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Capitolo 3

Il metodo di
Hamilton-Jacobi

3.1 Richiami di meccanica hamiltoniana


In questo capitolo ci addentriamo nello studio dei sistemi hamiltoniani ad n gradi
di libertà descritti dalle coordinate {q1 , ...qn } e dai momenti canonicamente
coniugati {p1 , ...pn }. L’evoluzione è retta dalle equazioni di Hamilton
(
∂H
ṗn = − ∂q
∂H
n
(3.1)
q̇n = ∂pn

dove H = H(p1 , ..., pn , q1 , ....qn , t) è l’hamiltoniana che è legata alla lagrangiana


da una trasformazione di Legendre. È spesso utile scrivere le equazioni di Ha-
milton in una forma più compatta introducendo un vettore x a 2n componenti,
x = (p1 , ...pn , q1 , ...qn ) e la matrice quadrata J 2n×2n che ammette la struttura
a blocchi  
0 −I
J :=
I 0
in cui 0 ed I sono la matrice nulla e l’identità n × n, rispettivamente. In termini
di J possiamo riscrivere le equazioni di moto come
ẋ = J∇x H , (3.2)
dove ∇x = { ∂p∂ 1 , ..., ∂p∂n , ∂q∂ 1 , ..., ∂q∂n }
è il gradiente rispetto ai momenti ed alle
coordinate (p1 , ...pn , q1 , ...qn ). L’asimmetria presente nelle equazioni di Hamil-
ton tra coordinate e momenti può essere risolta introducendo le parentesi di
Poisson di cui richiamiamo la definizione
Definizione 3.1 Date due funzioni f (p1 , ...pn , q1 , ..., qn , t) e g(p1 , ...pn , q1 , ..., qn , t),
la loro parentesi di Poisson [f, g] è definita da
∂f ∂g ∂g ∂f
[f, g] := − = ∇x f · J∇x g . (3.3)
∂qi ∂pi ∂qi ∂pi

25
26 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

Grazie alle parentesi di Poisson, possiamo porre le equazioni di Hamilton


nella forma 
ṗi = [pi , H]
(3.4)
q̇i = [qi , H] .
Ricordiamo che la derivata temporale di una funzione f (p1 , ...pn , q1 , ..., qn , t)
calcolata sulle traiettorie di (3.4) si esprime come

df ∂f
= + [f, H] . (3.5)
dt ∂t
In particolare, f è un integrale primo di (3.4) se verifica

∂f
+ [f, H] = 0
∂t
o, limitando l’attenzione a funzioni che non dipendono esplicitamente dal tempo,

[f, H] = 0 .

Una delle tecniche più potenti messa a punto per l’integrazione delle equa-
zioni di Hamilton è il metodo di Hamilton-Jacobi che richiamiamo brevemente,
facendo riferimento al corso di Meccanica Analitica per la deduzione comple-
ta. Il metodo consiste nella ricerca di una trasformazione canonica che, oltre a
conservare la struttura hamiltoniana delle equazioni, trasformi le (3.1) in altre
equazioni corrispondenti ad una hamiltoniana identicamente nulla. In questo
modo, se αi e βi rappresentano, rispettivamente, i nuovi momenti e le nuove
coordinate, le equazioni di moto diventano

α̇i = 0
(3.6)
β̇i = 0 .

Osserviamo che quando questo programma si può portare a termine le 2n-


quantità conservate sono automaticamente indipendenti tra di loro. Inoltre,
trattandosi di coordinate e momenti canonicamente coniugati ottenuti dalle qi
e dalle pi con una trasformazione canonica, valgono le identità

[αi , αj ] = 0 [βi , βj ] = 0 [αi , βj ] = δij :

In particolare, possiamo isolare due gruppi di n integrali primi che hanno


parentesi di Poisson nulle.

Definizione 3.2 Due integrali primi di (3.1) funzionalmente indipendenti f e


g sono detti in involuzione se
[f, g] = 0 . (3.7)

Come vedremo in seguito, la conoscenza di un numero sufficientemente ele-


vato di integrali primi in involuzione permette di integrare completamente le
equazioni (3.1).
3.1. RICHIAMI DI MECCANICA HAMILTONIANA 27

Ora, la trasformazione canonica che consente di scrivere le equazioni nel-


la forma (3.6) è l’incognita del problema ed appare conveniente individuarla
tramite una sola funzione, detta funzione generatrice, che dipende da alcune
variabili “vecchie” e da alcune variabili “nuove”. Precisamente, consideriamo
una trasformazione
p = p(P, Q, t) q = q(P, Q, t) (3.8)
insieme alla sua inversa

P = P (p, q, t) Q = Q(p, q, t)

e supponiamo che  
∂qi
det 6= 0 : (3.9)
∂Qj
una trasformazione che goda di questa proprietà è detta libera. Grazie a questa
condizione, possiamo risolvere la (3.8)2 in termini delle Q ottenendo

Q = Q(P, q, t) e p = p(P, q, t) := p(P, Q(P, q, t), t) .

Questa trasformazione è canonica a patto che esista una funzione S(P, q, t) tale
che (
∂S
pj = ∂q j
∂S (3.10)
Qj = ∂P j
:
la nuova hamiltoniana K è poi data da
∂S ∂S
K(P, q, t) := H( , q, t) + .
∂q ∂t

Se deriviamo l’equazione (3.10)2 rispetto a qi otteniamo

∂Qj ∂2S
=
∂qi ∂qi ∂Pj

e poiché il membro di sinistra è lo jacobiano della trasformazione inversa della


∂qi
∂Qj , la condizione (3.9) si riformula in termini della funzione generatrice S nella
forma  2 
∂ S
det 6= 0 (3.11)
∂qi ∂Pj
Per portare a termine il passaggio da una hamiltoniana ad un’altra hamil-
toniana nulla grazie a trasformazioni canoniche è utile considerare una funzione
generatrice del tipo appena introdotto S(q1 , ...qn , α1 , ...αn , t), dove le αi sono
costanti indipendenti che giocano il ruolo di momenti coniugati. Per quanto
appena visto la funzione S soddisfa l’equazione differenziale a derivate parziali
del primo ordine
 
∂S ∂S ∂S
H , ..., , q1 , ...qn , t + =0 (3.12)
∂q1 ∂qn ∂t
28 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

detta equazione di Hamilton-Jacobi. Dalla discussione precedente segue che


 ∂S
 pi = ∂qi
(3.13)
∂S
βi = ∂α

i

da cui si vede come, determinata la funzione S, trovare le nuove coordinate βi


richiede una quadratura. Dunque, il problema dell’integrazione del sistema (3.1)
si è spostato all’integrazione di una equazione che però è alle derivate parziali.
La condizione (3.10) si riformula con un leggero cambio di notazioni come
 2 
∂ S
det 6= 0 . (3.14)
∂qi ∂αj

Osserviamo ancora che, poiché S figura nell’equazione (3.12) solo tramite le sue
derivate parziali, se S risolve (3.12), anche S + α0 , dove α0 è una costante ar-
bitraria, risolve (3.12). Si chiama integrale completo dell’equazione (3.12) una
sua soluzione che dipende da n costanti arbitrarie α1 , ..., αn indipendenti e tale
da soddisfare la (3.14). La teoria delle trasformazioni canoniche permette di
risalire all’integrale generale delle equazioni di Hamilton (3.1) a partire dalla
conoscenza di un integrale completo dell’equazione (3.12). Nel seguito espor-
remo i lineamenti della tecnica più elementare di risoluzione dell’equazione di
Hamilton-Jacobi, quella di separazione delle variabili.
Iniziamo a supporre che la Hamiltoniana H non dipenda esplicitamente dal
tempo. Appare naturale scrivere la funzione S nella forma

S(q1 , ...qn , α1 , ...αn , t) = W (q1 , ...qn , α1 , ...αn ) − Et ,

dove E è una costante e riscrivere l’equazione di Hamilton-Jacobi (3.12) nella


forma  
∂W ∂W
H , ..., , q1 , ...qn = E (3.15)
∂q1 ∂qn
che mostra il significato fisico della costante E: rappresenta il valore costante
della Hamiltoniana. Osserviamo che, quando la riduzione (3.15) è possibile, la
condizione (3.14) diventa
 2 
∂ W
det 6= 0 . (3.16)
∂qi ∂αj

Osservazione. Per come abbiamo impostato il problema, W appare come parte


della funzione S che genera una particolare trasformazione canonica. La fun-
zione W —detta funzione caratteristica di Hamilton— è a sua volta funzione
generatrice di un’altra trasformazione canonica con proprietà notevoli. Dato un
sistema conservativo (∂H/∂t = 0) ci chiediamo quali siano le proprietà che de-
ve avere una funzione W (α, q) che generi una trasformazione canonica in cui la
nuova hamiltoniana sia funzione E(α1 , ..., αn ) solo dei nuovi momenti αi mentre
3.1. RICHIAMI DI MECCANICA HAMILTONIANA 29

le nuove coordinate γi sono tutte cicliche. Nel nuovo sistema di coordinate le


equazioni di Hamilton assumono la forma
 ∂E
 α̇i = − ∂βi = 0
(3.17)
∂E
γ̇i = ∂α

i

che mostrano come i nuovi momenti siano costanti mentre le coordinate βi sono
funzioni affini del tempo per cui il problema è portato alle quadrature. La
funzione generatrice W deve soddisfare la condizione (3.16) e le
 ∂W
 pi = ∂qi
(3.18)
γi = ∂W .

∂αi

Inoltre la nuova Hamiltoniana E è nient’altro che la vecchia hamiltoniana nelle


nuove coordinate, perché ∂H/∂t = 0. Dunque
 
∂W
E(α, q) = E(α) = H ,q
∂q
per cui la funzione generatrice è un integrale completo di (3.15). Possiamo
concludere che la funzione caratteristica di Hamilton genera una trasformazione
canonica in cui tutte le nuove coordinate sono cicliche.

Ritorniamo alla discussione dell’equazione (3.15). Sono possibili due formu-


lazioni. In quella di Poincaré l’energia viene assunta come dipendente dalle n
costanti arbitrarie α1 , ..., αn per cui

E = E(α1 , ...., αn ) .

Se allora poniamo
∂E
ωj :=
∂αj
allora l’equazione (3.13)2 diventa
∂W
Qj = = ωj t + βj :
∂αj
le nuove coordinate sono funzioni affini del tempo. In questo approccio le n
costanti arbitrarie αi sono trattate in modo equivalente.
Nella formulazione di Jacobi questa equivalenza è perduta perché si assume
α1 := E. Come conseguenza, le equazioni di moto nelle nuove variabili hanno
la forma
∂E
ξ˙1 = =1
∂α1
e
∂E
ξ˙i = =0 i 6= 1
∂αi
30 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

pertanto
ξ1 (t) = t − t0
mentre tutte le ξi rimanenti sono costanti. Inoltre, se invertiamo le equazioni
∂W
ξi = i = 2, ..., n
∂αi
rispetto alle vecchie coordinate qi vediamo che queste ultime sono parametriz-
zate da quantità costanti mentre il tempo non figura che nell’equazione
∂W
t − t0 = ξ1 =
∂α1
per questo, il metodo di Jacobi è indicato quando si voglia ottenere la traietto-
ria del sistema piuttosto che la legge oraria. Nella formulazione di Jacobi, sotto
ipotesi poco restrittive, si può effettuare il controllo della condizione (3.16) su
una matrice ridotta di dimensione (n − 1) × (n − 1). L’ipotesi da fare è che esista
almeno un momento, ad esempio p1 , che figuri esplicitamente nella Hamiltonia-
na. Osserviamo che se nessuno dei momenti figura in H allora dalle (3.1) segue
q̇i = 0 per cui le coordinate sarebbero costanti ed i rispettivi momenti verifiche-
rebbero ṗi = costante per cui il moto è già noto senza bisogno di applicare la
tecnica di Hamilton-Jacobi. Sotto l’ipotesi
∂H
6= 0
∂p1
e, ferma restando la scelta α1 ≡ E, detta H 0 la matrice (n − 1) × (n − 1) con
elementi  2 
0 ∂ W
(H )ij := i, j = 2, ..., n ,
∂qi ∂αj
possiamo riscrivere la condizione (3.16) come
 ∂H ∂ 2 W ∂H ∂ 2 W ∂H ∂ 2 W

∂p1 ∂q1 ∂E ∂p1 ∂q1 α2 ... ∂p1 ∂q1 ∂E
∂2W
 2 
∂ W 1  
det = ∂H det  ∂q2 ∂E .
 
∂qi ∂αj 0
∂p1
 ... Hij 
∂2W
∂qn ∂E

Poiché il determinante non cambia aggiungendo ad una riga multipli di altre


righe, aggiungiamo alla prima riga la seconda moltiplicata per ∂H/∂p2 , la ter-
za moltiplicata per ∂H/∂p3 e via dicendo fino all’ultima riga moltiplicata per
∂H/∂pn . L’elemento 11 della matrice cosı̀ modificata è
∂H ∂ 2 W ∂H ∂ph
=
∂ph ∂qh ∂E ∂ph ∂E
dove l’indice sommato h assume i valori da1 ad n. L’elemento 1j (j = 2, ..., n)
della matrice modificata è
∂H ∂ 2 W ∂H ∂ph
= .
∂ph ∂qh αj ∂ph ∂αj
3.2. METODO DI SEPARAZIONE DELLE VARIABILI 31

Se ora deriviamo l’identità


∂W
H( , ...∂W ∂qn , q1 , ..., qn ) = E,
∂q1

rispetto ad αj otteniamo
∂H ∂ 2 W
= δ1j
∂ph ∂qh αj
per cui tutti i termini della prima riga modificata si annullano a parte il pri-
mo che è uguale ad 1. Pertanto, anziché verificare (3.16) possiamo ridurci a
verificare che  2 
∂ W
det 6= 0 h, j = 2, ..., n . (3.19)
∂qh αj

3.2 Metodo di separazione delle variabili


Traendo lo spunto dal metodo seguito nei sistemi conservativi per passare dalla
funzione principale di Hamilton S nella (3.12) alla funzione caratteristica nella
W , il metodo di separazione delle variabili ricerca le condizioni sulla struttura
della Hamiltoniana che consentano di proseguire nell’eliminazione successiva
delle variabili, riducendo ad ogni passo la complessità dell’equazione da risolvere.
Nella sua espressione più semplice, il metodo consiste nella ricerca di soluzioni
di (3.15) nella forma additiva

W = W1 (q1 ) + W2 (q2 ) + .... + Wn (qn )

dove l’i-esimo termine dipende solo dalla coordinata qi ed abbiamo omesso per
brevità la dipendenza dagli argomenti costanti αi . È chiaro che, senza ipotesi
sulla struttura di H, il metodo non porta ad alcun risultato. Nel seguito mostria-
mo un caso significativo in cui il metodo funziona per poi enunciare il teorema
di Stäckel che fornisce condizioni necessarie e sufficienti per l’applicabilità del
metodo di separazione delle variabili, sotto opportune ipotesi sulla natura di
H. Infine, alla luce del teorema di Stäckel, studieremo il problema dell’attra-
zione di un punto materiale da parte di due centri di forza fissi, integrandolo e
determinando le principali proprietà qualitative del moto.

3.2.1 Orbite in potenziali a simmetria sferica


Consideriamo un punto materiale P di massa m libero di muoversi nello spazio
tridimensionale sotto l’azione di forze conservative di energia potenziale per
unità di massa V = V (r) dove r è la distanza di P da un punto fisso O. Dette
(x, y, z) ed (r, ϑ, ϕ) le coordinate cartesiane e polari sferiche di P , l’energia
cinetica per unità di massa si scrive nella forma
1 2
T = (ẋ + ẏ 2 + ż 2 )
2
32 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI
p
e la funzione V sarà una funzione V = V ( x2 + y 2 + z 2 ). Appare conveniente
effettuare una trasformazione da coordinate cartesiane a coordinate polari che,
essendo una trasformazione di punto, è canonica e dunque mantiene la struttura
hamiltoniana delle equazioni di moto. La posizione di P rispetto ad O è data
dal vettore
P − O = r(t)er (t)
dove er è il versore lungo la direzione di P − O. Derivando rispetto al tempo si
ha
v = ṙer + rėr
Per determinare ėr ricordiamo l’espressione di er nella base canonica {ex , ey , ez }

er = sin ϑ(cos ϕex + sin ϕey ) + cos ϑez

da cui si ottiene

ėr = ϑ̇[cos ϑ(cos ϕex + sin ϕey ) − sin ϑez ] + ϕ̇ sin ϑ(− sin ϕex + cos ϕey ) .

Poiché er è un versore, esso risulta ortogonale a ėr e dunque

v 2 = v · v = ṙ2 + r2 ėr · ėr = ṙ2 + r2 (ϑ̇2 + ϕ̇2 sin2 ϑ)

da cui deduciamo la lagrangiana


1 2
L= [ṙ + r2 (ϑ̇2 + ϕ̇2 sin2 ϑ) − V (r)]
2
e, facendo intervenire i momenti canonicamente coniugati,
∂L ∂L ∂L
pr = = ṙ pϑ = = r2 ϑ̇ pϕ = = r2 ϕ̇ sin2 ϑ,
∂ ṙ ∂ ϑ̇ ∂ ϕ̇
la Hamiltoniana
 
1 1 1
H= p2r + 2 p2ϑ + 2 2 p2ϕ + V (r) .
2 r r sin ϑ
La corrispondente equazione di Hamilton-Jacobi ridotta (3.15), tenuto conto
che H non dipende esplicitamente dal tempo, si scrive nella forma
 2  2  2
∂W 1 ∂W 1 ∂W
+ 2 + 2 2 + 2[V (r) − E] = 0 (3.20)
∂r r ∂ϑ r sin ϑ ∂ϕ
e consideriamo come soluzione di tentativo

W (r, ϑ, ϕ) = Wr (r) + Wϑ (ϑ) + Wϕ (ϕ) .

La (3.20) diventa
 2  2  2
dWr dWϑ dWϕ
r2 sin2 ϑ + sin2 ϑ + 2r2 sin2 ϑ[V (r) − E] = − :
dr dϑ dϕ
3.3. IL TEOREMA DI STÄCKEL 33

ora, il membro di destra di questa equazione dipende solo da ϕ mentre quello di


sinistra è indipendente da ϕ: l’unica possibilità è che ambo i membri abbiano
2
valore costante −αϕ . In questo modo abbiamo
dWϕ
= αϕ = pϕ

che è integrabile e permette di riconoscere il momento pϕ come costante del
moto. Inoltre
2 2 2
αϕ
 
dWr dWϑ
r2 + 2r2 [V (r) − E] = − 2 −
dr sin ϑ dϑ
e ripetendo lo stesso ragionamento di prima, concludiamo che ambo i membri
debbono avere valore costante −αϑ2 cosicché
2 2
αϕ p2ϕ

dWϑ 2
+ = p ϑ + = αϑ2 (3.21)
dϑ sin2 ϑ sin2 ϑ
e 2
α2

dWr
+ [V (r) − E] + 2ϑ = 0
dr r
per cui il problema è stato portato alle quadrature.
Il significato fisico di pϕ si manifesta calcolando il momento della quantità
di moto per unità di massa L del punto P rispetto al polo O:
L = rer ∧ v = r2 er ∧ ėr
in particolare Lz = L · ez = r2 ez ∧ er · ėr = r2 ϕ̇ sin2 ϑ = pϕ = αϕ . Inoltre
s
p2ϕ
q
2 2
|L| = r ϑ̇2 + sin ϑϕ̇2 = p2ϑ +
sin2 ϑ
che, per confronto con (3.21) mostra che αϑ = |L|. Al di fuori del caso degenere
in cui |L| = 0 possiamo concludere che il moto si svolge nel piano ortogonale
ad L, come è noto dalla teoria elementare dei moti centrali. Infine, il piano di
L
moto forma con l’equatore ϑ = π/2 un angolo i = |L| · ez = arccos(αϕ /αϑ ).
La retta intersezione tra il piano di moto e l’equatore è la linea dei nodi. I tre
integrali primi H, Lz ed |L| sono in involuzione tra loro. Dunque, per portare a
quadrature il sistema di 2n equazioni differenziali del primo ordine (3.1) è stato
sufficiente determinare n integrali primi in involuzione, anziché 2n. Si tratta
di una proprietà generale che mostreremo in seguito trattando il teorema di
Liouville.

3.3 Il teorema di Stäckel


Il teorema di Stäckel, pubblicato attorno al 1890, fornisce per una classe parti-
colare di Hamiltoniane una condizione necessaria e sufficiente per l’applicabilità
del metodo di separazione delle variabili.
34 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

Teorema 3.1 (Stäckel) Sia dato un sistema hamiltoniano conservativo (∂H/∂t =


0) descritto dalle coordinate {p1 , ...pn , q1 , ....qn } e si supponga che:
• l’energia cinetica disia esprimibile nella forma
n
1 X q̇h2
T =
2 ψh
h=1

dove le funzioni regolari ψh > 0 dipendono solo dalle coordinate {q1 , ....qn };
• l’energia potenziale sia esprimibile come
n
X
V = ψh Vh (qh )
h=1

dove le ψh sono le stesse funzioni che figurano in T , mentre ciascuna


funzione Vh dipende solo dalla coordinata qh ;
• esista un momento p1 tale che ∂H/∂p1 6= 0.
Condizione necessaria e sufficiente affinché l’equazione di Hamilton-Jacobi (3.12)
ammetta un integrale completo ottenibile per separazione di variabili è che esi-
stano n2 funzioni regolari ϕjh (qh ), j, h = 1, ..., n tali che
1. ∀j = 1, ..., n fissato, le funzioni ϕjh dipendono solo da qh ;
2. det(D) := det(ϕjh ) 6= 0;
3. vale la relazione
n
X
ϕjh ψh = δ1j . (3.22)
h=1

Osservazione La condizione (3.22) significa che le funzioni ψh formano gli ele-


menti della prima colonna della matrice inversa di D, certamente definita per
l’ipotesi 2.
Dim. Poiché la Hamiltoniana è indipendente dal tempo possiamo partire dal-
la forma ridotta delle equazioni di Hamilton-Jacobi (3.15) che in questo caso
diventa !
n  2
X 1 ∂W
ψh + Vh = E , (3.23)
2 ∂qh
h=1

dove E è il valore costante della Hamiltoniana ed abbiamo osservato che,


∂W ∂L q̇h
= ph = = ∀h = 1, ..., n.
∂qh ∂ q̇h ψh
Poniamo
n
X
W = Wh (qh )
h=1
3.3. IL TEOREMA DI STÄCKEL 35

dove ciascuna delle funzioni Wh dipende da una sola coordinata qh oltre, benin-
teso, da n costanti indipendenti αi . Prese allora n − 1 costanti arbitrarie αj ,
scelte le funzioni Wh come soluzioni non nulle delle equazioni differenziali
n
1 X
(Wh0 )2 = (αj ϕjh ) + Eϕ1h − Vh (qh ) , (3.24)
2 j=2

l’equazione (3.23) si riduce a


n
X n
X
ψh [ (αj ϕjh ) + Eϕ1h ] = E
h=1 j=2

che è identicamente soddisfatta perché in virtù della (3.22)


n
X n
X n
X
αj ψh ϕjh = αj δ1j = 0 .
j=2 h=1 j=2

Resta da mostrare che la funzione W cosı̀ costruita è un integrale completo


di (3.15). Poiché abbiamo seguito l’approccio di Jacobi scegliendo α1 = E e
abbiamo ipotizzato che ∂H/∂p1 6= 0, la verifica che W è completo si riduce a
verificare
∂Wh0
 2   
∂ W
det = det 6= 0 , h, j = 2, ..., n
∂qh ∂αj ∂αj
lavorando su una matrice (n − 1) × (n − 1). Osserviamo allora che derivando
l’equazione (3.24) rispetto ad αj (j = 2, ..., n) si ha
∂Wh0
 
Wh0 = ϕjh h, j = 2, ..., n
∂αj
e poiché, a patto di restringere il loro dominio di definizione le funzioni Wh0 si
possono assumere non nulle, si può scrivere la condizione (3.19) come
 1 1
... W1 0 ϕ2n

W20 ϕ22 W30 ϕ23 n
 1 ϕ 1 1
 0 32 W30 ϕ33 ... Wn0 ϕ3n 
 0 
∂W
det ∂αjh = det  W2 =
 .... .... .... .... 
1 1 1
W 0 ϕ n2 W 0 ϕ n3 ... W 0 ϕ nn
2 3 n

 
ϕ22 ϕ23 ... ϕ2n
 ϕ32 ϕ33 ... ϕ3n 
= 1
W20 W30 ....Wn0 det 
 = 1
W20 W30 ....Wn0 det(D0 )
.... .... .... .... 
ϕn2 ϕn3 ... ϕnn
dove D0 si ottiene da D sopprimendone la prima riga e la prima colonna di. Poi-
ché D è invertibile e sappiamo per l’ipotesi 3 che ψ1 è l’elemento B11 dell’inversa
B di D, possiamo concludere che
1
ψ1 = det D0
det D
36 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

e pertanto
∂Wh0
 
ψ1 det(D)
det = 6= 0
∂αj W20 W30 ....Wn0
che conclude la dimostrazione della sufficienza delle condizioni 1-3). Per dimo-
strare che le condizioni (1 − 3) sono necessarie per la separabilità delle equazioni
di Hamilton-Jacobi in un sistema con Hamiltoniana dalla struttura indicata
sopra, supponiamo che
n
X
W (q1 , ..., qn , α1 , ..., αn ) = Wh (qh , α1 , ..., αn )
h=1

sia un integrale completo dell’equazione di Hamilton-Jacobi ridotta (3.15) per


cui
n
1X
ψh [Wh0 (qh )]2 + V = E = α1 .
2
h=1
Se deriviamo rispetto ad αj otteniamo
n
X ∂2W
Wh0 ψh = δ1j
∂qh ∂αj
h=1

e le n2 funzioni
∂ 2 W ∂W ∂Wh0
ϕjh := = Wh0 ,
∂qh ∂αj ∂qh ∂αj
senza sottintendere alcuna sommatoria su h, verificano certamente le ipotesi 1
e 3 del teorema di Stäckel. D’altra parte, poiché W è un integrale completo di
(3.15) e supponiamo di restringerci a domini in cui Wh0 6= 0 si ha anche
 2  Y n
∂ W
det(ϕjh ) = det · Wh0 6= 0 :
∂qh ∂αj
h=1

dunque vale anche la proprietà 2 e questo chiude la dimostrazione del teorema.

Esempio Il moto di un punto in un campo centrale esaminato nella sezione 3.2.1


rientra nella classe coperta dal teorema di Stäckel in quanto
1 1
ψ1 = 1, ψ2 = , ψ3 = V1 (r) = V (r) V2 (ϑ) = 0 V3 (ϕ) = 0 .
r2 r2 sin2 ϑ
Occorre allora determinare la matrice D i cui elementi ϕjh debbono soddisfare
il sistema lineare
X3
ϕjh ψh = δ1j :
h=1
quando j = 1 abbiamo

ϕ11 (r)ψ1 + ϕ12 (ϑ)ψ2 + ϕ13 (ϕ)ψ3 = 1


3.4. ATTRAZIONE DA DUE CENTRI FISSI 37

che è soddisfatta prendendo ϕ11 = 1 e ϕ12 = 0, ϕ13 = 0. Quando j = 2 abbiamo


l’equazione
ϕ21 (r)ψ1 + ϕ22 (ϑ)ψ2 + ϕ23 (ϕ)ψ3 = 0
1
che è risolta da ϕ21 = 0, ϕ22 (ϑ) = sin2 ϑ
e ϕ23 (ϕ) = −1. Infine, posto j = 1
dobbiamo risolvere

ϕ31 (r)ψ1 + ϕ32 (ϑ)ψ2 + ϕ33 (ϕ)ψ3 = 0


1
in modo che la matrice D sia invertibile: è sufficiente scegliere ϕ31 = r2 , ϕ32 =
−1 e ϕ33 = 0.

3.4 Attrazione da due centri fissi


Intendiamo applicare il teorema di Stäckel allo studio del moto di un punto
materiale P di massa m soggetto all’azione di due centri fissi di attrazione
newtoniana. Supporremo il moto del punto P vincolato a svolgersi in un piano
(x, y) contenente i centri di forza collocati nel punti di coordinate (±c, 0) dove c
è una costante positiva. Se m1 ed m2 > m1 sono le masse dei corpi collocati in
(c, 0) e (−c, 0), rispettivamente, allora l’energia potenziale per unità di massa è
data da  
m1 m2
V (x, y) = −G +
r1 (x, y) r2 (x, y)
dove p p
r1 (x, y) = (x − c)2 + y 2 r2 (x, y) = (x + c)2 + y 2
sono le distanze di P ≡ (x, y) dai centri di attrazione.
È conveniente riformulare il problema in termini delle coordinate ellittiche
(ψ, η) con ψ ∈ [0, 2π) e η ∈ [0, +∞) tali che

x = c cos ψ cosh η
(3.25)
y = c sin ψ sinh η

Le curve coordinate a η > 0 costante si ottengono quadrando le (3.25), dividendo


la prima per (c cosh η)2 e la seconda per (c sinh η)2 e sommando i risultati. Si
ricava
x2 y2
+ =1
(c cosh η)2 (c sinh η)2
che rappresenta una ellisse con semiassi a := c cosh η > b := c sinh η e fuochi nei
punti di coordinate (±c, 0). Nel caso limite η = 0, l’ellisse degenera nel segmento
che congiunge i fuochi. Similmente, le curve a ψ 6= {0, π2 , π, 3π 2 } si ottengono
quadrando le (3.25), dividendo la prima per (c cos ψ)2 , la seconda per (c sin ψ)2
e sottraendo cosı̀ da ottenere
x2 y2
2
− =1
(c cos ψ) (c sin ψ)2
38 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

che rappresenta una famiglia di iperboli con parametri a := c| cos ψ|, b :=


c| sin ψ| e fuochi nei punti di coordinate (±c, 0). Osserviamo che il luogo ψ = 0
è la semiretta dell’asse x [c, +∞), mentre il luogo ψ = π è la semiretta dell’asse
x (−∞, −c] Similmente ψ = π/2 è il semiasse y ≥ 0 mentre ψ = 3π/2 è il
semiasse y ≤ 0. Inoltre, su una assegnata iperbole, ψ assume quattro valori
diversi: ψ0 ∈ (0, π/2) nel quadrante x > 0, y > 0; π − ψ0 nel quadrante dove
x < 0 ed y > 0, ψ = π + ψ0 nel quadrante dove x < 0 ed y < 0 e ψ = 2π − ψ0
nel quadrante dove x > 0 ed y < 0. Per trovare l’energia cinetica per unità
di massa del punto P deriviamo (3.25) rispetto al tempo ed eliminiamo sin ψ e
sinh η a vantaggio di cos ψ e cosh η servendoci delle relazioni sin2 ψ = 1 − cos2 ψ
e sinh2 η = cosh2 η − 1. In questo modo otteniamo

ẋ2 + ẏ 2 = c2 (cosh2 η − cos2 ψ)(ψ̇ 2 + η̇ 2 ) . (3.26)

Servendoci ancora di (3.25) possiamo ottenere

r1 = c(cosh η − cos ψ) r2 = c(cosh η + cos ψ)

e dunque, siccome i momenti canonicamente coniugati a ψ ed η sono

pψ = c2 (cosh2 η − cos2 ψ)ψ̇ pη = c2 (cosh2 η − cos2 ψ)η̇ ,

se introduciamo le costanti

ms := G(m1 + m2 ) md := G(m2 − m1 ) ms > md > 0,

possiamo riscrivere la hamiltoniana per unità di massa in coordinate ellittiche


1 1  2 1
p + p2η −

H= (ms cosh η−md cos ψ) ,
2 c2 (cosh2 η − cos2 ψ) ψ 2
c(cosh η − cos2 ψ)
che ha la struttura compatibile con il teorema di Stäckel scegliendo ψ1 = ψ2 =
1/[c2 (cosh2 η − cos2 ψ)],

V1 (η) = −cms cosh η , V2 (ψ) = cmd cos ψ .

Inserendo in (3.22) i valori di ψ1 e ψ2 possiamo verificare che

ϕ11 (η) = c2 cosh2 η ϕ12 (ψ) = −c2 cos2 ψ

ϕ21 (η) = −1 ϕ22 (ψ) = 1

che, inseriti in (3.24) forniscono


0 2
= Ec2 cosh2 η + ms c cosh η − α2 > 0
 1
2 (Wη ) (3.27)
1 0 2
2 (Wψ ) = −Ec2 cos2 ψ − md c cos ψ + α2 > 0

dove α2 è una costante di integrazione. Eseguite le quadrature in (3.27), abbia-


mo una soluzione completa dell’equazione di Hamilton-Jacobi nella forma

W (η, ψ, E, α2 ) = Wψ (ψ, E, α2 ) + Wη (η, E, α2 ),


3.4. ATTRAZIONE DA DUE CENTRI FISSI 39

dove E ≡ α1 è il valore costante dell’energia. Anziché effettuare l’integrazione


esplicita in termini di funzioni di Jacobi, sulla scorta di [1] procediamo allo
studio qualitativo delle orbite in funzione dei parametri del problema. Iniziamo
ad introdurre le funzioni
L(η) := Ec2 cosh2 η + ms c cosh η − α2 > 0
(3.28)
M (ψ) := Ec2 cos2 ψ + md c cos ψ − I2 < 0 .

È utile introdurre le variabili ausiliarie


µ := c cosh η ≥ c λ := c cos ψ ∈ [−c, c] . (3.29)
Osserviamo che il luogo dei punti a µ costante è ancora una ellisse completa con
fuochi in (±c, 0) che degenera nel segmento tra i punti (−c, 0) e (c, 0) quando
µ = 0 ed il luogo dei punti in cui λ è costante è il ramo di una delle iperboli
descritte in precedenza: precisamente il ramo a sinistra dell’origine se ψ ∈ ( π2 , π),
quello a destra dell’origine se ψ ∈ (0, π2 ). In termini di queste variabili possiamo
riscrivere le (3.28) nella forma
L(µ) := Eµ2 + ms µ − α2
(3.30)
M (λ) := Eλ2 + md λ − α2 .
Indicati con µ1 e µ2 gli zeri di (3.30)1 e con λ1 ed λ2 gli zeri di (3.30)2 ,
mostriamo che µ1 e µ2 non possono essere complessi. Infatti, se lo fossero,
dovrebbe valere la disuguaglianza
m2s < −4Eα2
e dunque, visto che md < ms , varrebbe a fortiori la condizione m2d < −4Eα2
per cui anche le radici λ1 e λ2 sarebbero complesse. In questo caso però L ed
M avrebbero lo stesso segno di E e dunque non sarebbe possibile soddisfare
entrambe le condizioni L > 0 ed M < 0.
Nel seguito limitiamo l’attenzione alle orbite con energia totale E < 0 che
corrispondono a moti che si svolgono in regioni limitate dello spazio. Per sod-
disfare le condizioni L > 0 ed M < 0 occorre che µ ∈ [µ1 , µ2 ] e che, se λ1 e λ2
sono reali, λ < λ1 o λ > λ2 , assumendo tacitamente che µ1 ≤ µ2 e λ1 ≤ λ2 .
Infine, dovremo confronrate i valori di queste radici con gli intervalli (3.29) dove
il problema ha senso.
Poiché la somma ed il prodotto delle radici di L(µ) = 0 sono
ms α2
µ1 + µ2 = − >0 µ1 µ2 = −
E E
possiamo riscrivere l’equazione M (λ) = 0 nella forma
md
λ2 − (µ1 + µ2 )λ + µ1 µ2 = 0 .
ms
Questa equazione ammette due radici coincidenti quando
 2
ms
(µ1 + µ2 )2 = 4µ1 µ2
md
40 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

che, introdotta la variabile ausiliaria θ tale che


ms
= cosh θ ,
md
si fattorizza in
(µ1 − µ2 e2θ )(µ1 − µ2 e−2θ ) = 0 :
il luogo del piano {µ1 , µ2 } in cui M (λ) ha due radici coincidenti è costituito
dalle rette
µ1 − µ2 e2θ = 0 µ1 − µ2 e−2θ = 0 : (3.31)
in particolare, la retta
µ1 − µ2 e−2θ = 0 (3.32)
giace nella regione ammissibile µ1 ≤ µ2 .
Un’altra curva utile per la classificazione delle orbite è il luogo dei punti in
cui λ1 = c oppure λ2 = c e che, verificando l’equazione
md
c2 − (µ1 + µ2 )c + µ1 µ2 = 0 ,
ms
è un’iperbole che ammette la fattorizzazione
  
md md
µ1 − c µ2 − c = −c2 tanh2 θ .
ms ms

Si verifica con calcolo diretto che le rette (3.31) sono tangenti a quest’iperbole.
In particolare, la retta (3.32) tocca l’iperbole nel punto T ≡ (ce−θ , ceθ ). Poiché
in T µ1 + µ2 = 2c cosh θ e vale in generale la relazione
µ1 + µ2
λ1 + λ2 = , (3.33)
cosh θ
concludiamo che per i punti sull’iperbole sopra T , dove µ1 + µ2 > 2c cosh θ,
vale anche λ1 + λ2 > 2c e dunque deve essere λ1 = c. Al contrario, per i
punti dell’iperbole al di sotto di T è λ2 = c. Dalla (3.33) ricaviamo che se ci
muoviamo su rette del tipo µ1 + µ2 = costante nel piano (µ1 , µ2 ) (Fig. 3.1)
allora anche λ1 + λ2 è costante. In particolare, nella regione che giace sopra
la retta λ1 + λ2 = 2c passante per T e limitata dal ramo di iperbole e dalla
semiretta λ1 = λ2 che giacciono sopra T , entrambe le radici λ1 e λ2 sono
maggiori di c e dunque l’intervallo [−c, c] è incluso in (−∞, λ1 e la disuguaglianza
M (λ) ≤ 0 non pone restrizioni sui valori di λ. Nella porzione del piano (µ1 , µ2 )
che giace tra il ramo dell’iperbole λ2 = c, la retta λ2 = λ1 e da retta µ2 =
c si ha λ1 + λ2 = c ed entrambe le radici sono nell’intervallo [−c, c] sichhé
per soddisfare la disequazione M (λ) ≤ 0 occorre che λ ∈ [−c, λ1 ] ∪ [λ2 , c].
Infine, nella regione a sinistra dell’iperbole λi = c solo la radice λ1 appartiene
all’intervallo [−c, c] e dunque il moto può avvenire solo nella regione [−c, λ1 ]. In
figura 3.1 compare anche un ramo dell’iperbole λi = −c che delimita la regione
accessibile al moto. Possiamo distinguere quattro regioni del piano (µ1 , µ2 ) in
cui il moto ha proprietà qualitative distinte.
3.4. ATTRAZIONE DA DUE CENTRI FISSI 41

µ2 λi = c λ1 = λ2 µ1 = µ2
2
4
1

2
3

µ1
c

Figura 3.1: Nel piano (µ1 , µ2 ) sono rappresentate le quattro regioni 1-4 in cui
il moto del punto P ha comportamenti qualitativi diversi.

Figura 3.2: La regione ombreggiata è quella in cui può avvenire il moto nel
regime 1. Osserviamo che non sono ammissibili collisioni del punto mobile con
i centri di forza.

1. µ2 > µ1 > c: µ varia nell’intervallo [µ1 , µ2 ]. In questa regione l’equa-


zione M (λ) = 0 o non ha radici reali e dunque λ varia liberamente tra
[−c, c]. Se ricordiamo che µ = costante è un’ellisse con i fuochi nei centri
di attrazione, concludiamo che l’orbita si svolge entro la regione anulare
delimitata dalle ellissi µ = µ1 ed µ = µ2 (Fig. 3.2) e dunque nel corso del
moto il punto mobile P può essere vicino ad uno o all’altro dei centri di
attrazione, senza che vi sia collisione tra P ed i centri di forza.

2. µ1 < c ed µ2 > c: µ varia nell’intervallo [µ2 , c]. Per quanto riguarda λ,


le radici di M (λ) = 0 o sono complesse o, se reali, eccedono entrambe
42 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI


Figura 3.3: Nel regime 2 il punto P può muoversi all’interno dell’ellisse
ombreggiata ed ora sono possibili collisioni con i centri di forza.

Figura 3.4: La regione ombreggiata è quella in cui può avvenire il moto nel
regime 3. Il punto P è diventato satellite di uno dei centri di forza. Chiaramente,
a seconda delle condizioni iniziali si cade in una o nell’altra delle componenti
connesse che formano la regione ammissibile.

il valore c e dunque non sono accettabili. Il punto si muove all’interno


dell’ellisse µ = µ2 e può ancora essere nel corso del moto vicino ad uno o
all’altro dei centri di attrazione.

3. µ1 < c ed µ2 > c: µ varia nell’intervallo [µ2 , c]. Entrambe le soluzioni di


M (λ) = 0 sono minori di c e dunque λ può variare solo tra c e λ2 , ovvero
tra −c e λ1 . Non solo il punto materiale è confinato dall’ellisse µ = µ2 ,
ma anche dai rami delle iperboli con fuochi nei centri di attrazione su cui
λ = λ1 o λ = λ2 : il punto mobile è diventato satellite di uno dei due centri
di attrazione (figura 3.4).
3.5. IL TEOREMA DI LIOUVILLE 43

Figura 3.5: La regione ombreggiata è quella in cui può avvenire il moto nel
regime 4. Il punto P ora può essere satellite solamente del centro di forza di
massa maggiore.

4. A differenza del caso precedente, ora solo la radice λ = λ2 supera c e


pertanto il punto materiale può solo essere satellite del centro di attrazione
di massa maggiore m2 (figura 3.5).

3.5 Il teorema di Liouville


In meccanica analitica vi sono due risultati fondamentali dovuti al matematico
francese Joseph Liouville: uno sull’integrabilità per quadrature di sistemi ha-
miltoniani, l’altro sulla proprietà dei flussi hamiltoniani di conservare il volume
dello spazio delle fasi. In questa sezione ci occupiamo del primo risultato, men-
tre il secondo verrà esposto nel prossimo capitolo. Il contenuto del teorema di
Liouville è quello di fornire condizioni sufficienti per l’integrabilità completa di
un sistema hamiltoniano conservativo.

Teorema 3.2 Sia assegnato un sistema conservativo (∂H/∂t = 0) per il quale


esistono n integrali primi fi (p1 , ...., pn , q1 , ..., qn ) che sono indipendenti
 
∂fi
det 6= 0 i, j = 1, ..., n (3.34)
∂pj
ed in involuzione. Allora è possibile portare alle quadrature le equazioni di moto.

Dim. L’idea della dimostrazione è quella di trovare una trasformazione canonica


che abbia i valori costanti degli integrali primi come nuovi momenti. Se in
questa trasformazione la nuova hamiltoniana dipende esclusivamente dai nuovi
momenti costanti allora, per quanto visto in precedenza, il problema è portato
alle quadrature. Dobbiamo mostrare che esiste una funzione generatrice W (q, P )
tale che valga la (3.14) e che i vecchi momenti pi si possano esprimere come
pi = ∂W
∂qi . A quel punto, le nuove coordinate Qi vengono definite dalle relazioni
Qi = ∂W∂Pi e basterà verificare che la nuova hamiltoniana non dipende che dai
nuovi momenti.
44 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI

Siano dunque α1 , ...., αn i valori costanti che le funzioni fi (p, q) assumono


sulle soluzioni delle equazioni di Hamilton. In virtù della condizione (3.34)
possiamo risolvere le equazioni
fi (p, q) = αi i = 1, ...., n
in termini dei momenti pj ed ottenere
pj = ϕj (α1 , ..., αn , q1 , ...., qn )
in modo che le equazioni
fi (ϕ(α, q), q) = αi (3.35)
siano n identità. Vogliamo ora determinare una funzione W (α, q) che generi una
trasformazione canonica in cui le costanti αi siano i nuovi momenti. Debbono
pertanto valere le relazioni
∂W
pj =
∂qj
per cui la forma differenziale
n
X
pi dqi
i=1
sarebbe pari a
n
X ∂W
dqi = dW
i=1
∂qi
dal momento che i nuovi momenti sono costanti e dunque non contribuiscono
al differenziale totale della W (α, q). Condizione necessaria perché ciò avvenga
è che valgano le uguaglianze
∂ϕi ∂ϕj
= . (3.36)
∂qj ∂qi
Se il dominio è semplicemente connesso, ovvero se ci si restringe l’attenzio-
ne a sottodomini con questa proprietà, le condizioni (3.36) diventano anche
sufficienti. Se deriviamo le identità (3.35) rispetto a qj , otteniamo
∂fi ∂ϕk (α, q) ∂fi
+ =0
∂pk ∂qj ∂qj
che possiamo riscrivere in forma compatta introducendo le matrici
∂fi ∂ϕk ∂fi
Aik := Bkj := Cij :=
∂pk ∂qj ∂qj
come
AB + C = 0 .
Per garantire le (3.36) dobbiamo ora mostrare che B è simmetrica. Per questo
osserviamo che A è invertibile per l’ipotesi (3.34) e dunque possiamo scrivere
B = −A−1 C da cui segue anche
B T = −C T (AT )−1
3.5. IL TEOREMA DI LIOUVILLE 45

per cui la simmetria di B equivale a mostrare che

A−1 C = C T (AT )−1

ovvero che
CAT − AC T = 0 :
sfruttando le definizioni delle matrici A e C vediamo allora che
∂fi ∂fj ∂fi ∂fj
CAT − AC T = − = [fi , fj ] = 0 .
∂qk ∂pk ∂pk ∂qk
Per concludere la dimostrazione occorre verificare che la nuova hamiltoniana
Ĥ(α, q) := H(ϕ(α, q), q) dipende solo dai nuovi momenti αi . Infatti abbiamo

∂ Ĥ ∂H ∂ϕj ∂H ∂ϕj ∂ϕi


= + = q̇j − ṗi = q̇j − ṗi
∂qi ∂pj ∂qi ∂qi ∂qi ∂qj

dove abbiamo usato le equazioni di Hamilton e le condizioni (3.36). Per defini-


zione delle funzioni ϕi si conclude che
∂ϕi
q̇j − ṗi = ṗi − ṗi = 0 .
∂qj

Quanto alla condizione (3.16) essa equivale a


   
∂pi ∂ϕi (α, q)
det = det 6= 0 .
∂αj ∂αj

Se deriviamo le (3.35) rispetto ad αj otteniamo

∂fi ∂ϕk
= δij
∂pk ∂αj
∂ϕk ∂fi
che mostra come ∂αj sia la matrice inversa di ∂pk e dunque abbia determinante
non nullo.

Osservazione La dimostrazione data non è limitata alla porzione di spazio delle


fasi in cui le fi sono costanti. Facendo assumere ad αi tutti i valori compatibili
con l’esistenza della soluzione per le equazioni di moto si può estendere quanto
provato a tutto lo spazio delle fasi accessibile al sistema.
46 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI
Bibliografia

[1] D. Boccaletti, G. Pucacco: Theory of Orbits. 1: Integrable Systems and


Non-perturbative Methods. Springer, Berlin, (1996).

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