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INDICE

1. Cenni storici pag. 3

2. La violazione dei diritti umani in Tunisia pag. 7

3. La Costituzione della Repubblica Tunisina pag. 10

4. Codice elettorale della Repubblica Tunisina pag.


26

5. Comparazione giuridica pag.


29

6. Lo stato di diritto, nascita di una mitologia pag.


34

7. Il governo tedesco: fuori legge la Npd pag.


37

8. Npd e Forza nuova pag.


39

9. La legge e la forza pag.


40

10. Applicare le leggi esistenti pag.


42

11. La Ue punta sul libero scambio con il Maghreb pag.


44

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CENNI STORICI
ARTICOLO APPARSO SU Le Monde Diplomatique / il manifesto – MAGGIO 2000 –
PAGINA 17.

LA RIVOLUZIONE DI HABIB BURGHIBA ALLA SUA MORTE

Lutto sovversivo in Tunisia


Il Combattente supremo Habib Burghiba, morto il 6 aprile scorso, ha
avuto diritto a nulla più che un funerale furtivo, destinato soprattutto a
glorificare il suo successore, il presidente Zine El Abidine Ben Ali. Eppure,
l’emozione che ha colto il paese intero non è la semplice espressione di un
riconoscimento di circostanza per l’artefice dell’indipendenza. È anche il
segno di una rivalutazione complessiva del suo operato — soprattutto in
materia d’istruzione e diritti delle donne —, facilitata dal confronto con
l’attuale regime.
KAMEL LABIDI
(Giornalista tunisino)

«Non sarà facile sostituire un uomo Come me. Sul piano affettiva ci sono, tra me
e il popolo tunisino, quarant’anni di vita comune e di sofferenze condivise. Il mio
successore non potrà contare su tutto ciò». Queste parole poco umili, pronunciate nel
1972 dall’allora presidente tunisino Habib Burghiba hanno ritrovato, al momento
dell’annuncio della sua morte, il 6 aprile scorso, la loro forza profetica.
Come gli undici anni che passò a suo tempo nelle prigioni francesi, i tredici anni
di residenza forzata imposti al Combattente supremo (el Moujahid el akbar) dopo la
sua destituzione, il 7 novembre 1987, da parte del generale Zine El Abidine Ben Ali,
per ragioni di «senilità», non hanno fatto altro che risollevare il suo prestigio tra i
tunisini di ogni fede e colore, persino negli ambienti normalmente più critici verso l’ex
presidente a vita.
Non erano solo le persone più anziane, che avevano potuto assaporare i frutti
dell’indipendenza — in particolare la gratuità dell’istruzione e i progressi nella
condizione delle donne — a rendergli omaggio, ma anche i giovani, che non hanno mai
conosciuto il suo regno, e persino alcuni difensori dei diritti umani, come l’avvocato
Radhia Nasraoui, già vittima delle sue derive autoritarie.
La tristezza della Tunisia profonda, all’indomani della morte dell’uomo che nel
1956 ha portato il paese all’indipendenza senza troppo spargimento di sangue,
appariva in contrasto con l’atteggiamento del potere, che ha fatto di tutto per tenere i
cittadini lontani dai funerali di stato.
Rieletto per la terza volta nell’ottobre 1999 — con il 99,4 % dei voti! — Ben Ali,
autore del «colpo di stato medico-istituzionale», è apparso, sabato 8 aprile, un
presidente ancora a caccia di legittimità. «Dal 7 novembre 1987 abbiamo intrapreso la
3
via del cambiamento. Nel far ciò abbiamo attinto al meglio dell’eredità lasciataci dal
leader Habib Burghiba, arricchendola e mettendola a frutto» ha dichiarato nella sua
orazione funebre.
Paradossalmente, i media stranieri hanno commentato lo straordinario percorso
politico dell’ex leader storico meglio di quanto non abbia fatto la stampa tunisina, che
si è mostrata ben poco disposta ad analizzare le «direttive presidenziali» che avevano
contribuito ad avviare il paese sulla strada della modernità. Solitamente tempestiva
nel coprire, in diretta, gli incontri sportivi disputati nelle contrade più sperdute della
terra, la televisione di stato ha ricevuto l’ordine di non trasmettere in diretta il
funerale. I pretesti ufficialmente addotti vanno dalla «volontà del potere di rispettare il
lutto del popolo» ai «mezzi tecnici limitati della televisione tunisina» (1), creata proprio
all’epoca di Burghiba, più di trentacinque anni fa.
Quel giorno, il telegiornale delle otto è stato ritardato di trentacinque minuti, il
tempo necessario agli «estetisti» della disinformazione per presentare un servizio che
non infastidisse il regime: la musica militare copriva le dichiarazioni che onoravano
Burghiba, mentre i «ninja» incappucciati del servizio d’ordine con le loro mitragliette
venivano opportunamente «cancellati».
Ma di che ha paura un leader eletto con il 99,4 % dei voti? «Il presidente Ben Ali
sa che la contestazione non verrà dai partiti politici, completamente sfibrati, né dagli
islamisti, molto indeboliti. È dalla società civile che possono venire eventuali pericoli
per il potere», risponde Béatrice Hibou, ricercatrice al Cnrs di Parigi (2).
«Dal modo in cui si sono svolti questi funerali, è possibile riscontrare diversi
indizi che rafforzano la tesi secondo cui, se Burghiba era amato dal suo popolo,
soprattutto dalla generazione dell’indipendenza e da coloro che gli devono alcune
conquiste democratiche, come le donne, non era però in odor di santità tra le alte
sfere del potere», scrive un quotidiano algerino (3).

La «politica delle tappe»


Secondo Sana Ben Achour, professoressa di diritto alla facoltà di scienze
giuridiche di Tunisi, «I tunisini sono fieri di avere avuto un capo di stato come
Burghiba. La gente si identifica con lui perché aveva un progetto per il suo paese. Non
amava il potere per il potere. Anche se, sul piano delle libertà civili Il suo bilancio non
è proprio glorioso e se ha un po’ schiacciato le istituzioni». Questo orgoglio deriva
anche dall’influenza che si era guadagnato Burghiba sulla scena internazionale, e
soprattutto dal suo scarso attaccamento al denaro, caratteristica che lo distingueva
dai suoi omologhi al potere nei paesi in via di sviluppo.
Il progetto di Burghiba di cui parla questa giovane professoressa universitaria
comincia a prendere forma già negli anni 20. Trasferitosi a Parigi per «studiare legge
con la prospettiva di combattere il protettorato francese», Habib Burghiba ritorna in
Tunisia nel 1927 con un diploma che gli consente di esercitare la professione di
avvocato. Si lancia immediatamente nell’ azione politica, aderendo al Destur, un
partito nazionalista che predica il ritorno a una Tunisia tradizionale, e collaborando con
il giornale L’Etendard tunisien, prima di fondare, nel 1932, L’Action tunisienne. Questo
capopopolo dalle grandi capacità oratorie e dallo sguardo conturbante capisce presto
che la liberazione del suo paese non potrà mai essere realizzata da una classe politica
arroccata nel cuore di Tunisi e diffidente nei confronti delle masse popolari.
Nel 1934 esce, sbattendo la porta, dal vecchio Destur di Sheikh Abdelaziz Thaalbi
e fonda, con un gruppo di giovani, il Partito del Neo-Destur. Dopo appena qualche
mese di attività politica e di «contatto diretto» con il popolo, il governatore generale
francese, Marcel Peyoutun, fa arrestare gli «agitatori» e li fa deportare nel sud del
paese, dove rimangono esiliati fino al 1936.
Arrestato nuovamente, sarà liberato dai tedeschi nel 1942, ma rifiuterà di
schierarsi dalla parte delle potenze dell’Asse. «La Germania non vincerà la guerra.
Non può vincerla», scriverà poco prima di uscire di prigione, in una lettera indirizzata
al suo compagno di lotta Habib Thameur: «La consegna, per tutti i militanti è di
4
prendere contatti con i gollisti francesi, in modo da coordinare insieme la nostra futura
attività clandestina. Il nostro appoggio dovrà essere incondizionato: si tratta, per la
Tunisia, di una questione di vita o di morte (4)».
Sfortunatamente, le autorità coloniali, all’indomani della sconfitta dell’ Asse, non
tengono in alcun conto il sostegno dato dal Neo-Destur alla Resistenza francese.
Moncef Bey, il sovrano più popolare della dinastia husseinita, viene destituito e
Burghiba, deluso dalla Francia, lascia clandestinamente il paese per stabilirsi al Cairo.
Qui frequenta, tra il 1945 e il 1949, gli ambienti nazionalisti e intellettuali arabi. Nel
1947 va negli Stati uniti, per difendere la causa del suo paese. Deluso dai suoi contatti
nel mondo arabo — in particolare con la Lega araba — capisce che dovrà contare
soprattutto sulle proprie forze e sui movimenti anti-colonialisti occidentali.
Rientrato dall’esilio, traversa in lungo e in largo la Tunisia per riacquisire il
controllo dell’apparato del Neo-Destur, tenuto in vita, in sua assenza, dal suo vice e
futuro rivale, Salah Ben Youssef. Dopo il fallimento, nel 1951, di un’esperienza di
governo a cui partecipa il Destur, Burghiba capisce che la strada per l’indipendenza è
ancora lunga. Nel gennaio 1952 viene arrestato per aver istigato i suoi compatrioti ad
intensificare le azioni di resistenza.
La fortuna gli sorride infine il 31luglio 1954, quando Pierre Mendès France,
presidente del consiglio francese, sbarca a Tunisi e, a Cartagine, dichiara davanti al
bey che Parigi non è contraria all’emancipazione del popolo tunisino. Il 1° giugno
1955, Habib Burghiba ritorna trionfalmente a Tunisi, subito dopo la firma degli accordi
franco-tunisini, che riconoscevano l’autonomia interna del paese. Abile manovratore,
disposto a tutto pur di diventare il padrone incontrastato del Neo-Destur, arriva fino ad
espellere dal partito e costringere all’esilio il suo influente rivale, Salah Ben Youssef,
contrario all’autonomia interna.
La proclamazione dell’indipendenza, il 20 marzo 1956, sembra sia stata
accelerata dall’ostinazione di Burghiba, sempre più preoccupato di dimostrare la
validità della sua «politica delle tappe», soprattutto dopo che Salah Ben Youssef era
riuscito a guadagnarsi l’appoggio del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser.
E difenderà questa «politica delle tappe» anche nei confronti di Israele. Nel 1965,
il suo storico discorso di Gerico, in Cisgiordania, in cui inneggia all’accettazione del
piano delle Nazioni Unite che prevede la divisione della Palestina in due stati, ha
l’effetto di una bomba. In diverse città del Medioriente, varie manifestazioni di piazza e
diversi media arabi lo accusano di essersi «venduto al colonialismo e
all’imperialismo».
Fin dal primo anno d’indipendenza, Burghiba inaugura un complesso di riforme
legislative, il cui fiore all’occhiello è il codice dello statuto personale (Csp). Promulgato
il 13 agosto 1956, accorda alla donna diritti che non hanno equivalenti in tutto il
mondo arabo. Abolisce in particolare la poligamia e il ripudio e esige, per celebrare un
matrimonio, il mutuo consenso dei coniugi. Un attacco contro le fondamenta della
discriminazione che mette le tunisine in una posizione di privilegio rispetto a tutto il
Maghreb e il Medioriente (5).
Diventato primo presidente della repubblica il 25 luglio 1957, dopo aver abolito
la monarchia, in un clima di generale euforia, Habib Burghiba continua a portare
avanti il suo progetto di costruzione di uno stato moderno, appoggiandosi a un partito
che, con le sue sezioni, ha il totale controllo del paese. Considerando l’insegnamento
gratuito il migliore strumento per combattere il sottosviluppo del paese, vi investe
circa un terzo del bilancio statale.
Pur preoccupato di allargare la base del suo partito, incoraggiando i giovani ad
assumere responsabilità politiche di primo piano, Burghiba non promette però la
democrazia. Il pluralismo politico rischiava, secondo lui, di fomentare le divisioni e
risvegliare «le mentalità tribali e retrograde». Il dominio del suo partito sui sindacati, il
controllo della stampa e il divieto del pluralismo rimangono, a suo avviso, gli unici
strumenti in grado di permettere la realizzazione del suo progetto di sviluppo.
Vengono intentati diversi processi politici, non solo nei confronti degli oppositori,
ma anche degli ex collaboratori, come Ahmed Ben Salah, ex ministro dell’economia,

5
Habib Achour, ex leader sindacale, e Mohamed Mzali, ex primo ministro. Questo
autoritarismo è all’origine del fallimento della politica di socializzazione dell’economia,
promossa fino al 1969 da Ahmed Ben Salah; del tragico braccio di ferro tra il governo e
il sindacato centrale, il 26 gennaio 1978; delle cruenti «lotte per il pane» del dicembre
1983 e gennaio 1984. Le timide aperture dell’inizio degli anni 80 non hanno poi avuto
alcun esito, e Burghiba ha di fatto impedito un autentico sviluppo politico.
La «minaccia islamista», agitata e esagerata alla fine del suo regno, ha
provveduto a dare un serio colpo alla società civile e ad accelerare l’arrivo al potere di
Ben Ali, un «tecnico della sicurezza». Sheikh Rashid Ghannouchi, presidente del
movimento islamista Ennahda, in esilio dal 1989, è una delle poche personalità
politiche che si sono rifiutate di rendere omaggio a Burghiba. Lo definisce un
«dittatore» e gli rimprovera di aver «preparato il terreno alla nascita di uno stato di
polizia». Ammette comunque che «il periodo di Burghiba era meno peggio di quello di
Ben Ali (6)».

Un risveglio imminente
Gli islamisti sono stati tra i primi a capire il loro errore, seguiti a ruota da altri
attivisti politici di sinistra, da esponenti di piccoli movimenti politici, oltre che da
difensori dei diritti umani. L’arresto di migliaia di islamisti portava ai due grandi
processi del luglio 1992. Qualche mese prima dell’apertura di questi due processi, il
potere elaborava minuziosamente una nuova legge sulle associazioni, destinata a
ridurre al silenzio la Lega tunisina dei diritti dell’uomo (Ltdh) (7).
Ci sono voluti più di tredici anni di «cambiamenti» sotto la guida del presidente
Ben Ali prima che i tunisini, facendo i debiti confronti, cominciassero a dimenticare gli
abusi di potere di Burghiba e a considerare gli anni del suo lungo regno, malgrado
tutto, come i «bei tempi andati».
La società civile manifesta sempre più apertamente il suo dissenso. Intellettuali,
avvocati, giornalisti indipendenti vengono tormentati e umiliati per ordine di Ben Ali e
spesso devono ricorrere a lunghi scioperi della fame per attirare l’attenzione
dell’opinione pubblica sulla violazione dei loro più elementari diritti (8). Ultimamente,
alcuni movimenti sociali, come lo sciopero dei tassisti a Tunisi e le manifestazioni
studentesche nel sud del paese, mostrano comunque che non sono più solo piccoli
gruppi d’élite a contestare il regime.
Le lacrime versate dal popolo per la scomparsa del Combattente supremo e il
vibrante omaggio reso alle sue battaglie contro l’oppressione, anche da ex avversari
politici, preannunciano forse un imminente risveglio della società contro l’attuale
autoritarismo? Quella stessa società che il presidente Burghiba si vantava di aver
liberato «dalla disperazione e dalla rassegnazione alla tirannia (9)».

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(1 Al-Hayat, Londra, 12 aprile 2000.

(2) Les Echo, Parigi, 27 marzo 2000. Béatrice Hibou è l’autrice di un libro intitolato Les Marges de manœuvre d’un
bon élève économique: la Tunisie de Ben Ali.

(3) Al Watan, Algeri, 10 aprile 2000.

(4) Riprodotto nel libro di Tahar Belkhodja, Les Trois Décennies de Bourguiba, Arcantères-Publisud, Parigi, 1998,
pp. 14e 15.

(5) Emma C. Murphy, Economic and Political Change in Tunisia: From Bourguiba to Ben Ali, St Martin’s Press,
Londra, 2000.

(6) Dichiarazione resa al servizio arabo della Bbc il 6 aprile 2000.

(7) Si legga in particolare Hamed Ibrahimi, «Repressione e censura soffocano la Tunisia», Le Monde
diplomatique/il manifesto, febbraio 1997 e Jacqueline Bouchet, «La società tunisina costretta al silenzio», Le Monde
diplomatique/il manifesto, febbraio 1996.

6
(8) Taoufik Ben Brik, corrispondente da Tunisi per La Croix e altri media europei, è oggetto da più di due anni di
continui maltrattamenti da parte della polizia. All’inizio di aprile ha cominciato uno sciopero della fame. Fethi Chamki,
dirigente di Attac in Tunisia, è stato arrestato insieme ad altri militanti della sua organizzazione. Il suo processo è
cominciato il 20 aprile scorso in condizioni indegne di una giustizia che si definisce tale.

(9) Discorso di Habib Burghiba: «De la réalité des patries à l’idéal de l’unité arabe» («Dalla realtà delle patrie
all’ideale dell’unità araba»), meglio noto come il discorso del Palmarium, 16 dicembre 1972.

LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN TUNISIA


Amnesty International
http://www.amnesty.it/pubblicazioni/rapporto1999/mde/mde30.html

Nuove restrizioni alla libertà di espressione sono state imposte dal governo del
Presidente Zine El Abidine Ben Ali. In maggio è stato approvato il Code de la Poste, che
proibisce ogni tipo di corrispondenza considerata “pericolosa per l’ordine pubblico e la
sicurezza” e che consente di confiscare tale corrispondenza. È stato ritirato
l’emendamento alla legge sulla sicurezza esterna dello stato, che proponeva di
considerare i contatti con agenti delle organizzazioni straniere o internazionali come
un reato (vedi Rapporto 1998). È stato interrotto l’accesso a molti siti Internet recanti
notizie sulla situazione dei diritti umani in Tunisia, tra cui alcuni dei siti web di
Amnesty International.
In novembre la Commissione delle Nazioni Unite contro la Tortura ha esaminato
il rapporto della Tunisia ed ha chiesto al governo di porre fine alla pratica della tortura
e ad eliminare le differenze esistenti tra la legge e la sua attuazione. La Commissione
ha concluso che il governo stesse accordando l’immunità ai responsabili di torture,
negando continuamente tutte le accuse di tortura. La Commissione ha esortato il
governo a ridurre il periodo di custodia della polizia ad un massimo di 48 ore e a
garantire una rigorosa attuazione dei provvedimenti di legge e delle procedure di
arresto e di custodia della polizia.
Il Relatore Speciale sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati nonché il
Relatore Speciale sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e
di espressione, che avevano richiesto al governo il permesso di intraprendere una
missione congiunta, non hanno ricevuto il permesso di entrare nel paese.

Arrestate centinaia di persone, fra cui molti prigionieri per motivi


d’opinione, perché sospettate di appoggiare gruppi politici d’opposizione
non autorizzati o per le loro attività non violente. Tra di essi vi erano anche
attivisti per i diritti umani.

Gli attivisti per i diritti umani sono sempre più bersagliati dalle autorità, che
cercano di far cessare le loro attività. In febbraio il prigioniero per motivi di opinione
Khemais Ksila, vice presidente della Ligue tunisienne des droits de l’homme (LTDH -
Lega Tunisina per i Diritti Umani), arrestato nel settembre 1997 (vedi Rapporto 1998),
è stato condannato a tre anni di reclusione per aver “attentato all’ordine pubblico”. La
sentenza è stata confermata nel mese di aprile dalla Corte di Appello e nuovamente
confermata in maggio dalla Corte di Cassazione. In agosto la Sotto Commissione delle
Nazioni Unite sulla Prevenzione della Discriminazione e la Protezione delle Minoranze,
ha chiesto all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di informarsi su
Khemais Ksila.

7
L’avvocata per i diritti umani Radhia Nasraoui e le sue due figlie hanno subito
crescenti vessazioni da parte delle forze di sicurezza. In febbraio il suo ufficio è stato
saccheggiato. In marzo, mentre si trovava in Mali come osservatrice di Amnesty
International ad un processo, è stata incriminata in contumacia per i suoi presunti
“legami con una banda criminale e terrorista, che tiene incontri non autorizzati ed
incita la ribellione”. Al suo ritorno, le è stata concessa la libertà provvisoria su
cauzione ma le è stato proibito di lasciare Tunisi. Alla fine dell’anno non era stata
ancora fissata nessuna data per il suo processo.
Da giugno l’avvocato Najet Yaqoubi e i suoi bambini sono rimasti costantemente
sotto la sorveglianza della polizia. Anche l’avvocato Anouar Kousri è rimasto sotto
stretta sorveglianza per tutto l’anno. L’avvocato per i diritti umani Najib Hosni e l’ex
presidente della LTDH Moncef Marzouki sono tuttora soggetti a continue vessazioni e
restrizioni (vedi Rapporto 1998).
Molti prigionieri per motivi d’opinione sospettati di sostenere gruppi politici di
sinistra non autorizzati o il gruppo islamico non autorizzato al-Nahda (Rinascimento)
fanno parte delle centinaia di persone arrestate per motivi politici. Almeno 10 di essi
sono stati rilasciati senza accusa o processo, ma molti sono rimasti in detenzione e
sono stati condannati a periodi di carcerazione.
Decine di mogli e parenti di sostenitori di al-Nahda detenuti o in esilio sono state
imprigionate: Amnesty International le considera prigioniere per motivi di opinione. Tra
di esse vi è anche Radhia Aouididi, che nel mese di maggio è stata condannata a tre
anni e mezzo di reclusione con l’accusa di essere legata ad un gruppo criminale e di
essere in possesso di un passaporto falso (vedi Rapporto 1998). In ottobre Radhia
Aouididi e quattro dei suoi familiari sono stati accusati di appartenere ad un gruppo
criminale perché la sua famiglia aveva ricevuto aiuti economici dal fratello e dal
fidanzato esiliati in Europa.
In maggio Nizafr Chaari, un giovane tunisino, studente in Francia, è stato
arrestato all’aeroporto di Tunisi dopo aver fatto visita alla sua famiglia. Da quanto
viene riferito egli è stato sottoposto a tortura durante la detenzione in inconmunicado,
prolungata ben al di là del limite massimo stabilito dalla legge tunisina. È stato
accusato di avere “legami con un’associazione non autorizzata (al-Nahda) e una banda
criminale”. Alla fine dell’anno si trovava ancora in carcere in attesa di giudizio.
In luglio sono state portate in giudizio due donne, Salwa Dimassi e Ahlam Garat-
Ali, entrambe prigioniere per motivi di opinione arrestate nel mese di maggio 1996 ed
accusate di essere legate ad una “banda criminale” (vedi Rapporto 1997), ma alla fine
dell’anno il processo non si era ancora concluso.
In maggio Samir e Abdessatar Gasmi, due fratelli esiliati in Libia, sono stati
arrestati dalle autorità libiche e nel mese di agosto consegnati alla Tunisia, dove sono
stati incarcerati. Samir Gasmi è stato rilasciato una settimana dopo il suo ritorno
forzato, Abdessatar Gasmi è stato trattenuto in carcere - da quanto viene riportato egli
è stato torturato e trasferito in agosto nel carcere 9 Avril di Tunisi.
Le famiglie dei sostenitori in esilio di al-Nahda sono sottoposte a crescenti
vessazioni e viene loro impedito di lasciare il paese. A Hayat Hammi e ai suoi tre figli,
per esempio, è stato impedito di lasciare la Tunisia per riunirsi al marito, Samir Ben
Arfa, rifugiato in Svizzera.

In carcere almeno 2.000 prigionieri politici, molti dei quali prigionieri


per motivi di opinione.

Si trovano ancora in carcere almeno 2.000 prigionieri politici, arrestati negli anni
precedenti, molti dei quali prigionieri per motivi di opinione. Tra di essi Souad
Charbati, condannata nel 1997 a sette anni di reclusione, e Mohamed Habib Hemissi,
condannato a 10 anni di reclusione nel 1997 (vedi Rapporto 1998). Jalel Maalej (vedi
Rapporto 1995) in gennaio è stato rilasciato ma resta in libertà vigilata. Imed Ebdelli è
stato rilasciato ed è fuggito all’estero; Ali Hafdi, rilasciato nel 1997, è stato autorizzato
a lasciare il paese; e Abdelmoumen Belanes è stato rilasciato dopo aver scontato la

8
sua condanna (vedi Rapporto 1998). Alla fine del 1997 Lazhar Noman, è stato
rilasciato in libertà vigilata al termine della condanna (vedi Rapporto 1998).

I processi politici continuano a violare gli standard internazionali


sull’equità processuale.

I processi politici continuano a violare gli standard internazionali sull’equità


processuale. La magistratura non svolge indagini sulle denunce di torture e
maltrattamenti e spesso si è astenuta dal chiamare testimoni per interrogarli in
contraddittorio. In agosto Tareq Soussi, ex prigioniero di coscienza affetto da
poliomielite, malattia fisicamente debilitante, è stato accusato di “aggressione fisica”
e “bestemmia” dopo aver smesso di presentarsi presso la stazione di polizia. In
settembre è stato condannato dal Tribunale di Bizerte a cinque mesi di detenzione. Il
tribunale ha rifiutato di convocare il querelante e i testimoni per interrogarli in
contraddittorio. In novembre Lazhar Belgacem (vedi Rapporto 1998) è stato
condannato a tre anni di detenzione con l’accusa di avere “legami con una banda
criminale”. Non gli è mai stato consentito di vedere il rapporto di polizia che, da
quanto viene riferito, conteneva la sua confessione e contro di lui non è stata prodotta
nessuna prova.

La tortura e i maltrattamenti restano molto diffusi, specialmente


durante la detenzione in inconmunicado.

Continuano le denunce di torture e maltrattamenti, specialmente presso il


Ministero degli Interni. In febbraio e marzo, a seguito di scioperi ed incontri degli
studenti che chiedevano migliori condizioni allo studio, molti studenti e giovani sono
stati arrestati nella capitale e in altre città. Alcuni di essi sono stati rilasciati dopo
qualche giorno o settimana, ma 16 di essi alla fine dell’anno si trovavano ancora in
prigione. Lo studente Lotfi Hammami sembra sia stato torturato mentre veniva
detenuto in inconmunicado: gli sono stati legati i genitali e tirati con una corda. Gli è
stata negata assistenza medica specializzata fino a settembre. Un altro studente, Najib
Baccouchi, è stato parimenti torturato. In giugno Imen Derouiche è stata picchiata così
selvaggiamente in carcere che ha avuto bisogni di cure ospedaliere per diversi giorni.
Non è stata svolta nessuna indagine su questi casi, né sono state fissate la date per i
processi.

Almeno una persona è morta mentre si trovava sotto custodia,


probabilmente a causa di tortura e maltrattamenti.

Almeno una persona è morta mentre si trovava sotto custodia, probabilmente a


causa di tortura e maltrattamenti. Tijani Dridi, ex prigioniero politico condannato nel
1992 da un tribunale militare a cinque anni di reclusione, era in libertà vigilata dal suo
rilascio. In agosto si è presentato alla stazione di polizia di Ariana alla periferia di
Tunisi, ma non è più tornato. La polizia ha informato la sua famiglia che era rimasto
ferito in un incidente stradale, proibendole però di recarsi in ospedale. Sette giorni
dopo il corpo di Tijani Dridi è stato sepolto sotto stretta sorveglianza della polizia. Alla
sua famiglia non è stato consentito di vedere il corpo. Non è stata svolta nessuna
indagine su questo e su altri casi di decessi avvenuti durante la custodia di cui si è
avuta notizia negli anni precedenti.

Su numerose persone continua a pendere la condanna a morte, ma non


si è avuta notizia di nessuna esecuzione.

Su numerose persone continua a pendere una condanna a morte, per reati non
politici, ma non si è avuta notizia di nessuna esecuzione.

9
Interventi di Amnesty International

Amnesty International ha partecipato al processo di Khemais Ksila. In novembre


Amnesty International ha pubblicato un rapporto Tunisia: Human rights defenders in
the line of fire, evidenziando le crescenti intimidazioni e vessazioni a cui sono
sottoposti gli attivisti per i diritti umani. Un ricercatore di Amnesty International
continua ad essere respinto dalla Tunisia.

LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA


TUNISINA
(Traduzione di Imed Mehadheb)

Legge n° 59-57 del 1° giugno 1959 (25 doul Kaâda 1378) relativa alla
promulgazione della Costituzione della Repubblica Tunisina.

(Apparsa su il Journal Officiel de la République Tunisienne n° 30 del 1° giugno 1959 solo in versione
originale (araba), pagina 746)

In nome del popolo,

Noi, Habib Bourguiba, Presidente della Repubblica Tunisina,

Visto il decreto del 29 dicembre 1955 (14 djoumeda I° 1375) relativo all’istituzione
dell’Assemblea Nazionale Costituente,

Vista la decisione dell’Assemblea Nazionale Costituente del 25 luglio 1957 (26


doulhidja 1376),

E dopo l’approvazione dell’Assemblea Nazionale Costituente,

Promulghiamo la Costituzione della Repubblica Tunisina di cui segue il testo:

10
PREAMBOLO

In nome di Dio,

Clemente e misericorde,

Noi, rappresentanti del popolo Tunisino, riuniti in assemblea nazionale costituente.

Proclamiamo la volontà di questo popolo, che si è liberato dalla dominazione


straniera grazie alla sua potente coesione e alla lotta contro la tirannia, lo
sfruttamento e il regresso:

– di consolidare l’unità nazionale e di rimanere fedele ai valori umani che


costituiscono il patrimonio comune dei popoli rispettosi della dignità dell’Uomo, della
giustizia e della libertà e che operano per la pace, il progresso e la libera cooperazione
delle nazioni,

– di rimanere fedele agli insegnamenti dell’Islam, all’unità del Grande Magreb, alla
sua appartenenza alla famiglia araba, alla cooperazione con i popoli che combattono
per la giustizia e la libertà,

– d’instaurare una democrazia fondata sulla sovranità del popolo e caratterizzata


da un regime politico stabile basato sulla separazione dei poteri.

Proclamiamo che il regime repubblicano costituisce:

– la migliore garanzia per il rispetto dei diritti dell’Uomo, per l’instaurazione


dell’uguaglianza dei cittadini nei diritti e nei doveri, per la realizzazione della
prosperità del paese con lo sviluppo economico e lo sfruttamento delle ricchezze
nazionali a favore del popolo,

– il mezzo più efficace per assicurare la protezione della famiglia e il diritto dei
cittadini al lavoro, alla sanità e all’istruzione.

Noi, rappresentanti del popolo tunisino libero e sovrano, stabiliamo, per grazia di
Dio, la presente Costituzione:

11
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA TUNISINA
CAPITOLO PRIMO
DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo primo. – La Tunisia è uno stato libero, indipendente e sovrano; la sua


religione è l’Islam, la sua lingua l’arabo e il suo regime la repubblica.

Art. 2. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976) –


La Repubblica Tunisina costituisce una parte del Grande Magreb Arabo, per la cui unità
opera nel quadro dell’interesse comune.

I trattati conclusi a questo scopo e che sono di natura tale da richiedere una
modifica qualunque della presente Costituzione saranno sottoposti a referendum dal
Presidente della Repubblica dopo la loro adozione da parte della “Camera dei
Deputati”*, nelle forme e condizioni previste dalla Costituzione.

Art. 3. – La sovranità appartiene al popolo tunisino che l’esercita conformemente


alla Costituzione.

Art. 4. – La bandiera della Repubblica Tunisina è rossa, ha in mezzo, nelle


condizioni definite dalla legge, un cerchio bianco dove figura una stella a cinque punte
circondata da una mezzaluna rossa.

Il motto della Repubblica è: Libertà, Ordine, Giustizia.

Art. 5. – La Repubblica Tunisina garantisce l’inviolabilità della persona umana e la


libertà di coscienza, e protegge il libero esercizio dei culti, purché non turbino l’ordine
pubblico.

Art. 6. – Tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali
davanti alla legge.

Art. 7. – I cittadini esercitano pienamente i loro diritti nelle forme e nelle


condizioni previste dalla legge. L’esercizio di questi diritti non può essere limitato che
da una legge adottata per la protezione dei diritti altrui, il rispetto dell’ordine pubblico,
la difesa nazionale, lo sviluppo dell’economia e il progresso sociale.

Art. 8. – Le libertà di opinione, di espressione, di stampa, di pubblicazione, di


riunione e di associazione sono garantite e esercitate nelle condizioni definite dalla
legge.

*
Il vecchio nominativo della Camera dei Deputati è “l’Assemblea Nazionale”, sostituzione adottata dalla Legge
costituzionale n° 81-47 del 9 giugno 1981.
12
Il diritto sindacale è garantito.

I partiti politici contribuiscono all’inquadramento dei cittadini in vista di


organizzare la loro partecipazione alla vita politica. Devono essere organizzati su basi
democratiche. I partiti politici devono rispettare la sovranità del popolo, i valori della
Repubblica, i diritti dell’Uomo e i principi relativi allo stato personale.

I partiti politici s’impegnano a bandire ogni forma di violenza, di fanatismo, di


razzismo e ogni forma di discriminazione.

Un partito politico non può appoggiarsi fondamentalmente nei suoi principi,


obiettivi, attività o programmi, su una religione, una lingua, una razza, un sesso o una
regione.

È vietato a tutti i partiti di avere dei legami di dipendenza con partiti o interessi
stranieri.

La legge fissa le regole di costituzione e di organizzazione dei partiti.

(I paragrafi 3,4,5,6 e 7 sono stati aggiunti dalla legge costituzionale n°


97-65 del 27 ottobre 1997)

Art. 9. – L’inviolabilità del domicilio e il segreto della corrispondenza sono


garantiti, salvo nei casi eccezionali previsti dalla legge.

Art. 10. – Ogni cittadino ha il diritto di circolare liberamente all’interno del


territorio, di uscire e di fissare il suo domicilio nei limiti previsti dalla legge.

Art. 11. – Nessun cittadino può essere bandito dal territorio nazionale ne impedito
di ritornarci.

Art. 12. – Ogni imputato è considerato innocente fino all’accertamento della sua
colpevolezza in seguito a una procedura che gli offre le garanzie indispensabili alla sua
difesa.

Art. 13. – La condanna è personale e non può essere pronunciata che in virtù di
una legge anteriore al fatto punibile.

Art. 14. – Il diritto di proprietà è garantito. È esercitato nei limiti previsti dalla
legge.

Art. 15. – La difesa della patria e dell’integrità del territorio è un dovere sacro per
ogni cittadino.

Art. 16. – Il pagamento delle imposte e la contribuzione agli oneri pubblici, sulla
base dell’equità, costituiscono un dovere per ogni persona.

Art. 17. – È vietato estradare i rifugiati politici.

CAPITOLO II
IL POTERE LEGISLATIVO

Art. 18. – Il popolo esercita il potere legislativo per il tramite di una assemblea
rappresentativa, denominata “Camera dei Deputati”.

13
Art. 19. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– I membri della Camera dei Deputati sono eletti a suffragio universale, libero, diretto
e segreto, secondo le modalità e le condizioni fissate dalla legge elettorale.

Art. 20. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – È elettore ogni cittadino in possesso della nazionalità tunisina da almeno
cinque anni, che ha compiuto i venti anni e avente i requisiti previsti dalla legge
elettorale.

Art. 21. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – È eleggibile alla Camera dei Deputati ogni elettore nato da padre tunisino o
da madre tunisina e che ha compiuto almeno ventitre anni il giorno della
presentazione della sua candidatura.

Il deputato presta, nel corso della prima assemblea plenaria tenuta dopo le
elezioni, il seguente giuramento:

“Giuro per Dio onnipotente di servire il mio paese lealmente, di


rispettare la Costituzione e la fedeltà esclusiva verso la Tunisia”.

Art. 22. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– La Camera dei Deputati è eletta per un mandato di cinque anni nel corso dei trenta
ultimi giorni della legislatura.(1)

Art. 23. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– In caso di impossibilità di procedere nel termine previsto alle elezioni, a causa di
guerra o di pericolo imminente, il mandato della Camera dei Deputati è prorogato da
una legge fino a quando sarà possibile procedere alle elezioni.

Art. 24. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– La sede della Camera dei Deputati è stabilita a Tunisi e periferia. Tuttavia, in
circostanze eccezionali, la Camera dei Deputati può tenere le sue sedute in qualsiasi
altro luogo del territorio della Repubblica.

Art. 25. – Ogni deputato è rappresentante della nazione intera.

Art. 26. – Un deputato non può essere perseguito, arrestato o giudicato per le
opinioni espresse, le proposizioni emesse o gli atti compiuti nell’esercizio del suo
mandato in seno alla camera.

Art. 27. – Nessun deputato può, durante il suo mandato, essere perseguito o
arrestato per un crimine o un delitto, senza che la Camera dei Deputati abbia revocato
l’immunità parlamentare che lo protegge.

Tuttavia, in caso di flagranza di reato, si può procedere al suo arresto. L’assemblea


ne è informata immediatamente. Si sospende la detenzione del deputato su richiesta
dell’assemblea.

Art. 28. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– La Camera dei Deputati esercita il potere legislativo. L’iniziativa legislativa
appartiene parimenti al Presidente della Repubblica e ai membri della Camera dei
Deputati. I progetti presentati dal Presidente della Repubblica hanno la precedenza.

(1)
Il secondo capoverso dell’articolo unico della legge costituzionale n° 93-105 del 8 novembre 1993 relativa ai
prossimi mandati legislativi e presidenziali dispone: “Senza pregiudizio delle disposizioni della Costituzione e in deroga
alle disposizioni dell’articolo 22 e del capoverso primo dell’articolo 39 della Costituzione, i prossimi mandati legislativi
e presidenziali scadranno la seconda domenica del mese di novembre 1999.
14
La Camera dei Deputati può abilitare il Presidente della Repubblica durante un
termine limitato e in vista di uno scopo determinato a emanare dei decreti legislativi
che devono essere sottoposti alla ratifica della Camera alla scadenza di questo
termine.

La Camera dei Deputati adotta le leggi organiche e le leggi ordinarie a


maggioranza assoluta dei membri della camera.

Il progetto di legge organica non può essere sottoposto alla deliberazione della
Camera dei Deputati che alla scadenza di un termine di quindici giorni dopo il suo
deposito.

Hanno il carattere di leggi organiche, le leggi previste dagli articoli


4,8,9,10,66,67,68,69,70 e 71 della Costituzione.

La legge elettorale riveste la forma di legge organica.

La Camera dei Deputati vota i progetti di legge finanziaria e del saldo di bilancio
nelle condizioni previste da una legge organica di bilancio.

Il bilancio deve essere votato non oltre il 31 dicembre. Se questo termine è


superato, e la Camera dei Deputati non si è pronunciata, le disposizioni dei progetti di
legge finanziaria possono acquistare efficacia per decreto, a scadenza trimestrale
rinnovabile.

Art. 29. (Modificato dalla legge costituzionale n° 67-23 del 30 giugno


1967) – La Camera dei Deputati si riunisce ogni anno in sessione ordinaria che
incomincia nel mese di ottobre e finisce nel mese di luglio. Tuttavia, la prima sessione
di ogni legislatura inizia nella prima quindicina di novembre(1).

Durante le vacanze, l’assemblea si riunisce in sessione straordinaria su richiesta


del Presidente della Repubblica o della maggioranza dei deputati.

Art. 30. – La Camera dei Deputati elegge tra i suoi membri commissioni
permanenti la cui attività continua durante le vacanze della Camera dei Deputati.

Art. 31. – Il Presidente della Repubblica può adottare, durante le vacanze


dell’assemblea e con l’accordo della commissione permanente interessata, dei decreti-
legge che devono essere sottoposti alla ratifica dell’assemblea nel corso della sessione
ordinaria seguente.

Art. 32. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – I trattati non hanno forza di legge che dopo la loro ratifica. I trattati ratificati
hanno una efficacia superiore a quelle delle leggi, con la riserva, per ciascun trattato,
della sua applicazione da parte dell’altro contraente.

Art. 33. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– I trattati sono ratificati con una legge.

Art. 34. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – Sono adottati sotto forma di legge i testi relativi:

(1)
Il primo capoverso dell’articolo unico della legge costituzionale n° 93-105 del 8 novembre 1993 relativa ai prossimi
mandati legislativi e presidenziali dispone: “In deroga alle disposizioni del primo capoverso dell’articolo 29 della
Costituzione la prima sessione della prossima legislatura incomincia nella prima quindicina del mese di aprile 1994 e la
corrente sessione legislativa finisce il giorno della riunione della nuova Camera dei Deputati”.
15
– alle modalità generali di applicazione della Costituzione diverse da quelle che
devono essere oggetto di leggi organiche,

– alla creazione di categorie di stabilimenti e imprese pubbliche,

– alla nazionalità, allo stato delle persone e agli obbligazioni,

– alla procedura davanti ai diversi ordini di giurisdizione,

– alla definizione dei crimini e dei delitti e delle pene applicabili, nonché delle
contravvenzioni penali sanzionate con una pena privativa della libertà,

– all’amnistia,

– alla base imponibile, all’aliquota e alle modalità di riscossione delle imposte,


salvo delega accordata al Presidente della Repubblica dalla legge finanziaria e dalle
leggi fiscali,

– al regime di emissione della moneta,

– ai prestiti e agli impegni finanziari dello Stato,

– alle garanzie fondamentali riconosciute ai funzionari civili e militari.

La legge determina i principi fondamentali:

– del regime della proprietà e dei diritti reali,

– dell’insegnamento,

– della sanità pubblica,

– del diritto al lavoro e della sicurezza sociale.

Art. 35. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – Le materie diverse da quelle riservate alla legge, sono di competenza del
potere regolamentare generale.

I testi precedenti relativi a queste materie possono essere modificati mediante


decreto sottoposto obbligatoriamente al Tribunale amministrativo e adottato in
conformità col suo parere.

Il Presidente della Repubblica può opporre l’irrecivibilità di ogni progetto di legge o


di emendamento attinente al potere regolamentare generale. Il Presidente della
Repubblica sottopone la questione al Consiglio Costituzionale che delibera in un
termine massimo di dieci giorni a partire dalla data di ricevimento.

Art. 36. (Modificato dalla legge costituzionale n° 76-37 del 8 aprile 1976)
– Il piano di sviluppo è approvato con una legge.

La legge autorizza le entrate e le spese dello Stato nelle condizioni previste dalla
legge organica di bilancio.

CAPITOLO III

16
IL POTERE ESECUTIVO
(Modificato dalla legge costituzionale n° 76-36 del 8 aprile 1976)

Art. 37. – Il potere esecutivo è esercitato dal Presidente della Repubblica assistito
da un Governo diretto da un Primo ministro.

Sezione I
Il Presidente della Repubblica

Art. 38. – Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato. La sua religione è
l’Islam.

Art. 39. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni a suffragio universale, libero,
diretto e segreto, nel corso dei trenta ultimi giorni del mandato nelle condizioni
previste dalla legge elettorale. (Vedi le disposizioni del capoverso 2 della legge
costituzionale n° 93-105 alla pagina 5)

In caso di impossibilità di procedere in tempo utile alle elezioni a causa di guerra o


di pericolo imminente, il mandato del Presidente è prorogato con una legge fino a
quando sarà possibile procedere alle elezioni.

Il Presidente della Repubblica è rieleggibile due volte consecutive.

Art. 40. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
–Può presentarsi candidato alla Presidenza della Repubblica ogni tunisino, che gode
esclusivamente della nazionalità tunisina, di religione musulmana, di padre, di madre,
di nonni paterni e materni tunisini, che hanno conservato la nazionalità tunisina senza
discontinuità.

Il candidato deve, inoltre, aver compiuto, il giorno di deposito della sua


candidatura, almeno quaranta anni e settanta anni al massimo e godere di tutti i suoi
diritti civili.

Legge costituzionale n° 99-52 del 30 giugno 1999, relativa alle disposizioni


derogatorie al terzo capoverso dell’articolo 40 della Costituzione:

“In mancanza di attuazione della condizione di presentazione del candidato, prevista dal
terzo capoverso dell’articolo 40 della Costituzione, può presentarsi candidato alla presidenza
della Repubblica, a titolo eccezionale per le elezioni presidenziali dell’anno 1999, il primo
responsabile di ogni partito politico che sia Presidente o Segretario generale del partito, a
condizione che sia nell’esercizio delle sue funzioni, il giorno di deposito della sua candidatura,
da almeno cinque anni consecutivi e che il partito abbia un deputato o più alla Camera dei
Deputati.

L’appartenenza del deputato a un partito è quella considerata al momento della sua


candidatura alle elezioni legislative”.

Il candidato è presentato da eletti, secondo le modalità e le condizioni fissate dalla


legge elettorale.

La dichiarazione di candidatura è registrata su un registro speciale da una


commissione composta dal Presidente della Camera dei Deputati, che la presiede, e
da quattro membri che sono:
17
Il Presidente del Consiglio Costituzionale, il Muftì della Repubblica, il primo
Presidente della Corte di cassazione e il primo Presidente del Tribunale
amministrativo.

La commissione delibera sulla validità delle candidature, proclama il risultato dello


scrutinio e si pronuncia sulle richieste che le sono presentate in merito.

Art. 41. – Il Presidente della Repubblica è garante dell’indipendenza nazionale,


dell’integrità del territorio e del rispetto della Costituzione e delle leggi nonché
dell’esecuzione dei trattati. Vigila sul regolare funzionamento dei pubblici poteri
costituzionali e assicura la continuità dello Stato.

Art. 42. – Il Presidente della Repubblica eletto presta davanti alla Camera dei
Deputati il seguente giuramento:

“Giuro per Dio Onnipotente di salvaguardare l’indipendenza nazionale e


l’integrità del territorio, di rispettare la Costituzione e la legge e di vigilare
scrupolosamente sugli interessi della nazione.”

Art. 43. – La sede ufficiale della Presidenza della Repubblica è stabilita a Tunisi e
periferia. Tuttavia, in circostanze eccezionali, può essere trasferita provvisoriamente in
qualsiasi altro luogo del territorio della Repubblica.

Art. 44. – Il Presidente della Repubblica è il Capo Supremo delle Forze Armate.

Art. 45. – Il Presidente della Repubblica accredita i rappresentanti diplomatici


presso le potenze straniere. I rappresentanti diplomatici delle potenze straniere sono
accreditati presso di lui.

Art. 46. – In caso di pericolo imminente di minaccia alle istituzioni della


Repubblica, alla sicurezza e all’indipendenza del paese, e che ostacola il regolare
funzionamento dei pubblici poteri, il Presidente della Repubblica adotta le misure
eccezionali richieste da tali circostanze, udito il parere del Primo ministro e del
Presidente della Camera dei Deputati.

Durante questo periodo, il Presidente della Repubblica non può sciogliere la


Camera dei Deputati e non possono essere presentate mozioni di censura contro il
Governo.

Queste misure cessano di avere effetto appena avranno termine le circostanze che
le hanno generate. Il Presidente della Repubblica rivolge un messaggio alla Camera
dei Deputati a questo proposito.

Art. 47. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – Il Presidente della Repubblica può sottoporre direttamente a referendum i
progetti di legge aventi una importanza nazionale o le questioni che toccano
l’interesse superiore del paese senza essere contrari alla Costituzione.

Quando il referendum stabilisce l’adozione del progetto, il Presidente della


Repubblica lo promulga entro i quindici giorni successivi alla data di proclamazione dei
risultati della consultazione.

La legge elettorale fissa le modalità di svolgimento del referendum e della


proclamazione dei risultati.

18
Art. 48. – Il Presidente della Repubblica promulga i trattati.

Dichiara la guerra e conclude la pace con l’approvazione della Camera dei


Deputati.

Dispone del diritto di grazia.

Art. 49. – Il Presidente della Repubblica orienta la politica generale dello Stato, ne
definisce le opzioni fondamentali e ne informa la Camera dei Deputati.

Il Presidente della Repubblica comunica con la Camera dei Deputati sia


direttamente che con un messaggio.

Art. 50. – Il Presidente della Repubblica nomina il Primo ministro e, su proposta di


questi, gli altri membri del Governo.

Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri.

Art. 51. – Il Presidente della Repubblica mette fine alle funzioni del Governo o di
uno dei suoi membri di propria iniziativa o su proposta del Primo ministro.

Art. 52. – Il Presidente della Repubblica promulga le leggi costituzionali, organiche


e ordinarie e ne garantisce la pubblicazione sul Journal Officiel de la République
Tunisienne entro i quindici giorni successivi alla trasmissione da parte del Presidente
della Camera dei Deputati.

Il Presidente della Repubblica può, durante questo termine, rinviare il progetto di


legge alla Camera dei Deputati per una seconda lettura. Se il progetto di legge è
adottato dalla Camera dei Deputati con la maggioranza dei due terzi dei suoi membri,
la legge è promulgata e pubblicata in un secondo termine massimo di quindici giorni.

Il Presidente della Repubblica può, durante il termine previsto nel paragrafo primo
del presente articolo e su parere del Consiglio Costituzionale emesso in applicazione
degli articoli 73 e 74 della Costituzione, rinviare il progetto di legge o alcuni suoi
articoli dopo modifica alla Camera dei Deputati per una nuova deliberazione. Dopo
l’adozione delle modifiche da parte della Camera dei Deputati a maggioranza dei suoi
membri, il Presidente della Repubblica promulga la legge e ne garantisce la
pubblicazione entro i quindici giorni successivi alla trasmissione che gli è fatta. (Il
paragrafo (3) è stato aggiunto dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27
ottobre 1997)

Art. 53. – Il Presidente della Repubblica vigila sull’esecuzione delle leggi.

Esercita il suo potere regolamentare generale e può delegare tutto o parte di esso
al Primo ministro.

Art. 54. – I progetti di legge sono deliberati nel Consiglio dei ministri.

I decreti a carattere regolamentare sono controfirmati dal Primo ministro e dal


membro di Governo interessato.

Art. 55. – Il Presidente della Repubblica nomina agli impieghi superiori civili e
militari, su proposta del Governo.

19
Art. 56. – In caso di impedimento provvisorio, il Presidente della Repubblica può
delegare per decreto le sue attribuzioni al Primo ministro, escluso il potere di
sciogliere la Camera dei Deputati.

Nel corso dell’impedimento provvisorio del Presidente della Repubblica, il Governo,


anche se è oggetto di una mozione di censura, resta in carica fino alla fine
dell’impedimento.

Il Presidente della Repubblica informa il Presidente della Camera dei Deputati della
delega provvisoria dei suoi poteri.

Art. 57. (Modificato dalla legge costituzionale n°88-88 del 25 luglio 1988)
– In caso di vacanza della Presidenza della Repubblica per causa di decesso, dimissioni
o impedimento assoluto, il Presidente della Camera dei Deputati è immediatamente
investito delle funzioni del Presidente della Repubblica ad interim per un periodo che
varia da un minimo di 45 giorni a un massimo di 60 giorni.

Egli presta il giuramento costituzionale davanti alla Camera dei Deputati o,


all’occorrenza, davanti all’Ufficio della Camera dei Deputati.

Il Presidente della Repubblica ad interim non può presentare la sua candidatura


alla Presidenza della Repubblica neanche in caso di dimissioni.

Il Presidente della Repubblica ad interim esercita le attribuzioni devolute al


Presidente della Repubblica senza, tuttavia, poter ricorrere al referendum, dimettere il
Governo, sciogliere la Camera dei Deputati o adottare le misure eccezionali previste
dall’articolo 46.

Durante questo periodo, non si può presentare una mozione di censura contro il
Governo.

Durante questo stesso periodo le elezioni presidenziali sono organizzate per


eleggere un nuovo Presidente della Repubblica per un mandato di cinque anni.

Il nuovo Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera dei Deputati e


organizzare le elezioni legislative anticipate conformemente alle disposizioni del
secondo capoverso dell’articolo 63.

Sezione II
Il Governo

Art. 58. – Il Governo vigila sulla messa in opera della politica generale dello Stato,
conformemente alle orientazioni e alle opzioni definite dal Presidente della Repubblica.

Art. 59. – Il Governo è responsabile della sua gestione davanti al Presidente della
Repubblica.

Art. 60. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– Il Primo ministro dirige e coordina l’azione del Governo. Supplisce, all’occorrenza, il
Presidente della Repubblica nella Presidenza del Consiglio dei ministri o di ogni altro
consiglio.
Art. 61. – I membri del Governo hanno accesso alla Camera dei Deputati e alle
sue commissioni.

Ogni deputato può rivolgere al Governo questioni scritte o orali.

20
Art. 62. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio 1988)
– La Camera dei Deputati fa valere la responsabilità del Governo mediante la
votazione di una mozione di censura, se si accerta alla camera che esso non agisce in
conformità con la politica generale dello Stato e le opzioni fondamentali previste dagli
articoli 49 e 58.

La mozione di censura è accolta se è motivata e firmata da almeno la metà dei


membri della Camera dei Deputati.

La votazione non può aver luogo prima di quarantotto ore dalla presentazione
della mozione di censura.

Quando una mozione di censura è adottata dalla maggioranza dei due terzi dei
deputati, il Presidente della Repubblica accetta le dimissioni del Governo presentate
dal Primo ministro.

Art. 63. (Modificato dalla legge costituzionale n° 88-88 del 25 luglio


1988) – In caso di adozione da parte della Camera dei Deputati di una seconda
mozione di censura alla maggioranza dei due terzi durante la stessa legislatura il
Presidente della Repubblica può sia accettare le dimissioni del Governo che sciogliere
la Camera dei Deputati.

Il decreto relativo allo scioglimento della Camera dei Deputati comporta la


convocazione degli elettori per le nuove elezioni entro un termine massimo di trenta
giorni.

In caso di scioglimento pronunciato nelle condizioni del primo capoverso del


presente articolo, il Presidente della Repubblica può adottare dei decreti-legge che
devono essere sottoposti successivamente alla ratifica della Camera dei Deputati.

La camera, nuovamente eletta, si riunisce di diritto negli otto giorni che seguono la
proclamazione dei risultati dello scrutinio.

CAPITOLO IV
IL POTERE GIUDIZIARIO

Art. 64. – Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo ed eseguite in nome
del Presidente della Repubblica.

Art. 65. – L’autorità giudiziaria è indipendente; i magistrati non sono sottoposti,


nell’esercizio delle loro funzioni, che all’autorità della legge.

Art. 66. – I magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica
su proposta del Consiglio superiore della magistratura. Le modalità del loro
reclutamento sono fissate dalla legge.

Art. 67. – Il Consiglio superiore della magistratura, le cui competenza e


attribuzioni sono fissate dalla legge, vigila sul rispetto delle garanzie accordate al
magistrato in materia di nomina, di avanzamento, di trasferimento e di disciplina.

CAPITOLO V
L’ALTA CORTE

Art. 68. – L’Alta corte si costituisce in caso di alto tradimento commesso da un


membro del Governo. La competenza e la composizione dell’Alta corte nonché la
procedura applicabile davanti ad essa sono fissate dalla legge.
21
CAPITOLO VI
IL CONSIGLIO DI STATO

Art. 69. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – Il Consiglio di Stato si compone di due organi:

1 – il Tribunale amministrativo,
2 – la Corte dei conti.

La legge determina l’organizzazione del Consiglio di Stato e dei suoi due organi, e
fissa la competenza e la procedura applicabile davanti a questi organi.

CAPITOLO VII
IL CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIALE

Art. 70. – Il Consiglio economico e sociale è un organo consultivo in materia


economica e sociale. La sua composizione e i suoi rapporti con la Camera dei Deputati
sono fissati dalla legge.

CAPITOLO VIII
LE COLLETTIVITÀ LOCALI

Art. 71. – I Consigli municipali e i Consigli regionali gestiscono gli affari locali,
nelle condizioni previste dalla legge.

CAPITOLO IX
IL CONSIGLIO COSTITUZIONALE

(Capitolo aggiunto dalla legge costituzionale n° 95-90 del 6 novembre 1995)

Art. 72. – Il Consiglio Costituzionale esamina i progetti di legge che gli sono
sottoposti dal Presidente della Repubblica quanto alla loro conformità o alla loro
compatibilità con la Costituzione. Il deferimento al Consiglio è obbligatorio per i
progetti di legge organica, i progetti di legge previsti dall’articolo 47 della Costituzione,
nonché i progetti di legge relativi alle modalità generali di applicazione della
Costituzione, alla nazionalità, allo stato delle persone, agli obbligazioni, alla definizione
dei crimini e dei delitti e delle pene applicabili, alla procedura davanti ai differenti
ordini di giurisdizione, all’amnistia, nonché ai principi fondamentali del regime di
proprietà e dei diritti reali, dell’insegnamento, della sanità pubblica, del diritto al
lavoro e della sicurezza sociale.

Il Presidente della Repubblica sottopone obbligatoriamente al Consiglio


Costituzionale anche i trattati di cui all’articolo 2 della Costituzione.

Gli può anche sottoporre ogni questione attinente all’organizzazione e al


funzionamento delle istituzioni.

Art. 73. – I progetti del Presidente della Repubblica sono sottoposti al Consiglio
Costituzionale prima della loro trasmissione alla Camera dei Deputati o il loro
assoggettamento a referendum.

Il Presidente della Repubblica sottopone al Consiglio Costituzionale durante il


termine di promulgazione e di pubblicazione previsto dall’articolo 52 della Costituzione
le modifiche sostanziali apportate ai progetti di legge adottati dalla Camera dei
Deputati e che sono stati precedentemente sottoposti al Consiglio Costituzionale
22
conformemente alle disposizioni del presente articolo. Ne informa il Presidente della
Camera dei Deputati.

In questo caso, il suddetto termine è interrotto fino alla comunicazione al


Presidente della Repubblica del parere del Consiglio Costituzionale, senza che
l’interruzione ecceda un mese.

Art. 74. – Il Presidente della Repubblica sottopone al Consiglio Costituzionale,


dopo l’adozione, i progetti di legge proposti dai deputati, nei termini di promulgazione
e di pubblicazione previsti dall’articolo 52, nel caso in cui il deferimento al Consiglio è
obbligatorio in virtù dell’articolo 72. Ne informa il Presidente della Camera dei
Deputati.

In questo caso, si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell’articolo 73.

Art. 75. – Il parere del Consiglio Costituzionale deve essere motivato. È


comunicato al Presidente della Repubblica. Si impone a tutti i pubblici poteri salvo se
riguarda le questioni previste dall’ultimo paragrafo dell’articolo 72 della Costituzione.
(Paragrafo modificato dalla legge n° 98-76 del 2 novembre 1998)

Il Presidente della Repubblica trasmette alla Camera dei Deputati i progetti di


legge esaminati dal Consiglio Costituzionale conformemente al capoverso primo
dell’articolo 73 della Costituzione, accompagnati da una copia del parere del Consiglio
Costituzionale.

Il Presidente della Repubblica trasmette alla Camera dei Deputati copia del parere
del Consiglio Costituzionale nei casi previsti dal secondo capoverso dell’articolo 73 e
dell’articolo 74 della Costituzione.

Una legge organica fissa la composizione e le modalità di funzionamento del


Consiglio Costituzionale.

CAPITOLO X
REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

(Seguendo le disposizioni della legge costituzionale n° 95-90 del 6 novembre


1995, il capitolo nove della Costituzione diventa il capitolo dieci e gli articoli
72, 73, e 74 diventano 76, 77 e 78)

Art. 76. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – L’iniziativa di revisione della Costituzione appartiene al Presidente della
Repubblica o almeno a un terzo dei membri della Camera dei Deputati, con la riserva
che non attenti alla forma repubblicana dello Stato.

Il Presidente della Repubblica può sottoporre i progetti di revisione della


Costituzione a referendum.

Art. 77. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – La Camera dei Deputati delibera sulla revisione proposta in seguito a una
risoluzione presa a maggioranza assoluta, dopo la definizione dell’oggetto della
revisione e il suo esame da una commissione ad hoc.

Nel caso di non ricorso al referendum, il progetto di revisione della Costituzione è


adottato dalla Camera dei Deputati a maggioranza dei due terzi dei suoi membri nel
corso di due letture, la seconda lettura avviene almeno tre mesi dopo la prima.

23
Nel caso di ricorso al referendum, il Presidente della Repubblica sottopone il
progetto di revisione della Costituzione al popolo dopo la sua adozione dalla Camera
dei Deputati a maggioranza assoluta dei suoi membri nel corso di una sola lettura.

Art. 78. (Modificato dalla legge costituzionale n° 97-65 del 27 ottobre


1997) – Il Presidente della Repubblica promulga sotto forma di legge costituzionale la
legge che revisiona la Costituzione adottata dalla Camera dei Deputati,
conformemente all’articolo 52 della Costituzione.

Il Presidente della Repubblica promulga sotto forma di legge costituzionale la legge


che revisiona la Costituzione approvata dal popolo, entro un termine non superiore ai
quindici giorni successivi alla proclamazione dei risultati del referendum.

La legge elettorale fissa le modalità dello svolgimento del referendum e della


proclamazione dei risultati.

La presente legge sarà eseguita come Costituzione della Repubblica Tunisina.

Fatto nel palazzo di Bardo il 1° giugno 1959 (25 doul kaâda 1378)

Il Presidente della Repubblica Tunisina

HABIB BOURGUIBA

TABLE CHRONOLOGIQUE DES MODIFICATIONS


DE LA CONSTITUTION DE LA REPUBLIQUE
TUNISIENNE

* 1965-07-01 - Loi constitutionnelle n° 65-23 modifiant l’article 29 de la


constitution.

(JORT n° 35 du 2 juillet 1965 page 825)

* 1967-06-30 - Loi constitutionnelle n° 67-23 modifiant l’article 29 de la


constitution.

(JORT n° 27 des 27 et 30 juin 1967 page 840)

* 1969-12-31 - Loi constitutionnelle n° 69-63 modifiant l’article 51 de la


constitution.

(JORT n° 57 des 30 et 31 décembre 1969 page 1500)

* 1975-03-19 - Loi constitutionnelle n° 75-13 modifiant les articles 40 et 51 de la


constitution.

(JORT n° I9 des 18 et 21 mars 1915 page 520)

24
* 1976-04-08 - Loi constitutionnelle n° 76-37 modifiant et complétant la
constitution du 1er juin 1959.

(JORT n° 26 des 9 et 13 avril 1916 page 858)

* 1981-06-09 - Loi constitutionnelle n° 81-47 modifiant certains articles de la


constitution et remplaçant l’appellation “Assemblée Nationale” par “Chambre
des
Députés”.

(JORT n°40 du 12 juin 1981 page 1391)

* 1981-09-09 - Loi constitutionnelle n° 81-78 organisant des élections


législatives
anticipées.

(JORT n° 56 des 8 et 11 septembre 1981 page 2091)

* 1988-07-25 - Loi constitutionnelle n° 88-88 modifiant la constitution.

(JORT n° 50 du 26 juillet 1988 page 1066)

* 1993-11-08 - Loi constitutionnelle n° 93-105 relative aux prochains mandats


législatif et Présidentiel.

(JORT n° 86 du 12 novembre 1993 page 1899)

* 1995-11-06 - Loi constitutionnelle n° 95-90 relative au conseil constitutionnel.

(JORT n° 90 du 10 novembre 1995 page 2095)

* 1997-10-27 - Loi constitutionnelle n° 97-65 modifiant et complétant certains


articles de la constitution.

(JORT n°87 du 31 octobre 1997 page 1961)

* 1998-11-02 - Loi constitutionnelle n° 98-76 du 2 novembre 1998 portant


modification du paragraphe premier de l’article 75 de la constitution.

(JORT n° 89 du 6 novembre 1998 page 2180)

* 1999-06-30 - Loi constitutionnelle n° 99-52 du 30 juin 1999, portant


dispositions
dérogatoires au troisième alinéa de l’article 40 de la constitution.

(JORT n° 53 du 2 juillet 1999 page 1063)

25
CODICE ELETTORALE DELLA REPUBBLICA TUNISINA

DISPOSIZIONI RELATIVE ALL’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


(Traduzione dall’arabo di Imed Mehadheb)

CAPITOLO I
LE CONDIZIONI DELLA CANDIDATURA

Art. 63. — Il Presidente della repubblica è eletto per cinque anni.

Il Presidente della Repubblica è rieleggibile due volte consecutive.

L’elezione del Presidente della Repubblica si svolge nel corso degli ultimi trenta
giorni del corrente mandato presidenziale(1).

Art. 64. — Può presentarsi candidato alla Presidenza della Repubblica chi :
1. è elettore
2. è musulamo
3. gode della nazionalità tunisina sin dalla nascita, senza discontinuità, e non ha
un’altra nazionalità
4. è nato di padre, di madre, di nonni paterni e materni tunisini e che abbiano
conservato la nazionalità tunisina senza discontinuità.
5. abbia compiuto almeno quaranta anni e al massimo settanta il giorno di
deposito della sua candidatura(2).

Art. 65. — Abrogato dall’articolo 3 della legge organica n° 88-144 del 29


dicembre 1988.

(1)
Modificato dalla legge organica n° 88-144 del 29 dicembre 1988.
(2)
Modificato dalla legge organica n° 88-144 del 29 dicembre 1988.
26
CAPITOLO II
LE CANDIDATURE

Art. 66. — Le dichiarazioni di candidatura sono registrate il secondo mese


precedente il giorno delle elezioni, nella sede della Camera dei Deputati, presso una
Commissione composta dal presidente della Camera dei Deputati, che la presiede, e
da quattro membri che sono : il Presidente del Consiglio costituzionale, il Muftì della
Repubblica, il primo Presidente della Corte di cassazione e il primo Presidente del
Tribunale amministrativo.

Per essere accettata, una candidatura deve essere presentata,


singolarmente o collettivamente, da almeno trenta cittadini membri della
Camera dei Deputati oppure presidenti di Consigli comunali. Questi eletti
devono presentare alla Commissione di cui al precedente paragrafo una
dichiarazione relativa alla presentazione del candidato redatta su carta
semplice recante le loro firme autenticate.

Non è consentito a ognuno degli eletti di presentare più di un solo


candidato.

CODICE ELETTORALE DELLA REPUBBLICA TUNISINA


DISPOSIZIONI RELATIVE ALL’ELEZIONE DEI MEMBRI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(Traduzione dall’arabo di Imed Mehadheb)

CAPITOLO IV
L’ELEZIONE

Art. 88. — I membri della Camera dei Deputati sono eletti in un turno
elettorale unico col voto di liste.

L’elettore sceglie una lista tra quelle candidate senza modificare i nomi contenuti
in essa e la mette da sola dentro una apposita busta(1).

(1)
Modificato dalla legge organica n° 93-118 del 27 dicembre 1993.
27
CODICE ELETTORALE DELLA REPUBBLICA TUNISINA
DISPOSIZIONI RELATIVE ALL’ELEZIONE DEI MEMBRI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
(Traduzione dall’arabo di Imed Mehadheb)

CAPITOLO VII
LO SCRUTINIO

Art. 105. — Si attribuiscono tutti i seggi disponibili nella circoscrizione alla lista
che ottiene più voti.

Se viene scrutinata una sola lista si proclama la sua votazione senza considerare
il numero dei voti ottenuti(1).

(1)
Modificato dalla legge organica n° 88-144 del 29 dicembre 1988.
28
Art. 105 bis. — Al fine della distribuzione dei seggi a livello nazionale, il
quoziente elettorale è dato dalla divisione dei voti validi che non hanno consentito di
vincere dei seggi a livello delle circoscrizioni, per il numero dei seggi da distribuire a
livello nazionale.

Si distribuiscono i seggi a livello nazionale tra le liste non vincenti in una o più
circoscrizioni secondo il metodo proporzionale e considerando le medie più alte.

Si considerano in questa distribuzione:

Per quanto riguarda le liste dei partiti politici, la somma dei voti ottenuti a livello
nazionale e che non hanno consentito di vincere dei seggi in una o più circoscrizioni.

Per quanto riguarda le altre liste, i voti ottenuti in una circoscrizione e che non
hanno consentito di vincere dei seggi nella stessa circoscrizione.

In caso di parità delle medie il seggio si attribuisce alla somma maggiore.

Si attribuiscono i seggi ottenuti da ciascun partito nella distribuzione nazionale


delle sue liste considerando l’ordine risultante al momento della presentazione delle
candidature. Il primo seggio è attribuito alla lista che ha ottenuto il quoziente più alto
rispetto alla somma dei voti validi nella sua circoscrizione. Il secondo seggio è
attribuito alla lista successiva relativamente al quoziente fino alla assegnazione di tutti
i seggi ottenuti dal partito. Nel caso in cui il numero dei seggi supera il numero delle
liste si ripete l’operazione nello stesso modo.

In caso di parità dei quozienti in due o più circoscrizioni, si attribuisce il seggio


alla lista che ha ottenuto più voti.

Si attribuisco i seggi ottenuti da ciascuna lista non appartenente ai partiti politici


considerando l’ordine risultante al momento della presentazione delle candidature.

Il Ministro dell’interno proclama pubblicamente i risultati e vigila sulla loro


pubblicazione sul Journal Officiel de la République Tunisienne(2).

COMPARAZIONE GIURIDICA
LA FORMA DI GOVERNO DELLA REPUBBLICA
TUNISINA

Per “forma di governo” si intende una configurazione tipica che viene assunta
dall’articolarsi dei rapporti fondamentali tra gli organi costituzionali di uno Stato e dei
fattori che su quei rapporti esercitano condizionamenti e influenze di varia intensità. Si
tratta del complesso costituito dalle regole e dalle modalità organizzative inerenti
all’esercizio della funzione di indirizzo politico da parte degli organi supremi dello
Stato.
Con l’espressione “governo semi-presidenziale” si fa riferimento a quella forma
di governo, affermatasi in alcune democrazie occidentali a partire dal primo dopo
guerra, caratterizzata sul piano strutturale da due complessi di requisiti di tipo
giuridico-formale:
(2)
Paragrafo aggiunto dalla legge organica n° 93-118 del 27 dicembre 1993.
29
1) Un Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale e dotato di
importanti poteri propri.
2) Un Primo ministro e un Governo responsabili davanti al Parlamento.
La V Repubblica francese è considerata la manifestazione più interessante ed
esemplare del fenomeno.
Sulla base del dato formale emergente dal testo della Carta costituzionale
tunisina, la forma di governo presenta i caratteri di quella semi-presidenziale. Ai fini
della mia ricerca, volendo attenermi ai canoni del metodo dell’analisi comparativa,
definisco il tertium comparationis il modulo astratto della forma di governo semi-
presidenziale e lo utilizzo come parametro di riferimento nella comparazione tra forma
di governo della V Repubblica francese (il comparatum) e la forma di governo della
Repubblica tunisina presa in esame (il comparandum).

Il preambolo della Costituzione tunisina si riferisce alle circostanze storiche che


hanno originato la Carta costituzionale e nelle quali era prioritaria l’esigenza di
affermare l’indipendenza nazionale e rendere visibile l’identità arabo-musulmana del
popolo tunisino. L’accentuato contenuto ideologico afferma i diritti e le libertà
dell’Uomo.
Il costituzionalismo liberale teorizzò e introdusse nelle Carte costituzionali il
principio di separazione fra Stato e Chiesa a causa di motivi politici contingenti legati
all’identificazione del clero con l’ancien régime prerivoluzionario. Infatti, l’articolo 1
della Costituzione francese proclama la laicità della Repubblica, mentre il primo
articolo di quella tunisina proclama l’Islam religione dello Stato e l’art. 38 prevede che
il Presidente della Repubblica debba essere musulmano. Tuttavia, questo indice di
confessionalità non è formalizzato dal principio della necessaria conformità della
legislazione ai principi contenuti nei testi e nella tradizione islamica. Essi non
costituiscono un limite al legislatore: la Shari’a non è un diritto legislativo, la sovranità
appartiene al popolo (art. 3) e non a Dio, e la Repubblica garantisce la libertà di
coscienza e il libero esercizio di tutti i culti purché non turbino l’ordine pubblico (art.
5).
Procedendo a una comparazione della Costituzione tunisina con il prototipo
francese, si riscontra una puntuale fedeltà di imitazione costituzionale sul piano
formale: intere disposizioni vengono riprese dalla Costituzione francese del 1958 e
recepite dal costituente tunisino.
Alla stregua del Presidente della V Repubblica, il Capo dello Stato tunisino svolge
la sua funzione nell’ambito di due sfere: quella interna delle relazioni tra i poteri
costituzionali dello Stato e quella esterna delle relazioni internazionali e della politica
estera. In particolare, il Presidente:
— nomina il Primo ministro e i membri del Governo (art. 50 Cost.);
— presiede il Consiglio dei ministri (art. 50 comma 2 Cost.);
— ha la facoltà di indirizzare alla Camera dei Deputati dei messaggi (art. 49 comma 2
Cost.),
— scioglie la Camera (art. 63 Cost.);
— può chiedere alla Camera il riesame della legge adottata (art. 52 comma 2 Cost.);
— può indire un referendum su una questione di interesse nazionale superiore (art. 47
Cost.);
L’esercizio di queste attribuzioni è dispensato dalla controfirma del Primo
ministro. Egli partecipa attivamente alla definizione della politica estera e della difesa.
In questi settori, il Presidente:
— conclude i trattati (art. 41 Cost.);
— accredita i rappresentanti diplomatici tunisini e riceve le credenziali dei
rappresentanti diplomatici stranieri (art. 45 Cost.);
— è il Capo Supremo delle Forze Armate (art. 44 Cost.);
— proclama lo stato d’assedio o lo stato d’emergenza, udito il parere del Primo
ministro e del Presidente della Camera dei Deputati (art. 46 Cost.).

30
Il quadro giuridico-formale che emerge dalla Carta costituzionale francese non
corrisponde all’evoluzione dell’esperienza della V Repubblica. Infatti, la logica
maggioritaria introdotta con la riforma del 1967 ha alterato l’equilibrio impostato tra
gli organi costituzionali, finendo per neutralizzare molti meccanismi di controllo
predisposti dal costituente (maggioritario a doppio turno in collegi uninominali con
percentuale predefinita per il passaggio al secondo turno del 12,5 %). Di fatto, il
Governo ha finito per essere formalmente responsabile dinanzi all’Assemblea
nazionale per una politica le cui linee d’azione non sono il frutto di una scelta
governativa in senso proprio come prevede l’art. 20 Cost. È il Presidente della
Repubblica a stabilire i fondamenti e i dettagli delle linee d’azione politica fino a fare
del Primo ministro, che pure in base all’art. 21 Cost. ha il compito di dirigere l’azione
del Governo, una sorta di suo “capo di stato maggiore”. Quindi, se una responsabilità
politica esiste nella realtà del sistema di governo francese, è quella del Governo verso
il Capo dello Stato per la corretta attuazione delle politiche presidenziali. E, nella
prassi, si è andato affermando una sorta di doppia fiducia; nel senso che, persistendo
un rapporto di perfetta sintonia tra Capo di Stato e maggioranza parlamentare, la
fiducia del Presidente nel Primo ministro prescelto non troverà motivo di
contraddizione nella compagine parlamentare. Giuridicamente il Capo dello Stato
francese non dispone del potere di revocare il Primo ministro, è indispensabile l’atto
formale delle sue dimissioni. Tuttavia, nelle fasi di preminenza politica del Presidente,
la revoca entra a far parte della dinamica istituzionale trasformandosi in un essenziale
strumento nelle sue mani.
Rispetto al prototipo della V Repubblica, la Costituzione tunisina non si limita a
riprodurne il mero dato giuridico-formale. Infatti, spetta al Presidente della Repubblica,
per il peso che l’elezione diretta gli ha conferito, definire le opzioni fondamentali della
politica generale dello Stato (art. 49 Cost.); il Governo vigila sulla sua messa in opera
(art. 58 Cost.) ed è responsabile della sua gestione sia davanti al Presidente della
Repubblica che dispone del potere di revoca (artt. 59 e 51 Cost.), che davanti alla
Camera dei Deputati che fa valere la responsabilità del Governo mediante la votazione
di una mozione di censura (art. 62 Cost.). Abbiamo quindi una costituzionalizzazione di
quei fattori che, nell’esperienza di riferimento, hanno carattere extra-giuridico.

Per verificare l’effettivo funzionamento di una forma di governo, occorre


prendere in esame anche i fattori soggetti a vicende formalmente estranee allo Stato.
Viene in considerazione l’appartenenza dello Stato ad una comunità sovranazionale,
che fa assumere ai Governi una netta preminenza rispetto ai Parlamenti nazionali; il
ruolo di contrappeso, controllo e indirizzo politico assunto dalle Corti costituzionali;
l’influenza del sistema elettorale sul sistema dei partiti e i rapporti tra gli organi
costituzionali; l’influenza esercitata sulla determinazione dell’indirizzo politico-
legislativo dalle procedure di negoziazione legislativa che vedono la partecipazione di
soggetti dello Stato-comunità (sindacati, associazioni dei datori di lavoro, gruppi di
interesse, enti territoriali); e, soprattutto, il sistema politico nel quale un ruolo di
preminenza spetta al sistema dei partiti politici, dei quali è fondamentale considerare
il numero, l’organizzazione, le relazioni reciproche e i rapporti che essi hanno con le
istituzioni dello Stato.
Nel quadro della transizione politica della Tunisia dal neo-colonialismo al post-
colonialismo, a onore del nuovo ordine mondiale e del liberismo, nel 1997 sono stati
aggiunti cinque paragrafi all’articolo 8 della Costituzione. Sostanzialmente, il terzo
paragrafo assimila l’articolo 4 della Costituzione francese e viene formalmente
riconosciuto così il ruolo dei partiti politici nel concorrere liberamente all’espressione
del voto. Tuttavia, mentre si può definire la concezione della democrazia francese
come “aperta” in quanto dà cittadinanza anche a chi propaganda messaggi sovversivi;
la Tunisia ha scelto una concezione di democrazia “protetta” vietando a ogni partito
politico di appoggiarsi fondamentalmente nei suoi principi, obiettivi, attività o
programmi, su una religione, una lingua, una razza, un sesso o una regione. Rientra in
questa concezione la Costituzione tedesca con il secondo comma dell’art. 21 Cost. che

31
nel 1952 portò alla messa al bando del Partito socialista del Reich (Srp), dove si erano
riorganizzati i vecchi nazisti; mentre nel 1956 toccò al Partito comunista (Kpd). E, nel
mese di gennaio 2001, il Governo federale tedesco ha chiesto al Tribunale
costituzionale federale (Bundesverƒassungsgericht) di sciogliere il Partito
nazionaldemocratico (Npd) “Nationaldemokratische Partei Deutschland” che ha
affidato la sua difesa all’avvocato Horst Mahler (co-fondatore della Raf - Rote Armee
Fraktion - dalla quale si dissociò negli anni ’70). Mahler sosterrà che la Npd, battendosi
per la sovranità dello Stato nazionale contro la globalizzazione e l’assoggettamento a
organismi internazionali come l’Unione Europea, è l’unico partito costituzionale
schierato a difesa della sovranità del popolo tedesco. In questa logica di difesa da
“ingerenze esterne”, alla Npd sembra legittimo battersi contro “l’estraniazione del
sovrano” indotta dall’immigrazione. Il Tribunale costituzionale federale ha interpretato
in passato in chiave etnica il diritto di cittadinanza, cassando alcune leggi regionali che
concedevano il voto agli stranieri.
In Italia si è aperto un dibattito sulla legittimità di una eventuale messa
fuorilegge di Forza Nuova. La legge prevede la possibilità di sciogliere una
associazione organizzata soltanto dopo una sentenza irrevocabile della magistratura.
La legge Scelba, n. 645 del 1952 promulgata in attuazione della XII disposizione
transitoria della Costituzione, afferma che qualora sia accertata “la riorganizzazione
del disciolto partito fascista” il Ministro dell’interno ne ordina lo scioglimento. Mentre
la legge Mancino, n. 205 del 1993, estende questa possibilità a tutte le organizzazioni
“avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
I motivi politici contingenti che hanno portato alla scelta di una democrazia
“protetta” in Tunisia, sono legati all’attività del movimento islamista En nahda.
La religione è una rivendicazione di assoluto, e quando vuole imporre il suo primato a
tutta la società, provoca intolleranza. Tuttavia, la sproporzionata repressione di alcune
manifestazioni e la violazione dei diritti umani accertata da Amnesty International,
rientrano nel quadro di una grossolana strumentalizzazione della minaccia islamista.
Da un lato si vuole spaventare l’élite borghese, impaurita dall’esempio algerino, per
frenare le sue aspirazioni ad una maggiore democrazia. Dall’altro si rassicurano gli
alleati e gli investitori occidentali sensibili all’ascesa dell’islamismo che ha ormai
assunto una “immagine di nemico” in una logica dominante di “scontro tra civiltà”
(secondo la tesi di Samuel Huntington).

Il fattore qualificante del prototipo francese, di carattere extra-giuridico, posto in


evidenza dalle esperienze di coabitazione, sta nella capacità di oscillazione della
diarchia in seno all’esecutivo. Cioè l’attitudine delle due teste dell’esecutivo, il
Presidente e il Primo ministro, ad alternarsi ordinatamente nel ruolo di soggetto
preminente a seconda delle circostanze politiche contingenti.
Mi chiedo dunque se i caratteri e gli effetti tipici della forma di governo semi-
presidenziale francese sono rinvenibili, in conseguenza del processo di ricezione
costituzionale, nell’ordinamento tunisino.
Nel corso della transizione democratica, la Tunisia ha adottato un sistema
elettorale misto: maggioritario a turno unico in collegi plurinominali con recupero
proporzionale utilizzando i voti che non hanno già portato all’elezione dei Deputati. Ne
è derivato un sistema partitico di pluralismo moderato. Ma lo strapotere del
Rassemblement Constitutionnel Démocratique del Presidente Zine El Abidine Ben Ali,
socialmente e organizzativamente più consolidato avendo ereditato le strutture del
Partito Costituzionale Socialista di Burghiba, rende i sei partiti legali di opposizione
virtualmente insignificanti. Nelle elezioni politiche del 1994 il partito del Presidente ha
ottenuto l’88% dei seggi in Parlamento. E, attualmente, i 163 seggi della Camera dei
Deputati sono così distribuiti:
— 144 Deputati del Rassemblement Constitutionnel Démocratique
— 19 Deputati appartenenti a quattro partiti dell’opposizione così composti:
— 10 Deputati del Movimento dei Socialdemocratici

32
— 4 Deputati del Movimento per il Rinnovamento
— 3 Deputati del Partito dell’Unità Popolare
— 2 Deputati dell’Unione democratica Unitaria
Allo stato appare lontanissima una credibile aspettativa di alternanza e una
esperienza di coabitazione, considerando la sostanziale omogeneità sul piano delle
ideologie e dei programmi politici dei partiti ammessi, nonché il rapido progresso
economico realizzato dalla Tunisia del Generale Ben Ali; un paese dove nel 1984,
appena tre anni prima della destituzione di Burghiba con un colpo di stato medico-
istituzionale, ben 121 persone trovarono la morte nel corso dei disordini causati dal
raddoppio del prezzo del pane.
Tuttavia, essendo in presenza di un sistema bicefalo le cui teste sono diseguali,
ipotizzo una fase di maggioranza disgiunta e verifico l’efficacia dei meccanismi di
ingegneria costituzionale nel consentire al comparandum di affrontarla senza crollare
in una paralisi istituzionale.
È fuori di dubbio che il costituente tunisino abbia avuto ben presente la Costituzione
della V Repubblica, e, il punto nodale che, a mio parere consentirebbe alle due teste di
oscillare fra loro, sta nell’assenza nella Carta costituzionale tunisina di una
disposizione omologa all’art. 12 della Costituzione francese che attribuisce al
Presidente il potere di decretare lo scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale in
qualunque momento e per qualunque ragione egli consideri utile, essendo tenuto
semplicemente a sentire ufficialmente il parere, orale o scritto, dei Presidenti delle due
Assemblee parlamentari e del Primo ministro.
Questo istituto, nell’ordinamento costituzionale francese, presenta accanto a un profilo
tipicamente “parlamentare” quale valvola di sicurezza del regime, un altro profilo, più
marcato, di stampo tipicamente “semi-presidenziale”. Cioè, l’essere uno strumento
dell’arsenale presidenziale idoneo – insieme alla revoca del Primo ministro – ad
assicurare la centralità del Capo dello Stato nel sistema delle relazioni istituzionali. E,
nella pratica, lo scioglimento è stato utilizzato dai Presidenti francesi per ritrovare una
maggioranza parlamentare e un sostegno popolare di fronte a gravi ragioni di crisi
sociale (come avvenne nel 1968); oppure per ristabilire la logica presidenziale del
sistema (come fece Mitterrand nel 1981 e nel 1988).
Ma il costituente tunisino ha privato il Presidente della Repubblica di questo potere di
scioglimento svincolato dalle crisi di governo, discrezionale e quasi-monarchico. Lo ha
ingessato in un limitato ambito di esercizio sminuendolo e privandolo di quella
incidenza che avrebbe potuto avere, in quanto prerogativa personale del Capo dello
Stato. Solo in caso di adozione da parte della Camera dei Deputati di due mozioni di
censura, alla maggioranza dei due terzi durante la stessa legislatura, il Presidente
della Repubblica può sia accettare le dimissioni del Governo che sciogliere la Camera
(art. 63 Cost.). In tal senso, questo istituto è lo strumento giuridico appropriato da un
lato per contenere e raffreddare situazioni di crisi, dall’altro, per prevenirle,
assicurando la stabilità dell’indirizzo politico.
Nella fase dell’ipotetica coabitazione, la circostanza per cui i progetti di legge
d’iniziativa presidenziale debbano essere approvati in Consiglio dei ministri (art. 54
Cost.), consentirebbe al Primo ministro tunisino, che in base all’art. 37 ha il compito di
assistere il Presidente nell’esercizio del potere esecutivo e in base all’art. 60 Cost. di
dirigere il Governo e coordinare la sua azione , di esercitare la sua influenza. Nella V
Repubblica abbiamo la situazione inversa perché la Costituzione non conferisce al
Presidente il potere di iniziativa legislativa ma egli esercita la sua influenza in Consiglio
dei ministri nei periodi di unità delle maggioranze.
Quindi, a mio parere, con maggioranza unificata il Presidente tunisino prevale sul
Primo ministro perché la costituzione formale, cioè la lettera del testo costituzionale,
gli conferisce il diritto di governare in proprio. Viceversa, con maggioranza disgiunta è
il Primo ministro sostenuto dalla propria maggioranza parlamentare a prevalere e la
costituzione che si applica, contrariamente a quanto avviene nella V Repubblica, è
quella materiale, cioè le convenzioni della Costituzione, e il sistema dovrebbe poter
fluire agevolmente.

33
Il Capo dello Stato tunisino, garante del rispetto della Costituzione, vigila sul
regolare funzionamento dei pubblici poteri (art. 41 Cost.). In tale veste, grazie al
rapporto privilegiato e collaborativo con il Consiglio costituzionale, egli, oltre a rinviare
la legge alla Camera (art. 52 comma 2 Cost.), può adire il Consiglio in via preventiva
investendolo del giudizio di costituzionalità di una legge prima della promulgazione. In
una fase di coabitazione, attraverso la giuridicizzazione del confronto sulle leggi più
controverse, il Consiglio dovrebbe svolgere una azione di sdrammatizzazione dei
rapporti fra Capo dello Stato e Primo ministro. Inoltre, al Presidente della Repubblica,
rimane la facoltà di domandare al popolo di esprimere, con referendum, la sua volontà
su qualunque questione egli ritenga di interesse nazionale (art. 47 Cost.): di fronte alla
manifesta volontà popolare, né Parlamento, né Governo possono opporre resistenza.

Nella costituzione francese del 1958, esiste in maniera vistosa una prevalenza
dell’esecutivo sul legislativo e una tendenza ad assicurare, in seno all’esecutivo,
oscillazioni favorevoli al Capo dello Stato. Questi fattori definenti il modello francese di
semi-presidenzialismo sono stati puntualmente recepiti nell’ordinamento tunisino.
Tuttavia, le parole di un testo costituzionale possono essere facilmente tradotte da
una lingua ad un’altra ma le idee che le parole trasportano, i simboli che suscitano e la
storia che portano non possono essere facilmente trasferiti da una situazione ad
un’altra. È stato Burghiba, l’uomo che nel 1956 ha portato la Tunisia all’indipendenza,
a vietare il pluralismo politico che rischiava, secondo lui, di fomentare le divisioni e
risvegliare “le mentalità tribali e retrograde”. E fu il suo partito unico (il Partito
Costituzionale Socialista) a dominare sui sindacati, a controllare la stampa e a fondare
il regime sull’acquiescenza - piuttosto che sulla mobilitazione - per la realizzazione
dello sviluppo. Oggi, le intimidazioni e vessazioni a cui sono sottoposti gli attivisti per i
diritti umani e il mancato rispetto dei trattati internazionali in materia di diritti umani
che il Governo tunisino ha ratificato, mettono in evidenza la differenza esistente tra la
legge e la sua attuazione, e dimostrano che le disposizioni costituzionali francesi sono
state trapiantate in un ambiente culturale che si è rivelato largamente inospitale.
Queste zone d’ombra inducono alla cautela nell’ascrivere la forma di governo tunisina
al tipo semi-presidenziale. Considerata da questa angolazione, la privazione del
Presidente della Repubblica tunisina di un potere discrezionale di scioglimento della
Camera dei Deputati, svincolato dalle crisi di governo, rientra nel quadro di una sorta
di separazione dei poteri applicata in modo non rigido, tipica della forma di governo
detta “presidenzialista”, cioè a netta preminenza presidenziale, caratterizzata anche
dalla presenza di istituti propri della forma di governo parlamentare: un modulo
costituzionale già seguito dai costituenti iberoamericani.

imed mehadheb

Dal 15 al 27 febbraio 2001


Torino - Italia

Lo stato di diritto, nascita di una


mitologia
(Le Monde diplomatique / il manifesto Gennaio 2001) ANNE-CÉCILE ROBERT

Lo stato di diritto è diventato, nel corso degli anni, l’unità di misura della
democrazia nel mondo. Gli organismi internazionali (Nazioni unite, Unione europea,
Banca mondiale...) se ne servono in particolare per valutare i progressi della
transizione politica all’Est o in Africa e per concedere i propri aiuti, subordinati a certe
“condizioni”. Fa parte dei criteri che uno stato deve soddisfare per poter aderire
all’Europa dei Quindici. La nozione di stato di diritto comprende un certo numero di
elementi precisi: elezioni eque, protezione dei diritti umani, indipendenza della
34
giustizia, economia di mercato “in grado di funzionare”…Una volta soddisfatti o quasi
questi criteri, il paese in questione entra a far parte di questo club molto esclusivo, ma
sempre più frequentato, delle “democrazie moderne”.
Nata in Germania alla fine del XIX secolo, la nozione di stato di diritto permette
di proteggere la società contro le concentrazioni e gli eccessi di potere, limita
giuridicamente il potere dello stato e in particolare permette di proteggere i diritti e le
libertà fondamentali, iscrivendoli nei testi costituzionali e nei trattati internazionali.
Eppure questa nozione non è neutrale. A partire dagli anni 80 si è caricata
progressivamente di un nuovo significato ideologico: assimilata alla nozione stessa di
democrazia dai filosofi critici del totalitarismo (André Glucksman, Blandine Kriegel...) è
diventata una figura mitica nel dibattito politico. “Si sta davvero forgiando una nuova
dottrina dello stato di diritto, secondo Jacques Chevalier, professore di diritto
all’Università di Parigi Panthéon-Assas, una dottrina che, affrancandosi radicalmente
dalle dottrine create dai giuristi e dalle espressioni del diritto positivo, utilizza il
concetto di stato di diritto per definire e per caratterizzare un tipo di stato particolare,
di cui contribuisce al tempo stesso a fondare la legittimità. Il concetto di stato di diritto
in effetti non è, da questo punto di vista, un semplice fattore di analisi storica, ma
piuttosto un potente operatore ideologico: la validità di uno stato si fa dipendere dal
suo grado di assoggettamento al diritto” (1).
La preoccupazione di proteggere le libertà pubbliche va di pari passo con una
critica radicale dello stato, sospettato dalla critica del totalitarismo di essere per sua
natura un potenziale nemico delle libertà. A questo proposito l’affermarsi dello stato di
diritto è corollario della vittoria ideologica della filosofia liberale, il cui ramo politico si
sviluppa nello spazio aperto dal ramo economico. Jacques Chevallier rileva che la
promozione dello stato di diritto “s’inserisce nella nuova ‘temperie’ ideologica,
successiva alla crisi dello stato assistenziale e segnata dal ritorno in auge del
liberismo: esaltazione del mercato visto come il mezzo più efficace, più razionale e più
giusto per armonizzare i comportamenti; valorizzazione della ‘società civile’ dotata di
tutte le virtù...”
Di conseguenza, lo stato di diritto influenza notevolmente la natura degli equilibri
politici, nonché la concezione tradizionale dello stato e della democrazia. La
preoccupazione legittima di proteggere le libertà pubbliche porta a rafforzare il ruolo
del diritto nella società e quello del giudice incaricato di far rispettare i diritti
fondamentali, a detrimento dell’elemento politico, che viene delegittimato.
Se questo principio legittimo permette di combattere l’arbitrarietà in politica e di
proteggere le libertà, potrebbe tuttavia degenerare verso una rimessa in discussione
della sfera politica come luogo d’espressione dell’interesse generale, sottoposto al
controllo del suffragio universale. Lo stato di diritto ha portato, per esempio, al
controllo della costituzionalità, che permette ai giudici di rimettere in discussione una
legge decisa dai rappresentanti del popolo. Magistrati non eletti sanzionano gli eletti.
Fino aI 1958 la Francia diffidava del controllo di costituzionalità in nome della
supremazia della legge. Ma gli eccessi del regime d’assemblea e la “dittatura” delle
maggioranze politiche lo hanno fatto accettare, come risorsa dell’opposizione (2).
Anche se il Consiglio costituzionale francese ha sempre evitato di cedere alla
tentazione del governo dei giudici — diversamente dalla Corte suprema degli Stati
uniti che, per esempio, ha combattuto il New Deal — i confini del diritto e della politica
diventano talvolta incerti. Così, neI 1982, il Consiglio ha invalidato la prima legge di
nazionalizzazione poiché sottostimava “il giusto e preliminare indennizzo” previsto
dall’articolo 17 della Dichiarazione deI 1789, riguardante gli espropri. E la polemica
sulle decisioni circa la responsabilità del Capo dello stato in Francia ne è un altro
esempio.

Magica legittimità
L’appello sempre più frequente al diritto, che simboleggia la promozione
dell’idea di stato di diritto, non fa forse parte di una mitologia giuridica che considera
35
sacra la norma di diritto? Si pensa che questa esprima una certa obiettività, valori
immanenti alla “realtà” e perciò incontestabili. Se l’esistenza di principi al di sopra
delle leggi, anzi delle costituzioni, è riconosciuta e appartiene alla teoria del diritto
naturale, i filosofi che l’hanno scoperta, nel XVII e XVIII secolo, hanno insistito sulla
necessità che gli esseri umani — e quindi, in democrazia, i loro rappresentanti eletti—
traducano tali principi in testi di diritto e in leggi.
In effetti le norme stabilite dal diritto naturale sono ampie e non si possono
applicare senza precisarle. Per esempio il principio fondamentale dell’uguaglianza
degli esseri umani proibisce il razzismo, la gerarchia tra i gruppi etnici. Ma, in
concreto, per far rispettare questo principio fondamentale, intangibile, quasi sacro, si
devono fare delle scelte, a volte difficili: ne sono esempi le controversie sulla legge
Gayssot (che reprime chiunque contesti l’esistenza di un crimine contro l’umanità), o
sull’atteggiamento da assumere di fronte agli accademici revisionisti (bisogna spingerli
a dimettersi? Introdurre un reato di falsificazione della storia?). Lo stesso vale per tutti
i principi che riguardano la libertà. Per esempio, la libertà d’associazione viene violata
se si condiziona l’esistenza delle associazioni all’approvazione previa di un giudice? In
Francia neI 1971 proprio su questo verteva il dibattito, conclusosi con una decisione
del Consiglio costituzionale, che considerava tale regime lesivo delle libertà; le
associazioni non sono dunque sottoposte a nessun obbligo di dichiarazione o
autorizzazione, neppure davanti a un giudice (che può intervenire solo a posteriori se
l’associazione viola l’ordine pubblico). La libertà d’espressione fornisce diversi esempi
di questi problemi, in particolare con lo sviluppo di Internet.
Se i principi del diritto naturale forniscono la base intangibile e imprescrittibile di
qualsiasi società libera e democratica, la norma di diritto è solo espressione delle
scelte della collettività in un dato momento della sua storia. Esprime lo stadio
raggiunto da una società riguardo alle libertà, riflette il consenso sociale esistente su
un dato problema in un certo momento. Ma lo stato di diritto sottintende che esista
una definizione “oggettiva” delle norme di diritto, “pronta” per essere applicata.
Tende a sostituire una legittimità quasi magica a una legittimità democratica. La
norma di diritto è legittima solo nella misura in cui viene adottata dai rappresentanti
del popolo o dal popolo stesso dopo un vero dibattito che ne permetta la
contestazione e la considerazione in prospettiva. Ricordiamo, come esempio, i lunghi
dibattiti che hanno portato a definire i 17 articoli della dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789.
Il caso Pinochet ha illustrato questo conflitto di legittimità rimettendo in
discussione l’accordo concluso dalla classe politica cilena sulla sorte dell’ex dittatore. Il
compromesso, che escludeva qualsiasi azione giudiziaria contro il dittatore, era lo
stesso che permetteva la fine della dittatura. L’invocazione di principi Superiori non
deve compromettere il destino concreto di persone vive. Questa vicenda dimostra
come il diritto non deve essere preso in blocco e sacralizzato, astraendo dalle
condizioni particolari in cui si inserisce. È compito proprio dei rappresentanti politici
legittimi dirimere questi conflitti.

Una visione procedurale


È questo il problema posto dalla creazione di un Tribunale penale internazionale
(Tpi) (3). È vero che ci rallegriamo nel vedere perseguire i dittatori e i torturatori, ma si
pone il problema del contenuto del diritto da applicare. Quale legislatore interverrà per
tradurlo? I patti delle Nazioni unite e i trattati internazionali che proteggono i diritti
umani sono i testi generali da interpretare. Abbiamo visto gli Stati uniti attaccare la
Francia sul terreno dei diritti umani, poiché ritenevano che il principio di laicità
portasse a discriminare le Chiese, in particolare la Chiesa di Scientology. Vedremo un
ex presidente della Repubblica citato al Tpi per i test nucleari nel Pacifico?
L’Europa mostra già divergenze di giurisprudenza tra la Corte europea dei diritti
dell’uomo, la Corte di giustizia delle Comunità europee e le corti costituzionali

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nazionali su diverse questioni, riguardanti in particolare il diritto di proprietà, la
definizione delle pratiche governative considerate segreto di stato, la filiazione...
Lo stato di diritto accredita dunque una visione procedurale della democrazia,
senza tener conto delle condizioni concrete in cui si esercita. La democrazia viene
ridotta a un’ossatura istituzionale e al riconoscimento dei diritti. Il riferimento
all’economia di mercato fatto dalle organizzazioni internazionali ricorda che la libertà,
nel senso dello stato di diritto, non ha nulla a che vedere con la giustizia sociale o la
ripartizione dei beni. Una limitazione del pensiero deplorata dal filosofo americano
Michael Walzer, per il quale la distribuzione dei beni è al centro della questione
democratica (4).
Essa è essenzialmente una questione di diritti e di meccanismi giuridici. Di qui la
trasformazione della maggior parte delle rivendicazioni sociali in rivendicazioni di
diritti. Con ciò, lo stato di diritto si allontana da qualsiasi riflessione su una democrazia
“reale” o “sociale» e lascia lo spazio civico allo stato brado. Il cittadino, il legame
sociale sono affidati all’auto-organizzazione della società civile in paesi che perlopiù
non hanno né tradizione politica né cultura democratica. Lo stato di diritto permette
dunque di avere una transizione democratica e al tempo stesso, in campo finanziario e
sociale, una situazione selvaggia: in Europa dell’Est ne sono esempio soprattutto la
Russia e la Polonia (5).
Attraverso la globalizzazione, lo stato di diritto sta diventando l’unica definizione
di democrazia (6).

ANNE-CÉCILE ROBERT

__________________________________________

(1) “Les doctrines de l’Etat de droit”, Les Cahiers français, La Documentation française, Parigi, n.228,
ottobre-novembre 1998.
(2) Leggere Francis Hamon e Céline Wiener, La Loi sous surveillance, Odile Jacob, Parigi 1999.
(3) Leggere Monique Chemillier-Gendreau, “L’universalità dei diritti umani”, Le Monde diplomatique/il
manifesto, dicembre 1998.
(4) Leggere Le Monde del 16 dicembre 1997.
(5) Leggere Alain Gresh, “Quale democrazia?”, Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2000.
(6) Leggere Hubert Védrine, “Diritto di ingerenza e democrazia”, Le Monde diplomatique/il manifesto,
dicembre 2000.

Il governo tedesco: fuori legge la Npd


Il processo sarà lungo, l’esito incerto. I nazi difesi da Horst Mahler, ex-
Raf
(il manifesto 1-2-2001) GUIDO AMBROSINO

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Il governo federale ha chiesto alla Corte Costituzionale di vietare il partito
nazionaldemocratico (Npd). Il plico con la documentazione che accompagna la
richiesta di accertare se la Npd avversi l’ordine costituzionale e vada quindi messa
fuori legge, è stato recapitato a Karlsruhe, dove risiede la Corte, martedì sera alle
23.20: un’ora piuttosto insolita. Il ministro degli interni Otto Schily ha ieri annunciato il
passo del governo, sostenendo di disporre di «elementi certi» sulla natura
anticostituzionale della Npd. la cui agitazione «ha caratteri razzisti e antisemiti» e
«mostra affinità col nazionalsocialismo».
Che la Corte giunga alle stesse conclusioni di Schily non è detto. A giudicare
dagli estratti della documentazione pubblicati dal ministero degli interni, le prove non
sono schiaccianti. Le citazioni più compromettenti provengono da scritti o discorsi di
funzionari di secondo piano, da pubblicazioni locali, mentre i documenti ufficiali della
Npd, come il programma, contengono dichiarazioni — magari insincere, ma comunque
rilevanti sul piano processuale - di accettazione della carta costituzionale.
Mentre le organizzazioni politiche possono essere vietate con un semplice
decreto del ministero degli interni (e ciò è avvenuto ripetutamente in passato per
piccole formazioni di estrema destra, che regolarmente si sono andate riformando
sotto altre denominazioni), i partiti godono di speciali garanzie. Il loro divieto può
essere deciso solo dalla Corte Costituzionale. Finora sono stati pronunciati due divieti:
nel 1952 fu sciolto il Partito socialista del Reich (Srp), dove si erano riorganizzati i
vecchi nazisti, mentre nel 1956 toccò al Partito comunista (Kpd).
Per la Npd il procedimento sarà lungo, e verosimilmente non si concluderà prima
della primavera del 2002. La Corte dovrà intanto dar modo alla Npd di prendere
posizione sul materiale d’accusa raccolto dal governo. Poi la seconda camera dovrà
decidere se ritiene documentata la richiesta del governo e se accetta di avviare la
procedura di interdizione. In caso affermativo, la corte potrà disporre un’indagine
supplementare.
Particolare piccante, La Npd ha affidato la sua difesa all’avvocato Horst Mahler,
fondatore della Rote Armee Fraktion insieme a Ulrike Meinhof e Hans Baader. Mahler,
incarcerato nel 1970, si dissociò presto dalla Raf e fu liberato nel 1980. Negli ultimi
anni è approdato a posizioni ultranazionaliste di estrema destra. Mahler, che ci tiene
alla sua «coerenza», difende la sua svolta con una singolare reinterpretazione del ’68
in chiave di rivolta «nazionale» contro la dominazione americana nella Germania
postbellica. A Karlsruhe sosterrà che la Npd, battendosi per la sovranità dello stato
nazionale contro la globalizzazione e l’assoggettamento a organismi internazionali
come l’Unione europea, è l’unico partito davvero costituzionale, schierato a difesa
della sovranità del popolo «tedesco». In questa logica di difesa da «ingerenze
esterne», alla Npd sembra legittimo battersi contro 1’«estraniazione del sovrano»
indotta dall’immigrazione.
Purtroppo la stessa Corte Costituzionale ha interpretato in passato in chiave
etnica il diritto di cittadinanza (per esempio cassando alcune leggi regionali che
concedevano il voto agli stranieri). E, quanto all’ immigrazione, la Npd può vantare la
sua convergenza d’idee con politici rispettabilissimi: perfino un socialdemocratico
come Schily sostiene che «la barca è piena».
La Npd, fondata nel 1964 da Adolf von Tadden, conobbe un effimero ma vistoso successo tra
il 1966 e il 1968, quando riuscì a canalizzare la protesta di destra contro la grande coalizione tra
Cdu e Spd. In quegli anni riuscì a entrare in sette parlamenti regionali, con risultati lino al 9,8 per
cento. Poi però crollò rapidamente sotto l’1%. Partito di vecchi nostalgici, dal 1996, data
dell’elezione alla presidenza di Udo Voigt, cerca di aprirsi ai giovani, anche a quelli con la testa
rapata. La linea di demarcazione con gli skinheads si è fatta più fluida e il numero degli iscritti
tra il ’96 e il ’98 è quasi raddoppiato, passando da 3.500 a a 6.000. Tuttavia alle
politiche del 1998 la Npd ha raggranellato solo lo 0,3%. In Sassonia, dove la Npd conta
il maggior numero di iscritti, ha ottenuto alle ultime regionali l’1,4%. Sebbene la Npd
fornisca un certo retroterra ideologico alle bande di picchiatori, quasi mai la polizia è
riuscita a dimostrare un legame organizzativo tra questi gruppi informali e il partito. Al
di là di considerazioni di stile politico, per cui la via dei divieti non è il modo migliore
38
per rafforzare la democrazia, il governo sa bene che il bando alla Npd non risolverebbe
il problema del teppismo xenofobo: ma ha bisogno di dimostrare che fa qualcosa.

Npd e Forza nuova


GERMANIA Il dibattito sul divieto del partito nazionaldemocratico
( il manifesto dicembre 2000) FRANCESCA COLESANTI

39
Il dibattito che si è appena aperto in Italia sulla legittimità e/o opportunità di
un’eventuale messa fuorilegge di Forza Nuova, è per alcuni versi molto simile a quello
in corso in Germania già dall’estate, che riguarda un partito di estrema destra, la Npd,
la Nationaldemokratische Partei Deutschland.
Tempi, modi, procedure, contesto socio politico, cause e, magari, anche gli
effetti, sono naturalmente diversi, ciò nonostante le similitudini appaiono più evidenti
dei distinguo. Non fosse altro che per gli stretti e assidui contatti che intercorrono tra i
due gruppi politici (il 18 dicembre scorso, ad esempio, il segretario generale della Npd,
Udo Voigt, era presente assieme a rappresentanti della Falange spagnola, all’incontro
europeo all’Hotel Universo, organizzato da Forza Nuova. Entrambi i gruppi sono legati
al circuito dell’Internafional Third Position).
La Germania ha contato nell’ultimo decennio, dalla caduta del Muro ad oggi,
oltre cento vittime dell’odio antisemita e xenofobo per mano di esponenti della destra
neo-nazista. In particolare nel 2000, le azioni e le manifestazioni di odio razziale si
sono moltiplicate a tal punto da convincere il governo socialdemocratico-verde a
intraprendere una campagna a tutto campo contro la risorgenza del pericolo nazista.
Media e opinione pubblica sono stati chiamati a farsi parte attiva di questa campagna
e a dimostrare, anche con il rifiuto dell’indifferenza, la volontà di combattere contro
questo pericolo.
Dal canto suo il cancelliere Gerhard Schröder ha avanzato l’ipotesi della messa al
bando della Npd, subito appoggiata dalle forze di governo, osteggiata dalla Fdp (i
liberali), mentre la Cdu/Csu ha espresso posizioni diversificate. Per dare maggior
vigore alla richiesta, il gabinetto rosso verde ha chiesto anche alle due Camere
(Bundestag e Bundesrat, la camera delle regioni) di pronunciarsi sulla questione,
ottenendone l’appoggio. Adesso la richiesta è al vaglio della Corte costituzionale di
Karlsruhe che dovrà innanzitutto esprimersi sull’accoglimento del ricorso e, in caso
positivo, decidere sul merito: in tal caso una decisione non arriverà prima di un anno
almeno.
Il dibattito sul divieto della Npd non ha attraversato solo le forze politiche ma
naturalmente anche i media, il mondo della cultura, i settori ebraici e l’opinione
pubblica in generale. Costringere all’illegalità e alla clandestinità la Npd potrebbe
renderla ancora più pericolosa, è l’opinione più diffusa a sfavore della messa al bando:
«L’unico effetto di un divieto di un partito è quello di costringere le persone alla
clandestinità — sostiene Andrian Krey sulla Süddeutsche Zeitung - Il risultato sono più
morti, l’irrigidimento delle leggi dello Stato, la polarizzazione della popolazione».
Parlano a favore invece tutti quelli che considerano necessario un segnale forte
da parte dello Stato e soprattutto coloro che vedono nella Npd un paravento legale
dietro al quale si nascondono gruppi di ben altro tipo. Fondata nel ’64, la Npd conta
attualmente circa 6000 iscritti, ma la sua organizzazione appoggia, sul piano logistico
e finanziario, una miriade di gruppuscoli che si sono resi protagonisti di un’infinità di
azioni di violenza e intolleranza. Ma la difficoltà di provare che la Npd sia responsabile
come organizzazione di questi atti o sia comunque responsabile anche degli atti di
suoi singoli iscritti o simpatizzanti è il principale nodo, affatto banale da un punto di
vista giuridico-costituzionale, che la Corte di Karlsruhe dovrà affrontare nei prossimi
mesi.

La legge e la forza

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L’ex presidente della Corte costituzionale Vincenzo Caianiello sullo
scioglimento di Forza nuova
INTERVISTA ( il manifesto 29-12-2000) DARlA LUCCA

Vincenzo Caianiello, ex presidente della Corte costituzionale, si schiarisce la


voce: «Cominciamo con il dire che, nella nostra carta fondamentale, la libertà è il
principio e la limitazione è l’eccezione che va presa in considerazione soltanto in
presenza di grave pericolo per il corpo sociale. Un tale dibattito andrebbe fatto frigido
pacatoquo animo, se mi spiego». Per aprire una riflessione giuridica sul tema del
giorno (sciogliere o no Forza nuova?), Caianiello è forse la figura più indicata. Insieme
con Paolo Ungari e Andrea Manzella, in qualità di consulenti di Giovanni Spadolini, nel
1983 stesero la legge che portò allo scioglimento della loggia massonica P2.
Presidente, che cosa ci indica la Costituzione?
La libertà di associazione è garantita dall’articolo 18, lo stesso che ci consentì di
lavorare sul caso P2. Lì si dice che «i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente,
senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale».
Dunque qui la libertà non è assoluta: se ci si associa per mettere bombe davanti ai
giornali di sinistra oppure per dare l’assalto a Mc Donald’s, questo è vietato.
Le associazioni fasciste, sono consentite?
Come lei sa, la XII disposizione transitoria vieta espressamente «la
riorganizzazione del partito fascista sotto qualsiasi forma». Fu proprio grazie a questa
disposizione che venne sciolto Ordine Nuovo. D’altra parte le norme attuative del
dettato costituzionale erano contenute nella famosa legge Scelba intorno al 1950. Si
trattava allora di affrontare il problema dei gruppi e delle bande rimaste in piedi dopo
la seconda guerra mondiale. Il dibattito sull’ argomento è ancora oggetto di studio.
Ricordo uno scontro feroce tra Pacciardi, il quale sosteneva che in taluni casi si può
usare la repressione, e Cocco Ortu il quale, da liberale qual era, si batteva contro
qualsivoglia divieto, anche se a difesa della democrazia.
E lei che opinione ha?
Io penso che sia una delle cosiddette scelte tragiche. Da una parte Voltaire e il
suo battersi perché sia data cittadinanza alle idee contrarie; dall’altra Karl Popper e il
sostenere che con gli intolleranti si può essere intolleranti. È un terreno scivoloso.
Punire i singoli comportamenti illegali può essere una strada
alternativa?
Qui ci viene in soccorso l’articolo 17 della Costituzione, in base al quale «i
cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi». Il che significa che non
basta essere disarmati, occorre anche non avere intenti bellicosi. L’articolo dice anche
che, per le riunioni in luogo pubblico, deve essere dato preavviso alle autorità. In tal
caso, ove si potesse evidenziare una plausibile previsione di pericolo, allora sarebbe
vietabile la singola manifestazione, il singolo corteo, il singolo comizio. Tuttavia,
bisogna stare attenti.
In che senso?
Che nel diritto non possono valere due pesi e due misure. Sento che si vuole
utilizzare la legge Mancino, dove si parla ad esempio di diffusione delle idee fondate
sull’odio razziale. A parte che qui potrebbe entrare in gioco l’articolo 21, sulla libertà di
opinione e di pensiero. Ma resta il fatto che, procedendo in questa direzione, se alla
fine prevalesse una scelta legata a motivi ideologici, bisognerebbe poi dichiarare
fuorilegge anche certi comizi della Lega Nord. Se viceversa dovesse prevalere
l’aspetto della pericolosità, allora si finirà fatidicamente per vietare anche certe
manifestazioni dei centri sociali.
Che strada sceglierebbe?
Penso che percorrerei la strada indicata dall’articolo 18. Mi spiego. Se si dimostra
che un gruppo di persone si è associato allo scopo di porre in essere una serie di
comportamenti singoli che rientrano nel caso di specie, e cioè sono vietati ai singoli
dalla legge penale, allora si può ipotizzare lo scioglimento dell’associazione. Però,
41
ripeto, il terreno è scivoloso e occorre grande pacatezza nel prendere le decisioni. Mi
fa piacere comunque che proprio da voi, che siete stati colpiti, venga una lezione di
liberalismo, visto che non avete preso posizione a favore di un intervento di forza.

“Applicare le leggi esistenti”

42
I dubbi del costituzionalista Augusto Barbera sull’ipotesi di
scioglimento di Forza nuova
INTERVISTA ( il manifesto 30-12-2000) DARlA LUCCA

Sciogliere Forza nuova per decreto? Una questione «complessa e delicata» su


cui, valutati i pro e i contro, il giudizio finale del costituzionalista Augusto Barbera è
assimilabile alla posizione espressa dal manifesto: «Un serio invito alla cautela».
Professore, perché la questione è complessa?
Tralasciando per ora il capitolo sulla opportunità di una simile decisione, direi
che, tanto per cominciare, complessa è la procedura. La legge, e intendo qui la legge
ordinaria, prevede la possibilità di sciogliere un’associazione organizzata soltanto dopo
una sentenza irrevocabile della magistratura. A quel punto, il ministro dell’interno ha il
potere di ordinare lo scioglimento dell’associazione e la confisca dei beni.
Quali sono le leggi richiamabili nel caso in esame?
Abbiamo due leggi a cui riferirci, la numero 645 del 1952 e la numero 205 del
1993. La prima, la cosiddetta legge Scelba, promulgata in attuazione della XII
disposizione transitoria della Costituzione, dice che, qualora sia accertata «la
riorganizzazione del disciolto partito fascista», il ministro dell’interno ne ordina lo
scioglimento. Poi c’è la legge del 1993, per l’esattezza un decreto legge reiterato un
paio di volte prima di essere convertito nel giugno di quell’anno con il nome del primo
firmatario, Mancino, che estende questa possibilità a tutte le organizzazioni «aventi tra
i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali,
etnici, nazionali o religiosi». Anche qui è prevista tuttavia, per avviare la procedura,
una sentenza definitiva della magistratura. Soltanto allora, sentito il consiglio dei
ministri, il ministro dell’interno può provvedere.
Quindi senza un provvedimento passato al vaglio della Cassazione non
c’è niente da fare?
Resta un’ultima ipotesi. La legge prevede il ricorso a una «sospensione
cautelativa» che deve però essere disposta dal giudice competente. Tornando alla
legge Scelba, per quanto ricordo venne applicata soltanto una volta, nel 1974, contro
Ordine Nuovo. Mi pare che il ministro dell’interno fosse Taviani e in quel caso c’era
stata una sentenza irrevocabile.
Dal punto di vista costituzionale, ci sono altre strade?
Qui la questione, oltre che complessa, diventa delicata. Esistono come è noto
due concezioni della democrazia: «protetta» o «aperta». Nel primo caso, rientra la
costituzione tedesca, la quale negli anni ’50 e ’60 portò alla messa al bando del partito
nazista ma anche del partito comunista. Ricordiamoci il famoso Beruƒverbot, che
consentì il licenziamento di tutti coloro che erano sospettati di appartenere a
organizzazioni il cui programma politico fosse contrario ai principi della costituzione di
Bonn. Il secondo caso, la democrazia «aperta», comprende l’esempio anglosassone
dove è data cittadinanza anche a chi propaganda messaggi sovversivi.
Noi dove ci collochiamo?
L’Italia ha scelto una concezione di democrazia «aperta», con una sola
eccezione: il divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista. Dobbiamo essere
orgogliosi del fatto che la nostra costituzione abbia scelto di dare cittadinanza a tutte
le idee, anche le più ripugnanti. Dunque, starei molto attento ad abbandonare questa
strada a favore di una concezione «sostanzialista».
Che cosa intende?
Che le leggi di riferimento devono essere valutate con grande prudenza. Mentre infatti
la legge Scelba è inequivoca, la legge Mancino non è altrettanto garantista. Ad
esempio, si applica nei confronti di «chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla
superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di
discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Considero questa
norma poco garantista perché è troppo estensiva e perché colpisce anche alcune
manifestazioni del pensiero. Dobbiamo ricordarci, a questo proposito, tutte le battaglie
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combattute giustamente dalla sinistra contro i reati di vilipendio e istigazione.
Tenendo presente che questo articolo si potrebbe estendere anche a reati di
«incitamento» all’odio «di classe» di cui è infarcito il codice Rocco e di cui a fatica
stiamo provando a liberarci grazie a ripetute sentenze della Corte Costituzionale.
E l’articolo 18 della Costituzione?
Come ha già detto Caianiello, per applicarlo bisogna dimostrare che
l’associazione ha scopi che siano «vietati ai singoli dalla legge penale». Dimostrarlo
significa provarlo attraverso la via penale. Oppure, a parte le società «segrete»,
bisogna dimostrare che l’associazione «persegue scopi politici mediante organizzazioni
di carattere militare».
Ci sono alternative?
La legge Mancino si può utilizzare in altro modo. Innanzitutto, per reprimere i
singoli atti illegali. Nessuno ha detto poi che la norma contiene già una serie di
interessanti sanzioni: dal divieto di partecipare a manifestazioni sportive all’obbligo di
rientro entro una certa ora, alla sospensione della patente e del passaporto fino al
divieto di partecipazione ad attività di propaganda elettorale. Fra l’altro, sono previste
pene accessorie quali l’obbligo di attività sociali. Piuttosto che sciogliere Forza Nuova,
sarebbe opportuno applicare la legge, punendo come essa prevede chi discrimina gli
extracomunitari mandandolo a lavare i dormitori della Caritas e chi imbratta i palazzi
con le svastiche facendoglieli pulire.

La Ue punta sul libero scambio con il


Maghreb
44
Viaggio del commissario europeo Prodi in Tunisia, Algeria e Marocco.
Contatti indiretti con Gheddafi?
(il manifesto 1-2-2001) GIULIANA SGRENA

Si è concluso ieri a Rabat il primo viaggio maghrebino del commissario europeo,


Romano Prodi. Il conflitto mediorientale ha bloccato il programma Euromed basato
sulla cooperazione euromediterranea (obiettivo finale: arrivare alla creazione di una
zona di libero scambio tra le due sponde del Mediterraneo entro il 2010), e, visto che
l’Unione europea ha abdicato ad una politica — non economica — nell’area, occorre
individuare una strada alternativa. Il viaggio di Prodi doveva servire proprio a questo:
supplire a una mancanza di cooperazione globale con una regionale, in questo caso
con il Maghreb, per l’appunto. «Non bilaterale, non è sufficiente», ha precisato Prodi.
Tanto più che questi paesi sono già riuniti nell’Unione del Maghreb arabo (Uma,
fondata dal 1989) che, tuttavia, non è mai realmente decollata per la mancata
soluzione del conflitto nel Sahara occidentale.
La visita di Prodi era limitata a tre paesi — Tunisia, Algeria e Marocco — ma il
fatto che subito dopo l’incontro con il Commissario europeo, re Mohammed VI del
Marocco partisse per la Libia ha fatto pensare anche a un contatto indiretto con Tripoli.
Anche se il portavoce della Commissione europea, Jonathan faull, ha smentito
l’esistenza di un «messaggio segreto» per Gheddafi.
L’obiettivo, dunque, è quello di costituire una zona di libero scambio tra Unione
europea e i paesi in questione, ma mentre Tunisia e Marocco hanno già firmato con la
Ue un accordo di associazione (Tunisi nel 1995 e Rabat nel 1996), con l’Algeria si sta
ancora discutendo, anche se entrambe le parti parlano di una accelerazione che
dovrebbe portare alla firma entro l’anno. Diverse le cause di questo ritardo:
innanzitutto la crisi attraversata dall’Algeria negli ultimi anni — l’ufficio della
delegazione europea ad Algeri, chiuso nel 1994, è stato riaperto solo nel 1998 — e poi
le condizioni poste da Algeri, soprattutto quella che la libertà di circolazione non
riguardi solo merci e capitali ma anche le persone. Richiesta che è stata recepita al
vertice euromediterraneo di Marsiglia (novembre scorso) e ripresa anche da quello
europeo di Nizza. Del resto la presenza dell’Algeria in questa partnership è
imprescindibile, non fosse altro perché fornisce all’Europa il 30 per cento del suo
fabbisogno energetico, percentuale che salirà al 36 per cento nel 2005. E poi l’Algeria
costituisce il mercato più importante tra i tre paesi in questione con i suoi quasi 30
milioni di abitanti. Ma, agli algerini ancora alle prese con il terrorismo — anche se il
presidente Bouteflika minimizza e promette una nuova legge per il «perdono» — e con
il difficile processo di privatizzazione delle imprese di stato, Prodi ha detto: «Ho
bisogno di dire agli investitori che la situazione in Algeria è normalizzata».
La visita di Romano Prodi è stata anche l’occasione per firmare accordi finanziari
raggiunti all’ultimo vertice Euromed e che attingono ai fondi del periodo 2000-2006. A
Tunisi — apprezzata dalla Commissione Ue, così come dal Fondo monetario e dalla
Banca mondiale per i suoi «eccellenti» progressi economici — il pacchetto di donazioni
ammonta a 54,5 milioni di euro (oltre 100 miliardi di lire), di cui la parte più
importante (40 milioni di euro) sono destinati a un progetto per la riforma
dell’istruzione di base e i restanti (14,5) alla costruzione di piccole dighe per
rifornimenti idrici all’agricoltura.
Le tre convenzioni firmate ad Algeri (per un importo di 30 milioni di euro, quasi
60 miliardi di lire) riguardano: la riforma delle telecomunicazioni e servizi postali (17
milioni di ecu) la modernizzazione della polizia scientifica (8 milioni di ecu) e un
programma di sostegno alla stampa indipendente (5 milioni di ecu). Il finanziamento
alla stampa indipendente è particolarmente significativo in quanto riconosce il ruolo
importante — e unico nel mondo arabo — ricoperto dalla stampa algerina
indipendente nel processo di democratizzazione dell’Algeria. È inoltre importante che
la gestione tecnica del progetto sia affidata al Sindacato nazionale dei giornalisti
algerini.

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Al centro dei colloqui della terza e ultima tappa di Prodi a Marrakesh (con il re) e
a Rabat (con il Primo ministro Abderahmane al Youssoufi) lo spinoso problema della
pesca. I negoziati sul tema tra Ue e Marocco si sono interrotti martedì scorso. Si tratta
di rinegoziare l’accordo, il precedente è scaduto nel novembre 1999, per la pesca,
soprattutto dei pescherecci spagnoli e portoghesi, nelle acque territoriali marocchine,
all’interno delle quali continuano ad essere incluse anche quelle del Sahara
occidentale (il cui futuro dovrebbe essere definito con un referendum), questione
ignorata dalla Ue. Il Marocco pone nuove condizioni che Bruxelles non accetta.

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