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Rete

d’impresa e tecnologie della comunicazione


Di Cristiano Buffa

Premessa

L’introduzione di tecnologie ICT nelle PMI è considerata, già da parecchi anni, uno dei temi
strategici del processo d’innovazione del sistema paese. Sulle imprese stanno di fatto
convergendo molteplici politiche territoriali di potenziamento che prevedono, come parte
integrante del processo di rinnovamento imprenditoriale, un adeguamento delle organizzazioni
al nuovo modello di società della conoscenza1. Le tecnologie della comunicazione stanno
evolvendo e stanno modificando le modalità di fare business e operare sul mercato e,
coerentemente, le attuali politiche a favore delle reti d’impresa cercano di favorire l’adozione di
strumenti ICT, più flessibili e collaborativi, per qualificare la produzione e migliorare la
competitività sul mercato.
Un efficace stimolo all’innovazione dovrebbe, infatti, essere rappresentato dai processi di
networking che progressivamente consentono alle imprese di superare l’isolamento e
l’individualismo imprenditoriale. Il tema dei network d’imprese ha avuto con i distretti un
primo e significativo momento di sperimentazione dei vantaggi dei processi collaborativi, resi
ancor più funzionali, per le imprese che hanno saputo utilizzarli, dall’implementazione di
sistemi informativi di rete.
L’azione congiunta dei governi locali, delle associazioni di categoria e delle imprese più
innovative hanno reso possibile l’attivazione, con il supporto scientifico dell’Enea, di laboratori
di eccellenza nella progettazione e nello sviluppo di sistemi intelligenti di cooperazione nelle
filiere industriali di alcune regioni italiane. Ma, anche se, da un punto di vista razionale, tutto
dovrebbe far credere che i processi innovativi sono ormai avviati e già in corso, la situazione
reale del rapporto tra imprese e tecnologie ICT oggi in Italia è “abbastanza” problematica.
Nel novembre 2011, Piero De Sabbata, un progettista dell’Enea impegnato in Emilia Romagna
nello sviluppo della Rete Regionale dell’Alta Tecnologia, in un workshop per le PMI, nel
presentare le tecnologie per le reti d’impresa ha tracciato una interessante distinzione. Ha
parlato di “promesse dell’ICT” e di una realtà di fatto, distinguendo cioè tra ciò che la tecnologia
è in grado di realizzare e una realtà costituita da imprese culturalmente incapaci di operare in
modo collaborativo, per ragioni che spaziano da una eccessiva complessità del sistema ICT e
dalla mancanza di interoperabilità tra i sistemi prodotti dalle diverse softwarehouse, alla scarsa
competenza e alla diffusa incompetenza in merito ai modelli di governance dell’ICT e
dell’innovazione. 2
Con questa distinzione, ha evidenziato problemi che riguardano da una parte il vissuto delle
imprese, il loro background socioculturale e dall’altra il modo un po’ disordinato, senza visione
sistemica, che ha caratterizzato la diffusione della tecnologia ICT in Italia. Penso che, con
qualche precisazione e approfondimento, siano questi i due poli tra cui si gioca la realizzazione
della svolta innovativa delle PMI italiane.


1 Per approfondire il tema delle trasformazioni del paradigma industriale e l’incidenza della conoscenza e

delle tecnologie ICT nella produzione di valore può essere utile leggere Andrea Fumagalli, Bioeconomia e
capitalismo cognitivo, Carocci 2007
2 http://www.enea.it/it/enea_informa/events/reti-pmi_18nov2011/desabbata_18nov11

1
Il primo polo riguarda infatti il modello organizzativo delle imprese, che dovrebbe essere
declinato, per quanto riguarda il tema dell’introduzione delle ICT, da una parte sulla capacità di
operare come azienda estesa, creando funzionalità operative tra dentro e fuori, tra area della
progettazione, della produzione e del marketing; dall’altra, sulle procedure che si è data per
adeguarsi alle nuove esigenze della società della conoscenza e modificare i comportamenti e
acquisire nuove competenze.
Il secondo polo può essere generalmente definito il polo “della tecnologia” intendendo con ciò,
sia come la tecnologia (e in particolare quella informatica) è vissuta nella nostra società, ossia
uno strumento che automaticamente risolve i problemi per il semplice fatto di essere posto in
essere, senza che ciò comporti in realtà acquisizione di competenze e adeguamento degli
strumenti al contesto; sia come la tecnologia sia proliferata attraverso processi auto generativi
e autoreferenziali, con poca attenzione alla funzionalità, alle modalità di interfacciamento con
gli utilizzatori, con scarsa sensibilità per la gradualità dei processi di implementazione degli
strumenti.
In entrambe le due polarità penso che si possa in realtà leggere una scarsa sensibilità per il
mercato, da parte delle imprese perché eccessivamente focalizzate sul prodotto e poco sulle
trasformazioni nei sistemi di interazione tra l’impresa, gli operatori e i consumatori e da parte
della tecnologia perché i produttori di tecnologie ICT, dalle multinazionali alle piccole software
house, hanno avuto come quasi esclusivo obiettivo quello di vendere più strumenti possibili,
disegnati in ragione delle logiche ingegneristiche e non in ragione della capacità del mercato di
assorbirli e di utilizzarli.
Sono quindi questi i temi che penso sia stimolante approfondire nel tentativo di delineare un
elenco delle tecnologie utili alla costituzione di reti d’impresa.
Prima però di approfondire il tema dell’offerta ICT e dei nodi critici che questa offerta
comporta, è opportuno leggere più attentamente alcuni dati sulla situazione delle imprese
italiane e sui loro rapporti con la tecnologia e l’innovazione.


Imprese, reti d’impresa e ICT

Parlare di offerta ICT significa far riferimento a tecnologie che consentono di elaborare e
immettere in circuiti di rete grandi quantità di informazioni, facilitando il coinvolgimento dei
soggetti imprenditoriali ai diversi livelli del processo di produzione e di scambio di beni e
servizi. Ma come le imprese italiane utilizzano e come si collocano nei confronti di questi
strumenti?
Un documento che può offrire interessanti spunti di riflessione è la ricerca condotta nel 2010 a
Torino su 300 imprese che avevano manifestato interesse alla costituzione di reti d’impresa.3
Il campione esaminato riguarda imprese di non piccola dimensione (17 addetti di media), di età
relativamente giovane (31 anni di media), con buone performance e con una buona presenza
sui mercati esteri (6 imprese su 10), con una buona capacità di investimenti per innovazione
(l’86% delle imprese ha effettuato investimenti per circa l’11,1% del fatturato).


3 “Incubatore di reti d’impresa”, Ricerca realizzata da CNA Torino, in collaborazione con CESDI & Srl, su

incarico della Camera di Commercio di Torino, 2010


2
Da punto di vista delle aspettative nei confronti della rete d’impresa, che ci consentono di
valutare i potenziali bisogni di tecnologie di supporto, le imprese hanno dichiarato che le
ragioni per cui ritengono utile operare in rete sono:

1. ampliare l’offerta di prodotti e servizi da offrire sul mercato


2. aumentare le competenze attraverso lo scambio di informazioni e conoscenze
3. ampliare le possibilità di sviluppare attività di ricerca, di formazione o di consulenze
specializzate introducendo innovazione in azienda
4. incrementare l’export con un potenziamento della rete commerciale senza dover
aumentare il personale.

Obiettivi che richiedono fiducia e sintonia tra i partner, alimentate da una buona capacità di
attivare processi collaborativi. Ma che sono, di fatto, contraddetti dalla realtà, visto che “più di
quattro imprese su dieci temono comportamenti opportunistici da parte del partner, poco più
di un terzo riconosce di avere difficoltà a valutare capacità e affidabilità delle imprese con cui
dovrebbe collaborare e un quarto teme di perdere la propria autonomia”. 4
A questi timori si affiancano poi quelli legati all’incognita di ciò che implica “stringere
collaborazione”, rivelando come le imprese in realtà abbiano una scarsa conoscenza di che cosa
vuol dire operare in rete.
Per tre imprese su dieci non sono chiari i vantaggi derivanti dalla collaborazione con altri e
poco più di due imprese su dieci temono che i costi siano troppo elevati rispetto ai ritorni
possibili; mentre altrettante imprese temono che la partecipazione richieda un impegno di
tempo troppo alto. Vi è infine l’aspetto dimensione che frena le imprese più piccole, le quali
spesso non hanno personale in grado di seguire le varie fasi della collaborazione.
L’indagine mette inoltre in evidenza come, anche nel caso di imprese con una buona
propensione all’innovazione e con una notevole sensibilità per i vantaggi di una presenza sul
mercato con modalità collaborativa e a rete, sussistano significativi punti di debolezza
strutturali e culturali in merito a

1. Difficoltà per le dimensioni più piccole e per i settori più tradizionali a fronteggiare la crisi
2. Poca attenzione al marketing, alla comunicazione e agli aspetti organizzativi
3. Scarsa capacità ad individuare partner con cui collaborare
4. Scarsa conoscenza degli impegni richiesti da una collaborazione e dei ritorni possibili
5. Difficoltà per le imprese più piccole ad avere personale per seguire la collaborazione.

A completare il quadro, sono state altresì registrate debolezze degli imprenditori in merito alla
possibilità di risolvere il modo positivo le seguenti minacce:

1. Concorrenza crescente e sempre più difficilmente affrontabile da soli


2. Avvio di collaborazioni con partner non idonei
3. Spreco di energie per carenze conoscitive e gestionali nella gestione di una collaborazione.

Per entrare nel merito delle azioni finalizzate alla crescita delle imprese, molti imprenditori
hanno dichiarato investimenti per l’innovazione. Le finalità cui gli investimenti sono stati rivolti
sono:

per potenziare i processi produttivi 74,0%

per aumentare la gamma dei prodotti servizi 42,0%



4 Incubatore di Reti d’Impresa, pag. 5

3
per potenziare il marketing 18,0%

ICT per l’organizzazione e la comunicazione 30,0%

Gli investimenti effettuati mettono in evidenza il deciso sbilanciamento dell’innovazione sui


processi produttivi piuttosto che sul potenziamento del marketing. La quarta voce,
“investimenti in ICT per l’organizzazione e la comunicazione” anche se sembra significativa, è
da considerare bassa rispetto ai problemi evidenziati nello sviluppo di pratiche collaborative,
tenendo conto che il valore espresso fa riferimento quasi totalmente a imprese di dimensioni
medio grandi.
Questa ricerca induce a pensare che le medie imprese italiane avvertono ormai l’esigenza di
operare in rete per avere più capacità di operare sui mercati e per aumentare il livello della
competenza e dell’innovazione attraverso sistemi collaborativi, ma, allorché decidono di
investire non sanno o non sono in grado di operare in modo coerente e trascurano di utilizzare
tecnologie ICT e di rete per favorire i processi di integrazione tra i partner e per sviluppare
nuove strategie di marketing.
Per avvicinarci di più allo specifico delle tecnologie ICT che risultano vantaggiose per le reti
d’impresa, può essere utile riprendere alcuni dati dallo studio realizzato nel 2010 da Giampaolo
D’Andrea che descrive nel dettaglio la diffusione delle ICT nelle imprese5. Secondo questo
studio, le tecnologie adottate fanno riferimento ai seguenti settori:

1. Contabilità 49%
2. Gestionali personale 16%
3. Magazzino, logistica 15%
4. Gestione documentale 13%
5. Enterprise Resource Planning (ERP) 7%
6. Applicazioni collaborative 5%
7. Datawarehouse 4%
8. Customer Relationship Management (CRM) 3%
9. Electonic Data Interchange (EDI) 2%
10. Supply Chain Management (SCM) 1,3%
11. Sales Force Automation (SFA) 1%

Lo studio di D’Andrea evidenzia livelli di introduzione delle ICT non molto elevati (l’utilizzo
delle tecnologie ICT per la contabilità è sotto il 50%), e conferma la tendenza di un utilizzo
prevalentemente individuale, relativo a specifici bisogni operativi (amministrazione, gestione
del personale e del magazzino) mentre sono decisamente bassi i livelli di utilizzo di sistemi ICT
di tipo collaborativo, ossia il cui utilizzo richiede una interazione tra più soggetti e più funzioni
(ERP, DW, CRM, EDI, SCM, SFA).
Incredibilmente ridotti sono i livelli di introduzione dei sistemi ICT per il marketing e la
gestione delle vendite (CRM, SCM, SFA), segno di scarso orientamento al mercato e di poca
attenzione alle profonde rivoluzioni in atto nelle relazioni con il cliente.
Le ricerche sono relativamente recenti e i pochi dati che compaiono in rilevazioni successive
non fanno che confermare i nodi irrisolti della cultura tecnologica e imprenditoriale in Italia,


5 Giampaolo D’Andrea, L’ICT per le imprese. Studio per Confindustria, 2010,

http://www.slideshare.net/gdandrea/presentazione-ict-per-imprese
4
ossia che la culturale idiosincrasia verso l’operare in gruppo diventa pressoché insormontabile
quando si tratta di operare attraverso strumenti che richiedono coordinamento, metodo,
rispetto delle procedure, distinzione di ruoli e distribuzione di competenze.
Bisogna inoltre osservare che le ricerche riportate sull’utilizzo della tecnologia da parte delle
imprese e della PA in Italia si riferiscono a imprese già orientate alla collaborazione di rete, e
che dovrebbero quindi considerare positivamente i vantaggi del networking e che dovrebbero
avere altresì preso in considerazione le implicazioni organizzative di sistemi imprenditoriali
più complessi.
Se si suppone la presenza di qualche buco cognitivo nella gestione di sistemi organizzativi
complessi, a maggior ragione si può presumere qualche pericoloso fraintendimento sulla reale
portata e sulle possibilità operative delle tecnologie di networking.
Probabilmente, il continuo richiamo dei media ai vantaggi e agli svantaggi dei social media può
aver indotto più di un imprenditore che le tecnologie di networking siano sostanzialmente
facebook, linkedin e twitter, mentre l’ICT da introdurre in azienda sia dedicato a funzioni
esclusivamente tecnico-produttive, riservate a operatori specializzati.
Il che denuncia un indubitabile utilizzo riduttivo della tecnologia. Mentre da una parte le
tecnologie social interattive vengono strumentalizzate con una penalizzazione delle funzioni
più orizzontali e un utilizzo unidirezionale dei processi comunicativi, all’attività interna
dell’impresa vengono riservate tecnologie “chiuse”, che operano tra i tecnici e il sistema
produttivo, senza incidere sulla qualità dei rapporti e sul sistema organizzativo.
Dalla lettura del rapporto tra impresa e tecnologia nelle Pmi italiane sembra quindi emergere la
considerazione che la maggiore penalizzazione è riservata all’evoluzione del sistema
organizzativo, costantemente orientato in modo gerarchico e fortemente centralizzato,
incapace di arricchirsi attraverso l’interazione creativa e collaborativa dei diversi attori del
processo imprenditoriale.
A un sistema organizzativo che fa difficoltà a gestire le situazione complesse e i cambiamenti di
mercato risulta difficile introdurre tecnologie che presuppongono processi di formazione
articolati, che richiedono un coinvolgimento motivato da parte dei diversi stakeholders, che
rendono trasparenti e accessibili i dati e che determinano modificazioni in senso orizzontale nel
sistema organizzativo stesso.


L’offerta. Le tecnologie ICT per le reti d’impresa

Nella maggioranza delle imprese, la presenza di tecnologie ICT come strumento per facilitare
processi che richiedono elaborazione di dati è prassi consolidata. Contabilità, amministrazione
del personale, magazzino, gestione documentale sono funzioni che vengono svolte con l’utilizzo
del computer e di applicativi ormai standardizzati, così molte delle attività istituzionali come il
sito e la posta elettronica. Quello che interessa ai fini dei nuovi modelli collaborativi di rete è
l’adozione di tecnologie ICT che siano funzionali al sistema di network, ossia ne facilitino i
processi e siano coerenti con i modelli funzionali. 6


6 Per quanto riguarda il ruolo strategico delle ICT per la creazione di valore nelle imprese vedi: Bertelé e

Rangone, ICT e strategia d’impresa, Il Sole 24ore, 2006


5
Non penso sia utile elencare tecnologie e applicativi specifici, dato il livello di personalizzazione
che questi hanno assunto o possono assumere in ragione delle tipologie di imprese, dei modelli
organizzativi e degli obiettivi che le imprese si pongono. Cercherò pertanto di raggruppare per
finalità operative alcuni modelli di tecnologie che rispondono ai seguenti requisiti:
a. siano funzionali ai processi di networking e facilitino il sistema relazionale e il lavoro di
gruppo;
b. siano coerenti con i paradigmi culturali della società della conoscenza e siano improntati a
una concezione di azienda estesa;
c. svolgano funzione strumentale (supporto alle attività di business) sviluppando economie di
scala attraverso un utilizzo cooperativo delle risorse.
La logica che deve presiedere la scelta delle tecnologie è quella della prospettiva di lungo
periodo che proietta l’azienda nella società della conoscenza, favorendo i processi di
accrescimento sistemico delle competenze. “Infatti, condizione per utilizzare e sfruttare al
meglio un sistema organizzativo a rete è l’implementazione di processi di gestione e
circolazione delle informazioni e delle conoscenze; le nuove tecnologie digitali per la
comunicazione in rete consentono di applicare efficacemente tale modello, permettendo di
implementare sistemi condivisi di conoscenza e di gestire al meglio il patrimonio di dati,
informazioni e conoscenze possedute”7
Un quadro delle tecnologie ICT rivolte all’attivazione di sistemi di lavoro di tipo collaborativo
all’interno delle singole aziende e al potenziamento delle azioni di rete (networking),
prendendo lo spunto dalle offerte fornite da Centro servizi per le PMI della Regione Emilia, può
essere impostato a partire dalle seguenti funzioni:

Gestione della conoscenza e sistemi collaborativi

Rappresentazione e gestione dell’informazione, con particolare attenzione sia alla gestione


dell’informazione che alla necessità di interagire con basi di dati di elevate dimensioni.
1. Analisi dei modelli di business. Valutazione dei business model esistenti e progettazione e
implementazione di nuovi business model per migliorare lo sfruttamento del valore
potenziale dell’innovazione tecnologica (architettura delle revenue, riconfigurazione della
catena del valore a monte e a valle, la nascita di spin-off e new venture)
2. Innovazione collaborativa. Strumenti per approfondire la conoscenza di mercato (da
imprese utilizzatrici, consumatori finali, intermediari commerciali e industriali,
concorrenti) a supporto delle fasi generazione e valutazione delle idee e di sviluppo e test
del concept / prodotto, inclusi sistemi di identificazione e classificazione degli user
innovativi sul web (blog, forum, comunità di marca, social network, eccetera).
3. Data integration, data warehouse, data mining e business intelligence. Progetto e lo
sviluppo di tool per l’analisi dei dati e la reportistica in ambienti eterogenei e distribuiti.
4. Web data base. Progetto e lo sviluppo di applicazioni web database.
5. Sistemi semantici. Applicazioni basate su di un motore semantico di ricerca per keyword su
sorgenti di dati strutturati (keymantic) e applicazioni per l’annotazione lessicale
automatica di sorgenti dati.
6. Data stream management system. Applicazioni per la gestione di dati in streaming quali
RFID, reti di sensori e dispositivi mobili.


7 Tonchia Tramontano Turchini, Gestione per processi e Knowlwdgw management, Il Sole 24ore 2003, pag.

94
6
7. Information retrival. Applicazioni stand-alone o basate su piattaforme DBMS commerciali e
open-source per la gestione di dati testuali, dati XML e dati multilingua.
8. Sistemi di trasporto intelligenti. Sistemi di navigazione intelligente attraverso la gestione in
tempo reale di informazioni geo-localizzate, (ricevitori, smartphone, OnBoardUnit).

Marketing e relazioni con il mercato
Facilitazione delle interazioni con il mercato, raccolta e distribuzione di informazioni sulle
variabili e sulle tendenze in atto.
1. Analisi di mercato. Analisi relative ai mercati della domanda per nuovi prodotti (stima dei
potenziali di mercato, bisogni e comportamento d’acquisto del cliente, customer
satisfaction, valutazione delle performance economiche e strategiche di un’innovazione).
2. Marketing dei nuovi prodotti. Ricerche e analisi sulla gestione dei processi di marketing
nelle fasi di lancio e diffusione del nuovo prodotto sul mercato. Politiche di comunicazione
col trade e coi consumatori.
3. Strumenti di trade marketing per la gestione delle relazioni con il mercato della
distribuzione, la fissazione dei prezzi di introduzione, la definizione dei livelli di servizio
per i new adopter.

Connettività, cloud computing e interoperabilità di sistema


E’ un’area che comprende strumenti e servizi trasversali ai diversi settori di attività
dell’impresa, abbracciano una vasta gamma di tematiche proprie dei sistemi distribuiti e
pervasivi e si concentrano sullo sviluppo di applicazioni basate su Web, cloud e dispositivi
mobili. Comprendono inoltre la valutazione prestazionale, il monitoraggio, la creazione di
modelli di costo e il capacity planning di data center a supporto di applicazioni tradizionali e di
sistemi basati sul paradigma cloud.
1. Architetture e applicazioni distribuite su scala locale, geografica e cloud. Sistemi distribuiti
che supportano applicazioni eterogenee relative alle architetture client-server, peer-to-
peer, agli algoritmi e oggetti distribuiti. Servizi basati su cloud computing e sistemi
integrati con le piattaforme cloud.
2. Applicazioni web, web service e Service Oriented Architecture. Applicazioni Web
dinamiche con tecnologie sia server side (come Perl, PHP, JSP e la famiglia JEE) sia client
side, mediante tecnologie quali AJAX. Sviluppo e la progettazione di sistemi che sfruttano
tecnologie e metodologie basate su SOA e sui principali standard quali XML, WSDL SOAP.
3. Mobile computing. Applicazioni per il mobile computing con particolare riferimento alla
programmazione di dispositivi palmari con sistema operativo Android e iOS.
4. Sistemi di monitoraggio, acquisizione, e analisi costi/prestazione. Sistemi in grado di
monitorare reti, data-center e applicazioni acquisendo in tempo reale grandi quantità di
dati.
5. Sistemi e applicazioni open-source. Sviluppo, personalizzazione e trasferimento
tecnologico, di tecnologie software aperte. Esempi di attività in tale senso sono la
creazione di distribuzioni GNU/Linux per sistemi embedded o le attività di supporto e
consulenza nel processo di transizione verso tecnologie open-source per server web, di
posta, e DBMS.

7
Quello che sta emergendo da una valutazione sistemica delle tecnologie è la modularità che
stanno assumendo gli strumenti ICT, ancorata a canali di rete con il supporto strategicamente
orientato dei database. In questo contesto, da parte delle società di consulenza e di supporto
all’introduzione di ICT nelle imprese, si rende sempre più necessaria la presenza di competenze
ibride8 che siano in grado di guidare le organizzazioni nella scelta delle tecnologie e delle
metodologie di approccio. Queste figure nuove fungono da broker di servizi, non guadagnano
quindi dalla rivendita del servizio, ma dalla capacità di progettare per il cliente i nuovi contesti,
affiancandosi in qualità di partner per la buona riuscita del progetto.
Relativamente all’universo dei social media, ossia dei sistemi di networking orizzontali a larga
diffusione, sono da valutare attentamente le possibili integrazioni con le tecnologie
professionali delle imprese. Da una parte come sistema aperto con cui interagire in ragione di
specifici obiettivi, dall’altra come ambiente speculare e virtuale della società reale.
In questo contesto, per le imprese, una figura importante sarà quella del Social Network
Analyst, che avrà il compito di valutare la capacità di una organizzazione di mettersi in rete
studiando le possibili interazioni tra le persone presenti nelle diverse organizzazioni della rete
e quella del facilitatore di community, il community manager, che osserva le interazioni e
facilita la creazione delle cerchie in base alle conversazione alle quali i singoli individui
partecipano, in modo da favorire l'incontro tra sconosciuti ma interessati al medesimo
argomento.
Anticipando quando svilupperemo nei paragrafi successivi, tecnologia richiede competenza,
professionalità e organizzazione.


Il problema umano. Organizzazione e inadeguatezza di sistema

Il panorama presentato conferma la ricchezza dell’offerta tecnologica e, tenendo conto del fatto
che il costo delle tecnologie è tendenzialmente in discesa e che molti strumenti sono ormai
accessibili in modalità open source, ci si chiede come mai si registri basso utilizzo, scarse
competenze e sostanziale diffidenza nei confronti delle tecnologie ICT più complesse.
Come abbiamo osservato, il problema riguarda da una parte l’organizzazione delle imprese e
dall’altra il modo in cui le tecnologie si pongono sul mercato.
I due poli del problema non sono però disgiunti perché si dimentica spesso come è nata la
tecnica e quali sono gli stretti vincoli che legano lo sviluppo della tecnologia e l’evoluzione della
società.
Nel parlare comune si utilizzano spesso in modo indifferente tecnica, strumento e tecnologia
ma vale forse la pena ricordare che lo strumento (l’utensile) è il prolungamento della mano
dell’uomo, mentre la tecnica è l’abilità di utilizzarlo e la tecnologia è il discorso, il ragionamento,
che accompagna l’azione con lo strumento, la comprensione dei risultati raggiunti attraverso
l’azione.
È la techne (l’abilità di utilizzare lo strumento) che rende possibile operare per raggiungere
l’obiettivo per il quale lo strumento è stato costruito. La techne non può che essere individuale
(il singolo operatore che si posiziona davanti al computer) ma il sapere che la rende possibile è

8 Sul ruolo del CIO (Chief Information Officer) e sui problemi di governance ICT, vedi volume già citato “ICT e

strategia d’impresa”.
8
collettivo. “La sinergia operazionale dell’utensile e del gesto presuppone l’esistenza di una
memoria nella quale si registra il programma del comportamento.” Mentre per l’animale questa
sinergia è organica ed è solitamente attribuita all’istinto, per l’uomo si tratta di compiere una
azione di appropriazione individuale di programmi operazionali prodotti per il vantaggio
collettivo.
E’ questa stretta connessione tra tecnologia e memoria sociale, sapere collettivo che pone
l’individuo in una tensione dialettica e creativa con il gruppo sociale, con l’organizzazione.
Un punto di vista necessario da cui procedere per considerare l’adeguamento alle tecnologie è
quello preso in esame, all’interno del Tavinstock Insitute nel 1949 da Ken Bamforth, Fred
Emery ed Eric Trist, e che consisteva nell’analisi delle “modalità di organizzazione del lavoro
derivanti dalle innovazioni tecniche introdotte”9. Alla base di questo orientamento c’è la
considerazione della stretta interazione tra società e tecnologia, che ha poi dato origine alla
teoria dei Sistemi Socio-tecnici che metteva in crisi il modello dominante dello Scientific
Management (il Taylorismo), più gerarchicamente strutturato, focalizzato sui compiti e sulle
procedure necessarie per raggiungere gli obiettivi.
Per l’uomo il “progresso è sottoposto al cumulo delle innovazioni, ma la sopravvivenza del
gruppo è condizionata alla registrazione del capitale collettivo, offerto agli individui in
programmi vitali tradizionali”. Il capitale collettivo, o sociale10, rappresenta il fondamento del
rapporto dialettico tra l’individuo e la società: “La costituzione delle concatenazioni
operazionali sussiste nel gioco del rapporto tra l’esperienza, che fa nascere nell’individuo un
condizionamento per “prova ed errore” identico a quello dell’animale e l’educazione, in cui il
linguaggio assume una parte variabile ma sempre determinante.”
Per la conservazione del capitale sociale un ruolo decisivo è svolto dagli strumenti per la
conservazione e la gestione delle informazioni, la memoria sociale. La completezza del processo
evolutivo è data dall’avvio di “un processo programmato con le macchine automatiche che non
solo esteriorizzano l’utensile, il gesto e la motilità, ma fanno anche presa sulla memoria e sul
comportamento meccanico”. “La realizzazione dei programmi automatici è un fatto culminante
della storia umana”.11
Ma la gestione della memoria collettiva con sistemi e macchine meccaniche e automatiche
introduce un rischio di notevole rilevanza: “la liberazione tecnica porta indiscutibilmente a una
riduzione della libertà tecnica dell’individuo”12. L’uomo e la società si affidano della macchina,
nella falsa, anche se per molti rassicurante, convinzione che la tecnica sia lo strumento e non la
capacità di utilizzarlo.
In realtà, lo strumento rimane inerte se non supportato da una tecnologia adeguata, frutto di
una evoluzione culturale nei processi di gestione del sapere collettivo e di una organizzazione
più intelligente nella gestione dei processi di produzione del valore.
L’orientamento sociale della tecnologia porta necessariamente a una metodologia down-up
dell’organizzazione, dove il lavoratore è posto “in una continua sfida” che favorisce “un
processo di apprendimento continuo”, dove è prevista “una totale condivisione delle
informazioni per il successo del processo di apprendimento”.13


9 Bogdan Andronic, Ennio Cortelli, Sociotecnica computazionale, Aracne 2008, p.10
10 Per l’approfondimento del concetto di capitale sociale, come creazione collettiva di valore

pubblico,opposto alla tesi individualista dell’economia classica, vedi James Coleman, Fondamenti di teoria
sociale, Il Mulino 2005.
11 Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi, 1977, p. 284
12 Leroi-Gourhan, p. 298
13 Andronic, Cortellini, p. 11

9
Si viene così a convergere sul fatto che il modello più favorevole all’integrazione organizzativa
delle tecnologie è una organizzazione del lavoro che poggia su processi di collaborazione totale
e che si rapporta in modo aperto con l’ambiente circostante. Una organizzazione capace di
interagire con gli stimoli che raccoglie all’esterno, capace di affrontare il rischio, perché
sostenuta da rapporti di collaborazione e di fiducia.
Il discorso dell’organizzazione aperta, elaborato dal Tavinstock Insitute, si sviluppa allorché le
tecnologie ICT di rete consentono di stabilire connessioni strutturali e funzionali tra l’impresa e
l’intera filiera della produzione e distribuzione del prodotto/servizio. L’organizzazione aperta è
il presupposto fondamentale dell’azienda estesa. Con l’azienda estesa si rende possibile
l’integrazione dei processi interni ed esterni, dei sistemi di monitoraggio aziendali e delle
attività di simulazione e pianificazione. Ha come obiettivo quello di permettere a una singola
transazione di svolgersi attraverso molteplici sistemi, distribuiti e incompatibili, come se questi
fossero un’unica applicazione. Fondamentale in tutto questo il coinvolgimento dei molteplici
attori del business (clienti e venditori, fornitori e partner, finanziatori e consulenti), che si
muovono all’interno di un network flessibile e variabile in ragione delle sollecitazioni
introdotte dal mercato.
Stefano Tonchia, in un libro collettaneo del 2003, approfondisce i concetti di azienda estesa in
relazione ai temi del valore e della conoscenza: “L’azienda estesa è dunque un’impresa che
estende i propri confini verso l’esterno, in un network collaborativo con altri soggetti in cui si
hanno transazioni ma soprattutto condivisione e ampliamento della conoscenza (informazioni
finalizzate alla creazione di valore per il cliente finale) il tutto reso possibile e garantito dalle
nuove tecnologie”.14
“Che sia B2B o B2C, la tradizionale catena del valore si modifica radicalmente e la conseguenza
più visibile è la riduzione degli intermediari. Al tempo stesso, ha luogo una ricostruzione di un
network del valore, con nuovi attori quali cybermall (o e-marketplace) – che sono mercati
virtuali orizzontali (generalisti) o verticali (settoriali) – oppure imprese che, attraverso il web,
assumono il ruolo di network coordinator”15 L’abilità del muoversi in rete (dai mercati virtuali
al coordinamento dei processi produttivi) diventa la nuova competenza strategica delle
imprese della conoscenza nella società della globalizzazione.
L’azienda estesa, capace di far dialogare le risorse interne di una azienda con il mondo esterno,
inteso e visto come risorsa, è resa possibile dalla gestione per processi e dal knowledge
management e poggia sulle nuove tecnologia web based. Questo salto tecnologico-
organizzativo, fortemente innovativo, richiede il superamento dell’individualità e del controllo
gerarchico, e presuppone trasparenza e apertura, flessibilità e intelligenza di sistema.
La persona, con la conoscenza e il sistema di relazioni collaborative che l’alimenta, recupera la
posizione che le spetta al centro del processo produttivo, evidenziando il carattere culturale di
questo processo: “Qui diventa evidente una volta di più che le innovazioni tecniche non
possono essere intese come applicazione di sapere scientifico al quale chiunque può accedere,
ma che un ruolo considerevole è svolto dal sapere “implicito”, specifico dell’azienda se non
della produzione, che emerge quando ce n’è bisogno.” 16 E Luhmann poi aggiunge “Sul piano
delle parole d’ordine, al posto di ‘umanizzazione del lavoro’ si trova ora ‘configurazione della
tecnica socialmente sostenibile’ “.


14 Tonchia, p.96
15 Tonchia, p. 93
16 Niklas Luhmann, Organizzazione e decisione, Bruno Mondadori, 2005, p. 297

10
L’incontro tra tecnologia e sistema impresa ha conseguenze strutturali e “che si pianifichi in
anticipo o meno, i nuovi accoppiamenti vincolano altri processi lavorativi e questo comporta
che si debbano abbandonare vecchie abitudini e svilupparne di nuove”. 17
Ma è proprio questo sviluppo delle nuove abitudini, che viene spesso dato per scontato, che
risulta difficile. Quali sono le competenze che l’organizzazione deve fare proprie per gestire in
modo proattivo le nuove tecnologie?
Nella premessa al volume di Tonchia, Rosabeth Moss Kanter, uno dei guru del management
knowledge, ribadisce poche cose di buon senso, ma difficili da mettere in pratica: “In un mondo
globale e ad alta tecnologia, le organizzazioni devono essere fluide, complessive e reattive.
Devono gestire complessi flussi informativi, afferrare nuove idee rapidamente e diffonderle in
tutta l’azienda. Quello che conta non è se tutti usano l’e-mail [o se usano facebook e twitter], ma
se tutti assorbono rapidamente l’impatto delle informazioni e rispondono alle opportunità. La
tecnologia è spesso la parte più facile. Più difficile è il lato umano, le sfide inerenti al governo
del cambiamento”18
Sono molte le indicazioni che vengono espresse allorché si parla di cambiamento e di
innovazione.
Tra queste ritengo che uno spazio importante debba essere dato alla creatività collettiva (non
individuale), ossia alla capacità di interagire per accostare in modo inedito e maggiormente
produttivo fattori già noti.19 Non per nulla, uno dei miti che accompagna la costruzione delle
fortunate startup della west coast statunitense (parzialmente riprodotto in aziende e incubator
italiani) è l’attivazione di ambienti lavorativi contraddistinti da grande familiarità collettiva, da
informalità, ricchezza di stimoli culturali, dimensione ludica.
Ma il nodo del cambiamento non può che essere individuato nel modello del management e
della leadership aziendale, anche perché l’attivazione di modelli e procedure di comportamento
innovativo non possono sostenersi se non sono promosse e sostenute da governance adeguate.
Parlando di governance20 si sgombra quindi il campo da una concezione carismatica della
leadership, che ancora è presente nella mentalità di molti, per far riferimento a una concezione
di leadership del cambiamento “cioè più ‘secolarizzata’ e quindi esercitata ‘pervasivamente’
(collettivamente) pensando all’evoluzione dei follower, messi nelle condizioni di diventare
leader di se stessi.
Le possibilità di effettuare oggi il cambiamento innovativo necessario dipendono da una
leadership del cambiamento che sia in grado di perseguire obiettivi di successo, in modo
efficiente ed efficace, ma includendo sia qualità di risultato che people satisfaction. E la
leadership non necessariamente deve essere vista come individuale, anzi, sempre più si
prospettano leadership partecipate.
“Il leader si pone al centro di un crocevia problematico da cui transitano le istanze al
cambiamento non solo strutturali, organizzative, gestionali e tecnologiche ma, primariamente,
culturali, con conseguenze indotte sulla leadership e sulla gestione del personale. Quando si
avvia un progetto di re-ingegnerizzazione per processi (che molto spesso può voler dire


17 Luhmann, p. 298
18 Rosabeth Moss Kanter, nel volume di Tonchia, p. XII
19 Vedi il volume di Massimo Decastri e Alessandro Paparelli, Organizzare l’innovazione, Hoepli, 2008 o anche

l’agile volume Paolo Legrenzi, Creatività e innovazione, Il Mulino, 2005


20 Sul tema della governance dell’ICT nelle imprese si può far riferimento al volume già citato “ICT e strategia

d’impresa” o alla ricerca condotta dal Dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano
“Enterprise 2.0: la rivoluzione che viene dal Web”, 2008
11
ripartire da zero) è di fondamentale importanza che l’alta direzione esprima un leader o,
pervasivamente più leader (process owner), che fungano da catalizzatori del cambiamento”21.
La composizione dei compiti che questa leadership del cambiamento deve essere in grado di
svolgere è delineata da Turchini in modo creativo, facendo riferimento al Tangram, al gioco
cinese ritenuto la chiave per ottenere saggezza e talento. Le azioni o i compiti di un leader
devono essere giocati in modo variabile secondo le circostanze e l’ispirazione, così che vadano a
comporre forme diverse adatte ad esprimere l’impresa in un determinato momento e in un
determinato contesto.
I compiti e le funzioni necessarie a una leadership per una governance del cambiamento sono:
1. Guiding. Dare la visione, orientare l’impresa verso il futuro: che cosa saremo.
2. Sponsoring. Innescare l’autostima e l’autoefficacia per far emergere le qualità nascoste dei
collaboratori.
3. Teaching. In un sistema dove la conoscenza si alimenta attraverso la condivisione, è
strategico insegnare ad apprendere, in modo da non essere limitati da una nozione ma
disporre della capacità di acquisire in ogni momento delle informazioni utili.
4. Coaching. Allenare le competenze, attraverso l’accompagnamento e lo stimolo a superare le
difficoltà;
5. Mentoring. Porsi come modelli del processo di cambiamento, offrire sicurezza.
6. Awakening. Mettere l’energia per motivare.
7. Carataking. Prendersi cura delle persone, coltivarne la crescita.
Il richiamo alla cultura orientale mi fa venire in mente un altro concetto utile a favorire il
cambiamento, ossia quello della contaminazione, la capacità di confrontarsi con mentalità e
culture diverse per ricavarne indicazioni utili, la capacità di attraversare i territori di confine, la
capacità di farsi contagiare. Quello di cui spesso abbiamo bisogno è la capacità di porsi senza
preconcetti nei confronti di ciò che ancora non conosciamo. “Parafrasando Keynes, ‘la cosa più
difficile non sta nell’accettare una nuova idea, ma nel dimenticarne una vecchia’”22.


Tecnologia e società

Il secondo snodo cruciale per l’innovazione nell’impresa è quello della “tecnologia” e anche per
questo secondo polo, grande rilievo assume la valenza culturale, ossia la rete di riferimenti
cognitivi e valoriali che consentono di superare una visione meccanicistica dello strumento, una
concezione che presuppone una delega dell’intelligenza allo strumento. Secondo questa
concezione, è lo strumento che risulta intelligente e agisce per l’operatore mentre all’operatore
è riservato il solo compito di accendere e spegnere l’interruttore.
Secondo questa visione, gli strumenti entrano in scena e si impongono a chi ne deve disporre
così come sono stati concepiti dal sistema che li ha prodotti, senza adeguata considerazione per
il contesto e per gli interlocutori, per chi dovrà utilizzarli e per coloro verso i quali l’uso della
tecnologia è indirizzato. Un aspetto per alcuni versi inspiegabile è come mai questa visione sia
particolarmente radicata in Italia, un paese storicamente caratterizzato da attività artigianali,
per le quali la predisposizione degli strumenti, la loro adattabilità e la loro messa a punto
costituisce parte integrante ed essenziale del processo produttivo e per le quali l’apprendistato

21 Fabio Turchini, in Tonchia, p. 50
22 Turchini, in Tonchia, pag. 54

12
rappresentava una parte importante della formazione della persona. Si possono forse trovare
corrispondenze tra questa visione “fordista” della tecnologia e l’orientamento produttivistico,
poco relazionale, poco marketing oriented delle PMI italiane, così come è emerso nelle indagini
citate?
Per quanto riguarda le tecnologie di comunicazione (perché di questo stiamo parlando) risulta
comunque abbastanza evidente che, nella pianificazione degli interventi non si prende quasi
mai in considerazione il sistema comunicativo in quanto tale, ossia l’insieme composto dal
contesto storico territoriale in cui viene calato il processo comunicativo, i soggetti coinvolti nel
processo comunicativo, con le loro emotività e le loro storie, il soggetto promotore con i suoi
interessi e i suoi obiettivi, la società con le tensioni e le dinamiche che la caratterizzano e
l’attraversano.
Già negli anni ’90 del secolo scorso, alcuni protagonisti dell’evoluzione dell’ICT avevano
avvertito il pericolo in modo molto chiaro e lucido: “La nostra società ha involontariamente
assunto un orientamento centrato sulle macchine, che antepone le esigenze della tecnologia a
quelle dell’uomo, costringendoci così a un ruolo di spalla che non ci è assolutamente
congeniale.” L’autore di queste riflessioni è Donald Norman, direttore del dipartimento di
scienze cognitive dell’Università di California, in quegli anni responsabile per la ricerca alla
Apple prima e alla HP poi. Secondo Norman questo orientamento, che mette a confronto in
modo diseguale uomo e macchina, “denota una concezione dell’uomo assolutamente
inappropriata, che enfatizza compiti e obiettivi che non sarebbero di nostra competenza e
ignora al tempo stesso le nostre capacità e i nostri attributi più importanti – attività che le
macchine non sono capaci di eseguire o nelle quali danno al massimo prestazioni scadenti … il
risultato è un allontanamento sempre più marcato tra uomo e macchina e una continua
crescente frustrazione non solo nei confronti della tecnologia, ma anche del ritmo e delle
tensioni tipici di una vita che fa di quella tecnologia il proprio centro. Oggi è l’uomo a essere al
servizio della tecnologia, ma non dovrebbe essere così. E’ necessario rovesciare questa
prospettiva e trasformarla in un atteggiamento che privilegi invece la persona”23.
Al di là dei problemi organizzativi e di governance dell’ICT24, la distorsione denunciata da
Norman non può essere recuperata se non attraverso un doppio ri-orientamento: della
tecnologia all’uomo e dell’uomo alla tecnologia attraverso l’acquisizione individuale di quel
sapere collettivo che rende possibile l’uso dello strumento.
Per quanto riguarda la configurazione dello strumento con maggiore attenzione all’uomo, mi
sembra utile, in questo breve scritto, riprendere due concetti da Norman.
Il primo riguarda la distinzione tra le due principali modalità di interazione uomo - strumento:
la modalità esperienziale e la modalità riflessiva.
“La modalità esperienziale comporta un’elaborazione percettiva, in altre parole quella che le
scienze cognitive chiamano attività diretta dell’evento”. Attività esperienziali sono quelle che
riguardano il gioco, il movimento, la guida e che richiedono un orientamento all’attività molto
esplicito da parte dello strumento.
“La modalità riflessiva è quella dei concetti, della pianificazione e della riconsiderazione. E’
lenta e laboriosa. La cognizione riflessiva tende a richiedere sia l’aiuto di supporti esterni –
scrittura, lettura, strumenti di calcolo – sia l’aiuto di altre persone. Se si vuole che offrano il
massimo supporto alla cognizione, le rappresentazioni esterne devono adattarsi con precisione
al compito particolare. La riflessione avviene in modo ottimale in un ambiente tranquillo, privo


23 Donald Norman, le cose che ci fanno intelligenti, Feltrinelli, 1995, pag. 11
24 Pennarola, Organizzazione e Information Technology, Egea, 2005, pag. 157, 158

13
di altri materiali oltre a quelli rilevanti per l’esecuzione del compito. Ambienti ricchi, dinamici,
troppo presenti, possono interferire con la riflessione” 25
Gran parte delle attività in cui viene richiesta la presenza di tecnologie ICT con finalità
relazionali e di business richiedono un coinvolgimento di tipo riflessivo, ossia richiedono una
stretta integrazione uomo macchina in un processo durante il quale la macchina, raccoglie e
confronta informazioni che l’uomo deve poi valutare per prendere decisioni adeguate e per
formulare proposte agli interlocutori.
Norman, distinguendo tra atteggiamento esperienziale e riflessivo evidenzia come devono
essere configurati gli strumenti preposti alle due funzioni: “Gli strumenti adatti alla cognizione
esperienziale dovrebbero rendere disponibile un’ampia gamma di stimolazioni sensoriali,
insieme a una informazione sufficiente a minimizzare l’esigenza di deduzioni logiche.
Analogamente gli strumenti per la riflessione hanno il compito di facilitare l’esplorazione di
concetti e idee. Essi dovrebbero rendere più semplice il confronto e la valutazione, nonché
l’esplorazione di possibili alternative” 26
Il secondo concetto in merito alla tecnologia su cui Norman ci invita a riflettere riguarda la
struttura dello strumento. Ogni strumento è predisposto per alcune specifiche funzioni e la sua
struttura viene progettata con determinati “inviti operativi” (affordances).
“Si tende a usare gli oggetti nel modo suggerito dalle loro affordances più salienti. E non in modi
difficili da scoprire. … il discorso sulle possibilità operative offerte da un oggetto può applicarsi
anche alle tecnologie. Diverse tecnologie consentono diverse operazioni. In altre parole, esse
rendono alcune cose semplici, altre difficili o impossibili. Non dovrebbe sorprendere che le
operazioni facilitate dalle affordances dell’oggetto o della tecnologia probabilmente verranno
eseguite, mentre quelle rese difficili verranno tralasciate o ignorate.”27
Canale comunicativo, tecnologie d’uso, linguaggi, interfacce sono tutti strumenti che hanno loro
affordances specifiche e che si integrano favorendo alcune azioni comunicative piuttosto che
altre. Il design della tecnologia, l’architettura del processo comunicativo devono essere
progettate con attenzione alle funzioni e alle persone. E le persone non sono macchine, hanno
emozioni e sentimenti di cui è necessario tenere conto. Quello su cui Norman vuole indirizzare
l’attenzione è un giusto equilibrio tra bisogni comunicativi e funzioni. “Gli attuali sistemi
sembrano prodotti o da programmatori di computer o da produttori cinematografici. I
programmatori solitamente non hanno alcuna formazione riguardante le esigenze del pubblico,
né hanno esperienza alcuna che li aiuti a comprenderle. La loro, è una competenza tecnologica,
e perciò è del tutto naturale che essi cerchino di dimostrare il potere e le caratteristiche della
tecnologia. Ma è poco probabile che essi sappiano come raccontare una storia o come
presentare in modo appropriato dei materiali che richiedono una profonda riflessione. I
produttori, d’altra parte, sanno bene come raccontare una storia: sono dei veri maestri della
modalità esperienziale. Ma sono così terrorizzati al pensiero di perdere l’attenzione del loro
pubblico che pensano di doverlo bombardare incessantemente con nuove esperienze. Non
concedono un solo istante alla riflessione.”28
Alla proliferazione di informazioni e di sensazioni che un produttore (di tecnologia o di
emozioni) cerca sempre di riversare sugli utenti, l’unica difesa è quella della semplicità ad
oltranza. Non una semplicità ottusa, ma una rete di regole capace di rispettare la complessità e
la molteplicità dei punti di vista, come quella che è stata tracciata da John Maeda:

25 Norman, pag. 38
26 Norman, pag. 39
27 Norman, pag. 115
28 Norman, pp. 223, 224

14
1. “Riduci. Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione
ragionata
2. Organizza. L’organizzazione fa sì che un sistema composto da molti elementi appaia
costituito da pochi
3. Tempo. I risparmi di tempo assomigliano alla semplicità
4. Impara. La conoscenza rende tutto più semplice
5. Differenze. La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra
6. Contesto. Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico
7. Emozione. Meglio emozioni in più piuttosto che in meno
8. Fiducia. Noi crediamo nella semplicità
9. Fallimento. Ci sono cose che non è possibile semplificare
10. L’unica. Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere significato”.29
Il discorso sulla semplicità non deve, però, essere frainteso. Le ICT sono strumenti complessi
che devono mirare alla semplicità ma che sono il risultato di un sapere collettivo. Il processo di
acquisizione di questo sapere può essere lungo e dipende dalla cultura del ristretto contesto
sociale in cui si è inseriti. E’ necessario, quindi, affrontare le modalità attraverso cui persone e
organizzazioni accedono a quel sapere collettivo che ha prodotto le tecnologie, possono
dedurne pratiche funzionali e collaborative e possono contribuire alla crescita e alla diffusione
della conoscenza.
“Non tutti gli individui, però, riescono a metabolizzare in poco tempo e con facilità i
cambiamenti e le innovazioni tecnologiche, ed è su questo punto che bisogna concentrare
l’attenzione se si vuole parlare di domestication [addomesticamento], ovvero quel processo
diacronico grazie al quale le nuove tecnologie di comunicazione entrano a far parte della vita
quotidiana del fruitore”.30
In realtà lo studio della domestication è focalizzato sullo studio dell’ingresso e dell’acquisizione
delle tecnologie nell’unità familiare, ma la sua concezione come “parte di un sistema
transazionale, dinamicamente coinvolto nel mondo pubblico della produzione e dello scambio
di merci e di significati”31 rende possibile un’estensione della riflessione al mondo delle Pmi,
come nuclei sociali all’interno dei quali si sviluppano sistemi relazionali molto stretti e in cui i
comportamenti degli individui sono comparabili a quelli dei gruppi familiari.
In altre parole, la tecnologia viene “addomesticata” attraverso una “mutua negoziazione di
significato tra sfera pubblica e sfera privata” e le tecnologie ICT, in quanto media, creano il loro
senso attraverso le modalità con cui vengono effettivamente utilizzate. E’ l’uso e non il possesso
che crea senso e genera valore. Il passaggio dal possesso all’utilizzo è una sorta di
“addomesticamento” delle tecnologie che passa attraverso quattro fasi non tra loro separate ma
integrate e interagenti come parti di un unico processo:
1. L’appropriazione. Ossia la fase di acquisizione materiale del bene. “l’appropriazione di un
tecnologia non costituisce un processo lineare dagli esiti scontati, ma si presenta invece
come un percorso accidentato in cui si procede per tentativi.
2. L’oggettivazione. “i contenuti sono oggettivati all’interno dell’ambiente domestico nel
momento in cui contribuiscono a definire la struttura temporale dell’unità domestica”
3. L’incorporazione. “esprime il modo in cui gli oggetti e in particolare gli artefatti tecnologici
sono usati, come vengono collocati nelle abitudini quotidiane e quali sono le funzioni che
assolvono e che sono loro attribuite.”


29 John Maeda, Le leggi della semplicità, Bruno Mondadori, 2006, pag. 136
30 Cola, Prario, Richeri, Media, tecnologie e vita quotidiana: la domestication, Carocci, 2010, pag. 24
31 Cola. pag. 18

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4. La conversione. L’ambiente sociale “si esprime all’esterno attraverso le conversazioni
generate dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”32
Mi è sembrato interessante riportare questi estratti degli studi sulla domestication perché, a
mio avviso, è solo quando le tecnologie entrano nel vissuto delle persone e l’ambiente entro cui
si sviluppano le attività di produzione è vissuto come “familiare” che si attua pienamente
l’integrazione tra tecnologie e gruppo sociale.
Una integrazione non lineare, ma che procede per prove ed errori, attraverso l’occupazione di
“spazi” che definiscono la vita delle persone in relazione al gruppo sociale di appartenenza e
alla società:
1. lo spazio economico, che significa attribuire un posto nella distribuzione delle risorse (vedi
piano degli investimenti)
2. lo spazio fisico, che definisce i percorsi e la collocazione degli oggetti nello spazio
quotidiano in ragione della loro importanza, ossia l’integrazione delle nuove tecnologie nel
vissuto delle persone e delle organizzazioni (equilibrio tra conservazione e cambiamento)
3. lo spazio funzionale, descritto dal tempo dedicato alle pratiche e all’uso dello strumento,
sia in termini di quantità che di qualità (pianificazione degli impegni, organizzazione)
4. lo spazio degli interessi personali, disegnato nella mappa dei temi di conversazione che
caratterizza gli interessi e i sentimenti, ossia la capacità degli strumenti e delle tecnologie
di far parte delle storie personali delle persone e delle organizzazioni.


32 Cola, pp. 20, 21

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