92
6| 2018
Luogo
pastorale e teologico
Nella storia delle Assemblee del Sinodo dei vescovi, ben dieci sono
state quelle speciali, dal 1980 a oggi, convocate per continente o per
particolari regioni del mondo (Olanda, 1980; Europa, 1991; Africa,
1994; Libano, 1995; America, 1997; Asia, 1998; Oceania, 1998;
Europa, 1999; Africa, 2009; Medio Oriente, 2010). Il loro significato
è evidente: il Vangelo raggiunge i popoli entro determinati ambiti geo-
grafici e culturali, e le sfide del tempo presente richiedono un affronto
diretto e contestuale. Ora, dal momento che un Sinodo è un evento
che riguarda l’intero popolo di Dio, pur concentrandosi in una deter-
minata località pastorale – questa è la ragione per cui si celebra a Roma
e non in Amazzonia –, è l’occasione per tutta la Chiesa di «ascoltare
SPIRITUALITÀ
tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (Laudato si’ 49).
Particolarità e universalità, lungi dal contrapporsi, hanno una rela-
zione di reciprocità, per cui il contesto storico-geografico di una por-
zione del popolo di Dio costituisce effettivamente un luogo teologico e
non solo uno spazio pastorale. Ciò che tocca da vicino alcuni riguarda
93
|VITA E PENSIERO
Il
criterio dialogico dell’inculturazione
Per illuminare la relazione di reciprocità tra località pastorale e uni-
versalità ecclesiale, merita richiamare il criterio dialogico dell’incultu-
razione della fede, secondo il quale, per il dinamismo proprio dell’an-
nuncio evangelico, la Chiesa non solamente dona, ma anche riceve dai
popoli, dalle culture e dalle religioni alcuni elementi che permettono
ai discepoli di Cristo di maturare nella comprensione della fede (cfr.
Gaudium et spes 44). Di conseguenza, grazie alla potente opera del-
lo Spirito, possiamo comprendere l’inculturazione del Vangelo anche
come un processo dialogico tra memoria e futuro, ovvero di custodia
Maurizio Gronchi
94
6| 2018
Il
processo di inculturazione
Il tema specifico che c’interpella più direttamente si articola su due
piani. Primo: come armonizzare, oggi, la spiritualità dei popoli ori-
ginari e le culture ancestrali della regione Panamazzonica con il cri-
stianesimo? Secondo: come affrontare la minaccia di distruzione, de-
terioramento e deforestazione che incombe sulla foresta amazzonica,
soprattutto a causa dei progetti di estrazione mineraria in continuo
sviluppo? In via preliminare, accenniamo ad alcuni snodi di carattere
interculturale che definiscono i contorni del tema. Dopo una lunga
storia di difficili rapporti e di ricerca di soluzioni, oggi si dischiude
uno spiraglio nuovo di dialogo interculturale, grazie ad alcuni fattori
di tipo sociale, come il passaggio dalla resistenza passiva a quella attiva
da parte dei nativi di una determinata regione, da una lotta separatista
all’unione con altre forze sociali, e grazie a un processo di trasforma-
zione ecclesiale, segnato da un progressivo apprezzamento e rispetto
delle cause indigene da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
All’alba della colonizzazione europea, vi erano delle propizie pos-
sibilità d’incontro tra la cultura religiosa indigena e il Dio cristiano. In
realtà, anziché intraprendere la via della compatibilità, i conquistatori
alimentarono il conflitto, che si venne radicalizzando: formalmente,
come lotta tra il vero Dio cristiano e il Dio indigeno – in verità, Sata-
na –; sostanzialmente, come scontro tra il Dio-oro dei colonizzatori e
le antiche credenze indigene. Da questo avvio non certo favorevole
derivarono conseguenze disastrose per le possibilità d’inculturazione
SPIRITUALITÀ
del Vangelo da parte della Chiesa, tanto che i primi concili messica-
ni proibirono l’ordinazione di indios, neri e meticci, fino alla quarta
generazione. In sostanza, era prevalso il dubbio che l’adesione al cri-
stianesimo da parte degli indigeni non fosse autentica. Nonostante
questa radicale diffidenza, non sono mancati, successivamente, ten-
95
|VITA E PENSIERO
Giustapposizione,
sovrapposizione, sostituzione
In un primo momento, prevalse l’idea che l’accoglienza del Vangelo
non dovesse ridursi a un’accettazione mimetica della cultura cristia-
na spagnola, altresì che dovesse includere la possibilità d’incorporare
consapevolmente e criticamente gli elementi nuovi provenienti dalla
fede cristiana. Ne derivò una giustapposizione espressa mediante la
costruzione delle chiese accanto ai templi indigeni. La gente converti-
ta al cristianesimo non si convinse di abbandonare le antiche creden-
ze, rifiutando la predicazione missionaria che considerava satanica la
propria religione, sostenendo invece che l’unico Dio si era manifesta-
to secondo diverse modalità. Ancora oggi, talvolta, permane questa
duplice religiosità che affianca al culto di Cristo, di Maria e dei santi
quelli del Signore della vita che abita i diversi luoghi sacri indigeni.
Anche dinanzi alla contestazione ecclesiastica di infedeltà e apostasia,
sopravvive in modo clandestino la doppia credenza, che, in radice,
sorge dalla legittima domanda circa la possibilità di essere al tempo
stesso cristiani e indigeni. La conseguente schizofrenia esige una ri-
conciliazione interiore, mediante una terapia spirituale e l’approfon-
dimento del dialogo interreligioso, che integri armonicamente le due
culture e religioni.
La seconda modalità di relazione, promossa dai missionari, si
espresse mediante la sovrapposizione dei simboli cristiani a quelli in-
digeni: l’aggiunta di un nuovo tempio, una croce o qualche santo valse
a cristianizzare le forme precedenti considerate pagane. Nella costru-
Maurizio Gronchi
96
6| 2018
L’approccio
interculturale
In definitiva, proprio queste tre diverse modalità di relazione attestano
il fatto che è una certa sintonia tra l’indigeno e il cristiano a rendere pos-
sibile l’incontro, come in modo serio e costruttivo appare dal primo ten-
tativo elaborato nel Seminario indigeno della Santa Cruz di Tlateloco in
Messico (1535-1575), il cui frutto è un testo di teologia india conosciu-
to come Nican Mopohua, che si riferisce alle apparizioni della Vergine
Maria a Guadalupe. In questo scritto, a partire da un simbolo cristiano,
mediato dalla tradizione spagnola, si rielaborano le credenze indigene
nella loro perfetta armonia con i contenuti evangelici.
Scrive a proposito il teologo messicano zapoteco Eleazar López
Hernández: «Guadalupe è l’espressione teologica di un popolo scon-
fitto dalla forza delle armi, ma che non si rassegna a morire e resiste
valorosamente mantenendo, contro il vento e la marea, le sue speran-
ze e utopie ancestrali. La Vergine di Guadalupe è una manifestazio-
ne del Messico profondo che è presente in tutti noi» (Teologia india,
2004). Di conseguenza, vi è un’immagine che esige di essere trasfor-
mata: dall’indio inginocchiato di fronte al vescovo, al vescovo inginoc-
chiato di fronte all’indio. Ciò implica «cambiare radicalmente la storia
di oppressione in storia di amore, compassione, aiuto e difesa, per il
xocoyotzin, ossia per il più piccolo dei figli» (ibidem).
Sulla base del modello guadalupano – della Vergine Morena del
SPIRITUALITÀ
97
|VITA E PENSIERO
Nuovi
cammini per la Chiesa in Amazzonia
Su quali nuove strade potrà avanzare la Chiesa nella regione panamaz-
zonica, per un’ecologia integrale? Questa domanda di fondo è stata
formulata in modo articolato nel Documento preparatorio, pubblicato
l’8 giugno 2018 e inviato al popolo di Dio dell’Amazzonia, con la chiara
consapevolezza che si tratta di un contesto particolare che è «specchio
di tutta l’umanità». Perciò, si afferma nell’Introduzione: «L’Amazzonia
è una regione con una ricca biodiversità; è multi-etnica, pluri-culturale
e pluri-religiosa, uno specchio di tutta l’umanità che, a difesa della vita,
esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani, degli
Stati e della Chiesa. Le riflessioni del Sinodo speciale superano l’ambi-
to strettamente ecclesiale amazzonico, protendendosi verso la Chiesa
universale e anche verso il futuro di tutto il pianeta».
La prima parte del Documento, dedicata al vedere, delinea l’identità
della Panamazzonia e l’urgenza dell’ascolto. Gli argomenti affrontati
interessano il territorio, la varietà socio-culturale, l’identità dei po-
poli indigeni, la memoria storica ecclesiale, la giustizia e i diritti dei
popoli, la spiritualità e saggezza dei popoli amazzonici. La seconda
Maurizio Gronchi
98
6| 2018
La
sfida interculturale della fede
La vera sfida che la Chiesa intera è chiamata ad affrontare con il Sinodo
sull’Amazzonia tocca in profondità la dimensione interculturale della
fede, secondo quanto accennato nel Documento preparatorio: «I nuovi
cammini dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teolo-
gia. […] Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo
dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci
aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni.
Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra
Casa Comune» (n. 15).
Dunque, non è in gioco soltanto la questione di adattare, aggiornare o
inculturare il Vangelo, come attesta lo sviluppo della storia dell’evange-
lizzazione. Si tratta piuttosto di proseguire lungo la linea dello scambio
in reciprocità, che l’allora cardinale Joseph Ratzinger suggeriva nel 1992,
con l’esplicita proposta di preferire a inculturazione la categoria di inter-
culturalità, a partire da un significativo riferimento all’evento pasquale:
«La Pasqua può risultare risanatrice di una cultura che, nell’apparente
morire, risorge, e soltanto allora diventa interamente se stessa. Perciò non
dovremmo più parlare propriamente di inculturazione ma di incontro
delle culture o – se dovesse essere necessario un termine straniero [cioè
non tedesco, derivato dal latino] – di interculturalità. Infatti incultura-
zione presuppone che una fede, per così dire, culturalmente spoglia si
trasponga in una cultura religiosamente indifferente. Processo in cui due
soggetti fino a quel momento estranei si incontrano e realizzano una sin-
tesi. Ora, questa rappresentazione è artificiosa e irreale, perché non esiste
una fede priva di cultura e, al di fuori della moderna civiltà tecnica, non
esiste una cultura priva di religione. Soprattutto però non si riesce a ve-
dere come due organismi in sé totalmente estranei l’uno all’altro, possano
SPIRITUALITÀ
tutto d’un tratto diventare una totalità vitale, in un trapianto che come
prima cosa li mutila entrambi. Solo se si tengono ferme la potenziale uni-
versalità di tutte le culture e la loro reciproca apertura, l’interculturalità
può portare a nuove forme feconde» (Fede, religione, cultura, in Fede,
verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, 2003).
99