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LA STORIA MODERNA DI PRATO

Author(s): Giovanni Levi and Luciano Allegra


Source: Quaderni storici , dicembre 1988, NUOVA SERIE, Vol. 23, No. 69 (3), Notabili
Elettori Elezioni (dicembre 1988), pp. 981-997
Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A.

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LA STORIA MODERNA DI PRATO

Molti aspetti di Prato ne fanno un caso particolare: le sue pic-


cole dimensioni (da 5000 a 8000 abitanti fra '500 e fine 700); la
sua collocazione all'ombra di Firenze e, in parte notevole, anche
di Pistoia della cui diocesi fa parte fino al 1653 (da entrambe di-
sta pochi chilometri); il peso della popolazione ecclesiastica nel-
l'insieme dei suoi abitanti (oltre il 20% all'inizio del '600 e anco-
ra il 10% a metà del secolo successivo); la limitatezza del suo
territorio di borghi e di ville; la rilevanza inconsueta degli enti
di assistenza e ospedalieri; la sua attività manifatturiera. Non è
una città tipica; e, tuttavia, le sue vicende, le strategie intersti-
ziali della sua politica che deve continuamente fare i conti con
un potere centrale vicino e incombente, il suo caso, affrontati da
una schiera fitta di studiosi, ci forniscono molte indicazioni di
valore generale. Non è nell'insieme una storia epica; è piuttosto
una storia di aggiustamenti, di compromessi, di resistenze e di
flebili reazioni; e, insieme, la storia di uno sviluppo manifattu-
riero nato dalle occasioni fornite dalle vicende industriali di tut-
ta la Toscana, in un trend speculare rispetto a Firenze, profittan-
do della lunga e definitiva crisi della capitale; la storia insomma
di un centro produttivo che cresce nell'ombra di una situazione
che le richiede non slanci e impennate, ma conservazione e pro-
tervia; non innovazione e invenzione ma tenacia e pazienza. E di
questo la lettura del 2° volume di Prato storia di una città ci dà la
sensazione precisa e intensa, con la descrizione della lenta e quo-
tidiana vicenda di una comunità senza emergenze.
Questo volume, l'unico finora pubblicato, riguarda la storia di

* Prato storia di una città. Un microcosmo in movimento (1494-1815), Firenze,


Comune di Prato-Le Monnier, 1986, pp. XVI-927.

QUADERNI STORICI 69 / a. XXIII, n. 3, dicembre 1988

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982 Giovanni Levi

Prato in epoca moderna, orm


tica, finanziaria, produttiva
vale. Nell'ambito dello stato
trova lentamente - una sua collocazione: deve essere riconosciu-
ta appunto città (ne avrà il titolo nel 1653); deve divenire diocesi
(lo sarà nello stesso anno, mutilata del suo territorio rurale, la-
sciato alla diocesi di Pistoia); deve riorganizzare la sua attività
manifatturiera non più nella libera gara con Firenze, ma negli
anfratti di una legislazione che le sottrae i mercati di qualità,
ma la favorisce nella produzione di panni di qualità inferiore e
nelle operazioni di finissaggio delle pezze giunte da fuori.
È un'opera collettiva: non hanno attecchito - se si eccettua la
Lucca di Berengo - nella storiografia italiana le ricerche indivi-
duali come quelle di Goubert su Beauvais o di Perrot su Caen. E
lo sforzo di coordinamento non è dunque automatico ma è affi-
dato a un progetto generale, all'origine diretto da Fernand Brau-
del e da un comitato scintifico; per ogni volume vi è poi un coor-
dinatore, in questo caso Elena Fasano Guarini, a cui si deve an-
che un saggio conclusivo, di sintesi e di bilancio (pp. 827-80).
Questo metodo ha, forse inevitabilmente, i suoi limiti; nella
tradizione ormai consolidata delle grandi opere, i saggi, nati da
un progetto unitario, sono poi affidati a singoli studiosi. Il risul-
tato è spesso ottimo; l'insieme tuttavia è talvolta troppo settoria-
lizzato, tal'altra ripetitivo. Le fonti utilizzate sono spesso le stes-
se, le più evidenti: e vengono abbandonate fonti seriali che
avrebbero potuto arricchire la descrizione, rispondere a problemi
sostanziali rimasti aperti, introdurre innovazioni di metodo e di
interpretazione. In questo volume il grande assente è il fondo no-
tarile, usato più nel bel saggio di Roberto Paolo Ciardi su Archi-
tettura e arti figurative (pp. 685-755) che in tutti gli altri articoli
di storia sociale, culturale ed economica. L'uso massiccio di nuo-
ve fonti o quello seriale di fonti sinora usate episodicamente,
avrebbe consentito di formulare domande nuove, di aprire pro-
spettive inaspettate che suggerissero anche nuovi metodi di let-
tura e di elaborazione delle fonti. La dispersione degli sforzi e la
loro settorializzazione ha in qualche modo rinunciato a questa
prospettiva che era stata invece il contributo più vivace dato dal-
le grandi monografie urbane francesi.
La storia di Prato nell'insieme di questo volume è frutto della
scelta di un'altra via: quella di applicare tecniche semplici e no-
te - senza uno sforzo collettivo di invenzione - a una situazione
specifica, per leggere le vicende della Toscana in età moderna da

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La storia moderna di Prato 983

una periferia particolare; un mutamento d


utile, che tuttavia forse non ha sfruttato ap
ganizzativa e finanziaria che aveva a disposi
Alcuni saggi sono di grande interesse. Qu
più lucido e maturo, anche nella capacità di
problemi rilevanti per la storia delle élites p
le, è quello di Franco Angiolini, Il ceto domi
moderna (pp. 343-427). Mi pare esemplare p
appieno le caratteristiche ambigue di questa
limiti della chiusura oligarchica. L'imperfet
chezza e prestigio, la vischiosità della mobi
le risorse economiche e politiche interne ed
tenaci e poco clamorose, il senso di identità
istituzioni e forme di protezione. Le analog
altre situazioni toscane sono qui come atten
stamento continuo, in cui il conflitto aper
delle possibilità e scoppia solo quando la pre
del dominio fiorentino eccede le capacità d
meccanismo locale robusto ed elastico.
Anche qui si rimpiange tuttavia una integrazione non comple-
ta con problemi trattati altrove: l'uso delle possibilità beneficiali
come risorsa, la politica degli investimenti devozionali, le adesio-
ni differenziate ad associazioni laicali avrebbero ulteriormente
ampliato il quadro. Ma il saggio di Angiolini vive separato da
quello di Mario Rosa (La Chiesa e la città , pp. 503-78), che a sua
volta va letto (e forse avrebbe dovuto essere fuso più strettamen-
te) con quello già citato di Ciardi in cui gli edifici religiosi e l'in-
vestimento pubblico e privato in quadri e arredi devozionali,
concorrono a descriverci ancora una città che non rinuncia a una
propria specificità, accogliendo prima una tradizione savonaro-
liana duratura e poi una controriforma antimanierista e che, con
un'accentuazione dei caratteri popolari e semplici, mostra un
programmatico ritardo che mira a mantenere un piano di leggi-
bilità per la gente comune che durerà fino a quando "l'arte con-
troriformata avrà superato il problema della riconsiderazione
della pittura come biblia pauperum" (p. 715).
L'insieme di questi tre contributi ci rende la concretezza di
questa vicenda periferica: il diffuso culto mariano, la lunga resi-
stenza del savonarolismo, che in campo figurativo si accompa-
gna all'influenza di Fra' Bartolomeo; la sua lenta scomparsa e
trasformazione favorita dal ruolo dei prelati della famiglia medi-
cea, dal clima controriformistico e dalla repressione degli anni

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984 Giovanni Levi

'80 del Cinquecento del cardi


stabilizzarsi del sistema beneficiario dei canonicati e della rete
di cappellanie controllate dall'oligarchia pratese nel corso del
'500; il rafforzarsi dei conventi e monasteri durante la crisi sei-
centesca e quello delle associazioni devozionali laiche nel '700,
mostrano una storia dinamica e ricca di spinte diversificanti, che
contribuiranno alla violenta reazione contro le riforme leopoldi-
ne in campo amministrativo e ricciane in campo ecclesiastico. E
tuttavia trapelano sotterranei conflitti, schieramenti contrappo-
sti, nascosti fra le pieghe dell'associazionismo laico ed ecclesia-
stico o fra la diversificazione delle pratiche di devozione, che
avrebbero chiesto forse uno spazio maggiore. Accanto alla tradi-
zione savonaroliana avrei indagato di più sul significato della
compagnia dell'Arcangelo Raffaello, ad esempio, che ci permette
di cogliere più in generale qualche forma di resistenza antimedi-
cea: in questa devozione per Firenze Gombrich ha supposto l'e-
spressione di un'opposizione antimedicea e non sembra indiffe-
rente la sua rilevante presenza a Prato e la riforma dei suoi sta-
tuti proprio nel 1512. La comparsa dei Cicognini fra le truppe di
Pietro Strozzi è un altro indizio che avrebbe potuto essere colle-
gato e ampliato con il clima di opposizione, che appare celato da
una superficie troppo tranquilla.
Una società conservatrice, comunque, che tuttavia ha organiz-
zato consapevolmente il suo sistema di associazioni e di investi-
menti devozionali e anche su esso ha costruito la politica e il
prestigio delle famiglie oligarchiche e la convivenza con una po-
polazione artigiana in crescita rapida sotto la protezione di un
sistema assistenziale capillare e solido. Sono i saggi di Della Pi-
na ( Gli insediamenti e la popolazione, pp. 43-131) e di Pinto e To-
gnarini ( Povertà e assistenza, pp. 429-500) che ci documentano
questi aspetti, con una precisa ricostruzione dei trends demogra-
fici della città, duramente colpita dalla crisi di fine '500 e dalla
peste del 1630; in lenta espansione nel corso del '700. Ma la sua
popolazione è mutata: Prato perde una parte della sua popola-
zione ecclesiastica e assume più evidentemente il volto di città
manifatturiera, riempiendosi di giovani donne tessitrici, che ven-
gono dalle campagne circostanti. La popolazione mezzadrile è
ormai stabilizzata su un territorio pressoché del tutto appodera-
to, ma in esso raddoppia il numero dei pigionali, lavoratori a
giornata che offrono il loro lavoro sia alle aziende mezzadrili, sia
ai possedimenti medicei, sia alla produzione manifatturiera ur-
bana. È dunque una popolazione pienamente coinvolta nel mer-

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La storia moderna di Prato 985

cato e che risente le oscillazioni congiuntur


sità, come tra l'altro è mostrato dal numero e dalle variazioni
degli esposti e dei miserabili. Ma la città dispone di un sistema
assistenziale fra i più ricchi e capillari che siano conosciuti per
le città d'Ancien Regime: anche quando ne sarà avviata una ri-
forma in senso efficientistico, quando si distinguerà chiaramente
fra poveri oziosi e poveri veri e propri, il sistema si mostrerà re-
lativamente agile ed efficiente, fornendo sovvenzioni ad oltre il
30% degli abitanti della città e del territorio rurale.
Molto ricchi anche i due saggi sull'economia pratese, Agricol-
tura e proprietà fondiańa di Andrea Menzione (pp. 133-216) e Le
attività industriali di Paolo Malanima (pp. 217-77): lo sviluppo
dell'appoderamento, la variazione delle culture erbacee, più di-
versificate man mano che passano gli anni fra '500 e '700, l'ina-
sprimento dei contratti di colonia parziaria, la commercializza-
zione del vino per quanto di bassa qualità, che progressivamente
abbandona la pianura per la collina e che contribuisce alla mo-
dificazione dei contratti agrari, sono lette con grande minuzia e
sottigliezza, trascurando tuttavia troppo il ruolo dell'allevamen-
to e della gelsicultura, variabili rilevanti nelle forme di intensifi-
cazione colturale che precedono la rivoluzione agraria. Ci appare
di nuovo una società in movimento, lento e senza scosse evidenti,
ma cumulativo. Più clamorosa, anche perché disponiamo di serie
quantitative lunghe e omogenee per la produzione dei panni e
per la rifinitura, la crescita del settore tessile. Malamina mostra
una stretta connessione fra andamento dei prezzi agricoli (e loro
depressione seicentesca) e andamento di un settore produttivo il
cui mercato è rappresentato appunto da consumatori degli strati
popolari (si comprano meno tessuti se i prezzi dei generi di sus-
sistenza sono in ascesa). L'ascesa è legata a una specializzazione
lasciata libera da Firenze, che si dedica ai panni di qualità, ed è
molto accentuata fra 1650 e 1680 e poi dopo il 1716 con una ac-
celerazione dal 1740. La correlazione fra produzione di panni e il
numero delle pezze toscane follate a Prato, non sembra invece
evidente, malgrado le affermazioni dell'autore (pp. 252-53): ba-
sterà al lettore guardare i due grafici relativi.
Tuttavia due problemi rilevanti restano aperti: quanto abbia
influito la diminuita presenza della proprietà fiorentina rispetto
a quella dei pratesi o le variazioni della proprietà dei regolari
cresciuta nel '600 e diminuita nel '700, nella gestione complessi-
va dell'agricoltura del territorio. E insieme: che relazione c'era
fra attività agricola e investimento manifatturiero e viceversa,

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986 Giovanni Levi

tra profitti dell'attività tessi


stema del credito, ad ogni l
volume se non di sfuggita, c
una immagine che è quella st
gli interessi e delle attività,
drebbe comunque verificato.
di mercante o di proprietario
limento, nessun documento d
È infatti difficile giudicare
manifatturiero, delle strateg
stica dei telai, della concentr
ti, della mercantilizzazione della terra senza ricorrere alle fonti
notarili. La scelta di utilizzare documentazione quasi esclusiva-
mente degli archivi familiari o di enti o le serie quantitative ela-
borate dai contemporanei, lasciano alcuni dubbi specialmente
sugli andamenti nel tempo. Cosa avviene del tessile nel '500? Co-
me vengono accorpate le terre nel processo di appoderamento?
Come funziona il mercato fondiario?
Questo insieme di saggi è la parte più solida del volume e ci
fornisce un quadro coerente e documentato di un'evoluzione ati-
pica, ma che tuttavia illustra bene una nuova prospettiva della
storia della Toscana medicea, al di là del caso più noto della ca-
pitale o di quello già ampiamente studiato di Pisa ed emergente
di Livorno.
Molto meno sappiamo sulla produzione complessiva di ric-
chezza, sul peso della fiscalità e sui meccanismi reali di prelievo.
Il saggio di E. Stumpo, Le forme del governo cittadino (pp. 281-
342) è destinato appunto a descriverci cariche locali e forme di
prelievo fiscale. Il progressivo accentramento dello stato mediceo
non toglie ai gruppi oligarchici locali interesse per le cariche
pubbliche, a cui è legata l'amministrazione degli enti e dei loro
ricchi patrimoni e stipendi. E inoltre l'imposizione sulla terra re-
sta per privilegio affidata alla città, che riscuote la decima sulla
terra. La pressione fiscale è crescente specie nel corso del XVII
secolo, attraverso la finanza straordinaria e le imposizioni sui
consumi, senza tuttavia mai divenire eccessiva.
Giocavano un grande ruolo gli enti assistenziali, in una "con-
fusione tra le entrate pubbliche del Comune e quelle private dei
luoghi pii" (p. 305). Un quadro dunque nelle linee generali chiaro
e abbastanza lineare, che mostra ancora una specificità pratese:
con un'autonomia ridotta gode tuttavia di alcuni privilegi, che

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La stona moderna di Prato 987

saranno violentemente ridimensionati con la riforma comunita-


ria del 1774.
Mi sarà tuttavia consentito di dire che si tratta di un saggio
scritto con qualche approssimazione (ad esempio le percentuali
della tab. VII a p. 306 o quelle a p. 320); o talvolta con letture
affrettate delle cifre (esaminando le gabelle si dice che in un se-
colo la situazione non cambia di molto quando la gabella sul pa-
ne è passata dal 33% al 18-22%; o le cifre di prelievo del fisco
statale a p. 303 che sembrano in forte contrasto con quelle date
nelle tabelle a pp. 307-8). Ma quel che nuoce specialmente è l'uso
di bilanci comunali e di enti attraverso esemplificazioni casuali,
senza lo sforzo di costruire serie complete e affidabili.
Non voglio annoiare ulteriormente il lettore; non so tuttavia
rinunciare a confrontare due frasi, come in una 'caccia all'erro-
re': "Alla fine del Settecento, quando per ordine del generale
Gauthier furono restituiti gratuitamente tutti i pegni di valore
inferiore a lire 10, in pochi giorni vennero rimessi 15615 pegni
per un valore di 64.262 lire" (Stumpo, p. 326); "Nel giugno del
1799 un atto demagogico del generale francese Gaultier - la re-
stituzione gratuita di 15615 pegni inferiori a lire 15 - diminuisce
il capitale dei Monti di lire 75827.3.6" (Assereto, p. 795). Molti
indizi fanno supporre che la versione giusta sia la seconda, tratta
dal saggio di Assereto (La fine dell'Antico Regime : la dominazione
napoleonica a Prato, pp. 759-824) il cui contributo è in qualche
modo un primo bilancio: il dominio francese per quanto breve è
tuttavia un'importante momento per giudicare la società pratese,
com'era venuta costituendosi durante lo sviluppo economico set-
tecentesco, la crisi connessa con le riforme leopoldine e ricciane.
Il saggio ci consente così di vedere una società politicamente po-
co vivace e tuttavia tenacemente legata a un suo modo di pro-
durre manifatturiero che difficilmente può conciliarsi con la base
agraria della classe dirigente immaginata dal governo napoleoni-
co e - prima - dalle riforme leopoldine. Di fronte alla modifica-
zione di tutto il quadro economico e - in particolare - dei mer-
cati di sbocco e alla crisi del sistema di assistenza precedente, la
città reagisce senza una resistenza attiva, ma con un energico
tentativo di ristrutturare le proprie reti di traffico che avrà note-
vole peso nello sviluppo del secolo successivo.
Un giudizio complessivo su questo volume non può che essere
positivo, per l'iniziativa in complesso che si inserisce in un qua-
dro non molto ricco di storie di città italiane in epoca moderna,
e per la qualità di molti dei contributi. Non si può non sottoli-

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988 Giovanni Levi

neare tuttavia un limite gen


dati sono spesso discordanti
mografici, ad esempio) ma lo
terpretazioni: che non sareb
sposizione tutti i dati per po
limite maggiore è - come si
sforzo su serie documentari
zioni di rilievo su molti setto
tarili, i ruoli della decima, i
confermano in questa opinio
clusive di Elena Fasano: "Sono dimensioni che consentono la
presenza contemporanea di un'accentuata stratificazione sociale
e di una fitta rete di legami personali e familiari, di parentela, di
rapporti privati di varia natura... Di questa rete, per Prato, ci so-
no noti solo alcuni frammenti; ma non è difficile dalle fonti in-
tuirne la rilevanza, che conferisce anche alla vita pubblica un co-
lore particolare" (p. 836). Ma quale fonte meglio degli atti notari-
li, spogliati con attenzione, avrebbe permesso di ricostruire
questo aspetto appunto rilevante? Il che vale anche per quest'al-
tra considerazione: "la scarsità dei dati demografici per l'area
urbana pratese non consente, allo stato attuale delle ricerche, di
procedere ad analisi sufficientemente documentate in relazione a
problemi complessi e discussi come quelli delle strutture familia-
ri" (p. 838). O ancora: "Non mancano a Prato le prove dell'esi-
stenza di fasce non integrate tanto sul piano propriamente reli-
gioso e culturale quanto su quello sociale" (p. 853): ma le carte
criminali o le cause del foro ecclesiastico non sono state prese in
considerazione. Ne viene così un quadro forse più amorfo di
quello che in realtà non fosse, in cui tutto è risolto nell'esame
delle istituzioni, nella loro produzione di documenti, ma anche
di modi di rappresentare il mondo che non sempre sono suffi-
cienti a una lettura minuziosa della storia reale e, in particolare,
degli aspetti di conflitto e di contrasto.
Giovanni Levi
Università della Tuscia

II

Nel saggio che chiude questo secondo volume della storia di


Prato, e ne vuole riassumere i capisaldi, Elena Fasano Guarini
manifesta una duplice preoccupazione: mentre si sforza di rassi-

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La storia moderna di Prato 989

curare il lettore sul fatto che le premesse


che cioè è stato restituito un quadro "il
della città, giustifica contemporaneament
argomenti sulla base del loro scarso rilievo esplicativo. Alla
grande attenzione per l'ecologia e la storia agraria, l'industria
tessile e l'amministrazione, le istituzioni assistenziali e la cultu-
ra, l'arte, la vita religiosa, non avrebbe corrisposto pari enfasi
sulle categorie socio-professionali, sul mondo dei marginali, sulla
storia della criminalità: mancherebbe insomma all'appello un
"lungo elenco di temi e problemi a cui non si è potuto dare spa-
zio" (p. 853). In realtà, chi fosse giunto al termine di questa im-
ponente opera, che per il solo arco della storia moderna ha coin-
volto ben quattordici studiosi, non sarebbe tentato di tracciare
una cartografia delle assenze, né avrebbe molti rimpianti per i
temi che, fino a qualche anno fa, erano ritenuti i più à la page. Di
fronte a un lavoro condotto con estrema accuratezza, sorretto da
un rigoroso impianto di storia istituzionale, con qualche conces-
sione a quella sociale, il lettore si pone un interrogativo diverso:
ci si trova davanti a una storia urbana d'ispirazione municipali-
stica o nella storia di Prato si può cogliere una proposta di por-
tata più generale? in altri termini, l'opera costituisce un eccel-
lente esempio di storia locale o è un modello di ricerca più ambi-
zioso?
Dall'insieme dei saggi che compongono il volume emerge una
immagine fortemente caratterizzata della città: impresa non fa-
cile, perché Prato è inscrivibile nel novero dei piccoli-medi centri
italiani, con una popolazione che, ancora nel Settecento, non su-
pera le ottomila unità. All'ombra di Firenze, apparentemente
senza grandi scossoni, erede di un passato carico di gloria, dal
'500 essa pare rinchiusa in un'isola di gelosa autodifesa, di sta-
gnante sopravvivenza: ma non si tratta di una lunga storia im-
mobile, movimenti appena percettibili ne segnano una trasfor-
mazione lenta, quasi sotterranea, che finirà col coinvolgere ogni
aspetto della vita sociale. In questo lungo processo affiorano i ca-
ratteri originali della città: l'opera riesce a metterli a fuoco con
molta incisività, ma talvolta si ha la sensazione che la loro gene-
si e i loro legami reciproci non siano evidenziati con sufficiente
chiarezza. Proprio sul piano dei meccanismi di fondo che regola-
no la società pratese, e del metodo con cui sono stati indagati e
descritti, occorre allora soffermare l'attenzione.
V'è, anzitutto, un problema, di rapporti con lo stato mediceo.
Tutti gli autori sono concordi: l'imbarazzante vicinanza della ca-

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990 Luciano Allegra

pitale, non a caso evocata spesso com


sce una relazione fortemente asimme
stantemente costretta a subire. Dalle manifestazioni artistiche,
che vedono il più o meno supino adeguamento ai dettami fioren-
tini, ai continui tentativi di erosione dei privilegi locali; dall'in-
gerenza nelle regole e nella prassi della pubblica amministrazio-
ne al dominio sul contado: insomma, il classico rapporto centro-
periferia, in cui alla parte debole restano soltanto le strategie di
autodifesa di fronte allo strapotere della capitale. In campo arti-
stico-architettonico, allora, si tende a ricorrere a moduli passati-
sti come alternativa cosciente all'imposizione di mode esterne
(pp. 714-15); nella gestione della cosa pubblica si tenta di snatu-
rare, nei fatti, qualsiasi tentativo di riforma delle procedure elet-
tive agli organi di governo (pp. 404-08); in àmbito assistenziale,
si cerca di opporre resistenza alle sollecitazioni ad attenuare il
carattere puramente caritativo delle sovvenzioni (pp. 484-86). Ma
sempre, appunto, in termini di resistenza. Che la natura delle re-
lazioni fra i due centri potesse configurarsi in modo più comples-
so non si giustifica solo in base all'assunto teorico che qualunque
forma di dominio deve far leva su gruppi locali, coinvolgendoli
al potere e alleandosi con essi; ma risulta plausibile proprio nel
caso in esame. Per più di tre secoli, con una continuità che il
periodo napoleonico riuscirà appena a scalfire, Prato rappresenta
una enclave, godendo di privilegi fiscali e commerciali sconosciu-
ti alle altre comunità del Granducato. Il mantenimento di queste
prerogative prefigura un rapporto di scambio sia con i ceti mer-
cantili pratesi, sia con la classe dirigente locale, o per lo meno
con alcuni dei suoi esponenti, nei confronti dei quali si può legit-
timamente pensare a forme di cooptazione. La supremazia fio-
rentina postula dunque, se non altro come interrogativo, il tema
del consenso dei dominati e non solo quello della difesa dell'au-
tonomia: suggerisce, in altri termini, la possibile esistenza di in-
terdipendenze e reciprocità che presuppongono mobilità e spac-
cature locali, e non esclusivamente compattezza di fronte alla
minaccia esterna.
Sempre in tema di rapporti, si coglie una certa sfocatura in
quello che sembra legare la città al suo contado. Suo per modo
di dire, poiché gran parte del territorio coincideva col circonda-
rio fiorentino, non tanto per confini geografici, quanto per la so-
vrapposizione tra le rispettive mappe della proprietà terriera. Su
questa campagna vengono fornite molte informazioni: in merito
agli andamenti e ai comportamenti demografici ne sappiamo ad-

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La storia moderna di Prato 991

dirittura di più che non rispetto alla città, r


canismi di impoverimento e la geografia de
ben descritta la tipologia dell'abitato e ricc
composizione della produzione agraria. L'an
tà-campagna, tuttavia, non lascia pienamen
alle forme di controllo e sovvenzione prom
ritativo urbano, e al di là del predominio d
indice di una probabile dislocazione cittadi
avverte l'assenza di almeno due elementi ch
da chiavi esplicative: la distribuzione della p
namento del mercato. È vero che mancano
non si può avere una percezione immediata
fondiaria; ma esistono atti notarili, una fon
storia urbana, ma scarsamente frequentata
Anche una ricostruzione parziale attravers
anni, per famiglie o per ville dei passaggi di
che di concentrazione e di dispersione, del
e del valore dei terreni avrebbe consentito d
do dei contratti agrari nella struttura soci
perazione, questa, tutt'altro che fine a se s
gettato nuova luce sui comportamenti politi
to dominante pratese, oltre che permesso
chezza fondiaria con quella dei possidenti f
l'esigenza di una analisi della distribuzione
riera viene adombrata in molti dei contrib
fosse una necessaria gemmazione del lavor
sono state colte fino in fondo tutte le imp
guenze sociali provocate dalla presenza del mercato. Dei due
mercati, anzitutto. La relativa vicinanza alla capitale, nonché la
dipendenza da un proprietario fiorentino, si traducevano per i
mezzadri, ma anche per i rari contadini in possesso di piccoli ap-
pezzamenti, nella possibilità di far riferimento a una piazza forse
più remunerativa: in questo senso, tornerebbe utile un raffronto
fra la serie di prezzi dei cereali di Firenze e di Prato. Un'eventua-
le differenza negativa a favore di Prato, cioè prezzi più alti a Fi-
renze, avrebbe costituito un forte incentivo a vendere alla capita-
le le proprie derrate, nonostante il leggero aggravio del traspor-
to. A meno che non intervenissero meccanismi di regolamenta-
zione dei prezzi, dagli acquisti forzosi ai correttivi annonari. Ma
proprio questo è il punto. Da dove si riforniva Prato? e come?
L'ufficio dell'annona, una magistratura cruciale nelle città d'an-
tico regime, non è trattato fra le forme del governo cittadino:

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992 Luciano Allegra

non se ne conoscono quindi né il fun


le competenze, né il profilo degli uffi
ciò, la possibilità di illuminare una d
rilevanti esercitate dalla città sul suo
traverso la formazione dei prezzi di m
li di sussistenza e di autoconsumo dei
za, sulla loro disponibilità a svolgere
situra che erano così importanti per
Se dal piano dei rapporti con l'ester
sui caratteri originali di Prato, occorr
aspetti. Anzitutto, Prato era una citt
piamo se conforme al noto modello d
differenziale ricostruita nel saggio di
città e contado, fra "lavoratori" e "pig
te di identificare i nuclei famigliari
lana e i loro comportamenti matrimo
pure di molte informazioni sulla capa
tenuta nel tempo delle locali corporaz
della lana: non si è dunque in grado
di materiale greggio fuori le mura sia
dei vincoli corporativi. In ogni caso,
ne veniva effettuata nelle campagne,
condo Paolo Malanima, in quanto la t
quasi esclusivamente entro le mura" (
corché plausibile, necessiterebbe però
pensabile infatti che i 688 telai, distr
del 1767 fra ville e sobborghi, si limit
sivamente manufatti per l'autoconsum
presenti in città assorbivano da soli
to. Non è questo, tuttavia, il problem
maggior interesse è che, tendenzialme
ni di lana pratesi cresce dall'inizio del
tecento, quando addirittura si appres
sia per quantità, quella fiorentina. Le
ne sembrano del tutto esogene: l'accr
fatti tessili di qualità medio-bassa pr
dal Granducato e, soprattutto, la dec
fiorentino. Dunque, nessuna innovazi
zionalizzazione del ciclo produttivo, t
rante il periodo francese, l'industria
me fortemente arretrata. Questo mod
dei fatti - Prato vince perché Firenz

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La storia moderna di Prato 993

tutto convincente, o per lo meno andrebbe


partire da una analisi approfondita delle stra
li e mercantili. Il contenimento dei costi di
con tutta probabilità grazie a remunerazioni
squarcio sui rapporti fra titolari di bottega
ra e filatura. Se a Prato si offrivano, come sem
ri inferiori, come mai il contado, o meglio q
ti coinvolta nel settore laniero, continuava a
Una disamina più serrata dei legami con la
aiutarci a spiegare la forza attrattiva della c
potrebbe consentircelo la messa a fuoco dei
tazione della manodopera usati dagli impren
babile, ad esempio, che questi sfruttassero m
ce risorsa delle commesse di lavoro e della terra, che cioè i loro
filatori fossero anche i loro massari, opportunità che moltiplica-
va la possibilità di fruire di forza-lavoro a basso costo. La ripro-
posizione dell'ipotesi secondo cui l'assetto mezzadrile rappresen-
tava un ostacolo alla diffusione della produzione manifatturiera,
già avanzata da Malanima nel suo libro sull'industria fiorentina,
risulta infatti ancor meno convincente nel caso di Prato. Dove,
tra l'altro, vorremmo saperne di più sulle strategie imprendito-
riali e mercantili. La graduale acquisizione di fette sempre più
consistenti di mercato, effettuata a scapito dei fiorentini, si giu-
stifica solo richiamando in causa comportamenti estremamente
intraprendenti: qual 'era il circuito di vendita dei mercanti prate-
si? essi usavano consorziarsi in compagnie o agivano singolar-
mente? e con chi stipulavano alleanze? L'accurato saggio di Pao-
lo Malanima, che fornisce una messe di informazioni sugli anda-
menti della produzione, sulla sua struttura e sulle variazioni nel
tempo, postula l'esigenza di una indagine sui protagonisti del ci-
clo produttivo, compresi i tessitori, di cui si sa veramente troppo
poco. Tessitori e mercanti-imprenditori, che insieme formavano
il gruppo socio-professionale più consistente della città, appaiono
in modo un po' sfocato in tutta l'opera, nonostante il riverbero
che la bottega artigiana, intesa come modello di relazioni sociali,
doveva necessariamente avere sulla fisionomia urbana.
Un secondo elemento caratterizzante della realtà pratese è la
straordinaria assenza di conflittualità, o meglio l'eventuale con-
tenimento delle tensioni, neanche troppo marcate, entro gli alvei
controllabili della competizione politica sulle cariche comunita-
rie. Anche su questo aspetto esiste un accordo unanime. Perfino
l'assetto territoriale, dalle strade alle vie d'acqua, non sembra ri-

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994 Luciano Allegra

conducibile a interessi di parte, fosse


lanaioli a favore di mulini e gualchi
mercantile sulla destinazione e l'uso del reticolo viario. Addirit-
tura in consiglio comunitario, una delle sedi maggiormente abili-
tate, quasi istituzionalmente preposte, allo scontro, non resta
molto spazio per i dissidi: Enrico Stumpo afferma infatti che i
verbali delle riunioni, i "Diurni", "assai raramente riflettono con-
flitti politici o scontro di interessi diversi" (p. 293). Paradigmati-
ca dell'alto grado di coesione sociale è la bella analisi del ceto
dominante cittadino svolta da Franco Angiolini, che esamina sul
lungo periodo la composizione delle due cariche-chiave della cit-
tà: quella dei riformatori e il gonfaloniera to. Nonostante le frat-
ture, i declassamenti e gli irrigidimenti, inevitabili lungo l'arco
di tre secoli, Angiolini formula l'ipotesi che Y élite al potere "si
ispiri a un criterio generale di larga partecipazione alle cariche,
permettendo a tutti coloro che costituiscono il ceto, in linea di
massima, di approfittare della propria posizione sociale e politi-
ca per svolgere un ruolo ad essa adeguato nella vita locale" (p.
358). Dunque, una compartecipazione alla gestione delle cosa
pubblica relativamente indipendente dalla condizione nobiliare e
dalla supremazia economica, tanto che l'analisi combinata della
ricchezza e della occupazione delle cariche proietta due immagi-
ni sfalsate tra loro. Il ceto dominante, in sostanza, forma un
gruppo compatto e omogeneo nei comportamenti politici, si di-
stribuisce senza grosse frizioni le risorse in gioco, dalle borse ai
benefici alle cariche minori. Non si capisce perché, tuttavia, si
continui a parlare di solidarismo. La stessa evoluzione del ceto,
che dai primi del Settecento tende a cooptare in misura sempre
maggiore membri di provenienza mercantile e imprenditoriale,
parrebbe anzi suggerire conclusioni opposte: cioè che Y élite al
potere è una élite aperta, dunque mobile, come del resto le ricche
biografie ricostruite confermano. D'altronde, la compattezza del
ceto aveva accusato vistose crepe già in epoche precedenti, quan-
do esso era stato soggetto a profondi rimescolamenti nella sua
composizione interna: anziché solidale, la classe dirigente citta-
dina sembra piuttosto intrinsecamente, anche se non violente-
mente, competitiva.
Competizione e conflitto sono però quasi sinonimi. Lo dimo-
strano, nel caso in esame, i continui e spesso infruttuosi tentativi
dello stesso ceto politico di arginare l'ingresso dei cittadini di
rango inferiore. Più in generale, lo attestano i molti indizi sparsi
negli altri contributi. Ad esempio il deterioramento dell'habitat,

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La storia moderna di Prato 995

che "scatenando meccanismi conflittuali tr


ciali [ . . .] favorisce la formulazione di un
di separazione tra ricchi e poveri" (p. 599);
imprenditori tessili della città, diversame
sociali, seguono l'avvento e i primi passi de
o ancora i tumulti del 1787, nati da una c
sionale di interessi fra "clero capitolare, p
manifatturiera e mercantile, strati popolar
un pulviscolo di episodi che induce a corre
grande coesione sociale discendente forse d
po stretta della politica. Se si esce dall'amb
specificatamente preposte alla lotta per il
zione comunale per prima, si potrebbero
che non propriamente solidaristiche fra qu
sorse. No è detto infatti che l'immagine di
connotare le assemblee comunali si riprod
altrove. A Prato le opportunità esterne al
sono molte e piuttosto ricche: i conflitti s
viduare ovunque, purché si accetti di scom
gente, abbandonando l'idea che esso costit
po coesa. Diversamente l'unica conclusione
interessante, è che Y élite al potere si spartisc
ci. Mentre in gioco ce n'erano molti di più
to ecclesiastico, oltre alle cariche nelle com
nelle confraternite, nel robusto sistema caritativo-assistenziale
della città. Di questo basterebbe isolare l'istituto, vanto dei prate-
si, i Ceppi, di cui si offre una buona descrizione delle attività ri-
volte verso l'esterno, ma della cui vita interna ben poco si cono-
sce. L'opportunità di gestirne i ricchi introiti e di erogarne quote
di beneficenza si sommava alla possibilità di concedere crediti,
quando non addirittura telai agli indigenti: gli amministratori
esercitavano quindi un grande potere discrezionale, per accapar-
rarsi il quale le casate maggiorenti erano disposte con ogni pro-
babilità a contrarre alleanze, ingaggiare lotte, in una parola, mi-
surarsi sul piano politico. La pluralità di àmbiti di competizione
e l'effettiva trasformazione del ceto dirigente cittadino sembrano
dunque suggerire interpretazioni meno solidaristiche, e spingono
semmai verso l'individuazione degli strumenti di ammortizzazio-
ne dei conflitti che nel caso pratese paiono particolarmente effi-
caci. Se la virulenza non è la misura dello scontro sociale, se non
si registrano moti di popolo, rivolte, acute lotte di fazione, le ri-
sposte andranno cercate da un lato nella specificità dell'assetto

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996 Luciano Allegra

sociale e dall'altro nella ragnatela delle


cittadini.
Una delle quali era sicuramente rappresentata dall'imponente
articolazione delle strutture ecclesiastiche, altro rilevante carat-
tere originale della città. Già nel catasto del 1427, religiosi e luo-
ghi pii si dividevano circa un terzo del patrimonio fondiario cen-
sito; nel 1571-72 le monache rinchiuse nei monasteri rappresen-
tavano il 18% della popolazione urbana; e il numero dei
canonicati, benefici, parrocchie era certamente surdimensionato
rispetto alla scala pratese. Il peso della chiesa era dunque enor-
me, come ci mostra la ricostruzione che Mario Rosa ne fa in pa-
gine straordinariamente puntuali e attente a cogliere tutti gli
aspetti e le implicazioni dell'organizzazione religiosa cittadina:
dalla provenienza della popolazione dei conventi alla spartizione
dei benefici, dalla composizione delle biblioteche al significato
politico dei miracoli locali, dalle reazioni antirigoriste all'impor-
tanza delle reliquie. Per inciso, fra le tante suggestioni che il sag-
gio provoca, almeno due mi sembrano particolarmente suscetti-
bili di sviluppi promettenti. Anzitutto una mappa devozionale,
attraverso la quale si potrebbe cogliere la conflittualità insita
nella divisione degli spazi sacri, ma anche offrire una lettura de-
gli arredi e dei quadri complementare a quella artistica. V'è poi
un tema per così dire trasversale, a cui vengono dedicati qua e là
accenni impressionistici, ma che sarebbe di estremo interesse or-
ganizzare in modo compiuto: il culto della Sacra Cintola, una
preziosa reliquia che richiamava ogni anno una moltitudine di
persone da fuori, stimolava le osservazioni dei visitatori, provo-
cava fenomeni di piazza con relativo aumento del tasso di crimi-
nalità, ma soprattutto era meta di pellegrinaggi. Per tutti questi
motivi esso potrebbe costituire, da solo, un capitolo importante
di quella storia dei pellegrinaggi che per l'Italia è ancora tutta
da fare.
In ogni caso, la rilevanza dell'apparato ecclesiastico pratese
va colta nelle opportunità di controllo sociale che esso era in
grado di esercitare. Non tanto per le funzioni giudiziarie svolte,
quanto per il potere che il possesso fondiario gli conferiva, per i
margini decisionali in campo assistenziale, dove era il clero a
certificare lo stato di indigenza, per la quantità di risorse a di-
sposizione, grazie alle quali veniva non meno di un quarto della
popolazione cittadina, fra monache, clero regolare e secolare, di-
pendenti a vario titolo. Insomma, un'area di controllo diretto
estesa e ramificata, che costituiva certo un incentivo ulteriore

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La storia moderna di Prato 997

per le famiglie maggiorenti a occupare di fa


la gerarchia ecclesiale, trasferendovi il pes
particolaristici, o quelli del ceto di apparte
d'elezione. In questo senso, la chiesa prates
ruolo: quello di serbatoio di risorse alterna
pubbliche e quello amplificatore delle istanze di controllo
sociale.
Nell'età moderna, la società pratese si è modellata sulla base
di una combinazione di caratteri originali di cui l'assetto pro-
toindustriale, una conflittualità controllata e il peso della chiesa
sembrano i più rilevanti. Ma l'impressione solidaristica e coesiva
che ne simboleggia la fisionomia contiene ampi margini di ambi-
guità ed elude il vero problema: che è quello di una società non
violenta in parte per la configurazione di rapporti fra i ceti su
cui occorrerà ancora indagare, in parte grazie ai suoi strumenti
di controllo sociale e alle forme di stemperamento dei dissidi.
L'immagine olistica che questa storia di Prato riesce a restituire
nonostante la settorialità dei contributi risulta dunque convin-
cente; ma ha ancora bisogno di qualche risposta che dovrà veni-
re dall'analisi della struttura sociale e dei rapporti fra i gruppi e
le istituzioni.

Luciano Allegra
Università di Torino

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