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NOTE BIOGRAFICHE

Jacques Lacan (Parigi, 13 aprile 1901 – 9 settembre 1981) studia medicina, si specializza poi in
psichiatria alla scuola di G. Clérambault. Si laurea nel 1932 con una tesi su "La psicosi paranoica
nei suoi rapporti con la personalità". In seguito è anche allievo del filosofo Alexandre Kojève, che
lo ha influenzato soprattutto nella prima parte della sua elaborazione. Nel 1938, terminata
un'analisi con Loewenstein, entra nella Société psychanalytique de Paris per abbandonarla nel
1953. Insieme a F. Dolto, D. Lagache e altri fonda la Société française de Paris che attese invano un
riconoscimento ufficiale da parte dell'International Psychoanalytical Association (IPA). Dopo dieci
anni viene praticamente scomunicato e per tutta risposta fonda una sua scuola, l'École Freudienne
de Paris, poi la scioglie e adotta l'École de la Cause Freudienne, di cui fu il primo presidente. Il suo
insegnamento è trasmesso soprattutto oralmente nei seminari (pubblicati postumi) che hanno
visto una numerosa partecipazione per trent'anni.

SINTOMO PER LACAN

1) COS’è IL SINTOMO? →
Il sintomo è ciò che fa soffrire il soggetto, ciò di cui si lamenta ma che allo stesso tempo fa godere
l’inconscio. E’ la risposta metaforica che il soggetto produce.

Freud, affermava che il sintomo fosse un malfunzionamento, il segno e il sostituto di una


soddisfazione pulsionale che non si è realizzata. Il lavoro dell’analista era testo a decifrare il
sintomo per risolverlo e eliminarlo. Lacan sostiene la definizione di Freud tuttavia il sintomo non è
più considerato un’anomalia. Il sintomo nella struttura svolge una funzione, dunque non deve essere
eliminato con leggerezza. In quanto appartenente alla dimensione del necessario, la soppressione
selvaggia della formazione sintomatica determinerebbe una mutilazione dell’essere. La formazione
sintomatica non va considerata come deficit né come dissociazione ma come una delle possibili
soluzioni che l’essere umano può dare all’enigma della castrazione, della realtà sessuale Freudiana .

In tal senso i sintomi sono delle soluzioni che difendono il soggetto dall’invasione del godimento.

Per Lacan l'inconscio freudiano non è un indescrivibile calderone astrutturato ma è una struttura
simbolica articolata come un linguaggio.

Quando analizziamo le produzioni dell’inconscio (lapsus, motto di spirito, atto mancato) da questo
punto di vista e con particolare riferimento all’intenzionalità comunicativa di queste, al voler
dire/fare, risulta evidente un fenomeno di anticipazione in queste comunicazioni. Il sintomo fuori
dall’addomesticamento analitico, fuori dal transfert, non sembra fare riferimento al voler dire.
Questo fenomeno è lapalissiano nella nevrosi ossessiva. Un’ulteriore questione di particolare
interesse riguarda la temporalità: il lapsus, il motto di spirito rispondono ad un’esigenza istantanea;
il sintomo si manifesta nel tessuto del discorso legato alla permanenza, alla ripetizione. Lacan parla
di eccetera del sintomo. Nel solco di questa coazione a ripetere un lapsus, un motto di spirito e un
atto mancato possono divenire sintomo.
Quindi le produzioni dell'inconscio si configurano sia come un enigma cui rispondere sia come
segno di un'enunciazione in cui un soggetto è coinvolto, senza saperlo.

2) QUANDO SI MANIFESTA IL SINTOMO? →

Il sintomo si manifesta quando il soggetto percepisce la mancanza e quando scopre l’Altro come
mancante del significante che lo rappresenterebbe e comincia a fronteggiare il desiderio.
L'oggetto della psicoanalisi è dunque un punto di inciampo nel fluire della vita del soggetto, è un
«vuoto» che, con una certa ripetitività, emerge al di là del senso. Lacan chiama «verità» il luogo
simbolico aperto da questa faglia, poiché si apre una questione-sintomo che interroga il soggetto e
che in quanto interrogativo si articola in elementi discreti e isolabili, come quelli di un messaggio.

I referenti di questa questione-messaggio sono il desiderio e il godimento.


La dimensione del desiderio spinge il soggetto ad un movimento di ricerca di una soddisfazione che
rimanda sempre ad altro: il desiderio è un dire che non si lascia condensare in nessun detto.
Il godimento esprime un paradosso soggettivo: la soddisfazione nel dispiacere. È come se il
soggetto affermasse «non ne posso più ma non ne posso fare a meno». Questo costrutto indica una
«soddisfazione autodistruttiva, maligna, spinta libidica irresistibile verso qualcosa che arreca al
soggetto una sofferenza che lo fa godere». Il godimento è quel residuo che nell'esperienza del
soggetto rimane sordo al potere del senso e della parola.

3) LA CONSAPEVOLEZZA DEL SINTOMO→

La possibilità di interrogarsi sulla propria condizione prende vita quando c’è accesso al registro del
simbolico.

4) COME SI USA IL SINTOMO NELLA TERAPIA→


Soltanto inserendo il sintomo nel circuito della parola, il lavoro analitico nel transfert, è possibile
interrogare il suo voler dire. Questa non è una condizione stabile e non riguarda tutti i sintomi.
Risulta fondamentale in tal senso la credenza nel voler dire del sintomo.

Nella cura l’analista deve favorie nel paziente un lavoro teso ad isolare quegli eventi e quei detti che
hanno avuto un ruolo chiave nel suo percorso esistentivo.
Ad esempio una paziente può riferirci di aver compiuto una certa scelta nella sua vita perché le era
stato detto che “stava dando le perle ai porci». L’analista dovrà quindi analizarne il significato (..)
come mai una frase come quella riportata sembra avere un tale potere di determinazione nella
scelta della nostra paziente? Attorno a questa frase occorrerà invitare la paziente ad articolare una
trama discorsiva che ci consenta di inferire l'«uso», il «significato» di quella serie di «significanti».
Un significante assume infatti significato solo nel suo rimando ad un altro significante: il
significato è effetto della catena significante, è prodotto dalla rete dei significanti.

In analisi il piano dell'enunciazione viene esplorato mediante l'«associazione libera da


rappresentazioni finalizzate». In sostanza il principio alla base del dispositivo analitico è
sintetizzabile nella formula: «quel che tu dici va al di là di quel che tu sai».
La finalità primaria della psicoanalisi non è la scomparsa del sintomo. L’obiettivo è favorire un
cambiamento del sintomo, cioè determinare una sostituzione di quello che era divenuto intollerabile
con una produzione (sintomo) accettabile per il soggetto.
Dunque ciò che conta in analisi è la traversata del fantasma con il quale nella migliore delle ipotesi,
il soggetto può trovare un’alleanza, un modo di convivenza scevro da sofferenze intollerabili.

Per Jacques Lacan l’analisi ha lo scopo di salvaguardare la libertà del soggetto al di là delle
determinazioni storiche, sociali e familiari del “grande Altro” in quanto sfondo simbolico
dell’esistenza del soggetto. Dunque parliamo di un’assunzione di responsabilità da parte del
soggetto rispetto al proprio desiderio inconscio al fine di consentire l’emancipazione dalla
dimensione impersonale del Si (“si fa così”, “si crede” ecc.) intesa come inganno frutto del
Linguaggio. La possibilità di decidere diviene su questa strada un’apertura all’Esserci (Daisen), ad
una progetto di vita più autentico.

Approfondimenti

[[[Quando si osserva il rapporto del soggetto con la trama significante (il campo dell'Altro = il
campo dell’inconscio) si considerano le vicissitudini delle identificazioni che hanno guidato il
paziente nella sua storia. Uno dei punti centrali della teoria di Lacan consiste nell'illustrare come sia
possibile salvaguardare la libertà del soggetto al di là delle determinazioni storico-sociali-familiari
dell'Altro, di quel «grande Altro» che configura lo sfondo simbolico dell'esistenza del soggetto.
L'esperienza della psicoanalisi implica dunque l'assunzione della propria responsabilità rispetto a
questa dimensione che sovradetermina la progettualità del soggetto. L'assunzione della
responsabilità del proprio desiderio inconscio non coincide però soltanto con il recupero del
capitolo censurato dalla coscienza, né con la ricostruzione della memoria storica del soggetto.

Nel pensiero di Lacan l'inconscio, «strutturato come un linguaggio», è il discorso dell'Altro, ossia la
trama simbolica in cui il soggetto sorge come effetto del significante. L'inconscio dunque, in quanto
discorso dell'Altro, costituisce per il soggetto la dimensione impersonale del Si con cui egli sarà
portato a confrontarsi. La dimensione storico-sociale del soggetto - quella del Si impersonale dei «si
dice», «si crede», «si fa così» - rischia però di obnubilare l'opportunità per il Dasein di manifestarsi
come progetto autentico: il Linguaggio da «casa dell'essere» può così trasformarsi in una forma di
mistificazione, di inganno. La strada verso l'autenticità impone dunque all'uomo la responsabilità di
una decisione (Ent-scheidung) per potersi emancipare dall'anonimato del Si. Per Heidegger infatti
«la decisione è una modalità eminente di apertura dell'Esserci».]]]

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