli arbitri debbano deliberare secondo diritto e, quindi, a seguito di una
corretta interpretazione delle norme applicabili al caso concreto e sulla base dei fatti
correttamente accertati e assunti a fondamento della decisione. Tuttavia la Cassazione
ha stabilito che in tal caso l’errore non è sindacabile ed è piuttosto da ricondursi
all’abuso di mandato ed essere fonte di responsabilità per gli arbitri.227
Non sembra poi che si debba discutere sulla impugnabilità del lodo inficiato da
vizi della volontà rilevanti secondo le regole del codice civile, come recentemente
confermato ancora da Cass., 1 dicembre 2009, n. 25268.
Un ulteriore problema riguarda la sorte della controversia e la decisione nel
merito dopo l’annullamento del lodo per errores in procedendo, potendosi
prospettare che sia lo stesso giudice del rescindente a pronunciarsi nel rescissorio,
oppure che si debba dar corso ad un nuovo arbitrato (però, evidentemente, non nel
caso in cui sia stata dichiarata invalida la convenzione dell’arbitrato) o si debba
225
Trib. L’Aquila, 23 febbraio 2005, in Riv. arbitrato, 2006, 495, con nota di PANARELLI, Arbitrato irrituale nel
diritto sportivo, seppur riferita a lodo irrituale riguardante il rapporto di lavoro formalmente dilettantistico di un
giocatore di rugby.
226
La prima tesi è sostenuta da VIGORITI, L’impugnazione dei lodi del lavoro sportivo, in Giur. it., 2007, 961, a
commento di Trib. Milano, 28 febbraio 2006, cit.-; ID., La giustizia sportiva nel sistema CONI, in Riv. arbitrato, 2009,
403. La seconda da PERDOMI, Impugnazione del lodo arbitrale irrituale in materia di lavoro sportivo. Cenni sulla
contrattazione collettiva vigente in ambito giuslavoristico sportivo e sulle clausole compromissorie ivi contenute, in
www.giustiziasportiva.it, n. 1/2009.
227
Cass., 13 febbraio 2009, n. 3637.
88

ricorrere ex novo al giudice del lavoro, questa volta in veste di giudice del merito.228
Anche in virtù di un principio di concentrazione e di economia dei giudizi, non
sembra che vi siano ragioni ostative al potere dello stesso giudice che ha disposto
l’annullamento di decidere nel merito, sempre che sia stata proposta domanda in tal
senso. Peraltro, se non è messo in discussione il potere degli arbitri di decidere,
questa è la condizione per cui, secondo la giurisprudenza, il giudice
dell’impugnazione deve esperire il giudizio rescissorio.229
Poiché l’art. 4, 5° co., concerne solo il lavoro subordinato, la facoltà della
soluzione arbitrale delle controversie che interessano i professionisti lavoratori
autonomi incontra la preclusione risultante dall’art. 806, 2° co., cod. proc. civ., dato
che per essi, vertendosi pur sempre in materia di lavoro, non vi sono previsione di
legge o contratti o accordi collettivi. Occorre, allora, distinguere in quale delle tre
fattispecie di lavoro autonomo, come definite dal 2° co. dell’art. 3 della legge n. 91, è
inquadrabile il rapporto controverso nel caso concreto e, dunque, se la prestazione si
è svolta nelle circostanze e secondo le modalità di cui alle lett. a) e b), nulla si oppone
che le parti, con clausola compromissoria o con compromesso, deliberino di affidare
la decisione della lite ad arbitri rituali o irrituali. Nell’ipotesi della lett. c), assumendo
di norma la prestazione carattere coordinato e continuativo, secondo la definizione
dell’art. 409 n. 3 cod. proc. civ., possono entrare in gioco i novellati art. 410 e ss. ed è
proponibile il ricorso alla Commissione di conciliazione e arbitrato (ex art. 410),
ovvero al Collegio di conciliazione e arbitrato (ex art. 412 quater), ferma restando,
altrimenti, la facoltà di adire l’autorità giudiziaria che anche queste disposizioni
assicurano.230
Il giudice del lavoro è comunque competente in tutti i casi in cui non sia stata
stipulata la clausola compromissoria, ovvero non sia applicabile la legge n. 91, come
per esempio nel caso dei dilettanti-professionisti di fatto.231
228
Secondo VENANZI, cit., il giudizio di annullamento è solo rescindens e per la decisione di merito le parti dovranno
ricorrere ad un nuovo arbitrato. Secondo PERDOMI, cit., in caso di annullamento le parti saranno costrette a portare la
controversia dinanzi al (altro?: n.d.r.) giudice del lavoro.
229
Cass., 21 maggio 2007, n. 11788; Cass., 24 febbraio 2006, n. 4207; Cass., 7 febbraio 2006, n. 2598, e altre
precedenti.
230
Si veda, similmente, Pret. Bari, 26 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, 140, ma in un’ipotesi di collaborazione
coordinata e continuativa di un’allenatrice-giocatrice, parte di un rapporto di lavoro non qualificato come
professionistico.
231
Pret. Grosseto, 1 agosto 1985, in Foro it. Rep., 1996, Sport, n. 42.
89
90

Indice analitico - durata 20, 26, 38, 72, 74, 76 ss.


- forma 28 ss., 79, 81, 82
- impossibilità sopravvenuta 71 ss.
A - inadempimento 54, 57, 71 ss.
Accertamenti sanitari 37, 65 ss. - individuale 9, 27, 28 ss., 33, 34, 51, 74, 82
Accordo collettivo 8, 16, 20, 24, 27 ss., 34, 35 ss., 39, - nullità 29, 36, 58, 79, 82
40, 50, 54, 55 ss., 57 ss., 62, 63, 68, 72, 74, 82, 84, 88 - patti aggiunti o integrativi 30, 32
Accord paritaire A.I.G.C.P.-C.P.A. 33, 59, 61 - patto di non concorrenza 27, 36, 51, 76
- F.I.G.C.-A.DI.SE. 13, 21, 39, 60, 84 - preliminare 29, 32
- F.I.G.C.-A.I.A.C. 34, 49, 51, 55, 66 - risoluzione 49, 50, 55, 57, 64, 71, 78
- F.I.G.C.-A.I.C. 30, 34, 39, 40, 50, 51, 52, 55, 58, 59, Contratto misto 22
61, 63, 66, 68, 72, 75, 84 ss. Contratto tipo 16, 20, 21, 24, 27, 28 ss., 33, 35 ss., 39,
- F.I.P.-G.I.B.A. 32, 34, 51, 52, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 40, 50, 54, 55, 58
61, 64, 66, 72, 74, 84 ss.
A.I.A. 14
Allenamenti 5, 20, 24, 33, 50, 51, 63, 64, 67, 85 D
Allenatori e tecnici 2, 10, 11, 13, 14, 16, 21, 27, 28, Dilettantismo 3, 4, 12, 17, 18, 20, 41, 64, 65, 77, 79
29, 37, 38, 39, 43, 44, 45, 49, 50, 51, 52, 55 ss., 58 ss., Direttore tecnico o sportivo 13, 14, 20, 28, 30, 38, 49,
61, 88 51, 60, 66, 73
- federali 10, 15, 81 ss. Diritto allo studio 40, 62
Arbitrato 55, 82 ss. Diritto di critica 40
Assegno per il nucleo di famiglia 71 Disoccupazione involontaria 71
Assicurazione infortuni 67 ss. Doping 57, 64
Assicurazione i.v.s. 10, 69 ss.
Atleti 2, 3, 5, 6 ss., 10, 11, 13 ss., 19, 20 ss., 26, 27,
28 ss., 33, 38, 41ss., 49 ss., 52, 58 ss., 61, 64 ss., 72, E
74, 76 ss., 82, 87 E.N.P.A.L.S. 10, 69
- rapporto con la federazione 80 ss. Enti di promozione sportiva 16
Automobilismo 22 Età 47, 58, 65, 67, 68
Avviamento (v. Collocamento)
F
B Fallimento (v. Società sportive)
Buyout clause, 74 Fedeltà 5, 50 ss.
Federazioni 5, 6 ss., 11, 12, 13 ss., 16, 17 ss., 21, 26,
27, 29, 31, 32, 35 ss., 37, 40, 41 ss., 50, 51, 52 ss., 59,
C 60, 65, 76, 80 ss., 82, 83, 85
Calciatori 2, 5, 10, 11, 14, 19, 28, 29, 34, 39, 42 ss., Federcaccia 12
50, 52, 55 ss., 58, 59, 69, 73, 75, 78, 80, 86 Ferie (v. Riposi)
Calcio 2, 6, 11, 14, 16, 18, 21, 28, 37, 42, 43, 45, 50, Festività 61
55, 56, 62, 67, 69, 78 F.C.I. 29,
Cessione (v. Contratto di lavoro) F.I.D.A.F. 48
Ciclismo e ciclisti 18, 33, 48, 61 F.I.F.A. 18, 42, 49, 57, 77, 78, 83
Cittadinanza 40 ss. F.I.G.C. (Federcalcio) 2, 6, 10, 14, 15, 16, 20, 24, 29,
C.I.O. 7, 17 31, 32, 35, 43, 45, 47, 49, 55, 56, 57, 59, 67, 73, 83
Clausola compromissoria 19, 27, 36, 37, 54, 74, 82 ss. F.I.N. 44
Collaborazione 5 F.I.P. 4, 41, 46, 48, 79
Collegio arbitrale 37, 55 ss., 59, 72, 74, 75, 82 ss. F.I.P.A.V. 44
Collocamento 2, 11, 28, 29, 37 F.I.S.G. 41
Commissario tecnico 15 F.I.S.I. 15
Congedo matrimoniale 61 F.I.T. 23
C.O.N.I. 7, 12, 13, 16, 17, 30, 31, 41 ss., 53, 67, 83 F.P.I. 23, 48, 84
Contratto o rapporto associativo 22, 54, 81 Fondo di fine carriera (v. Indennità
Contratto di lavoro 16, 21, 24, 26, 29 ss., 37 ss., 41, di anzianità)
54, 68, 76 ss., 85
- approvazione 16, 27 ss., 32 ss., 58
- a tempo determinato 37, 38, 72, 74, 75, 76 ss. G
- a tempo indeterminato 37, 74 General manager 15
- cessione 13, 29, 32, 76 ss. Giocatori (v. Atleti)
- - temporanea 59, Giochi olimpici 12
- costituzione 27 ss. Golf 18
- deposito 16, 27 ss., 32 ss., 58 Gravidanza 71
91

-di fatto 25, 37


-diligenza 49
I -infungibilità 6
Illecito sportivo e frode 51, 57 -onerosità 19, 21
Impianti audiovisivi 37 ss. Previdenza 5, 39, 59, 69 ss.
Inabilità e invalidità 57, 71, 72 Professionismo e professionisti 3 ss., 11, 12, 17, 18,
I.N.A.I.L. 67 ss. 19, 22, 27, 34, 37, 38, 39, 42 ss., 48 ss., 52, 54, 56, 60,
Indennità di anzianità e t.f.r. 26, 27, 59 ss. 61, 63 ss., 72, 74, 75, 76 ss., 82, 83
Indennità di maternità 71 -di fatto 18 ss., 37, 88
Indennità di preparazione e promozione 74, 76, 79 -qualificazione 13, 14, 17, 18, 31, 45, 65, 81
Infortunio 5, 10, 57, 64 ss., 71, 72, 77 Procuratore 22, 29
I.N.P.S. 5, 10, 69 ss. Pugilato e pugili 18, 22, 23, 84
Istruttore di nuoto 21

Q
L Qualifica 48
Lavoro autonomo 3, 5, 9, 10, 13, 14, 16, 20 ss., 26, 45,
65, 67, 69, 70, 80, 88
Lavoro subordinato 2, 4 ss., 9, 11, 13, 14, 16 ss., 20 R
ss., 26, 45, 52, 66, 69, 80 ss., 82, 84, 88 Rappresentanza sindacale 35
Lealtà sportiva 40, 51 Responsabilità oggettiva 51
Leghe 10, 15, 31, 34, 35, 47, 54, 55, 56, 67, 68, 79, 86 Retribuzione 10, 18, 19, 20, 37, 48, 53, 57 ss., 60, 63,
Licenziamento 37, 38, 52, 56, 73, 74 72, 73, 79, 80
-benefit 58
-interessi 59
M -lavoro festivo 47, 58
Maestro di scherma 21 -lavoro notturno 47, 58
Maestro di tennis 23, 69, 82 -lavoro straordinario 58
Malattia 5, 10, 39, 57, 64 ss., 74 -mensilità aggiuntive 58
-periodo di comporto 72 -onnicomprensività 58
Manifestazioni sportive 20, 23, 61, 80 -premi 58
Mansioni 37, 38, 48, 49, 52, 73, 82 -riduzione 58, 59, 63
Massaggiatore 14 -rivalutazione 59
Mediazione e mediatore 11, 28 ss. -salary cup 58
Medico sportivo 14, 64, 65, 86 -scatti 58
Mezzi audiovisivi 37, 39 Riposi 5, 58, 61
Mezzofondo 43 Rugby 87
Motociclismo 18
S
N Salute (v. Malattia-Infortunio)
N.B.A. 17 Sanzioni disciplinari 5, 8, 29, 37, 50, 52 ss., 55 ss., 64,
68, 80
-ammonizione 55
O -esclusione temporanea dagli
Obbedienza 51, 52 allenamenti 55, 56, 57
Orario di lavoro 58, 63 -inibizione 74
Opzione 51 -multa 55, 56, 57
-radiazione 52, 73
-recidiva 56
P -richiamo 56
Pallacanestro (Basket) 4, 18,40, 42, 45, 47, 66 -riduzione 55, 56
Pallamano 48 -riduzione del compenso 57, 63, 72
Pallanuoto 45 -sospensione della sanzione 82
Pallavolo 21 -squalifica 52, 53, 57, 59, 63
Pelota basca 17 Sciopero 62 ss.
Pilota 22, 62 Servizio militare 71
Prelazione 51 Società sportive 2, 3, 5, 6, 10, 14 ss., 22, 23, 27, 30, 33
Premio di addestramento (v. Indennità ss., 35 ss., 37, 39, 41, 45, 48 ss., 52 ss., 55 ss., 58 ss.,
di preparazione e promozione) 62, 63, 64 ss., 70, 73, 74, 76 ss., 80, 82, 84
Prestazione 11, 13, 14, 18, 19, 20 ss., 27, 38, 39, 45, -affiliazione 9, 16, 35, 52, 53, 76
48 ss., 52, 57 ss., 64, 72, 80, 81, 88 -fallimento 75
-continuità 5, 20, 26 SPORTASS 67
92

Statuto lavoratori (l. n. 300/1970) 28, 36, 37 ss., 49, Trasferte e ritiri 58, 62
54, 55 ss., 59, 62
Subordinazione 5, 23, 52
U
U.C.I. 43
T U.E.F.A. 42, 57, 77
Tecnici (v. Allenatori)
Tennis 22, 23
Tesseramento 9, 18, 29, 32, 33, 41 ss., 50, 52, 79 V
T.f.r. (v. Indennità di anzianità) Vincolo di giustizia 83 ss.
Trasferimento 5, 9, 11, 19, 28, 29, 31, 32, 33, 37, 41, Vincolo sportivo d’appartenenza 2, 13, 18, 54
42, 52
-internazionale 75

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