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PLATONE

Ateniese, aristocratico – discepolo di Socrate


Tra le opere di Platone ci sono anche alcune lettere; tra queste la LETTERA VII è autobiografica; Platone vi
racconta la sua vita, in particolare i suoi viaggi in Italia durante i quali egli tentò ripetutamente (anche con rischi
personali) di realizzare il suo ideale di uno stato giusto, retto da governanti-filosofi. Questa lettera manifesta
l’interesse fondamentale del pensiero e della vita di Platone: la politica, la ricerca delle condizioni per una politica
giusta.

1. LA VITA:
Platone nasce ad Atene nel 427/8 a.C. ; si chiamava in realtà Aristocle, Platone (=ampio, largo) era un
soprannome che forse si riferiva alla corporatura di Platone, oppure alla sua fronte, oppure al suo pensiero e alla
sua opera.
Platone è aristocratico, discendente di una delle famiglie più illustri di Atene, aspira alla vita politica e diviene
discepolo di Socrate, nel 404 collabora con il governo dei Trenta Tiranni, ma le violenze e le ingiustizie perpetrate
dai Trenta lo allontanano dall’impegno politico diretto.
399: Condanna a morte di Socrate (Platone ha 29 anni), per Platone è un’esperienza traumatica: si convince che
anche la democrazia non assicura la giustizia.
Ha grande interesse per la politica, ma sfiducia nella democrazia, da ciò la ricerca di nuove vie, di nuove basi per
una politica giusta.
Dopo la morte di Socrate fa viaggi a Megara, a Cirene, in Egitto, poi a Taranto, governata dal pitagorico Archita
(l’influenza dei Pitagorici è fondamentale), a Siracusa, governata dal tiranno Dionigi il Vecchio (scopo: fare del
tiranno un politico-filosofo), qui Platone diventa amico di Dione, cognato di Dionigi. Ma Dionigi scaccia e fa
vendere come schiavo Platone.
387: Liberato, Platone torna ad Atene e fonda l’Accademia (scuola e comunità ; vi si impartisce un insegnamento
politico e morale, ma anche scientifico; lo scopo è formare i filosofi-politici del futuro).
367: Dionigi il Giovane chiama a Siracusa Platone (secondo viaggio); contrasti tra Dionigi e Dione: Platone torna ad
Atene.
361: nuovo invito, terzo viaggio a Siracusa presso Dionigi e nuovo fallimento.
Muore ad Atene a 80 anni nel 348/347 a.C.

2. LE OPERE
Platone ha scritto 13 lettere – l’Apologia di Socrate – 34 dialoghi. Tutte le opere scritte da Platone ci sono
pervenute, e ciò attesta che nell’Antichità e nel Medioevo sono state sempre ritenute importanti e “degne” di
essere copiate. Oggi però alcune lettere e alcuni dialoghi minori non vengono ritenuti autentici.
Ogni dialogo è dedicato a un tema particolare (l’anima, l’amore, la politica, la retorica, le leggi, la cosmologia
ecc.), la finalità etico-politica (rigenerare le poleis greche) è alla base di tutti i dialoghi; la teoria delle
Idee, fondamentale teoria platonica, attraversa tutti i dialoghi.
Nell’antichità le opere di Platone vennero divise in 9 tetralogie (gruppi di 4) sulla base del loro contenuto tematico.
Oggi si preferisce distinguere le opere in 3 gruppi corrispondenti a tre fasi della vita e del pensiero di Platone.
Scritti giovanili socratici = Platone espone (probabilmente) i dialoghi realmente avvenuti tra Socrate e i suoi
concittadini, presenta discussioni vive, animate: tra questi i più notevoli sono Apologia di Socrate, Critone,
Eutifrone, Protagora, Alcibiade .
Dialoghi della maturità = espongono, attraverso dialoghi immaginari di cui Socrate è ancora il protagonista, il
pensiero di Platone – il dialogo assume un carattere più riflessivo: sono Gorgia, Menone, Fedone, Repubblica,
Simposio, Fedro.
Dialoghi della vecchiaia o “dialettici” = Platone rivede, completa o corregge le teorie esposte nei dialoghi della
della maturità ; Socrate è meno presente: tra questi segnaliamo Teeteto, Parmenide, Sofista, Timeo, Politico,
Leggi.

3. PERCHE’ IL DIALOGO?
Platone afferma (nel “Fedro”) la superiorità dell’insegnamento orale e della parola viva sulla parola scritta: infatti
la parola scritta definisce, conclude, fissa i risultati, invece la filosofia è ricerca senza fine; in secondo luogo la
parola scritta è impersonale, non si adatta all’interlocutore, non tiene conto della sua capacità di comprendere,
delle sue obiezioni.
Nonostante affermi la superiorità del dialogo vivo sugli scritti, Platone, a differenza di Socrate, scrive:
evidentemente non intende rinunciare alla possibilità di trasmettere il suo pensiero a una cerchia più vasta di

1
ascoltatori e ai posteri, ma cerca comunque di mantenere nel testo scritto il carattere aperto e dialogico del
filosofare socratico: è per questo che sceglie il dialogo.
Ma esistono anche DOTTRINE NON SCRITTE di Platone: sul contenuto e sull’importanza di queste dottrine gli
studiosi hanno idee discordi; sembra comunque probabile che tali dottrine non contraddicano e non aggiungano
molto alle teorie di Platone esposte nei dialoghi: pertanto non le prendiamo in considerazione.

“Il fatto che Platone abbia scritto quasi esclusivamente dei dialoghi solleva un diffìcile problema. Nel dialogo l
'autore non fa udire direttamente la sua voce, ma parla attra verso i suoi personaggi, tra i quali Platone non
comprende mai se stesso: come facciamo dunque a sapere quali sono le tesi che devono essergli attribuite?
Spesso questo problema viene risolto in modo molto semplice: poiché nei dialoghi platonici c'è sempre un
personaggio che conduce la discussione (quasi sempre è Socrate) e mostra di saperne più degli altri, si considerano
"opinioni di Platone" le cose che questo personaggio dice.
Purtroppo però questa soluzione non risolve tutto. Se volessimo fare una raccolta di tutte le tesi esposte dai
"personaggi privilegiati", e chiamare questa raccolta "filosofia di Platone", otterremmo un esito piuttosto
deludente, perché quelle tesi sono spesso poco compatibili fra di loro, e a volte in chiaro contrasto. Occorre dunque
adottare un metodo un po' più accorto. In molti casi, è vero, possiamo avere una discreta fiducia che le opinioni del
personaggio privilegiato siano proprio quelle di Platone. Ma in altri casi le opinioni di Platone dovranno essere
ricavate cercando di capire che cosa l'autore abbia voluto dire al lettore facendo parlare tutti i suoi personaggi in un
certo modo; e non è detto che queste opinioni coincidano sempre con quelle del personaggio privilegiato. Anche la
scelta di scrivere dialoghi è filosoficamente importante e per nulla casuale, e non può essere spiegata semplicemente
come un "omaggio a Socrate"; occorre invece chiedersi qual è la ragione filosofica che ha spinto Platone ad
apprezzare il metodo dialogico socratico, fino al punto di adottarlo sistematicamente nella sua opera. Il fatto è che la
filosofia di Platone nasce in stretta relazione con quella dei sofisti e di Socrate. Questi pensatori avevano posto in
chiaro che la pretesa di cogliere la verità con asserzioni nette (evidente, ad esempio, in Eraclito e Parmenide) è
illusoria. Le asserzioni, infatti, sono sempre legate alle persone che le sostengono, in quanto sono persuase della loro
verità. Ma queste persone, e le loro opinioni, sono spesso in conflitto fra loro, per cui in molti casi - e in particolare
quando si trattano problemi generali come quelli filosofici - risulta difficile stabilire in astratto chi ha ragione. Di
conseguenza, chi cerca in qualche modo di avvicinarsi alla verità non può non tenere conto delle persone concrete e
delle loro opinioni, della necessità che le conclusioni raggiunte siano argomentate in modo efficace e persuasivo; e il
terreno in cui si sviluppa questo lavoro di argomentazione/persuasione (che Platone chiama "dialettica") è proprio
quello del dialogo, soprattutto nel modo in cui lo praticava Socrate. Possiamo aggiungere che attraverso il
dialogo scritto, imitazione necessariamente imperfetta del dialogo orale "socratico", Platone tenta in qualche modo
di coinvolgere nella dialettica anche il lettore, che viene stimolato a formulare le proprie tesi ed eventualmente a
raggiungere determinate conclusioni; e questo vale, soprattutto, per quei dialoghi in cui l'autore sembra non
conoscere (o voler tacere) la soluzione del problema proposto.” 1

4. IL MITO
I primi filosofi hanno rifiutato la mitologia, Platone invece inserisce nei suoi dialoghi miti: racconti di fantasia
generalmente creati da lui stesso.
Duplice funzione dei miti:
1) chiarire con immmagini una dottrina razionale difficilmente comprensibile.
2) quando si presenta un problema che la ragione non è in grado di risolvere, andare oltre i limiti della conoscenza
razionale con l’immaginazione; il mito platonico non è una dimostrazione razionale, ma non è neppure pura
fantasia, ha un contenuto verosimile, ragionevolmente plausibile – procede oltre la ragione nella direzione
tracciata dalla ragione. Esempio: la ragione afferma l’immortalità dell’anima, ma non può conoscere il destino delle
anime dopo la morte; il mito tenta di rappresentare questo destino in modo verosimile e compatibile con le
conoscenze razionali già acquisite.

5. IL NESSO TRA TEORIA DELLE IDEE E RIGENERAZIONE POLITICA,


LA CRITICA AL RELATIVISMO SOFISTICO
Platone ritiene che la crisi morale e politica che colpisce Atene (e che si manifesta nelle ingiustizie commesse
dai
governanti e nella discordia e nella violenza della cittadinanza) sia al fondo una crisi conoscitiva; in ciò egli segue
l’insegnamento del suo maestro Socrate (“la virtù è conoscenza, il vizio è ignoranza”). C’è ingiustizia ad Atene, c’è
discordia e violenza, perché non si conoscono i valori universali (il bene, la giustizia, la santità , il coraggio ecc.):
secondo Platone una convivenza giusta, ordinata e pacifica può fondarsi solo sulla conoscenza, condivisa da tutti i
cittadini, dei veri valori.
1
da Filosofia Cultura Cittadinanza vol.1 di La Vergata/Trabattoni pag.141-
2
Il suo obiettivo pertanto è arrivare a una conoscenza certa, stabile, oggettiva e quindi universale, dei valori
: bisognerà in primo luogo accertarsi dell’esistenza di questi valori, e poi stabilire in che modo essi possono essere
conosciuti da tutti (e si tratterà di una ricerca lunga e difficile).
Per raggiungere questo obiettivo Platone deve innanzitutto liberarsi dai “falsi saperi” che nascondono i veri valori
o che negano la loro esistenza e la loro conoscibilità. La critica ai “ falsi saperi” si rivolge alla cultura tradizionale
e alla sapienza dei sofisti.
Nei confronti della cultura tradizionale (quella trasmessa dai politici, dai sacerdoti e dai poeti) Platone muove
questi rilievi: essa spesso propone dei disvalori (il benessere economico, la potenza politica, i piaceri smodati) su
cui non è possibile fondare una convivenza giusta, e anche quando insegna valori autentici e comportamenti
virtuosi non è in grado di giustificarli e di motivarli razionalmente; dunque la cultura tradizionale è costituita per
lo più da pregiudizi e credenze irrazionali.
Ma la polemica di Platone si indirizza soprattutto contro i sofisti, che egli ritiene i principali responsabili della crisi
morale e politica. Infatti i sofisti, con il loro relativismo, mettono in discussione l’esistenza stessa di valori
universali; si potrebbe pensare che il relativismo faciliti la convivenza pacifica, dal momento che tutte le opinioni
sono considerate “vere” e quindi accettabili, ma in realtà - se non si ammette l’esistenza di una verità oggettiva con
cui paragonare e valutare le diverse opinioni – quando si dovranno assumere decisioni collettive importanti,
ognuno cercherà di imporre agli altri il proprio punto di vista e il proprio interesse con tutti gli strumenti di cui
dispone (retorica, forza, denaro ecc.).
Per esempio: se non si ammette l’esistenza di un criterio oggettivo di verità, allora diventa inutile cercare di far
capire agli altri la verità di una propria opinione; l’unico modo con cui si può far valer la proprio opinione è
costringere gli altri ad accettarla, utilizzando la violenza, o la corruzione, o quella forma più sottile di violenza che
è l’arte della persuasione, cioè la retorica (insegnata – non a caso – dai sofisti).
In tal modo però la vita della Polis, degenera in una competizione violenta e prevaricatrice.

Pertanto Platone, per procedere nella sua ricerca, deve confutare il relativismo (sostenuto, come sappiamo, da
Protagora: “l’uomo è misura di tutte le cose”), e lo fa con due obiezioni: 1) affermare che tutte le opinioni sono vere
non ha senso, perché se noi accettassimo questo principio allora dovremmo ammettere come vera anche la tesi che
non tutte le opinioni sono vere. Insomma la tesi relativista si auto-contraddice. 2) Anche coloro che affermano
teoricamente il relativismo di fatto non seguono questo principio nei loro comportamenti e nelle loro scelte, infatti
se hanno bisogno di cure, per esempio, non si affidano a qualsiasi persona, ma a una competente di malattie e cure;
insomma nella pratica non ritengono che tutte le opinioni siano vere, ma considerano “vere” solo le opinioni del
medico.

Perché la vita politica sia pacifica e ordinata occorre allora, secondo Platone, che tutti gli uomini possano
riconoscere la stessa verità e gli stessi valori. Occorre quindi una SCIENZA (Epistéme). Infatti i caratteri della
scienza sono la stabilità o immutabilità e l’oggettività (un’affermazione scientifica è vera sempre ed è vera per
tutti). Insomma, dopo aver sgombrato il campo dai falsi saperi, ritorniamo all’obiettivo iniziale: una
conoscenza dei valori certa, stabile, oggettiva e quindi universale.

Platone (seguendo in parte Parmenide) afferma che l’esperienza (conoscenza per mezzo dei sensi) non può
essere il fondamento della scienza, perché gli oggetti dell’esperienza sono le cose materiali che sono in continuo
movimento (come aveva notato Eraclito); inoltre l’esperienza è sempre soggettiva (ogni individuo percepisce le
cose “a suo modo”, come aveva detto Protagora, e su questo Platone è d’accordo con lui).
Dall’esperienza quindi non deriva la Scienza immutabile e oggettiva, ma l’ Opinione (Doxa) mutevole,
soggettiva, imperfetta.
La Scienza pertanto non può fondarsi sull’esperienza di oggetti materiali, ma sulla conoscenza puramente
intellettuale di oggetti intelligibili, chiamati Idee, caratterizzati da immutabilità e perfezione.
Quindi per Platone esistono due tipi di conoscenza: la conoscenza intellettuale e l’esperienza (o conoscenza
empirica), che si riferiscono a due tipi diversi di oggetti: gli oggetti intelligibili o Idee e gli oggetti sensibili o
materiali. Pertanto la realtà è costituita da due livelli o dimensioni nettamente distinti.

Il dualismo platonico (realtà a due dimensioni) costituisce una nuova conciliazione di Parmenide ed Eraclito,
realizzata in modo completamente diverso da quella di Democrito.
Infatti Democrito aveva affermato l’esistenza di una realtà eterna e immutabile, invisibile, ma pur sempre
materiale, costituita dagli Atomi. Platone invece afferma esplicitamente l’esistenza di una realtà immateriale,
spirituale, e questo è un fatto del tutto nuovo nella filosofia greca. Platone è consapevole della novità di questa
affermazione, infatti egli chiama “seconda navigazione” la scoperta della dimensione sovrasensibile.
Nel linguaggio marinaresco dell’antica Grecia la “prima navigazione” era quella a vela, la “seconda navigazione”,
invece, era quella a remi (più difficile e faticosa) che si rendeva necessaria quando il vento cadeva. Quindi Platone
con questa immagine vuol dire che la conoscenza delle Idee è una conoscenza più difficile e faticosa, che si rende
necessaria quando la semplice conoscenza della dimensione materiale si rivela insufficiente.

DUALISMO PLATONICO:

Mondo delle IDEE  Mondo delle cose materiali

Mondo delle Idee = Le Idee sono: Conoscenza delle Idee =

INTELLIGIBILI, SOVRASENSIBILI o SCIENZA = EPISTEME


Dimensione
IMMATERIALI o SPIRITUALI o
spirituale, TRASCENDENTI Certa, oggettiva, stabile

metafisica Sono IMMUTABILI, ETERNE,


PERFETTE, UNICHE (per ogni È una conoscenza intellettiva,
genere) avviene per “REMINISCENZA”

“seconda navigazione” Sono il VERO ESSERE


(corrispondono all’essere di
Parmenide)

IDEE: BENE, IDEE-VALORI


(giustizia Bellezza ecc.),

IDEE DI COSE NATURALI

IDEE MATEMATICHE (triangolo,


unità ecc.)

Mondo degli oggetti La realtà fisica è costituita da cose La conoscenza empirica delle
cose sensibili (= esperienza,
sensibili = MATERIALI, SENSIBILI, conoscenza per mezzo dei
MUTEVOLI, IMPERFETTE, sensi)
Dimensione CORRUTTIBILI, MOLTEPLICI
materiale, produce l’ OPINIONE (= DOXA)
(corrispondono alla realtà in
fisica, terrena divenire di Eraclito) che è soggettiva, incerta,

sono INTERMEDIE TRA L’ESSERE E mutevole


IL NON-ESSERE

6. RAPPORTO TRA IL MONDO DELLE IDEE E IL MONDO MATERIALE:


le cose sensibili derivano e dipendono dalle Idee; quindi le Idee sono fondamento e causa delle cose sensibili : le
IDEE sono i PRINCIPII GNOSEOLOGICI (di conoscenza), ASSIOLOGICI (di valore), ONTOLOGICI (di esistenza)
della realtà materiale.
Quindi la conoscenza delle Idee permette di conoscere e valutare la realtà terrena, di orientare l’azione nella realtà
terrena (per esempio la conoscenza dell’IDEA di GIUSTIZIA permette di capire quali azioni sono giuste e quali no)
Platone non spiega esattamente come si stabilisce questo rapporto tra le idee, ipotizza un rapporto di
IMITAZIONE (mìmesis) e di PARTECIPAZIONE (mèthexis).
Una spiegazione mitica, verosimile, della dipendenza delle cose dalle idee è fornita dal Timeo, di cui parleremo
oltre, perché è uno degli ultimi dialoghi scritti da Platone.
7. COME SI DIMOSTRA L’ESISTENZA DELLE IDEE?
Platone presenta numerose situazioni diverse che possono essere spiegate adeguatamente solo ammettendo
l’esistenza di Idee.
Per esempio: io giudico che due oggetti sono uguali; certamente questo giudizio deriva dall’osservazione dei due
oggetti, ma richiede anche che ci sia già in me il concetto di “uguaglianza”: qual è l’origine di questo concetto? E
inoltre: questo giudizio è condiviso da molte persone, quindi il concetto di “uguaglianza” non è valido solo per me, ha
un valore oggettivo.
Altro esempio: il confronto tra il cerchio perfetto, ideale, astratto, perfetto, unico, universale, e i cerchi disegnati o
rappresentati nella realtà materiale, molteplici, diversi, imperfetti.
Come vediamo, questi esempi sono tratti dalla geometria, infatti la matematica (con i suoi enti astratti) ha
ispirato a Platone la teoria delle Idee.
Tuttavia le Idee non sono soltanto matematiche: vediamo un altro argomento di Platone:
Vedo e giudico diverse cose belle: posso spiegare la bellezza (di un viso p.e.) come risultante di un insieme di elementi
fisici (occhi, bocca ecc.): tuttavia perché certi caratteri fisici formano la bellezza e altri no? E che c’entrano questi
caratteri fisici con la bellezza di un paesaggio, o di una statua? Secondo Platone la vera causa della bellezza è
l’Idea del Bello (o Bello in Sé), le cose sono più o meno belle quanto più o meno si avvicinano al Bello ideale (ma
nessuna cosa materiale sarà perfettamente bella), e io posso valutare la bellezza delle cose perché il Bello ideale è
presente nella mente; inoltre tutte le cose belle cambiano, si corrompono, la loro bellezza è provvisoria, effimera,
l’Idea del Bello invece rimane sempre perfetta, immutabile, eterna.

Esempi analoghi si possono fare per la Giustizia, per il Coraggio, per la Santità, per tutti i valori su cui si
esercitava la ricerca di Socrate (la teoria delle Idee è la risposta di Platone alle domande di Socrate).
Inoltre Platone ritiene che esistano anche Idee delle cose sensibili (p.e. l’Idea dell’Albero): anche in questo caso si
stabilisce un rapporto tra il modello ideale, unico, perfetto, immutabile, eterno, e le cose sensibili, diverse
e molteplici, mutevoli e corruttibili, imperfette.
N.B. Noi potremmo pensare che le idee di cui parla Platone non siano altro che i concetti astratti che la nostra
mente produce ricavandoli dalle nostre molteplici esperienze, ma secondo Platone le idee hanno dei caratteri di
perfezione e di immutabilità che non troviamo mai nell’esperienza, quindi non possono derivare dall’esperienza;
per esempio nel “Fedone” Platone argomenta che per renderci conto che due cose sono simili, ma non sono
perfettamente uguali, noi dobbiamo avere la nozione di “ciò che è perfettamente uguale”. Ma dal momento che
nell’universo delle cose materiali non si presentano mai casi di oggetti perfettamente uguali, non posso aver
acquisito la nozione di “perfettamente uguale” dall’esperienza sensibile.

Platone stabilisce una gerarchia tra le Idee: le idee superiori sono le Idee-valori, poi vengono le idee delle cose
sensibili e più in basso le idee matematiche. Al vertice sta l’idea del Bene, paragonata al Sole: come le cose sensibili
sono rese visibili e viventi dal Sole, così le Idee sono rese intelligibili dal Bene e traggono da esso la loro esistenza e
perfezione.

Platone quindi parte dal fatto che nella mente degli uomini ci sono dei concetti generali che permettono di
valutare l’esperienza, di comunicare con gli altri uomini e di apprendere. Questi concetti generali non sono
ricavati dall’esperienza, perché precedono e rendono possibile l’esperienza, e perché hanno caratteri di perfezione,
immutabilità, unicità che gli oggetti dell’esperienza non possiedono mai. Sono dunque concetti “innati”, ma qual
è la loro origine?
Platone afferma che le Idee sono conosciute dall’intelletto umano (sono INTELLIGIBILI), ma non sono un prodotto
dell’intelletto umano; l’unicità , eternità e universalità delle Idee esige che esse abbiano un’esistenza propria,
indipendente – d’altra parte non si tratterà di un’esistenza materiale. Le Idee esistono nell’IPERURANIO = luogo al
di là del cielo – Non è un luogo fisico indica un piano di realtà immateriale (intelligibile, spirituale).
Ma in che modo le Idee sono presenti nella mente umana, sono conosciute dall’intelletto?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima considerare la natura umana.

8. L’UOMO, LA MORTE E L’IMMORTALITA’


L’uomo è costituito da anima e corpo. La distinzione tra anima e corpo era ovvia, per la mentalità dei Greci. Ma
Platone accoglie da Socrate il principio per cui l’anima, intesa come ragione e coscienza, è la vera essenza
dell’uomo.
Per Platone esiste un’analogia tra il dualismo Idee/cose sensibili e il dualismo anima-corpo (come la realtà è
costituita da Idee immateriali e cose materiali, così l’uomo è costituito da un’anima immateriale e da un corpo
materiale).
Tuttavia il rapporto anima-corpo non riproduce esattamente il rapporto Idee-cose; infatti mentre tra le Idee e le
cose sensibili esiste un rapporto di imitazione e partecipazione, tra l’anima e il corpo esiste un rapporto di
opposizione (ciò dipende dall’influenza orfico-pitagorica: la dottrina orfica considera il corpo come carcere e
tomba dell’anima. Platone aveva conosciuto la dottrina orfica quando aveva visitato la comunità pitagorica in Italia
meridionale).
Platone comunque giustifica la “condanna” del corpo anche con un argomento più filosofico: il corpo è mosso da
bisogni e impulsi sensibili, e quindi impedisce all’anima di dedicarsi totalmente alla ricerca della verità, la quale,
come abbiamo visto, è costituita da idee immateriali; perciò il corpo è una tomba per l’anima.
Nel Dialogo “FEDONE” Socrate in prigione, nelle ultime ore di vita, dialoga con i suoi discepoli sul destino
dell’anima e sulla morte e dà quest’insegnamento: l’anima per conoscere le idee intelligibili deve sottrarsi ai
condizionamenti del corpo, il vero filosofo dunque desidera la morte e la filosofia è un esercizio di morte. La morte
è l’inizio della vera vita per l’anima, perché solo quando l’anima è separata dal corpo può conoscere direttamente e
perfettamente le Idee, e può dunque realizzarsi pienamente).
Nel “Fedone” vengono anche proposti tre prove razionali dell’ IMMORTALITA’ DELL’ANIMA:
1) l’anima conosce le idee che sono eterne, dunque ha natura affine ad esse;
2) l’anima è il principio di vita, dunque non può accogliere in sé il suo contrario, la morte (solo il corpo, che
riceve la vita dall’anima, può perderla). Platone fa l’esempio del fuoco che, essendo il principio del calore, non può
mai diventar freddo;
3) l’anima possiede conoscenze fin dalla nascita, quindi ricorda conoscenze acquisite prima della nascita
(ANAMNESI o REMINISCENZA).
Nel Dialogo “Menone” viene fornita una “prova sperimentale” dell’anamnesi: uno schiavo, privo di cognizioni
geometriche, opportunamente interrogato, risolve un problema che implica la conoscenza del teorema di Pitagora,
e quindi ciò significa che l’anima dello schiavo possedeva già alcune nozioni geometriche fondamentali, e deve
averle acquisite prima di incarnarsi nel corpo dello schiavo; ciò conferma le credenze orfiche sulla preesistenza
dell’anima e sulla metempsicosi.

9. I MITI SUL DESTINO DELL’ANIMA


Dunque l’anima è immortale (intreccio di argomentazioni razionali e dottrine religiose
orfiche).
Qual è il destino dell’anima separata dal corpo? Platone non può conoscere razionalmente la vita dell’anima post-
mortem e quindi la immagina per mezzo dei miti.
Nel “Fedone”:
Le anime in vita soggiogate dal corpo e dai piaceri si reincarnano in uomini e in animali, le anime vissute secondo
la virtù comune si reincarnano in uomini probi e animali mansueti, le anime dedite al sapere e alla virtù filosofica
vengono liberate dalla reincarnazione per sempre, si uniscono alla divinità e contemplano le Idee, le anime
macchiate da colpe inespiabili vengono condannate.
In “Repubblica”:
Platone modifica la teoria precedente affermando che il premio o il castigo meritato da ciascuna anima ha una
durata limitata (mille anni): dopo tale periodo tutte le anime si reincarnano.
In Repubblica viene narrato anche il Mito di ER: terminato il periodo del premio o del castigo le anime, prima di
reincarnarsi vengono condotte davanti alla Moira Lachesi che mostra loro diversi modelli di vita; poi ogni anima a
turno sceglie liberamente il tipo di vita che condurrà sulla terra. Le prime anime che scelgono hanno maggiori
possibilità di scelta, ma anche alle ultime restano molti modelli di vita tra cui scegliere. Le anime scelgono sulla
base delle conoscenze acquisite nelle vite precedenti.
IL SIGNIFICATO DEL MITO DI ER: contro un’idea molto diffusa nella mentalità greca, in particolare nella tragedia,
secondo cui le sorti degli uomini sono regolate da un destino che sfugge al loro controllo (il Fato), Platone sostiene
che l’uomo è responsabile dell’esistenza che vive e delle condizioni in cui si trova, e che la conoscenza è il
fondamento di una “vita buona”.
In “FEDRO”: Mito del Carro alato
L’anima è simile a un carro alato costituito da un auriga, un cavallo docile e un cavallo ribelle (= anima razionale +
anima animosa + anima concupiscibile).
Quando l’anima è separata dal corpo corre nel cielo al seguito degli Dei e giunge fino alla sommità del cielo dove
contempla le Idee nella Pianura della Verità (cioè l’Iperuranio). Ma la salita verso la pianura della verità è
contrastata dal cavallo ribelle, che trascina l’anima verso il basso.
Perciò molte anime arrivano faticosamente alla Pianura della verità e vedono le Idee fugacemente, altre anime non
raggiungono la Pianura della Verità , si accalcano, le loro ali si spezzano e precipitano verso terra, incarnandosi
in un corpo. La loro vita sarà più o meno buona a seconda di quanto hanno potuto vedere nella Pianura della
Verità . N.B. questo mito supera la contrapposizione anima-corpo (l’anima è razionale – il corpo sede degli istinti
e delle passioni): infatti è nella stessa anima sono che compresenti tendenze e forze diverse:
1) la razionalità > uomini saggi e giusti;
2) l’animosità (o irascibilità ) > uomini forti e coraggiosi;
3) la concupiscenza di cose materiali > uomini sottomessi agli istinti corporei.
A questo mito si ricollegano la dottrina dell’Eros e la dottrina dello Stato ideale (vedi oltre).

10. LA CONOSCENZA UMANA


Abbiamo già visto che la vera conoscenza (epistéme) è conoscenza intellettuale delle Idee eterne, perfette e
immateriali.
Abbiamo detto che le Idee non derivano dall’esperienza, anzi la precedono e permettono di conoscere e valutare le
cose sensibili: sono Idee innate.
La dottrina della metempsicosi permette di spiegare la presenza nella mente umana di Idee innate: l’anima ha
contemplato le Idee prima di legarsi ad un corpo. Il trauma della caduta in un corpo provoca l’oblio delle idee
contemplate, che tuttavia rimangono nel profondo dell’anima e possono essere recuperate: la conoscenza consiste
nel ricordare le Idee dimenticate = REMINISCENZA o ANAMNESI = tesi esposta nel Fedone e nel Menone,
basandosi sia su considerazioni mitico-religiose (credenze orfiche) sia sul ragionamento (esperimento dello
schiavo-geometra).
L’esperienza delle cose sensibili (che assomigliano imperfettamente alle idee) svolge solo il compito di risvegliare
il ricordo delle Idee, poi la conoscenza delle Idee procede per via razionale: in Platone la DIALETTICA diventa il
procedimento razionale-discorsivo che consente di passare da un’idea all’altra e di stabilire i collegamenti e la
gerarchia delle Idee.
Gradi della conoscenza:
SCIENZA (EPISTEME) OPINIONE (DOXA)
NOESIS DIANOIA PISTIS EIKASIA
Intellezione Conoscenza mediana credenza Immaginazione
filosofica (include le arti
imitative)
Idee superiori Idee matematiche Cose sensibili Immagini delle
Cose sensibili
La matematica si serve di rappresentazioni sensibili e si basa su principi primi presupposti ma non conosciuti
come veri. (“il modo di pensare utilizzato dai matematici e geometri assume semplicemente come data l’esistenza di
certi oggetti intelligibili, come il cerchio, il punto ecc. ; il pensiero veramente filosofico, al contrario, ha il compito di
dimostrare che gli oggetti suoi propri, cioè le idee, esistono necessariamenente”).
La intellezione filosofica, servendosi della dialettica, giunge alla conoscenza dei principi primi, inoltre non si
mescola mai alla rappresentazione sensibile.
N.B. Platone colloca le arti imitative (quelle cioè che imitano la realtà materiale, come p.e. la pittura) al livello
dell’immaginazione, vale a dire al livello più basso della conoscenza, perché i loro prodotti sono copie di copie, e
perché queste arti non si rivolgono alla ragione, ma ai sensi e alla sfera emotiva dell’uomo; quindi Platone svaluta
le arti dal punto di vista conoscitivo ed etico.

11. CONOSCERE LE IDEE – LA DIALETTICA


“Platone ha dimostrato che le idee esistono e sono spirituali (intelligibili, immateriali, trascendenti). Ma come
giungere a conoscerle, e in che misura questo è possibile? Com’è possibile rispondere alla domanda di Socrate, che si
chiedeva che cosa sono il bene, il bello, il giusto (in quanto universali)? Si tratta di un difficile problema, perché nei
dialoghi non si trovano mai delle vere e proprie definizioni di questi valori universa li. Ma ciò significa che le idee non
si possono conoscere? Che ne sarebbe, se così fosse, dell'impresa filosofica tentata da Platone? Se l'idea di fondo di
Platone è che la realizzazione della giustizia dipende dall'esistenza di valori universali (le idee) da utilizzare come
modello, è chiaro che questi valori devono potere essere in qualche modo conosciuti, altrimenti il modello non
potrebbe essere mai tradotto in pratica. E in effetti per Platone le idee, anche se non possono essere compiutamente
definite, non sono certo inconoscibili in assoluto. In primo luogo, come sappiamo dalla dottrina della reminiscenza, c'è
un momento in cui l'uomo ha conosciuto le idee in modo completo e perfetto. Nel Fedone Socrate afferma che
l'anima può conoscere pienamente le idee solo quando è separata dal corpo, e nel Fedro dice che essa ha
conosciuto le
idee prima di incarnarsi, viaggiando nel mondo iperuranio al seguito degli dei. Rimane tuttavia aperto il
problema di capire che cosa l'uomo può fare, adesso, per conoscere le idee. Seguiamo, a questo scopo, le indicazioni
suggerite dalla dottrina della reminiscenza. Se le idee sono separate dalla dimensione sensibile (sono soprasensibili,
trascendenti), gli uomini, che vivono in essa, non hanno la possibilità di conoscerle in modo diretto. In altre parole,
nel sapere filosofico la verità non si impone alla mente in forma immediata, come una cosa presente. Il massimo che
gli uomini possono fare è seguire la traccia dei loro ricordi, tentando di descriverli con le parole in modo
sempre più corretto .
Ma questo metodo, proprio perché, ha carattere discorsivo e indiretto, rimarrà sempre in qualche modo più debole
della pura visione delle idee disponibile solo per l'anima disincarnata: la descrizione di una cosa che nessuno può
attualmente vedere è infatti un tipo di conoscenza necessariamente inferiore alla sua visione diretta.
Alla luce di tutto questo ben si capisce perché Platone insista, nel Simposio ma anche nel Fedro e altrove, sulla
differenza che c'è tra la sophìa, cioè la sapienza piena e completa, e la philo-sophìa, che invece è "amore per la
sapienza". Secondo Platone, infatti, la sophìa appartiene in modo continuativo solo agli dei. Invece gli uomini possono
prendervi parte, nella misura in cui ci riescono, solo quando le loro anime sono disincarnate (separate dal corpo).
Nella loro condizione terrena, gli uomini devono accontentarsi della philo-sophìa: una parola in cui il pre fisso philo-
indica che il sapere di cui qui si parla è oggetto di una tensione infinita, qualcosa che si desidera ma non si
possiede mai sino in fondo (se questo accadesse, infatti, la philo-sophìa si trasformerebbe in sophìa).
Poiché il tentativo di conoscere le idee nel modo diretto con cui noi conosciamo le cose sensibili non è
realizzabile nella vita terrena, il filosofo sarà costretto a passare dal metodo della visione diretta al metodo dei
“discorsi” (lògoi), cioè al metodo di interrogare le anime circa quanto hanno visto prima di nascere, e farle dialogare
tra loro per confrontare i ricordi.
Quanto detto non significa che il filosofo debba accontentarsi, come tutti gli altri uomini, della semplice
opinione. Come si legge in un celebre passo della Repubblica, gli uomini comuni “amano l’opinione” (sono “filo-dossi”),
mentre il filosofo ama il sapere. Dunque il filosofo si distingue dagli altri perché si sforza di procedere nella
conoscenza delle idee attraverso ragionamenti. Il filosofo tuttavia rimarrà sempre consapevole che la sua scienza non
è mai compiuta e definitiva. Sintetizzando: per Platone l’uomo non solo può stabilire che le idee esistono, ma può
anche conoscere le loro caratteristiche, purché sia consapevole che si tratterà di una conoscenza parziale,
approssimativa e indefinitamente incrementabile. Non è possibile, in altre parole, rispondere alla domanda socratica
in modo compiuto e definitivo, e questo è il motivo per cui Platone evita di proporre delle vere e proprie definizioni
delle idee. Tuttavia l’uomo ha la possibilità, usando la sua ragione discorsiva, di avviare e via via aumentare la sua
conoscenza di esse.
La “Dialettica” (indagata soprattutto nei dialoghi della vecchiaia, che appunto per questo sono chiamati anche
“dialoghi dialettici”) è appunto il metodo discorsivo , cioè fondato sull’uso di concetti, parole e proposizioni, in cui le
idee vengono spiegate mettendole in relazione le une con le altre. Quando descriviamo una cosa con le parole, infatti,
non facciamo altro che mettere in relazione questa cosa con altre, individuando che cosa di essa può essere detto e
che cosa no. Aiutiamoci con un esempio: vogliano sapere “che cos’è la giustizia” (ossia qual è il contenuto dell’dea
universale di Giustizia). Il metodo da seguire consisterà nel mettere in relazione l’dea di giustizia in negativo con le
cose che non è e in positivo con le cose che è. Nel primo caso troveremo, ad esempio, che la Giustizia non è
compatibile con l’empietà, nel secondo caso troveremo che la “Giustizia è coraggiosa”, cioè compatibile con il
coraggio e incompatibile con la viltà . Quanto più numerose sono le relazioni, negative e positive, tanto più si precisa
la nostra conoscenza di “che cos’è” la Giustizia, anche se non arriveremo mai a una conclusione davvero definitiva,
perché il lavoro dialettico qui prospettato è praticamente infinito”.
12. L’EROS PLATONICO
La conoscenza delle Idee è l’esito di una ricerca razionale, lunga e difficile, praticabile da pochi. Tuttavia Platone
propone anche un’altra via per raggiungere le idee, accessibile a molti, basata sulla Bellezza e sull’EROS inteso
come desiderio della Bellezza.
Alla teoria dell'amore sono dedicati due dei dialoghi più artisticamente perfetti, il Convito (o Simposio) ed il
Fedro.
(ambedue appartengono ai dialoghi della maturità ).
IL “CONVITO” (o “SIMPOSIO”)
Il Convito è un dialogo che si svolge durante un banchetto, nel corso del quale ognuno dei convitati tiene un
discorso in lode di Eros: i discorsi che gli interlocutori del Convito pronunciano l'un dopo l'altro in lode di Eros
esprimono i caratteri subordinati e accessori dell'amore, caratteri che la dottrina esposta da Socrate unifica e
giustifica. Pausania distingue dall'eros volgare, che si rivolge ai corpi, l’eros celeste, che si rivolge alle anime. Il
medico Erissimaco vede nell’Amore una forza cosmica che determina le proporzioni e l'armonia di tutti i fenomeni
così nell'uomo come nella natura. Aristofane, col mito degli esseri primitivi composti d'uomo e donna (androgini),
divisi dagli dèi per punizione in due metà di cui l'una va in cerca dell'altra per riunirsi con lei e ricostituire l'essere
primitivo, esprime uno dei caratteri fondamentali che l'amore rivela nell'uomo: l’insufficienza. Da questo
carattere, appunto, prende le mosse Socrate: l'amore desidera qualche cosa che non ha, ma di cui ha bisogno, ed è
quindi mancanza. Per spiegare questo Socrate narra un mito che lui stesso ha sentito da una donna, la
sacerdotessa Diotima: secondo questo mito Eros è stato concepito durante i festeggiamenti degli dei per la
nascita di Venere: una donna, di nome Penìa (Povertà ), vedendo il dio Poros addormentato e ubriaco, aveva colto
l’occasione per giacere con lui e per averne un figlio; quindi per il mito Eros è figlio di Povertà (Penìa, donna) e di
Ingegno/Espediente (Poros, dio); come tale esso non è un dio, ma un demone (un semidio); perciò non ha la
bellezza ma la desidera, non ha la sapienza, ma aspira a possederla, ed é quindi filosofo, mentre gli dèi sono
sapienti.
L'amore è dunque desiderio di bellezza (Eros infatti è stato concepito mentre si festeggiava la dea della bellezza); e
la bellezza si desidera perché è il bene che rende felice. L'uomo che è mortale tende a generare nella bellezza e
quindi a perpetuarsi attraverso la generazione, lasciando dopo di sé un essere che gli somiglia. La bellezza è il fine,
l'oggetto dell'amore. Ma la bellezza ha gradi diversi ai quali l'uomo può sollevarsi solo successivamente attraverso
un lento cammino. In primo luogo, è la bellezza di un bel corpo quella che attrae ed avvince l'uomo. Poi egli si
accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così passa a desiderare e ad amare tutta la bellezza corporea. Ma al
disopra di essa c'è la bellezza dell'anima; al disopra ancora, la bellezza delle istituzioni e delle leggi e poi la
bellezza delle scienze. Infine, al disopra di tutto, la bellezza in sé (l’idea della bellezza), che è eterna, superiore al
divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a se stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia.
Il “FEDRO”
Come l'anima umana può percorrere i gradi di questa gerarchia, fino a giungere alla bellezza suprema? È questo il
problema del Fedro; il quale parte perciò dalla considerazione dell'anima.
Il dialogo intitolato Fedro prende il nome dal giovane con cui Socrate conversa durante una passeggiata nei
dintorni di Atene. Il dialogo affronta diversi temi: l’amore, la costituzione dell’anima, la scrittura, la retorica;
prendiamo qui in considerazione il tema dell’amore, che viene affrontato in un modo piuttosto insolito. Infatti
all’inizio Socrate svolge un discorso in cui condanna l’amore in quanto esso mette l’uomo in una condizione
irrazionale, in una specie di follia che può recare solo danni sia all’amante che all’amato. Subito dopo però Socrate
dice di aver sentito il richiamo del “suo” demone: la voce interiore (che Socrate sempre avverte quando fa qualcosa
di sbagliato) lo ha rimproverato perché il suo discorso contro Eros era ingiusto ed empio. Socrate quindi, per
riparare alla sua colpa, tiene un altro discorso, questa volta in lode di Eros: in questo nuovo discorso Socrate
afferma ancora che l’amore è una forma di follia, ma una follia che è un dono divino ed è pertanto benefica (come
altre “follie” benefiche di origine divina, per esempio l’estasi in cui cadono le sacerdotesse che profetizzano nel
tempio di Apollo).
Per spiegare la natura divina e benefica dell’amore Socrate racconta un nuovo mito, attraverso il quale si può
esprimere “per via umana e più breve” la natura dell’anima. L’anima è simile ad una biga, costituita da una coppia
di cavalli alati, guidati da un auriga: l'uno dei cavalli (quello bianco) è eccellente, l'altro (quello nero) è pessimo,
sicché l'opera dell'auriga è difficile e penosa. (l’auriga rappresenta la ragione, il cavallo bianco rappresenta la
volontà forte e quello nero rappresenta la concupiscenza, vale a dire il desiderio di beni materiali). L'auriga cerca
di indirizzare nel cielo i cavalli al sèguito degli dèi, verso la regione sopraceleste (iperuranio) che è la sede del vero
essere (delle idee eterne). In questa regione sta la «vera sostanza», cioè la totalità delle idee (giustizia in sé,
temperanza in sé ecc.) che può essere contemplata solo da quella guida dell'anima che è la ragione. Ma essa può
essere contemplata solo per poco dall'anima che è tirata in basso dal cavallo nero. Ogni anima perciò contempla le
idee più o meno. La contemplazione delle idee nutre le ali della biga, e quindi l’anima che più contempla le idee
potrà più facilmente rimanere nel cielo, mentre l’anima che contempla poco le idee si indebolisce e si appesantisce.
Così l’anima si allontana sempre più dall’iperuranio, finché perde le ali e cade sulla terra, s’incarna e va a vivificare
il corpo di un uomo che sarà tale quale essa lo rende: l'anima che nell’iperuranio ha visto di più va nel corpo di un
uomo che si consacra al culto della sapienza o dell'amore; quelle che hanno visto di meno s'incarnano in uomini
che sono via via più alieni dalla ricerca della verità e della bellezza.
Ora nell'anima che è caduta e si è incarnata, il ricordo delle sostanze ideali è risvegliato proprio dalla bellezza.
L'uomo difatti riconosce subito, appena la vede, la bellezza per la sua luminosità. La vista, il più acuto dei sensi
corporei, non vede nessuna delle altre idee; può vedere però la bellezza. «Alla sola bellezza toccò il privilegio
d'essere la più evidente e la più amabile». Essa fa da mediatrice fra l'uomo caduto e il mondo delle idee; e
all'appello di essa l'uomo risponde con l'amore. È vero che l'amore può anche rimanere attaccato alla bellezza
corporea e pretendere di godere solo di questa; ma quando l'amore venga sentito e realizzato nella sua vera
natura, allora si fa guida dell'anima verso il mondo delle idee. In questo caso non è più soltanto desiderio, impulso,
delirio; i suoi caratteri passionali non vengono meno, ma sono subordinati e fusi nella ricerca dell'essere in sé,
dell'idea. L'eros così diventa una forza che, con la mediazione della bellezza, rimette all’anima le antiche ali
perdute e lo innalza verso il modo soprasensibile, dove l’anima sarà di nuovo libera e felice.
13. LA FILOSOFIA POLITICA
Dialogo della maturità :
“REPUBBLICA”.
 Tema: lo Stato ideale, che non esiste e non esisterà mai, ma che deve costituire il termine di confronto per
gli Stati reali.
Il problema è la Giustizia: non può esistere uno Stato senza Giustizia, nessuna società umana può basarsi solo sui
rapporti di forza, senza un principio di giustizia condiviso la società umana si dissolverebbe (esempio: perfino una
banda di criminali rimane unita grazie a dei principi di giustizia condivisi).
Allora bisogna capire in che cosa consiste la giustizia nello Stato.
Come nascono gli Stati? Gli uomini si uniscono e si dividono i compiti e i ruoli per poter vivere meglio
… I compiti fondamentali in qualsiasi comunità organizzata sono:
1) il governo 2) la difesa 3) la produzione di beni materiali
Devono essere assegnati ai cittadini in modo giusto = corrispondenza tra il carattere dei cittadini e il ruolo loro
assegnato.
Bisogna allora far riferimento alla “mappa” dell’anima tracciata nel mito del Carro Alato (Fedro) =
se nell’anima prevale…
1) la razionalità (la testa) > uomini saggi e giusti > Governo (filosofi governanti)
2) l’animosità o irascibilità (il torace)>uomini forti e coraggiosi > Difesa (custodi – guerrieri)
3) l’appetitività o concupiscenza di cose materiali (il ventre) > uomini sottomessi agli istinti corporei >
produzione dei beni materiali (artigiani, mercanti, agricoltori, pescatori ecc.)

Analogia tra lo Stato e l’uomo: nell’uomo deve comandare la ragione, e l’anima animosa e quella appetitiva devono
essere sottomesse.
Nello Stato devono comandare gli uomini Razionali (FILOSOFI) e gli uomini Animosi (CUSTODI) e Concupiscenti
(PRODUTTORI) debbono obbedire ai filosofi.
Nello Stato Ideale non c’è eguaglianza tra i cittadini e non c’è democrazia: non tutti debbono partecipare al governo
ma solo i Sapienti o Filosofi, perché solo essi conoscono e amano le idee del Bene, della Giustizia e le altre Idee-
valori, e dunque governeranno in modo giusto, cercando il Bene di tutto lo Stato e di tutti i cittadini – essi saranno
felici procurando il bene non solo a se stessi, ma a tutti; quindi non saranno mai Tiranni.
Virtù dei cittadini:
Filosofi governanti = sapienza
Guerrieri o custodi = forza
Produttori = temperanza
La giustizia è l’armonia tra le parti della città , è la virtù di tutti i cittadini: c’è giustizia quando i compiti sono
assegnati ai cittadini secondo le loro attitudini, quando c’è equilibrio e collaborazione tra le tre parti della
cittadinanza e quando tutti obbediscono ai Filosofi governanti.
I governanti filosofi non governano con le leggi (che non tengono conto delle situazioni particolari) ma decidono
sulla base della loro conoscenza del Bene e del Giusto. Hanno un potere assoluto.
L’assegnazione di ogni cittadino al suo gruppo sociale non avviene per nascita, ma è decisa dai filosofi che
valutano l’anima del cittadino.
Come evitare il pericolo della Tirannia (cioè che il governante coltivi i propri interessi e non il bene di tutti)?
È vero che i filosofi conoscono e amano il bene e la giustizia, però sappiamo che gli uomini nella vita terrena non
possono raggiungere una conoscenza e una virtù perfetta, quindi occorrono delle condizioni che favoriscano un
esercizio virtuoso del potere. Queste condizioni sono l’educazione e il comunismo.
Educazione: formazione fisica, studio delle scienze, della matematica, della filosofia, tirocinio nel governo prima di
assumere il potere: solo in età avanzata, dopo aver studiato per decenni e dopo esser stati messi alla prova in un
lungo tirocinio, i filosofi potranno assumere pienamente il potere.
Comunismo (riguarda solo i Filosofi e i Guerrieri-Custodi, in quanto anch’essi in una certa misura partecipano al
governo) = Condivisione di tutti i beni e anche dei figli e dei rapporti sessuali, per evitare la tentazione di
arricchirsi e di favorire la propria famiglia. Anche le donne fanno parte della “comune filosofica” e possono
governare. I filosofi-governanti formano una comunità (sul modello delle comunità pitagoriche) e debbono
condividere tutto e vivere in modo austero.
La massa dei cittadini, costituita da produttori, ha proprietà private e famiglia, infatti il comunismo platonico (a
differenza di quello contemporaneo) non risponde all’esigenza di creare un’eguaglianza sociale tra tutti i cittadini.

Dialoghi della vecchiaia: II "Politico" e le


"Leggi"
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Dopo la Repubblica, Platone tornò ad occuparsi espressamente della tematica politica soprattutto nel Politico e
nelle Leggi. Non ritrattò il progetto della Repubblica, perché questo rappresenta un ideale, ma cercò di dar forma
ad alcune idee che giovassero alla costruzione di uno "Stato secondo", ossia di uno Stato che viene dopo quello
ideale, ossia di uno Stato che tenga maggiormente conto degli uomini come sono effettivamente e non solo come
dovrebbero essere.
Nella Città ideale della “Repubblica” non c’erano leggi, perché i filosofi-governanti potevano decidere in ogni
situazione in base alla loro conoscenza del bene e del giusto. Ma nello Stato reale, dove ben difficilmente
potrebbero trovarsi uomini capaci di governare “con virtù e scienza” al di sopra della legge, deve essere sovra-na la
legge, e quindi occorre elaborare costituzioni scritte.
Le costituzioni storiche, che sono imitazioni di quella ideale (o corruzioni della medesima), possono essere tre:
1. se è un uomo solo che governa e imita il politico ideale, si ha la monarchia;
2. se è una moltitudine di uomini ricchi che imita il politico ideale, si ha l’ aristocrazia
3. se è il popolo tutto che governa e cerca di imitare il politico ideale, si ha la democrazia.
Quando queste forme di costituzione si corrompono e i governanti cercano il proprio tornaconto e non quello
pubblico, nascono:
1. la tirannide;
2. l'oligarchia;
3. la demagogia.
Se gli Stati sono ben governati, la prima forma di governo (la monarchia) è la migliore; quando sono corrotti,
invece, è migliore la terza forma (demagogia), perché la libertà resta garantita. La tirannide è il governo peggiore e
il tiranno è l’uomo più malvagio e infelice.
In “Leggi” Platone propone inoltre la Costituzione mista, vale a dire un sistema politico in cui tutte tre le forme di
governo siano compresenti.

14. LA COSMOLOGIA NEL “TIMEO”


Il “Timeo” = dialogo della vecchiaia > problema del rapporto tra Idee e mondo materiale (nelle opere precedenti
era stato definito di imitazione e di partecipazione, senza però che ne venisse chiarito il fondamento).
Nello stesso tempo Platone propone una COSMOLOGIA = rappresentazione dell’universo fisico nei suoi caratteri
essenziali.
Ma del mondo sensibile non è possibile avere una conoscenza scientifica (episteme), la quale ha come oggetto solo
le Idee.
Pertanto Platone ricorre al mito > rappresentazione verosimile dell’universo e del rapporto tra idee e mondo
sensibile.
Il Mito del Demiurgo :
In origine esistevano le Idee e la Chora. La Chora è la materia originaria, informe, caotica, in
perenne divenire.
Un Dio, chiamato DEMIURGO (artefice), per amore del Bene, è intervenuto sulla Chora, per imprimere in
essa ordine e stabilità. Ha modellato la Chora imitando le Idee perfette e immutabili e così ha creato tutte le cose
sensibili, che pertanto sono copie materiali e imperfette delle Idee immateriali e perfette (es. = persone, creta,
scultore > statue = Idee, Chora, Demiurgo > cose sensibili).
Perciò : le cose sensibili sono copie delle Idee, e hanno una certa stabilità e durata, una certa forma e bellezza
proprio perché derivano dalle Idee.
Ma poiché le cose sensibili sono solo copie, tratte dalla Chora, allora saranno inferiori alle Idee, saranno segnate
dall’imperfezione, dal divenire e dalla morte.
La Chora è il principio negativo di tutto ciò che esiste
Le idee sono il principio positivo di tutto ciò che esiste.
La realtà sensibile è intermedia, partecipa della positività delle Idee ma anche della negatività della Chora.
I caratteri fondamentali dell’Universo.
Il Demiurgo ha creato l’universo utilizzando anche le idee matematico-geometriche: pertanto l’universo ha un
ordine e una struttura geometrico-matematica (cfr. Pitagorici), l’universo è sferico e gli astri e i pianeti sono
sferici, i movimenti dei corpi celesti sono sempre circolari. Tutte le cose hanno forme riconducibili a solidi
geometrici (Platone ha individuato i cinque solidi regolari, denominati appunto platonici)

cubo tetraedro dodecaedro ottaedro icosaedro

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Inoltre il mondo è dotato di un’anima immortale, causa dei movimenti che avvengono nell’universo.
Il tempo è l’immagine mobile dell’eternità (l’eternità delle Idee è un eterno presente, in cui non c’è prima e dopo,
era e sarà ; invece nel tempo l’eternità si svolge attraverso l’era e il sarà ).
15. IL MITO DELLA CAVERNA (IN “REPUBBLICA”), SINTESI DEL PENSIERO DI PLATONE
Nel pensiero di Platone troviamo due tendenze che talvolta possono apparire divergenti e contradditorie:
1) la tendenza all’impegno etico-politico, alla ricerca dei valori universali per orientare il comportamento
individuale e collettivo nella vita terrena, per “salvare” l’uomo e la città dalla crisi morale e politica. Nell’ambito di
questa tendenza le idee costituiscono dei modelli e dei criteri per le azioni e le cose del mondo sensibile. Questa
tendenza continua e completa l’insegnamento di Socrate.
2) la tendenza ascetico – religiosa a liberarsi dal carcere del corpo e dalle catene della vita mondana, per ascendere
purificati al mondo spirituale delle Idee perfette ed eterne. Nell’ambito di questa tendenza viene affermata
un’opposizione tra l’anima e il corpo, tra la dimensione spirituale e quella materiale. Questa tendenza deriva dalla
religione orfica.
Queste due tendenze però possono anche integrarsi e completarsi a vicenda, come ci viene spiegato dal Mito della
Caverna.

“Al centro della “Repubblica” si colloca un celeberrimo mito detto "della caverna". Il mito è stato via via visto come
simboleggiante la metafisica, la gnoseologia e la dialettica, e anche l'etica e la mistica platonica: è il mito che esprime
tutto Platone, e, con esso, quindi, concludiamo.
Immaginiamo degli uomini che vivano in una caverna che abbia l'ingresso aperto verso la luce per tutta la sua
larghezza, con un lungo andito d'accesso; gli abitanti di questa caverna sono legati alle gambe e al collo in modo che
non possano girarsi e che quindi possano guardare unicamente verso il fondo della caverna medesima. Alle spalle dei
prigionieri (tra loro e l’ingresso della caverna) c’è un muricciolo ad altezza d'uomo e dietro questo (e quindi
interamente coperti dal muricciolo) si muovono degli uomini che portano sulle spalle statue lavorate in pietra e in
legno, raffiguranti tutti i generi di cose. Immaginiamo, ancora, che dietro questi uomini arda un grande fuoco. Infine,
immaginiamo che la caverna abbia una eco e che gli uomini che passano al di là del muro parlino, in modo che dal
fondo della caverna le loro voci rimbalzino per effetto dell'eco.
Ebbene, se così fosse, quei prigionieri non potrebbero vedere altro che le ombre delle statuette che si proiettano sul
fondo della caverna e udrebbero l'eco delle voci: ma essi crederebbero, non avendo mai visto altro, che quelle ombre
fossero l'unica e vera realtà e riterrebbero anche che le voci dell'eco fossero le voci prodotte da quelle ombre. Ora,
supponiamo che uno di questi prigionieri riesca a sciogliersi con fatica dai ceppi; ebbene, costui con fatica riuscirebbe
ad abituarsi alla nuova visione che gli apparirebbe; e, abituandosi, vedrebbe le statuette muoversi al di sopra del
muro, e capirebbe che quelle sono ben più vere di quelle cose che prima vedeva e che ora gli appaiono come ombre. E
supponiamo che qualcuno tragga il nostro prigioniero fuori della caverna; ebbene, egli resterebbe abbagliato prima
dalla gran luce, e poi, abituandosi, vedrebbe le cose stesse, prima riflesse nelle acque e poi in se stesse, e, da ultimo,
prima riflessa e poi in sé, vedrebbe la luce stessa del sole, e capi rebbe che queste e solo queste sono le realtà vere e
che il sole è causa di tutte le altre cose visibili.
I QUATTRO SIGNIFICATI DEL MITO DELLA CAVERNA
Che cosa simboleggia il mito?
1. Innanzi tutto i vari gradi ontologici della realtà, cioè i generi dell'essere sensibile e soprasensibile con le loro
suddivisioni: la caverna rappresenta il mondo sensibile e i prigionieri sono gli uomini, abitanti del mondo, il
fuoco rappresenta il sole, le statue sono le cose sensibili e le ombre sul fondo della caverna sono le immagini
delle cose; il mondo esterno alla caverna rappresenta l’Iperuranio, il mondo delle Idee, gli oggetti nel mondo
esterno rappresentano le Idee superiori, le loro immagini riflesse nell’acqua rappresentano le Idee
matematiche, il sole rappresenta l’Idea suprema del Bene, che dà vita e luce a tutto il mondo ideale;
2. In secondo luogo, il mito simboleggia i gradi della conoscenza nelle due specie e nei due gradi di queste: la
visione delle ombre simboleggia l’ Eikasìa o immaginazione, e la visione delle statue simboleggia la Pìstis
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credenza; la visione degli oggetti riflessi nell’acqua rappresenta la Diànoia (conoscenza mediana delle idee
matematiche) e la visione degli oggetti e del sole, prima mediata e poi immediata, rappresenta la pura
intellezione (Nòesis) delle Idee e dell’idea del Bene. L’abbagliamento che colpisce il prigioniero quando esce
dalla caverna significa che l’uomo per conoscere le idee deve affrontare un percorso di apprendimento che
richiede tempo e fatica.
3. In terzo luogo, il mito della caverna simboleggia anche l'aspetto ascetico – religioso del platonismo: la vita
nella caverna è la vita dell’anima prigioniera del corpo (le catene che legano i prigionieri sono i vizi e la
concupiscenza), così come la vita alla luce del sole significa la vita dell’anima liberata dal corpo ed
elevata fino all’Iperuranio; il volgersi dal sensi bile all'intellegibile è espressamente rappresentato come
"liberazione dai ceppi", come con-versione;
4. Ma il mito della caverna esprime anche la concezione etico-politica squisitamente platonica: Platone parla,
infatti, anche di un "ritorno" nella caverna di colui che si era liberato dalle catene, di un ritorno che ha come
scopo la liberazione dalle catene di coloro in compagnia dei quali egli prima era stato schiavo. E questo
"ritorno" è indubbiamente il ritorno del filosofo-politico, il quale, se seguisse il suo solo desiderio, resterebbe a
contemplare il vero, e invece, superando il suo desiderio, scende per cercare di salvare anche gli altri (il vero
politico, secondo Platone, non ama il comando e il potere, ma usa comando e potere come servizio, per
attuare il bene). Ma a chi ridiscende che cosa potrà mai capitare? Egli, passando dalla luce all'ombra, non
vedrà più, se non dopo essersi riabituato al buio; faticherà a riadattarsi ai vecchi usi dei compagni di
prigionia, rischierà di non essere da loro capito, e, preso per folle, potrà perfino rischiare di essere
ucciso: come è successo a Socrate, e come potrebbe succedere a chiunque testimoni in dimensione socratica.
Ma l'uomo che ha "visto" il vero Bene dovrà e saprà correre questo "rischio", che è poi quello che dà senso alla
sua esistenza.

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