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La politica monetaria è uno strumento potente. Se usata a fini impropri può condurre a danni
permanenti. Può divenire invece un efficace fattore di stabilizzazione e contribuire al benessere
collettivo in maniera indipendente e attiva. Condizione irrinunciabile a che ciò avvenga è un
incardinamento delle decisioni di politica monetaria all’interno di una strategia sistematica e
prevedibile, fondata sulla stabilità dei prezzi, che informi le aspettative e non sorprenda l’economia,
ma la guidi. Una scaletta sulla sequenza analitica che porta, attraverso la individuazione di strumenti
ed obiettivi, alla costruzione di modelli operativi che abbiano la capacità di supportare il governo
degli equilibri tra moneta, prezzi e produzione. Equilibri che si evolvono parallelamente alla
evoluzione della capacità degli economisti di far evolvere anche la definizione e la capacità operativa
di quei medesimi modelli. La politica monetaria è una tecnologia del governo della moneta, che si
deve fondare su basi analitiche e deve essere esercitata con prudenza, come ogni strumento prodotto
dalla tecnica. Cosa è stata la prima crisi finanziaria globale, come la banca centrale europea ha reagito
alla crisi, come l’economia europea può ritrovare la strada della crescita e concorrere alla ripresa
dell’economia mondiale?
Sviluppo, crescita, crisi sono parole che abbiamo sentito spesso in questi anni e soprattutto in questi
mesi. Personalmente, voglio ancora sperare che la crisi possa portare ad un futuro migliore, ma nel
momento in cui si vive è deleteria. Vale la pena approfondire le radici e vedere se l’impostazione
delle nostre istituzioni è adeguata, per evitare ulteriori problemi. Le nostre istituzioni italiane, europee
ed internazionali sono state pensate nel dopoguerra anche sotto l’influsso keynesiano, ma hanno
subito rimaneggiamenti importanti dagli anni ’70 agli anni ’90, sotto l’influsso di gruppi di potere e
teorie che hanno mostrato i loro limiti, non soltanto analitici, ma anche dal punto di vista delle
esperienze pratiche derivanti dalla loro applicazione.
La politica economica e monetaria dell’Unione Europea
Con il trattato di Roma, gli Stati membri, pur sottolineando la necessità di accompagnare
l’instaurazione del mercato comune con un maggiore coordinamento delle rispettive politiche
economiche nazionali, non si mostrarono disposti a cedere alle istituzioni comunitarie un aspetto di
fondamentale importanza della loro sovranità interna. Ben presto però fu evidente che si richiedeva
una più stretta collaborazione tra gli Stati nella conduzione delle rispettive politiche economiche
nazionali. In questa direzione si pose, anni dopo, la direttiva del 18 febbraio 1974, con la quale si
tentò di dare un carattere di stabilità al coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.
Il Consiglio avrebbe dovuto dedicare alcune sedute agli affari economici e finanziari e alla situazione
economica e finanziaria in modo da definire gli orientamenti politici per la Comunità e gli Stati
membri. Si delinearono altresì le condizioni per elaborare un programma di politica economica a
medio termine. Un tentativo di stabilire un più stretto coordinamento nel settore fu promosso nel 1978
con la creazione, a seguito dell’iniziativa presa nel Consiglio europeo di Brema del 6 e 7 luglio 1978
da Helmut Schmidt e Valéry,
del Sistema monetario europeo (SME), entrato in vigore il 13 marzo 1979. Si trattava di un
meccanismo creato al fine di stabilire tra le economie dei paesi membri non soltanto delle relazioni
di cambio stabili, ma anche una disciplina comune nel campo della politica economica e monetaria.
Lo SME fu istituito al di fuori del quadro comunitario, sulla spinta degli eventi che sconvolsero il
sistema internazionale dei cambi a partire dal 1971, in merito alla sospensione della convertibilità del
dollaro, della sua svalutazione e della soprattassa del 10% sulle importazioni. Con tale decisione si
poneva di fatto fine al sistema di cambi fissi in vigore fin dal dopoguerra, evento che avrebbe potuto
avere effetti pericolosi per la gestione della politica agricola comunitaria. Per arginare tali pericoli, il
Consiglio adottava il 21 marzo 1972 una risoluzione sui primi elementi concreti di autonomia e di
solidarietà monetaria di una Comunità ben presto allargata a 9 membri. I punti principali di tale
risoluzione consistevano nel rafforzamento delle procedure di consultazione preventiva, nell’accordo
di principio sulla creazione di un Fondo di sviluppo regionale e nell’invito alle banche centrali di
ridurre progressivamente i margini di fluttuazione tra le monete europee. Tale margine non poteva
superare il 2,25%. L’accordo, noto con il nome di Serpente Monetario, non durò a lungo: il Regno
Unito e l’Irlanda, ne uscirono il 22 giugno dello stesso anno, seguiti dall’Italia nel febbraio 1973 e
dalla Francia nel 1974. Soltanto nel 1979, dopo il superamento dei due shock petroliferi e il
miglioramento della situazione economica dell’intera Comunità, fu possibile procedere all’adozione
di un nuovo meccanismo di convergenza tra le monete nazionali, il Sistema monetario europeo. Lo
SME si poneva come obiettivo la creazione di una zona di stabilità monetaria in Europa grazie
all’attuazione di determinate politiche in materia di cambi, crediti e trasferimenti di risorse, per evitare
che il disordine monetario ostacolasse il processo di integrazione comunitario. L’elemento cardine
del Sistema era rappresentato dall’European Currency Unit (l’unità monetaria europea), il cui valore
era dato dalla media ponderata delle diverse monete nazionali: le monete potevano variare rispetto
all’ECU nell’ambito di una banda di oscillazione, inizialmente pari a +/- 2.25%. Una volta ottenute
le parità centrali rispetto all’ECU era possibile desumere agevolmente anche la parità tra le diverse
monete nazionali. Nel caso di eccessiva rivalutazione o svalutazione di una moneta rispetto alle altre,
il governo nazionale doveva adottare le necessarie politiche monetarie che ponessero fine allo
squilibrio momentaneo; se queste politiche si fossero rivelate inefficaci, si doveva procedere ad un
riallineamento tra le varie monete, procedura che era demandata ad organi politici comunitari. Il
meccanismo dello SME, pur tra fasi alterne, ha retto per diversi anni. Tra il 1992 ed il 1993, tuttavia,
anche lo SME è entrato in una fase di profonda crisi e risultava notevolmente ridimensionato rispetto
agli originari obiettivi. L’esperienza dello SME è comunque terminata con l’adozione della moneta
unica a partire dal 1° gennaio 1999, da quella data non solo l’ECU è stato sostituito dall’Euro, ma
non ha più ragione d’essere un meccanismo di stabilizzazione dei cambi. Il problema della stabilità
monetaria si è posto, invece, per le monete degli Stati che non partecipano alla moneta unica, che
comunque devono garantire una stabilità nel tempo e rispettare il vincolo della permanenza nello
SME per almeno due anni per poter partecipare in futuro all’euro. Per questi motivi nel corso del 1996
sono state presentate alcune proposte per l’istituzione di un meccanismo di cambio tra l’euro e le
monete degli Stati non partecipanti (i cosiddetti outs): lo SME-2.
Quest’ultimo meccanismo ha lo scopo di evitare che le monete non partecipanti all’euro possano
deprezzarsi, svantaggiando indirettamente le altre economie, nonché di favorire il loro graduale
avvicinamento alla moneta unica, dal momento che è necessario rispettare i vincoli imposti da questo
accordo per almeno due anni prima di poter adottare la moneta unica. L’Unione economica e
monetaria (UEM) fa parte a pieno titolo dell’Unione
europea. Dall’Atto al trattato sull’Unione europea il salto di qualità è netto. Quella che, nel primo,
dove s’introduce l’articolo sulla “cooperazione in materia di politica economica e monetaria” era più
un’aspirazione che un inizio di progetto, entra, con il secondo, a chiare lettere nel trattato della
Comunità europea occupandovi uno spazio preciso e legittimando la prevista istituzione di un Sistema
europeo di banche centrali (SEBC) e di una Banca centrale europea (BCE). Un passo avanti deciso
nella scansione delle tre fasi dell’UEM ha i suoi riferimenti nel rapporto Delors che, deciso dal
Consiglio europeo di Hannover del 26 e 27 giugno 1988, era elaborato da un comitato composto di
governatori delle banche centrali e da alcuni esperti esterni e presieduto da Jacques Delors e aveva il
compito di studiare e proporre le tappe concrete per giungere all’unione economica e monetaria. Il
rapporto finale, nelle sue grandi linee, riprendeva le ipotesi di integrazione economica e monetaria
già tracciate nel Rapporto Werner del 1970. Le indicazioni contenute nel Rapporto Delors furono
fatte proprie dal Trattato di Maastricht, che apportò agli originari trattati radicali modifiche volte a
realizzare una piena convergenza delle politiche economiche degli Stati membri e procedere
successivamente alla realizzazione della completa integrazione monetaria. Con il Trattato di Lisbona
è stata sostanzialmente confermata l’impostazione dei trattati previgenti, mantenendo l’asimmetria
esistente tra una politica di bilancio “nazionale” e una politica monetaria “europea”.
L’art. 119 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) prevede, infatti, che ai fini
enunciati all’articolo 3 del TUE ( ovvero quello di “ assicurare uno sviluppo sostenibile dell’Europa,
basato su una crescita economica equilibrata, sulla stabilità dei prezzi e su un’economia sociale di
mercato fortemente competitiva”) l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende l’adozione
di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati
membri. Questa azione comprende una moneta unica, l’euro, nonché la definizione e la conduzione
di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche con l’obiettivo principale di mantenere
la stabilità dei prezzi, e solo subordinatamente a questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche
generali nell’Unione.
Tale previsione è importante in quanto sottolinea la sostanziale separazione tra la politica economica
e la politica monetaria dell’unione. La politica economica, infatti, è governata in modo indipendente
dagli Stati membri che sono tenuti al coordinamento delle loro scelte in base agli indirizzi di massima
dettati dal Consiglio, fermo restando che agli Stati membri la cui moneta è l’euro si applicano
disposizioni specifiche. Al contrario, la politica monetaria, il cui obiettivo principale è la stabilità dei
prezzi, costituisce per gli Stati membri che hanno adottato l’euro un settore ormai pienamente
“europeizzato”, stante la competenza esclusiva riconosciuta in materia all’Unione europea. Le nuove
disposizioni concernenti la politica economica e monetaria dell’unione sono raccolte nel Titolo VIII
della parte terza del TFUE e consistono in:
- Disposizioni di politica monetaria che riguardano la moneta unica e affidano ad uno specifico
dispositivo istituzionale (SEBC e BCE) la competenza esclusiva in tale materia;
- Disposizioni istituzionali che disciplinano la composizione, i compiti e i poteri degli organi
in tale settore:
- Disposizioni specifiche agli Stati membri la cui moneta è l’euro che configurano un regime
di cooperazione speciale tra gli Sati membri che hanno adottato l’euro;
L’art. 136 TFUE prevede, infatti, che il consiglio adotti misure ad hoc concernenti gli Stati membri
la cui moneta è l’euro, al fine di:
La definizione di una politica economica resta di competenza degli Stati membri i quali devono
considerare le loro politiche economiche una questione di interesse comune e, quindi, oggetto di
coordinamento da parte delle istituzioni dell’Unione. Il Consiglio è l’istituzione cui è demandato
il compito di orientamento che si concretizza principalmente nell’approvazione periodica, sulla
base del progetto con gli indirizzi di massima della Commissione e delle conclusioni adottate in
merito al Consiglio europeo, di una raccomandazione contenente gli indirizzi di massima, per le
politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione i cosiddetti grandi orientamenti di
politica economica (GOPE). L’esclusività della competenza degli Stati membri nella gestione
della politica economica è confermata dall’assenza nel trattato di disposizioni sanzionatorie, nel
caso in cui uno Stato membro non si attenga agli indirizzi di massima posti dal Consiglio o rischi
di compromettere il corretto funzionamento dell’unione economica e monetaria. E’ prevista solo
la possibilità per il Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, di indirizzare allo Stato
membro in questione le necessarie raccomandazioni. In caso di inottemperanza, le
raccomandazioni possono essere rese pubbliche dal Consiglio, su proposta della Commissione,
con conseguenze negative sulla credibilità dello Stato. Per garantire un più stretto coordinamento
tra le politiche economiche nazionali e una convergenza duratura dei risultati economici degli
Stati membri, l’Unione ha disposto un meccanismo di sorveglianza multilaterale, con la quale si
effettua un costante monitoraggio della rispondenza tra le prescrizioni degli indirizzi di massima
fissati dal Consiglio e le azioni di politica economica adottate dai singoli Stati. La sorveglianza
multilaterale, è attuata dal consiglio sulla base di relazioni ed analisi presentate dalla
Commissione, alla quale gli Stati membri comunicano le informazioni rilevanti relative alle
misure di politica economica da essi adottate, nonché tutte le informazioni ritenute da essi
necessarie. Con il Trattato di Lisbona vi è stato un ampliamento del ruolo del Parlamento europeo
in questo ambito stante la previsione della procedura legislativa ordinaria per l’approvazione dei
regolamenti che definiscono le modalità della procedura di sorveglianza multilaterale. Si
prevede, inoltre, all’artt.122, paragrafo 2, del TFUE la possibilità di concedere un’assistenza
finanziaria dell’Unione ad uno Stato membro che si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato
da gravi difficoltà, causate da circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo. Tali
difficoltà possono essere causate da un grave deterioramento del contesto economico e
finanziario internazionale. La crisi finanziaria mondiale e la recessione economica che hanno
colpito il mondo nel corso degli ultimi anni hanno compromesso seriamente la crescita
economica e la stabilità finanziaria provocando un grave deterioramento delle posizioni di
disavanzo e del debito degli Stati membri. Al fine di affrontare questa situazione eccezionale che
sfugge al controllo degli stati membri, è stato istituito l’11 maggio 2010 con reg.(UE)
N.407/2010 un meccanismo di stabilizzazione dell’Unione per preservare la stabilità finanziaria
nell’unione europea che dovrebbe consentire di rispondere in maniera coordinata, rapida ed
efficace a difficoltà gravi in un determinato Stato membro. La sua attivazione avviene nel
contesto di un sostegno congiunto UE/Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Lo Stato membro che richiede l’assistenza finanziaria dell’Unione discute con la Commissione, in
collegamento con la Banca centrale europea (BCE), una valutazione del suo fabbisogno finanziario e
trasmette alla Commissione e al comitato economico e finanziario un programma di aggiustamento
economico e finanziario. Se nella gestione della politica economica le istituzioni comunitarie possono
esercitare soltanto un’attività di indirizzo e coordinamento, ben più incisivi sono i poteri loro attribuiti
per il controllo dei bilanci pubblici degli Stati membri. Secondo quanto stabilito dall’articolo 126.
TFUE, infatti dal 1° Luglio 1994 gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi,
potendosi attivare la procedura sanzionatoria qualora tale obbligo non sia rispettato. Per disavanzo
pubblico deve intendersi la differenza negativa tra le entrate e le uscite del settore pubblico in un
esercizio finanziario. Il disavanzo pubblico può riferirsi sia alla differenza negativa tra le entrate e
uscite autorizzate (deficit di competenza) sia alla differenza negativa tra le entrate effettivamente
incassate e le uscite effettivamente sostenute (deficit di cassa).
Il disavanzo pubblico è considerato eccessivo se:
Il rapporto tra il disavanzo pubblico di bilancio ed il prodotto interno lordo (PIL)
supera il 3%;
Il rapporto tra debito pubblico e PIL è superiore al 60%.
I valori dei due criteri di riferimento figurano nel Protocollo n.12 allegato ai
Trattati sulla procedura dei disavanzi eccessivi.
I valori indicati nel protocollo sulla procedura dei disavanzi eccessivi possono essere valutati con un
certo margine di flessibilità. Degli scostamenti possono anche essere tollerati a condizione che:
- Il superamento della soglia del 3% sia di carattere eccezionale e temporaneo, ovvero sia
determinato da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro interessato ed
abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure sia
determinato da una grave recessione economica;
- Il rapporto tra disavanzo pubblico e PIL stia diminuendo in modo sostanziale e continuo e si
stia avvicinando al valore di riferimento;
- Il rapporto tra debito pubblico e PIL si stia riducendo in modo sufficiente, avvicinandosi con
ritmo adeguato al valore di riferimento (la presenza di questo criterio ha consentito l’ingresso
dell’Italia nell’euro, che non sarebbe stato possibile sulla base di una valutazione puramente
contabile, dal momento che il debito pubblico italiano nel 1998 era pari a 121,6%).
- La commissione prepara una relazione, possibile anche soltanto nel caso in cui ritenga che
sussista un semplice rischio di disavanzo eccessivo. Secondo quanto stabilito dal reg. CE 22
novembre 1993 n.3605/93 sostituito dal reg. (CE) 479/20099 oggi 1° aprile e 1° ottobre gli Stati
membri devono comunicare alla Commissione due volte l’anno i propri disavanzi pubblici previsti
ed effettivi, nonché l’ammontare del loro debito pubblico effettivo;
Nel caso in cui lo Stato membro corregga il proprio disavanzo attraverso l’adozione di adeguate
misure correttive, Il Consiglio può adottare una decisione con cui constata che la situazione di
disavanzo eccessivo non è più presente. Se le raccomandazioni del Consiglio sono state rese di
pubblico dominio, anche la decisione deve essere resa pubblicamente. Il paragrafo 11 dell’articolo
126 TFUE attribuisce al Consiglio la facoltà di infliggere sanzioni agli Stati membri che non
abbiano osservato le raccomandazioni in merito alla riduzione dei disavanzi pubblici ritenuti
eccessivi. La sanzione di maggior rilievo si sostanzia nell’obbligo di un deposito infruttifero
presso l’Unione europea. Il trattato, tuttavia, non precisava l’entità di tale sanzione, che ha trovato
una precisa individuazione soltanto con l’approvazione del cosiddetto “Patto di stabilità e
crescita” nel corso del Consiglio europeo di Amsterdam (1997). Con tale atto sono stati meglio
definiti i termini per lo svolgimento della procedura di contestazione dei disavanzi eccessivi ed è
stata precisata l’entità delle sanzioni applicabili nel caso in cui la situazione deficitaria non fosse
rientrata. In particolare, con riferimento alla sanzione del deposito infruttifero, le disposizioni del
reg. 1467/1997 prevedono che esso sia costituito da due parti: una fissa pari allo 0,2% del PIL, e
l’altra variabile, pari allo 0,1% del PIL per ogni punto (o frazione di punto) di sfondamento del
3%. Per tutti gli anni successivi e sino a quando non è emanata la decisione che abroga lo status
di deficit eccessivo, il Consiglio deve valutare se lo Stato membro partecipante ha dato seguito
all’intimazione del Consiglio stesso; in caso ciò non sia avvenuto, le sanzioni possono essere
intensificate e, se nell’arco di due anni lo Stato non si riallinea, il deposito si trasforma in
ammenda.
Questa regola generale prevede due eccezioni che operano in modo:
- automatico, se lo Stato che ha deragliato nel rapporto deficit/PIL è in grave stato di recessione
con caduta del PIL reale superiore al 2%, non verrà applicata nessuna sanzione;
- discrezionale, se la caduta del PIL è tra lo 0,75% e il 2%, il Consiglio può sospendere le
sanzioni se lo Stato dimostra il carattere eccezionale del suo deficit.
Il prolungato periodo di crisi economica iniziato nel 2001 ha portato negli ultimi anni diversi Stati
europei a derogare ai vincoli imposti dalla normativa UE in materia di bilanci pubblici, in
particolare ad un prolungato sforamento del tetto del 3% nel rapporto del disavanzo pubblico/Pil.
Tra gli inadempimenti figuravano Stati come la Francia, la Germania e l’Italia, che in
considerazione del carattere eccezionale della crisi congiunturale internazionale, hanno chiesto
una maggiore elasticità nell’applicazione delle disposizioni del Patto di stabilità. Nonostante
l’opposizione di alcuni Stati, alla fine è stato raggiunto (nel corso del Consiglio europeo del 22-
23 marzo 2005) un compromesso di tipo politico che, pur modificando gli atti giuridici sui quali
si basa l’applicazione del Patto di stabilità e pur mantenendo inalterati i parametri del 3% e del
60% come valori di riferimento per definire i disavanzi eccessivi, prevede i seguenti elementi di
flessibilità:
- Regolamento di modifica della normativa alla base della parte preventiva del patto di stabilità
e crescita (Regolamento di modifica della normativa alla base della parte correttiva del patto di
stabilità e crescita (regolamento 1467/97).
- Nuova direttiva relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri che fissa i
requisiti minimi che dovranno essere rispettati dagli Stati membri.
- Regolamento sulle misure per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell’area
euro.
In relazione alla protezione della stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme, viene
approvato il meccanismo permanente europeo di stabilità (MES) che sarà operativo dal 1° gennaio
2013 a seguito di una modifica specifica dell’art.136 del Trattato sul funzionamento europeo
(TFUE). Il MES sarà istituito con un Trattato tra gli Stati membri della zona euro come
organizzazione intergovernativa e avrà sede a Lussemburgo. Lo statuto sarà riportato in un
allegato del Trattato. L’accesso all’assistenza finanziaria del MES è sottoposto a una rigorosa
condizionalità politica, nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di
un’analisi scrupolosa della sostenibilità del debito pubblico, effettuata dalla Commissione
insieme al Fondo monetario internazionale (FMI) e di concerto con la Banca Centrale Europea
(BCE). Lo Stato membro beneficiario sarà tenuto a realizzare una forma adeguata di
partecipazione del settore privato in funzione delle circostanze specifiche e secondo modalità
pienamente conformi alle prassi del FMI. Tuttavia la novità emersa da questo Consiglio europeo
è il “Patto euro plus” che consoliderà ulteriormente il pilastro economico dell’Unione economica
e monetaria e prevede un salto di qualità nel coordinamento delle politiche economiche,
migliorando la competitività, aumentando il livello di convergenza e rafforzando l’economia
sociale di mercato. Approvato dai capi di Stato o di governo della zona euro e cui hanno aderito
Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, il Patto resta aperto all’adesione di
altri Stati membri. Esso rispetterà pienamente il mercato unico nella sua integralità, e verte
principalmente su settori che rientrano nella sfera di competenza nazionale e che sono essenziali
per migliorare la competitività ed evitare squilibri dannosi ai fini di una crescita più rapida e più
sostenibile dell’Unione europea nel medio-lungo periodo, di livelli più elevati di reddito per i
cittadini e della salvaguardia dei nostri modelli sociali.
Se nel campo della politica economica le istituzioni dell’Unione possono esercitare un’attività di
indirizzo e coordinamento, con l’introduzione dell’euro e per i paesi che l’hanno adottato la
politica monetaria è divenuta una competenza esclusiva dell’Unione, gestita in piena autonomia
dagli organismi a ciò preposti, il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e la Banca
centrale europea (BCE). Si tratta di un traguardo di rilievo nel processo d’integrazione, se si
considera che la gestione della politica monetaria costituisce da sempre una delle prerogative che
più connotano la sovranità di uno Stato, e che per la prima volta tale potere sovrano è stato ceduto
da un gruppo di paesi ad un’organizzazione che lo può gestire in completa autonomia. Il
documento di base che ha delineato le tappe per la definitiva unione monetaria è stato il Rapporto
Delors, che prevedeva una scansione in tre distinte fasi. La prima fase ha avuto inizio il 1° luglio
1990 e si è conclusa alla fine del 1993 con la totale liberalizzazione dei movimenti di capitale. La
seconda fase ha coinciso con il periodo intercorrente tra il 1° gennaio 1994 e il 1° gennaio 1999
e nel suo corso è stata posta una maggiore attenzione alla politica delle finanze pubbliche degli
Stati membri. Questa fase è caratterizzata dalla nascita dell’Istituto monetario europeo, con
funzioni di coordinamento delle politiche monetarie degli stati membri, e dall’invito rivolto ad
evitare disavanzi pubblici eccessivi. La terza fase è iniziata il 1° gennaio 1999, nel momento in
cui per i paesi della zona euro si ha una moneta unica, un tasso di cambio unico e una politica
monetaria unica. Con il 1° gennaio 2002 è poi iniziata la circolazione delle monete e delle
banconote in euro e, dopo un breve periodo di doppia circolazione, le singole monete degli Stati
aderenti sono sparite definitivamente dalla circolazione. Ai fini dell’adozione di una moneta unica
il trattato, imponeva agli Stati vincoli, dettagliatamente indicati nell’articolo 121 TCE (il cui par.1
è ora confluito nell’art. 140 , par. 1 TFUE) e in un apposito Protocollo, noti come criteri di
convergenza ovvero parametri di Maastricht. Gli indicatori dei criteri di convergenza stabiliti dal
Protocollo (ora prot. N.13) allegato al Trattato di Maastricht erano:
- Stabilità del cambio. Le monete nazionali dovevano far parte da almeno due anni dello SME
rispettando il proprio margine di oscillazione (15% in più o in meno rispetto alla parità centrale) e
non dovevano aver subito svalutazioni valutarie;
- Inflazione. Il tasso medio di inflazione misurato sui prezzi al consumo e rilevato in tutti gli
Stati membri non doveva superare di 1,5% quello dei tre Stati membri che avevano conseguito il
più basso tasso di inflazione nei dodici mesi precedenti l’esame d’ammissibilità;
- Tasso di interesse. I tassi di interesse a lungo termine di ciascuno Stato membro non dovevano
essere superiori del 2% rispetto a quelli adottati dai paesi in cui il costo della vita era cresciuto
meno;
- Disavanzo pubblico. Il rapporto tra disavanzo pubblico e PIL non doveva essere superiore al
3%. Il debito totale non doveva superare il 60% del PIL.
Se almeno 7 Stati membri avessero rispettato i criteri di convergenza, sarebbe stato possibile
procedere alla terza fase dell’unione economica e monetaria, già dal 1° gennaio 1997, altrimenti
ci sarebbe stato un rinvio al 1° gennaio 1999, come poi avvenne a seguito del Consiglio europeo
di Madrid del 15 e 16 dicembre 1995. Nel corso di un Consiglio Ecofin e di un successivo
Consiglio a livello dei Capi di Stato, tenutisi nei giorni 1-3 maggio 1998, sono stati individuati
gli undici Paesi membri, che rispettavano i criteri di convergenza ed erano pronti ad adottare
l’euro, sono stati scelti il Presidente e i membri della Banca Centrale europea e sono stati fissati i
cambi bilaterali tra le monete degli Stati partecipanti. La piena operatività della BCE, che
sostituisce l’IME, si è avuta a partire dal 1° giugno 1998, mentre il 31 dicembre dello stesso anno
sono state stabilite le definitive parità di conversione tra l’euro e le diverse monete nazionali. Dal
1° gennaio 1999 è iniziato il periodo transitorio, concluso il 31 dicembre 2001, nel corso del quale
hanno avuto luogo passi complessi:
L’ECU (l’unità di conto europea, che rappresentava la prima valuta virtuale dell’Unione europea)
ha cessato di esistere, è entrato in vigore l’euro e le valute godevano di cambi fissi tra di loro
(parità bilaterali) e con l’euro (parità centrali) sulla base dei rapporti di cambio precedentemente
stabiliti. Nella fase in esame, l’uso dell’euro è stato reso obbligatorio nel settore del credito e nel
settore pubblico. Era facoltativo, invece, nelle attività finanziarie dei privati, in quanto, in
applicazione del principio nessun obbligo, nessun divieto, nessuno era tenuto ad utilizzare l’euro.
L’obbligo è scattato, invece, dal 1° gennaio 2002, quando l’euro è entrato materialmente in
circolazione e le valute nazionali sono state progressivamente ritirate. Dal 1° marzo 2002, l’euro
è l’unica moneta legale in tutti gli Stati aderenti. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona,
le novità introdotte nel settore della politica monetaria si limitano essenzialmente ad operare una
razionalizzazione del quadro normativo esistente mediante l’introduzione di semplificazioni
procedurali e l’eliminazione di disposizioni e/o riferimenti ormai superati. Come previsto
dall’articolo 140 TFUE la scelta dei paesi che potevano adottare l’euro (i cosiddetti paesi in) e di
quelli esclusi (i cosiddetti paesi out) spettava al Consiglio riunito nella composizione dei Capi di
Stato e di governo, sulla base di due rapporti presentati, rispettivamente, dalla Commissione
europea e dall’IME. La Commissione, nella sua relazione, sulla convergenza, ha raccomandato
al Consiglio i paesi che, a suo giudizio, avevano soddisfatto i criteri di convergenza e che, quindi,
potevano partecipare al progetto della moneta unica dal 1° gennaio 1999: Belgio, Germania,
Francia, Spagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Finlandia. Tra i
paesi che non sono riusciti in un primo momento a rispettare i parametri di convergenza, figurava
solo la Grecia, non allineata a nessuno dei criteri fissati dal Trattato di Maastricht, ma che avrebbe
compiuto una rapida e positiva azione di aggancio ai paesi adottando l’euro a partire da 1° gennaio
2001. A questi stati si sono successivamente aggiunti la Slovenia (dal 1° gennaio 2007), Cipro e
Malta (dal 1° gennaio 2008), la Slovacchia (dal 1° gennaio 2009) e l’Estonia (dal 1° gennaio
2011) portando il numero totale degli Stati aderenti all’euro a 17.
Nell’Unione a 15, i solo paesi che, per scelta volontaria, non hanno adottato la moneta unica
(indicati tecnicamente come Stati membri con deroga) sono il Regno Unito, la Svezia e la
Danimarca. Per il regno Unito, che presentava dati economici eccellenti, le ragioni sono state di
ordine economico politico. Per la Svezia, che pure rispettava pienamente i requisiti per entrare da
subito nell’unione monetaria, il governo svedese, è stato costretto dall’opinione pubblica a
rimandare l’ingresso e gli svedesi hanno manifestato la loro volontà contraria anche in una
consultazione referendaria tenutasi nel 2002. Per la Danimarca, il rifiuto all’ingresso nell’area
euro è dovuto ad un
“euroscetticismo” manifestatosi nei confronti del trattato di Maastricht, per la cui ratifica si rese
necessario il ricorso ad un secondo referendum. Il SEBC (sistema europeo di banche centrali)
presenta una struttura federale, essendo composto dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali (si
parla invece di Eurosistema per riferirsi al sistema europeo della BCE e delle Banche centrali
della sola zona euro.
L’Eurosistema e il SEBC coesisteranno fintanto che vi saranno Stati membri dell’UE non
appartenenti all’area dell’euro). Il suo obiettivo principale è il mantenimento della stabilità dei
prezzi e solo compatibilmente con tale obiettivo sostiene le politiche economiche generali
dell’unione. I compiti fondamentali affidatigli dall’art. 127 TFUE sono:
La gestione finanziaria della BCE è tenuta distinta da quella dell’UE. La Banca dispone di un
bilancio proprio, e il suo capitale è sottoscritto e versato dalle BCN dell’area dell’euro.
Lo Statuto prevede un mandato di lunga durata per i membri del Consiglio direttivo. Inoltre, il
mandato dei membri del Comitato esecutivo non può essere rinnovato. Le seguenti misure
assicurano la continuità dei mandati dei governatori delle BCN e dei membri del Comitato
esecutivo:
mandato non rinnovabile di otto anni per i membri del Comitato esecutivo
rimozione dall’incarico dei governatori e dei membri del Comitato esecutivo
solo nei casi di incapacità ad assolvere il proprio mandato o di colpe gravi
competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a dirimere qualsiasi
controversia in materia.
L’Eurosistema non può concedere prestiti agli organi dell’UE né a enti pubblici nazionali; tale
vincolo rappresenta un ulteriore elemento di protezione da interferenze di autorità pubbliche.
L’indipendenza dell’Eurosistema investe anche il piano operativo. La BCE dispone delle
competenze e degli strumenti necessari per condurre una politica monetaria efficiente e ha facoltà
di decidere in autonomia quando e in che modo farvi ricorso.
La BCE ha il diritto di adottare regolamenti vincolanti nella misura necessaria per lo svolgimento
delle funzioni attribuite al SEBC e nei casi precisati in atti del Consiglio dell’UE.
il Bollettino mensile
Competenze:
Il Consiglio direttivo viene normalmente convocato due volte al mese a Francoforte sul Meno
(Germania), presso la Eurotower.
La prima riunione del mese è dedicata alla valutazione degli andamenti economici e monetari e
all’adozione delle decisioni mensili di politica monetaria. La seconda si incentra su aspetti
inerenti agli altri compiti e responsabilità della BCE e dell’Eurosistema.
I verbali delle riunioni non sono pubblicati; tuttavia, le decisioni di politica monetaria vengono
spiegate approfonditamente nel corso della conferenza stampa che si tiene dopo la prima riunione
del mese. La conferenza stampa è tenuta dal Presidente, assistito dal Vicepresidente.
Tutti i membri sono nominati dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata.
Competenze:
Vi sono rappresentati i 19 Paesi appartenenti all’area dell’euro e i 9 Paesi che non ne fanno parte.
Gli altri membri del Comitato esecutivo della BCE, il Presidente del Consiglio dell’UE e un
membro della Commissione europea possono partecipare alle riunioni del Consiglio generale,
ma senza diritto di voto.
Competenze:
Il Consiglio generale può essere considerato un organo di transizione. Esso svolge i compiti in
precedenza affidati all’Istituto monetario europeo, e quindi assunti dalla BCE nella Terza fase
dell’Unione economica e monetaria, poiché non tutti gli Stati membri dell’UE hanno ancora
adottato l’euro.
Il Consiglio generale concorre:
In applicazione dello Statuto, il Consiglio generale sarà sciolto una volta che tutti gli Stati
membri dell’UE avranno introdotto la moneta unica.
Gli strumenti che il SEBC può utilizzare per assolvere i propri compiti sono specificati negli
artt. 17 e ss. dello statuto: operazioni di mercato aperto, operazioni su iniziativa delle controparti
e la riserva obbligatoria.
Le operazioni di mercato aperto sono finalizzate alla manovra dei tassi di cambio e alla gestione
della liquidità del sistema. Sono previsti cinque tipi di operazioni: acquisti e vendite di titoli
con successivo patto di riacquisto o i prestiti garantiti (cd. operazioni temporanee); acquisti e
vendite a titolo definitivo; le emissioni di certificati di debito, gli swap in valuta; la raccolta dei
depositi vincolati.
La riserva obbligatoria si applica ai soli istituiti di credito della zona euro allo scopo di
stabilizzare i tassi di mercato monetario, determinare o aumentare il fabbisogno strutturale di
liquidità nel sistema, incidere sul processo di creazione della moneta. Essa è remunerata alla
media dei tassi delle operazioni di rifinanziamento principale del SEBC.
Una questione delicata è costituita dai rapporti fra la politica monetaria e le altre politiche
economiche, tenuto presente che il Trattato affida al SEBC il compito di assicurare la stabilità
dei prezzi e, in seconda battuta, di sostenere le politiche generali della UE e che l’Unione
europea comprende Stati le cui economie presentano, andamenti ciclici diversi, nonché stati
che hanno adottato l’euro e altri Stati che, pur non partecipando all’euro, sono comunque ad
esso strettamente collegati (poiché partecipano al mercato unico). Il Trattato ha solo
parzialmente risolto questi problemi e le vicende dell’ultimo decennio hanno confermato la
complessità della gestione di situazioni in cui confluiscono ambiti di competenza dell’Unione
europea e ambiti rimasti di competenza dei singoli Stati.
Definisce ogni anno gli indirizzi di massima delle politiche economiche (obiettivi
comuni per l’inflazione, le finanze pubbliche e la stabilità dei tassi di cambio);
Ha poteri di sorveglianza sulle situazioni di bilancio degli Stati membri, potendo
adottare raccomandazioni e imporre sanzioni;
Formula gli orientamenti generali di politica del cambio nei confronti delle valute
non comunitarie.
Per poter esercitare pienamente il ruolo di centro decisionale in materia economica, l’ECOFIN
deve poter disporre di canali di comunicazione con la BCE costanti ed efficienti. Il Trattato
prevede che il Presidente del Consiglio ed un membro della Commissione possono partecipare,
senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio direttivo della BCE. Il Presidente del consiglio,
inoltre, può sottoporre una mozione alla delibera del Consiglio direttivo della BCE. Il Presidente
di quest’ultima è invitato, di diritto, a partecipare alle riunioni del Consiglio quando si discuta di
argomenti relativi agli obiettivi ed ai compiti del SEBC. Il vero trait-d’union fra gli organi
dell’Unione europea è però costituito dal Comitato economico e finanziario. Previsto dall’ art.
134 TFUE il Comitato ha sostituito, dal 1° gennaio 1999, al momento dell’avvio della 3° fase
dell’UEM il Comitato monetario e svolge i seguenti compiti:
E’ chiaro che, per i paesi partecipanti all’euro, il coordinamento della politica economica
rappresenta un problema ben più pressante che per gli altri. L’idea di un Eurogruppo
(inizialmente Consiglio d’Europa), caldeggiata da Francia e Germania, ha trovato
l’opposizione degli inglesi e degli altri paesi outs, timorosi di essere relegati in un ruolo
marginale.
Quella che può essere forse considerata una versione eccezionale dell’eurogruppo si è avuta
il 12 ottobre 2008 quando, in occasione della crisi finanziaria mondiale scatenata dalle
voragini apertesi nei bilanci degli istituti di credito a seguito dei mancati rimborsi dei prestiti
ipotecari statunitensi denominanti sub-prime, vi è stata una riunione ristretta a paesi dell’area
euro, ma a livello dei Capi di Stato e di governo. In questo caso, verificatosi su iniziativa di
Sarkozy, allora presidente di turno dell’Unione europea, si potrebbe parlare più propriamente
di un EuroConsiglio, una sorta di Consiglio europeo ristretto ai paesi dell’area euro. E’ certo
che la presenza dei vertici governativi dei paesi-euro ha consentito l’adozione di misure
rilevanti quali l’iniezione di liquidità nel sistema finanziario, la garanzia statale per i prestiti
interbancari, la ricapitalizzazione delle banche ad opera degli Stati.
La politica economica e monetaria degli stati Uniti . Il sistema della Federal Reserve :
scopi e funzioni
Il Federal Reserve System conosciuto anche come Federal Reserve ed informalmente come la
Fed è la banca centrale degli Stati Uniti d'America. La FED fu istituita con l'approvazione del
Federal Reserve Act del 23 dicembre 1913 dal Congresso degli Stati Uniti e iniziò le sue
operazioni nel 1914. L'approvazione del testo legislativo del Federal Reserve Act fu preceduta
da un'indagine della National Monetary Commission, istituita nel 1908 dopo la grave crisi
finanziaria del 1907, e da un lungo dibattito del Congresso. La National Monetary
Commission produsse fino al 1911 una notevole quantità di studi e analisi sul sistema
monetario e finanziario statunitense e sui sistemi monetari e sulle banche centrali presenti nei
vari paesi dell'epoca.
La Commissione avanzò diverse proposte per l'introduzione di un’istituzione che avesse il
compito di prevenire e contenere eventuali crisi finanziarie.
Il difficile dibattito al Congresso per l'approvazione del Federal Reserve Act e la diffidenza
da parte dei politici verso soluzioni troppo accentrate determinarono una soluzione legislativa
di compromesso che diede vita a una struttura del Federal Reserve System complessa in modo
da poter ricevere impulso da tutte le parti del paese e da mantenere una conformazione
federale.
Il Federal System è oggi costituito da un'agenzia governativa centrale, il Board of Governor
of the Federal Reserve System - con sede nella capitale Washington D.C. e composto di 7
governatori nominati dal Presidente degli Stati Uniti - e da dodici Federal Reserve Bank
regionali, i cui presidenti sono nominati con complesse procedure. Sia il Board che le 12
Reserve Bank condividono responsabilità nel campo della vigilanza sugli intermediari
finanziari e le loro attività, e per quanto riguarda l'offerta di servizi bancari alle istituzioni
creditizie e al governo. Una dei principali componenti del Federal Reserve System è il Federal
Open Market Committee (FOMC), composto di 12 membri: tutti i 7 membri del Board of
Governors, dal presidente della Federal Reserve Bank di New York e, a rotazione, da 4 dei
rimanenti 11 presidenti delle altre Reserve Bank federali. Il FOMC è responsabile della
definizione delle operazioni di mercato aperto, il principale strumento della Fed per
influenzare i tassi d'interesse sui mercati monetari e finanziari. In base alla documentazione
ufficiale, i compiti della FED si possono suddividere in quattro macro-aree:
1. Stabilire la politica monetaria nazionale influenzando la quantità di moneta in
circolazione e le condizioni creditizie dell'economia al fine di perseguire il massimo
impiego, la stabilità dei prezzi e moderati tassi d'interesse a lungo termine;
La struttura formale della Fed riflette il principio del federalismo su cui i promotori si orientarono
per cercare di frazionare la titolarità delle funzioni individuate dal Federal Reserve Act sul piano
territoriale, fra le regioni e gli stati, e sul piano dei titolari delle cariche, fra i ceti imprenditoriali
e bancari. Il territorio degli Stati Uniti è diviso in dodici distretti non coincidenti con il territorio
degli stati membri (c.d. Federal Reserve districts): essi fanno capo alle città di Atlanta, Boston,
Chicago,
Cincinnati, Dallas, kansas City, Minneapolis, New York, Philadelphia, Richmond, St. Louis e
San Francisco. La suddivisione in aree è stata decisa, per comodità, secondi gli usi invalsi nel
commercio, i confini dei distretti non devono necessariamente coincidere con le frontiere degli
Stati, o di alcuni Stati. In realtà il Federal Reserve Act non richiede che i distretti siano dodici
ma pone un limite minimo (otto) e massimo (dodici).
La scelta di servirsi del maggior numero possibile di distretti da parte della commissione
incaricata di questo compito, nel 1914, derivò dal desiderio di accontentare il maggior numero
di città, mentre la divisione del territorio fu effettuata in base alle preferenze indicate dalle banche
commerciali aderenti al sistema.
L’assetto decentrato della Fed e la rappresentanza attribuita ai settori economici coinvolti doveva
servire a garantirne l’imparzialità e a scongiurare forme accentuate di schieramento ideologico,
allineate sulle posizioni della presidenza. Ciò spiega la ragione per la quale il Congresso decise
di non richiedere la presenza simultanea nel Board di esponenti di partiti fra loro contrapposti
(c.d. clausola di bipartismo), condizione di solito richiesta per le altre agenzie di regolazione
indipendenti.
Il Sistema della Riserva federale può essere raffigurato come una piramide alla cui base ci sono
i privati, nella parte mediana la componente mista, e al vertice l’elemento pubblico.
Le banche commerciali aderenti al sistema della Riserva federale (c.d. member banks), in numero
di circa cinquemila, costituiscono il fondamento della Fed e concorrono alla nomina degli organi
direttivi delle dodici banche di Riserva federale (Federal Reserve Banks) e dalla Commissione
federale del mercato aperto (Federal Open Market Committee- FOMC).
L’organo rappresentativo dell’intero sistema è il Board of governors. Il FOMC e il Board,
sebbene si trovino su livelli diversi per quanto concerne la composizione, hanno però un uguale
grado di autorità e, dunque, sono gerarchicamente equiparati. Occorre sottolineare che, dal punto
di vista giuridico, gli organi di cui si compone la Fed hanno un’identità propria: soltanto il Board
of Governors costituisce un’agenzia di regolazione indipendente, con tutte le garanzie che
comporta l’inclusione in questa categoria.
Gli altri organi sono di difficile interpretazione; questo vale soprattutto per il FOMC, a causa del
suo carattere spiccatamente misto. Il Board costituisce la componente della Fed sulla quale si è
concentrato il potere decisionale, il nocciolo fondamentale del concetto d'indipendenza va
individuato, dunque, nel rapporto che esso intrattiene con i poteri politici.
Le banche commerciali stanno alla base del sistema della Riserva federale: assicurano il
collegamento fra le autorità monetarie e il mondo bancario. Aderiscono obbligatoriamente al
Federal Reserve System le banche federali (dette National banks), mentre le banche statali
possono scegliere di associarsi solo se dotate di un capitale sufficiente, la cui entità è stabilita
nell’atto istitutivo della Fed. In questo modo il Board è in grado di esercitare un controllo sul
70% dei depositi bancari; questa percentuale scende al 40% se si includono anche i depositi delle
casse di risparmio.
In ogni distretto ha sede una Federal reserve bank principale, che è indicata con il nome della
città in cui si trova. Le Banche di Riserva maggiori dimensioni sono quelle di New York,
Chicago e San Francisco le quali, messe assieme, possiedono il 50% del capitale attivo del
sistema. Ogni Banca di Riserva federale è costituita in forma di società per azioni; essa esercita
funzioni pubbliche pur essendo di proprietà delle banche private del Federal Reserve System.
Le Federal Reserve Banks stabiliscono il tasso di sconto, che deve comunque superare
l’approvazione del Board of Governors. La funzione più rilevante consiste nel decidere quali
siano le banche che hanno i requisiti per ottenere prestiti dal Federal Reserve Board, al tasso di
sconto ufficiale.
Il Board è formato da sette membri (Governors) e ha sede a Washington D.C. Ogni governatore
è nominato dal Presidente degli Stati Uniti ed è confermato dal Senato per un periodo di
quattordici anni non rinnovabile. Il Board of Governors ha piena competenza nelle decisioni di
politica monetaria. Inoltre, emana le norme regolamentari (rules o regulations) per l’applicazione
dell’atto istitutivo della Fed,o delle leggi bancarie, che disciplinano l’attività delle banche private
partecipanti e delle Federal Reserve Banks. Il ruolo del Board si è rafforzato, nel tempo, mediante
il perfezionamento degli strumenti di gestione e delle dottrine finanziarie e monetarie, più che
attraverso disposizioni legislative. I sette governatori del board sono, allo stesso tempo, membri
del FOMC e, in tale veste, partecipano al processo decisionale relativo alle operazioni di mercato
aperto. Essi hanno una posizione di preminenza rispetto ai presidenti delle Banche di Riserva
Federale: i loro voti ammontano a sette, contro i cinque degli altri. Ciò può determinare, in
situazioni di crisi, la prevalenza dell’elemento federale su quello regionale nelle decisioni che
rientrano nelle competenze del FOMC.
Il Board è obbligato a presentare vari rapporti al Congresso, fra cui uno annuale sulla sua attività,
e altri rapporti, a cadenza semestrale, sullo stato dell’economia e gli obiettivi di crescita
monetaria e la gestione del credito.
Il FOMC (Federal Open Market Committee) ha piena ed esclusiva competenza nelle decisioni
relative alle operazioni di mercato aperto. Queste costituiscono lo strumento più incisivo a
disposizione delle Fed per attuare le decisioni di politica monetaria; in tal senso il FOMC può
essere definito il punto nevralgico di tutto il sistema dal punto di vista operativo.
Le Commissioni consultive che coadiuvano l’attività degli organi del sistema sono la
Commissione consultiva federale ( Federal Advisory Committee), la Commissione consultiva
delle casse di risparmio ( Thrift institutions Advisory Council) e la Commissione consultiva dei
consumatori (Consumer Advisory Council).Mentre le prime due commissioni sono i veicoli che
trasmettono le istanze del mondo bancario agli organi decisionali della Fed, la terza assicura, da
parte delle autorità, un rilievo normativo ai problemi della società civile.
Le Commissioni esercitano funzioni consultive nei confronti del Board relativamente alle
esigenze dei soggetti rappresentati. Il Federal Advisory Committee, in particolare, è competente
a richiedere informazioni o presentare pareri relativi alla fissazione del tasso di sconto, alle
operazioni di risconto, all’emissione di banconote, alla determinazione delle riserve obbligatorie
nei vari distretti, all’acquisto e vendita di oro e obbligazioni da parte delle Banche di riserva, alle
operazioni di mercato aperto e altre questioni inerenti al sistema bancario.
La Federal Reserve stabilisce la politica monetaria della nazione, promuove gli obiettivi di
massima occupazione, prezzi stabili e tassi d'interesse moderati a lungo termine.
Gli obiettivi della politica monetaria sono espressi nel Federal Reserve Act, che specifica che si
dovrebbe cercare di promuovere efficacemente gli obiettivi della massima occupazione, prezzi
stabili e tassi di interesse moderati a lungo termine.
Prezzi stabili nel lungo periodo costituiscono una condizione preliminare per lo sviluppo
sostenibile massimo, per la crescita della produzione e dell'occupazione.
I Prezzi stabili sono i segnali più chiari per l'allocazione efficiente delle risorse e in tal modo
contribuire ad innalzare gli standard di vita, inoltre, prezzi stabili favoriscono il risparmio e gli
investimenti.
Anche se la stabilità dei prezzi può aiutare a ottenere il massimo rendimento sostenibile, in
termini di crescita e occupazione nel lungo periodo, nel breve periodo, un po’ di tensione può
esistere tra i due obiettivi. La Federal Reserve può contribuire alla stabilità finanziaria e a una
migliore performance economica agendo per contenere perturbazioni finanziarie ed evitare la
loro diffusione al di fuori del settore finanziario.
La Federal Reserve può attutire l'impatto sui mercati finanziari e sull’economia fornendo
liquidità attraverso le operazioni di mercato aperto o la manovra del tasso di sconto.
Il collegamento iniziale della catena tra la politica monetaria e l'economia è il mercato dei fondi
federali, detti anche Fed Funds sono le riserve obbligatorie e altre liquidità che le banche
americane detengono presso la Federal Reserve. Ogni giorno, il Federal Reserve Board fissa i
tassi relativi in rapporto alla sua politica, tenendo conto dell’andamento del mercato. Il tasso sui
fondi federali è il tasso di interesse al quale le banche prestano i loro fondi di riserva in eccesso
presso la Federal Reserve ad altre banche. La politica è considerata “espansiva” se aumenta la
dimensione dell’offerta di moneta o diminuisce il tasso d'interesse, mentre si dice di essere in
“contrazione” se si riduce la dimensione dell’offerta di moneta o aumenta il tasso d'interesse. Un
altro modo per descrivere la politica monetaria è sugli effetti desiderati sull’economia. Secondo
il capitolo 2 del documento della Federal Reserve, ovvero il Federal Reserve System: finalità e
funzioni, “nel breve periodo una certa tensione può esistere tra i due obiettivi” e in tali circostanze
i responsabili di fronte alla politica monetaria devono decidere se concentrarsi sulle pressioni sui
prezzi o sulla ammortizzazione della perdita dei posti di lavoro e del calo della produzione.
Così, la politica monetaria è descritta come “accomodante” se la banca centrale sta cercando di
rilanciare la crescita economica “neutrale“, non facendo un tentativo di aumentare la crescita, né
di combattere l’inflazione, oppure viene definita “stretta” se invece è destinata a ridurre
l’inflazione.
La Fed non può controllare l’inflazione o i posti di lavoro in maniera diretta. Invece, può
influenzarli indirettamente attraverso l’uso dei seguenti tre strumenti di politica monetaria:
- Il tasso di sconto
- Requisiti di Riserva
Con l’utilizzo di questi tre strumenti la Federal Reserve influenza la domanda e l’offerta dei fondi
di riserva e in questo modo altera il tasso dei fondi federali.
In aggiunta la Federal Reserve può fare pressione su taluni partecipanti al mercato, spingendoli
ad agire in un dato modo, oppure attraverso delle operazioni apposite in cui la Fed definisce
l’obiettivo che sarà al centro del mercato, definendo anche la costruzione di queste future azioni
monetarie e delle aspettative volte ad aumentare l’efficacia delle azioni in corso. Alzando o
abbassando i tassi d’interesse si influenza anche la domanda di beni e di servizi. La Federal
Reserve afferma che “le variazioni del tasso dei fondi federali innesca una catena di eventi che
interessano anche altri tassi d'interesse a breve termine, tassi di cambio, tassi di interesse a lungo
termine, la quantità di moneta e del credito, e, infine, una serie di variabili economiche, tra cui
l’occupazione, la produzione e i prezzi di beni e di servizi “. La politica monetaria influenza la
produzione e l’occupazione nel breve periodo e può essere utilizzata per appianare il ciclo
economico, ma nel lungo periodo la produzione e l’occupazione dipendono dall’efficienza del
capitale, dalla produttività del lavoro, dal risparmio e dalla propensione al rischio. Ad esempio,
quando la domanda si indebolisce e c’è una fase di recessione, la Fed può temporaneamente
stimolare l’economia abbassando i tassi d’interesse. La Fed avrà qualche difficoltà a gestire la
politica monetaria in maniera perfetta, ma le forze monetarie in gioco possono dare vento alle
vele del lavoro. Quando la politica della Fed è espansiva, si investe economicamente in settori
sensibili, come quelli industriali, quelli finanziari e quelli del settore tecnologico. Quando la
politica della Fed è in una fase di contrazione, l’esposizione del patrimonio netto è in calo e si
investe in settori economicamente meno sensibili, come quelli dei beni di consumo e
dell’assistenza sanitaria. Come sempre ci sono rischi, come con qualsiasi strategia di
investimento. Alcune delle preoccupazioni quando si segue una strategia basata sulla politica
monetaria sono il fatto che questa strategia si è rivelata proficua in passato. Questo non significa
che la cosa continuerà a essere efficace anche in futuro. I risultati degli investimenti riflettono
l’andamento nel medio e lungo periodo. La strategia non prevede rendimenti superiori per i vari
periodi. Ci sono stati alcuni studi fatti per determinare se gli investitori possono ottenere profitti
anormali osservando il cambiamento delle operazioni della Federal Reserve e i cambiamenti
della politica monetaria. Questi studi hanno concluso che, utilizzando una semplice regola fatta
al fine di determinare l’orientamento della politica monetaria, gli investitori possono anche
operare al di fuori del mercato azionario statunitense.
I periodi di politica monetaria espansiva sono associati da una forte performance dei titoli, ovvero
dei rendimenti superiori alla media e con un rischio inferiore alla media, mentre i periodi di
politica monetaria restrittiva in genere coincidono con un andamento dei titoli deboli, ovvero dei
rendimenti inferiori alla media e superiori al rischio medio. Le società a bassa capitalizzazione
sono più sensibili rispetto alle società a grande capitalizzazione ai cambiamenti delle condizioni
monetarie. I titoli ciclici hanno inoltre una sensibilità molto più elevata alle variazioni delle
condizioni monetarie di altri titoli. Possiamo dunque dire che la politica monetaria degli Stati
Uniti ha un’influenza molto importante sui mercati mondiali, da tenere sicuramente sott’occhio
per valutare anche l’andamento delle valute. La politica monetaria non è l'unica forza che agisce
sulla produzione, l'occupazione e prezzi. Molti altri fattori influenzano la domanda aggregata e
offerta aggregata e, di conseguenza, la posizione economica delle famiglie e delle imprese. Dal
lato della domanda, il governo influenza l'economia attraverso i cambiamenti delle imposte e dei
programmi di spesa che di solito ricevono molta attenzione del pubblico e sono quindi previsti.
Per esempio, l'effetto di un taglio fiscale può precedere la sua effettiva attuazione, come le
imprese e le famiglie alterare la loro spesa in previsione delle minori imposte. Inoltre i mercati
possono costruire questi eventi fiscali nel livello e nella struttura dei tassi di interesse, in modo
che una misura stimolante, come un taglio fiscale, tenderebbe ad aumentare il livello dei tassi di
interesse anche prima che il taglio delle tasse diventa effettiva, e ciò avrà un effetto frenante sulla
domanda e sull’economia. Altre variazioni della domanda aggregata e dell'offerta possono essere
totalmente imprevedibili influenzando l'economia in modi imprevisti. Esempi di tali shock dal
lato della domanda sono cambiamenti nella fiducia dei consumatori e delle imprese, e
cambiamenti nella richiesta di prestito delle banche commerciali e altri creditori. Diminuita la
fiducia per quanto riguarda le prospettive per l'economia, tende a frenare l’attività e la spesa delle
famiglie. Sul lato dell'offerta, calamità naturali, interruzioni nel mercato del petrolio che
riducono le perdite di alimentazione, agricoltura, e rallentamenti nella crescita della produttività
sono esempi di shock di offerta avversi.
La politica monetaria può tentare di contrastare la perdita di produzione o dei prezzi più alti, ma
non può completamente contrastare entrambi. I responsabili di politica monetaria non hanno
costantemente informazioni sullo stato dell'economia e dei prezzi. Pertanto, anche se i
responsabili di politica monetaria saranno alla fine in grado di compensare gli effetti negativi che
gli shock di domanda hanno sull'economia, ci vorrà del tempo prima che l'ammortizzatore è
pienamente riconosciuto. Gli obiettivi statutari della massima occupazione e della stabilità dei
prezzi sono più facili da realizzare se il pubblico capisce tali obiettivi e ritiene che la Federal
Reserve adotterà misure efficaci per raggiungerli. La Federal Reserve potrebbe stabilire un
percorso di riferimento per la variabile intermedia che ritiene essere coerente con il
raggiungimento degli obiettivi finali della politica monetaria. Gli aggregati monetari sono stati a
volte utilizzati come guida per la politica monetaria sulla base del fatto che essi possono avere
un rapporto piuttosto stabile, con l'economia e può essere controllata in misura ragionevole dalla
banca centrale sia attraverso il controllo della fornitura dei saldi presso la Federal Reserve o il
tasso dei fondi federali. Negli Stati Uniti e in molti altri paesi con avanzati sistemi finanziari
negli ultimi decenni, la maggiore complessità nel rapporto tra moneta e PIL ha reso più difficile
l’uso degli aggregati monetari come guida per la politica. La relazione tra la crescita del denaro
e la crescita del PIL nominale, noto come "velocità" può variare in modo spesso imprevedibile,
questo complica ulteriormente l’utilizzo degli aggregati monetari come guida alla politica, infatti,
di conseguenza, gli aggregati monetari hanno assunto minore importanza nel processo
decisionale nel corso del tempo.
I tassi di interesse sono stati spesso proposti come guida per la politica, non solo per il ruolo che
svolgono in una grande varietà di decisioni di spesa, ma anche perché le informazioni sui tassi
di interesse è disponibile su una base in tempo reale. Il livello appropriato dei tassi di interesse
varia con l'orientamento della politica fiscale, le variazioni del modello di spesa delle famiglie e
delle imprese, la crescita della produttività e sviluppi economici all'estero. Può essere difficile
non solo poter misurare l'intensità di queste forze ma anche tradurli in un percorso di tassi di
interesse. La pendenza della curva (cioè, la differenza tra il tasso di interesse a lungo termine e a
breve termine) è stata suggerita come guida per la politica monetaria. Considerando che, a breve
termine i tassi di interesse sono fortemente influenzati dall’impostazione corrente dello
strumento di politica monetaria, a più lungo termine i tassi di interesse sono influenzati dalle
aspettative di futuro. Per esempio, una curva con un picco positivo (cioè tassi di interesse a lungo
termine molto al di sopra dei tassi a breve) può essere un segnale che i partecipanti al mercato
obbligazionario ritengono che la politica monetaria è diventata troppo espansiva, al contrario,
una curva dei rendimenti con una pendenza verso il basso può essere un'indicazione che la
politica è troppo restrittiva, forse rischiando una perdita indesiderata della produzione e
dell'occupazione. Tuttavia, la curva di rendimento è anche influenzata da altri fattori, tra cui le
future politiche di bilancio, gli sviluppi sui mercati dei cambi, e aspettative circa il futuro
andamento della politica monetaria. Pertanto, i segnali provenienti dalla curva dei rendimenti
devono essere interpretati con cautela. La "regola di Taylor”, dal nome dell’economista John
Taylor, è un'altra guida per valutare la posizione corretta della politica monetaria. La regola
descrive in che modo le Banche Centrali dovrebbero fissare il tasso di interesse a breve termine,
in funzione degli obiettivi da perseguire in termini di crescita economica e inflazione. Appare
evidente che il tasso di interesse dovrebbe aumentare in presenza di inflazione, al fine di rendere
più oneroso il costo del denaro che concorre a surriscaldare i prezzi, mentre al contrario dovrebbe
diminuire nelle fasi recessive, contribuendo a dare impulso alla crescita del Prodotto Interno
Lordo (Pil). Nella formula di Taylor il tasso di interesse fissato dalla Banca Centrale viene
derivato proprio dai valori: di inflazione e crescita del Pil. Il calcolo è pari a una volta e mezza il
tasso di inflazione, più metà della differenza fra la crescita del Pil reale e quello potenziale, più
uno. La differenza fra la crescita del Pil reale e quello potenziale viene definito anche output gap
ed è negativo quando la crescita è inferiore a quella potenziale, mentre assume valori positivi
quando l’economia si surriscalda e tende a generare inflazione.
Sebbene questa guida ha un fascino, ha anche difetti. Il livello dei tassi di interesse a breve
termine connessi con il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine è un elemento chiave nella
formula, ma può variare nel tempo in modo imprevedibile. I Movimenti dei tassi di cambio sono
un importante canale attraverso il quale la politica monetaria influenza l'economia e i tassi di
cambio tendono a rispondere tempestivamente a una variazione del tasso dei fondi federali.
Inoltre, le informazioni sui tassi di cambio, come le informazioni sui tassi di interesse, è
disponibile continuamente tutto il giorno. Interpretare il significato dei movimenti dei tassi di
cambio, tuttavia, può essere difficile. Una diminuzione del valore di cambio del dollaro potrebbe
indicare che la politica monetaria è diventata, o si prevede che stia diventando più accomodante.
Alcuni hanno sostenuto prendendo la guida di tasso di cambio di un ulteriore passo avanti e
utilizzare la politica monetaria per stabilizzare il valore del dollaro in termini di valuta o in
termini di un paniere di valute. Tuttavia, c’è una grande incertezza su quale livello del tasso di
cambio è più coerente con gli obiettivi fondamentali della politica monetaria, e utilizzare un tasso
di cambio sbagliato potrebbe portare a un periodo prolungato di stasi economica o di
un'economia surriscaldata. I responsabili della politica monetaria hanno avuto la tendenza ad
utilizzare un’ampia serie di indicatori quelli di cui sopra insieme a molti altri, compreso il
comportamento effettivo della produzione e dei prezzi per giudicare le tendenze dell’economia
e per valutare l'orientamento della politica monetaria. Tale approccio eclettico consente alla
Federal Reserve e alle altre banche centrali di utilizzare tutte le informazioni disponibili nella
conduzione della politica monetaria. Un aspetto negativo di tale approccio è la difficoltà di
comunicare le intenzioni della banca centrale al pubblico, la mancanza di un insieme
relativamente semplice di procedure che possono rendere difficile per il pubblico comprendere
le azioni della Federal Reserve e di giudicare se quelle azioni sono coerenti con il raggiungimento
dei suoi obiettivi statutari.
La Fed esercita la funzione monetaria utilizzando strumenti che, sebbene di natura non coercitiva,
riescono a influenzare e orientare l’attività dell’intero sistema del credito. Le operazioni di
maggiore efficacia di cui dispone la Fed per esercitare la funzione monetaria e del credito sono
quelle che hanno luogo nel mercato aperto, seguite a breve distanza dalla “moral suasion”
(controllo verbale), dalla fissazione del tasso di sconto e dei livelli minimi delle riserve. Mentre
i primi due influiscono sulla base monetaria (il fattore più rilevante nella fluttuazione dell’offerta
di moneta), il terzo strumento incide sul meccanismo del moltiplicatore monetario. Le operazioni
di mercato aperto consistono nella vendita e acquisto di titoli di Stato nel mercato aperto (ossia
in Borsa). Quando la banca centrale vende titoli (elegible Securities) assorbe la liquidità in
eccesso del sistema. I titoli oggetto di transazione sono quelli statali, vale a dire buoni del Tesoro
(Treasury bills, ossia titoli pubblici a breve) e obbligazioni emesse dalle agenzie amministrative
( governement agency securities, cioè titoli pubblici di maggiore durata). I buoni del Tesoro sono
preferiti, poiché sono considerati il tipo di obbligazione più liquida e con il maggior volume di
scambio. Le operazioni di mercato aperto sono effettuate dal Trading Desk della banca federale
di New York, che segue le direttive impartitele dal FOMC, relative al tasso di crescita di alcuni
aggregati monetari la cui entità varia all’interno di una banda di oscillazione. La consuetudine
che la Fed ha di fare ampio uso delle operazioni di mercato aperto deriva dai molteplici vantaggi
che esse offrono: sono facili da eseguire (basta contattare un agente che negozia i titoli, come
una banca o altre organizzazioni), e facili da eliminare in caso di errore. Inoltre, questo strumento
permette alla banca centrale di controllare completamente tale settore, a differenza degli effetti
ottenuti con la manovra del tasso di sconto, con la quale si limita a incentivare le banche senza,
d’altra parte, avere il potere di influire direttamente sul volume delle operazioni di sconto
effettuate. La fissazione del tasso di sconto era considerata, nell’atto istitutivo della Fed del 1913,
lo strumento principale di cui essa disponeva. La “real bills doctrine”, che costituiva la base
teorica di tutto l’impianto, prevedeva che le banche commerciali riscontassero le cambiali dei
propri clienti presso la banca centrale ottenendo in cambio nuovo contante. In tal modo, alle
prime in caso di necessità non sarebbe mai mancato il denaro da prestare alle imprese
commerciali o agricole solvibili.
Tuttavia, questo disegno non funzionò. In primo luogo, perché la nozione di elasticità dell’offerta
di denaro si rivelò falsa e, addirittura pericolosa: un’offerta di moneta che si espande
automaticamente quando l’economia funziona bene e che, viceversa, si contrae quando va male,
conduce a un rafforzamento del ciclo economico e genera inflazione. In secondo luogo, perché
le banche si accorsero che era preferibile ricevere denaro dalla banca centrale attraverso lo sconto
dei titoli pubblici in loro possesso (operazione che viene chiamata tecnicamente advance o
anticipazione) piuttosto che con lo sconto delle cambiali. Questa è la ragione per cui si preferisce
parlare di operazioni di sconto e non di risconto secondo la terminologia originale,
comprendendo anche le anticipazioni. La banca centrale è prestatrice di ultima istanza nei
confronti delle banche commerciali, alle quali concede prestiti (o sconti).
Attraverso il tasso di sconto la banca centrale indica l’interesse da pagare per tali sconti o
anticipazioni da parte delle banche che intendono servirsene. Ovviamente, maggiore sarà il tasso
di sconto minore sarà la richiesta di prestiti da parte delle banche, con il risultato di ottenere una
restrizione del credito presente nel sistema. Inoltre, le banche aumenteranno il tasso di interesse
applicato nei confronti della clientela (specialmente il prime rate adottato per le società più
grosse). Viceversa, una diminuzione del tasso di sconto renderà più appetibili i prestiti per le
banche commerciali, con il risultato di incentivare la disponibilità del credito. Normalmente la
manovra del tasso di sconto, viene usata per assecondare il mercato.
Ad esempio, la vendita di titoli pubblici effettuata nell’ambito delle operazioni di mercato aperto
determinerà un aumento dei tassi di interesse; le banche cercheranno allora di prendere a prestito
dalla Fed a un tasso di sconto portandolo ai livelli correnti nel mercato, per scoraggiare la
richiesta di sconti o anticipazioni che ostacolano la politica restrittiva. Il tasso di sconto influenza
il mercato del credito anche dal punto di vista psicologico; gli operatori finanziari e bancari,
infatti, interpretano la manovra del tasso di sconto come indice del futuro orientamento della
Fed: ad esempio, un aumento del tasso di sconto viene letto dal mercato come manifestazione
della volontà della Fed di adottare una politica monetaria restrittiva.
Il ricorso ai prestiti della Fed era appannaggio, inizialmente, dei soli istituti di credito associati
al sistema della Riserva Federale. In seguito al Monetary Control Act del 1980, tuttavia, possono
ricorrervi, alle stesse condizioni, anche tutti gli altri istituti di credito che detengono depositi
coperti da riserva obbligatoria, come richiesto dalla stesse legge. Il terzo strumento a
disposizione della Fed è costituito dal potere di imporre alle banche commerciali, a copertura dei
loro depositi, l’obbligo di detenere riserve minime presso i caveaux delle banche oppure presso
la Federal reserve Bank del distretto di appartenenza. La competenza a stabilire l’entità delle
riserve minime è stata attribuita al Board dalla legge bancaria del 1935, in base alla quale esso
fissa osservando massimali predeterminati per legge, che sono più elevati nei confronti delle
banche di grandi dimensioni e più ridotti per quelle più piccole. Analogamente, a quanto avviene
per il tasso di sconto, il Monetary Control Act del 1980 ha reso tali riserve minime obbligatorie
anche per gli istituti di credito che non aderiscono al sistema della Riserva federale, aumentando
così il margine di controllo del Board. Una modifica del coefficiente delle riserve obbligatorie
ha implicazioni rilevanti. In primo luogo, perché incide immediatamente sul moltiplicatore dei
depositi, con effetti che si ripercuotono su tutto il sistema bancario. In secondo luogo, perché
interferisce sul grado di liquidità del sistema bancario: un aumento del coefficiente di riserva,
infatti, obbliga le banche a vendere titoli liquidi nel mercato o a ottenere prestiti da altre banche
per aumentare la consistenza delle riserve. Il risultato finale equivarrà a una diminuzione della
liquidità totale presente nel sistema bancario ovvero, nel caso di riduzione del coefficiente
obbligatorio, a un aumento della liquidità del sistema.
La Federal Reserve in ambito internazionale
L'economia degli Stati Uniti e l'economia mondiale sono legate in molti modi. L'evoluzione
economica in questo paese ha un grande peso e influenza la produzione, l'occupazione, e i prezzi
e allo stesso tempo, gli sviluppi all'estero in modo significativo. Il dollaro americano, che è la
valuta più utilizzata nelle transazioni internazionali, costituisce più della metà delle riserve
ufficiali di altri paesi in valuta estera. Le banche degli Stati Uniti all'estero e quelle estere negli
Stati Uniti, sono importanti attori dei mercati finanziari internazionali. Le attività della Federal
Reserve e l'economia internazionale si influenzano reciprocamente.
Pertanto, al momento di decidere la politica monetaria appropriata per raggiungere obiettivi
economici di base, il Consiglio dei governatori e del FOMC considera il record di transazioni
internazionali degli Stati Uniti, i movimenti dei tassi di cambio, e di altri sviluppi economici
internazionali. La Federal Reserve si impegna in politica estera attraverso operazioni di cambio
a volte influenzando il valore del dollaro in rapporto a valute estere, principalmente con
l'obiettivo di stabilizzare le condizioni di mercato. Tali operazioni sono effettuate in stretta
consultazione e continua collaborazione con il Tesoro degli Stati Uniti. Le azioni di politica
monetaria degli Stati Uniti hanno effetti significativi sulla crescita e sull’inflazione nelle
economie estere. La crescente complessità dei mercati finanziari globali, in combinazione con
sempre più collegamenti tra i mercati nazionali attraverso il commercio, la finanza, e gli
investimenti diretti hanno condotto ad una proliferazione di produttori di paesi diversi che
possono incontrarsi e discutere su argomenti di reciproco interesse. Un forum importante è
fornito dalla Banca dei regolamenti internazionali (BRI) a Basilea, Svizzera. Attraverso la BRI,
la Federal lavora con i rappresentanti delle banche centrali degli altri paesi per tentare di risolvere
problemi comuni in materia di politica monetaria internazionale. I Rappresentanti della Federal
Reserve possono anche partecipare alle attività del Fondo monetario internazionale (FMI) e
discutere a livello macroeconomico, dei mercati finanziari, e di questioni strutturali con
rappresentanti di altri paesi industriali, partecipa anche alle attività dell’organizzazione della
cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). La Federal Reserve conduce operazioni in valuta
estera, l'acquisto e la vendita di dollari in cambio di valuta estera, sotto la direzione del FOMC,
che agisce in stretta consultazione e continua cooperazione con il Tesoro degli Stati Uniti, che
ha la responsabilità generale della politica finanziaria internazionale degli Stati Uniti Dalla fine
del 1970, il Tesoro degli Stati Uniti e la Federal Reserve hanno condotto quasi tutte le operazioni
in valuta estera congiuntamente e allo stesso modo. Le operazioni della Federal Reserve in
valuta estera si sono evolute in risposta ai cambiamenti del sistema monetario internazionale. Il
più importante di questi cambiamenti è stato il passaggio nel 1970 da un sistema dei tassi di
cambio fisso istituito nel 1944 in una conferenza monetaria internazionale tenutasi a Bretton
Woods, nel New Hampshire, ad un sistema di tassi di cambio del dollaro flessibili.
Nel 1985, in particolare dopo il mese di settembre, quando i rappresentanti dei cinque maggiori
paesi industriali hanno raggiunto il cosiddetto accordo Plaza sui tassi di cambio, gli Stati Uniti
iniziarono a intervenire sul mercato di cambio e utilizzarlo come strumento di politica più di
frequente. Tra il 1985 e il 1995, la Federal Reserve, a volte, in coordinamento con altre banche
centrali, è intervenuta per contrastare i movimenti del dollaro che erano percepiti come eccessivi.
La Federal Reserve è interessata alle attività internazionali delle banche, non solo perché
funziona come una vigilanza bancaria, ma anche perché tale attività sono spesso sostituti per le
attività bancarie domestiche e devono essere attentamente monitorati per interpretare la politica
monetaria degli Stati Uniti e le condizioni del credito, inoltre, gli istituti bancari internazionali
sono importanti veicoli per bassi capitali da e verso gli Stati Uniti.