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SPIRITUALITÀ

La terra e i poveri gridano:


verso il Sinodo dell’Amazzonia
Maurizio
 Gronchi
Si terrà nel mese di ottobre del 2019 e riguarderà un territorio
che va dal Brasile alla Guyana, con una popolazione di 34 milio-
ni di abitanti di cui oltre 3 indigeni. Un nuovo patto fra catto-
licesimo e cultura india e per la difesa del polmone della Terra.

Nel mese di ottobre del 2019 si cele- Maurizio Gronchi è professore


ordinario di Cristologia presso la
brerà l’Assemblea speciale del Sinodo dei Pontificia Università Urbaniana in
vescovi per la regione Panamazzonica, il cui Roma ed è consultore della Con-
gregazione per la dottrina della
scopo principale, indicato da papa France- fede e della Segreteria generale del
sco il giorno dell’annuncio, sarà quello di Sinodo dei vescovi. È impegnato
nella cura pastorale di persone con
«individuare nuove strade per l’evangeliz- varia disabilità e svantaggio sociale.
Tra le sue pubblicazioni recenti:
zazione di quella porzione del popolo di Amoris Laetitia. Una lettura dell’E-
Dio, specialmente degli indigeni, spesso sortazione apostolica postsinodale
sull’amore nella famiglia (2016), La
dimenticati e senza la prospettiva di un speranza oltre le sbarre. Viaggio in un
carcere di massima sicurezza (con A.
avvenire sereno, anche a causa della crisi Trentini, 2018).
della foresta amazzonica, polmone di capi-
tale importanza per il nostro pianeta» (Angelus, 15 ottobre 2017). Si
tratta di un Sinodo speciale, convocato a Roma, dove converranno i
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vescovi di sette conferenze episcopali presenti in una zona del mondo


che vive due principali emergenze, alle quali l’annuncio del Vangelo
è destinato in modo particolare: l’emarginazione sociale, economica,
culturale e religiosa delle popolazioni indigene e la crisi ecologica di
una immensa risorsa del pianeta. La foresta amazzonica copre un ter-
ritorio di 7,5 milioni di chilometri quadrati, che abbraccia per il 65%
il Brasile e si estende anche in Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador,
Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese, ove vive una popola-
zione di circa 34 milioni di abitanti di cui oltre 3 milioni sono indigeni
appartenenti a più di 390 etnie.

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Un fondamentale contributo alla preparazione del Sinodo viene


dalla Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), nata nel settembre del
2014 a Brasilia, in occasione di un incontro tra vescovi, sacerdoti, mis-
sionari e missionarie di varie congregazioni. Si tratta di una piattafor-
ma dove confluiscono gli sforzi delle Chiese locali e dove si definisce il
servizio del «buon vivere» (sumak kawsay) della Panamazzonia. Nella
«Lettera aperta» del 29 dicembre 2017, la Repam dichiarava il proprio
impegno a rinnovare la speranza in questi termini: «La Rete ecclesiale
panamazzonica continua ad agire al fianco delle Chiese locali e della
società civile, profondamente preoccupata dello scenario di crescente
violazione dei diritti e della grande casa comune, della casa che Dio
nel suo infinito amore ha creato per tutti noi. La fede profetica di mol-
ti testimoni dell’Amazzonia si aggiunge alla certezza dell’incarnazione
di Dio in mezzo ai poveri. La nascita di Gesù in una stalla, fuori dalla
città, è già un’opzione silenziosa di Dio per i poveri e gli esclusi, che
il mondo considera superflui e scartabili (cfr. DAp 65). I poveri nella
loro condizione separata dal “banchetto della vita” diventano i predi-
letti di Dio. La speranza non è mai morta e non morirà nei cuori dei
popoli dell’Amazzonia».

Luogo
 pastorale e teologico
Nella storia delle Assemblee del Sinodo dei vescovi, ben dieci sono
state quelle speciali, dal 1980 a oggi, convocate per continente o per
particolari regioni del mondo (Olanda, 1980; Europa, 1991; Africa,
1994; Libano, 1995; America, 1997; Asia, 1998; Oceania, 1998;
Europa, 1999; Africa, 2009; Medio Oriente, 2010). Il loro significato
è evidente: il Vangelo raggiunge i popoli entro determinati ambiti geo-
grafici e culturali, e le sfide del tempo presente richiedono un affronto
diretto e contestuale. Ora, dal momento che un Sinodo è un evento
che riguarda l’intero popolo di Dio, pur concentrandosi in una deter-
minata località pastorale – questa è la ragione per cui si celebra a Roma
e non in Amazzonia –, è l’occasione per tutta la Chiesa di «ascoltare
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tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (Laudato si’ 49).
Particolarità e universalità, lungi dal contrapporsi, hanno una rela-
zione di reciprocità, per cui il contesto storico-geografico di una por-
zione del popolo di Dio costituisce effettivamente un luogo teologico e
non solo uno spazio pastorale. Ciò che tocca da vicino alcuni riguarda

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tutti. Merita dunque riflettere su questo punto di partenza – una pe-


riferia, se vogliamo – per considerare il suo punto di arrivo come un
guadagno per la Chiesa intera. La sinodalità, infatti, è la concreta for-
ma ecclesiale in cui si attua la circolazione vitale dello Spirito di Cristo
tra ogni membro e il corpo intero (cfr. 1Cor 12,12), in modo che «ciò
che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7) lo ascolta come rivolto a sé la
Chiesa tutta. A cinquant’anni dall’istituzione del Sinodo dei vescovi,
così si esprimeva papa Francesco: «Proprio il cammino della sinoda-
lità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio.
[…] In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei vescovi è solo la più evi-
dente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte
le decisioni ecclesiali» (Discorso in occasione della commemorazione
del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi,
17 ottobre 2015). Questa prospettiva non può essere trascurata quan-
do si consideri il risultato di ogni Assemblea sinodale speciale – o
contestuale – poiché non appartiene solo a una parte ciò che riguarda
la fede cristiana e la vita dei credenti in quanto tali, proprio in virtù
dello scambio di doni che edifica la comunione ecclesiale.

Il
 criterio dialogico dell’inculturazione
Per illuminare la relazione di reciprocità tra località pastorale e uni-
versalità ecclesiale, merita richiamare il criterio dialogico dell’incultu-
razione della fede, secondo il quale, per il dinamismo proprio dell’an-
nuncio evangelico, la Chiesa non solamente dona, ma anche riceve dai
popoli, dalle culture e dalle religioni alcuni elementi che permettono
ai discepoli di Cristo di maturare nella comprensione della fede (cfr.
Gaudium et spes 44). Di conseguenza, grazie alla potente opera del-
lo Spirito, possiamo comprendere l’inculturazione del Vangelo anche
come un processo dialogico tra memoria e futuro, ovvero di custodia
Maurizio Gronchi

del passato e di apertura verso nuovi orizzonti, secondo un dinamismo


di concentrazione ed espansione, in cui le diverse particolarità conte-
stuali si armonizzano in un disegno di respiro universale. «Quando
una comunità accoglie l’annuncio della salvezza, lo Spirito Santo ne
feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo. In modo
che, come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo
non dispone di un unico modello culturale» (Evangelii gaudium 116).
Poiché «lo Spirito Santo matura i frutti di ciascuna cultura, nell’in-

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teresse di tutte le altre e della Chiesa universale. Ciascuna cultura si


sviluppa come i rami di un unico albero, non a modo di fili d’erba
isolati […]. Perciò, l’inculturazione non può ignorare altre incultu-
razioni precedenti o parallele, e si svolge in un dialogo continuo e
universale» (Z. Alszeghy, Il problema teologico dell’inculturazione del
cristianesimo, in A. Amato - A. Struś (a cura di), Inculturazione e for-
mazione salesiana, 1984).

Il
 processo di inculturazione
Il tema specifico che c’interpella più direttamente si articola su due
piani. Primo: come armonizzare, oggi, la spiritualità dei popoli ori-
ginari e le culture ancestrali della regione Panamazzonica con il cri-
stianesimo? Secondo: come affrontare la minaccia di distruzione, de-
terioramento e deforestazione che incombe sulla foresta amazzonica,
soprattutto a causa dei progetti di estrazione mineraria in continuo
sviluppo? In via preliminare, accenniamo ad alcuni snodi di carattere
interculturale che definiscono i contorni del tema. Dopo una lunga
storia di difficili rapporti e di ricerca di soluzioni, oggi si dischiude
uno spiraglio nuovo di dialogo interculturale, grazie ad alcuni fattori
di tipo sociale, come il passaggio dalla resistenza passiva a quella attiva
da parte dei nativi di una determinata regione, da una lotta separatista
all’unione con altre forze sociali, e grazie a un processo di trasforma-
zione ecclesiale, segnato da un progressivo apprezzamento e rispetto
delle cause indigene da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
All’alba della colonizzazione europea, vi erano delle propizie pos-
sibilità d’incontro tra la cultura religiosa indigena e il Dio cristiano. In
realtà, anziché intraprendere la via della compatibilità, i conquistatori
alimentarono il conflitto, che si venne radicalizzando: formalmente,
come lotta tra il vero Dio cristiano e il Dio indigeno – in verità, Sata-
na –; sostanzialmente, come scontro tra il Dio-oro dei colonizzatori e
le antiche credenze indigene. Da questo avvio non certo favorevole
derivarono conseguenze disastrose per le possibilità d’inculturazione
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del Vangelo da parte della Chiesa, tanto che i primi concili messica-
ni proibirono l’ordinazione di indios, neri e meticci, fino alla quarta
generazione. In sostanza, era prevalso il dubbio che l’adesione al cri-
stianesimo da parte degli indigeni non fosse autentica. Nonostante
questa radicale diffidenza, non sono mancati, successivamente, ten-

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tativi d’incontro che possono essere classificati secondo tre modalità:


la giustapposizione, la sovrapposizione, la sostituzione. Solo recen-
temente avanza l’ipotesi di un processo di sintesi teologica propria
dell’interculturalità.

Giustapposizione,
 sovrapposizione, sostituzione
In un primo momento, prevalse l’idea che l’accoglienza del Vangelo
non dovesse ridursi a un’accettazione mimetica della cultura cristia-
na spagnola, altresì che dovesse includere la possibilità d’incorporare
consapevolmente e criticamente gli elementi nuovi provenienti dalla
fede cristiana. Ne derivò una giustapposizione espressa mediante la
costruzione delle chiese accanto ai templi indigeni. La gente converti-
ta al cristianesimo non si convinse di abbandonare le antiche creden-
ze, rifiutando la predicazione missionaria che considerava satanica la
propria religione, sostenendo invece che l’unico Dio si era manifesta-
to secondo diverse modalità. Ancora oggi, talvolta, permane questa
duplice religiosità che affianca al culto di Cristo, di Maria e dei santi
quelli del Signore della vita che abita i diversi luoghi sacri indigeni.
Anche dinanzi alla contestazione ecclesiastica di infedeltà e apostasia,
sopravvive in modo clandestino la doppia credenza, che, in radice,
sorge dalla legittima domanda circa la possibilità di essere al tempo
stesso cristiani e indigeni. La conseguente schizofrenia esige una ri-
conciliazione interiore, mediante una terapia spirituale e l’approfon-
dimento del dialogo interreligioso, che integri armonicamente le due
culture e religioni.
La seconda modalità di relazione, promossa dai missionari, si
espresse mediante la sovrapposizione dei simboli cristiani a quelli in-
digeni: l’aggiunta di un nuovo tempio, una croce o qualche santo valse
a cristianizzare le forme precedenti considerate pagane. Nella costru-
Maurizio Gronchi

zione delle chiese e degli altari vennero integrati simboli e immagini


indigene. La nuova metodologia non incontrò grandi resistenze, in
quanto assicurava alla religiosità indigena la sopravvivenza sotto la
copertura cristiana, mentre provvedeva a una rapida ed estesa aggre-
gazione alla compagine ecclesiale. Tuttavia, dietro l’evidente rischio
d’ipocrisia, soggiaceva la questione effettiva circa la possibilità di pra-
ticare un culto formalmente cristiano secondo una sottostante logica
indigena.

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Alla giustapposizione iniziale e alla successiva sovrapposizione se-


guì la metodologia della sostituzione, secondo cui ogni traccia religio-
sa indigena – la terra, la pioggia, la fecondità – doveva cedere il passo
alla Vergine Maria e ai santi. Come Maria sostituiva la Madre Terra,
così i santi patroni prendevano il posto degli antichi totem tribali. Con
questa tecnica s’inaugurava un tipo d’inculturazione indigena della
fede cristiana e di cristianizzazione della religione indigena mediante
la sostituzione dei simboli, che, tuttavia, evitava di affrontare la que-
stione del valore della cultura religiosa indigena.

L’approccio
 interculturale
In definitiva, proprio queste tre diverse modalità di relazione attestano
il fatto che è una certa sintonia tra l’indigeno e il cristiano a rendere pos-
sibile l’incontro, come in modo serio e costruttivo appare dal primo ten-
tativo elaborato nel Seminario indigeno della Santa Cruz di Tlateloco in
Messico (1535-1575), il cui frutto è un testo di teologia india conosciu-
to come Nican Mopohua, che si riferisce alle apparizioni della Vergine
Maria a Guadalupe. In questo scritto, a partire da un simbolo cristiano,
mediato dalla tradizione spagnola, si rielaborano le credenze indigene
nella loro perfetta armonia con i contenuti evangelici.
Scrive a proposito il teologo messicano zapoteco Eleazar López
Hernández: «Guadalupe è l’espressione teologica di un popolo scon-
fitto dalla forza delle armi, ma che non si rassegna a morire e resiste
valorosamente mantenendo, contro il vento e la marea, le sue speran-
ze e utopie ancestrali. La Vergine di Guadalupe è una manifestazio-
ne del Messico profondo che è presente in tutti noi» (Teologia india,
2004). Di conseguenza, vi è un’immagine che esige di essere trasfor-
mata: dall’indio inginocchiato di fronte al vescovo, al vescovo inginoc-
chiato di fronte all’indio. Ciò implica «cambiare radicalmente la storia
di oppressione in storia di amore, compassione, aiuto e difesa, per il
xocoyotzin, ossia per il più piccolo dei figli» (ibidem).
Sulla base del modello guadalupano – della Vergine Morena del
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Tepeyac apparsa a san Juan Diego – si produssero sintesi teologiche


che assunsero come principale punto di riferimento la Vergine Maria:
la Aparecida in Brasile, Caacupé in Paraguay, Copacabana in Bolivia.
In realtà, l’evangelizzazione latinoamericana fu più mariana che cri-
stologica.

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Su queste radici si venne quindi sviluppando la cosiddetta “reli-


giosità popolare”, segnata in modo particolare dall’oscillazione tra
simboli cristiani indigenizzati e simboli indigeni cristianizzati, con la
costante vigilanza ecclesiastica preoccupata della purificazione ed ele-
vazione di elementi incompatibili. Il positivo apprezzamento di questa
faticosa relazione, espresso nei documenti delle conferenze del Celam,
in cui si riconosce il volto materno di Dio nella Vergine di Guadalupe
(Puebla, 1979) come il miglior esempio d’inculturazione (Santo Do-
mingo, 1992), dischiude nuovi orizzonti verso cui si muove la teologia
india o indigena.

Nuovi
 cammini per la Chiesa in Amazzonia
Su quali nuove strade potrà avanzare la Chiesa nella regione panamaz-
zonica, per un’ecologia integrale? Questa domanda di fondo è stata
formulata in modo articolato nel Documento preparatorio, pubblicato
l’8 giugno 2018 e inviato al popolo di Dio dell’Amazzonia, con la chiara
consapevolezza che si tratta di un contesto particolare che è «specchio
di tutta l’umanità». Perciò, si afferma nell’Introduzione: «L’Amazzonia
è una regione con una ricca biodiversità; è multi-etnica, pluri-culturale
e pluri-religiosa, uno specchio di tutta l’umanità che, a difesa della vita,
esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani, degli
Stati e della Chiesa. Le riflessioni del Sinodo speciale superano l’ambi-
to strettamente ecclesiale amazzonico, protendendosi verso la Chiesa
universale e anche verso il futuro di tutto il pianeta».
La prima parte del Documento, dedicata al vedere, delinea l’identità
della Panamazzonia e l’urgenza dell’ascolto. Gli argomenti affrontati
interessano il territorio, la varietà socio-culturale, l’identità dei po-
poli indigeni, la memoria storica ecclesiale, la giustizia e i diritti dei
popoli, la spiritualità e saggezza dei popoli amazzonici. La seconda
Maurizio Gronchi

parte riguarda il discernere nuovi cammini a partire dalla nostra fede


in Gesù Cristo, illuminati dal magistero e dalla tradizione della Chie-
sa. Si tratta dell’annuncio del Vangelo in Amazzonia, nelle sue diver-
se dimensioni: biblico-teologica, sociale, ecologica, sacramentale ed
ecclesiale-missionaria. La terza parte, infine, si riferisce all’agire, al
fine di individuare nuovi cammini pastorali per una Chiesa dal volto
amazzonico, con dimensione profetica, alla ricerca di ministeri e di
linee di azione più adeguate in un contesto di ecologia veramente in-

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tegrale. In appendice al Documento è allegato un Questionario (trenta


domande) indirizzato ai pastori affinché vi rispondano consultando il
popolo di Dio.

La
 sfida interculturale della fede
La vera sfida che la Chiesa intera è chiamata ad affrontare con il Sinodo
sull’Amazzonia tocca in profondità la dimensione interculturale della
fede, secondo quanto accennato nel Documento preparatorio: «I nuovi
cammini dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teolo-
gia. […] Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo
dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci
aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni.
Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra
Casa Comune» (n. 15).
Dunque, non è in gioco soltanto la questione di adattare, aggiornare o
inculturare il Vangelo, come attesta lo sviluppo della storia dell’evange-
lizzazione. Si tratta piuttosto di proseguire lungo la linea dello scambio
in reciprocità, che l’allora cardinale Joseph Ratzinger suggeriva nel 1992,
con l’esplicita proposta di preferire a inculturazione la categoria di inter-
culturalità, a partire da un significativo riferimento all’evento pasquale:
«La Pasqua può risultare risanatrice di una cultura che, nell’apparente
morire, risorge, e soltanto allora diventa interamente se stessa. Perciò non
dovremmo più parlare propriamente di inculturazione ma di incontro
delle culture o – se dovesse essere necessario un termine straniero [cioè
non tedesco, derivato dal latino] – di interculturalità. Infatti incultura-
zione presuppone che una fede, per così dire, culturalmente spoglia si
trasponga in una cultura religiosamente indifferente. Processo in cui due
soggetti fino a quel momento estranei si incontrano e realizzano una sin-
tesi. Ora, questa rappresentazione è artificiosa e irreale, perché non esiste
una fede priva di cultura e, al di fuori della moderna civiltà tecnica, non
esiste una cultura priva di religione. Soprattutto però non si riesce a ve-
dere come due organismi in sé totalmente estranei l’uno all’altro, possano
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tutto d’un tratto diventare una totalità vitale, in un trapianto che come
prima cosa li mutila entrambi. Solo se si tengono ferme la potenziale uni-
versalità di tutte le culture e la loro reciproca apertura, l’interculturalità
può portare a nuove forme feconde» (Fede, religione, cultura, in Fede,
verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, 2003).

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