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Capitolo 1

Annie camminava a passo rapido, tenendo con entrambe le mani il pesante secchio di legno per l’acqua,
tristemente consapevole che, di lì a poco, sarebbe diventato ancora più pesante.
Sua madre l’aveva svegliata al solito orario, con il solito bacio, perché l’aiutasse a dare da mangiare alle
galline ed accudire gli animali, mentre suo padre andava ad arare i campi. Erano compiti tutto sommato
divertenti, le piaceva avere a che fare con gli animali, il suo preferito era il grosso coniglio bianco, l’unico
nato con quel colore in mezzo ad una nidiata di banali batuffoli marroni.
Poi ,però, sua madre l’aveva sorpresa con una richiesta inusuale: quella di andare a prendere un secchio
d’acqua alla Fonte dei Pellegrini, sulla strada che chiamavano delle Ceneri Fumanti. Era una lunga
camminata, almeno due ore; la strada di per sé non era pericolosa, considerato che i soldati della
guarnigione su a Roccia delle Nubi facevano buona vigilanza, ma si trattava comunque di una strana
richiesta, soprattutto se fatta ad una bambina di nove anni. Annie era sempre stata una ragazza obbediente,
però, e non aveva sollevato obiezioni: la mamma aveva sempre fatto tanto perché, pur poveri com’erano,
non le mancasse nulla, e lei non si sarebbe mai sognata di lamentarsi, neppure se l’avessero picchiata, cosa
che fortunatamente non era mai accaduta, a differenza di Jake, che aveva sempre parecchi lividi causati dal
padre. Annie non capiva come un papà potesse essere così violento verso il proprio bambino: il suo, di papà,
era così diverso, sempre gentile e sorridente, e da quando era tornato dalla guerra non aveva occhi che per
lei, quando non era occupato a lavorare i campi…
Si incamminò per la strada lastricata di ciottoli e ghiaia, uscendo dal villaggio accompagnata dai rumori delle
attività del piccolo borgo. Che strano, quella mattina nessuno sembrava riservarle il solito calore quando
passava vicino alla bottega del lattaio o si fermava ad ammirare la ruota al mulino del vecchio Joel. Ad ogni
modo si sforzava di salutare con un sorriso chiunque incontrasse: l’educazione nei confronti degli amici era
importante, dopotutto. Anzi, lo era nei confronti delle persone in generale, le aveva sempre detto la
mamma, ed ora, lasciatasi alle spalle il villaggio da un bel po’, continuava a percorrere la strada di buona
lena, desiderosa di portare a termine il compito che le aveva affidato. Era suo dovere in quanto figlia unica
aiutare come poteva in casa, se c’era un problema. Ricordava molto bene gli anni in cui suo padre era
lontano da casa, a combattere la guerra che infuriava al centro del mondo. A quell'epoca sua madre doveva
occuparsi tutta sola del lavoro nei campi e degli animali, senza contare che lei era troppo piccola per poter
aiutare. Ricordava la stanchezza negli occhi di sua madre, e la tristezza quando le sue guance si rigavano di
pianto, e passava le notti alla finestra nella speranza che papà tornasse. Poi papà tornò, e le cose
cominciarono ad andare per il verso giusto; certo, la vita nel villaggio non era facile, ma per quanto semplice
potesse essere (o misera, come alcuni la definivano), Annie ne era contenta: in fondo, avrebbe potuto
andare molto peggio. Era felice di essere nata in tempi meno turbolenti, dove gli eserciti non incendiavano
più le città, e gli imperi non si combattevano più guerre.
Ora il villaggio era alle sue spalle, e i suoi passi calcavano il suolo antistante la collina delle Ceneri Fumanti.
Sua madre si era raccomandata di fare molta attenzione a questa zona: la prima volta che aveva fatto quella
strada, Annie si era chiesta il perché, ma ormai era grande e conosceva bene il perché: Le fonti più vicine,
quelle che serpeggiavano nei meandri della collina si erano prosciugate, l'aria di quel luogo era spesso
pregna di polveri e zolfo, e nessuno ci passava mai attraverso.
Ed eccola, la collina che affollava le lugubri storie ed i racconti di paura che circolavano per il villaggio: non
era mai un bel vedere, la terra si sollevava gradualmente a coprire l'orizzonte, le pareti dell'altura erano
costoni di roccia che si sollevavano grigi dal terreno e nelle intercapedini di questi, candida polvere bianca e
breccia rocciosa a rendere impraticabile il terreno. Le dava un brivido lungo la schiena, ma avrebbe dovuto
attraversarla. Rallentando appena il passo per evitare di inciampare per errore in uno dei sassi sconnessi
che formavano la via, rischiando di rompere il secchio. Il sole non era ancora al culmine, probabilmente
erano a malapena le undici del mattino, ma faceva già parecchio caldo, perciò Annie fu grata dell’ombra
proiettata dal lato della collina che le diede un po’ di frescura. Più avanti andava, più la strada si faceva
accidentata: ricordava che anche il papà le aveva molte volte detto di fare attenzione per quella via, che
bastava un niente per farsi male camminandoci sopra. Voltata l’ultima curva, si ritrovò faccia a faccia con la
spettralità del luogo: il colore cenere contrastava potentemente con l’azzurro del cielo: era come vedere due
mari distinti ed opposti toccarsi sulla linea dell’orizzonte. La polvere era di un grigio screziato di rosso:
braci tuttora ardenti, sebbene fossero passati sette anni dalla nascita di Annie e la catastrofe risalisse a ben
prima di quell’evento. Ruderi, pezzi di mura, stendardi anneriti dal fuoco e casupole diroccate costellavano
quel vuoto grigio e rosso, senza che se ne potesse mai vedere la fine. Suo padre le aveva raccontato che lì in
passato alcuni taglialegna avevano bonificato la collina per costruire case e commerciare in legno con il
villaggio, ma dopo il passaggio della guerra, non c’era nulla che fosse rimasto vivo: tutto o la maggior parte
di esso era cenere.
Annie non sapeva cosa avesse potuto causare tanta distruzione: alcuni parlavano di stregonerie finite male,
altri di grandi creature chiamati draghi che scesero dal cielo portando distruzione dall'alto, altri ancora – e
queste voci facevano tremare Annie di paura - di mostruose legioni che si erano ribellate agli antichi signori
di quelle terre, legioni di esseri dalle lunga corna e la pelle cremisi chiamati diavoli. I diavoli avrebbero dato
fuoco ad ogni cosa per vendetta, in una marcia spietata per il regno di Turath, il regno in cui abitava... ma
nessuno dei grandi parlava di quegli antichi avvenimenti volentieri. Si chiese dove fossero ora quei mostri e
se fossero mai esistiti; non trovando risposta ai sui quesiti, riprese a camminare.
Annie pose particolare attenzione nel passare accanto a quelle rovine, anche se la vera devastazione iniziava
a qualche decina di metri di distanza da lei: qualunque cosa avesse distrutto quella città, era stata
abbastanza potente da sradicare le pietre che formavano la via, lasciando terra dura ed annerita, su cui
nessun' erba o fiore avrebbe potuto attecchire. Inoltre, si diceva che le persone sparissero nei pressi di quel
luogo, ed era una possibilità che ad onor del vero la spaventava abbastanza. L’odore della cenere che le
raggiunse le narici la fece starnutire, ma non si fermò, e deviò a destra, allontanandosi da quella terra arida:
si lasciò andare ad un sospiro di sollievo quando, dopo un’altra ora di camminata, finalmente raggiunse la
fonte.
Era una sorta di grosso pozzo in pietra, se ne stava al crocevia delle due strade principali, quella delle Ceneri
e la grande via che gli antichi re percorrevano quando dovevano recarsi nelle grandi città dell'entroterra, o
almeno così era stando ai racconti di papà, che l'aveva sicuramente percorsa tante e tante volte. Annie
sapeva che andando a sinistra rispetto al pozzo, dopo qualche giorno di camminata o qualche ora in carro, si
raggiungeva una grande città, ma non ne ricordava il nome. Avvicinandosi al pozzo, si sporse per prendere la
corda che penzolava alla bocca di esso, e la legò al manico del secchio, facendo poi scorrere la corda; in
attesa di sentire il suono del legno contro l’acqua, osservò la placca bronzea che nobilitava quella spoglia
fonte fatta di sassi squadrati. Vi erano incisi sopra dei caratteri e delle immagini, assai dettagliate: doveva
essere stato un lavoro alquanto minuzioso. Annie non sapeva leggere quelle scritte, ma non serviva essere
istruiti per capire il significato delle immagini: quelli erano i due eserciti che si erano scontrati nella guerra di
tanti anni prima: da un lato il popolo che stava oltre il mare interno, con i draghi e coi loro cavalieri,
dall'altro i guerrieri di Turath, con le loro schiere di terra e...le creature del cielo, del tutto simili ai mostri
diabolici dei racconti antichi. Annie si chiese come fosse possibile che quelle cose avessero potuto
combattere fianco a fianco con gli uomini in armi, come il suo papà, o come tanti altri al villaggio. Nessuno
ne parlava mai, e questo la inquietava, talvolta. Talvolta era portata a pensare che quei mostri fossero
davvero nascosti da qualche parte nel regno, e che potessero spuntare di punto in bianco dalle colline
marciando in ranghi per la pianura.
Raccolse il secchio e si mise a correre in direzione del villaggio.
Le mani presto le fecero male, così come le braccia, ma non si diede per vinta. Aveva anche sete, ma non
poteva bere dal secchio appena recuperato: se la mamma l’aveva mandata così lontano, vuol dire che
quell’acqua era assolutamente necessaria, e non voleva utilizzarla senza permesso.
Le ci vollero dieci minuti per riprendersi; dopo quelli, però, si sentì abbastanza in forze per affrontare il resto
del viaggio. Strinse i denti e si fece forza: aveva già perso abbastanza tempo, la mamma la stava aspettando,
e non voleva farla preoccupare. Questo pensiero la spronò tanto che, quando si trattò di passare
nuovamente di fianco alla terra bruciata un’ora più tardi, la degnò di appena uno sguardo.
Superata nuovamente la collina, Annie tornò sulla strada maestra: il sole era nel punto più alto quando fu
nuovamente sul sentiero per casa, con suo sommo sollievo. Anche se perdersi era impossibile, dato che si
trattava semplicemente di seguire la via principale, c’era sempre il rischio di fare brutti incontri. Erano circa
le due del pomeriggio, forse persino più tardi, eppure il villaggio era deserto. L’atmosfera era… curiosa. Non
ricordava di aver mai visto le strade così vuote, anche se vide di sfuggita alcuni volti noti dentro casa, dietro
le finestre.
Saranno stanchi e si staranno riposando un po’ prima di riprendere il lavoro, pensò. Decise di non badarci,
per quanto la strana sensazione permanesse in lei, e si avviò verso casa. Ma una volta arrivata lì, Capì che
qualcosa non andava.
Questo era decisamente strano: la porta di casa non era quasi mai aperta, bisognava sempre bussare. Era
una piccola regola imposta da sua madre. Forse la mamma l’aveva lasciata aperta apposta per lei? Non
l’aveva mai fatto prima, perché iniziare ora? Avvicinandosi ancora, la sensazione strana che aveva preso
possesso del suo animo aumentò ulteriormente.

“Sette anni, avete detto?”

“Si, si eccellenza, sette anni fa la mia compagnia fu congedata e ognuno tornò alle rispettive occupazioni”.
Era la voce di papà, sembrava...preoccupato. Il primo ad avere parlato, invece, era un individuo che non
aveva mai udito.

“Mio marito è un eroe!” La voce di mamma si unì alla discussione “Ha combattuto per la patria insieme a
tanti altri uomini di Nosper, con la differenza che lui è tornato da quel massacro. Solo gli dèi sanno le
mostruosità che ha visto in quell'inferno, non è vero, caro?”

“Gli dèi...” disse lo sconosciuto con un sussurro. Annie decise di osservare più da vicino: non prese la porta,
ma scivolò di lato abbandonando il secchio sul vialetto. Raggiunse la finestra che dava sul soggiorno, si
sporse e sbirciò

Davanti all'uscio, di profilo, si parava un’alta figura: doveva essere più bassa di suo papà, ma era comunque
un po’ più alta della mamma. Aveva i capelli candidi come la neve portati corti, e sotto di essi un mantello
completamente bianco anch’esso, fatta eccezione per un disegno sulla schiena. Anche se era nascosto dalle
pieghe della stoffa, ad Annie sembrò un corvo stilizzato. Sotto il mantello, quelli che sembravano dei pezzi di
ferro nero ricoprivano il corpo dello sconosciuto, una imponente armatura come quella dei cavalieri, ma
nessun cavallo era legato fuori casa. Era proprio grosso: persino più del suo papà, che era l’uomo più forte
che conoscesse. I suoi genitori erano davanti a questa persona, ma non potevano vederla perché il loro
sguardo era concentrato sull'ospite, che sembrava esaminarli, giudicarli dal fondo dei suoi occhi azzurri e...
vuoti. Del tutto inespressivi.

“Mia signora gli dèi hanno abbandonato queste terre” Riprese il ragazzo (Non poteva essere più vecchio di
vent'anni): “Ritengo che anche in questo piccolo agglomerato umano sperso nelle colline sia giunta la
notizia, dico bene?” La totale mancanza di emozioni nel suo parlare lasciò Annie inquietata.”

“Non avevamo idea, noi...noi pensavamo che il mondo fosse in pace ora, che gli equilibri si fossero
ristabiliti!” La voce spezzata di suo padre riportò l'attenzione della bambina nella sua direzione. Ora si era
seduto e la mamma stava dietro di lui, le mani poggiate sulle sue spalle.

“Le cose non sono mai state così semplici, vedete: I re maghi di Beal Turath hanno ritenuto opportuno, per
vincere una guerra persa in partenza, di ricorrere alla magia occulta per creare ponti con un'altra realtà, per
trascinare in questo modo nuove e spaventose potenze, potenze che coi coi sono venuti in contatto, con cui
si sono mischiati...e che hanno trovato negli uomini terreno fertile per conservare la loro diabolica
impronta!” Si avvicinò al padre di Annie, era enorme in quell'armatura, enorme e spaventoso
“E voi questo lo sapete bene, dico bene Albret di Nosper, prima compagnia terzo battaglione settimo
manipolo? Voi militaste sotto il generale Kascar lo Spietato nell'esercito di Turath. Foste lì, quando il vostro
esercito fu sconfitto nelle Terre Morte, circondato nei ranghi del vostro plotone, da sudici ibridi di natura
diabolica, Ho ragione?”

“Non ho mai condiviso nulla con quelle creature!” Urlò suo padre. Non lo aveva mai sentito alare la voce.
Quel ragazzo doveva proprio essere in un mare di guai.

“Lasci che sia io a trarre questo genere di conclusioni, mastro Albret” Il tono del ragazzo non era per nulla
mutato, ne si era adattato a quello di suo padre per tenergli testa “Dopotutto Il Sacro Ordine del Corvo non
mi avrebbe mandato fino a qui, in questo remoto angolo di mondo, così lontano dai domini della chiesa, per
stare a sentire le chiacchiere di un sempliciotto che tenta disperatamente di preservare la sua vita”.

L'uomo non rispose, si limitò a calare il capo in un'ira sommessa. Le braccia le tremavano. Annie doveva fare
qualcosa, qualsiasi cosa.

“Quindi...che ne sarà di lui?” chiese la mamma. Aveva il volto in lacrime, come accadeva quando papà non
c'era, come quando c'era la guerra.

Dopo una pausa, il ragazzo riprese: “So di per certo che durante la guerra, suo marito fu utilizzato insieme
ad altri soldati, per un rito avvenuto alla vigilia dell'ultimo scontro, un rito voluto dal generale Kascar in
persona. Veniva richiesto il sangue di ogni membro della squadra per richiamare quelle creature sul suolo di
questo mondo, e ogni membro della squadra ha acconsentito”

“Non avevamo scelta!”

“Questo è irrilevante. Quello che conta, Mastro Albret, è che lei ha donato una parte di se alle potenze
infernali, e loro hanno risposto alla chiamata. Quelle creature hanno toccato la sua esistenza...beh la vostra
a dire il vero, sono esseri tentatori ed ostili, gli basta un sacrificio e poche parole per imprimere la propria
impronta su di un individuo. Le è stato chiesto di recitare una formula dopo essersi tagliato il polso?”

Albret fece nervosamente scendere la manica a coprire il braccio fino alla mano.
“Sono senza colpa le dico! Quell'inferno è ormai lontano! La prego non mi costringa a rivivere quei
momenti!”

“Mi creda, la mia intenzione è lungi riportarla a quei momenti. Vede contrariamente a quello che si pensa
noi preti del corvo non godiamo del dolore altrui, ne dispensiamo la morte gratuitamente: ci muoviamo
esclusivamente quando ci viene richiesto, quando il delicato equilibrio di vita e morte che governa il mondo
viene turbato. E lei ha turbato tale equilibrio, mastro Albret, consegnando la sua anima a quegli abomini!”

“Ma non avevo scelta!”

“Lo stesso vale per me”. Il ragazzo portò avanti una mano verso Suo padre; ciò che vide Annie in quel
terribile momento la scosse profondamente, la paura si trasformò in terrore, ed emise un urlo agghiacciante
quando la stanza che stava osservando si oscurò, gradualmente ed inesorabilmente. Le pareti divennero
fredde, come la corteccia degli alberi la mattina presto, i vetri congelarono e si creparono in più punti,
finanche il terreno brinò. Dentro la casa ogni pezzo di mobilio sembrava ricoperto di uno strato di brina che
lo rendeva pallido ed indistinto, come il ricordo di qualcosa di reale.

“Perdonatemi del disturbo arrecato. E fate buon viaggio. Che la Dea possa giudicarvi in maniera equanime.”

Fu in quel momento che Annie si avvicinò alla porta, per vedere le enormi spalle dell'armatura nera di
quell'uomo frapporsi tra lei e i suoi genitori. Il mantello bianco come la neve copriva quasi completamente
la visuale, all'altezza delle caviglie vide l'estremità del fodero di una spada.
“Fermo! Che stai facendo? Mostro!”

L'urlo di Annie riportò alla realtà l'individuo nell'armatura, sembrava quasi che avesse sobbalzato. Poi
avvertì un tonfo, e vide il corpo di suo padre afflosciarsi a terra. Aveva lo sguardo di chi dorme, ma la posa
era scomposta e non stava respirando. Sentì anche l’urlo di sua madre, che vibrava del freddo pungente che
si respirava nella stanza, prima che le tenebre aumentassero, ed inghiottissero ogni cosa oltre il corpo del
ragazzo.

“Scappa, Annie!”
Era di nuovo la voce di sua madre. Nemmeno si accorse di aver lasciato cadere il secchio, spargendo sul
cortile davanti casa l’acqua con tanta fatica raccolta. Si rese conto di stare fuggendo, allontanandosi da casa.
Era avvenuto più o meno quando lo sconosciuto si era voltato verso di lei. Era un bel volto, Con la pelle
chiara e gli occhi verdi. Era come un eroe di quelli delle favole. Era giovane, e bello. Non poteva avere più di
diciotto anni. E aveva ucciso suo padre.
Lo aveva ucciso a sangue freddo.

***

“Devo disturbarvi solo un’ultima volta, con un ultimo quesito” disse il ragazzo ritraendo le tenebre dalle
pareti della stanza, lo sguardo rivolto verso l'unica altra persona nella casa: “voi due vivete soli?”
“Sì, siamo solo noi due. Sa, ci siamo sposati da poco, e…”
“Capisco...”
La donna sentì il suono di qualcosa che veniva estratto, poi uno netto, vibrante, pulito. Infine un tonfo,
mentre il suo sguardo si annebbiava.

Annie correva all'impazzata, chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritare tutto questo. Quell'uomo in
quell'assurda armatura era piombato nella sua vita e aveva ucciso suo padre. Perchè? Perchè? Perchè?
Giunse ai limiti del villaggio, decise di non seguire la strada: avrebbe potuto imbattersi in altri uomini cattivi.
Decise che avrebbe corso, e corso e corso fino a farsi male; quando la distanza sarebbe stata sufficiente di
sarebbe fermata a riposare, si sarebbe addormentata e svegliata nel suo letto, realizzando che si trattava
solamente di un brutto sogno. Doveva essere così!
Ma un'ombra era su di lei.
Giunta al limitare di una sparuta cerchia d'alberi Avvertì un vento levarsi da sopra di lei, provocato dal suono
di un battito d'ali. I suoi piedi inchiodarono e volse la testa: il sole era alto nel cielo, ed una macchia nera in
controluce ne adombrava i raggi. Poi la macchia calò, rivelandosi per ciò che era: La ragazza era senza
parole, dal cielo stava calando un magnifico animale, il corpo di cavallo dal crine nero come la notte aveva
due possenti ali d'aquila sui fianchi, nere anch'esse. Lo cavalcava il misterioso figuro dai capelli color della
neve, nelle sue mani un lungo ferro acuminato.

“Mi hai chiamato mostro, perché?” Disse il ragazzo scendendo dal destriero. Ora che aveva la sua intera
figura davanti, si rese conto dell'assurda grandezza di quell'armatura: avrebbe tranquillamente potuto
ballarci dentro quell'ammasso di ferro.
“...Erano i tuoi genitori, non è così?” Le domande del giovane non trovavano risposta, annie era paralizzata,
ammutolita, completamente vinta.
“Capisco. Questo vuol dire che la traccia è presente anche in te, così come in tua madre. Credimi non lo
faccio con gioia, ma devo consegnare anche te alla dea”.

“No...” Provò a mormorare la bambina, ma il ragazzo aveva oramai alzato il brando sopra la testa.

“Che la dea possa facilitarti il trapasso!”

L'oggetto calò.

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