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CENNI STORICI
ARTICOLO APPARSO SU Le Monde Diplomatique / il manifesto – MAGGIO 2000 –
PAGINA 17.
«Non sarà facile sostituire un uomo Come me. Sul piano affettiva ci sono, tra me
e il popolo tunisino, quarant’anni di vita comune e di sofferenze condivise. Il mio
successore non potrà contare su tutto ciò». Queste parole poco umili, pronunciate nel
1972 dall’allora presidente tunisino Habib Burghiba hanno ritrovato, al momento
dell’annuncio della sua morte, il 6 aprile scorso, la loro forza profetica.
Come gli undici anni che passò a suo tempo nelle prigioni francesi, i tredici anni
di residenza forzata imposti al Combattente supremo (el Moujahid el akbar) dopo la
sua destituzione, il 7 novembre 1987, da parte del generale Zine El Abidine Ben Ali,
per ragioni di «senilità», non hanno fatto altro che risollevare il suo prestigio tra i
tunisini di ogni fede e colore, persino negli ambienti normalmente più critici verso l’ex
presidente a vita.
Non erano solo le persone più anziane, che avevano potuto assaporare i frutti
dell’indipendenza — in particolare la gratuità dell’istruzione e i progressi nella
condizione delle donne — a rendergli omaggio, ma anche i giovani, che non hanno mai
conosciuto il suo regno, e persino alcuni difensori dei diritti umani, come l’avvocato
Radhia Nasraoui, già vittima delle sue derive autoritarie.
La tristezza della Tunisia profonda, all’indomani della morte dell’uomo che nel
1956 ha portato il paese all’indipendenza senza troppo spargimento di sangue,
appariva in contrasto con l’atteggiamento del potere, che ha fatto di tutto per tenere i
cittadini lontani dai funerali di stato.
Rieletto per la terza volta nell’ottobre 1999 — con il 99,4 % dei voti! — Ben Ali,
autore del «colpo di stato medico-istituzionale», è apparso, sabato 8 aprile, un
presidente ancora a caccia di legittimità. «Dal 7 novembre 1987 abbiamo intrapreso la
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via del cambiamento. Nel far ciò abbiamo attinto al meglio dell’eredità lasciataci dal
leader Habib Burghiba, arricchendola e mettendola a frutto» ha dichiarato nella sua
orazione funebre.
Paradossalmente, i media stranieri hanno commentato lo straordinario percorso
politico dell’ex leader storico meglio di quanto non abbia fatto la stampa tunisina, che
si è mostrata ben poco disposta ad analizzare le «direttive presidenziali» che avevano
contribuito ad avviare il paese sulla strada della modernità. Solitamente tempestiva
nel coprire, in diretta, gli incontri sportivi disputati nelle contrade più sperdute della
terra, la televisione di stato ha ricevuto l’ordine di non trasmettere in diretta il
funerale. I pretesti ufficialmente addotti vanno dalla «volontà del potere di rispettare il
lutto del popolo» ai «mezzi tecnici limitati della televisione tunisina» (1), creata proprio
all’epoca di Burghiba, più di trentacinque anni fa.
Quel giorno, il telegiornale delle otto è stato ritardato di trentacinque minuti, il
tempo necessario agli «estetisti» della disinformazione per presentare un servizio che
non infastidisse il regime: la musica militare copriva le dichiarazioni che onoravano
Burghiba, mentre i «ninja» incappucciati del servizio d’ordine con le loro mitragliette
venivano opportunamente «cancellati».
Ma di che ha paura un leader eletto con il 99,4 % dei voti? «Il presidente Ben Ali
sa che la contestazione non verrà dai partiti politici, completamente sfibrati, né dagli
islamisti, molto indeboliti. È dalla società civile che possono venire eventuali pericoli
per il potere», risponde Béatrice Hibou, ricercatrice al Cnrs di Parigi (2).
«Dal modo in cui si sono svolti questi funerali, è possibile riscontrare diversi
indizi che rafforzano la tesi secondo cui, se Burghiba era amato dal suo popolo,
soprattutto dalla generazione dell’indipendenza e da coloro che gli devono alcune
conquiste democratiche, come le donne, non era però in odor di santità tra le alte
sfere del potere», scrive un quotidiano algerino (3).
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Habib Achour, ex leader sindacale, e Mohamed Mzali, ex primo ministro. Questo
autoritarismo è all’origine del fallimento della politica di socializzazione dell’economia,
promossa fino al 1969 da Ahmed Ben Salah; del tragico braccio di ferro tra il governo e
il sindacato centrale, il 26 gennaio 1978; delle cruenti «lotte per il pane» del dicembre
1983 e gennaio 1984. Le timide aperture dell’inizio degli anni 80 non hanno poi avuto
alcun esito, e Burghiba ha di fatto impedito un autentico sviluppo politico.
La «minaccia islamista», agitata e esagerata alla fine del suo regno, ha
provveduto a dare un serio colpo alla società civile e ad accelerare l’arrivo al potere di
Ben Ali, un «tecnico della sicurezza». Sheikh Rashid Ghannouchi, presidente del
movimento islamista Ennahda, in esilio dal 1989, è una delle poche personalità
politiche che si sono rifiutate di rendere omaggio a Burghiba. Lo definisce un
«dittatore» e gli rimprovera di aver «preparato il terreno alla nascita di uno stato di
polizia». Ammette comunque che «il periodo di Burghiba era meno peggio di quello di
Ben Ali (6)».
Un risveglio imminente
Gli islamisti sono stati tra i primi a capire il loro errore, seguiti a ruota da altri
attivisti politici di sinistra, da esponenti di piccoli movimenti politici, oltre che da
difensori dei diritti umani. L’arresto di migliaia di islamisti portava ai due grandi
processi del luglio 1992. Qualche mese prima dell’apertura di questi due processi, il
potere elaborava minuziosamente una nuova legge sulle associazioni, destinata a
ridurre al silenzio la Lega tunisina dei diritti dell’uomo (Ltdh) (7).
Ci sono voluti più di tredici anni di «cambiamenti» sotto la guida del presidente
Ben Ali prima che i tunisini, facendo i debiti confronti, cominciassero a dimenticare gli
abusi di potere di Burghiba e a considerare gli anni del suo lungo regno, malgrado
tutto, come i «bei tempi andati».
La società civile manifesta sempre più apertamente il suo dissenso. Intellettuali,
avvocati, giornalisti indipendenti vengono tormentati e umiliati per ordine di Ben Ali e
spesso devono ricorrere a lunghi scioperi della fame per attirare l’attenzione
dell’opinione pubblica sulla violazione dei loro più elementari diritti (8). Ultimamente,
alcuni movimenti sociali, come lo sciopero dei tassisti a Tunisi e le manifestazioni
studentesche nel sud del paese, mostrano comunque che non sono più solo piccoli
gruppi d’élite a contestare il regime.
Le lacrime versate dal popolo per la scomparsa del Combattente supremo e il
vibrante omaggio reso alle sue battaglie contro l’oppressione, anche da ex avversari
politici, preannunciano forse un imminente risveglio della società contro l’attuale
autoritarismo? Quella stessa società che il presidente Burghiba si vantava di aver
liberato «dalla disperazione e dalla rassegnazione alla tirannia (9)».
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(2) Les Echo, Parigi, 27 marzo 2000. Béatrice Hibou è l’autrice di un libro intitolato Les Marges de manœuvre d’un
bon élève économique: la Tunisie de Ben Ali.
(4) Riprodotto nel libro di Tahar Belkhodja, Les Trois Décennies de Bourguiba, Arcantères-Publisud, Parigi, 1998,
pp. 14e 15.
(5) Emma C. Murphy, Economic and Political Change in Tunisia: From Bourguiba to Ben Ali, St Martin’s Press,
Londra, 2000.
(7) Si legga in particolare Hamed Ibrahimi, «Repressione e censura soffocano la Tunisia», Le Monde
diplomatique/il manifesto, febbraio 1997 e Jacqueline Bouchet, «La società tunisina costretta al silenzio», Le Monde
diplomatique/il manifesto, febbraio 1996.
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(8) Taoufik Ben Brik, corrispondente da Tunisi per La Croix e altri media europei, è oggetto da più di due anni di
continui maltrattamenti da parte della polizia. All’inizio di aprile ha cominciato uno sciopero della fame. Fethi Chamki,
dirigente di Attac in Tunisia, è stato arrestato insieme ad altri militanti della sua organizzazione. Il suo processo è
cominciato il 20 aprile scorso in condizioni indegne di una giustizia che si definisce tale.
(9) Discorso di Habib Burghiba: «De la réalité des patries à l’idéal de l’unité arabe» («Dalla realtà delle patrie
all’ideale dell’unità araba»), meglio noto come il discorso del Palmarium, 16 dicembre 1972.
Nuove restrizioni alla libertà di espressione sono state imposte dal governo del
Presidente Zine El Abidine Ben Ali. In maggio è stato approvato il Code de la Poste, che
proibisce ogni tipo di corrispondenza considerata “pericolosa per l’ordine pubblico e la
sicurezza” e che consente di confiscare tale corrispondenza. È stato ritirato
l’emendamento alla legge sulla sicurezza esterna dello stato, che proponeva di
considerare i contatti con agenti delle organizzazioni straniere o internazionali come
un reato (vedi Rapporto 1998). È stato interrotto l’accesso a molti siti Internet recanti
notizie sulla situazione dei diritti umani in Tunisia, tra cui alcuni dei siti web di
Amnesty International.
In novembre la Commissione delle Nazioni Unite contro la Tortura ha esaminato
il rapporto della Tunisia ed ha chiesto al governo di porre fine alla pratica della tortura
e ad eliminare le differenze esistenti tra la legge e la sua attuazione. La Commissione
ha concluso che il governo stesse accordando l’immunità ai responsabili di torture,
negando continuamente tutte le accuse di tortura. La Commissione ha esortato il
governo a ridurre il periodo di custodia della polizia ad un massimo di 48 ore e a
garantire una rigorosa attuazione dei provvedimenti di legge e delle procedure di
arresto e di custodia della polizia.
Il Relatore Speciale sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati nonché il
Relatore Speciale sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e
di espressione, che avevano richiesto al governo il permesso di intraprendere una
missione congiunta, non hanno ricevuto il permesso di entrare nel paese.
Gli attivisti per i diritti umani sono sempre più bersagliati dalle autorità, che
cercano di far cessare le loro attività. In febbraio il prigioniero per motivi di opinione
Khemais Ksila, vice presidente della Ligue tunisienne des droits de l’homme (LTDH -
Lega Tunisina per i Diritti Umani), arrestato nel settembre 1997 (vedi Rapporto 1998),
è stato condannato a tre anni di reclusione per aver “attentato all’ordine pubblico”. La
sentenza è stata confermata nel mese di aprile dalla Corte di Appello e nuovamente
confermata in maggio dalla Corte di Cassazione. In agosto la Sotto Commissione delle
Nazioni Unite sulla Prevenzione della Discriminazione e la Protezione delle Minoranze,
ha chiesto all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di informarsi su
Khemais Ksila.
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L’avvocata per i diritti umani Radhia Nasraoui e le sue due figlie hanno subito
crescenti vessazioni da parte delle forze di sicurezza. In febbraio il suo ufficio è stato
saccheggiato. In marzo, mentre si trovava in Mali come osservatrice di Amnesty
International ad un processo, è stata incriminata in contumacia per i suoi presunti
“legami con una banda criminale e terrorista, che tiene incontri non autorizzati ed
incita la ribellione”. Al suo ritorno, le è stata concessa la libertà provvisoria su
cauzione ma le è stato proibito di lasciare Tunisi. Alla fine dell’anno non era stata
ancora fissata nessuna data per il suo processo.
Da giugno l’avvocato Najet Yaqoubi e i suoi bambini sono rimasti costantemente
sotto la sorveglianza della polizia. Anche l’avvocato Anouar Kousri è rimasto sotto
stretta sorveglianza per tutto l’anno. L’avvocato per i diritti umani Najib Hosni e l’ex
presidente della LTDH Moncef Marzouki sono tuttora soggetti a continue vessazioni e
restrizioni (vedi Rapporto 1998).
Molti prigionieri per motivi d’opinione sospettati di sostenere gruppi politici di
sinistra non autorizzati o il gruppo islamico non autorizzato al-Nahda (Rinascimento)
fanno parte delle centinaia di persone arrestate per motivi politici. Almeno 10 di essi
sono stati rilasciati senza accusa o processo, ma molti sono rimasti in detenzione e
sono stati condannati a periodi di carcerazione.
Decine di mogli e parenti di sostenitori di al-Nahda detenuti o in esilio sono state
imprigionate: Amnesty International le considera prigioniere per motivi di opinione. Tra
di esse vi è anche Radhia Aouididi, che nel mese di maggio è stata condannata a tre
anni e mezzo di reclusione con l’accusa di essere legata ad un gruppo criminale e di
essere in possesso di un passaporto falso (vedi Rapporto 1998). In ottobre Radhia
Aouididi e quattro dei suoi familiari sono stati accusati di appartenere ad un gruppo
criminale perché la sua famiglia aveva ricevuto aiuti economici dal fratello e dal
fidanzato esiliati in Europa.
In maggio Nizafr Chaari, un giovane tunisino, studente in Francia, è stato
arrestato all’aeroporto di Tunisi dopo aver fatto visita alla sua famiglia. Da quanto
viene riferito egli è stato sottoposto a tortura durante la detenzione in inconmunicado,
prolungata ben al di là del limite massimo stabilito dalla legge tunisina. È stato
accusato di avere “legami con un’associazione non autorizzata (al-Nahda) e una banda
criminale”. Alla fine dell’anno si trovava ancora in carcere in attesa di giudizio.
In luglio sono state portate in giudizio due donne, Salwa Dimassi e Ahlam Garat-
Ali, entrambe prigioniere per motivi di opinione arrestate nel mese di maggio 1996 ed
accusate di essere legate ad una “banda criminale” (vedi Rapporto 1997), ma alla fine
dell’anno il processo non si era ancora concluso.
In maggio Samir e Abdessatar Gasmi, due fratelli esiliati in Libia, sono stati
arrestati dalle autorità libiche e nel mese di agosto consegnati alla Tunisia, dove sono
stati incarcerati. Samir Gasmi è stato rilasciato una settimana dopo il suo ritorno
forzato, Abdessatar Gasmi è stato trattenuto in carcere - da quanto viene riportato egli
è stato torturato e trasferito in agosto nel carcere 9 Avril di Tunisi.
Le famiglie dei sostenitori in esilio di al-Nahda sono sottoposte a crescenti
vessazioni e viene loro impedito di lasciare il paese. A Hayat Hammi e ai suoi tre figli,
per esempio, è stato impedito di lasciare la Tunisia per riunirsi al marito, Samir Ben
Arfa, rifugiato in Svizzera.
Si trovano ancora in carcere almeno 2.000 prigionieri politici, arrestati negli anni
precedenti, molti dei quali prigionieri per motivi di opinione. Tra di essi Souad
Charbati, condannata nel 1997 a sette anni di reclusione, e Mohamed Habib Hemissi,
condannato a 10 anni di reclusione nel 1997 (vedi Rapporto 1998). Jalel Maalej (vedi
Rapporto 1995) in gennaio è stato rilasciato ma resta in libertà vigilata. Imed Ebdelli è
stato rilasciato ed è fuggito all’estero; Ali Hafdi, rilasciato nel 1997, è stato autorizzato
a lasciare il paese; e Abdelmoumen Belanes è stato rilasciato dopo aver scontato la
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sua condanna (vedi Rapporto 1998). Alla fine del 1997 Lazhar Noman, è stato
rilasciato in libertà vigilata al termine della condanna (vedi Rapporto 1998).
Su numerose persone continua a pendere una condanna a morte, per reati non
politici, ma non si è avuta notizia di nessuna esecuzione.
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Interventi di Amnesty International
Legge n° 59-57 del 1° giugno 1959 (25 doul Kaâda 1378) relativa alla
promulgazione della Costituzione della Repubblica Tunisina.
(Apparsa su il Journal Officiel de la République Tunisienne n° 30 del 1° giugno 1959 solo in versione
originale (araba), pagina 746)
Visto il decreto del 29 dicembre 1955 (14 djoumeda I° 1375) relativo all’istituzione
dell’Assemblea Nazionale Costituente,
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PREAMBOLO
In nome di Dio,
Clemente e misericorde,
– di rimanere fedele agli insegnamenti dell’Islam, all’unità del Grande Magreb, alla
sua appartenenza alla famiglia araba, alla cooperazione con i popoli che combattono
per la giustizia e la libertà,
– il mezzo più efficace per assicurare la protezione della famiglia e il diritto dei
cittadini al lavoro, alla sanità e all’istruzione.
Noi, rappresentanti del popolo tunisino libero e sovrano, stabiliamo, per grazia di
Dio, la presente Costituzione:
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COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA TUNISINA
CAPITOLO PRIMO
DISPOSIZIONI GENERALI
I trattati conclusi a questo scopo e che sono di natura tale da richiedere una
modifica qualunque della presente Costituzione saranno sottoposti a referendum dal
Presidente della Repubblica dopo la loro adozione da parte della “Camera dei
Deputati”*, nelle forme e condizioni previste dalla Costituzione.
Art. 6. – Tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali
davanti alla legge.
*
Il vecchio nominativo della Camera dei Deputati è “l’Assemblea Nazionale”, sostituzione adottata dalla Legge
costituzionale n° 81-47 del 9 giugno 1981.
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Il diritto sindacale è garantito.
È vietato a tutti i partiti di avere dei legami di dipendenza con partiti o interessi
stranieri.
Art. 11. – Nessun cittadino può essere bandito dal territorio nazionale ne impedito
di ritornarci.
Art. 12. – Ogni imputato è considerato innocente fino all’accertamento della sua
colpevolezza in seguito a una procedura che gli offre le garanzie indispensabili alla sua
difesa.
Art. 13. – La condanna è personale e non può essere pronunciata che in virtù di
una legge anteriore al fatto punibile.
Art. 14. – Il diritto di proprietà è garantito. È esercitato nei limiti previsti dalla
legge.
Art. 15. – La difesa della patria e dell’integrità del territorio è un dovere sacro per
ogni cittadino.
Art. 16. – Il pagamento delle imposte e la contribuzione agli oneri pubblici, sulla
base dell’equità, costituiscono un dovere per ogni persona.
CAPITOLO II
IL POTERE LEGISLATIVO
Art. 18. – Il popolo esercita il potere legislativo per il tramite di una assemblea
rappresentativa, denominata “Camera dei Deputati”.
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Art. 19. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– I membri della Camera dei Deputati sono eletti a suffragio universale, libero, diretto
e segreto, secondo le modalità e le condizioni fissate dalla legge elettorale.
Il deputato presta, nel corso della prima assemblea plenaria tenuta dopo le
elezioni, il seguente giuramento:
Art. 22. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– La Camera dei Deputati è eletta per un mandato di cinque anni nel corso dei trenta
ultimi giorni della legislatura.(1)
Art. 23. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– In caso di impossibilità di procedere nel termine previsto alle elezioni, a causa di
guerra o di pericolo imminente, il mandato della Camera dei Deputati è prorogato da
una legge fino a quando sarà possibile procedere alle elezioni.
Art. 24. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– La sede della Camera dei Deputati è stabilita a Tunisi e periferia. Tuttavia, in
circostanze eccezionali, la Camera dei Deputati può tenere le sue sedute in qualsiasi
altro luogo del territorio della Repubblica.
Art. 26. – Un deputato non può essere perseguito, arrestato o giudicato per le
opinioni espresse, le proposizioni emesse o gli atti compiuti nell’esercizio del suo
mandato in seno alla camera.
Art. 27. – Nessun deputato può, durante il suo mandato, essere perseguito o
arrestato per un crimine o un delitto, senza che la Camera dei Deputati abbia revocato
l’immunità parlamentare che lo protegge.
Art. 28. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– La Camera dei Deputati esercita il potere legislativo. L’iniziativa legislativa
appartiene parimenti al Presidente della Repubblica e ai membri della Camera dei
Deputati. I progetti presentati dal Presidente della Repubblica hanno la precedenza.
(1)
Il secondo capoverso dell’articolo unico della legge costituzionale n° 93-105 del 8 novembre 1993 relativa ai
prossimi mandati legislativi e presidenziali dispone: “Senza pregiudizio delle disposizioni della Costituzione e in deroga
alle disposizioni dell’articolo 22 e del capoverso primo dell’articolo 39 della Costituzione, i prossimi mandati legislativi
e presidenziali scadranno la seconda domenica del mese di novembre 1999.
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La Camera dei Deputati può abilitare il Presidente della Repubblica durante un
termine limitato e in vista di uno scopo determinato a emanare dei decreti legislativi
che devono essere sottoposti alla ratifica della Camera alla scadenza di questo
termine.
Il progetto di legge organica non può essere sottoposto alla deliberazione della
Camera dei Deputati che alla scadenza di un termine di quindici giorni dopo il suo
deposito.
La Camera dei Deputati vota i progetti di legge finanziaria e del saldo di bilancio
nelle condizioni previste da una legge organica di bilancio.
Art. 30. – La Camera dei Deputati elegge tra i suoi membri commissioni
permanenti la cui attività continua durante le vacanze della Camera dei Deputati.
Art. 33. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– I trattati sono ratificati con una legge.
(1)
Il primo capoverso dell’articolo unico della legge costituzionale n° 93-105 del 8 novembre 1993 relativa ai prossimi
mandati legislativi e presidenziali dispone: “In deroga alle disposizioni del primo capoverso dell’articolo 29 della
Costituzione la prima sessione della prossima legislatura incomincia nella prima quindicina del mese di aprile 1994 e la
corrente sessione legislativa finisce il giorno della riunione della nuova Camera dei Deputati”.
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– alle modalità generali di applicazione della Costituzione diverse da quelle che
devono essere oggetto di leggi organiche,
– alla definizione dei crimini e dei delitti e delle pene applicabili, nonché delle
contravvenzioni penali sanzionate con una pena privativa della libertà,
– all’amnistia,
– dell’insegnamento,
Art. 36. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– Il piano di sviluppo è approvato con una legge.
La legge autorizza le entrate e le spese dello Stato nelle condizioni previste dalla
legge organica di bilancio.
CAPITOLO III
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IL POTERE ESECUTIVO
(Modificato dalla legge costituzionale n° 76-36 del 8 aprile 1976)
Art. 37. – Il potere esecutivo è esercitato dal Presidente della Repubblica assistito
da un Governo diretto da un Primo ministro.
Sezione I
Il Presidente della Repubblica
Art. 38. – Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato. La sua religione è
l’Islam.
Art. 39. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni a suffragio universale, libero,
diretto e segreto, nel corso dei trenta ultimi giorni del mandato nelle condizioni
previste dalla legge elettorale. (Vedi le disposizioni del capoverso 2 della legge
costituzionale n° 93-105 alla pagina 5)
Art. 40. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
–Può presentarsi candidato alla Presidenza della Repubblica ogni tunisino, che gode
esclusivamente della nazionalità tunisina, di religione musulmana, di padre, di madre,
di nonni paterni e materni tunisini, che hanno conservato la nazionalità tunisina senza
discontinuità.
“In mancanza di attuazione della condizione di presentazione del candidato, prevista dal
terzo capoverso dell’articolo 40 della Costituzione, può presentarsi candidato alla presidenza
della Repubblica, a titolo eccezionale per le elezioni presidenziali dell’anno 1999, il primo
responsabile di ogni partito politico che sia Presidente o Segretario generale del partito, a
condizione che sia nell’esercizio delle sue funzioni, il giorno di deposito della sua candidatura,
da almeno cinque anni consecutivi e che il partito abbia un deputato o più alla Camera dei
Deputati.
Art. 42. – Il Presidente della Repubblica eletto presta davanti alla Camera dei
Deputati il seguente giuramento:
Art. 43. – La sede ufficiale della Presidenza della Repubblica è stabilita a Tunisi e
periferia. Tuttavia, in circostanze eccezionali, può essere trasferita provvisoriamente in
qualsiasi altro luogo del territorio della Repubblica.
Art. 44. – Il Presidente della Repubblica è il Capo Supremo delle Forze Armate.
Queste misure cessano di avere effetto appena avranno termine le circostanze che
le hanno generate. Il Presidente della Repubblica rivolge un messaggio alla Camera
dei Deputati a questo proposito.
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Art. 48. – Il Presidente della Repubblica promulga i trattati.
Art. 49. – Il Presidente della Repubblica orienta la politica generale dello Stato, ne
definisce le opzioni fondamentali e ne informa la Camera dei Deputati.
Art. 51. – Il Presidente della Repubblica mette fine alle funzioni del Governo o di
uno dei suoi membri di propria iniziativa o su proposta del Primo ministro.
Il Presidente della Repubblica può, durante il termine previsto nel paragrafo primo
del presente articolo e su parere del Consiglio Costituzionale emesso in applicazione
degli articoli 73 e 74 della Costituzione, rinviare il progetto di legge o alcuni suoi
articoli dopo modifica alla Camera dei Deputati per una nuova deliberazione. Dopo
l’adozione delle modifiche da parte della Camera dei Deputati a maggioranza dei suoi
membri, il Presidente della Repubblica promulga la legge e ne garantisce la
pubblicazione entro i quindici giorni successivi alla trasmissione che gli è fatta. (Il
paragrafo (3) è stato aggiunto dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27
ottobre 1997)
Esercita il suo potere regolamentare generale e può delegare tutto o parte di esso
al Primo ministro.
Art. 54. – I progetti di legge sono deliberati nel Consiglio dei ministri.
Art. 55. – Il Presidente della Repubblica nomina agli impieghi superiori civili e
militari, su proposta del Governo.
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Art. 56. – In caso di impedimento provvisorio, il Presidente della Repubblica può
delegare per decreto le sue attribuzioni al Primo ministro, escluso il potere di
sciogliere la Camera dei Deputati.
Il Presidente della Repubblica informa il Presidente della Camera dei Deputati della
delega provvisoria dei suoi poteri.
Art. 57. (Modificato dalla legge costituzionale n°88-88 del 25 luglio 1988)
– In caso di vacanza della Presidenza della Repubblica per causa di decesso, dimissioni
o impedimento assoluto, il Presidente della Camera dei Deputati è immediatamente
investito delle funzioni del Presidente della Repubblica ad interim per un periodo che
varia da un minimo di 45 giorni a un massimo di 60 giorni.
Durante questo periodo, non si può presentare una mozione di censura contro il
Governo.
Sezione II
Il Governo
Art. 58. – Il Governo vigila sulla messa in opera della politica generale dello Stato,
conformemente alle orientazioni e alle opzioni definite dal Presidente della Repubblica.
Art. 59. – Il Governo è responsabile della sua gestione davanti al Presidente della
Repubblica.
Art. 60. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– Il Primo ministro dirige e coordina l’azione del Governo. Supplisce, all’occorrenza, il
Presidente della Repubblica nella Presidenza del Consiglio dei ministri o di ogni altro
consiglio.
Art. 61. – I membri del Governo hanno accesso alla Camera dei Deputati e alle
sue commissioni.
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Art. 62. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– La Camera dei Deputati fa valere la responsabilità del Governo mediante la
votazione di una mozione di censura, se si accerta alla camera che esso non agisce in
conformità con la politica generale dello Stato e le opzioni fondamentali previste dagli
articoli 49 e 58.
La votazione non può aver luogo prima di quarantotto ore dalla presentazione
della mozione di censura.
Quando una mozione di censura è adottata dalla maggioranza dei due terzi dei
deputati, il Presidente della Repubblica accetta le dimissioni del Governo presentate
dal Primo ministro.
La camera, nuovamente eletta, si riunisce di diritto negli otto giorni che seguono la
proclamazione dei risultati dello scrutinio.
CAPITOLO IV
IL POTERE GIUDIZIARIO
Art. 64. – Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo ed eseguite in nome
del Presidente della Repubblica.
Art. 66. – I magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica
su proposta del Consiglio superiore della magistratura. Le modalità del loro
reclutamento sono fissate dalla legge.
CAPITOLO V
L’ALTA CORTE
1 – il Tribunale amministrativo,
2 – la Corte dei conti.
La legge determina l’organizzazione del Consiglio di Stato e dei suoi due organi, e
fissa la competenza e la procedura applicabile davanti a questi organi.
CAPITOLO VII
IL CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIALE
CAPITOLO VIII
LE COLLETTIVITÀ LOCALI
Art. 71. – I Consigli municipali e i Consigli regionali gestiscono gli affari locali,
nelle condizioni previste dalla legge.
CAPITOLO IX
IL CONSIGLIO COSTITUZIONALE
Art. 72. – Il Consiglio Costituzionale esamina i progetti di legge che gli sono
sottoposti dal Presidente della Repubblica quanto alla loro conformità o alla loro
compatibilità con la Costituzione. Il deferimento al Consiglio è obbligatorio per i
progetti di legge organica, i progetti di legge previsti dall’articolo 47 della Costituzione,
nonché i progetti di legge relativi alle modalità generali di applicazione della
Costituzione, alla nazionalità, allo stato delle persone, agli obbligazioni, alla definizione
dei crimini e dei delitti e delle pene applicabili, alla procedura davanti ai differenti
ordini di giurisdizione, all’amnistia, nonché ai principi fondamentali del regime di
proprietà e dei diritti reali, dell’insegnamento, della sanità pubblica, del diritto al
lavoro e della sicurezza sociale.
Art. 73. – I progetti del Presidente della Repubblica sono sottoposti al Consiglio
Costituzionale prima della loro trasmissione alla Camera dei Deputati o il loro
assoggettamento a referendum.
Il Presidente della Repubblica trasmette alla Camera dei Deputati copia del parere
del Consiglio Costituzionale nei casi previsti dal secondo capoverso dell’articolo 73 e
dell’articolo 74 della Costituzione.
CAPITOLO X
REVISIONE DELLA COSTITUZIONE
23
Nel caso di ricorso al referendum, il Presidente della Repubblica sottopone il
progetto di revisione della Costituzione al popolo dopo la sua adozione dalla Camera
dei Deputati a maggioranza assoluta dei suoi membri nel corso di una sola lettura.
Fatto nel palazzo di Bardo il 1° giugno 1959 (25 doul kaâda 1378)
HABIB BOURGUIBA
24
* 1976-04-08 - Loi constitutionnelle n° 76-37 modifiant et complétant la
constitution du 1er juin 1959.
25
CODICE ELETTORALE DELLA REPUBBLICA TUNISINA
CAPITOLO I
LE CONDIZIONI DELLA CANDIDATURA
L’elezione del Presidente della Repubblica si svolge nel corso degli ultimi trenta
giorni del corrente mandato presidenziale(1).
Art. 64. — Può presentarsi candidato alla Presidenza della Repubblica chi :
1. è elettore
2. è musulamo
3. gode della nazionalità tunisina sin dalla nascita, senza discontinuità, e non ha
un’altra nazionalità
4. è nato di padre, di madre, di nonni paterni e materni tunisini e che abbiano
conservato la nazionalità tunisina senza discontinuità.
5. abbia compiuto almeno quaranta anni e al massimo settanta il giorno di
deposito della sua candidatura(2).
(1)
Modificato dalla legge organica n° 88-144 del 29 dicembre 1988.
(2)
Modificato dalla legge organica n° 88-144 del 29 dicembre 1988.
26
CAPITOLO II
LE CANDIDATURE
CAPITOLO IV
L’ELEZIONE
Art. 88. — I membri della Camera dei Deputati sono eletti in un turno
elettorale unico col voto di liste.
L’elettore sceglie una lista tra quelle candidate senza modificare i nomi contenuti
in essa e la mette da sola dentro una apposita busta(1).
(1)
Modificato dalla legge organica n° 93-118 del 27 dicembre 1993.
27
CODICE ELETTORALE DELLA REPUBBLICA TUNISINA
DISPOSIZIONI RELATIVE ALL’ELEZIONE DEI MEMBRI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(Traduzione dall’arabo di Imed Mehadheb)
CAPITOLO VII
LO SCRUTINIO
Art. 105. — Si attribuiscono tutti i seggi disponibili nella circoscrizione alla lista
che ottiene più voti.
Se viene scrutinata una sola lista si proclama la sua votazione senza considerare
il numero dei voti ottenuti(1).
(1)
Modificato dalla legge organica n° 88-144 del 29 dicembre 1988.
28
Art. 105 bis. — Al fine della distribuzione dei seggi a livello nazionale, il
quoziente elettorale è dato dalla divisione dei voti validi che non hanno consentito di
vincere dei seggi a livello delle circoscrizioni, per il numero dei seggi da distribuire a
livello nazionale.
Si distribuiscono i seggi a livello nazionale tra le liste non vincenti in una o più
circoscrizioni secondo il metodo proporzionale e considerando le medie più alte.
Per quanto riguarda le liste dei partiti politici, la somma dei voti ottenuti a livello
nazionale e che non hanno consentito di vincere dei seggi in una o più circoscrizioni.
Per quanto riguarda le altre liste, i voti ottenuti in una circoscrizione e che non
hanno consentito di vincere dei seggi nella stessa circoscrizione.
COMPARAZIONE GIURIDICA
LA FORMA DI GOVERNO DELLA REPUBBLICA
TUNISINA
Per “forma di governo” si intende una configurazione tipica che viene assunta
dall’articolarsi dei rapporti fondamentali tra gli organi costituzionali di uno Stato e dei
fattori che su quei rapporti esercitano condizionamenti e influenze di varia intensità. Si
tratta del complesso costituito dalle regole e dalle modalità organizzative inerenti
all’esercizio della funzione di indirizzo politico da parte degli organi supremi dello
Stato.
Con l’espressione “governo semi-presidenziale” si fa riferimento a quella forma
di governo, affermatasi in alcune democrazie occidentali a partire dal primo dopo
guerra, caratterizzata sul piano strutturale da due complessi di requisiti di tipo
giuridico-formale:
(2)
Paragrafo aggiunto dalla legge organica n° 93-118 del 27 dicembre 1993.
29
1) Un Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale e dotato di
importanti poteri propri.
2) Un Primo ministro e un Governo responsabili davanti al Parlamento.
La V Repubblica francese è considerata la manifestazione più interessante ed
esemplare del fenomeno.
Sulla base del dato formale emergente dal testo della Carta costituzionale
tunisina, la forma di governo presenta i caratteri di quella semi-presidenziale. Ai fini
della mia ricerca, volendo attenermi ai canoni del metodo dell’analisi comparativa,
definisco il tertium comparationis il modulo astratto della forma di governo semi-
presidenziale e lo utilizzo come parametro di riferimento nella comparazione tra forma
di governo della V Repubblica francese (il comparatum) e la forma di governo della
Repubblica tunisina presa in esame (il comparandum).
30
Il quadro giuridico-formale che emerge dalla Carta costituzionale francese non
corrisponde all’evoluzione dell’esperienza della V Repubblica. Infatti, la logica
maggioritaria introdotta con la riforma del 1967 ha alterato l’equilibrio impostato tra
gli organi costituzionali, finendo per neutralizzare molti meccanismi di controllo
predisposti dal costituente (maggioritario a doppio turno in collegi uninominali con
percentuale predefinita per il passaggio al secondo turno del 12,5 %). Di fatto, il
Governo ha finito per essere formalmente responsabile dinanzi all’Assemblea
nazionale per una politica le cui linee d’azione non sono il frutto di una scelta
governativa in senso proprio come prevede l’art. 20 Cost. È il Presidente della
Repubblica a stabilire i fondamenti e i dettagli delle linee d’azione politica fino a fare
del Primo ministro, che pure in base all’art. 21 Cost. ha il compito di dirigere l’azione
del Governo, una sorta di suo “capo di stato maggiore”. Quindi, se una responsabilità
politica esiste nella realtà del sistema di governo francese, è quella del Governo verso
il Capo dello Stato per la corretta attuazione delle politiche presidenziali. E, nella
prassi, si è andato affermando una sorta di doppia fiducia; nel senso che, persistendo
un rapporto di perfetta sintonia tra Capo di Stato e maggioranza parlamentare, la
fiducia del Presidente nel Primo ministro prescelto non troverà motivo di
contraddizione nella compagine parlamentare. Giuridicamente il Capo dello Stato
francese non dispone del potere di revocare il Primo ministro, è indispensabile l’atto
formale delle sue dimissioni. Tuttavia, nelle fasi di preminenza politica del Presidente,
la revoca entra a far parte della dinamica istituzionale trasformandosi in un essenziale
strumento nelle sue mani.
Rispetto al prototipo della V Repubblica, la Costituzione tunisina non si limita a
riprodurne il mero dato giuridico-formale. Infatti, spetta al Presidente della Repubblica,
per il peso che l’elezione diretta gli ha conferito, definire le opzioni fondamentali della
politica generale dello Stato (art. 49 Cost.); il Governo vigila sulla sua messa in opera
(art. 58 Cost.) ed è responsabile della sua gestione sia davanti al Presidente della
Repubblica che dispone del potere di revoca (artt. 59 e 51 Cost.), che davanti alla
Camera dei Deputati che fa valere la responsabilità del Governo mediante la votazione
di una mozione di censura (art. 62 Cost.). Abbiamo quindi una costituzionalizzazione di
quei fattori che, nell’esperienza di riferimento, hanno carattere extra-giuridico.
31
nel 1952 portò alla messa al bando del Partito socialista del Reich (Srp), dove si erano
riorganizzati i vecchi nazisti; mentre nel 1956 toccò al Partito comunista (Kpd). E, nel
mese di gennaio 2001, il Governo federale tedesco ha chiesto al Tribunale
costituzionale federale (Bundesverƒassungsgericht) di sciogliere il Partito
nazionaldemocratico (Npd) “Nationaldemokratische Partei Deutschland” che ha
affidato la sua difesa all’avvocato Horst Mahler (co-fondatore della Raf - Rote Armee
Fraktion - dalla quale si dissociò negli anni ’70). Mahler sosterrà che la Npd, battendosi
per la sovranità dello Stato nazionale contro la globalizzazione e l’assoggettamento a
organismi internazionali come l’Unione Europea, è l’unico partito costituzionale
schierato a difesa della sovranità del popolo tedesco. In questa logica di difesa da
“ingerenze esterne”, alla Npd sembra legittimo battersi contro “l’estraniazione del
sovrano” indotta dall’immigrazione. Il Tribunale costituzionale federale ha interpretato
in passato in chiave etnica il diritto di cittadinanza, cassando alcune leggi regionali che
concedevano il voto agli stranieri.
In Italia si è aperto un dibattito sulla legittimità di una eventuale messa
fuorilegge di Forza Nuova. La legge prevede la possibilità di sciogliere una
associazione organizzata soltanto dopo una sentenza irrevocabile della magistratura.
La legge Scelba, n. 645 del 1952 promulgata in attuazione della XII disposizione
transitoria della Costituzione, afferma che qualora sia accertata “la riorganizzazione
del disciolto partito fascista” il Ministro dell’interno ne ordina lo scioglimento. Mentre
la legge Mancino, n. 205 del 1993, estende questa possibilità a tutte le organizzazioni
“avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
I motivi politici contingenti che hanno portato alla scelta di una democrazia
“protetta” in Tunisia, sono legati all’attività del movimento islamista En nahda.
La religione è una rivendicazione di assoluto, e quando vuole imporre il suo primato a
tutta la società, provoca intolleranza. Tuttavia, la sproporzionata repressione di alcune
manifestazioni e la violazione dei diritti umani accertata da Amnesty International,
rientrano nel quadro di una grossolana strumentalizzazione della minaccia islamista.
Da un lato si vuole spaventare l’élite borghese, impaurita dall’esempio algerino, per
frenare le sue aspirazioni ad una maggiore democrazia. Dall’altro si rassicurano gli
alleati e gli investitori occidentali sensibili all’ascesa dell’islamismo che ha ormai
assunto una “immagine di nemico” in una logica dominante di “scontro tra civiltà”
(secondo la tesi di Samuel Huntington).
32
— 4 Deputati del Movimento per il Rinnovamento
— 3 Deputati del Partito dell’Unità Popolare
— 2 Deputati dell’Unione democratica Unitaria
Allo stato appare lontanissima una credibile aspettativa di alternanza e una
esperienza di coabitazione, considerando la sostanziale omogeneità sul piano delle
ideologie e dei programmi politici dei partiti ammessi, nonché il rapido progresso
economico realizzato dalla Tunisia del Generale Ben Ali; un paese dove nel 1984,
appena tre anni prima della destituzione di Burghiba con un colpo di stato medico-
istituzionale, ben 121 persone trovarono la morte nel corso dei disordini causati dal
raddoppio del prezzo del pane.
Tuttavia, essendo in presenza di un sistema bicefalo le cui teste sono diseguali,
ipotizzo una fase di maggioranza disgiunta e verifico l’efficacia dei meccanismi di
ingegneria costituzionale nel consentire al comparandum di affrontarla senza crollare
in una paralisi istituzionale.
È fuori di dubbio che il costituente tunisino abbia avuto ben presente la Costituzione
della V Repubblica, e, il punto nodale che, a mio parere consentirebbe alle due teste di
oscillare fra loro, sta nell’assenza nella Carta costituzionale tunisina di una
disposizione omologa all’art. 12 della Costituzione francese che attribuisce al
Presidente il potere di decretare lo scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale in
qualunque momento e per qualunque ragione egli consideri utile, essendo tenuto
semplicemente a sentire ufficialmente il parere, orale o scritto, dei Presidenti delle due
Assemblee parlamentari e del Primo ministro.
Questo istituto, nell’ordinamento costituzionale francese, presenta accanto a un profilo
tipicamente “parlamentare” quale valvola di sicurezza del regime, un altro profilo, più
marcato, di stampo tipicamente “semi-presidenziale”. Cioè, l’essere uno strumento
dell’arsenale presidenziale idoneo – insieme alla revoca del Primo ministro – ad
assicurare la centralità del Capo dello Stato nel sistema delle relazioni istituzionali. E,
nella pratica, lo scioglimento è stato utilizzato dai Presidenti francesi per ritrovare una
maggioranza parlamentare e un sostegno popolare di fronte a gravi ragioni di crisi
sociale (come avvenne nel 1968); oppure per ristabilire la logica presidenziale del
sistema (come fece Mitterrand nel 1981 e nel 1988).
Ma il costituente tunisino ha privato il Presidente della Repubblica di questo potere di
scioglimento svincolato dalle crisi di governo, discrezionale e quasi-monarchico. Lo ha
ingessato in un limitato ambito di esercizio sminuendolo e privandolo di quella
incidenza che avrebbe potuto avere, in quanto prerogativa personale del Capo dello
Stato. Solo in caso di adozione da parte della Camera dei Deputati di due mozioni di
censura, alla maggioranza dei due terzi durante la stessa legislatura, il Presidente
della Repubblica può sia accettare le dimissioni del Governo che sciogliere la Camera
(art. 63 Cost.). In tal senso, questo istituto è lo strumento giuridico appropriato da un
lato per contenere e raffreddare situazioni di crisi, dall’altro, per prevenirle,
assicurando la stabilità dell’indirizzo politico.
Nella fase dell’ipotetica coabitazione, la circostanza per cui i progetti di legge
d’iniziativa presidenziale debbano essere approvati in Consiglio dei ministri (art. 54
Cost.), consentirebbe al Primo ministro tunisino, che in base all’art. 37 ha il compito di
assistere il Presidente nell’esercizio del potere esecutivo e in base all’art. 60 Cost. di
dirigere il Governo e coordinare la sua azione , di esercitare la sua influenza. Nella V
Repubblica abbiamo la situazione inversa perché la Costituzione non conferisce al
Presidente il potere di iniziativa legislativa ma egli esercita la sua influenza in Consiglio
dei ministri nei periodi di unità delle maggioranze.
Quindi, a mio parere, con maggioranza unificata il Presidente tunisino prevale sul
Primo ministro perché la costituzione formale, cioè la lettera del testo costituzionale,
gli conferisce il diritto di governare in proprio. Viceversa, con maggioranza disgiunta è
il Primo ministro sostenuto dalla propria maggioranza parlamentare a prevalere e la
costituzione che si applica, contrariamente a quanto avviene nella V Repubblica, è
quella materiale, cioè le convenzioni della Costituzione, e il sistema dovrebbe poter
fluire agevolmente.
33
Il Capo dello Stato tunisino, garante del rispetto della Costituzione, vigila sul
regolare funzionamento dei pubblici poteri (art. 41 Cost.). In tale veste, grazie al
rapporto privilegiato e collaborativo con il Consiglio costituzionale, egli, oltre a rinviare
la legge alla Camera (art. 52 comma 2 Cost.), può adire il Consiglio in via preventiva
investendolo del giudizio di costituzionalità di una legge prima della promulgazione. In
una fase di coabitazione, attraverso la giuridicizzazione del confronto sulle leggi più
controverse, il Consiglio dovrebbe svolgere una azione di sdrammatizzazione dei
rapporti fra Capo dello Stato e Primo ministro. Inoltre, al Presidente della Repubblica,
rimane la facoltà di domandare al popolo di esprimere, con referendum, la sua volontà
su qualunque questione egli ritenga di interesse nazionale (art. 47 Cost.): di fronte alla
manifesta volontà popolare, né Parlamento, né Governo possono opporre resistenza.
Nella costituzione francese del 1958, esiste in maniera vistosa una prevalenza
dell’esecutivo sul legislativo e una tendenza ad assicurare, in seno all’esecutivo,
oscillazioni favorevoli al Capo dello Stato. Questi fattori definenti il modello francese di
semi-presidenzialismo sono stati puntualmente recepiti nell’ordinamento tunisino.
Tuttavia, le parole di un testo costituzionale possono essere facilmente tradotte da
una lingua ad un’altra ma le idee che le parole trasportano, i simboli che suscitano e la
storia che portano non possono essere facilmente trasferiti da una situazione ad
un’altra. È stato Burghiba, l’uomo che nel 1956 ha portato la Tunisia all’indipendenza,
a vietare il pluralismo politico che rischiava, secondo lui, di fomentare le divisioni e
risvegliare “le mentalità tribali e retrograde”. E fu il suo partito unico (il Partito
Costituzionale Socialista) a dominare sui sindacati, a controllare la stampa e a fondare
il regime sull’acquiescenza - piuttosto che sulla mobilitazione - per la realizzazione
dello sviluppo. Oggi, le intimidazioni e vessazioni a cui sono sottoposti gli attivisti per i
diritti umani e il mancato rispetto dei trattati internazionali in materia di diritti umani
che il Governo tunisino ha ratificato, mettono in evidenza la differenza esistente tra la
legge e la sua attuazione, e dimostrano che le disposizioni costituzionali francesi sono
state trapiantate in un ambiente culturale che si è rivelato largamente inospitale.
Queste zone d’ombra inducono alla cautela nell’ascrivere la forma di governo tunisina
al tipo semi-presidenziale. Considerata da questa angolazione, la privazione del
Presidente della Repubblica tunisina di un potere discrezionale di scioglimento della
Camera dei Deputati, svincolato dalle crisi di governo, rientra nel quadro di una sorta
di separazione dei poteri applicata in modo non rigido, tipica della forma di governo
detta “presidenzialista”, cioè a netta preminenza presidenziale, caratterizzata anche
dalla presenza di istituti propri della forma di governo parlamentare: un modulo
costituzionale già seguito dai costituenti iberoamericani.
imed mehadheb
Lo stato di diritto è diventato, nel corso degli anni, l’unità di misura della
democrazia nel mondo. Gli organismi internazionali (Nazioni unite, Unione europea,
Banca mondiale...) se ne servono in particolare per valutare i progressi della
transizione politica all’Est o in Africa e per concedere i propri aiuti, subordinati a certe
“condizioni”. Fa parte dei criteri che uno stato deve soddisfare per poter aderire
all’Europa dei Quindici. La nozione di stato di diritto comprende un certo numero di
elementi precisi: elezioni eque, protezione dei diritti umani, indipendenza della
34
giustizia, economia di mercato “in grado di funzionare”…Una volta soddisfatti o quasi
questi criteri, il paese in questione entra a far parte di questo club molto esclusivo, ma
sempre più frequentato, delle “democrazie moderne”.
Nata in Germania alla fine del XIX secolo, la nozione di stato di diritto permette
di proteggere la società contro le concentrazioni e gli eccessi di potere, limita
giuridicamente il potere dello stato e in particolare permette di proteggere i diritti e le
libertà fondamentali, iscrivendoli nei testi costituzionali e nei trattati internazionali.
Eppure questa nozione non è neutrale. A partire dagli anni 80 si è caricata
progressivamente di un nuovo significato ideologico: assimilata alla nozione stessa di
democrazia dai filosofi critici del totalitarismo (André Glucksman, Blandine Kriegel...) è
diventata una figura mitica nel dibattito politico. “Si sta davvero forgiando una nuova
dottrina dello stato di diritto, secondo Jacques Chevalier, professore di diritto
all’Università di Parigi Panthéon-Assas, una dottrina che, affrancandosi radicalmente
dalle dottrine create dai giuristi e dalle espressioni del diritto positivo, utilizza il
concetto di stato di diritto per definire e per caratterizzare un tipo di stato particolare,
di cui contribuisce al tempo stesso a fondare la legittimità. Il concetto di stato di diritto
in effetti non è, da questo punto di vista, un semplice fattore di analisi storica, ma
piuttosto un potente operatore ideologico: la validità di uno stato si fa dipendere dal
suo grado di assoggettamento al diritto” (1).
La preoccupazione di proteggere le libertà pubbliche va di pari passo con una
critica radicale dello stato, sospettato dalla critica del totalitarismo di essere per sua
natura un potenziale nemico delle libertà. A questo proposito l’affermarsi dello stato di
diritto è corollario della vittoria ideologica della filosofia liberale, il cui ramo politico si
sviluppa nello spazio aperto dal ramo economico. Jacques Chevallier rileva che la
promozione dello stato di diritto “s’inserisce nella nuova ‘temperie’ ideologica,
successiva alla crisi dello stato assistenziale e segnata dal ritorno in auge del
liberismo: esaltazione del mercato visto come il mezzo più efficace, più razionale e più
giusto per armonizzare i comportamenti; valorizzazione della ‘società civile’ dotata di
tutte le virtù...”
Di conseguenza, lo stato di diritto influenza notevolmente la natura degli equilibri
politici, nonché la concezione tradizionale dello stato e della democrazia. La
preoccupazione legittima di proteggere le libertà pubbliche porta a rafforzare il ruolo
del diritto nella società e quello del giudice incaricato di far rispettare i diritti
fondamentali, a detrimento dell’elemento politico, che viene delegittimato.
Se questo principio legittimo permette di combattere l’arbitrarietà in politica e di
proteggere le libertà, potrebbe tuttavia degenerare verso una rimessa in discussione
della sfera politica come luogo d’espressione dell’interesse generale, sottoposto al
controllo del suffragio universale. Lo stato di diritto ha portato, per esempio, al
controllo della costituzionalità, che permette ai giudici di rimettere in discussione una
legge decisa dai rappresentanti del popolo. Magistrati non eletti sanzionano gli eletti.
Fino aI 1958 la Francia diffidava del controllo di costituzionalità in nome della
supremazia della legge. Ma gli eccessi del regime d’assemblea e la “dittatura” delle
maggioranze politiche lo hanno fatto accettare, come risorsa dell’opposizione (2).
Anche se il Consiglio costituzionale francese ha sempre evitato di cedere alla
tentazione del governo dei giudici — diversamente dalla Corte suprema degli Stati
uniti che, per esempio, ha combattuto il New Deal — i confini del diritto e della politica
diventano talvolta incerti. Così, neI 1982, il Consiglio ha invalidato la prima legge di
nazionalizzazione poiché sottostimava “il giusto e preliminare indennizzo” previsto
dall’articolo 17 della Dichiarazione deI 1789, riguardante gli espropri. E la polemica
sulle decisioni circa la responsabilità del Capo dello stato in Francia ne è un altro
esempio.
Magica legittimità
L’appello sempre più frequente al diritto, che simboleggia la promozione
dell’idea di stato di diritto, non fa forse parte di una mitologia giuridica che considera
35
sacra la norma di diritto? Si pensa che questa esprima una certa obiettività, valori
immanenti alla “realtà” e perciò incontestabili. Se l’esistenza di principi al di sopra
delle leggi, anzi delle costituzioni, è riconosciuta e appartiene alla teoria del diritto
naturale, i filosofi che l’hanno scoperta, nel XVII e XVIII secolo, hanno insistito sulla
necessità che gli esseri umani — e quindi, in democrazia, i loro rappresentanti eletti—
traducano tali principi in testi di diritto e in leggi.
In effetti le norme stabilite dal diritto naturale sono ampie e non si possono
applicare senza precisarle. Per esempio il principio fondamentale dell’uguaglianza
degli esseri umani proibisce il razzismo, la gerarchia tra i gruppi etnici. Ma, in
concreto, per far rispettare questo principio fondamentale, intangibile, quasi sacro, si
devono fare delle scelte, a volte difficili: ne sono esempi le controversie sulla legge
Gayssot (che reprime chiunque contesti l’esistenza di un crimine contro l’umanità), o
sull’atteggiamento da assumere di fronte agli accademici revisionisti (bisogna spingerli
a dimettersi? Introdurre un reato di falsificazione della storia?). Lo stesso vale per tutti
i principi che riguardano la libertà. Per esempio, la libertà d’associazione viene violata
se si condiziona l’esistenza delle associazioni all’approvazione previa di un giudice? In
Francia neI 1971 proprio su questo verteva il dibattito, conclusosi con una decisione
del Consiglio costituzionale, che considerava tale regime lesivo delle libertà; le
associazioni non sono dunque sottoposte a nessun obbligo di dichiarazione o
autorizzazione, neppure davanti a un giudice (che può intervenire solo a posteriori se
l’associazione viola l’ordine pubblico). La libertà d’espressione fornisce diversi esempi
di questi problemi, in particolare con lo sviluppo di Internet.
Se i principi del diritto naturale forniscono la base intangibile e imprescrittibile di
qualsiasi società libera e democratica, la norma di diritto è solo espressione delle
scelte della collettività in un dato momento della sua storia. Esprime lo stadio
raggiunto da una società riguardo alle libertà, riflette il consenso sociale esistente su
un dato problema in un certo momento. Ma lo stato di diritto sottintende che esista
una definizione “oggettiva” delle norme di diritto, “pronta” per essere applicata.
Tende a sostituire una legittimità quasi magica a una legittimità democratica. La
norma di diritto è legittima solo nella misura in cui viene adottata dai rappresentanti
del popolo o dal popolo stesso dopo un vero dibattito che ne permetta la
contestazione e la considerazione in prospettiva. Ricordiamo, come esempio, i lunghi
dibattiti che hanno portato a definire i 17 articoli della dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789.
Il caso Pinochet ha illustrato questo conflitto di legittimità rimettendo in
discussione l’accordo concluso dalla classe politica cilena sulla sorte dell’ex dittatore. Il
compromesso, che escludeva qualsiasi azione giudiziaria contro il dittatore, era lo
stesso che permetteva la fine della dittatura. L’invocazione di principi Superiori non
deve compromettere il destino concreto di persone vive. Questa vicenda dimostra
come il diritto non deve essere preso in blocco e sacralizzato, astraendo dalle
condizioni particolari in cui si inserisce. È compito proprio dei rappresentanti politici
legittimi dirimere questi conflitti.
36
nazionali su diverse questioni, riguardanti in particolare il diritto di proprietà, la
definizione delle pratiche governative considerate segreto di stato, la filiazione...
Lo stato di diritto accredita dunque una visione procedurale della democrazia,
senza tener conto delle condizioni concrete in cui si esercita. La democrazia viene
ridotta a un’ossatura istituzionale e al riconoscimento dei diritti. Il riferimento
all’economia di mercato fatto dalle organizzazioni internazionali ricorda che la libertà,
nel senso dello stato di diritto, non ha nulla a che vedere con la giustizia sociale o la
ripartizione dei beni. Una limitazione del pensiero deplorata dal filosofo americano
Michael Walzer, per il quale la distribuzione dei beni è al centro della questione
democratica (4).
Essa è essenzialmente una questione di diritti e di meccanismi giuridici. Di qui la
trasformazione della maggior parte delle rivendicazioni sociali in rivendicazioni di
diritti. Con ciò, lo stato di diritto si allontana da qualsiasi riflessione su una democrazia
“reale” o “sociale» e lascia lo spazio civico allo stato brado. Il cittadino, il legame
sociale sono affidati all’auto-organizzazione della società civile in paesi che perlopiù
non hanno né tradizione politica né cultura democratica. Lo stato di diritto permette
dunque di avere una transizione democratica e al tempo stesso, in campo finanziario e
sociale, una situazione selvaggia: in Europa dell’Est ne sono esempio soprattutto la
Russia e la Polonia (5).
Attraverso la globalizzazione, lo stato di diritto sta diventando l’unica definizione
di democrazia (6).
ANNE-CÉCILE ROBERT
__________________________________________
(1) “Les doctrines de l’Etat de droit”, Les Cahiers français, La Documentation française, Parigi, n.228,
ottobre-novembre 1998.
(2) Leggere Francis Hamon e Céline Wiener, La Loi sous surveillance, Odile Jacob, Parigi 1999.
(3) Leggere Monique Chemillier-Gendreau, “L’universalità dei diritti umani”, Le Monde diplomatique/il
manifesto, dicembre 1998.
(4) Leggere Le Monde del 16 dicembre 1997.
(5) Leggere Alain Gresh, “Quale democrazia?”, Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2000.
(6) Leggere Hubert Védrine, “Diritto di ingerenza e democrazia”, Le Monde diplomatique/il manifesto,
dicembre 2000.
37
Il governo federale ha chiesto alla Corte Costituzionale di vietare il partito
nazionaldemocratico (Npd). Il plico con la documentazione che accompagna la
richiesta di accertare se la Npd avversi l’ordine costituzionale e vada quindi messa
fuori legge, è stato recapitato a Karlsruhe, dove risiede la Corte, martedì sera alle
23.20: un’ora piuttosto insolita. Il ministro degli interni Otto Schily ha ieri annunciato il
passo del governo, sostenendo di disporre di «elementi certi» sulla natura
anticostituzionale della Npd. la cui agitazione «ha caratteri razzisti e antisemiti» e
«mostra affinità col nazionalsocialismo».
Che la Corte giunga alle stesse conclusioni di Schily non è detto. A giudicare
dagli estratti della documentazione pubblicati dal ministero degli interni, le prove non
sono schiaccianti. Le citazioni più compromettenti provengono da scritti o discorsi di
funzionari di secondo piano, da pubblicazioni locali, mentre i documenti ufficiali della
Npd, come il programma, contengono dichiarazioni — magari insincere, ma comunque
rilevanti sul piano processuale - di accettazione della carta costituzionale.
Mentre le organizzazioni politiche possono essere vietate con un semplice
decreto del ministero degli interni (e ciò è avvenuto ripetutamente in passato per
piccole formazioni di estrema destra, che regolarmente si sono andate riformando
sotto altre denominazioni), i partiti godono di speciali garanzie. Il loro divieto può
essere deciso solo dalla Corte Costituzionale. Finora sono stati pronunciati due divieti:
nel 1952 fu sciolto il Partito socialista del Reich (Srp), dove si erano riorganizzati i
vecchi nazisti, mentre nel 1956 toccò al Partito comunista (Kpd).
Per la Npd il procedimento sarà lungo, e verosimilmente non si concluderà prima
della primavera del 2002. La Corte dovrà intanto dar modo alla Npd di prendere
posizione sul materiale d’accusa raccolto dal governo. Poi la seconda camera dovrà
decidere se ritiene documentata la richiesta del governo e se accetta di avviare la
procedura di interdizione. In caso affermativo, la corte potrà disporre un’indagine
supplementare.
Particolare piccante, La Npd ha affidato la sua difesa all’avvocato Horst Mahler,
fondatore della Rote Armee Fraktion insieme a Ulrike Meinhof e Hans Baader. Mahler,
incarcerato nel 1970, si dissociò presto dalla Raf e fu liberato nel 1980. Negli ultimi
anni è approdato a posizioni ultranazionaliste di estrema destra. Mahler, che ci tiene
alla sua «coerenza», difende la sua svolta con una singolare reinterpretazione del ’68
in chiave di rivolta «nazionale» contro la dominazione americana nella Germania
postbellica. A Karlsruhe sosterrà che la Npd, battendosi per la sovranità dello stato
nazionale contro la globalizzazione e l’assoggettamento a organismi internazionali
come l’Unione europea, è l’unico partito davvero costituzionale, schierato a difesa
della sovranità del popolo «tedesco». In questa logica di difesa da «ingerenze
esterne», alla Npd sembra legittimo battersi contro 1’«estraniazione del sovrano»
indotta dall’immigrazione.
Purtroppo la stessa Corte Costituzionale ha interpretato in passato in chiave
etnica il diritto di cittadinanza (per esempio cassando alcune leggi regionali che
concedevano il voto agli stranieri). E, quanto all’ immigrazione, la Npd può vantare la
sua convergenza d’idee con politici rispettabilissimi: perfino un socialdemocratico
come Schily sostiene che «la barca è piena».
La Npd, fondata nel 1964 da Adolf von Tadden, conobbe un effimero ma vistoso successo tra
il 1966 e il 1968, quando riuscì a canalizzare la protesta di destra contro la grande coalizione tra
Cdu e Spd. In quegli anni riuscì a entrare in sette parlamenti regionali, con risultati lino al 9,8 per
cento. Poi però crollò rapidamente sotto l’1%. Partito di vecchi nostalgici, dal 1996, data
dell’elezione alla presidenza di Udo Voigt, cerca di aprirsi ai giovani, anche a quelli con la testa
rapata. La linea di demarcazione con gli skinheads si è fatta più fluida e il numero degli iscritti
tra il ’96 e il ’98 è quasi raddoppiato, passando da 3.500 a a 6.000. Tuttavia alle
politiche del 1998 la Npd ha raggranellato solo lo 0,3%. In Sassonia, dove la Npd conta
il maggior numero di iscritti, ha ottenuto alle ultime regionali l’1,4%. Sebbene la Npd
fornisca un certo retroterra ideologico alle bande di picchiatori, quasi mai la polizia è
riuscita a dimostrare un legame organizzativo tra questi gruppi informali e il partito. Al
di là di considerazioni di stile politico, per cui la via dei divieti non è il modo migliore
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per rafforzare la democrazia, il governo sa bene che il bando alla Npd non risolverebbe
il problema del teppismo xenofobo: ma ha bisogno di dimostrare che fa qualcosa.
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Il dibattito che si è appena aperto in Italia sulla legittimità e/o opportunità di
un’eventuale messa fuorilegge di Forza Nuova, è per alcuni versi molto simile a quello
in corso in Germania già dall’estate, che riguarda un partito di estrema destra, la Npd,
la Nationaldemokratische Partei Deutschland.
Tempi, modi, procedure, contesto socio politico, cause e, magari, anche gli
effetti, sono naturalmente diversi, ciò nonostante le similitudini appaiono più evidenti
dei distinguo. Non fosse altro che per gli stretti e assidui contatti che intercorrono tra i
due gruppi politici (il 18 dicembre scorso, ad esempio, il segretario generale della Npd,
Udo Voigt, era presente assieme a rappresentanti della Falange spagnola, all’incontro
europeo all’Hotel Universo, organizzato da Forza Nuova. Entrambi i gruppi sono legati
al circuito dell’Internafional Third Position).
La Germania ha contato nell’ultimo decennio, dalla caduta del Muro ad oggi,
oltre cento vittime dell’odio antisemita e xenofobo per mano di esponenti della destra
neo-nazista. In particolare nel 2000, le azioni e le manifestazioni di odio razziale si
sono moltiplicate a tal punto da convincere il governo socialdemocratico-verde a
intraprendere una campagna a tutto campo contro la risorgenza del pericolo nazista.
Media e opinione pubblica sono stati chiamati a farsi parte attiva di questa campagna
e a dimostrare, anche con il rifiuto dell’indifferenza, la volontà di combattere contro
questo pericolo.
Dal canto suo il cancelliere Gerhard Schröder ha avanzato l’ipotesi della messa al
bando della Npd, subito appoggiata dalle forze di governo, osteggiata dalla Fdp (i
liberali), mentre la Cdu/Csu ha espresso posizioni diversificate. Per dare maggior
vigore alla richiesta, il gabinetto rosso verde ha chiesto anche alle due Camere
(Bundestag e Bundesrat, la camera delle regioni) di pronunciarsi sulla questione,
ottenendone l’appoggio. Adesso la richiesta è al vaglio della Corte costituzionale di
Karlsruhe che dovrà innanzitutto esprimersi sull’accoglimento del ricorso e, in caso
positivo, decidere sul merito: in tal caso una decisione non arriverà prima di un anno
almeno.
Il dibattito sul divieto della Npd non ha attraversato solo le forze politiche ma
naturalmente anche i media, il mondo della cultura, i settori ebraici e l’opinione
pubblica in generale. Costringere all’illegalità e alla clandestinità la Npd potrebbe
renderla ancora più pericolosa, è l’opinione più diffusa a sfavore della messa al bando:
«L’unico effetto di un divieto di un partito è quello di costringere le persone alla
clandestinità — sostiene Andrian Krey sulla Süddeutsche Zeitung - Il risultato sono più
morti, l’irrigidimento delle leggi dello Stato, la polarizzazione della popolazione».
Parlano a favore invece tutti quelli che considerano necessario un segnale forte
da parte dello Stato e soprattutto coloro che vedono nella Npd un paravento legale
dietro al quale si nascondono gruppi di ben altro tipo. Fondata nel ’64, la Npd conta
attualmente circa 6000 iscritti, ma la sua organizzazione appoggia, sul piano logistico
e finanziario, una miriade di gruppuscoli che si sono resi protagonisti di un’infinità di
azioni di violenza e intolleranza. Ma la difficoltà di provare che la Npd sia responsabile
come organizzazione di questi atti o sia comunque responsabile anche degli atti di
suoi singoli iscritti o simpatizzanti è il principale nodo, affatto banale da un punto di
vista giuridico-costituzionale, che la Corte di Karlsruhe dovrà affrontare nei prossimi
mesi.
La legge e la forza
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L’ex presidente della Corte costituzionale Vincenzo Caianiello sullo
scioglimento di Forza nuova
INTERVISTA ( il manifesto 29-12-2000) DARlA LUCCA
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I dubbi del costituzionalista Augusto Barbera sull’ipotesi di
scioglimento di Forza nuova
INTERVISTA ( il manifesto 30-12-2000) DARlA LUCCA
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Al centro dei colloqui della terza e ultima tappa di Prodi a Marrakesh (con il re) e
a Rabat (con il Primo ministro Abderahmane al Youssoufi) lo spinoso problema della
pesca. I negoziati sul tema tra Ue e Marocco si sono interrotti martedì scorso. Si tratta
di rinegoziare l’accordo, il precedente è scaduto nel novembre 1999, per la pesca,
soprattutto dei pescherecci spagnoli e portoghesi, nelle acque territoriali marocchine,
all’interno delle quali continuano ad essere incluse anche quelle del Sahara
occidentale (il cui futuro dovrebbe essere definito con un referendum), questione
ignorata dalla Ue. Il Marocco pone nuove condizioni che Bruxelles non accetta.
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