Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Platone 1
Platone 1
1. LA VITA:
Platone nasce ad Atene nel 427/8 a.C. ; si chiamava in realtà Aristocle, Platone (=ampio, largo) era un
soprannome che forse si riferiva alla corporatura di Platone, oppure alla sua fronte, oppure al suo pensiero e alla
sua opera.
Platone è aristocratico, discendente di una delle famiglie più illustri di Atene, aspira alla vita politica e diviene
discepolo di Socrate, nel 404 collabora con il governo dei Trenta Tiranni, ma le violenze e le ingiustizie perpetrate
dai Trenta lo allontanano dall’impegno politico diretto.
399: Condanna a morte di Socrate (Platone ha 29 anni), per Platone è un’esperienza traumatica: si convince che
anche la democrazia non assicura la giustizia.
Ha grande interesse per la politica, ma sfiducia nella democrazia, da ciò la ricerca di nuove vie, di nuove basi per
una politica giusta.
Dopo la morte di Socrate fa viaggi a Megara, a Cirene, in Egitto, poi a Taranto, governata dal pitagorico Archita
(l’influenza dei Pitagorici è fondamentale), a Siracusa, governata dal tiranno Dionigi il Vecchio (scopo: fare del
tiranno un politico-filosofo), qui Platone diventa amico di Dione, cognato di Dionigi. Ma Dionigi scaccia e fa
vendere come schiavo Platone.
387: Liberato, Platone torna ad Atene e fonda l’Accademia (scuola e comunità ; vi si impartisce un insegnamento
politico e morale, ma anche scientifico; lo scopo è formare i filosofi-politici del futuro).
367: Dionigi il Giovane chiama a Siracusa Platone (secondo viaggio); contrasti tra Dionigi e Dione: Platone torna ad
Atene.
361: nuovo invito, terzo viaggio a Siracusa presso Dionigi e nuovo fallimento.
Muore ad Atene a 80 anni nel 348/347 a.C.
2. LE OPERE
Platone ha scritto 13 lettere – l’Apologia di Socrate – 34 dialoghi. Tutte le opere scritte da Platone ci sono
pervenute, e ciò attesta che nell’Antichità e nel Medioevo sono state sempre ritenute importanti e “degne” di
essere copiate. Oggi però alcune lettere e alcuni dialoghi minori non vengono ritenuti autentici.
Ogni dialogo è dedicato a un tema particolare (l’anima, l’amore, la politica, la retorica, le leggi, la cosmologia
ecc.), la finalità etico-politica (rigenerare le poleis greche) è alla base di tutti i dialoghi; la teoria delle
Idee, fondamentale teoria platonica, attraversa tutti i dialoghi.
Nell’antichità le opere di Platone vennero divise in 9 tetralogie (gruppi di 4) sulla base del loro contenuto tematico.
Oggi si preferisce distinguere le opere in 3 gruppi corrispondenti a tre fasi della vita e del pensiero di Platone.
Scritti giovanili socratici = Platone espone (probabilmente) i dialoghi realmente avvenuti tra Socrate e i suoi
concittadini, presenta discussioni vive, animate: tra questi i più notevoli sono Apologia di Socrate, Critone,
Eutifrone, Protagora, Alcibiade .
Dialoghi della maturità = espongono, attraverso dialoghi immaginari di cui Socrate è ancora il protagonista, il
pensiero di Platone – il dialogo assume un carattere più riflessivo: sono Gorgia, Menone, Fedone, Repubblica,
Simposio, Fedro.
Dialoghi della vecchiaia o “dialettici” = Platone rivede, completa o corregge le teorie esposte nei dialoghi della
della maturità ; Socrate è meno presente: tra questi segnaliamo Teeteto, Parmenide, Sofista, Timeo, Politico,
Leggi.
3. PERCHE’ IL DIALOGO?
Platone afferma (nel “Fedro”) la superiorità dell’insegnamento orale e della parola viva sulla parola scritta: infatti
la parola scritta definisce, conclude, fissa i risultati, invece la filosofia è ricerca senza fine; in secondo luogo la
parola scritta è impersonale, non si adatta all’interlocutore, non tiene conto della sua capacità di comprendere,
delle sue obiezioni.
Nonostante affermi la superiorità del dialogo vivo sugli scritti, Platone, a differenza di Socrate, scrive:
evidentemente non intende rinunciare alla possibilità di trasmettere il suo pensiero a una cerchia più vasta di
1
ascoltatori e ai posteri, ma cerca comunque di mantenere nel testo scritto il carattere aperto e dialogico del
filosofare socratico: è per questo che sceglie il dialogo.
Ma esistono anche DOTTRINE NON SCRITTE di Platone: sul contenuto e sull’importanza di queste dottrine gli
studiosi hanno idee discordi; sembra comunque probabile che tali dottrine non contraddicano e non aggiungano
molto alle teorie di Platone esposte nei dialoghi: pertanto non le prendiamo in considerazione.
“Il fatto che Platone abbia scritto quasi esclusivamente dei dialoghi solleva un diffìcile problema. Nel dialogo l
'autore non fa udire direttamente la sua voce, ma parla attra verso i suoi personaggi, tra i quali Platone non
comprende mai se stesso: come facciamo dunque a sapere quali sono le tesi che devono essergli attribuite?
Spesso questo problema viene risolto in modo molto semplice: poiché nei dialoghi platonici c'è sempre un
personaggio che conduce la discussione (quasi sempre è Socrate) e mostra di saperne più degli altri, si considerano
"opinioni di Platone" le cose che questo personaggio dice.
Purtroppo però questa soluzione non risolve tutto. Se volessimo fare una raccolta di tutte le tesi esposte dai
"personaggi privilegiati", e chiamare questa raccolta "filosofia di Platone", otterremmo un esito piuttosto
deludente, perché quelle tesi sono spesso poco compatibili fra di loro, e a volte in chiaro contrasto. Occorre dunque
adottare un metodo un po' più accorto. In molti casi, è vero, possiamo avere una discreta fiducia che le opinioni del
personaggio privilegiato siano proprio quelle di Platone. Ma in altri casi le opinioni di Platone dovranno essere
ricavate cercando di capire che cosa l'autore abbia voluto dire al lettore facendo parlare tutti i suoi personaggi in un
certo modo; e non è detto che queste opinioni coincidano sempre con quelle del personaggio privilegiato. Anche la
scelta di scrivere dialoghi è filosoficamente importante e per nulla casuale, e non può essere spiegata semplicemente
come un "omaggio a Socrate"; occorre invece chiedersi qual è la ragione filosofica che ha spinto Platone ad
apprezzare il metodo dialogico socratico, fino al punto di adottarlo sistematicamente nella sua opera. Il fatto è che la
filosofia di Platone nasce in stretta relazione con quella dei sofisti e di Socrate. Questi pensatori avevano posto in
chiaro che la pretesa di cogliere la verità con asserzioni nette (evidente, ad esempio, in Eraclito e Parmenide) è
illusoria. Le asserzioni, infatti, sono sempre legate alle persone che le sostengono, in quanto sono persuase della loro
verità. Ma queste persone, e le loro opinioni, sono spesso in conflitto fra loro, per cui in molti casi - e in particolare
quando si trattano problemi generali come quelli filosofici - risulta difficile stabilire in astratto chi ha ragione. Di
conseguenza, chi cerca in qualche modo di avvicinarsi alla verità non può non tenere conto delle persone concrete e
delle loro opinioni, della necessità che le conclusioni raggiunte siano argomentate in modo efficace e persuasivo; e il
terreno in cui si sviluppa questo lavoro di argomentazione/persuasione (che Platone chiama "dialettica") è proprio
quello del dialogo, soprattutto nel modo in cui lo praticava Socrate. Possiamo aggiungere che attraverso il
dialogo scritto, imitazione necessariamente imperfetta del dialogo orale "socratico", Platone tenta in qualche modo
di coinvolgere nella dialettica anche il lettore, che viene stimolato a formulare le proprie tesi ed eventualmente a
raggiungere determinate conclusioni; e questo vale, soprattutto, per quei dialoghi in cui l'autore sembra non
conoscere (o voler tacere) la soluzione del problema proposto.” 1
4. IL MITO
I primi filosofi hanno rifiutato la mitologia, Platone invece inserisce nei suoi dialoghi miti: racconti di fantasia
generalmente creati da lui stesso.
Duplice funzione dei miti:
1) chiarire con immmagini una dottrina razionale difficilmente comprensibile.
2) quando si presenta un problema che la ragione non è in grado di risolvere, andare oltre i limiti della conoscenza
razionale con l’immaginazione; il mito platonico non è una dimostrazione razionale, ma non è neppure pura
fantasia, ha un contenuto verosimile, ragionevolmente plausibile – procede oltre la ragione nella direzione
tracciata dalla ragione. Esempio: la ragione afferma l’immortalità dell’anima, ma non può conoscere il destino delle
anime dopo la morte; il mito tenta di rappresentare questo destino in modo verosimile e compatibile con le
conoscenze razionali già acquisite.
Pertanto Platone, per procedere nella sua ricerca, deve confutare il relativismo (sostenuto, come sappiamo, da
Protagora: “l’uomo è misura di tutte le cose”), e lo fa con due obiezioni: 1) affermare che tutte le opinioni sono vere
non ha senso, perché se noi accettassimo questo principio allora dovremmo ammettere come vera anche la tesi che
non tutte le opinioni sono vere. Insomma la tesi relativista si auto-contraddice. 2) Anche coloro che affermano
teoricamente il relativismo di fatto non seguono questo principio nei loro comportamenti e nelle loro scelte, infatti
se hanno bisogno di cure, per esempio, non si affidano a qualsiasi persona, ma a una competente di malattie e cure;
insomma nella pratica non ritengono che tutte le opinioni siano vere, ma considerano “vere” solo le opinioni del
medico.
Perché la vita politica sia pacifica e ordinata occorre allora, secondo Platone, che tutti gli uomini possano
riconoscere la stessa verità e gli stessi valori. Occorre quindi una SCIENZA (Epistéme). Infatti i caratteri della
scienza sono la stabilità o immutabilità e l’oggettività (un’affermazione scientifica è vera sempre ed è vera per
tutti). Insomma, dopo aver sgombrato il campo dai falsi saperi, ritorniamo all’obiettivo iniziale: una
conoscenza dei valori certa, stabile, oggettiva e quindi universale.
Platone (seguendo in parte Parmenide) afferma che l’esperienza (conoscenza per mezzo dei sensi) non può
essere il fondamento della scienza, perché gli oggetti dell’esperienza sono le cose materiali che sono in continuo
movimento (come aveva notato Eraclito); inoltre l’esperienza è sempre soggettiva (ogni individuo percepisce le
cose “a suo modo”, come aveva detto Protagora, e su questo Platone è d’accordo con lui).
Dall’esperienza quindi non deriva la Scienza immutabile e oggettiva, ma l’ Opinione (Doxa) mutevole,
soggettiva, imperfetta.
La Scienza pertanto non può fondarsi sull’esperienza di oggetti materiali, ma sulla conoscenza puramente
intellettuale di oggetti intelligibili, chiamati Idee, caratterizzati da immutabilità e perfezione.
Quindi per Platone esistono due tipi di conoscenza: la conoscenza intellettuale e l’esperienza (o conoscenza
empirica), che si riferiscono a due tipi diversi di oggetti: gli oggetti intelligibili o Idee e gli oggetti sensibili o
materiali. Pertanto la realtà è costituita da due livelli o dimensioni nettamente distinti.
Il dualismo platonico (realtà a due dimensioni) costituisce una nuova conciliazione di Parmenide ed Eraclito,
realizzata in modo completamente diverso da quella di Democrito.
Infatti Democrito aveva affermato l’esistenza di una realtà eterna e immutabile, invisibile, ma pur sempre
materiale, costituita dagli Atomi. Platone invece afferma esplicitamente l’esistenza di una realtà immateriale,
spirituale, e questo è un fatto del tutto nuovo nella filosofia greca. Platone è consapevole della novità di questa
affermazione, infatti egli chiama “seconda navigazione” la scoperta della dimensione sovrasensibile.
Nel linguaggio marinaresco dell’antica Grecia la “prima navigazione” era quella a vela, la “seconda navigazione”,
invece, era quella a remi (più difficile e faticosa) che si rendeva necessaria quando il vento cadeva. Quindi Platone
con questa immagine vuol dire che la conoscenza delle Idee è una conoscenza più difficile e faticosa, che si rende
necessaria quando la semplice conoscenza della dimensione materiale si rivela insufficiente.
DUALISMO PLATONICO:
Mondo degli oggetti La realtà fisica è costituita da cose La conoscenza empirica delle
cose sensibili (= esperienza,
sensibili = MATERIALI, SENSIBILI, conoscenza per mezzo dei
MUTEVOLI, IMPERFETTE, sensi)
Dimensione CORRUTTIBILI, MOLTEPLICI
materiale, produce l’ OPINIONE (= DOXA)
(corrispondono alla realtà in
fisica, terrena divenire di Eraclito) che è soggettiva, incerta,
Esempi analoghi si possono fare per la Giustizia, per il Coraggio, per la Santità, per tutti i valori su cui si
esercitava la ricerca di Socrate (la teoria delle Idee è la risposta di Platone alle domande di Socrate).
Inoltre Platone ritiene che esistano anche Idee delle cose sensibili (p.e. l’Idea dell’Albero): anche in questo caso si
stabilisce un rapporto tra il modello ideale, unico, perfetto, immutabile, eterno, e le cose sensibili, diverse
e molteplici, mutevoli e corruttibili, imperfette.
N.B. Noi potremmo pensare che le idee di cui parla Platone non siano altro che i concetti astratti che la nostra
mente produce ricavandoli dalle nostre molteplici esperienze, ma secondo Platone le idee hanno dei caratteri di
perfezione e di immutabilità che non troviamo mai nell’esperienza, quindi non possono derivare dall’esperienza;
per esempio nel “Fedone” Platone argomenta che per renderci conto che due cose sono simili, ma non sono
perfettamente uguali, noi dobbiamo avere la nozione di “ciò che è perfettamente uguale”. Ma dal momento che
nell’universo delle cose materiali non si presentano mai casi di oggetti perfettamente uguali, non posso aver
acquisito la nozione di “perfettamente uguale” dall’esperienza sensibile.
Platone stabilisce una gerarchia tra le Idee: le idee superiori sono le Idee-valori, poi vengono le idee delle cose
sensibili e più in basso le idee matematiche. Al vertice sta l’idea del Bene, paragonata al Sole: come le cose sensibili
sono rese visibili e viventi dal Sole, così le Idee sono rese intelligibili dal Bene e traggono da esso la loro esistenza e
perfezione.
Platone quindi parte dal fatto che nella mente degli uomini ci sono dei concetti generali che permettono di
valutare l’esperienza, di comunicare con gli altri uomini e di apprendere. Questi concetti generali non sono
ricavati dall’esperienza, perché precedono e rendono possibile l’esperienza, e perché hanno caratteri di perfezione,
immutabilità, unicità che gli oggetti dell’esperienza non possiedono mai. Sono dunque concetti “innati”, ma qual
è la loro origine?
Platone afferma che le Idee sono conosciute dall’intelletto umano (sono INTELLIGIBILI), ma non sono un prodotto
dell’intelletto umano; l’unicità , eternità e universalità delle Idee esige che esse abbiano un’esistenza propria,
indipendente – d’altra parte non si tratterà di un’esistenza materiale. Le Idee esistono nell’IPERURANIO = luogo al
di là del cielo – Non è un luogo fisico indica un piano di realtà immateriale (intelligibile, spirituale).
Ma in che modo le Idee sono presenti nella mente umana, sono conosciute dall’intelletto?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima considerare la natura umana.
Analogia tra lo Stato e l’uomo: nell’uomo deve comandare la ragione, e l’anima animosa e quella appetitiva devono
essere sottomesse.
Nello Stato devono comandare gli uomini Razionali (FILOSOFI) e gli uomini Animosi (CUSTODI) e Concupiscenti
(PRODUTTORI) debbono obbedire ai filosofi.
Nello Stato Ideale non c’è eguaglianza tra i cittadini e non c’è democrazia: non tutti debbono partecipare al governo
ma solo i Sapienti o Filosofi, perché solo essi conoscono e amano le idee del Bene, della Giustizia e le altre Idee-
valori, e dunque governeranno in modo giusto, cercando il Bene di tutto lo Stato e di tutti i cittadini – essi saranno
felici procurando il bene non solo a se stessi, ma a tutti; quindi non saranno mai Tiranni.
Virtù dei cittadini:
Filosofi governanti = sapienza
Guerrieri o custodi = forza
Produttori = temperanza
La giustizia è l’armonia tra le parti della città , è la virtù di tutti i cittadini: c’è giustizia quando i compiti sono
assegnati ai cittadini secondo le loro attitudini, quando c’è equilibrio e collaborazione tra le tre parti della
cittadinanza e quando tutti obbediscono ai Filosofi governanti.
I governanti filosofi non governano con le leggi (che non tengono conto delle situazioni particolari) ma decidono
sulla base della loro conoscenza del Bene e del Giusto. Hanno un potere assoluto.
L’assegnazione di ogni cittadino al suo gruppo sociale non avviene per nascita, ma è decisa dai filosofi che
valutano l’anima del cittadino.
Come evitare il pericolo della Tirannia (cioè che il governante coltivi i propri interessi e non il bene di tutti)?
È vero che i filosofi conoscono e amano il bene e la giustizia, però sappiamo che gli uomini nella vita terrena non
possono raggiungere una conoscenza e una virtù perfetta, quindi occorrono delle condizioni che favoriscano un
esercizio virtuoso del potere. Queste condizioni sono l’educazione e il comunismo.
Educazione: formazione fisica, studio delle scienze, della matematica, della filosofia, tirocinio nel governo prima di
assumere il potere: solo in età avanzata, dopo aver studiato per decenni e dopo esser stati messi alla prova in un
lungo tirocinio, i filosofi potranno assumere pienamente il potere.
Comunismo (riguarda solo i Filosofi e i Guerrieri-Custodi, in quanto anch’essi in una certa misura partecipano al
governo) = Condivisione di tutti i beni e anche dei figli e dei rapporti sessuali, per evitare la tentazione di
arricchirsi e di favorire la propria famiglia. Anche le donne fanno parte della “comune filosofica” e possono
governare. I filosofi-governanti formano una comunità (sul modello delle comunità pitagoriche) e debbono
condividere tutto e vivere in modo austero.
La massa dei cittadini, costituita da produttori, ha proprietà private e famiglia, infatti il comunismo platonico (a
differenza di quello contemporaneo) non risponde all’esigenza di creare un’eguaglianza sociale tra tutti i cittadini.
11
11
Inoltre il mondo è dotato di un’anima immortale, causa dei movimenti che avvengono nell’universo.
Il tempo è l’immagine mobile dell’eternità (l’eternità delle Idee è un eterno presente, in cui non c’è prima e dopo,
era e sarà ; invece nel tempo l’eternità si svolge attraverso l’era e il sarà ).
15. IL MITO DELLA CAVERNA (IN “REPUBBLICA”), SINTESI DEL PENSIERO DI PLATONE
Nel pensiero di Platone troviamo due tendenze che talvolta possono apparire divergenti e contradditorie:
1) la tendenza all’impegno etico-politico, alla ricerca dei valori universali per orientare il comportamento
individuale e collettivo nella vita terrena, per “salvare” l’uomo e la città dalla crisi morale e politica. Nell’ambito di
questa tendenza le idee costituiscono dei modelli e dei criteri per le azioni e le cose del mondo sensibile. Questa
tendenza continua e completa l’insegnamento di Socrate.
2) la tendenza ascetico – religiosa a liberarsi dal carcere del corpo e dalle catene della vita mondana, per ascendere
purificati al mondo spirituale delle Idee perfette ed eterne. Nell’ambito di questa tendenza viene affermata
un’opposizione tra l’anima e il corpo, tra la dimensione spirituale e quella materiale. Questa tendenza deriva dalla
religione orfica.
Queste due tendenze però possono anche integrarsi e completarsi a vicenda, come ci viene spiegato dal Mito della
Caverna.
“Al centro della “Repubblica” si colloca un celeberrimo mito detto "della caverna". Il mito è stato via via visto come
simboleggiante la metafisica, la gnoseologia e la dialettica, e anche l'etica e la mistica platonica: è il mito che esprime
tutto Platone, e, con esso, quindi, concludiamo.
Immaginiamo degli uomini che vivano in una caverna che abbia l'ingresso aperto verso la luce per tutta la sua
larghezza, con un lungo andito d'accesso; gli abitanti di questa caverna sono legati alle gambe e al collo in modo che
non possano girarsi e che quindi possano guardare unicamente verso il fondo della caverna medesima. Alle spalle dei
prigionieri (tra loro e l’ingresso della caverna) c’è un muricciolo ad altezza d'uomo e dietro questo (e quindi
interamente coperti dal muricciolo) si muovono degli uomini che portano sulle spalle statue lavorate in pietra e in
legno, raffiguranti tutti i generi di cose. Immaginiamo, ancora, che dietro questi uomini arda un grande fuoco. Infine,
immaginiamo che la caverna abbia una eco e che gli uomini che passano al di là del muro parlino, in modo che dal
fondo della caverna le loro voci rimbalzino per effetto dell'eco.
Ebbene, se così fosse, quei prigionieri non potrebbero vedere altro che le ombre delle statuette che si proiettano sul
fondo della caverna e udrebbero l'eco delle voci: ma essi crederebbero, non avendo mai visto altro, che quelle ombre
fossero l'unica e vera realtà e riterrebbero anche che le voci dell'eco fossero le voci prodotte da quelle ombre. Ora,
supponiamo che uno di questi prigionieri riesca a sciogliersi con fatica dai ceppi; ebbene, costui con fatica riuscirebbe
ad abituarsi alla nuova visione che gli apparirebbe; e, abituandosi, vedrebbe le statuette muoversi al di sopra del
muro, e capirebbe che quelle sono ben più vere di quelle cose che prima vedeva e che ora gli appaiono come ombre. E
supponiamo che qualcuno tragga il nostro prigioniero fuori della caverna; ebbene, egli resterebbe abbagliato prima
dalla gran luce, e poi, abituandosi, vedrebbe le cose stesse, prima riflesse nelle acque e poi in se stesse, e, da ultimo,
prima riflessa e poi in sé, vedrebbe la luce stessa del sole, e capi rebbe che queste e solo queste sono le realtà vere e
che il sole è causa di tutte le altre cose visibili.
I QUATTRO SIGNIFICATI DEL MITO DELLA CAVERNA
Che cosa simboleggia il mito?
1. Innanzi tutto i vari gradi ontologici della realtà, cioè i generi dell'essere sensibile e soprasensibile con le loro
suddivisioni: la caverna rappresenta il mondo sensibile e i prigionieri sono gli uomini, abitanti del mondo, il
fuoco rappresenta il sole, le statue sono le cose sensibili e le ombre sul fondo della caverna sono le immagini
delle cose; il mondo esterno alla caverna rappresenta l’Iperuranio, il mondo delle Idee, gli oggetti nel mondo
esterno rappresentano le Idee superiori, le loro immagini riflesse nell’acqua rappresentano le Idee
matematiche, il sole rappresenta l’Idea suprema del Bene, che dà vita e luce a tutto il mondo ideale;
2. In secondo luogo, il mito simboleggia i gradi della conoscenza nelle due specie e nei due gradi di queste: la
visione delle ombre simboleggia l’ Eikasìa o immaginazione, e la visione delle statue simboleggia la Pìstis
o
12
12
credenza; la visione degli oggetti riflessi nell’acqua rappresenta la Diànoia (conoscenza mediana delle idee
matematiche) e la visione degli oggetti e del sole, prima mediata e poi immediata, rappresenta la pura
intellezione (Nòesis) delle Idee e dell’idea del Bene. L’abbagliamento che colpisce il prigioniero quando esce
dalla caverna significa che l’uomo per conoscere le idee deve affrontare un percorso di apprendimento che
richiede tempo e fatica.
3. In terzo luogo, il mito della caverna simboleggia anche l'aspetto ascetico – religioso del platonismo: la vita
nella caverna è la vita dell’anima prigioniera del corpo (le catene che legano i prigionieri sono i vizi e la
concupiscenza), così come la vita alla luce del sole significa la vita dell’anima liberata dal corpo ed
elevata fino all’Iperuranio; il volgersi dal sensi bile all'intellegibile è espressamente rappresentato come
"liberazione dai ceppi", come con-versione;
4. Ma il mito della caverna esprime anche la concezione etico-politica squisitamente platonica: Platone parla,
infatti, anche di un "ritorno" nella caverna di colui che si era liberato dalle catene, di un ritorno che ha come
scopo la liberazione dalle catene di coloro in compagnia dei quali egli prima era stato schiavo. E questo
"ritorno" è indubbiamente il ritorno del filosofo-politico, il quale, se seguisse il suo solo desiderio, resterebbe a
contemplare il vero, e invece, superando il suo desiderio, scende per cercare di salvare anche gli altri (il vero
politico, secondo Platone, non ama il comando e il potere, ma usa comando e potere come servizio, per
attuare il bene). Ma a chi ridiscende che cosa potrà mai capitare? Egli, passando dalla luce all'ombra, non
vedrà più, se non dopo essersi riabituato al buio; faticherà a riadattarsi ai vecchi usi dei compagni di
prigionia, rischierà di non essere da loro capito, e, preso per folle, potrà perfino rischiare di essere
ucciso: come è successo a Socrate, e come potrebbe succedere a chiunque testimoni in dimensione socratica.
Ma l'uomo che ha "visto" il vero Bene dovrà e saprà correre questo "rischio", che è poi quello che dà senso alla
sua esistenza.
13
13