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FONDATA E RETTA DA
WALTER BIGIAVI
(1955-1968)
E DA
ALBERTO TRABUCCHI
(1968-1998)
DIREZIONE
REDATTORE CAPO
VITTORIO COLUSSI
OTT. A
D
NT
CASA EDITRICE
ONIO MILANI
CEDA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
PADOVA
Pubbl. bimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D. L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
Vincenzo Barba
Prof. ass. dell’Università di Roma « La Sapienza »
le è dovuta una disciplina che non trova riscontro nel codice civile del ’65 né
in quello di commercio del 1882. Il dibattito sulla loro ammissibilità ha, però,
radici storiche ben più antiche (2): per quanto le associazioni e le società, così
come la delegazione di pagamento, fossero figure già pervenute ad emersione
positiva, mancava il convincimento o la franca ammissione che le une come
Così, a seconda della presenza di due o tre o più parti, è plausibile concludere che il con-
tratto sia bilaterale, trilaterale o plurilaterale. Secondo i risultati acquisiti dalla letteratura,
i quali non possono certamente essere ripercorsi — ma sui quali si rinvia a G.B. Ferri, voce
Parte del negozio giuridico, in Enc. dir., XXXI, Milano 1981, p. 901 ss.; e alle osservazioni
di N. Irti, La ripetizione del negozio giuridico, Milano 1970, p. 21 ss. — con l’espressione
« parte » ci si riferisce a un centro di imputazione di interessi. Di diverso avviso C.M. Bian-
ca, Il contratto, 3, 2a ed., Milano 2000, p. 53 ss., il quale, avverso la ricostruzione tradizio-
nale leva il proprio dissenso, avvertendo che il codice quando ricorre al concetto di parte
« fa riferimento ai soggetti che costituiscono e assumono il rapporto contrattuale e non ad
un astratto “centro di interessi” che non è come tale destinatario di imputazione giuridi-
che ». Tali considerazioni inducono l’A. ad affermare che sia giustificato « reputare che se
più persone assumono in proprio la titolarità del rapporto contrattuale, ciascuna di esse è
parte sostanziale del contratto ». In forza di tali conclusioni, l’A. afferma che una vendita
posta in essere da coniugi in comunione e relativa a un bene comune è una vendita con tre
parti: moglie, marito e compratore. Nonostante l’autorevolezza della tesi, ci sia consentito
osservare che un’adesione a essa, per un verso, non giustifica, nonostante la puntuale preci-
sazione che l’A. svolge alla p. 54, il motivo per cui il legislatore del 1942 abbia sostituito al-
la parola « persona » quella di « parte » e abbia utilizzato la nozione di persona e di parte
in modo rigoroso (es. art. 1798) e, per altro verso, di là di ogni questione prettamente ter-
minologica, giungerebbe al risultato di qualificare un medesimo contratto (es. vendita o ap-
palto) ora bilaterale ora trilaterale a seconda che in esso vi siano due o più « persone ». In
tale ottica, quindi, il dato strutturale soggettivo, che secondo il metodo tipologico — G. De
Nova, Il tipo contrattuale, Padova 1974 — è un indice importante ai fini della qualificazio-
ne e riconduzione al tipo, perderebbe la sua capacità distintiva. G. Villa, op. cit., p. 3, pur
avvertendo la differenza tra contratto a parte complessa e contratto plurilaterale, osserva
che il fenomeno dei contratti plurilaterali emergerebbe anche « nella parte del codice intito-
lata ai singoli contratti » (artt. 1507, 1726, 1730, 1758, 1772, 1840, 1854, 1874, 1798,
1911, 1946, 1977 c.c.). A ben osservare nessuna di queste ipotesi ci sembra che possa ra-
gionevolmente riferirsi a contratti plurilaterali, trattandosi, piuttosto, di norme che prendo-
no in considerazione il diverso problema del contratto con parte soggettivamente complessa
— sul quale tema si rinvia, anche per le indicazioni bibliografiche, a S. D’Andrea, La parte
soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano 2002 — le quali denoterebbero
problemi di disciplina diversi da quelli posti dal contratto plurilaterale.
( 2 ) Per un’ampia ricognizione della situazione nel diritto romano, nel diritto intermedio
e nel sistema italiano previgente al 1942, si rinvia agli ampî riferimenti di dottrina in A.
Belvedere, op. cit., p. 662 ss., spec. nt. 8 ss. Per una rassegna delle posizioni dottrinali an-
teriori al codice civile vigente cfr. F. Messineo, Il contratto in genere, 2, cit., spec. p. 592 ss.
Singolare la posizione di F. Carnelutti, Teoria giuridica della circolazione, Padova 1933,
p. 19 ss., secondo il quale il concetto di bilateralità e plurilateralità prescinderebbe dal nu-
mero delle parti del contratto e riguarderebbe, esclusivamente, lo spostamento nell’apparte-
nenza dei beni. Così, infatti, scrive l’A. « vendita e donazione hanno sempre due parti, ma
la donazione è un contratto unilaterale perché si modifica solo il rapporto esistente tra do-
nante e donatario rispetto alla cosa donata, mentre con la vendita si modifica altresì il rap-
porto corrente tra venditore e compratore rispetto al danaro di quest’ultimo, donde la sua
bilateralità ».
PARTE I - DOTTRINA 533
mente il profilo patologico (10), genetico o funzionale, dei soli contratti con
comunione di scopo (11): vale a dire l’invalidità e la risoluzione dei contratti
plurilaterali in cui l’interesse delle parti si dispone lungo una medesima dire-
zione (12).
indicata da Messineo. Ma, fin tanto che si creda che il contratto non sia altro dall’accordo,
tale idea, supponendo un’originaria composizione del conflitto, è difficilmente giustificabile
sul piano positivo. Contrario F. Galgano, Il negozio giuridico, cit., p. 174 s., il quale esclu-
de che la comunione di scopo possa costituire un tratto di differenziazione dei contratti dal
quale far discendere un differente statuto normativo. Il merito della dottrina del contratto
con comunione di scopo si consuma, quindi, nell’avere sottolineato « come il contratto, lun-
gi dall’esaurire la propria funzione nel comporre interessi contrastanti, sia anche strumento
idoneo per la realizzazione di interessi comuni a più soggetti ». Ma deve considerarsi esclu-
sa la possibilità di enucleare principî di disciplina comuni valevoli soltanto per i contratti
con comunione di scopo e, quindi, la possibilità di costruire, oltre che per un omaggio stori-
co, per un’esigenza dommatica, la categoria dei contratti di associazione o con comunione
di scopo.
( 13 ) In senso contrario si consideri T. Ascarelli, Notarelle critiche, cit., p. 274, ma, più
ampiamente, Id., Il contratto plurilaterale, cit., p. 97 ss., secondo cui non si può parlare,
come la lettera della legge vorrebbe, di mera trasmissibilità del vizio, ma di risoluzione. In-
fatti, l’invalidità del vincolo di una parte non potrebbe determinare, secondo l’A., l’invalidi-
tà dell’intero contratto, ma al più la sua risoluzione, dipendente, appunto, dall’impossibilità
di conseguire lo scopo comune o dall’essenzialità della partecipazione di quella singola e in-
dividua persona. Sicché la nullità o l’annullabilità del vizio della partecipazione di una sola
parte si tradurrebbe in una causa di scioglimento del contratto plurilaterale. L’obiezione
sollevata dall’A. circa la possibilità di configurare un’autonoma ipotesi di nullità o annulla-
bilità del contratto plurilaterale, dipendente dall’invalidità della partecipazione di una par-
te essenziale, sembrerebbe vinta dalla scelta del legislatore, che ha voluto ricollegare a que-
ste ipotesi rispettivamente la nullità e l’annullabilità. Saremmo in presenza di due casi di
nullità e annullabilità testuali.
( 14 ) B. Inzitari, op. cit., p. 521, pur reputando che siano inesistenti spazî per una disci-
plina generale dell’invalidità dei contratti plurilaterali, non può far a meno di osservare che
le norme in contestazione offrono, quanto meno, « rilevanti elementi ai fini della compren-
sione e della valutazione degli interessi secondo l’ottica causale dello “scopo comune” ». In
particolare, l’A. osserva che, diversamente da quanto accade nei contratti di scambio, nei
contratti con comunione di scopo la realizzazione degli interessi delle parti non coincide con
la realizzazione della funzione del negozio, in quanto passa attraverso il medio, il « dia-
framma » dello scopo comune.
( 15 ) F. Messineo, op. ult. cit., p. 150, conclude che il legislatore con tali norme ha disci-
plinato, piuttosto, il contratto associativo a più di due parti. Precisa l’A., in critica alla posi-
zione di G. Ferri, Contratto plurilaterale, cit., p. 681, che il rapporto tra contratto plurila-
terale e contratto associativo non è di identità, ma di genere a specie, nel senso che il con-
tratto associativo è il genere e il contratto plurilaterale la specie. Ne segue che nel contratto
PARTE I - DOTTRINA 537
plurilaterale non c’è spazio per il contratto associativo con due sole parti, al quale, quindi,
non si applica la disciplina dettata per i cc.dd. contratti plurilaterali di cui all’art. 1420 c.c.
( 16 ) Il riferimento è alla posizione di Ascarelli. Si osservi al riguardo che nella sua pri-
ma formulazione (Id., Il contratto plurilaterale, cit., p. 97 ss.) l’A. aveva posto l’attenzione,
per un verso, sulla pluralità, intesa come eventualità, ma non necessità, della presenza di
più di due parti e, per altro verso, sulla mancanza di un oggetto tipico nelle prestazioni di
ciascuna parte e sull’identità del tipo dei diritti delle parti in ragione di quello scopo comu-
ne per il cui conseguimento le varie prestazioni si ponevano come strumentali. Secondo
questa impostazione, quindi, l’A. distingueva dal contratto plurilaterale (ad es., con riscon-
tri giurisprudenziali, il caso del totalizzatore nel gioco) il contratto associativo. Su questa li-
nea l’A., in Contratto plurilaterale; comunione di interessi; società di due soci; morte di un
socio in una società personale di due soci, cit., p. 728, afferma che il contratto plurilaterale
in tanto ha senso in quanto oltre a comprendere la società comprenda gli altri contratti a
numero indeterminato di parti e in quanto distingua da sé i contratti bilaterali associativi.
« Su questo terreno, caratteristica dei contratti plurilaterali è la mancanza di una contrap-
posizione tipica delle varie prestazioni ed è nei confronti di questa mancanza che lo scopo
di ciascuna parte è giuridicamente quello stesso che è a tutte comune ». Resta indifferente
secondo l’A. — sulla qualificazione che tale scopo comporti, o meno, lo svolgimento di
un’attività comune.
( 17 ) T. Ascarelli, Notarelle critiche, cit., p. 265, « È bene chiarire che la prima e più
importante affermazione di chi, come me, sostiene che la società costituisce un contratto
plurilaterale è naturalmente quella della natura contrattuale della società ed è difatti nei ri-
guardi di questa affermazione che altri autori seguono un orientamento diverso ravvisando
nella costituzione della società un atto complesso o un atto di fondazione o almeno enun-
ciando queste tesi nei riguardi delle società che costituiscono persone giuridiche ». Id., Oc-
chio ai concetti, cit., p. 73, si pone il problema del coordinamento della nozione di « comu-
nione di scopo » e di « contratto ».
538 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 4/2010
Facendo leva sulla lettera della legge, tale dottrina ha ricondotto alle pa-
role « contratti plurilaterali » soltanto quelli con comunione di scopo, con ciò
lasciando fuori tutte le altre ipotesi non contraddistinte da tale requisito (18).
Movendo, poi, dall’osservazione dell’astratta irrilevanza sul piano disci-
plinare del numero concreto delle parti (19), in quanto le regole della società
non sarebbero diverse se i soci fossero « due o mille » (20), ha finito col com-
primere ulteriormente la formula, siccome capace di raccogliere al suo interno
i soli contratti idonei, anche solo astrattamente, a stringere insieme più di due
parti, includendovi, così, anche i contratti bilaterali aperti all’adesione di ter-
zi (21).
Limitata la categoria ai soli contratti nei quali possono, ma non debbono,
( 18 ) T. Ascarelli, op. ult. cit., p. 723, osserva il forte legame che corre tra comunione
di scopo e plurilateralità: il contratto plurilaterale metterebbe capo sempre alla costituzione
o all’organizzazione di una comunione di scopo, anche se quest’ultima potrebbe trovare la
propria fonte finanche in contratti non plurilaterali. Sarebbe come a dire, svolgendo il pen-
siero dell’A., che l’unico effetto di cui è capace il contratto plurilaterale è la creazione di
una comunione di scopo; mentre non sarebbe vero il contrario. In senso critico F. Carne-
lutti, Occhio ai concetti!, cit., p. 450 ss., il quale osserva che Ascarelli sarebbe incorso in
un errore di metodo e avrebbe confuso il termine scopo con quello di mezzo, sicché sarebbe
possibile replicargli che « non si rinvengono contratti (neanche non plurilaterali) senza co-
munione di scopo o meglio senza il quid a cui egli dà codesto nome ». In particolare Carne-
lutti così argomenta: « che il conflitto determini una solidarietà di interessi tra gli avversari,
nel senso che ambedue hanno interesse a determinare il mezzo per risolverlo è una notissi-
ma verità, il cui esempio più noto sta nel comune interesse dei duellanti a eludere la polizia,
quando cerca di impedire il duello [...] Ma l’interesse comune è il mezzo per soddisfare l’in-
teresse individuale e a nessuno verrà in mente di dire che trovare un luogo appartato per
cercare di ammazzarsi a vicenda sia lo scopo del duello ». Sulla base di questo argomenta-
re, l’A. afferma che ciò che Ascarelli chiama comunione di scopo non è altro che il mezzo, il
quale, in quanto tale, sarebbe proprio di qualunque contratto. L’idea che la comunione, co-
sì intesa, sia propria di tutti i contratti è già in G. Ferri, La fusione delle società commer-
ciali, Roma 1936, p. 89; Id., La società come contratto, in Studi in memoria di Francesco
Ferrara, I, Milano 1943, p. 263; Id., La società di due soci, cit., p. 613: « quando la legge
parla di prestazioni dirette al conseguimento di uno scopo comune non ha riguardo allo
scopo contrattuale complessivo che è necessariamente comune a tutti i contraenti in ogni
categoria di contratti, ma ha riguardo a quella attività comune che costituisce il mezzo per
la realizzazione dell’interesse individuale dei contraenti e nella quale si pone, come ha mes-
so in luce il Mossa, l’essenza stessa della società e degli altri contratti associativi ».
( 19 ) Questa osservazione lascia, tuttavia, perplessi se solo si consideri, a esempio, la di-
sciplina dettata con riguardo alle società di persone per il caso in cui venga meno la plurali-
tà dei soci. Le conseguenze dell’eventuale mancanza di un socio sono, infatti, sensibilmente
diverse a seconda che la società sia composta da una pluralità di soci ovvero da due soli so-
ci.
( 20 ) Critico G. Ferri, op. ult. cit., p. 610, secondo il quale sovente l’astratta possibilità
di costruire un’autonoma figura del contratto plurilaterale ha costituito « la premessa e non
il risultato dell’indagine » con la conseguenza « che, ponendosi l’essenza del contratto plu-
rilaterale nella cosiddetta comunione di scopo e considerandosi invece come mera acciden-
talità la dualità o pluralità dei contraenti, si è finito per assoggettare entrambe le ipotesi ad
una stessa disciplina ».
( 21 ) T. Ascarelli, Notarelle critiche, cit., p. 267.
PARTE I - DOTTRINA 539
partecipare più di due parti, ne sono seguìti due importanti corollari: l’assen-
za di uno spazio per postulare la configurabilità di contratti plurilaterali sen-
za comunione di scopo (22) e, soprattutto, l’inutilità di una categoria dai con-
fini più ampî, capace di comprendere al suo interno contratti associativi e
no (23).
Per altro verso, su valutazioni giuridico-politiche e su precise scelte ideo-
logiche, volte a dimostrare che il modello del contratto plurilaterale è espres-
sione della concezione economica fascista e che il c.d. « scopo comune » altro
non è che un sapiente strumento di tecnica giuridica architettato dal legislato-
re per giustificare un insanabile conflitto giuridico tra i capitalisti (24), si è ri-
levato che esse sarebbero disadatte a esprimere principî universali idonei alla
costruzione di una teoria del contratto plurilaterale (25), sicché dovrebbe ridi-
( 22 ) Vale la pena di segnalare che Ascarelli non nega l’esistenza di contratti trilaterali,
diversi dai cc.dd. contratti plurilaterali (quelli associativi con comunione di scopo), così
come non nega l’esistenza di contratti bilaterali con comunione di scopo. Sarebbero esem-
pî della prima ipotesi il contratto di costituzione di dote da parte del terzo, ma non la de-
legazione e il riporto indiretto; sarebbero esempi della seconda classe la mezzadria e l’as-
sociazione in partecipazione. Così in Notarelle critiche, cit., p. 267 ss., ma più diffusa-
mente in Il contratto plurilaterale, cit., p. 97 ss. Queste considerazioni ci sembrano molto
importanti quanto al metodo. Ascarelli, infatti, pur avvertendo il problema dell’esistenza
di contratti plurilaterali non caratterizzati dalla comunione di scopo e, viceversa, di con-
tratti bilaterali con comunione di scopo, rifiuta la costruzione concettuale di contratti bi-
laterali e contratti plurilaterali fondata su un mero dato di struttura e preferisce, in una
prospettiva funzionalistica, rinvenire il tratto fondante la categoria proprio nella comunio-
ne di scopo. Solo sulla base di questa osservazione si riesce a comprendere e rendere com-
patibile l’affermazione più volte ricorrente secondo cui « tutti i contratti plurilaterali sono
caratterizzati dalla comunione di scopo » con quella secondo cui esistono contratti trilate-
rali (costituzione di dote da parte del terzo): solo ai primi, e non anche ai secondi, si ri-
serva il nome di contratti plurilaterali e a essi si applica la disciplina dettata agli artt.
1420, 1446, 1459 e 1466 c.c. Crediamo che, a questo punto, possa risultare chiara la di-
versa impostazione che si preferisce seguire nel testo, che, ben lungi dal fare della funzio-
ne l’angolo privilegiato di osservazione, esalta i profili di struttura e su di essi tenta di co-
struire il sistema concettuale.
( 23 ) T. Ascarelli, Notarelle critiche, cit., p. 267; Id., Contratto plurilaterale; comunio-
ne di interessi; società di due soci; morte di un socio in una società personale di due soci,
cit., p. 727, nega la configurabilità di contratti plurilaterali senza comunione di scopo per il
fatto che « la stessa mancanza di tipicità delle prestazioni e l’identità del tipo dei diritti del-
le varie parti si coordini con la comunione di scopo ».
( 24 ) B. Inzitari, op. cit., p. 524: « In questo concetto di scopo comune e nel conseguente
legame contrattuale, unificate tutte le più varie posizioni individuali delle parti, ritroviamo
alcuni degli elementi più emblematici della concezione fascista dell’attività economica ». E
ancóra, una pagina dopo: « Contratto plurilaterale, quindi, come momento di sintesi tra lo
strumento del contratto e l’aggregazione corporativa degli interessi individuali. Il procedi-
mento è analogo a quello con cui l’impresa viene assunta come una istituzione, dove l’inte-
resse dei prestatori di lavoro si fonde con quello dell’imprenditore nella comune collabora-
zione per l’interesse dell’impresa e della comunità nazionale ».
( 25 ) B. Inzitari, op. cit., p. 519 ss.
540 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 4/2010
servirebbe « ad inquadrare alcune figure di negozio a più parti, che non pos-
sono rientrare nella figura del contratto plurilaterale, poiché questo è necessa-
riamente, un caso di contratto associativo [...] » (33), il contratto plurilaterale
descriverebbe le sole ipotesi di contratti a struttura aperta, caratterizzati dalla
presenza di una pluralità di prestazioni, parallele, simmetriche rispetto alla
pluralità delle parti e destinate al conseguimento dello scopo comune (34).
D’altra parte, si è affermato che gli accordi plurilaterali non associativi o
costituiscono « un particolare modo di essere dei contratti sinallagmati-
ci » (35) oppure, trattandosi di limitate e circoscritte ipotesi eccezionali, prive
le, sicché non sarebbe possibile istituire l’equazione secondo cui tutti i contratti associativi
sono contratti plurilaterali. Così, una società costituita da due parti sarebbe nondimeno
contratto associativo, ma non plurilaterale. Al più sarebbe potenzialmente idoneo a divenire
plurilaterale, perché questo contratto associativo è aperto alla possibile adesione di terzi.
Non vale però neppure l’equazione secondo cui tutti i contratti associativi sono a struttura
aperta, perché secondo l’A. possono darsi ipotesi di contratti associativi non aperti all’ade-
sione, come il caso della mezzadria. Sicché contratti plurilaterali e contratti associativi co-
stituiscono due figure che presentano certamente punti di contatto, ma che non debbono
essere identificate.
( 33 ) F. Messineo, Contratto plurilaterale, cit., p. 154. Tuttavia, ci sia consentito di pre-
cisare che l’affermazione dell’A. non spiega quale debba essere la disciplina da applicare a
tali presunti negozî plurilaterali senza comunione di scopo, ai quali nega il riconoscimento
della natura contrattuale.
( 34 ) F. Messineo, op. ult. cit., spec. p. 595 ss., osserva che proprio le difficoltà concet-
tuali che risiedono nel primo requisito del contratto plurilaterale (pluralità di parti), indu-
cono l’esaltazione del secondo (comunione di scopo), il quale, in quanto « costante e imma-
nente », contribuisce in modo determinante e rassicurante, al contempo, alla qualificazione.
Si avverte che secondo l’A. la comunione di scopo indicherebbe l’identità di scopo per cia-
scuno dei partecipanti; si tratterebbe di un requisito che attiene al profilo funzionalistico
del contratto e che vi inciderebbe al punto da costituirne la causa.
( 35 ) F. Galgano, Obbligazioni in generale, Padova 1990, p. 262. Id., Il negozio giuridi-
co, cit., p. 173, spec. nt. 14, osserva come non sia possibile negare (come invece ha tentato,
a dire dell’A., senza successo A. Pino, Il contratto a prestazioni corrispettive, Milano 1962,
p. 162 ss.) che ai contratti con comunione di scopo si applichi la disciplina dei contratti a
prestazioni corrispettive. N. Irti, Appunti per una classificazione dei contratti agrari, in R.
d. agr., 1961, I, p. 685, osserva, pur al di fuori della prospettiva del contratto plurilaterale,
che la distinzione tra la categoria dei contratti di scambio e quella dei contratti con comu-
nione di scopo attiene proprio al diverso atteggiarsi del rapporto sinallagmatico « [...] che,
nella prima, è immediato e diretto, talché ogni parte acquista proprio ciò che l’altra parte
presta; e, invece, nella seconda, mediato e indiretto, talché ciò che una parte acquista non è
mai identico a ciò che l’altra parte presta ». Tali osservazioni si trovano già in M. Allara,
La vendita, Torino, s.d. (ma 1958), p. 75, il quale, con consueta raffinatezza di pensiero,
ha osservato come i contratti plurilaterali si risolvono in quei contratti caratterizzati dalla
« pluribilateralità a cerchio chiuso tra i contraenti ». Utilizza questa formula, sottoponen-
dola ad un vaglio critico onde si evitino facili assonanze, A. Belvedere, Contratto plurilate-
rale, cit., p. 272. Di diverso avviso era stato T. Ascarelli, Il contratto plurilaterale, cit., p.
115, il quale restituisce alla parola « scopo » il senso soggettivistico, sicché l’A. afferma che
nei contratti di scambio lo scopo o fine « si identifica con la funzione tipica dello stesso con-
tratto [...]; rimane, in genere, nel campo dei motivi », mentre nei contratti plurilaterali lo
scopo diviene giuridicamente rilevante e « costituisce l’elemento “comune”, “unificatore”
delle varie adesioni, e concorre nel determinare i limiti dei diritti e dei doveri delle parti ».
542 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 4/2010
di questo unitario scopo e, perciò, l’esistenza di diversi scopi delle parti, tra
loro confliggenti, raccolti in unità nel programma contrattuale (47).
In questa prospettiva, l’espressione scambio non coglierebbe il profilo
della vicenda economica generata, come nella prima accezione, bensì della vi-
cenda giuridica generatrice (48). Non riguarderebbe tanto l’effetto, giuridico o
economico che sia, ma il fatto, cioè il porsi delle parti in un certo modo ri-
spetto al risultato programmato nel contratto (49).
Scambio e comunione di scopo, allora, lasciandosi apprezzare non già
quali elementi di funzione (50), bensì di struttura, diventano lo strumento di
misura della posizione delle parti rispetto allo scopo o agli scopi perseguiti (51).
I contratti associativi, ovvero quelli con comunione di scopo, sarebbero
quelli nei quali v’è convergenza nello scopo, mentre i contratti di scambio
quelli nei quali v’è divergenza di scopi. Il con — o di — vergere, pur attenen-
do allo scopo, non si risolverebbe in esso, essendo, piuttosto, il punto di riferi-
mento della posizione delle parti (52).
In quest’accezione, pertanto, lo scambio, quale formula antagonista di
« comunione di scopo », nel mentre nulla ha a che vedere con l’accordo, che
indica, semplicemente, la consonanza di decisioni (53), manifesta la propria
compatibilità con la pluralità (54).
( 49 ) N. Irti, Appunti per una classificazione dei contratti agrari, cit., p. 685: « [...] l’ul-
teriore qualifica (associativi o di scambio) coglie l’aspetto strutturale ».
( 50 ) In prospettiva funzionalistica, ad esempio, si veda Ferri e anche Belvedere, secondo
i quali la valutazione dell’esistenza dello scopo comune finisce con l’essere una valutazione
sul componimento degli interessi delle parti e sugli scopi che le parti tendono a realizzare
con quel determinato contratto.
( 51 ) Deve segnalarsi che secondo R. Sacco, La formazione del contratto plurilaterale, in
Sacco-De Nova, Il contratto, I, in Tratt. Sacco, Torino 1993, p. 271, la plurilateralità « è
connotato del contenuto del contratto ».
( 52 ) Interessante, anche se giunge a risultati opposti a quelli prospettati nel testo, l’idea
di A. Carlo, op. cit., p. 301, il quale rileva che l’unica differenza tra contratto bilaterale di
scambio e quello plurilaterale di scambio « sta in ciò che il rapporto si articola tra più par-
ti ». L’A., quindi, finisce coll’indicare con la parola « scambio » il porsi delle parti in un
certo modo. Tuttavia, non ci sembra condivisibile la soluzione finale, in forza della quale
postula che le norme dettate per i contratti plurilaterali, in quanto espressione di uno ius
generale, possano trovare applicazione anche ai contratti plurilaterali di scambio. Tornia-
mo a ripetere che questa soluzione non sembra coerente con la premessa. La giustificazione
dell’opinione dell’A. può forse trarsi solo se si pensi che i casi concreti di contratti plurilate-
rali di scambio immaginati sono limitati ai patti parasociali e ai patti para associativi.
( 53 ) Sono da considerare largamente superate e tramontate le concezioni dell’accordo
come incontro di volontà o fusione di volontà, tacciate, già da Gorla, di mistica. Accordo al-
tro non è che consonanza di decisioni, che nel mondo giuridico ha da considerarsi consegui-
ta quando uno dei molteplici procedimenti di formazione descritti dal legislatore nella se-
zione dedicata all’accordo può dirsi concluso.
( 54 ) Contrario F. Messineo, Contratto plurilaterale, cit., p. 153: « Epperò, scambio e
pluralità di parti (o di prestazioni) sono termini fra loro inconciliabili »; Id., voce Contratto
(dir. priv.), in Enc. dir., IX, Milano 1961, p. 905, avverte che nel contratto di scambio le
parti debbono necessariamente essere due. Tale dualità, tuttavia, non implica necessaria-
mente l’esistenza di due prestazioni, sicché possono darsi contratti di scambio « con presta-
zione a carico di una sola parte ». Tuttavia, appare evidente come l’A., in questa pagina,
pensa allo scambio in senso economico, sicché sotto questo profilo non vi è dissonanza con
la posizione segnalata nel testo, atteso che facciamo riferimento non allo scambio economi-
co, ma a quello giuridico.
PARTE I - DOTTRINA 547
Gli accordi plurilaterali di scambio, cioè quegli accordi nei quali le parti,
ponendosi l’una di fronte all’altra e perseguendo scopi tra loro antagonisti,
composti proprio nell’unità dell’accordo, non per il fatto di realizzare più
d’uno scambio economico o per il fatto di essere posti in essere da più di due
parti, dovrebbero allora essere « esiliati » dal territorio del contratto, al quale,
invece, ci pare che meritino di appartenere.
Non soltanto risultano tramontate, alla luce della recente prassi contrat-
tuale e del rinnovato clima culturale nel quale versa l’ordinamento civilistico
italiano moderno, le ragioni socio-politiche che hanno ostacolato e decelerato
la ricostruzione volta a riconoscere l’ammissibilità di contratti plurilaterali
non associativi, ma non sussistono neppure valide ragioni tecniche, dal mo-
mento che lo scambio giuridico né ripudia né avversa la multilateralità, con la
quale mostra di potersi ben coniugare.
Figure classiche quali la delegazione di pagamento o la cessione del con-
tratto, come figure d’avanguardia tolte dalla moderna macroeconomia, quali
il leasing o il leveraged buyout, possono consapevolmente ricondursi all’inter-
no di un medesimo modello generale, il quale, restituito al settore del contrat-
to, consente di postulare l’ammissibilità di contratti plurilaterali di scambio.
ossia dall’esistenza nel contratto di più di due centri d’interesse, dovrà aver
cura di tarare diversamente il rilievo della presenza di ciascuna parte. La
quale nel caso di contratti di scambio è sempre essenziale, mentre nel caso di
contratti associativi suscettibile di multiforme valutazione.
Nel caso di contratti plurilaterali associativi, bisognerà muovere dalle
quattro disposizioni di legge che, pur apparentemente dedicate ai contratti
plurilaterali, regolano, in verità, soltanto quelli associativi. Tali regole an-
dranno applicate in via immediata e diretta. La restante disciplina dovrà ri-
costruirsi accomodando il diritto comune dei contratti bilaterali di scambio.
Questo lavoro di adattamento andrà compiuto, per un verso, avendo
mente al principio espresso nelle quattro regole speciali, il quale, per la forza
entropica che gli è propria, può indurre significative variazioni ermeneutiche
e, per altro verso, tenendo conto della doppia specificità che contraddistingue
questa classe di contratti, ossia la loro plurilateralità e la comunione di scopo.
La disciplina comune è, dunque, esposta a un adattamento che corre su
un doppio binario e con esiti che dovranno essere, mano a mano, indagati e
sperimentati, perché possano consentire una solida tenuta sistematica.
Nel caso di contratti plurilaterali di scambio, invece, considerata l’inesi-
stenza di precise disposizioni di legge che li regolino e accertata l’impossibilità
logica e giuridica di applicare le norme che il legislatore detta per i contratti
plurilaterali associativi, si dovrà procedere a un continuo adattamento del di-
ritto comune dei contratti.
Il quale, poiché generalmente imbastito sul solo contratto bilaterale di
scambio, pretenderà, per risultare compatibile con questa classe di contratti,
più d’un intervento ortopedico. Nel compimento del quale bisognerà, sempre,
aver riguardo ai due tratti che caratterizzano questa classe di contratti: la
plurilateralità e l’essenzialità di ciascuna parte.
Non soltanto viene in considerazione la necessaria presenza di più di due
centri di interesse, ma soprattutto l’essenzialità di ciascuno, senza possibilità
di ipotizzare la resistenza del contratto in difetto della partecipazione anche
soltanto di una sola parte.
Ne deriva, perciò, che l’intero diritto comune dei contratti reclama di es-
sere ponderato, laddove esso vada applicato ai contratti plurilaterali di scam-
bio (59), la cui disciplina è, dunque, divisa tra regole ed eccezioni.
Ma, proprio la presenza di più d’uno oblato, almeno per l’ipotesi in cui
costoro siano distanti l’uno dall’altro, amplifica il problema della conclusione
del contratto e rende le regole che fissano tempo e spazio di raggiungimento
dell’accordo spesso manchevoli.
Anche la regola primaria (63), posta nell’art. 1326 c.c., secondo la quale
il contratto è concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha cono-
scenza dell’accettazione, non consente di definire quando e dove il contratto
plurilaterale di scambio sia concluso, avendo a che fare non già con una sola
accettazione, bensì con due o più accettazioni. Le quali, provenienti ciascuna
da parti diverse e indirizzate ciascuna al proponente e, probabilmente, cia-
scuna dovendo essere indirizzata anche all’altro oblato, possono giungere a
conoscenza del proponente ed eventualmente degli altri oblati in tempi e luo-
ghi diversi.
O ancóra, volendo discendere alla regola posta nell’art. 1327 c.c., essa la-
scia incerto, perfino, il problema del « se » il contratto possa considerarsi con-
cluso, almeno nel caso in cui il proponente, il quale abbia indirizzato la pro-
posta a due oblati, si ritrovi con un solo inizio di esecuzione e con il silenzio
dell’altra ovvero con due inizî di esecuzione collocati in diversi punti dello
spazio e del tempo.
O, e con un grado ancóra maggiore di complessità, si pensi al caso in cui
una parte indirizzi ad altre due una proposta diretta a concludere un contrat-
to, richiedendo a un oblato di accettare con una dichiarazione e all’altro di
dare inizio di esecuzione senza una preventiva risposta o, in termini simili, in-
dirizzi a due parti la proposta diretta a concludere un contratto che rispetto a
uno soltanto degli oblati si caratterizzi come contratto dal quale derivano ob-
bligazioni a carico del solo proponente, mentre imponga all’altro di assumere
specifiche obbligazioni.
ticolo di legge; se esistono articoli che contengono più norme formulate dal legislatore, così
esistono proposizioni che contengono più “precetti”; e viceversa, come una norma può co-
stituire la risultante di più articoli di legge, di cui taluno abbia la mera funzione esplicatrice
o chiarificatrice, così il “precetto” può risultare da più proposizioni formulate dalla parti:
proposizioni che, prese singolarmente, non esprimerebbero una compiuta volontà degli au-
tori del negozio ». Non diversamente M. Confortini, Clausola, in Aa.Vv., Dizionario del-
l’arbitrato, Torino 1997. Secondo tale impostazione la clausola indica la formula linguisti-
ca, se vogliamo, con terminologia tolta dalle pagine di Betti, la forma rappresentativa, men-
tre il precetto il significato attribuito ad un frammento o ad una o più clausole, le quali sia-
no capaci di esprimere una regola.
( 70 ) In tale senso è orientata la dottrina, la quale, esplicitamente o implicitamente, re-
puta rilevanti soltanto i comportamenti imputabili a più parti, o, addirittura, con riguardo
al comportamento successivo alla conclusione del contratto, soltanto quello « concordemen-
te posto in essere dalle parti nel quadro dell’esecuzione del programma negoziale ». Così,
ad esempio, C. Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Pado-
va 1992, p. 323.
( 71 ) Si può dare il caso che due soggetti pongano in essere uno stesso comportamento o
comportamenti tra loro conformi, ma ciò non significa che il comportamento sia uno. I
comportamenti restano due identici tra loro o convergenti. Così, il fatto che Tizio e Caio ac-
cettino la proposta di Mevio, ovvero che Tizio e Caio passino sul fondo di proprietà di Me-
vio, non significa che esiste un solo comportamento di Tizio e Caio, bensì due diversi com-
portamenti. La circostanza che l’oggetto della condotta sia il medesimo non può indurre a
reputarli un medesimo comportamento. Perché ontologicamente rimarranno, comunque,
due comportamenti diversi: quello di Tizio che accetta la proposta di Mevio e quello di Caio
che accetta la proposta di Mevio; quello di Tizio che accetta la proposta di Mevio e quello di
Caio che accetta la proposta di Mevio. Per maggiori approfondimenti, sia consentito di rin-
viare al nostro Profili civilistici del leveraged buy out, cit., cap. III, sez. II, spec. par. 3 e 4.
PARTE I - DOTTRINA 557
che possa intendersi in due distinti modi, ciascuno dei quali più favorevole al-
l’una o all’altra delle parti che hanno aderito, non è agevole trovare una solu-
zione.
Rimane dubbio, infatti, quale delle due interpretazioni debba essere pri-
vilegiata, se quella più favorevole per la parte B o quella più favorevole per la
parte C, atteso che sia B che C non hanno confezionato il contenuto del con-
tratto, unilateralmente predisposto dalla parte A.
Il problema potrebbe ulteriormente complicarsi qualora il dubbio riguar-
dasse una clausola, il cui precetto, pur essendo atto a regolare un rapporto tra
A e B, risulti suscettibile di più d’una interpretazione, entrambe indifferenti
per A o B, ma non per C, per il quale una delle due si mostrerebbe più favore-
vole. Sarebbe dubbio se possa o debba preferirsi il significato più favorevole
alla parte che, pur non essendo direttamente riguardata dal precetto, possa,
nell’economia complessiva del rapporto contrattuale, essere favorita da quel-
l’interpretazione.
Sicché, anche in questo caso, dovrebbe discutersi sull’esistenza di un crite-
rio di prevalenza, per stabilire quale delle eventuali concorrenti interpretazioni
più favorevoli vada preferita, o, eventualmente, in difetto dell’esistenza di un
tale criterio, ci si dovrebbe interrogare sulla stessa applicabilità della norma.
Ciò con il patente svantaggio di una o di entrambe le parti che hanno
aderito.
Se si preferisse, infatti, l’interpretazione più vantaggiosa all’una o all’al-
tra, nondimeno una di esse subirebbe un’interpretazione a sé « non più favo-
revole »; ove, poi, si negasse la stessa applicabilità della norma, entrambe sof-
frirebbero la compressione della posizione di vantaggio loro riconosciuta dallo
stesso legislatore.
Ciò, ancóra una volta, configurerebbe un’evidente disparità di trattamen-
to rispetto al caso dei contratti bilaterali di scambio, in cui la parte che non
abbia predisposto le clausole gode sempre del regime interpretativo a sé più
favorevole.
tuale per il danno, eventualmente patito, per aver confidato sulla validità del
contratto.
Diverso è il discorso in tema di violenza.
Essendo rilevante nel contratto bilaterale di scambio anche se esercitata
da un terzo, dovrebbe risultare determinante anche nel contratto plurilaterale
di scambio, quand’anche una delle parti non si sia resa conto che l’altra ave-
va esercitato violenza nei riguardi dell’altra ancóra.
L’interesse da sacrificare, come nel caso del contratto bilaterale di scam-
bio, sembra dover essere sempre quello della parte che non subisce la violen-
za, quand’anche non ne sia autrice, in conformità, del resto, con un principio
più generale di ordine pubblico sul quale la stessa disciplina della violenza
sembra essere costruita.
( 72 ) Sia consentito rinviare, in ordine al problema della connessione dei negozî, al colle-
gamento contrattuale e al criterio distintivo tra unità e pluralità di contratti, al nostro La
connessione dei negozi e il collegamento contrattuale, cit., p. 51 ss.