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LA FILOLOGIA IN GENERALE
Testo nel lessico filologico designa un pensiero fissato nella scrittura che vive
e si tramanda attraverso un certo numero di testimoni (le copie che
conservano e trasmettono il contenuto), dunque è un pensiero fissato per
essere conservato.
Tradizione è la riproduzione e la trasmissione di un testo attraverso il tempo.
Le scritture musicali non corrispondono in ugual misura all'esigenza di
conservare e tramandare un pensiero, sono più incerte delle scritture adottate
nei testi verbali. Sono sistemi più indicativi che prescrittivi talvolta non
decifrabili senza precise chiavi di lettura per ricostruirne e integrazioni
necessarie (il non scritto).
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si perpetuano mai inalterate.
Testo e prassi
Il rapporto fra musica e fruitori è più complesso di quello fra un testo
verbale e i suoi lettori perché comporta il passaggio obbligato dell'esecuzione
che varia sempre, quando esiste. Comporta sempre una mediazione
interpretativa. Un'opera musicale vive dunque su due piani:
1 il testo e la sua trasmissione.
2 l’esecuzione che lo fa rivivere.
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quando è specchio di un preciso indirizzo e di un gusto. In questi casi la
prassi si propone come ricostruzione storica (la Matthäus Passion di Bach
riveduta da Mendelssohn). Importante non mescolare la redazione scelta con
altri eventuali livelli di testo, neppure con quello originario.
LA FILOLOGIA MUSICALE
Testo e testimoni
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Se manoscritti si dicono:
autografi di mano dell'autore
idiografi se redatti sotto il suo controllo o dettatura
Se relativi ad una edizione a stampa i testimoni si distinuguono in:
- edizioni autorizzate, seguite direttamente dall'autore.
- bozze, relative ad una edizione (anche controllata dall'autore)
- materiale informatico, elettronico multimediale di edizioni autorizzate.
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filologia classica che tesero ad adattare le loro competenze alla musica.
Eccezionale fu nell’Ottocento l’impegno di studiosi di lingua tedesca che
porta a grandi opere di storiografia musicale. Nacque la ricerca musicologica
(Musikwissenschaft) in senso moderno secondo punti di osservazione
differenti. Non ci si accontentava più di accumulare dati ma si tentava di
collegarli e metterli in relazione al contesto. Si avvertì anche la necessità di
competenze interdisciplinari assimilate attraverso percorsi formativi spesso
molto complessi. Si ebbe così la diffusione di molti opera omnia editi fra
Ottocento e primo Novecento: Breitkopf & Haertel di Lipsia dalla fine del '700
pubblica opere complete (si fa per dire) di Mozart, Haydn, Clementi, Bach
(dal 1851), Händel, Palestrina (dal 1862), Beethoven (dal 1862),
Mendelssohn (dal 1874), Schumann (dal 1879), Schubert (dal 1884), Berlioz
dal 1900) ecc. Altri editori come Simrock a Bonn, Peters a Lipsia, Artaria e
Haslinger a Vienna, Pleyel a Parigi, Novello a Londra, Ricordi dal 1808 a
Milano, Guidi a Firenze pubblicano soprattutto repertori contemporanei. Le
grandi edizioni erano ritenute rispondenti all'interesse musicologico; le più
economiche venivano allestite da un revisore (spesso un esecutore) e si
indirizzavano verso edizioni di tipo pratico a lungo diffuse ma spesso
scorrette. Esempio ne sono le Arie antiche di Alessandro Parisotti nate dalla
volontà di offrire un'idea del canto italiano antico ma in realtà rispondente al
gusto tardo-ottocentesco nelle armonizzazioni (tre vol. editi fra 1885-1900).
Verso la fine dell'Ottocento nasce la cosiddetta edizione Urtext con lo
scopo di colmare il divario fra le due tipologie: è la trascrizione diplomatico-
interpretativa di un testimone d'epoca, spesso la prima stampa, corredato di
segni dinamici, abbellimenti e indicazioni espressive vicine alla prassi
dell'autore. La coscienza della distanza storica e l’esigenza di abbinare un
minimo di dignità testuale si coniugano con i vantaggi di una edizione d'uso.
Tali edizioni godettero di grande diffusione nel Novecento e tuttora imperano
concretizzandosi in forme ibride. Un altro tipo di edizioni di successo è
quello della riproduzione fototipica di singoli testimoni. Nel corso
dell'Ottocento si stabilizzano varie tipologie di edizioni: una edizione di tipo
storico-critico di monumenti o opera omnia può ispirarsi a criteri filologici ma
discontinui per la diversa formazione dei curatori e il diverso grado di
competenze. In genere sono formate da due volumi: una introduzione storica,
una recensione dei testimoni, l'edizione del testo musicale ed eventualmente
verbale e un apparato critico che registra le varianti.
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moltissimi fattori che determinano in che modo e con quale processo si
giunge alle varie versioni di una stessa opera, e se si giunge o meno ad una
versione definitiva, ovvero alla versione “d’ultima mano”.
In questa fase dunque è importante tenere presente che possono
intervenire vari fattori:
- Il travaglio del materiale compositivo prima della versione definitiva, ovvero
le varie trasformazioni del testo musicale e la sua evoluzione.
- i vari comportamenti dei compositori rispetto alla stesura dell’opera;.che
variano a seconda delle epoche e dei comportamenti individuali: per esempio
nel Barocco è difficile concepire una versione definitiva (si pensi alla continua
rielaborazione di materiale nelle parodie caratteristiche di Bach), in
Beethoven ogni opera è frutto di ispirazione ma anche di miglioramenti
costanti e rifiniture, per cui l’ultima versione, quella definitiva, è spesso la
migliore. Schumann riteneva invece che la prima versione fosse sempre la
migliore perché dettata dall’istinto musicale) ma non per questo si è peritato
di rivedere radicalmente varie sue opere.
- Il concetto di ultima volontà d’autore: il compositore aspira ad una forma
definitiva, una “chiusura” della sua opera musicale oppure ritiene che ogni
opera può essere sempre trasformata e rimodellata praticamente all’infinito?
- Problematiche esterne possono influenzare il compositore e portare a
varianti d’opera e successive versioni non necessariamente migliorative, quali
organici variabili dell’orchestra, condizioni di spazio dei teatri, esigenze dei
cantanti, esigenze di durata, riciclo di composizioni per mancanza di tempo.
- I differenti comportamenti da parte dei compositori nel conservare i loro
manoscritti e la loro preparazione per i posteri. Brahms ad esempio distrusse
moltissimi manoscritti giovanili, Beethoven nel periodo giovanile fece lo
stesso, e si deve al caso se alcuni amici del compositore hanno
fortunatamente recuperato e salvato molto materiale compositivo. Alcuni
autori invece, soprattutto in tarda età, copiavano e catalogavano
accuratamente le proprie composizioni, seppur con diverse metodologie.
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mentis, oppure le prassi esecutive di un determinato periodo storico, oppure
le diteggiature o le arcate, o molto altro ancora, diventando in questo modo
testimoni importanti per differenti composizioni.
Durante il percorso del testo musicale possiamo avere varianti d’autore,
oppure varianti di tradizione. Il compito di chi si appresta a presentare
un’edizione musicale è dunque quello di rintracciare tutti i testimoni disponibili
e analizzarli accuratamente. Alcuni testimoni andranno a ricostruire la
versione d’ultima mano, altri andranno ad alimentare lo storico dell’apparato
critico dell’edizione, generando così una “storia della tradizione”.
La tradizione di determinati repertori (ad esempio il gregoriano oppure le
canzoni dei trovatori e dei trovieri) si basano in principio su tradizione orale.
E’ dunque necessario applicare vari modelli metodologici a seconda dei vari
generi o repertori. Spesso è utile attingere da altri ambiti, come ad esempio le
metodologie letterarie, e adattarle alle varie situazione. Generalmente lo
studio di schizzi e di bozze viene utilizzato solo come materiale per lo studio
biografico. Lo studio di questo materiale può essere comunque d’aiuto ai fini
dell’analisi nella preparazione di una edizione critica.
Importanti sono anche le tecniche di stampa utilizzate, soprattutto per la
musica antica, poiché in molti casi molte informazioni musicali vengono
determinate proprio dal tipo di tecnica utilizzata o meno. Le tecniche di
stampa principalmente utilizzate sono la Xilografia, la Calcografia, la
Litografia, la stampa a caratteri mobili o tipografica.
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L’ultima fase è quella comunicativa, la fase cioè in cui si sceglie come
presentare il lavoro effettuato. Una volta ricostruito il testo musicale si pone il
problema della elaborazione dei criteri editoriali, in cui il curatore dovrà
trovare la maniera migliore per far comprendere il senso dell’opera ai
destinatari dell’opera stessa. Eva Badura-Skoda, in un articolo del 1965,
sosteneva che fare un'edizione significa porsi 3 domande: che cosa ha scritto
il compositore? che cosa intendeva scrivere il compositore? (critica del testo);
che cosa avrebbe scritto il compositore per farsi universalmente capire ai
giorni nostri? (riguarda l’elaborazione dei criteri editoriali). Le difficoltà che
sorgono a questo punto possono essere di due tipi: la distanza della
notazione antica da quella moderna, e le aspettative di diverse tipologie di
utenti, che va dallo specialista di un determinato repertorio a chi invece non
ha conoscenze approfondite riguardo un repertorio in particolare. I destinatari
di un’edizione non sono tutti uguali, non hanno le stesse competenze e le
stesse esigenze. Quello che per qualcuno è ovvio, per altri è oscuro, ciò che
ad alcuni aiuta nella comprensione di un testo ad altri può dare fastidio.
Generalmente le scelte che maggiormente influenzano questa fase
riguardano la presentazione delle chiavi utilizzate, l’uso dei segni di
alterazione, i valori musicali, l’altezza delle note, la presentazione dei
pentagrammi, le proporzioni metriche tra diverse sezioni, la scrittura in
partitura o condensata in doppio pentagramma, il raggruppamento degli
stangoni secondo le regole standard moderne relative alla metrica, e tanti altri
fattori. Alcune volte la presentazione sarà addirittura una vera e propria
trascrizione, ad esempio quando siamo in presenza di originali tramandati da
una o più intavolature, siano esse per strumenti a tastiera che per strumenti a
corde o a fiato. Le scelte di presentazione devono rispondere all’esigenza di
rendere leggibile un testo musicale nella maniera più chiara e immediata
possibile, in modo che chiunque possa eseguirle. Non esiste una
presentazione di edizione “assoluta”, cioè valida per tutti: ogni scelta cercherà
semplicemente di avvicinarsi il più possibile alle varie tipologie di fruitori o
lettori, andando ad accontentare alcuni e scontentare di conseguenza altri.
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musicale che ci si accinge a studiare o a eseguire? e se la risposta è
affermativa, quale delle varie versioni proposte è davvero quella definitiva?
Non tutti i compositori si pongono allo stesso modo nei confronti delle
proprie composizioni, sia per indole personale, sia per il periodo storico e
culturale nel quale sono vissuti. Una composizione può pervenirci in più
versioni per vari motivi: per migliorare in qualche modo la versione
precedente, quindi come evoluzione, oppure come adattamento dovuto a
ragioni extramusicali, come ad esempio l’organico variabile di un'orchestra,
oppure i desideri particolari di un solista o un cantante, oppure ancora per
andare incontro al favore del pubblico o di un impresario in determinate
situazioni, o ancora per esigenze di tempo riciclando magari una vecchia
composizione ed adattandola al nuovo contesto; in tutti questi casi quindi non
necessariamente queste nuove versioni sono migliorative.
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sopravvalutazione dell'autografo si deve in parte anche al teorico musicale
austriaco Heinrich Schenker (1868-1935), che può essere a tutti gli effetti
considerato il padre delle edizioni Urtext. Analizzando gli autografi di
Beethoven, aveva notato delle finezze di grafia che venivano riprodotte in
maniera parziale o equivoca nelle stampe originali, anche se realizzate sotto
il controllo di Beethoven, spesso anche a causa degli strumenti e delle
tecniche di stampa allora utilizzate. La sua scelta ricadde spesso quindi
sull'autografo a scapito della prima edizione a stampa, e così facendo anche
in virtù della sua autorità, influenzò senza volerlo numerosi editori, che
seguirono la corrente da lui generata senza porsi il problema di analizzare di
volta in volta in maniera più approfondita il rapporto fra questi due importanti
testimoni. Inoltre il pensiero di Schenker e le sue interpretazioni analitiche
delle composizioni del periodo classico e romantico, hanno generato la
convinzione del “concetto di compiutezza”, partendo dal presupposto che i
capolavori trovino alla fine in ogni caso una forma definitiva anche nel più
piccolo dettaglio, per cui ogni nota, ogni sfumatura espressiva riceverebbe
una propria ed immutabile collocazione da parte dell'autore. Questo, come
abbiamo visto, è forse vero nel caso di Beethoven, ma applicarlo ad altri
contesti, come per esempio quello di Bach, sarebbe a dir poco disastroso.
METODI E PROBLEMI
Concetti di base
Assumendo il concetto di filologia come attività critica tesa alla comprensione
del testo si possono riaffermare alcuni punti:
1) il filologo è uno studioso che mira alla comprensione del testo basandosi
sull'analisi sistematica dei testimoni. Punto di arrivo del suo lavoro è
l'edizione critica che abbina l'ecdotica (dal greco ekdosis ‘edizione’:
correzione degli errori) e l'esegesi (analisi e contestualizzazione del testo)
così visualizzando:
la ricostruzione del livello testuale originario almeno come ipotesi di
lavoro del livello d'autore
le diverse immagini che il testo ha assunto attraverso la tradizione
i fenomeni di ricezione nel tempo e nello spazio
2) Chi fa critica testuale opera nell'ambito del reale sulla base della
documentazione disponibile: il suo lavoro potrebbe restare incompleto o
dubitativo. Il lavoro può essere portato avanti dal altri, sulla stessa
ipotesi di lavoro, che dispongono di nuovo materiale.
3) Come il testo anche il lavoro filologico è collocato nel tempo e quindi
nessuna edizione critica è definitiva. Ogni edizione può essere
perfezionata con la perdita di uno o più testimoni o con la scoperta di
altri o con la rettifica delle informazioni sui testimoni già noti.
4) I testi musicali come quelli verbali non costituiscono una categoria
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omogenea ma sono di diverse tipologie ciascuna connotata da problemi
diversi. Non esistono quindi regole stabili da apprendere in precedenza
e da applicare di volta in volta ma si richiede l'esercizio di una
attitudine critica che ogni volta valuti soluzioni e metodi più appropriati.
L'edizione critica
Originale è ciò che risale all'autore, l'anello iniziale della catena della
tradizione; può anche essere un testimone autorizzato. Talvolta i testimoni
d'autore sono incompleti o problematici, in certi casi ci sono pervenute più
redazioni d'autore e/o di tradizione. L’edizione critica è la ricostruzione di
quanto è effettivamente ricostruibile sulla base dei testimoni risalendo
all'archetipo, che può non coincidere con l'originale ma ne rappresenta il
maggiore avvicinamento possibile. E’ necessario comprendere il come e il
perché di ogni suo passaggio al fine di capire il testo e la sua tradizione. E'
un'operazione graduale e sempre perfettibile. L'edizione critica non è
destinata solo allo studioso. Una concezione antiquata ritiene che gli
esecutori siano inadeguati a servirsene oppure non ne abbiano bisogno, per
esempio leggendo il testo dalle fonti. Di qui l'ossessione della diplomatica e
sul cosiddetto Urtext: edizioni utili ma che comportano di lavorare su un solo
testimone e quindi non fare operazione filologica. Importante è sempre non
mescolare i livelli.
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facile. In presenza di una tradizione a più testimoni, si procede con questi
passaggi:
Collatio (confronto, sulla base di un esemplare di collazione);
Il risultato di questo confronto è la registrazione delle differenze fra i vari
manoscritti. Tale confronto può essere condotto: per saggi (loci critici) o per
tutta l’opera (molto difficile per un’opera imponente); idealmente la scelta
migliore è la collazione integrale. Vale la pena ricordare due premesse
fondamentali della filologia: - la testimonianza di tutte le copie (o antigrafi) di
un unico testimone (apografo) conta per uno, ai fini della ricerca, fatti salvi
naturalmente i casi di contaminazione: un testimone cronologicamente tardo
non è necessariamente meno affidabile di uno più antico.
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nei manuali di filologia, così come le discussioni, anche divergenti, della
critica:
1) Errori congiuntivi : "La connessione fra due testimoni (B e C) contro un
terzo (A) viene dimostrata per mezzo di un errore comune ai testimoni B e C,
che sia di tal natura per cui con ogni probabilità B e C non possano essere
caduti in questo errore indipendentemente l'uno dall'altro".
2) Errori separativi: "L'indipendenza di un testimone (B) da un altro (A)
viene dimostrata per mezzo di un errore di A contro B di tal natura, che, per
quanto ci è dato sapere riguardo allo stato della critica congetturale nel
tempo intercorso fra A e B, non può essere stato eliminato per congettura in
questo spazio di tempo".
Tale operazione conduce alla compilazione di uno stemma codicum
(albero genealogico della tradizione manoscritta) in cui si individuano:
- un archetipo, cioè il capostipite dell'intera tradizione posseduta, solitamente
indicato con la lettera Ω o ω, la cui esistenza è dimostrata dalla presenza di
almeno un errore congiuntivo comune a tutta la tradizione;
- uno o più codices interpositi, cioè testimoni interposti tra l'archetipo e i
manoscritti posseduti, sono indicati con lettere dell'alfabeto greco;
uno o più codici posseduti, solitamente indicati con lettere dell'alfabeto
latino. Si giunge così alla individuazione di più classi (o famiglie o rami)
della tradizione: laddove una lezione sarà attestata nella maggioranza
delle classi (e NON nella maggioranza dei codici posseduti), questa,
secondo il metodo meccanico lachmanniano, sarà verosimilmente la
lezione corretta.
Emendatio
Non sempre la ricostruzione dello stemma codicum permette un’adeguata
selezione delle lezioni: se ci si trova di fronte a una recensione aperta, o
orizzontale, e cioè se l'intera tradizione non deriva da uno e unico archetipo,
è necessario ricorrere a strumenti correttivi basati su criteri interni, e cioè
valutando quale tra le diverse lezioni aderisca maggiormente all'abitudine
stilistica dell'autore o ancora quale sia la lectio difficilior (la lezione più difficile,
e dunque difficilmente opera dell'innovazione da parte di qualche copista, che
anzi tende generalmente a banalizzare le lezioni dell'originale).
Il metodo di Bédier
Il filologo francese Joseph Bédier nel 1890 aveva approntato l’edizione
critica di un antico testo francese seguendo il metodo di Lachmann ma nel
1928, dopo le critiche al suo lavoro, torna a studiare il testo, concludendo che
il metodo stemmatico era raramente efficace, in quanto spesso la tradizione
si bipartiva in due sole classi. Bédier afferma, a questo proposito, l'esistenza
di una forza dicotomica che porta a poco a poco al raggruppamento dei
testimoni in due grandi famiglie. Il risultato è dunque l'impossibilità di
procedere meccanicamente alla scelta della lezione tramite la legge di
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maggioranza e, inoltre, che esso portava a produrre inevitabilmente testi
compositi, frutto dell'ingegno di un filologo ma mai esistiti nella realtà. La
soluzione empirica di Bédier consisteva nello scegliere un bon manuscrit, tra i
testimoni posseduti e studiati, secondo il proprio gusto, e dopo aver corretto
solo gli errori più evidenti. Il metodo lachmanniano, fino a quel momento base
insostituibile per l'edizione critica di qualunque testo, entra in crisi.
Confronto sistematico
E' la collatio della filologia classica (confronto, sulla base di un esemplare
di collazione); Lachmann applicava a questa fase il concetto del recensire
sine interpretatione, ossia un procedimento meccanico di confronto, mentre i
suoi successori e l'esperienza generale dimostrano come sia necessario già
da questa fase compiere uno sforzo per comprendere il testimone,
giudicando le lezioni corrette, sospette o erronee. Il risultato di questo
confronto è la registrazione delle differenze dei vari manoscritti. Tale
confronto può essere condotto: - per saggi (loci critici) - per tutta l’opera
(molto difficile per un’opera imponente); idealmente la scelta migliore è la
collazione integrale.
Deve essere estesa a tutti gli esemplari superstiti, nelle stampe ad uno per
ogni impressione. Le collazioni selettive non servono a nulla. (Semmai si può
procedere ad una scrematura iniziale fatta con grande accortezza.) Perché lo
scopo è quello di individuare le parentele fra i testimoni e definire la linea
della tradizione nel tempo. Le parentele non si evincono dalle invarianti ma
dalle innovazioni significative comuni. La collazione si conduce sulla base di
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un esemplare di collazione scelto dopo la recensio per la sua completezza
e/o affidabilità. L'informatica solleva molti problemi e non aiuta più di tanto.
Ricostruzione testuale
La collazione sistematica permette di raggruppare in famiglie i testimoni a
seconda che siano portatori o no di specifiche innovazioni significative e
interrogarsi sul perché e quando certi errori e varianti entrarono nel testo. Si
può dunque valutare se è opportuno procedere ad una ricostruzione di tipo
stemmatico o se le caratteristiche della tradizione (troppo contaminata o
segnata da redazioni diverse) escluda tale possibilità. Nel primo caso si
procede alla costruzione dello stemma e una volta tracciato si potrà giungere
alla ricostruzione dell'archetipo (qualora ve ne sia stato uno) dopo aver
eliminato la pletora di innovazioni prodottesi nei piani bassi e aver valutato le
possibili alternative rimaste aperte nei piani alti. In base agli stemmi si
ricostruiscono archetipi non originali e per presupporre un archetipo bisogna
che i testimoni abbiano in comune almeno un errore monogenetico, altrimenti
non esiste un archetipo ma solo possibili parentele fra gruppi di testimoni.
Filologia d'autore
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Ci sono testimoni che conservano una porzione del progetto testuale ai
livelli iniziali (schizzi, particelle) o intermedi (abbozzi) e testimoni in cui il
testo è compiuto (redazioni). Anche da un testimone corretto più volte
dall'autore si possono generare due o più linee di tradizione (autografo in
movimento). Dell'esistenza di un autografo in movimento si possono avere
indicazioni anche in absentia, cioè quando tale testimone è andato perduto
come nella Johannes Passion di cui sono documentati 4 livelli d'autore per 4
diverse occasioni esecutive che dovettero fissarsi sulla partitura rendendola
confusa e poco leggibile al punto che Bach decise di farne una bella copia.
L’edizione critica di un testo per il quale siano rimasti testimoni d’autore si può
trovare ad affrontare situazioni molto diverse.
Ogni tradizione esige strumenti necessari a comprenderla. Valgono
comunque alcune indicazioni di massima:
1) L'esistenza di testimoni d'autore e magari anche di un autografo
completo e firmato non esime dal recensire tutti testimoni, d'autore e di
tradizione. Ciò serve per conoscere il movimento del testo nel tempo,
valutare i processi della sua genesi e ricezione. Vi possono infatti
essere errori involontari, ambiguità di scrittura o carenza di indicazioni.
La volontà dell'autore può essere fissata anche in un altro testimone
per esempio su bozze di stampa o registrata da intermediari allievi,
esecutori, amici.
2) In presenza di più testimoni autorizzati (ci siano o meno testimoni di
tradizione) è fondamentale stabilire se essi afferiscono ad una sola
redazione o se documentano l'esistenza di più redazioni d'autore.
a) Nel primo caso si darà l'edizione critica di quella redazione prendendo
come esemplare di collazione il più completo testimone autorizzato. Sarebbe
buona cosa adottare il criterio di visualizzare due diverse facce di apparato:
diacronico o dinamico per le varianti relative ai testimoni d'autore e sincronico
o statico per quelle dei testimoni di tradizione.
b) Nel secondo caso si potrà decidere in base alla natura dei testimoni se
lavorare all'edizione di una delle redazioni, perché completa o per altro
motivo, o fornire tante edizioni quante sono le redazioni soprattutto di fronte a
progetti distinti e compiuti (ciò vale per il Tannhäuser edito da Reinhard
Strohm in una edizione sinottica delle versioni del 1861 (a sinistra) e del 1875
(a destra) servendosi di apparati per dare indicazioni al lettore.) Ciò vale
anche per molti melodrammi del Settecento.
3) Per un testo possono esistere più testimoni d'autore e di tradizione. La
casistica è molto varia. Prima di tutto è necessario valutare la natura, la
completezza, il livello di elaborazione, la tipologia dei testimoni d'autore
e tenere ben distinte eventuali differenti redazioni.
4) Se l'interesse prioritario è quello per la ricostruzione dell'iter elaborativo,
è adeguato orientarsi verso una edizione di tipo genetico. Si può
indagare il processo compositivo quando esistono testimoni di fasi
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successive del testo. Schizzi o abbozzi sono utilissimi per la
ricostruzione di come lavorava l'autore. Questo lavoro si attua in una
particolare edizione critica di tipo genetico. Suo requisito è la chiarezza
di articolazione che deve permettere di visualizzare e collocare nei
reciproci rapporti i diversi livelli degli interventi d'autore. Schizzi o
abbozzi potrebbero appartenere anche ad un progetto di revisione
successivo alla stampa e allora sono interessanti per conoscere la
direzione seguita all'autore dopo che aveva considerato finita la sua
opera (vedi seconde versioni delle opere di Verdi).
5) Per molta musica possono esistere altri tipi di testimoni d'autore che
adattano la scrittura ad altri organici a scopi pratici o di divulgazione:
per esempio riduzioni per pianoforte da melodrammi o per canto e
pianoforte. Tali testimoni documentano la ricezione in quanto strumenti
sono della diffusione del testo e rivestono interesse se sono stati
preparati dall'autore o controllati direttamente da lui. In certi casi le
riduzioni sono gli unici testimoni superstiti.
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di presentazione devono rispondere all’esigenza di rendere leggibile un testo
musicale nella maniera più chiara e immediata possibile, in modo che
chiunque possa eseguirle. Non esiste una presentazione di una edizione
“assoluta”, cioè valida per tutti: ogni scelta cercherà semplicemente di
avvicinarsi il più possibile alle varie tipologie di fruitori o lettori, andando ad
accontentare alcuni e scontentare di conseguenza altri. L'ideale sarebbe
quello di poter avere differenti presentazioni di uno stesso testo musicale, per
andare incontro alle esigenze di differenti fruitori di una stessa pubblicazione.
Ovviamente per motivi economici e logistici questa soluzione è
completamente inattuabile attraverso l'editoria tradizionale, ma potrebbe
avere sviluppi futuri attraverso l'utilizzo del mezzo informatico, presentando
insieme alla pubblicazione cartacea un supporto con le versioni alternative di
pubblicazione. Con tale procedimento potrebbe essere utile fornire anche i
vari testimoni utilizzati in forma digitale, siano esse riproduzioni in forma
anastatica o diplomatica, rendendo accessibile a chiunque lo voglia
l'approfondimento e il confronto delle soluzioni ottenute in una edizione
critica. Un primo passo verso questa direzione è stato fatto recentemente
dalle edizioni Breitkopf con la pubblicazione della nuova Orgelwerke di J.S.
Bach: tutti i volumi sono accompagnati da un CD rom contenente versioni
alternative sia in formato pdf che in un formato che, con un software,
evidenzia le differenze fra le varie lezioni dei testimoni presenti.
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non sono mai scritti per esteso ma citati con sigle o abbreviature. Deve
essere fornita prima degli apparati una lista dei simboli. Gli apparati devono
essere chiari, sintetici e comprensibili. Speso invece sono oscuri o
eccessivamente discorsivi.
c) Le appendici
Le appendici sono dei sussidi mirati alla corretta comprensione gel testo e
vengono collocati alla fine dell'edizione. Da tempo sono presenti nelle
edizioni di musica che presupponga un ipotesto (che sta alla base della
creazione di un altro testo come per es. chansons, madrigali, mottetti alla
base di una messa parodia) ed è utile che tale testo sia stato trascritto e
controllato ex novo secondo criteri rigorosi. Se per esempio si tratta di un
cantus firmus invece di citarlo dal Liber usualis è meglio rifarsi al livello della
tradizione gregoriana dal quale lo ha attinto l'autore.
Un'appendice che contiene le fonti a cui il compositore ha attinto equivale a
quella di quelle edizioni letterarie dove si registrano opere servite da modello
o che comunque hanno rapporti di intertestualità con il testo in questione
ovvero nell'apparato delle fonti. Ma questa espressione rischierebbe di creare
confusione in musicologia dove fonte ricorre come sinonimo di testimone e
non come modello e referente a monte del testo. In appendice ci possono
essere anche riferimenti teorici utili alla comprensione del testo o alla sua
prassi come realizzazione di abbellimenti, improvvisazione, basso continuo
realizzato ecc. Una o più appendici possono riprodurre schizzi e/o abbozzi.
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d) Formalizzazione di tradizioni in movimento
Certe tradizioni sono per loro natura in movimento e rendono necessario
visualizzarle adeguatamente. La testualità aperta e in movimento del
melodramma seicentesco renderebbe impossibile l'edizione critica per
quantità di testimoni e interventi stratificati d'autore o di tradizione.
Impossibile bloccare il testo in una forma rigida e definitiva che non si
accorderebbe alla sua natura. Si possono però inventare formalizzazioni
originali per visualizzare l'instabilità e dinamica dei testi mettendo in
appendice le varianti introdotte successivamente rispetto per esempio alla
prima esecuzione documentata. Usare tavole comparative che visualizzano
varianti, nomi dei diversi esecutori, ecc.
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più su congetture. Con questo tipo di definizione ci si riferisce in genere ad
un’edizione a stampa che ripropone fedelmente un singolo testimone nella
sua interezza e senza nessun altro tipo di intervento.
b) Anastatica, o fototipica o in facsimile, mette a disposizioni di chi studia
la riproduzione fedele di singoli testimoni. E' in facsimile quando riproduce
completamente un singolo testimone replicandone il formato, i colori e tutti gli
elementi costitutivi. Anastatica è più economica, spesso in formato ridotto o
ingrandito. Più di una qualsiasi trascrizione, la riproduzione fotografica
permette di dar conto delle peculiarità della scrittura, dei suoi pregi e dei suoi
limiti, e può trasmettere attraverso la semiologia eventuali intenzioni del
compositore difficilmente trasmissibili in altro modo. Sostituiscono con
vantaggio le vecchie edizioni diplomatiche, ma per loro natura mantengono
inalterate anche eventuali lacune del testo originale, rendendo a volte
problematica la corretta interpretazione dell'opera per problemi di lettura di
eventuali passi di difficile comprensione. Generalmente non sono corredate
da altre indicazioni, per questo motivo sono spesso fonte di discussione da
parte dei musicologi e dei musicisti più esigenti che vorrebbero almeno una
giustificazione riguardo la scelta del testimone pubblicato; questo infatti
potrebbe essere stato scelto perché il più autorevole, o il più leggibile, oppure
il solo accessibile. L'ideale sarebbe quello di avere un minimo apparato critico
per poter essere inquadrato all'interno della storia della tradizione del testo a
cui appartengono. Utilissima per motivi di consultazione non risponde ad
esigenze pratico-esecutive.
c) L'edizione pratica
Destinata ad esecutori e studenti di musica per facilitarne l'approccio ai
problemi interpretativi. Di solito è una edizione non scientifica che non dà
conto delle scelte e delle integrazioni del curatore (detto revisore) che di
solito si limita a rivedere in base ai propri criteri la vulgata corrente
aggiungendo segni dinamici, pedali, arcate abbellimenti.
d) L'edizione secondo l'Urtext
Urtext vuol dire testo originario. E' diffusa solo in ambito musicale. Originario
è termine confuso, potrebbe essere inteso come testimone d'autore
(autografo, stampa autorizzata) ma di fatto è un testo ricostruito criticamente
che si avvicina ad un ipotetico originale. Nasce all'inizio dell'800 come
diplomatica di un singolo testimone d'epoca corredato da indicazioni utili alla
prassi. E' stato poi applicato ad edizioni molto diverse fra loro. Nella miglior
ipotesi è una diplomatico-interpretativa ben fatta, più spesso una edizione
pratica condotta con metodo eclettico. Spesso le edizioni pratiche
contengono errori che si tramandano da edizione in edizione, e la
stratificazione dei vari segni di agogica, espressione, fraseggio rende
impossibile stabilire cosa realmente avesse scritto il compositore e cosa
invece fosse stato aggiunto dal revisore. Con questa premessa nascono
dunque le edizioni urtext che si prefiggono lo scopo di mettere in primo piano
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la fonte autentica, utilizzando di norma un testimone autorevole, e
corredandolo poi da indicazioni eventuali per la diteggiatura. Tutti i simboli
eventualmente aggiunti dal redattore per aiutare l’esecutore (generalmente
molto rari) dovrebbero in ogni caso evidenziati in maniera inequivocabile con
parentesi quadre o da un diverso carattere. E’ ovvio dunque che in mancanza
di un testimone autorevole non si potrà avere una vera edizione urtext.
Per essere efficace la pubblicazione del testo musicale dovrà essere
preceduta da uno studio attento dei testimoni disponibili. La principale
differenza tra l'edizione urtext e l’edizione critica è che quest’ultima nasce per
riuscire ad ottenere in ogni caso un risultato che si avvicina il più possibile
all’ultima volontà dell’autore, studiando ed esaminando tutti i testimoni che ci
sono pervenuti e ricavandolo attraverso il confronto di essi, andando in molti
casi a ricostruire un archetipo. Ultimamente le edizioni urtext si sono evolute,
e sempre di più vengono spiegati e argomentati i criteri editoriali utilizzati,
comprendendo anche un apparato critico di ridotte dimensioni.
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Ci sono integrazioni necessarie per quei testi nei quali erano previste
improvvisazioni di vario genere (basso continuo, cadenze strumentali, riprese
ariate nelle arie con da capo. Queste integrazione competono all'esecutore
non al filologo: scriverle è un'operazione senza senso perché trasformerebbe
in rigido ciò che era libero e sempre variabile. Semmai l'edizione può
presentare in appendice a scopo didattico esempi di parziale realizzazione di
quei passi corredati da indicazioni essenziali e riferimenti bibliografici.
b) Trascrizione da un altro sistema notazionale
Passaggio da una notazione obsoleta ad una corrente si articola in due
operazioni: trascrizione e edizione vera e propria. La seconda si sviluppa
sulla prima e ne vine condizionata. La trascrizione è stata praticata già dal
Medioevo, per esempio da notazioni adiastematiche a diastematiche, da
modale a mensurale, da nera a bianca, da vocale alla intavolatura. La
trascrizione non è un lavoro meccanico ma funziona come una traduzione
nell'intento di rendere la realtà del testo. E' dunque un processo interpretativo
che indaga i nessi fra scrittura dei suoni e articolazione del pensiero musicale
cercando soluzioni soddisfacenti ma anche lasciando aperte alcune
alternative che non si producono automaticamente.
I principali problemi della trascrizione sono:
1) Le chiavi. In linea di massima mantenere quelle antiche in una edizione
moderna non è vantaggioso sul piano operativo perché crea problemi di
lettura nell'utente.
2) L'interpretazione del mensuralismo. Molte le difficoltà
nell'interpretazione dei segni di mensura e di proporzione. Non ha
senso conservare gli antichi segni di modo, tempo e prolazione o
traslitterarli con segni che non esistono nella notazione moderna.
3) La comprensione del quadro di riferimento modale. Fondamentale per
individuare le alterazioni sottintese e la gerarchia delle cadenze.
4) La disposizione del testo verbale sotto le note. Necessario sulla base di
specifiche competenze risolvere questo problema in maniera adeguata.
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Il testo non si identifica con i suoi testimoni che ne rappresentano le stazioni
nel tempo. Il concetto di testo trascende quello di testimone e implica la
necessità di una valutazione critica delle dinamiche d'autore e di tradizione
che permetta di individuarne e ricostruire i livelli.
Tradizione è la trasmissione per mezzo di notazione (manoscritta, a
stampa, mista o altro ancora, secondo la natura dei testimoni).
Il testo musicale pur finalizzato alle svariate interpretazioni esecutive non si
identifica con esse ma mantiene la sua autonomia di depositario del pensiero
musicale. In passato c'erano due atti distinti: la lettura e il vaglio analitico del
testo e la mediazione esecutiva. Con i moderni mezzi di registrazione le
interpretazioni esecutive di un testo possono essere fissate e rese passibili di
riproduzione: vagono però come registrazioni di singoli atti interpretativi, non
come testimoni di una tradizione testuale. Dalla metà del '900 si producono
importanti mutamenti nella condizione testuale di molta musica.
Paratesto: ciò che non fa parte propriamente di un testo ma è accluso ad
esso per facilitarne l'interpretazione. I paratesti sono elementi esplicativi di
natura bibliografica (formato, copertina, collana) o di commento (mote,
appendici, dediche, didascalie,prefazioni), anche le illustrazioni e le miniature.
Il testo complesso: si verifica nel saldarsi di più livelli testuali in uno, quando
concorrono simultaneamente più livelli testuali e paratestuali. Testo verbale e
musicale, indicazioni iconografiche, prescrittive di movimenti scenici o di
costumi. Nel melodramma indicazioni sceniche sono elementi costitutivi del
testo e paratesti rispetto al testo musicale e poetico. In un mottetto medievale
operano in reciproca e stretta relazione testo verbale e testo musicale:
strategie intertestuali combinatorie.
Testo e contesto
Per contesto si intende:
1) il tessuto connettivo (storico, geografico, linguistico) intorno al testo.
2) la rete che lo connette a modelli di riferimento (stilistici, teorici, formali,
di genere) che ne hanno condizionato la produzione. Il contesto offre
utili chiavi interpretative del testo musicale.
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