Sei sulla pagina 1di 20

LA ZIA MISTERIOSA

Un facoltoso imprenditore di successo di nome Carl Brown, durante la crisi del 2008,
perse tutto, tutto ciò che aveva, tutta la sua ricchezza e si ritrovò solo a fronteggiare
tutti i problemi che ne derivarono, debiti e solitudine, tanto che di lì a poco ebbe
una grande depressione, non uscì di casa per mesi.

Un giorno Carl venne a sapere che aveva ereditato una fattoria da una vecchia zia
nel Midwest, rimase sbigottito, sapeva che la sua famiglia aveva origini contadine,
ma non ricordava di avere questa proprietà, rimase incredulo e schifato per qualche
minuto. D’un tratto gli venne in mente un pensiero: “non ho più nulla, sono
depresso e non vedo il motivo per il quale non dovrei provare questo cambio di vita,
forse potrei rimettermi in sesto, riguadagnare qualche dollaro e tornare a galla”.
Presto detto, vide il primo volo da New York al Midwest ed organizzò il viaggio.

Dopo aver viaggiato per qualche ora, nella mente del signor Brown si
materializzarono tanti pensieri contraddittori, la tentazione di rinunciare, schifato
del fatto di lasciare il suo bel loft a Park Avenue a New York e di iniziare una vita da
contadino nelle praterie isolate, così isolate dell’Iowa, il fatto di esser stato per tanti
anni un uomo di successo, aver avuto tutto, tutto quello che desiderava. Tutte
queste inquietudini lo demoralizzarono ancora una volta, ma era anche stufo di
essere depresso e di passare le giornate seduto sul letto fissando il vuoto. Assorto
nelle riflessioni, finalmente Carl arrivò nella sua fattoria. Vista da fuori sembrava un
rudere, vecchia e cadente, ma molto grande ed aveva ancora una piccola parte di
prati coltivati e pensò: ”almeno domani non devo svegliarmi all’alba per coltivare
anche il cibo dei prossimi giorni!”. Si avvicinò ancora sdegnato e quando si trovò di
fronte la grande porta d’ingresso, prese la chiave dalla tasca aprì la porta ed entrò.
La sensazione che gli venne appena varcò la soglia era terrore, l’atmosfera non era
affatto piacevole, era una vecchia fattoria, con mobili vecchi, qualche ragnatela qua
e là, c’era polvere ed un odore orribile; sapeva che la vecchia zia aveva abitato lì fino
alla morte, era sola e molto anziana, pensò che era per questo che la casa fosse così
mal ridotta, la zia le ultime settimane di vita non aveva più la forza di pulire e
prendersi cura della casa. Dopo quella prima occhiata, il signor Brown iniziò ad
ispezionare la dimora per vedere dove erano collocate le varie stanze. Di fronte
all’ingresso c’erano delle scale che portavano al piano superiore dove
presumibilmente pensò si trovassero le stanze da letto con il bagno, al fianco delle
scale c’era un ampio ingresso che portava ad un enorme soggiorno, al di là del
soggiorno c’era una porta che conduceva alla cucina. Entrò nella cucina e vide che
era abbastanza luminosa, ma piccola, sporca e maleodorante, come tutta la casa del
resto, si chiese se quel puzzo provenisse da quella cucina ed immediatamente, fece
uno scatto felino ed iniziò ad aprire tutti gli armadietti e cassetti per trovare qualsiasi
cosa che producesse quell’odore nauseabondo, rovistò l’immondizia, ma non trovò
nulla, così incredulo si girò, ripercorse il soggiorno e si recò verso le scale, erano di
legno antico ed ad ogni passo che egli faceva, sentiva che scricchiolavano. Nella sua
mente ancora c’era la tentazione di fuggire da quella topaia. Arrivato in cima vide un
lungo corridoio con ai lati tre stanze, due camere da letto spaziose ed un bagno;
entrò nella camera da letto patronale e vide che era carina, forse la stanza più carina
della casa, era luminosa, c’era una grande finestra che si affacciava su tutta la
vallata, e vide che in realtà la sua fattoria non era così isolata, c’erano altre tre case
rurali in lontananza, a circa un miglio di distanza, si rallegrò e pensò: “per fortuna
non sono così isolato qui!”; si allontanò dalla finestra e continuò a guardare la
stanza, c’era un grande armadio, grande quanto tutta la parete, di colore rosa, con
intagli in stile barocco, infine si girò e vide il letto, grande e confortevole, era il
giaciglio dove era morta la zia, gli venne un senso di tristezza e gli scese quasi una
lacrima. Sebbene non avesse mai conosciuto la zia ed i suoi genitori non parlavano
quasi mai di lei, in quel momento il ragazzo si sentì molto vicino alla donna e si
chiese che cosa le fosse successo. Il notaio gli aveva detto che era vecchia e che era
morta di una rara malattia autoimmune, ma non si spiegava perché era stata lasciata
da sola le ultime settimane, e continuava a domandarsi: “Perché i vicini non si
curavano di lei? Perché nessuno della sua famiglia mi ha mai parlato di questa zia?”.
Ad un certo punto la sua attenzione fu rapita da una fotografia sopra il comodino,
era una foto di sua madre da giovane, presumibilmente pensò che la donna potesse
avere 20 anni, ed un’altra ragazza, decisamente più grande di qualche anno,
probabilmente poteva essere la zia; la curiosità del signor Brown si soffermò però
sullo sguardo della madre, era triste e nello stesso tempo quasi terrorizzato, faceva
quasi paura, ma cercò di distogliere il pensiero da quell’immagine, posò la foto, vide
l’orario dal suo costosissimo Rolex e si rese conto che erano quasi le otto di sera, di
colpo avvertì una certa fame e decise di scendere giù in cucina per cercare qualcosa
in frigo da preparare per la cena; lui non aveva mai cucinato in vita sua, aveva
sempre frequentato grandi ristoranti e chef stellati, l’idea di dover cucinare lo fece
piombare di nuovo nella depressione soprattutto quando vide che il frigo non era
molto fornito, c’erano dei filetti di tonno in scatola, dell’insalata andata a male e
delle scatolette aperte di mais, ma c’era anche una bella fiasca di vino rosso. Carl
guardò all’interno della bottiglia, la annusò e sentì che l’odore era gradevole, era un
buon vino rosso italiano, si ricordò che ne aveva bevuto di simili nei vari ristoranti
che frequentava a New York, il vino rappresentava l’unico espediente affascinante di
quella intera giornata o addirittura di tutta la sua intera esistenza e pensò: “stasera
mi ubriaco fino a perdere i sensi!”. Amareggiato prese quel poco che c’era in frigo, si
sedette davanti al tavolo ed iniziò a mangiare pensando a tutto il lavoro che c’era da
fare in quella casa nei giorni a venire. Finì quel poco di cibo che trovò, ed infine
prese finalmente la bottiglia di vino, ne versò un bel po’ nel bicchiere con
soddisfazione, e prima che potesse accorgersene vide che aveva bevuto più di mezza
bottiglia. Frastornato ed ancora con la tristezza nell’animo si alzò goffamente dalla
sedia e si diresse traballante verso le scale per andarsi a coricare, stanco della
giornata trascorsa e di tutte le varie emozioni contrastanti. Arrivò finalmente nella
camera patronale e senza pensarci un minuto, si buttò a peso morto sopra il letto
ancora vestito, l’ultima sensazione che provò di quella giornata difficile fu quella di
famigliarità e di pace, le coperte e le lenzuola del letto emanavano un bell’odore di
pulito e pensò che era lo stesso profumo che usava sua madre. Con quella dolce
fragranza finalmente si addormentò.

Il mattino seguente il signor Brown si svegliò con il delizioso cinguettio di alcuni


pettirossi appollaiati sopra un ramo di un grosso albero che filtrava le luci del tiepido
sole d’aprile, quel dolce cantare lo sorprese piacevolmente, non aveva mai udito
tanta leggiadria, rimase ancora nel letto per godersi quell’atmosfera incantata che
solo la campagna può donare, d’un tratto aprì gli occhi e vide che erano le otto di
mattina, quella pace con cui si era svegliato sparì immediatamente appena realizzò
che c’era tanto lavoro da fare per rimettere in sesto la fattoria. Si alzò con ancora i
postumi della sbronza che si era procurato la sera prima, cercò di vestirsi ancora
intontito e scese le scale per recarsi in cucina e farsi un bel caffè forte. Dopo aver
fatto colazione si alzò dalla sedia, si fece coraggio ed iniziò i lavori. Per prima cosa si
occupò di dare una bella rassettata alla casa, iniziò subito dalla cucina, tolse le varie
ragnatele che erano posizionate qua e la negli angoli della stanza, diede una bella
ripulita al frigorifero togliendo anche i vari alimenti andati a male che erano lì
probabilmente da prima che la zia si sentì male, aprì stipetti ed armadietti e diede
una bella disinfettata anche lì. Dopo un paio d’ore di lavoro il signor Brown era già
stanco, non aveva mai fatto quei tipi di lavori, ma non poteva permettersi di
fermarsi, si fece nuovamente coraggio e passò a sistemare stanza per stanza, fino a
quando si accorse che la giornata era passata, guardo l’orologio e vide che erano le
7 di sera, così si fermò ed esausto si preparò anche una piccola cena con quel poco
che era rimasto in cucina, una scatola di fagioli e metà del barattolo di mais
avanzato la sera prima; si bevve due bei bicchieri di vino e si diresse verso la camera
da letto dove non era più stato dalla mattina. Pensò che forse prima di andare a
letto, doveva dare una piccola riordinata anche alla camera visto che aveva pulito
quasi tutta casa ed entro la giornata desiderava finire con quei lavori. Entrò in
camera da letto e per prima cosa vide che fortunatamente non c’erano ragnatele,
pensò che era l’unica stanza dove non ve n’erano! Sorpreso si mise a spolverare i
comodini osservando di nuovo la foto di sua madre da ragazza interrogandosi di
nuovo sul perché di quello sguardo così misterioso, ma la sua attenzione era rivolta
unicamente a sistemare la camera, così finì di pensare alla foto. Terminò di
spolverare i comodini e passò al grande armadio, aprì le ante ed iniziò ad
ispezionare i vari cassetti all’interno, dentro i cassetti c’erano tutti i vari oggetti della
zia: un fermacapelli, dei trucchi e dei gioielli. Carl si intenerì vedendo quegli utensili
della zia, ed ancora una volta si sentì quasi in colpa di non averla mai conosciuta, di
non aver mai saputo della sua esistenza, in quel momento provò rabbia per i suoi
genitori che non gli avevano mai parlato di lei, avrebbe pagato oro per averla potuta
vedere almeno una volta e pensò che nell’indomani si sarebbe interessato nel
sapere dov’era sepolta per andarla a trovare. D'un tratto, mentre era assorto dai
vari pensieri ed emozioni, gli capitò fra le mani un’altra foto, era una vecchia foto
degli anni ’50, nitida, come se fosse stata scattata ieri, ritraevano la stessa ragazza
della foto sul comodino con la madre di qualche anno più giovane ed una strana
figura incappucciata, probabilmente un uomo, ma non si riusciva ad intendere di che
sesso potesse essere quell’individuo poichè il cappuccio gli copriva tutto il volto, si
riuscivano ad intravedere solo il naso e meno nitidamente gli occhi. Carl capì che
presumibilmente fosse un uomo da quei pochi tratti somatici che si riuscivano ad
intravedere oltre alle grosse spalle che aveva; l’uomo era raffigurato mentre
abbracciava la giovane zia, lei sembrava quasi scostarsi da quel tale come se non lo
volesse accanto, lo sguardo di lei era simile a quello della madre nella foto del
comodino; quella foto fece rabbrividire Carl che provò un senso di gelo che gli
percosse tutta la schiena, per di più iniziò a sentire un fastidioso formicolio nelle
mani, per istinto girò la foto e trovò una data “1957” ed una frase in latino: “noctua
vigilantes super mortuos, eius grauis cantu ruinis valvas eius deae, et in maledictum,
numquam finem”. Carl lesse quelle righe e sentì di nuovo il gelo dietro la schiena,
non gli piacque quella sensazione, così d’istinto, buttò quella foto di nuovo dentro il
cassetto dell’armadio, richiuse l’armadio e velocemente si mise il pigiama ed andò a
dormire. Improvvisamente si ritrovò in una foresta oscura, tetra e spaventosa, sentì
il bubolare di una civetta, si girò e vide che l’uccello lo fissava sopra un ramo di un
grosso albero con la corteccia nera e dalle foglie verde scuro, quasi nere.
Inaspettatamente il bubolare della civetta si trasformò in un lamento femminile che
lentamente mutò in strillo sempre più forte e gli apparve davanti agli occhi una
donna dai lunghi capelli neri, anche gli occhi erano neri, così neri che non si
riuscivano a distinguere le pupille dalla sclera, carnagione pallida, ed una lunga
mantella nera, lo strillo divenne così forte che il signor Brown si svegliò dentro il suo
letto, tutto sudato; rendendosi conto che era soltanto in preda ad un terrificante
sogno rimase con gli occhi spalancati, non gli era mai capitato di fare un sogno così
reale ed angosciante in tutta la sua vita, si girò per vedere che ore erano dalla
sveglia sopra il comodino, vide che era l’una di notte, cercò di riaddormentarsi, ma
lo spavento era ancora intenso, rimase sveglio e scioccato fino alle tre di notte, poi
la stanchezza riuscì a vincere la paura.

Il mattino seguente il signor Brown si svegliò ancora angosciato dal sogno fatto la
notte precedente, rimase ancora lì impaurito a pensare se era stato suggestionato
da quella foto agghiacciante che aveva trovato nell’armadio oppure se era stato
semplicemente un sogno come tanti altri; ad un certo punto si girò per vedere che
ore erano, e vide che era tardi, erano le dieci di mattina ed urlò: “è tardissimo, devo
arare la terra, ho tantissime cose da fare, maledizione alla foto ed al sogno!”. Si alzò
di scatto, si vestì rapidamente ed andò a fare una velocissima colazione; uscì dalla
casa per recarsi nei campi ed iniziò il suo lavoro. Ovviamente non sapeva come
lavorare la terra, aveva solo delle piccole reminiscenze dai racconti dei genitori che
per anni avevano vissuto in fattoria e da ciò che ieri aveva visto fare dai suoi vicini,
così andò nella rimessa degli attrezzi, trovò un piccolo aratro ancora in buono stato
e funzionante, “ma era piccolo!” pensò, ed aggiunse a voce alta innervosito: “con
questo piccolo arnese potrei metterci un eternità!”, sconsolato prese l’utensile ed
iniziò il suo duro lavoro. Mentre Carl stava concentrato ad arare il terreno sentì che
l’aratro iniziò a fare un preoccupante rumore, come se stesse tritando qualcosa di
molto duro, non gli piacque quel rumore; così spense l’attrezzo ed andò a
controllare, impigliato tra i denti dell’aratro trovò un piccolo pezzo di legno chiaro,
così gli sembrò dando una prima occhiata, cercò di disincastrarla e vide, con enorme
sorpresa e stupore, che non era un pezzetto di legno, ma un osso, un piccolo osso di
qualche animale, incredulo si mise a scavare con le mani il terreno attiguo e riuscì a
dissotterrare tutto lo scheletro di quel misterioso animale, sembrava un grande
uccello visto che la struttura ossea comprendeva anche le ali, quando guardò
l’ossatura del muso, notò con terrificante sorpresa che era sicuramente una civetta
od un gufo o qualcosa del genere visto che il becco era uncinato; il signor Brown
rimase di sasso, gli sembrava tutto così surreale, non poteva credere ai suoi occhi,
era spaventato e la salivazione gli si azzerò, non poteva credere che la notte prima
aveva sognato una civetta ed adesso stava riesumando probabilmente lo scheletro
di una civetta, la salivazione era quasi azzerata, lui era un tipo razionale, non
credeva alle superstizioni o robe del genere, quindi cercò di tornare in sé e di
convincersi che il sogno e quello scheletro fossero solo stupide coincidenze, la paura
fece posto alla rabbia ed in un batti baleno mollò tutto, tutto quello che stava
facendo e tornò borbottando in casa, era furioso del fatto che non riusciva più a
riconoscersi, da un momento all’altro maledisse tutto: la crisi che lo aveva portato a
quella vita così diversa dal suo standard, a quella fattoria ed a tutti quei lavori che lui
non si sarebbe mai sognato di fare, a quella paura così irrazionale, la tentazione di
tornare a New York ora era più forte che mai; si concesse il resto della giornata per
pensare se fare le valigie e lasciare quell’unico mezzo di sostentamento che gli era
rimasto oppure se restare ed adattarsi. Alla sera dopo un lungo pomeriggio passato
sul divano a pensare a quale decisione prendere, decise di permettersi una cena
fuori, era stanco di passare intere giornate solo in quella fattoria ed un pensiero gli
balzò in testa: “forse sto diventando pazzo nel rimanere solo in questa fattoria, è per
questo che mi sto suggestionando? Al diavolo, stasera prendo la macchina e trovo il
primo pub qui in zona ed intraprendo conoscenze!”, detto fatto, si fece una doccia
rilassante, si preparò, ma mentre stava recandosi per prendere la macchina pensò
che forse avventurarsi così senza conoscere il luogo era un po’ azzardato, forse la
cosa più opportuna era di chiedere informazioni a quei vicini che tanto aveva
ammirato in quei due giorni. Si recò alla fattoria più vicina, bussò alla porta e gli aprì
un signore sulla sessantina, bassino e con la testa piena di capelli grigi, il signore fece
uno sguardo un po’ sorpreso, ma mr. Brown capì che quello sguardo oltre alla
sorpresa celava anche un senso di preoccupazione, ed inoltre era come se il signore
sapesse chi egli fosse, mr. Brown impacciato, si decise a presentarsi: “Buonasera,
sono nuovo da queste parti, ho ereditato….” prima che potesse finire la frase il
signore lo interruppe: “so chi sei, ti ho visto arrivare lunedì, sei il nipote di Hannah,
piacere sono Mark O’ Connell, ti do subito un consiglio, scappa via da quella
fattoria!”, il signor Brown incredulo ed innervosito rispose a tono: “scusi non credo
siano affari suoi, io sono solo venuto a chiederle se qui in zona c’è una trattoria,
tutto questo interessamento alla mia fattoria non credo che le sia concesso!” ed il
signor O’ Connell replicò: “guarda lo dico nel il tuo interesse sebbene tu non mi
conosci, ma tu potresti essere mio figlio e ti volevo dare solo un consiglio, vieni
dentro che ti spiego tutto e se vuoi puoi cenare con noi”, il signor Brown era tentato
di mandare al diavolo quell’uomo impiccioso, ma non riusciva a trattenere la
curiosità così, senza rendersene conto, fece un passo ed entrò, non appena varcò la
soglia della casa mr. Brown provò una sensazione diversa rispetto a quando entrò
per la prima volta nella sua dimora, l’atmosfera era più rilassante, più positiva, era
una casa più accogliente e vivace, provò una sensazione di pace, una sensazione che
non provava più da tantissimo tempo, era da quando era entrato in casa sua che
viveva sempre in una condizione di disagio e di irrequietezza. Si godette quella
sensazione e per la prima volta da quando era in quel posto accennò un sorriso, il
signor O’ Connell fece un accenno a mr. Brown ed entrarono in cucina dove c’era
sua moglie a preparare la cena e le sue due figlie. Le figlie del signor Mark avevano
circa la stessa età di mr. Brown, si presentarono cordialmente e si sedettero, il
signor O’ Connell iniziò a spiegare tutto ciò che sapeva della sua fattoria: “allora
ragazzo, noi tutti qui conoscevamo tua zia, era una donna molto bella e gentile,
aveva un dono, riusciva ad aiutare le persone, ma non a livello materiale, non so
come spiegarlo, riusciva a dare pace soltanto con la sua presenza alle persone che
stavano male, aveva un dono che veniva da Dio…” mr Brown che non credeva a
tutta quella roba spirituale si alzò di scatto innervosito e sentendosi preso in giro
gridò: “senti vecchio, io a queste cose non ci credo, mi stai solo facendo perdere
tempo, vuoi prendermi in giro?!” ma Mark lo frenò e con atteggiamento paternale
gli disse: “ti prego fammi continuare, poi se vuoi potrai non credermi, ma
ascoltami…” mr. Brown allora si sedette scettico ed infastidito, ed il signor Mark
continuò: “allora dicevo, aveva un dono, ma un giorno conobbe un tizio, in un
viaggio che fece in terra Santa, lei era molto devota e volle fare un viaggio a
Gerusalemme per girare tutte le più belle sinagoghe della città, lì conobbe un uomo,
aveva 10 anni in più di lei, lei aveva circa 18 anni, ma era una ragazza molto
intelligente e matura rispetto ai ragazzi della sua età, compreso me stesso”, accennò
un sorriso di malinconia e proseguì: “fu un colpo di fulmine, tanto che lei rimase a
Gerusalemme per sei mesi e poi tornò già sposata con quest’uomo, la sua famiglia
rimase scioccata ed infuriata a causa di questo matrimonio inaspettato, giudicarono
questa unione sbagliata in quanto sostenevano che la figlia conosceva solo
superficialmente quell’uomo, ma lei era così innamorata e sicura di quell’amore che
alla fine convinse anche i genitori che lo accolsero come se fosse qualcuno della
famiglia, ma a parte tua zia, a tutti, noi compresi, quel ragazzo non ci convinceva,
era strano, molto introverso e di poche parole, ma la cosa che ci terrorizzava di più
era il suo sguardo, uno sguardo glaciale e severo, ogni volta che ci fissava faceva
venire i brividi, non era razionale, lo sapevamo tutti, ma non potevamo negare che
era quella la sensazione che ci procurava. Tua zia si dispiaceva del fatto che nessuno
di noi aveva legato con suo marito, ma era più forte di noi, non riuscivamo ad
accoglierlo nel nostro cuore.” il signor O’ Connell fece una pausa, guardò sua moglie
come per cercare approvazione con sguardo malinconico, si fece coraggio di nuovo e
proseguì: “trascorsi circa 3 mesi iniziarono ad accadere delle cose strane alla tua
fattoria, il terreno non rendeva, tuo nonno lavorava la terra ma non cresceva nulla,
era come se fosse arido, morto ed a distanza di qualche giorno morirono ad uno ad
uno tutti gli animali, in circostanze molto strane, era come se qualcosa li rodeva da
dentro, il veterinario studiò i corpi inanimati e notò che tutti gli organi interni erano
avvizziti, tuo nonno non poteva crederci era distrutto e senza speranze, non aveva
più di che campare la sua famiglia, così caddè in una profonda depressione, iniziò a
bere ed ad essere violento con tua nonna, sembrava come se una profonda
maledizione avesse colpito la tua famiglia. Tua nonna, con tutta la violenza subita si
ammalò di una rara malattia autoimmune e morì dopo un mese. A distanza di un
mese e mezzo morì anche tuo nonno della stessa malattia di tua nonna, anche i loro
corpi sembravano consumati dall’interno come fu per gli animali, nella fattoria
rimasero solo tua zia, il marito e tua madre. Fu in quel periodo che stranamente il
marito di tua zia iniziò ad ospitare dei suoi amici, gente che veniva da ogni parte del
mondo, gente strana come lui, a tua zia diceva che quella gente aveva bisogno di
aiuto e che molti di loro avevano perso casa o che non avevano più parenti ed amici,
insomma gente in difficoltà. Tua zia, come ho precisato prima, aveva una
predilezione nell’aiutare le persone e quindi accettò, ma era anche succube del
marito e non riusciva mai a ribellarsi. Dopo l’arrivo di quelle persone, noi vicini
vedevamo che verso la mezzanotte nel seminterrato c’erano sempre delle strane
luci accese, mentre la casa era tutta buia, questo si ripeteva ormai da mesi, ed in
tutto quell’arco di tempo tua zia iniziò a mutare il suo comportamento, non era più
quella ragazza solare e dall’animo buono com’è sempre stata, stava diventando più
scontrosa, più rabbiosa e la cosa più inquietante era che stava mutando il suo
sguardo, i suoi occhi stavano diventando come quelli di suo marito, mentre tua
madre era diventata smagrita e sempre pallida; anche lei, come sua sorella era una
ragazza solare e di cuore, ma in quei mesi si era isolata ed era diventata taciturna,
come se qualcosa le stesse risucchiando l’energia vitale; lei non riusciva più a
sostenere quella situazione, a sopportare la presenza del cognato e di quelle
persone che stavano solo approfittando dell’ospitalità sua e di sua sorella. Un giorno
io riuscì a parlare con tua madre, in un momento in cui era sola fuori dall’abitazione,
le chiesi che cosa stesse succedendo, perché lei e la sorella erano cambiate così
tanto, chi erano quelle persone che ospitavano, che cosa succedeva di notte? Lei mi
scoppiò a piangere, io la abbracciai forte, sentii un colpo al cuore, anche io stavo per
mettermi a piangere, mi dispiaceva di quella situazione, erano una bellissima
famiglia, e noi qui, la nostra piccola contrada, ci vogliamo tutti bene. Non appena lei
si riprese mi raccontò tutto quello che sapeva: il marito di sua sorella era un uomo
cattivo che l’aveva ormai influenzata, quelle persone che ospitava non erano
persone bisognose d’aiuto, erano persone cattive come il cognato, e di notte, lei mi
raccontò che non aveva mai avuto il coraggio di andare nel seminterrato, ma udiva
dei strani rituali in latino e questo la terrorizzava, soprattutto perché sapeva che
anche la sorella ne faceva parte. Mi raccontò che non aveva mai avuto il coraggio di
chiedere alla sorella che tipo di rituali facessero, ma sapeva che da quando
partecipava a quei rituali, il suo comportamento era molto cambiato; aggiunse che
lei in realtà soffriva, si, non era la stessa ragazza di prima, ma quel comportamento
così adirato, non era dovuto a lei personalmente, ma a causa di quei riti che il marito
la obbligava a partecipare. Io non potei credere a quelle parole, ma tua madre
sembrava molto preoccupata e terrorizzata così le credetti, cercai di pensare a
qualsiasi cosa che potessimo fare io e gli altri vicini, mi consultai con loro e per
prima cosa eravamo tutti concordi nell’essere sicuri di che tipo di rituali facessero
nel seminterrato, cercavamo di convincerci che magari tua madre si sbagliava, forse
si era lasciata prendere dalla suggestione e dalla paura, ma una cosa era sicura, tua
madre era impaurita e quindi io e gli altri eravamo tutti d’accordo che una notte,
quando quella gente si riunisse di nuovo nel seminterrato, noi saremmo andati a
scoprire che cosa facevano…” il signor O’ Connell si fermò di nuovo, questa volta
aveva un espressione raggelante, mr. Brown si accorse che stava sudando e che gli
mancava quasi il fiato, così, con l’ansia e la curiosità gli disse: “continui”, il signor O’
Connell fece un sorso di vino dal suo bicchiere mentre stavano cenando, si asciugò le
piccole goccioline di sudore che gli bagnavano la fronte e proseguì con voce
tremolante stavolta: “io e gli altri la notte seguente, come d’accordo, ci dirigemmo
alla vostra fattoria, udivamo effettivamente che quella gente intonava una specie di
rito in latino, ci siamo guardati negli occhi increduli, ci avvicinammo alla piccola
finestra che dà nel seminterrato e sbirciammo all’interno; quello che vedemmo non
riusciamo ancora a dimenticarcelo; vedemmo quella gente vestita con una lunga
tunica marrone scuro ed un cappuccio a punta dove solo gli occhi erano scoperti,
erano tutti in cerchio, tutt’intorno c’erano delle candele e sulla parete di fronte loro
c’era un pentacolo rovesciato….” il signor Mark si fermò di nuovo, guardò mr. Brown
intensamente, come per fargli intendere qualcosa e disse: “tu sai che cosa
rappresenta un pentacolo rovesciato vero?” ed il signor Brown imbarazzato accennò
timidamente un si con la testa ed il signor O’ Connell continuò: “bene, come ho
detto erano tutti in cerchio e tua zia nel mezzo, ad un certo punto, dopo aver finito
di intonare quel rito, uno di loro si girò, prese da un sacco una civetta….” alla parola
‘civetta’ il signor Brown raggelò, anche il signor O’ Connell si accorse che il suo
ospite era rimasto scosso da quella parola e chiese: “va tutto bene ragazzo? Che
succede?” ed egli rispose: “no scusi va tutto ok, mi è solo scoppiato un terribile mal
di testa, continui”, ed il signor O’ Connell continuò la sua macabra storia: “dov’ero
rimasto? Ah si, presero una civetta da un grande sacco, ed uno di loro, con un
pugnale, la uccise, un altro si avvicinò con un calice, lo pose sotto l’animale morto e
raccolse il sangue, ma la cosa più terribile di tutto questo era che quel sangue lo
fecero bere a tua zia, tua zia non sembrava cosciente in tutta quella situazione,
sembrava più drogata o che so io, ma dopo aver bevuto il sangue, cadde come
svenuta. Noi dopo aver visto tutto ciò scappammo a gambe levate senza farci
scoprire e da quel momento in poi non ci avvicinammo più alla tua villa, non
avemmo più alcun tipo di rapporto con tua madre e tua zia, ci sentiamo ancora
molto in colpa per questo, probabilmente ci comportammo da gran vigliacchi, ma
quello che avevamo visto quella notte ci ha sconvolto.

Negli anni seguenti però notammo che fortunatamente tua madre ha avuto la forza
di tirarsi fuori da quella situazione, conobbe tuo padre, un brav’uomo per buona
sorte e nel giro di qualche mese si sposarono e si trasferirono a New York, se non se
ne fosse andata quasi certamente tua madre avrebbe fatto la fine dei tuoi nonni.

Qualche anno più tardi vedemmo arrivare nella fattoria un rabbino, accompagnato
da tua zia, in quell’occasione capii che forse tua zia si era liberata da quella
‘possessione’, d’istinto pensai di tornare da lei e farle le mie scuse per aver avuto un
comportamento da codardo, uscì di casa e mi incamminai verso la fattoria, ma mi
bloccai ripensando a quella notte e rimasi lì fermo, nel frattempo il rabbino era
ancora lì, fuori dalla fattoria a parlare con tua zia e l’unica cosa che riuscì a sentire
era che si chiamava Aaron Smith ed era il rabbino di Waterloo, nella contea di Black
Hawk, in seguito sapemmo che tua zia si ammalò e morì.
Non mi perdono ancora di averla lasciata sola, ma così come me anche tutti gli altri,
sapendo che ti ho raccontato la storia e pregandoti di scappare spero di aver pagato
il mio debito con la tua famiglia.”, gli scese una lacrima, prese un fazzoletto di stoffa
e si pulì, la sua storia era finita, guardò il signor Brown con tenerezza sperando che
egli accolse il suo consiglio, mr. Brown rimase in silenzio per qualche minuto, guardò
il suo piatto e si accorse che mentre tutti gli altri ebbero finito di cenare, lui non
assaggiò nulla, il suo piatto era ancora pieno, rivolse lo sguardo a Mark
ricambiandolo di tenerezza, ma una strana rabbia lo pervase, come se non volesse
credere a tutto quello che aveva ascoltato, anche se il signor O’ Connell sembrava
spinto davvero da buone intenzioni, ma quella storia gli sembrava troppo assurda
per essere vera ed allora gridò d’improvviso: “sono stato qui ad ascoltare questa
strampalata storia, cosa vuole ottenere da me? Si aspetta che io possa credere a
storie di possessioni e malefici? Si aspetta che io adesso molli il mio unico mezzo di
sostentamento per credere a questa bizzarra storia?! Se voi tutti avete avuto
un’allucinazione di gruppo non è colpa mia! La saluto” il signor Mark incredulo e
profondamente dispiaciuto cercò di fermare il ragazzo dicendogli con voce
strozzata: “ti prego credimi, se non vuoi credere a me vai a trovare quel rabbino ti
prego, è ancora nella sinagoga di Sons of Jacob, fatti provare da lui la veridicità di
questa storia, non potrei sopportare che anche tu possa essere vittima di quel
maleficio, ti prego ascoltami!” ma il signor Brown non ne volle più sapere nulla di
quelle chiacchiere e se ne andò sbattendo la porta. Urtato da quella serata montò in
macchina e tornò alla sua fattoria, nella testa gli vagavano pensieri contrastanti, la
storia della sua famiglia, gli occhi struggenti e pieni di sensi di colpa del vicino;
finalmente riusciva a collegare tutti i lati oscuri e tutte le domande che si era fatto su
quella zia misteriosa, sul perché i suoi genitori non gli avevano mai parlato di lei, ma
la sua parte razionale cercava di convincersi che erano tutte stupidaggini. Arrivato a
casa, scese dalla sua auto e rimase qualche minuto lì a guardarla, era abbastanza
suggestionato da quella storia ed aveva quasi timore di entrare, ma ancora una volta
la sua razionalità prese il sopravvento ed entrò, ancora una volta entrando in quella
casa gli tornarono tutte le sensazioni negative che provava da quando era in quel
posto, si fece coraggio e si diresse in camera per andarsi a coricare visto che era
abbastanza tardi e l’indomani doveva portare a termine tutti i lavori che non era
riuscito a finire quel giorno. Si spogliò e d’un tratto sentì un rumore, come una
specie di vociare, proveniva da sotto, decise di andare a vedere di che si trattava,
lasciò la camera da letto e si diresse di nuovo alla scalinata, come scendeva ogni
scalino il vociare diventava sempre più chiaro, sembrava una specie di preghiera o
un rito in una lingua che non conosceva, si gli pareva proprio in latino. Il suo cuore
batteva all’impazzata, sentiva crescere l’ansia dentro di sé ad ogni passo che faceva,
arrivato al soggiorno, si rese conto che quel vocio provenisse da sotto i suoi piedi,
“nel seminterrato?” si domandò con il cuore in gola, quando si trovò a girare la
maniglia della porta che conduceva nel seminterrato, le voci si interruppero e nella
fattoria regnò di nuovo il silenzio. Il signor Brown rimase sbalordito, ma decise di
andare a controllare lo stesso, girò la maniglia della porta ed iniziò a scendere le
scale che portavano al seminterrato, era tutto buio, il cuore gli batteva ancora
intensamente, arrivò all’interruttore della luce, la accese, e vide che non c’era anima
viva, guardò bene ed a fondo, non c’era proprio nessuno, fece un sospiro di sollievo,
una risata ed esclamò: “sono proprio uno sciocco, mi sono fatto talmente
suggestionare da quel pazzo che adesso ho anche io le allucinazioni!”; si girò e tornò
nel soggiorno, nel momento in cui richiuse la porta del seminterrato le voci
riniziarono a ripetere quella cantilena, questa volta molto più intensamente, come
se stessero strillando, il signor Brown a quel punto era talmente impaurito che
scappò di corsa nella camera da letto e si ficcò di corsa nel letto.

Il mattino seguente si svegliò di soprassalto alle cinque del mattino con uno strano
rumore, come se qualcuno stesse forzando la maniglia dell’anta dell’armadio, come
se qualcheduno volesse uscire dall’armadio, il signor Brown spaventato e sudato
rimase a fissare la maniglia dell’armadio che si muoveva sempre più energicamente
ed il rumore si faceva sempre più forte, finchè non si alzò dal letto e con decisione
aprì di scatto l’anta, guardò bene all’interno dell’armadio e non c’era proprio nulla a
parte i vestiti e tutto ciò che è sempre stato nell’interno, richiuse il guardaroba e
pensò: “sto diventando pazzo!”, guardò fuori dalla finestra e vide che stava
albeggiando, così con rammarico decise di vestirsi, fare colazione e finire di lavorare
il terreno. Dopo un paio d’ore di lavoro si fermò per riposarsi e per bere un bicchier
d’acqua visto che era una giornata assolata e calda, insolita per il mese di aprile;
mentre stava per tornare a casa si girò di scatto verso la finestra che dava nel
seminterrato, come se avesse avuto qualche intuizione e lì vide un uomo
incappucciato che stava fissando la sua casa, d’improvviso l’uomo si girò verso di lui,
e con irruenza si avvicinò velocemente, ad un certo punto Carl vide che si stava
facendo buio improvvisamente e vide delle civette, la stessa donna del suo incubo di
qualche notte fa e delle persone che recitavano nel suo seminterrato un rito in
latino, ad un certo punto tutto ciò che stava osservando scomparve, tornò il sole ma
ricomparve di nuovo l’uomo incappucciato di fronte a lui, il signor Brown non
riusciva a scorgere il suo viso, ma sentì forte e chiaro la sua voce cupa e fastidiosa
che gli disse: “grazie a te finiremo ciò che abbiamo interrotto, porteremo la Signora
sulla terra!” e sparì. Il signor Brown si ritrovò per terra sotto shock e non riuscì a
spiegarsi cosa gli fosse successo, si chiese se tutto ciò che aveva visto fosse vero, la
notte improvvisa, quelle civette, la donna e l’uomo incappucciato, rimase per terra
in uno stato confusionale acuto ancora per dieci minuti, dopo di chè decise di alzarsi,
le gambe gli tremavano ed era come se non avesse le forze, si chiese se tutto quello
che gli stava succedendo era sempre per autosuggestione oppure se era tutto vero,
la sua parte razionale lo spingeva a non credere a nulla; ad un certo punto sentì
all’altezza del petto uno strano bruciore, si guardò addosso ed aveva delle
bruciature sulla camicia a forma di mano sul petto come se qualcuno lo avesse
spinto; non potè crederci, si sentì svenire, cadde di nuovo a terra e di nuovo sotto
shock, questa volta doveva crederci per forza che qualcosa di strano gli stava
capitando, si sentì la gola secca, e dopo altri dieci minuti a terra decise di alzarsi e di
tornare a casa per cercare di riprendersi. Rientrato a casa sentì di nuovo di non aver
forza alle gambe, era ancora impaurito e sconvolto e non sapeva cosa fare, questa
volta gli venne di nuovo l’idea di abbandonare tutto e di tornare a New York, ma
sentì che non poteva abbandonare la sua fattoria senza sapere davvero cosa stesse
succedendo. La storia del vicino non era completa, sentiva che c’era qualcos’altro
dietro a tutto questo e non accettava il fatto che quella proprietà pareva maledetta
senza sapere se c’erano delle soluzioni, si chiese come potesse sapere di più su
quella ‘maledizione’, non si arrendeva al fatto che probabilmente doveva lasciare
tutto e scappare; sebbene quella vita gli stava stretta non poteva abbandonare
quella fattoria e di nuovo tornare a New York senza avere nulla, quella fattoria era
l’unica cosa che aveva, no non l’accettava; mentre pensava a cosa fare gli tornò in
mente che il vicino gli disse di contattare quel rabbino che vide con sua zia anni fa,
gli disse anche il nome, ma adesso non gli tornava più in mente, così si sforzò di
ricordare e d’improvviso, come un colpo di genio si ricordò, il nome del rabbino era
Aaron Smith e si ricordò anche che era il rabbino della sinagoga di Sons of Jacob.
Non perse tempo, accese il suo portatile e cercò la via ed il percorso per andare da
lui, vide che fortunatamente la sinagoga si trovava a dodici miglia dalla sua
proprietà, richiuse il portatile, uscì di casa e prese di corsa la macchina. Arrivato alla
sinagoga il signor Brown si sentì spaesato, lui non era più stato in una sinagoga da
piccolo e provava anche un po’ di disprezzo per gli uomini di chiesa, non era mai
stato un uomo religioso, l’unica cosa in cui credeva era il denaro e la finanza. Rimase
ancora per qualche minuto lì ad osservare la sinagoga, poi si fece forza e si lasciò alle
spalle i suoi pregiudizi ed entrò; rimase basito da ciò che vide all’interno, quella
sinagoga non sembrava un luogo sacro, sembrava più una sala di ricevimenti, gli era
abbastanza famigliare, non c’era l’altare, il pulpito e tutto ciò che caratterizza una
chiesa tradizionale, si sentì sollevato, del resto, pensò, sembrava una qualsiasi sala
di meeting come ne aveva visti a decine in 20 anni di lavoro, si guardò attorno e vide
che era completamente solo, girò all’interno della struttura affinchè riuscisse a
trovare qualcuno a cui chiedere del rabbino Smith. Ad un certo punto vide una
porta, la aprì e dentro trovo un signore molto anziano, all’incirca aveva più di 70
anni ed era seduto davanti ad una scrivania assorto nello scrivere qualcosa, il
vecchio appena sentì la porta aprirsi alzò di scatto la testa e chiese: “si?” ed il signor
Brown rispose impacciato: “salve, mi scusi se l’ho disturbata, può aiutarmi? Cerco il
rabbino Smith” e l’uomo rispose: “sono io mi dica” ed allora il signor Brown gli disse:
“salve, senta è un po’ imbarazzante per me, ma mi occorrerebbe il suo aiuto, piacere
sono Carl Brown ed abito nella fattoria Centfield, mi è stato raccontato che lei ha
aiutato mia zia, presumibilmente circa cinque anni fa a … diciamo … spezzare un
maleficio, si ricorda?”, il rabbino si tolse gli occhiali, si strofinò gli occhi e si mise a
pensare, dopo qualche minuto di silenzio l’uomo fece un sussulto e disse: “ah si
certo, la povera Hannah, tua zia, era una grande donna, poverina, la aiutai a liberarsi
da quel demonio, dimmi caro giovane, che ti serve?” ed il signor Brown sollevato dal
fatto che il rabbino rammentò rispose confortato: “ho bisogno del suo aiuto, mi
stanno accadendo cose strane lì nella fattoria, dal ritrovamento di ossa di civette o
quello che è, a strani rumori ed allucinazioni” il rabbino Smith di nuovo sussultò
spaventato e gridò: “non avrai per caso riaccolto il demone nella tua fattoria?! No
ragazzo, non dovevi fare una cosa del genere, non sai a cosa andrai incontro, Signore
mio aiutaci!” ed il signor Brown rispose sbigottito: “ma io non ho fatto nulla, sono in
quella fattoria da qualche giorno, io non credo neanche a queste cose paranormali,
come pensa che avrei invitato qualcuno?” ed il rabbino replicò: “caro ragazzo, io ho
provveduto a liberare tua zia da quella maledizione, ho scacciato il demone e per
anni quella fattoria è stata tranquilla, se tu adesso mi dici che stai vivendo dei fatti
inquietanti vuol dire che tu o qualcun altro ha riaperto le porte al demone, le
allucinazioni si sono verificate appena sei arrivato alla fattoria? Oppure sono
cominciati dopo qualche avvenimento importante? Concentrati ragazzo”, mr Brown
ci pensò su e li per li non gli venne in mente niente in particolare, nulla che poteva
collegare a cosa avesse potuto scatenare quei fatti sconcertanti, ci pensò su ancora
per qualche minuto e poi gli venne la risposta come un lampo di genio e disse: “beh
ho trovato una strana foto di mia zia ed un uomo incappucciato che
presumibilmente fosse suo marito e dietro la foto una strana frase in latino, potrei
dire che da quel momento si sono verificati questi fatti, ma non ne sono sicuro” il
rabbino sobbalzò dalla sedia con un espressione inquietante ed esclamò: “ricordi
quella frase? l’hai portata con te?” il signor Brown scosse la testa in senso negativo
con rammarico e gli disse: “la prego mi può dire cosa sta succedendo in casa mia? Il
mio vicino ha tentato di raccontarmi tutto, ma ci sono delle vicende che non riesco a
spiegarmi, chi era il marito di mia zia?”, il rabbino guardò il signor Brown con
compassione, si alzò dalla sedia, si diresse verso lo scaffale a fianco della scrivania,
prese un enorme libro con in copertina una grossa stella di David con delle scritte in
ebraico ed iniziò a raccontargli tutti i particolari di quella situazione: “vedi ragazzo,
tua zia era una persona speciale…” il signor Brown d’improvviso, ascoltando
l’esordio del racconto del rabbino Smith lo fermò con impazienza e gli disse: “si so
che mi zia era speciale e che aveva un dono, è stato il mio vicino a dirmi questo,
voglio sapere chi era il marito e che tipo di maledizione l’ha colpita, voglio sapere
cosa mi trovo a combattere!”. Il rabbino infastidito dall’interruzione del signor
Brown, continuò la sua storia con atteggiamento glaciale: “allora il marito di tua zia
era un testimone del demone Lilith, mai sentito parlare di Lilith?” mr Brown negò,
ed il rabbino continuò: “Lilith è una figura presente in quasi tutte le religioni
occidentali e quelle arcaiche; nella religione mesopotamica Lilith è
il demone femminile associato alla  tempesta, ritenuto portatore di
disgrazia, malattia e morte. La figura di Lilith appare inizialmente come un insieme di
demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta, come è il caso nella
religiosità sumerica di Lilitu, circa nel 3000 a.C. Lilith compare nell'Ebraismo come un
demone notturno, ovvero come una civetta…” alla parola ‘civetta’ mr Brown
raggelò, divenne pallido e gli mancò il fiato, il rabbino si accorse di quel
cambiamento nel volto del signor Brown e gli chiese: “va tutto bene ragazzo?” ed il
giovane rispose con voce strozzata: “forse sto diventando pazzo, ma è da qualche
giorno che quelle maledette civette mi perseguitano, le ho viste in un sogno, le vedo
sepolte nel mio terreno e le ho viste anche oggi!”, il vecchio rispose: “no ragazzo,
non stai diventando pazzo, è la dea Lilith che cerca di rimpossessarsi della casa, ma
fammi continuare la spiegazione così capirai meglio. Dov’ero rimasto? Ah si, allora
come ti ho detto Lilith è un demone antico, tuo zio acquisito si servì dei poteri di tua
zia per portare il demone Lilith su questa terra, il tuo vicino ti disse che egli portò
altre persone a vivere nella tua fattoria?”, il ragazzo annuì, ed il rabbino: “beh quelle
persone cercavano, con i loro riti, di eliminare l’energia vitale di tua zia, la dea Lilith
si cibava della bontà e della luce di Hannah e la tramutava in qualcosa di oscuro, tua
zia non veniva posseduta nel vero senso del termine, ma veniva annientata a poco a
poco da quella forza malefica , fin quando Hannah non fosse morta ed il demone
non fosse stato completamente liberato” l’anziano signore fece un cenno a Carl, girò
il libro e gli fece vedere una raffigurazione di una donna e gli chiese: “è questo il
demone Lilith….” Carl rimase interdetto e confidò al rabbino: “non ci posso credere,
questa donna l’ho già vista due volte, come le ho detto in un incubo che feci una
notte ed oggi pomeriggio quando ero nei campi!” il rabbino sconcertato lo avvertì:
“essendo che tua zia è morta adesso vuole impossessarsi della tua fattoria, io aiutai
tua zia a liberare la sua energia vitale dal demone, Hannah era già molto debole
quando mi chiamò, ma fortunatamente aveva ancora una grande forza d’animo per
rimanere un minimo cosciente di ciò che stava succedendo e dopo la morte del
marito ebbe la forza di chiamarmi, sebbene gli ‘amici’ di tuo zio erano ancora lì, anzi
dopo la sua morte arrivarono altre persone per finire quello che avevano iniziato,
ma tua zia si sentiva, diciamo, un minimo più forte, tuo zio era il gran maestro di
quella setta. Il rituale che facemmo è un rito ebraico di liberazione dal male, come
prima cosa togliemmo il pentacolo pitturato sul muro del seminterrato perché quel
simbolo è un continuo richiamo alle forze del male e se fosse rimasto lì, tua zia non
si sarebbe mai liberata, provvedemmo nel sotterrare i resti delle civette brutalmente
uccise da quella gente, le disponemmo con cura nei tuoi campi come a formare una
stella, la stella di David che avrebbe aiutato a consacrare quel posto ed iniziammo
l’esorcismo che continuò per tre ore, il rito principale fu quello di farla adagiare nel
mikveh, un bagno purificatore con acqua benedetta ed io avevo il compito di
ripetere una frase rituale in ebraico antico. Tua zia non riuscì a liberarsi
completamente purtroppo, il demone le aveva portato via molta energia, ma per lo
meno la setta fu annientata e Lilith tornò negli inferi, nel giro di sette anni tua zia si
ammalò di una grave malattia autoimmune e morì, ciò che era rimasto del demone
in questa terra morì con lei.

Ora per quanto riguarda la tua fattoria, dovremmo eseguire un esorcismo diverso,
visto che non riguarda una persona in particolare ma della tua casa e
fortunatamente, da come mi racconti, il demone si è risvegliato da poco e non è
forte quanto in passato, ce la dovremmo cavare con poco, torniamo alla tua fattoria
ed eseguiamo subito l’esorcismo!” Il rabbino prese il grosso libro, si alzò dalla sedia,
prese dall’attaccapanni l’impermeabile e si diresse verso la porta della sinagoga, Carl
lo guardò meravigliato, per qualche secondo non seppe cosa fare, poi si decise,
seguì il rabbino e lo fece salire in macchina per dirigersi nella sua fattoria.
Lungo il tragitto il rabbino spiegò a Carl tutto ciò che dovevano fare, per tutto il
tempo il rabbino non smise di illustrare tutte le varie operazioni da mettere in atto,
mostrando anche dal libro i vari riti da recitare, il signor Brown non riusciva ad
ascoltarlo era distratto dai vari pensieri che gli ronzavano in testa influenzati da
emozioni contrastanti che andavano dalla paura per ciò che gli stava capitando e ciò
che doveva fare non appena sarebbero arrivati a casa e l’incredulità, ancora non
riusciva a crederci, ancora gli sembrava tutto surreale, tutto talmente
fantascientifico che non si riconosceva neanche in ciò che stava facendo. In quel
momento riuscì a guardarsi dall’esterno e gli sembrò di vedere un’altra persona e si
chiese com’era possibile che in poco tempo tutto ciò che era e in cui credeva era
svanito, lui era profondamente soddisfatto della sua identità, e del suo ego, egli
provava solo disgusto per chi era diverso da lui, per chi la pensava diversamente da
lui, per chi credeva diversamente da ciò in cui credeva lui; d’improvviso, mentre
nella sua testa si affollavano tutti questi pensieri, ebbe un sussulto di terrore, non
per la situazione della fattoria, ma per se stesso, si sentì che non aveva più una
personalità, che non sarebbe stato più lo stesso e questo gli faceva molta, ma molta
più paura di qualsiasi spirito, maledizione e demone del mondo. Inaspettatamente,
mentre il signor Brown era assorto dai quei pensieri e sembrava quasi un automa, il
rabbino esclamò: “ci siamo!”; il signor Brown si riprese da quelle riflessioni, tornò
presente e vide che erano finalmente arrivati alla fattoria, il rabbino gli disse:
“adesso, la prima cosa che devi fare è farmi vedere quella foto!”, scesero dalla
macchina, rimasero lì per qualche secondo ad osservare la fattoria, ebbero la stessa
sensazione di brividi dietro la schiena, per il signor Brown era come se la vedesse
per la prima volta, questa volta percepì che c’era qualcosa di maligno in quella casa
e ne fu finalmente consapevole, comprese tutto il male che era insito in quella
proprietà; il rabbino percepiva le stesse sensazioni, si fecero coraggio ed adagio
adagio entrarono in casa, il signor Brown udì le stesse voci che sentì la sera prima,
udì anche altri rumori strani, come se quelle forze del male avvertissero la presenza
del rabbino e la casa si ribellasse alla sua purificazione; i due addirittura ebbero
anche delle allucinazioni, le stesse che il signor Brown ebbe durante quei giorni: le
civette, il signore incappucciato, la setta che intonava il rituale malefico in latino, ed
alla fine il demone Lilith che li guardava con occhi color fuoco vivo e cercava di
fermarli opprimendo la pressione atmosferica della casa. I due si sentirono quasi
mancare, ma si fecero forza e salirono le scale per recarsi di corsa in camera da letto
per prendere quella foto. Riuscire ad arrivare in camera da letto, per i due, fu
alquanto difficile, le presenze nella casa erano più agguerrite che mai nel tentativo
di far fallire i due poveri sventurati; non appena arrivarono in camera, il signor
Brown aprì l’armadio e prese la tenebrosa foto, la diede al rabbino che la scrutò per
bene, lesse la scritta in latino e disse a Carl: “come immaginavo, il marito di tua zia
prima di morire sapeva che lei aveva ancora la forza di ribellarsi, sapeva che il
demone non le aveva tolto del tutto la sua energia vitale, quindi ha lasciato questa
foto con questa scritta in latino e molti altri oggetti ricchi di energia malefica affinchè
un giorno qualcuno li trovasse, soprattutto questa foto, per far si che il demone si
rimpossessasse della fattoria e successivamente del mondo! Dobbiamo trovare e
distruggere qualsiasi oggetto o scritta che abbia a che fare con tuo zio acquisito, e
poi dobbiamo dissotterrare i suoi resti e bruciarli con quegli oggetti, in questo modo
la fattoria sarà definitivamente salvata, con l’aiuto di determinati riti contenuti nella
Cabala”, il signor Brown ascoltava minuziosamente il rabbino, non ancora però si
rendeva perfettamente conto di ciò che doveva fare e di ciò che stava succedendo,
si affidava esclusivamente a quell’uomo di chiesa come non avrebbe mai fatto in
passato e tutto questo per lui era molto strano, ma si adoperò ugualmente come il
rabbino nel trovare qualsiasi oggetto o scritta che poteva essere ricondotta a quella
maledizione. Misero a soqquadro tutta casa, passarono dalla camera da letto al
bagno, dall’altra camera infine scesero le scale per recarsi al soggiorno, trafugarono
anche lì, poi passarono in cucina ed infine nel seminterrato, covo di tutti i vari riti e
di tutta l’energia malefica responsabile di quella faccenda. Nel seminterrato
trovarono un pentacolo rovesciato sotto le assi di legno del parquet, era disegnato
con il sangue, i due non persero tempo e provvidero a ricoprirlo con della vernice
bianca trovata lì; dopo aver cancellato il pentacolo, scrutarono di nuovo in modo
accurato quella parte della casa, trovarono il pugnale servito per i molteplici sacrifici
animali e la coppa dove la zia era costretta a bere il sangue delle civette uccise; dopo
aver trovato tutto ciò che li interessava, i due risalirono le scale dal seminterrato e si
diressero fuori l’abitazione carichi di tutti gli oggetti, scritte e pergamene, la casa nel
frattempo continuava ad emanare come mai prima di quel momento tutto il male
possibile, anche il cielo si fece scuro con varie scariche di fulmini e tuoni sopra la
casa, il vento si fece potente tanto che il rabbino e Carl riuscirono a stento a stare in
piedi. I due ora si preoccuparono di trovare i resti mortali dello zio, il rabbino era
convinto che fosse stato sepolto lì nella fattoria da qualche parte, purtroppo la
proprietà era vasta e ci misero quarantacinque minuti per trovare la tomba, fu il
signor Brown ad accorgersi di dove era sepolto l’uomo, gli sembrò strano, era una
parte del terreno dove l’erba sembrava quasi bruciata, come se le piccole foglie non
potessero crescere granchè. Chiamò il rabbino che nel frattempo stava scrutando un
po’ più in là; quando il rabbino arrivò sulla presunta sepoltura notò che
effettivamente quell’erba era strana rispetto al resto del terreno, così, si convinsero
e procedettero nello scavare armati di pale nel tentativo disperato di trovare il
corpo, dopo qualche minuto, lo trovarono ancora intatto, in tutta fretta buttarono
nella buca tutte le altre cianfrusaglie maledette ed appiccarono un grande fuoco, un
fuoco benedetto che, insieme ai canti sacri ebraici che il rabbino intonava,
avrebbero scacciato per sempre la maledizione.

Le nubi si dissiparono ed il vento opprimente cessò di soffiare, la fattoria si fece


meno cupa e l’armonia regnava su tutta la proprietà.

La mattina dopo i due si salutarono affettuosamente, come se si conoscessero da


una vita eppure il signor Brown lo conosceva da soltanto un giorno, ma provava una
grande riconoscenza per lui, il rabbino prima di andarsene gli disse: “sono felice di
averti aiutato, la tua famiglia è speciale, tua zia era speciale, e tu hai davanti a te una
grande vita. Stammi bene ragazzo” gli fece una carezza sopra la guancia e se ne
andò.

Trascorsi cinque anni da quella vicenda il signor Brown non è più quell’uomo pieno
di sé, arrogante e presuntuoso, è una persona diversa, umile e generosa ed ama
quella vita agricola che aveva sempre disprezzato, ora adora coltivare, mangiare i
prodotti della propria terra ed ama moltissimo anche la natura che per tutta la vita
aveva ripugnato, spesso adora appoggiarsi sotto il suo grosso albero di mele e fare
dei piccoli riposini dopo aver lavorato, sente che tutto ciò lo riempie di energia e ne
è grato, ricorda benissimo quello che è successo cinque anni fa, delle volte, nella sua
mente contempla quelle vicende come se fosse stato tutto un sogno, come se tutto
era dovuto ad un profondo cambiamento dentro se stesso, che quei demoni erano
tutti i suoi pregiudizi e tutto ciò che credeva di essere, forse era così? Chissà, l’unica
cosa di cui è certo è che è diventato una persona migliore, anche i vicini lo
apprezzano e lui ama aiutarli, non sa come, ma sa che quando le persone sono con
lui si sentono in pace, i vicini dicono che ha un dono, un dono che viene da Dio.

FINE

Potrebbero piacerti anche