Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Il metodo di
Hamilton-Jacobi
25
26 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI
df ∂f
= + [f, H] . (3.5)
dt ∂t
In particolare, f è un integrale primo di (3.4) se verifica
∂f
+ [f, H] = 0
∂t
o, limitando l’attenzione a funzioni che non dipendono esplicitamente dal tempo,
[f, H] = 0 .
Una delle tecniche più potenti messa a punto per l’integrazione delle equa-
zioni di Hamilton è il metodo di Hamilton-Jacobi che richiamiamo brevemente,
facendo riferimento al corso di Meccanica Analitica per la deduzione comple-
ta. Il metodo consiste nella ricerca di una trasformazione canonica che, oltre a
conservare la struttura hamiltoniana delle equazioni, trasformi le (3.1) in altre
equazioni corrispondenti ad una hamiltoniana identicamente nulla. In questo
modo, se αi e βi rappresentano, rispettivamente, i nuovi momenti e le nuove
coordinate, le equazioni di moto diventano
α̇i = 0
(3.6)
β̇i = 0 .
P = P (p, q, t) Q = Q(p, q, t)
e supponiamo che
∂qi
det 6= 0 : (3.9)
∂Qj
una trasformazione che goda di questa proprietà è detta libera. Grazie a questa
condizione, possiamo risolvere la (3.8)2 in termini delle Q ottenendo
Questa trasformazione è canonica a patto che esista una funzione S(P, q, t) tale
che (
∂S
pj = ∂q j
∂S (3.10)
Qj = ∂P j
:
la nuova hamiltoniana K è poi data da
∂S ∂S
K(P, q, t) := H( , q, t) + .
∂q ∂t
∂Qj ∂2S
=
∂qi ∂qi ∂Pj
Osserviamo ancora che, poiché S figura nell’equazione (3.12) solo tramite le sue
derivate parziali, se S risolve (3.12), anche S + α0 , dove α0 è una costante ar-
bitraria, risolve (3.12). Si chiama integrale completo dell’equazione (3.12) una
sua soluzione che dipende da n costanti arbitrarie α1 , ..., αn indipendenti e tale
da soddisfare la (3.14). La teoria delle trasformazioni canoniche permette di
risalire all’integrale generale delle equazioni di Hamilton (3.1) a partire dalla
conoscenza di un integrale completo dell’equazione (3.12). Nel seguito espor-
remo i lineamenti della tecnica più elementare di risoluzione dell’equazione di
Hamilton-Jacobi, quella di separazione delle variabili.
Iniziamo a supporre che la Hamiltoniana H non dipenda esplicitamente dal
tempo. Appare naturale scrivere la funzione S nella forma
che mostrano come i nuovi momenti siano costanti mentre le coordinate βi sono
funzioni affini del tempo per cui il problema è portato alle quadrature. La
funzione generatrice W deve soddisfare la condizione (3.16) e le
∂W
pi = ∂qi
(3.18)
γi = ∂W .
∂αi
E = E(α1 , ...., αn ) .
Se allora poniamo
∂E
ωj :=
∂αj
allora l’equazione (3.13)2 diventa
∂W
Qj = = ωj t + βj :
∂αj
le nuove coordinate sono funzioni affini del tempo. In questo approccio le n
costanti arbitrarie αi sono trattate in modo equivalente.
Nella formulazione di Jacobi questa equivalenza è perduta perché si assume
α1 := E. Come conseguenza, le equazioni di moto nelle nuove variabili hanno
la forma
∂E
ξ˙1 = =1
∂α1
e
∂E
ξ˙i = =0 i 6= 1
∂αi
30 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI
pertanto
ξ1 (t) = t − t0
mentre tutte le ξi rimanenti sono costanti. Inoltre, se invertiamo le equazioni
∂W
ξi = i = 2, ..., n
∂αi
rispetto alle vecchie coordinate qi vediamo che queste ultime sono parametriz-
zate da quantità costanti mentre il tempo non figura che nell’equazione
∂W
t − t0 = ξ1 =
∂α1
per questo, il metodo di Jacobi è indicato quando si voglia ottenere la traietto-
ria del sistema piuttosto che la legge oraria. Nella formulazione di Jacobi, sotto
ipotesi poco restrittive, si può effettuare il controllo della condizione (3.16) su
una matrice ridotta di dimensione (n − 1) × (n − 1). L’ipotesi da fare è che esista
almeno un momento, ad esempio p1 , che figuri esplicitamente nella Hamiltonia-
na. Osserviamo che se nessuno dei momenti figura in H allora dalle (3.1) segue
q̇i = 0 per cui le coordinate sarebbero costanti ed i rispettivi momenti verifiche-
rebbero ṗi = costante per cui il moto è già noto senza bisogno di applicare la
tecnica di Hamilton-Jacobi. Sotto l’ipotesi
∂H
6= 0
∂p1
e, ferma restando la scelta α1 ≡ E, detta H 0 la matrice (n − 1) × (n − 1) con
elementi 2
0 ∂ W
(H )ij := i, j = 2, ..., n ,
∂qi ∂αj
possiamo riscrivere la condizione (3.16) come
∂H ∂ 2 W ∂H ∂ 2 W ∂H ∂ 2 W
∂p1 ∂q1 ∂E ∂p1 ∂q1 α2 ... ∂p1 ∂q1 ∂E
∂2W
2
∂ W 1
det = ∂H det ∂q2 ∂E .
∂qi ∂αj 0
∂p1
... Hij
∂2W
∂qn ∂E
rispetto ad αj otteniamo
∂H ∂ 2 W
= δ1j
∂ph ∂qh αj
per cui tutti i termini della prima riga modificata si annullano a parte il pri-
mo che è uguale ad 1. Pertanto, anziché verificare (3.16) possiamo ridurci a
verificare che 2
∂ W
det 6= 0 h, j = 2, ..., n . (3.19)
∂qh αj
dove l’i-esimo termine dipende solo dalla coordinata qi ed abbiamo omesso per
brevità la dipendenza dagli argomenti costanti αi . È chiaro che, senza ipotesi
sulla struttura di H, il metodo non porta ad alcun risultato. Nel seguito mostria-
mo un caso significativo in cui il metodo funziona per poi enunciare il teorema
di Stäckel che fornisce condizioni necessarie e sufficienti per l’applicabilità del
metodo di separazione delle variabili, sotto opportune ipotesi sulla natura di
H. Infine, alla luce del teorema di Stäckel, studieremo il problema dell’attra-
zione di un punto materiale da parte di due centri di forza fissi, integrandolo e
determinando le principali proprietà qualitative del moto.
da cui si ottiene
ėr = ϑ̇[cos ϑ(cos ϕex + sin ϕey ) − sin ϑez ] + ϕ̇ sin ϑ(− sin ϕex + cos ϕey ) .
La (3.20) diventa
2 2 2
dWr dWϑ dWϕ
r2 sin2 ϑ + sin2 ϑ + 2r2 sin2 ϑ[V (r) − E] = − :
dr dϑ dϕ
3.3. IL TEOREMA DI STÄCKEL 33
dove le funzioni regolari ψh > 0 dipendono solo dalle coordinate {q1 , ....qn };
• l’energia potenziale sia esprimibile come
n
X
V = ψh Vh (qh )
h=1
dove ciascuna delle funzioni Wh dipende da una sola coordinata qh oltre, benin-
teso, da n costanti indipendenti αi . Prese allora n − 1 costanti arbitrarie αj ,
scelte le funzioni Wh come soluzioni non nulle delle equazioni differenziali
n
1 X
(Wh0 )2 = (αj ϕjh ) + Eϕ1h − Vh (qh ) , (3.24)
2 j=2
ϕ22 ϕ23 ... ϕ2n
ϕ32 ϕ33 ... ϕ3n
= 1
W20 W30 ....Wn0 det
= 1
W20 W30 ....Wn0 det(D0 )
.... .... .... ....
ϕn2 ϕn3 ... ϕnn
dove D0 si ottiene da D sopprimendone la prima riga e la prima colonna di. Poi-
ché D è invertibile e sappiamo per l’ipotesi 3 che ψ1 è l’elemento B11 dell’inversa
B di D, possiamo concludere che
1
ψ1 = det D0
det D
36 CAPITOLO 3. IL METODO DI HAMILTON-JACOBI
e pertanto
∂Wh0
ψ1 det(D)
det = 6= 0
∂αj W20 W30 ....Wn0
che conclude la dimostrazione della sufficienza delle condizioni 1-3). Per dimo-
strare che le condizioni (1 − 3) sono necessarie per la separabilità delle equazioni
di Hamilton-Jacobi in un sistema con Hamiltoniana dalla struttura indicata
sopra, supponiamo che
n
X
W (q1 , ..., qn , α1 , ..., αn ) = Wh (qh , α1 , ..., αn )
h=1
e le n2 funzioni
∂ 2 W ∂W ∂Wh0
ϕjh := = Wh0 ,
∂qh ∂αj ∂qh ∂αj
senza sottintendere alcuna sommatoria su h, verificano certamente le ipotesi 1
e 3 del teorema di Stäckel. D’altra parte, poiché W è un integrale completo di
(3.15) e supponiamo di restringerci a domini in cui Wh0 6= 0 si ha anche
2 Y n
∂ W
det(ϕjh ) = det · Wh0 6= 0 :
∂qh ∂αj
h=1
se introduciamo le costanti
Si verifica con calcolo diretto che le rette (3.31) sono tangenti a quest’iperbole.
In particolare, la retta (3.32) tocca l’iperbole nel punto T ≡ (ce−θ , ceθ ). Poiché
in T µ1 + µ2 = 2c cosh θ e vale in generale la relazione
µ1 + µ2
λ1 + λ2 = , (3.33)
cosh θ
concludiamo che per i punti sull’iperbole sopra T , dove µ1 + µ2 > 2c cosh θ,
vale anche λ1 + λ2 > 2c e dunque deve essere λ1 = c. Al contrario, per i
punti dell’iperbole al di sotto di T è λ2 = c. Dalla (3.33) ricaviamo che se ci
muoviamo su rette del tipo µ1 + µ2 = costante nel piano (µ1 , µ2 ) (Fig. 3.1)
allora anche λ1 + λ2 è costante. In particolare, nella regione che giace sopra
la retta λ1 + λ2 = 2c passante per T e limitata dal ramo di iperbole e dalla
semiretta λ1 = λ2 che giacciono sopra T , entrambe le radici λ1 e λ2 sono
maggiori di c e dunque l’intervallo [−c, c] è incluso in (−∞, λ1 e la disuguaglianza
M (λ) ≤ 0 non pone restrizioni sui valori di λ. Nella porzione del piano (µ1 , µ2 )
che giace tra il ramo dell’iperbole λ2 = c, la retta λ2 = λ1 e da retta µ2 =
c si ha λ1 + λ2 = c ed entrambe le radici sono nell’intervallo [−c, c] sichhé
per soddisfare la disequazione M (λ) ≤ 0 occorre che λ ∈ [−c, λ1 ] ∪ [λ2 , c].
Infine, nella regione a sinistra dell’iperbole λi = c solo la radice λ1 appartiene
all’intervallo [−c, c] e dunque il moto può avvenire solo nella regione [−c, λ1 ]. In
figura 3.1 compare anche un ramo dell’iperbole λi = −c che delimita la regione
accessibile al moto. Possiamo distinguere quattro regioni del piano (µ1 , µ2 ) in
cui il moto ha proprietà qualitative distinte.
3.4. ATTRAZIONE DA DUE CENTRI FISSI 41
µ2 λi = c λ1 = λ2 µ1 = µ2
2
4
1
2
3
µ1
c
Figura 3.1: Nel piano (µ1 , µ2 ) sono rappresentate le quattro regioni 1-4 in cui
il moto del punto P ha comportamenti qualitativi diversi.
Figura 3.2: La regione ombreggiata è quella in cui può avvenire il moto nel
regime 1. Osserviamo che non sono ammissibili collisioni del punto mobile con
i centri di forza.
Figura 3.3: Nel regime 2 il punto P può muoversi all’interno dell’ellisse
ombreggiata ed ora sono possibili collisioni con i centri di forza.
Figura 3.4: La regione ombreggiata è quella in cui può avvenire il moto nel
regime 3. Il punto P è diventato satellite di uno dei centri di forza. Chiaramente,
a seconda delle condizioni iniziali si cade in una o nell’altra delle componenti
connesse che formano la regione ammissibile.
Figura 3.5: La regione ombreggiata è quella in cui può avvenire il moto nel
regime 4. Il punto P ora può essere satellite solamente del centro di forza di
massa maggiore.
ovvero che
CAT − AC T = 0 :
sfruttando le definizioni delle matrici A e C vediamo allora che
∂fi ∂fj ∂fi ∂fj
CAT − AC T = − = [fi , fj ] = 0 .
∂qk ∂pk ∂pk ∂qk
Per concludere la dimostrazione occorre verificare che la nuova hamiltoniana
Ĥ(α, q) := H(ϕ(α, q), q) dipende solo dai nuovi momenti αi . Infatti abbiamo
∂fi ∂ϕk
= δij
∂pk ∂αj
∂ϕk ∂fi
che mostra come ∂αj sia la matrice inversa di ∂pk e dunque abbia determinante
non nullo.
47