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ENZO COLLOTTI – IL FASCISMO E GLI EBREI

LE LEGGI RAZZIALI IN ITALIA


1. Ebrei e antisemitismo, tra emancipazione, nazionalismo e fascismo.
La storiografia italiana ha iniziato a riflettere seriamente sulle origini e sul percorso del razzismo
italiano soltanto in epoca molto recente. Il motivo risiede nel recupero degli studi sulle
conseguenze delle leggi razziste del 1938 (in occasione del cinquantesimo anniversario della
ricorrenza della legislazione discriminatoria). Un’eccezione, rispetto alla nostra epoca, nel
panorama storiografico, è stato il libro di Renzo de Felice, intitolato Storia degli ebrei in Italia
sotto il fascismo (1960). Negli ultimi quindici anni la storiografia tende a integrare
sistematicamente il capitolo del razzismo e dell’antisemitismo nella storia del fascismo come
uno degli aspetti caratterizzanti della svolta tipicamente totalitaria degli anni Trenta.
L’emancipazione degli ebrei italiani

• 1791-1815, durante l’occupazione francese/napoleonica; con la Restaurazione


vennero formalmente ripristinati buona parte dei limiti e dei divieti imposti agli ebrei.
In realtà, soltanto nello Stato pontificio gli ebrei vennero ricacciati nel ghetto (dischiuso
nel 1870).
• Durante le rivoluzioni del 1848 in Italia ed Europa; Statuto Albertino (4 marzo 1848)
riconosceva l’eguaglianza dei cittadini senza distinzioni di confessione;
successivamente l’editto riconosceva agli ebrei i diritti civili e i diritti politici.
I nuovi studi hanno consentito un approccio globale al fenomeno del razzismo, nella
complessità delle sue componenti e delle sue derivazioni culturali, nel cui alveo è venuto a
situarsi nel periodo fascista l’antisemitismo1, con la radicalizzazione biologica assunta dalla
persecuzione contro gli ebrei. Si è avuto durante gli anni del fascismo la massima
concentrazione di pulsioni, elaborazioni dottrinali ed esperienze pratiche che non erano state
estranee alle vicende storiche della cultura italiana nei campi più diversi (medicina,
antropologia, etnologia, demografia, psicologia…).
▪ Vi è una nuova considerazione dell’esperienza coloniale italiana; essa formula le prime
teorie razziste, che saranno alle base delle leggi discriminatorie delle popolazioni
africane;
▪ Vi è un razzismo di matrice cattolica -> antigiudaismo2, fondato sull’accusa di praticare
omicidi rituali;
• Affare Dreyfus -> il Congresso di guerra francese, nel dicembre del 1894,
condanna un capitano di artiglieria ebreo, Alfred Dreyfus, impiegato presso lo
stato maggiore francese alla deportazione nell’isola del Diavolo (Guyana

1
Antisemitismo: Avversione e lotta contro gli Ebrei, manifestatasi anticamente come ostilità di carattere
religioso, divenuta in seguito, spec. nel sec. 20°, vera e propria persecuzione razziale basata su aberranti teorie
pseudoscientifiche (Treccani);
2
Antigiudaismo: opposizione totale o parziale al giudaismo/ebraismo e agli ebrei in quanto suoi aderenti
(Wikipedia);

1
francese); l’accusa è di aver passato documenti riservati ai responsabili
dell’esercito tedesco; la stampa francese liberale, radicale e socialista comincia
a protestare per le accuse che sono evidentemente mal fondate.
• Ancora, la stampa cattolica (es. Civiltà cattolica), definiva l’Austria Ungheria
corrosa dal giudaismo. Infine, autorevoli voci della stampa cattolica definivano
il giudaismo un’eresia dei tempi moderni, come i diritti dell’uomo, considerati
inventate dai giudei.

▪ Rivisitazione della storiografia di un luogo comune, ovvero la perfetta identificazione


tra ebrei italiani e società nazionale; di un cammino aproblematico della componente
ebraica nella società italiana. Questa identificazione veniva rivendicata in occasione,
per esempio, della partecipazione degli ebrei italiani nel primo conflitto mondiale;
tuttavia, non venivano annullate tradizioni, cultura, istituzioni, il costume morale,
politico civile della società ebraica. Ancor prima, vi era riconoscenza nei confronti della
Casa Savoia, la quale aveva dato il via all’emancipazione. Inoltre, l’emancipazione,
(come altrove in Europa), comporto anche l’accelerazione degli sviluppi
dell’inurbamento degli ebrei italiani.

Ci si deve domandare se nell'Italia liberale è stato fatto uso dell'antisemitismo. Esso si deve
considerare un fatto piuttosto sporadico e isolato. Per esempio, Francesco Piazza, ha
condotto uno studio sull'area trevigiana: non solo vi era la presenza di consueti motivi
antigiudaici nella stampa di provincia, ma anche l’uso dell’antisemitismo, additando gli
ebrei come fonte di turbamento dell'equilibrio sociale. Ancora, un deputato liberale
veneto, Pasqualingo, sollevò obiezioni alla nomina di un ebreo, Isacco Maurogonato, quali
il ministro delle finanze del governo Minghetti.
D'altra parte, vi sono state importantissime personalità ebraiche nel panorama politico:
Luigi Luzzati (presidente del consiglio), Ernesto Nathan (sindaco di Roma), Sidney Sonnino
(ministro degli esteri) e così via.
Vi è poi l’antigiudaismo della Chiesa cattolica, utilizzato come strumento di disgregazione
della classe dirigente liberale nel processo di formazione dello Stato unitario. Fu anche
l'epoca della costruzione delle grandi sinagoghe: quella di Firenze (1882), quella di Roma
(1904), quella di Trieste (1912), anche se quest'ultima faceva parte della monarchia
asburgica.
Pertanto, nell'Italia liberale si rendeva esplicita la presenza sul piano paritario di una
minoranza culturale e religiosa che l'emancipazione aveva restituito a un rapporto di libertà
e di collaborazione con la società circostante. La posizione degli ebrei nel Regno d'Italia fu
costantemente caratterizzata dalla spinta all'assimilazione, ma, dall'altro, la comunità
ebraica tendeva a mantenere gli elementi fondamentali della propria identità. Il legame
degli ebrei con lo Stato liberale cessava di essere così ovvio e naturale nel momento in cui gli
ebrei rivendicavano la propria identità e la propria autonomia come minoranza organizzata.

2
Soltanto più tardi sorse un'organizzazione unitaria degli ebrei italiani: le cosiddette
Università israelitiche; come stava avvenendo anche in altre parti d'Europa, anche alle
Università italiane fu presente l'esigenza di costituirsi come interlocutore nei confronti
delle autorità centrali dello Stato. Vi era un duplice piano in queste organizzazioni:
a) da un lato le relazioni con lo Stato: nonostante l'emancipazione, sussistevano ancora
costumi e consuetudini che erano esclusive e tipiche degli ebrei. (es. consuetudine del
divorzio presso gli ebrei, i quali però vivevano in una società cattolica).
b) dall'altro l'organizzazione interna nel rapporto intracomunitario: vi era il problema delle
difformità formali ereditate negli statuti comunitari dal passato; inoltre, presente era
problema di diverse tendenze politiche- culturali e di diversi orientamenti nella
gestione della tradizione e del patrimonio dottrinale - religioso, rituali. Ciò implicava
problemi che riguardavano la cosiddetta «rigenerazione» dell'ebraismo, ovvero di
aggiornamento rispetto all'evoluzione che era stata più accelerate in altri contesti
europei.
Il punto di partenza per la definizione del nuovo struttura di rappresentanza degli ebrei italiani
fu costituito dalla legge Rattazzi del 4 luglio 1857, che aveva sancito i criteri fondativi delle
università israelitiche in Piemonte, Liguria, Emilia, Marche e nelle Ducato di Parma e Modena;
➔ le comunità erano obbligatoriamente costituite da tutti gli ebrei residenti nella
circoscrizione territoriale, fornite del potere di imposizione fiscale, amministrate da
consigli eletti dai contribuenti, sottoposti a vigilanza tutela dello Stato.
Leggermente diversa era la normativa delle comunità della Toscana, del Veneto, del
mantovano, di Trieste e Gorizia (quest’ultime ricordiamo, appartenenti all’impero asburgico).
➔ Per esempio, la tassazione obbligatoria venne abbandonata nella gran parte dell'area
toscana.
Ancora diversa il caso della Comunità di Roma, la cui riorganizzazione (decreto Regio 27
settembre 1883), riconosceva lo statuto elaborato in totale autonomia dell'Assemblea degli
ebrei romani, assoggettati al contributo finanziario minimo; esentati i membri di cui fosse
comprovato lo stato di povertà.
Tendeva a prevalere progressivamente il criterio di volontarietà dell'associazione; il problema
dell'obbligatorietà o meno alla comunità fu oggetto incessante di controversie -> violazione del
principio della libertà di coscienza dei cittadini.
Nonostante fosse affermata l'eguaglianza dei cittadini indipendentemente dal culto
professato, lo statuto attribuito negli Stati preunitari alla Chiesa cattolica aveva degradato la
confessione israelitica a culto tollerato; con il Codice penale del 1889 si superarono queste
disparità, affermando anche la parità giuridica.
La nascita del Regno d’Italia non comportò immediatamente l'unificazione dell'organizzazione
delle istituzioni rappresentative ebraiche. Infatti, prevalse a lungo la tutela dell'autonomia e
delle caratteristiche delle singole comunità. Soltanto con il XX secolo, si diffuse l'idea di
realizzazione di una forma di rappresentanza collettiva. Nel 1909, al primo congresso di Milano

3
delle comunità ebraiche del regno, fu avviato il dibattito sulla futura Federazione. Organo
rappresentativo della stampa ebraica in Italia fu «L’educatore israelita», fondato a Vercelli nel
1853; nel 1874 assunse la testata del «Vessillo israelitico».

Nel “panorama” ebraico sorse un movimento politico, il sionismo. Esso si faceva portavoce
della causa per il ritorno degli ebrei nella terra di Sion (Palestina). L’atto di nascita risale al
primo Congresso sionistico mondiale di Basilea del 1897, dopo la pubblicazione (1896) del
manifesto politico di Theodore Herzl Lo stato ebraico. La sua genesi fu una risposta alle
persecuzioni nell’Europa centro-orientale e nell’impero zarista (pogrom3) e alle manifestazioni
dell’antisemitismo nell’Europa occidentale, il cui esempio lampante è stato il caso Dreyfus in
Francia. Portavoce del sionismo italiano fu l'organo della comunità ebraica di Trieste, il
«Corriere israelitico», che usciva in lingua italiana. Una delle voci più autorevoli del sionismo e
dell'ebraismo italiano fu Adolfo Pacifici, condirettore del nuovo settimanale «Israel».
La presenza stessa della corrente sionista ebbe a documentare la molteplicità di tendenze e di
posizioni che animavano il dibattito nell'ebraismo. Il «Vessillo israelitico» negava l'importanza
e fondamento alle posizioni sioniste, ne contestava la legittimità; riteneva, al contrario del
movimento sionista, l'Italia immune dall'antisemitismo. In questa posizione era chiara la difesa
ad oltranza dell'identificazione dell'ebraismo con la patria nazionale, come se quest'ultima
fosse strumento di tutela dell'identità ebraica.
Viceversa, per i sionisti, che avrebbero dato vita nel 1901 alla Federazione sionista italiana, altre
dovevano essere le caratteristiche dell'ebraismo italiano.
1) Senso della solidarietà internazionale con l'ebraismo mondiale;
2) Spinta verso il rinnovamento anche dottrinale dell'ebraismo;
In realtà, anche il sionismo italiano presentava una molteplicità di posizioni, da quelle più
propriamente politiche, a quelle prevalentemente o in parte filantropiche.
Oltre al sionismo, un altro protagonista dello scenario italiano fu il crescere del nazionalismo;
vi furono tra i nazionalisti anche ebrei come Gino Arias e Primo Levi l’Italico.
▪ Guerra di Libia (1911-1912) -> organo di stampa del nazionalismo italiano che afferma
che le ostilità internazionali all'impresa italiana sono da ricondurre agli ebrei.
▪ il noto pubblicista nazionalista, Francesco Coppola accusa gli ebrei di spirito
antinazionale, di valori plutocratici e di esaltazione dell’oro in due articoli apparsi
sull'idea nazionale del 16 e del 30 novembre 1916. Venivano ripresi i temi
dell'antisemitismo tradizionale e inoltre, gli ebrei venivano accusati di complotto
internazionale ebraico.
Il percorso di parificazione degli ebrei italiani, effettivamente compiuto dopo che si consumò
la Breccia di Porta Pia (e quindi, dopo un ulteriore separazione tra Chiesa e Stato), fu

3
Pogrom: Violenta sollevazione popolare contro comunità ebraiche, in particolare nella Russia zarista, ma
anche in altre regioni dell’Europa orientale (Treccani).

4
bruscamente interrotto dall’avvento del fascismo. Invero, già prima del 1938, con i Patti
lateranensi stipulati tra lo Stato e la Chiesa cattolica (11 febbraio 1929), la confessione cattolica
tornava a diventare religione di Stato e di conseguenza si metteva in discussione la posizione
giuridica degli altri culti, messi in pari piano grazie al Codice Zanardelli del 1889; si andava
intervenire nei rapporti tra Chiesa e comunità appartenenti a confessioni minoritarie. Lo Stato
inoltre si arrogava il diritto di intervenire a proposito delle modalità di esercizio dei culti
ammessi; di modificare la legislazione esistente in materia di culti non cattolici. Con il nuovo
diritto pubblico, si vietava il libero associazionismo, controllando in maniera più ferrea ogni
realtà istituzionale (gli evangelisti, i valdesi, le comunità israelitica e l'Unione delle comunità)
che non fosse diretta emanazione dello Stato stesso o della Chiesa cattolica. Per esempio, vi
era l’avocazione totale allo stato del potere di istituire o di sopprimere le comunità, che furono
ridisegnate secondo criteri prevalentemente amministrativi; o ancora, l'elezione del presidente
della comunità e la nomina del rabbino capo era associata all'approvazione del ministero
dell'Interno.
L'elaborazione di queste normative vide anche la partecipazione di rappresentanti
dell'ebraismo; e sembra vi sia stato uno stato d'animo di sostanziale approvazione dei nuovi
regolamenti. Non vi era eccessiva preoccupazione per le minacce contro gli ebrei del nazismo
in ascesa, stando alle dichiarazioni di Mussolini e di Emil Ludwig (Colloqui con Mussolini, 1932),
nelle quali si negava l'esistenza dell'antisemitismo in Italia, e del razzismo, definito una
stupidaggine. L'importanza del sionismo come movimento politico non sfuggì agli antisemiti
del «Tevere4» e agli amici di Giovanni Preziosi, orientati in senso filonazista.

4
Il Tevere: fu un quotidiano fascista romano, fondato da Telesio Interlandi, che ne fu il direttore per quasi 20
anni[1]. Il giornale iniziò le pubblicazioni il 27 dicembre 1924[2] e le chiuse il 25 luglio 1943.

5
2. Razzismo anticoloniale e antisemitismo
Contesto in cui la normativa contro gli ebrei del 1938 viene a collocarsi:

• orientamenti popolazionistici5, assunti dal regime fascista con sempre più maggior
decisione a partire dalla seconda metà degli anni Venti. In realtà, erano già presenti da
lungo tempo in ambiti del pensiero politico e delle scienze sociali in Italia.
• Politica di tutela della razza, in seguito alla conquista coloniale in Abissinia (guerra
d’Etiopia, 1935-1936) e all'incontro con le popolazioni africane, che non poteva non
porre il problema della «contaminazione» della popolazione italiana con la popolazione
locale. Già nella seconda metà dell’Ottocento, con le prime conquiste coloniali in Africa,
antropologi ed etnografi discutevano sulla superiorità della razza bianca e sulla
differenza tra neri e bianchi. Tali convinzioni si incontrarono e si combinarono
successivamente con il fascismo.
▪ Tutela della stirpe: con le nuove colonie, la conseguenza fu una consistente emigrazione
che investì l'Italia tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo. Il movimento
nazionalista, durante i propri congressi, utilizzò la polemica contro l'immigrazione:
infatti, questa non venne considerata unicamente come sottrazione della ricchezza
nazionale, ma anche come perdita di identità nazionale stessa.
▪ Miglioramento della stirpe: eugenetica, disciplina mirante in questo verso. Inoltre, la
cura della salute della popolazione (importante ormai in qualsiasi apparato statale)
viene sempre più orientata e strumentalizzata in funzione di politica di potenza. Il
miglioramento della salute pubblica divenne lotta per il miglioramento della specie.
▪ Politica di potenziamento: nella seconda metà degli anni 20, il regime fascista annunciò
una fase di espansione nel territorio africano. Vennero proposte le tesi anticipate dai
nazionalisti del numero come ricchezza della nazione, il numero come parte della
potenza militare. Lo slogan è «il numero è potenza». Questa politica di potenziamento
demografico, si esplicava in politica demografica, politica delle migrazioni interne, lotta
all'urbanesimo, politica militare d'espansionismo, ponendo le basi per politica della
razza. L'ufficializzazione e le teorizzazioni più compiute di tale orientamento
demografico sono da attribuire a due testi di Mussolini:
▪ il discorso dell’Ascensore (Camera dei deputati, 26 maggio 1927): in esso Mussolini
preannuncia la politica di mantenimento sulla terra delle masse rurali, i limiti
all'immigrazione e alle emigrazioni verso i grandi centri industriali -> trasferimenti di
rurali in terre di bonifica, provvedimenti di incentivi familiari. «Se si diminuisce, signori,
non si fa l'impero, si diventa colonia».
▪ la prefazione, del 1928, per la traduzione italiana del libro del demografo tedesco
Richard Korherr6 Regresso delle nascite, morte dei popoli (intitolato poi Numero come
forza). In essa Mussolini collocava la polemica contro il controllo delle nascite nel
quadro della crisi e della necessità di difesa della civiltà occidentale, in termini di

5
Popolazionismo: indirizzo di politica economica e sociale diretto a favorire l’aumento della popolazione, allo
scopo di potenziamento della nazione. Nel passato il termine è stato anche usato per indicare la demografia.
6
Korherr: è stato uno statistico tedesco al servizio dei nazisti, capo ispettore dell'ufficio statistico delle SS
durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel corso della «soluzione finale», redasse i riepiloghi periodici sullo
stato di annientamento degli ebrei.

6
scontro con razze emergenti. Alla base della decadenza era l'urbanesimo, che portava
all'infecondità e al pericolo di estinzione della razza bianca; inoltre sosteneva che ci
fosse il crollo delle nascite nell'Italia meridionale.
[Per le diverse citazioni degli da pagina 27 a pagina 39]
Una serie di misure, come la creazione dell'opera maternità infanzia, la tassa sul celibato, le
misure di igiene e prevenzione contro malattie come la tubercolosi, la diffusione
dell'educazione fisica, gli incentivi alle famiglie numerose non solo erano state attuate per
mettere l'Italia al passo con gli altri paesi; infatti, implicavano una politica demografica che
mirava alla crescita della natalità in funzione di una sempre maggiore potenza nazionale
attraverso l'aumento del numero della popolazione, come potenziale fonte di alimentazione di
un arsenale bellico.
Per un controllo dei comportamenti demografici è stato realizzato anche un riordinamento dei
servizi statistici dello Stato. Questo controllo veniva realizzato attraverso organizzazioni, come
quelle giovanili e femminili, o come l'opera nazionale dopolavoro; attraverso le istituzioni quali
la scuola, e il servizio militare; addirittura attraverso la lotta contro l'aborto.
Tale politica demografica veniva sostenuta dalla:
▪ Chiesa cattolica: tutti gli incentivi alla procreazione non potevano che suscitare
consenso nel clero, come anche la politica pluralista e della campagna contro
l'urbanesimo. Roberto Maiocchi mostra come la cultura, anche medica cattolica in
opposizione al razzismo neopagano di origine nordica (Hitler) considerato inumano,
fosse la variante di un
«razzismo tutta italiana […], che vedeva con entusiasmo nelle iniziative sanitarie del
regime un progetto strategico di miglioramento della razza italiana, che a
quest'ultima attribuiva volentieri qualità speciali, superiori».
▪ dagli orientamenti natalistici della maggior parte degli studi demografici e statistici. Gli
statistici e i demografi oltre a fornire supporto alla politica di natalità, sostenevano
anche la retorica del regime che operava l’equazione “prolificità uguale popoli giovani”.
Questo, in opposizione alle più antiche potenze coloniali democratiche con le quali
l'Italia si voleva ora misurare.
▪ Anche medici e biologi vollero contribuire: ricordiamo l'endocrinologo Nicola Pende,
che sarà uno tra i firmatari del Manifesto della razza. Pende contrappose alla razza
ariana una italiana o mediterranea derivante dalla polivalenza delle sue origini razziali.
Il filone di cultura che aveva anticipato teorie razziste era quello legato all’africanistica;
antropologi ed etnografi avevano fatto circolare, assai prima della conquista dell'Impero, non
soltanto stereotipi che riguardavano la superiorità dei bianchi sui neri, ma vero e proprio
razzismo biologico. Nota è la figura di Lidio Cipriani, famoso antropologo ed esploratore
italiano, operante presso l'università di Firenze; egli era convinto che l'inferiorità mentale dei
negri non era di carattere culturale (quindi una condizione non migliorabile), ma fosse legata a
condizioni biologiche originarie. In virtù di tali motivazioni, l'Italia era legittimata a conquistare
e a colonizzare l’Africa con popolazioni più progredite (in particolare quella italiana). Anche il
docente di patologia chirurgica dell'Università di Siena, Giorgio Alberto Chiurco, dava per

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scontata l'inferiorità biologica dei negri; sia Cipriani che Chiurco si impegnarono in una lotta
contro ogni contaminazione razziale tra la razza superiore italiana e le razze inferiori. Mentre
Cipriani utilizzava canali di comunicazione o più direttamente politico istituzionali, come la
rivista mussoliniana «Gerarchia» o il periodico «Corriere della Sera», Chiurco era attivo a livello
pubblicistico.
La polemica razziale fu sviluppata su più fronti
▪ diretta contro altre potenze coloniali, cui si rimproverava di aver chiuso la strada delle
colonie all'Italia e soprattutto di tradire la razza bianca. In particolare, si faceva
riferimento alla Francia, che approvava una politica di larga naturalizzazione dei sudditi
coloniali.
▪ Alla degenerazione biologica della razza superiore che sarebbe derivata dalla
contaminazione con le razze inferiori, il regime poneva anche il problema della
conservazione del prestigio della razza, come un fatto morale sociale.
Nell'Africa orientale italiana si attuò di fatto la separazione tra cittadini (gli italiani) e i sudditi
(indigeni). Venne attuato un vero e proprio segregazionismo; la legge del 30 dicembre 1937
riguardava le relazioni coniugali tra cittadini e sudditi.
«Il cittadino italiano che nel territorio del regno o delle Colonie tiene relazioni di indole
coniugale con una persona suddita dell'Africa orientale italiana o straniera appartenente a
popolazione che abbia tradizioni, costumi o concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei
sudditi dell'Africa orientale italiana, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.»
La legge del 29 giugno 1939 n.1004, prevedeva il nuovo reato di «lesione del prestigio della
razza» e prescriveva: l'atto del nativo diretto ad offendere il cittadino nella sua qualità di
appartenente alla razza italiana o, comunque, in odio alla razza italiana».
Non dissimili furono i Provvedimenti per la difesa della razza italiana del 17 novembre del 1938,
nella campagna contro gli ebrei, nei quali si proibiva il matrimonio tra i cittadini italiani di razza
ariana e «persona appartenente ad altra razza».
Nella legge del 13 maggio 1940 n.822 si negava la qualità di cittadino al meticcio e venne
considerato un nativo.

8
3. La campagna contro gli ebrei. Prima fase: la propaganda
Contesto internazionale -> la guerra di Spagna (1936-1939) definì ulteriormente la
contrapposizione degli schieramenti che era già stata anticipata in occasione della campagna
africana: l'Italia fu sanzionata dalla Società delle nazioni. Tale opposizione si riaffermò con
l'accordo sottoscritto il 27 settembre 1940 Italia, Germania e Giappone (asse); in tale
situazione la propaganda contro gli ebrei si diffuse e si potenziò con la polemica contro la
democrazia come sistema, considerata (con riferimenti a vecchi temi dell'antigiudaismo
cattolico) «figlia di tutti i mali e le eresie generati dalla Rivoluzione francese, la massoneria, il
socialismo, il comunismo».
È certo che nel corso del 1937 il regime fascista giunse alla decisione di avviare la politica di
antisemitismo, ovvero la campagna programmate sistematica contro gli ebrei.
❖ Manifestazioni pubblicistiche l'orientamento degli autori di queste iniziative non era
una casualità.
➢ Gli ebrei in Italia (1937), apparsa presso l'editrice Pinciana, è uno scritto di Paolo
Orano. Quest'ultimo era uno dei massimi rappresentanti della cultura fascista,
facendosi esaltatore e divulgatore del pensiero di Mussolini; era rettore
dell'Università per stranieri di Perugia, uno dei centri nevralgici della propaganda
fascista, collaboratore di numerose testate di punta del giornalismo di regime,
come «Popolo d’Italia7» o «Gerarchia8». Il libro di Orano:
▪ denunciava la rivendicazione di un'identità separata e branca e giungeva a una
svalutazione o a una denigrazione dell'ebraismo italiano;
▪ intimava agli ebrei di integrarsi interamente nella società nazionale o nella religione di
Stato o di subire le conseguenze del loro autonomismo. La sua richiesta veniva
ricondotta alla «legittima difesa del patrimonio nazionale nostro in ogni campo
manifestazione, al centro del quale sta l'immensa opera della Chiesa che è tutta
romana, tutta italiana»;
▪ oltre a ciò affermava che gli ebrei italiani non avevano dato alcun contributo rilevante
nella storia d'Italia;
▪ Il messaggio era rivolto al sionismo e all'organo di stampa «Israel», che secondo l'autore
si prodigava per «tener vivo il senso della razza, della religione, della tradizione»,
giustificando quindi i timori degli italiani nei confronti della eventuale nascita di uno
Stato ebraico in Palestina (con l'aiuto della Gran Bretagna). Ed era rivolto allo stesso
regime, denunciando il suo disinteresse, la sua tolleranza nei confronti del “fervore”
ebreo per l’impresa sionista, dando ragione alle preoccupazioni tedesche;
▪ In realtà, l'obiettivo dell'autore è quello di denigrare l’ebreo in quanto tale,
considerandolo in ogni modo estraneo alla nazione. «L’ebraismo risulta come la
principale forma perturbatrice delle società europee»;

7
Popolo d’Italia: quotidiano politico fondato il 15 sett. 1914 da B. Mussolini, che lo diresse fino alla marcia su
Roma. Generalmente considerato organo ufficioso del Partito nazionale fascista e del governo, ebbe
supplementi mensili quali La rivista illustrata del Popolo d’Italia e Gerarchia, quest’ultimo diretto dallo stesso
B. Mussolini
8
Gerarchia: rivista fondata da Benito Mussolini nel 1922.

9
▪ «Gli ebrei d'Italia si trovano nella necessità di separare la loro responsabilità da quella
dei correligionari di tutti gli altri paesi […]. L'ebraismo europeo è antifascista e
sovversivo […]. Gli italiani di religione ebraica devono dunque far intendere di schierarsi
contro tutti i correligionari d'Europa».
➢ Ettore Ovazza, condirettore della rivista ebrea e antisionista «Nostra Bandiera9» e
autore di un libello dal titolo Sionismo bifronte (1935), nel quale, riprendendo articoli
scritti da lui stesso che anticipavano, tra l'altro, alcuni dei principali temi della polemica
di Orano, cercava di conciliare ebraismo, patriottismo e il fascismo. Un altro
bandierista, Guido Liuzzi, nella sua pubblicazione Per il compimento del dovere ebraico
nell'Italia fascista, riprendeva le affermazioni di Orano.

Sempre nello stesso anno si costituì il Comitato degli italiani di religione ebraica, il quale si
poneva come il contestatore dell'autorità stessa dell'Unione delle comunità10, come
alternativa alla struttura tradizionale dell'ebraismo italiano. Questo nuovo organo era la
traduzione istituzionale del programma dei bandieristi e tentava di rendere credibile l'unione
tra ebraismo e fascismo.
Questa contrapposizione era segno che l'ebraismo stava attraversando una crisi profonda. La
corrente riuscì a conquistare seguaci in diverse comunità ebraiche: Roma, Torino, Firenze,
Venezia, Livorno; a dimostrazione dell'avvenuta spaccatura dell'ebraismo italiano.
Lo scisma all'interno del liberalismo italiano si rafforzava parallelamente all'intensificarsi della
propaganda antisemita.
➢ Nel 1937, ad opera della casa editrice della rivista di Giovanni Preziosi, venne
nuovamente stampato (fin dal 1921), quel falso storico chiamato I Protocolli dei Savi
anziani di Sion11; la nuova edizione era introdotta dall'intervento del filosofo del

9
La «Nostra Bandiera» era una rivista fondata da Ettore Ovazza, ebreo facente parte del Partito Nazionale
Fascista fino alle leggi razziali del 1938.
10
Unione delle comunità ebraiche italiane è l’Ente rappresentativo della confessione ebraica nei confronti dello
Stato. Venne fondato ufficialmente nel 1911 come Comitato delle università israelitiche; nel maggio 1920 un
Decreto Reale riconosceva legalmente come Ente Morale l'organismo di coordinamento, ora
denominato Consorzio delle comunità israelitiche italiane. Nel 1930, dopo che i Patti Lateranensi e la collegata
"legge sui culti ammessi" del 24 giugno 1929 n. 1159 avevano attribuito all'ebraismo lo statuto di culto ammesso,
si pose il problema di una rinegoziazione dei rapporti tra Stato fascista e comunità ebraiche. La "Legge Falco" del
30 ottobre 1930, n. 1731 (Norme sulle Comunità israelitiche e sull'Unione delle Comunità medesime) instaurava
un maggior controllo dello Stato sulla vita delle comunità ebraiche in Italia, ma introduceva anche necessarie
misure di semplificazione e razionalizzazione, che furono accolte con favore dalla maggioranza degli ebrei
italiani. Nasceva così l'Unione delle comunità israelitiche italiane, sotto il cui ombrello fu posta dal 1935 anche
l'Associazione donne ebree d'Italia, sorta a Milano nel 1927. Trascorsi gli anni delle Leggi razziali fasciste e
dell'Olocausto, la Legge Falco rimase a regolare i rapporti tra Stato ed ebrei in Italia anche dopo la caduta del
regime fascista e l'approvazione della Costituzione repubblicana del 1948, nonostante gli sforzi dell'Unione di
ottenere una legislazione più paritaria. Il 27 febbraio 1987 Tullia Zevi, a nome delle Comunità Ebraiche Italiane,
e l'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi firmano l'Intesa prevista dall'art. 8 della Costituzione Italiana, ma
mai fino allora attuata. Con il nuovo Statuto l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane assume la
denominazione attuale di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI). [Wikipedia]
11
Protocolli dei savi anziani di Sion Falsificazione propagandistica antisemita, redatta probabilmente da un
agente della polizia segreta russa, apparsa in forma abbreviata nel 1903 e integralmente nel 1905, ma diffusasi

10
razzismo italiano Julius Evola12, che in quello stesso anno aveva pubblicato la sua opera
Il mito del sangue.
➢ L’antisemita e fascista Giovanni Preziosi13, direttore della rivista «la Vita italiana»,
assumerà funzioni ufficiali dell'apparato di persecuzioni degli ebrei soltanto all'epoca
della «soluzione finale», come figura fondamentale nella RSI. Non fu quindi utilizzato
dal regime fascista né prima né durante l'attuazione delle leggi razziste. Il regime
assunse questa strategia: non ufficializzando il radicalismo verbale di Preziosi, agiva
verso l'esterno da moderatore, verso l'interno dell'area del partito e delle
organizzazioni giovanili sindacali apriva la via allo sfogo delle posizioni più radicali.
Nell'agosto del 37’ preziosi ha pubblicato nella sua rivista i 10 punti fondamentali del
problema ebraico, sintesi della sua ostinata campagna contro gli ebrei. [Vedi pagina 50-
51]. Il punto tre del decalogo esprime chiaramente l'impostazione razzista dell'autore:
l'unica soluzione non poteva che essere la distruzione dell'ebraismo stesso o, se si
accettava l'esistenza dello Stato ebraico, l'isolamento degli ebrei all’interno dei confini
nazionali.
➢ Rinomato era anche il giornalista Telesio Interlandi14. Egli diventa direttore del nuovo
quotidiano fascista della capitale, «il Tevere». Sin dall'origine, è chiaramente presente
l'atteggiamento antisemita del giornale, dimostrato anche da una cospicua iconografia
nazista sia di tipo coloniale che antisemitica.
Come nel caso di Preziosi, anche l’antisemitismo di Interlandi muoveva da origini
cattoliche. Sarà fondatore della rivista «Difesa della razza» (1938-1943).
➢ Prima voce cattolica, che preludeva all’antisemitismo fu Alfredo Romanini, con il suo
libello intitolato Ebrei-cristianesimo-fascismo (1936). Il clerico-fascista Gino
Sottochiesa, con il suo libello Sotto la maschera di Israele (1937) afferma che l'ebraismo

negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale. Consisteva nel presunto resoconto di sedute
segrete che sarebbero state tenute a Basilea al tempo del congresso sionista del 1897, nelle quali sarebbe stato
elaborato un piano di dominio mondiale degli ebrei da attuarsi per mezzo dell’alta finanza e dell’agitazione
terrorista. In realtà l’opera, come dimostrato già nel 1921 dal giornalista del Times P. Graves, era in gran parte
un riadattamento in chiave antisemita di un libello contro Napoleone III, opera di M.Joly, pubblicato nel 1864.
Nonostante la comprovata falsità, i documenti sono stati più volte ripubblicati e hanno continuato a costituire
uno strumento di propaganda antisemita [Treccani]
12
Julius Evola: il suo nome completo è Giulio Cesare Andrea Evola; egli fu Pittore e filosofo italiano (Roma 1898 -
ivi 1974). Dal 1915 al 1921ha svolto un'intensa attività pittorica: avvicinatosi dapprima al futurismo, aderì poi al
dadaismo, pubblicando con G. Cantarelli e A. Fozzi, Bleu, la sola rivista italiana di pura ispirazione dadaista. Si è
in seguito dedicato esclusivamente a studî filosofici approdando a una concezione di critica radicale del mondo
moderno, in cui convergevano nietzschianesimo, gentilianesimo, irrazionalismo, esoterismo, ecc. Complessi i
suoi rapporti col fascismo, fu teorico del razzismo e aderì alla Repubblica sociale italiana. Nel dopoguerra è stato
tra i punti di riferimento ideologici della destra eversiva. Tra le sue opere: La tradizione ermetica, 1930; Rivolta
contro il mondo moderno, 1935; Il mito del sangue, 1937; Sintesi della dottrina della razza, 1941; Metafisica del
sesso, 1958. [Treccani]
13
Giovanni Preziosi: pubblicista e politico (Torrella dei Lombardi, Avellino, 1881-Milano 1945). Ex sacerdote,
autore di studi sull’emigrazione (1904), fondò (1913) la rivista La vita italiana all’estero. Interventista, denunciò
l’invadenza economica tedesca in Italia, e (1917) promosse con M. Pantaleoni la costituzione del fascio
parlamentare di difesa nazionale. Dopo la guerra aderì al fascismo e contribuì a elaborarne il programma
economico. Fu precursore e sostenitore accanito dell’antisemitismo. Fu in seguito direttore del Mezzogiorno e
del Roma; nel 1942 fu nominato ministro di Stato. Aderì tra i primi alla Repubblica di Salò; morì suicida [Treccani].

14
Telesio Interlandi: http://www.treccani.it/enciclopedia/telesio-interlandi_(Dizionario-Biografico)/

11
è principalmente anticristianesimo e anche cattolicesimo, polemizzando con Orano e
con la «Civiltà cattolica». [Vedi pagina 54-55]. L'autore non forniva alla fine alcuna
soluzione al problema, ma aggiungeva la conclusione interlocutoria che la strada verso
la soluzione consisteva nel prendere consapevolezza dei problemi sopra citati; sarà tra
i collaboratori della rivista di Interlandi.

12
4. La campagna contro gli ebrei. Seconda fase: dal censimento alle leggi
razziste.
Si profilava chiaramente, nella situazione italiana, la volontà del regime fascista di agire in
modo determinante sulla questione ebraica; e il censimento delle degli ebrei del 22 agosto 1938
ne è la prova. E già prima di allora, con la nota della «Informazione diplomatica» n.14 del 16
febbraio dello stesso anno, Mussolini nega e afferma nello stesso tempo la volontà di
inaugurare una politica nuova e confronti degli ebrei.
Sottolineiamo che la politica antiebraica non derivò da alcuna pressione tedesca e fu una
decisione autonoma del regime fascista nel tentativo di rivitalizzare il regime all'interno.
Certamente Mussolini fu condizionato da una generale persecuzione degli ebrei (al di là della
Germania). Dopo le leggi di Norimberga del 1935, si accelerò il processo di segregazione civile
e di emarginazione degli ebrei -> Austria, Romania, Polonia e, già da prima, Ungheria.
Il regime fascista, attraverso la campagna contro gli ebrei:
▪ voleva dimostrare la sua potenza
▪ voleva rendere la figura dell'ebreo capro espiatorio delle componenti più estremistiche
del fascismo
▪ voleva uscire dall’isolamento internazionale a seguito dell’impresa coloniale in Africa;
l'unica alleata rimasta era la Germania nazista. Francia, Inghilterra e Stati Uniti
d'America venivano identificati come responsabili del complotto giudaico
internazionale, destinato a reprimere i popoli giovani (Italia e Germania).
«Informazione diplomatica» n.14 (16 febbraio 1938)
▪ veniva smentito che il governo fascista fosse in procinto di inaugurare una politica
antisemita;
▪ ma allo stesso tempo continuava a sorvegliare l'attività degli ebrei «venuti di recente
nel nostro paese» e di far sì che non venisse superata una soglia pari al rapporto
proporzionale esistente tra di essi e la popolazione italiana nel suo complesso; in realtà
non faceva riferimento soltanto agli ebrei di recente insediamento -> visibilità agli ebrei
italiani allo scopo di sottolineare la loro estraneità alla razza e di operarne la
segregazione.
Il regime da una parte preparava provvedimenti amministrativi e normativi per la loro
segregazione, dall'altra mobilitava la propaganda per la redazione di un testo capace di dare
un fondamento teorico al nuovo razzismo.
Questo testo, del 14 luglio 1938, fu intitolato «Manifesto degli scienziati razzisti» (il cosiddetto
«manifesto della razza»). Il Manifesto venne firmato da un gruppo di studiosi fascisti, professori
presso le università italiane, e fu predisposto dal Ministero della cultura popolare. Tale
documento è un decalogo che stabiliva i fondamenti storico- antropologici del sistema
normativo. Eccolo di seguito:

13
1. Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro
spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi.
Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per
caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che
esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma
soltanto che esistono razze umane differenti.
2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi
sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da
alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come
per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di
caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la
esistenza delle quali è una verità evidente.
3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre
considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su
considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di
nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi,
dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa,
ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di
razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza
abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che
persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4. La popolazione dell'Italia attuale è di attuale origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa
popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della
civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di
quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei
Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la
fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la
composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue
grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i
quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a
famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
6. Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del
concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla
purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni
popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione
italiana.
7. È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto
il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo
il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un
punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del

14
razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non
vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che
gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un
modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente
europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare
l'Italiano ad un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità.
8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte
gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che
sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza
mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie
ideologiche assolutamente inammissibili.
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono
approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione
araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo
di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che
non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi
in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in
nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non
si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo
comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il
carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-
europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
I firmatari:
Lino Businco, docente di patologia generale, 'Università di Roma
Lidio Cipriani, docente di antropologia, Università di Firenze
Arturo Donaggio, docente di neuropsichiatria, Università di Bologna, nonché presidente della
Società Italiana di Psichiatria
Leone Franzi, docente di pediatria, Università di Milano
Guido Landra, docente di antropologia, Università di Roma
Nicola Pende, docente di endocrinologia, Università di Roma, nonchè direttore dell'Istituto di
Patologia Speciale Medica
Marcello Ricci, docente di zoologia, Università di Roma
Franco Savorgnan, docente di demografia, Università di Roma, nonché presidente dell'Istituto
Centrale di Statistica
Sabato Visco, docente di fisiologia, Università di Roma, nonché direttore dell'Istituto Nazionale
di Biologia presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche

15
Edoardo Zavattari, direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma.

Nella documentazione ufficiale fascista non vi è altro testo che si sia così fortemente esposto sul
terreno dell'affermazione di una logistica del problema razziale; la Dichiarazione sulla razza del
Gran consiglio del fascismo del 6 ottobre 1938, non arrivò così a tanto, sottolineando piuttosto
una motivazione prettamente politica, ovvero il coinvolgimento dell'ebraismo mondiale
nell'antifascismo, giustificando le leggi antiebraiche come “punizione” nei loro confronti.
Anche l'apparato statale si prodigò nella campagna contro gli ebrei.
▪ Il 17 luglio 1938 l'Ufficio centrale demografico del Ministero dell'Interno cambiava
nome e competenze diventando Direzione generale per la demografia e la razza
(Demorazza). Essa si occupò soprattutto dell'elaborazione legislativa dei provvedimenti
in gestazione, sotto la guida dell’antropologo razzista Guido Landra e la supervisione
del sottosegretario agli Interni Guido Buffarini Guidi (quest'ultimo importante nella
"longevità" della normativa contro gli ebrei durante la Repubblica sociale italiana).
▪ Nell'agosto dello stesso anno veniva creato l'Ufficio studi del problema della razza,
presso il gabinetto del Ministero della Cultura popolare, guidata dal ministro Dino
Alfieri. Il suo raggio d'azione era lo studio della razza e della propaganda; oltre a ciò, si
dislocò sul territorio italiano attraverso i Centri per lo studio del problema ebraico,
diventando strumento del regime.

Al di là della stampa quotidiana (nazionale e periferica), il regime predispose anche una serie
di organi specializzati nella specifica caccia agli ebrei.
▪ Il quindicinale «La difesa della razza», il cui primo numero uscì il 5 agosto del 1938, sotto
la direzione di Telesio Interlandi e il segretario di redazione Giorgio Almirante. A questa
rivista collaborarono molti autori della stampa fascista e i più noti scrittori antisemiti;
la sua diffusione nelle scuole (di tutti i gradi), fu raccomandata inoltre dal ministro
dell'educazione nazionale Bottai;
▪ «Il diritto razzista», il cui primo numero uscì nel maggio-giugno del 1939, diretto da
Stefano Maria Cutelli;
▪ la «Rivista mensile del Consiglio superiore e della Direzione generale per la demografia e
la razza» aveva carattere ufficiale; era condotta infatti dal direttore della Demorazza
Antonio Le Pera.
Il censimento degli ebrei fu attuato a partire dal 22 agosto 1938 allo scopo di quantificare (o
meglio, schedare) il numero degli ebrei che si trovavano in Italia, come premessa per
l'emanazione di una speciale normativa. I motivi di tali operazioni, nonostante il censimento
della popolazione del 1931, sono:
▪ presenza di molti ebrei stranieri in Italia dopo il 1933, ovvero dopo l'avvento del
nazismo; infatti, il nostro paese era diventato meta di transito o di residenza per quegli
ebrei che furono costretti a lasciare la Germania;

16
▪ Il censimento del 1931 registrava gli ebrei in quanto appartenente alla confessione
ebraica, non sotto altri profili (per l'appunto quello razziale);
▪ gli elenchi degli iscritti appartenenti alle comunità ebraiche rispecchiavano
parzialmente i dati richiesti, perché non tutti gli ebrei erano iscritti alle comunità (gli
ebrei stranieri e recentemente arrivati in Italia).
Da segnalare altre due caratteristiche a proposito di questo censimento:
▪ estensione dell'appartenenza ebraica al di là dei consueti dati censuari, in modo da
ricostruire genealogie e gruppi familiari al di fuori di regole comunitarie
▪ segnalazione di appartenenza al Partito Nazionale Fascista e di riconoscimenti
patriottici;
Il numero di ebrei che risiedevano nel territorio del Regno d'Italia all'atto del censimento e
risultava essere 58.412 unità, delle quali 48.032 e 10.380 stranieri residenti in Italia da oltre sei
mesi (l'1.1 per 1000 della popolazione complessiva). In ordine, rispetto al complesso del totale
della popolazione: Roma, Milano, Trieste, Torino, Livorno, Firenze, Genova, Venezia e così via;
rispetto alla popolazione locale, l'ordine è: Trieste, Livorno, Roma, Milano, Venezia, Firenze,
Torino, Genova.
«Informazione diplomatica» n.18 del 5 agosto 1938
▪ «discriminare non significa perseguitare» è l'affermazione chiave di tale testo; secondo
l'autore attribuibile a Mussolini in persona.
▪ Tale documento esprime la preoccupazione di tranquillizzare gli ambienti ebraici e
soprattutto l'opinione pubblica internazionale.
ISTRUZIONE
Renzo decreto-legge 5 settembre 1938 (n. 1390) Provvedimenti per la difesa della razza nella
scuola fascista
▪ il decreto-legge firmato dal ministro dell'istruzione Bottai decretava l'esclusione con
effetto immediato dall'insegnamento nelle scuole statali o parastatali, in ogni ordine e
grado di «persone di razza ebraica»;
▪ divieto di iscrizione agli stessi istituti scolastici di alunni di razza ebraica;
▪ estromissione dalle Accademie e dagli istituti di cultura di persone di razza ebraica.
Renzo decreto-legge 26 settembre 1938 (n. 1630)
▪ creazione nelle scuole elementari statali di sezioni speciali per gli alunni ebrei;
▪ Le comunità ebraiche avevano la facoltà di istituire le proprie scuole elementari;
La ragione per cui le prime misure antiebraiche riguardarono la scuola fu quella di incidere su
un settore istituzionale di carattere e di rilevanza strategica. Si attribuiva un ruolo
fondamentale alla scuola come istituzione basilare della trasformazione politico culturale di cui
la campagna per la razza era parte integrante. La scuola diveniva strumento per la circolazione
del "verbo" razzista. I testi scolastici furono resi conformi alla svolta razzista e la difesa della

17
razza entrò a far parte integrante del Primo e Secondo libro del fascista, i quali circolavano in
tutte le scuole, sin dalla scuola elementare.

Regio decreto-legge 7 settembre (n.1381) relativo a Provvedimenti nei confronti degli ebrei
stranieri
▪ «divieto agli stranieri ebrei di fissare stabile dimora nel regno, in Libia e nei
Possedimenti dell’Egeo»;
▪ revoca della cittadinanza italiana concessa a «stranieri ebrei posteriormente al 1°
gennaio 1919»;
▪ obbligo per gli stranieri ebrei che si trovassero nei possedimenti del Regno
(posteriormente al 1° gennaio 1919), di abbandonare questi territori entro sei mesi.
Dichiarazione sulla razza il 6 ottobre 1938 dal Gran Consiglio del fascismo -> preannunciò il
quadro organico degli interventi di imminente emanazione
I. divieto di matrimonio tra italiane e italiani e appartenenti a razze non ariane;
II. espulsione degli ebrei dal Partito nazionale fascista (resa effettiva il 19 novembre 1938);
III. divieto per gli ebrei di «essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che
impieghino cento o più persone» o «essere possessori di oltre 50 ettari di terreno»;
IV. divieto di prestare servizio militare;
V. allontanamento degli impieghi pubblici;
VI. speciale regolamentazione per l'accesso alle professioni.

➔ Gli ebrei venivano privati dei diritti politici e limitati i loro diritti civili.
Per il legislatore fascista l'ebreo è:
▪ colui che nasce da genitori entrambi ebrei;
▪ colui che nasce da padre ebreo e da madre di nazionalità straniera;
▪ colui che, pur essendo nato da un matrimonio misto, professa la religione ebraica;
▪ non è di razza ebraica colui che è nato da un matrimonio misto, qualora professi altra
religione all'infuori della ebraica, alla data del 1° ottobre 1938.
Venivano esonerati* dalle sanzioni di ebrei di cittadinanza italiana che appartenevano a:
▪ famiglie dei caduti nelle quattro guerre sostenute dall'Italia in questo secolo: libica,
mondiale, etiopica, spagnola;
▪ " dei volontari di guerra nelle guerre predette;
▪ " dei combattenti nelle guerre citate insigniti della Croce al merito di guerra;
▪ " dei caduti per la Causa fascista;
▪ " dei mutilati, invalidi, feriti della Causa Fascista;
▪ " di fascisti iscritti alla Partito negli anni 1919-1922 e nel secondo semestre del 1924 e
famiglie di legionari fiumani;
▪ " famiglia eventi eccezionali meriti da accertare da una apposita commissione.

18
Altre disposizioni:
▪ riconoscimento del diritto alla pensione per gli ebrei che fossero allontanati dai
pubblici impieghi;
▪ creazione di scuole medie ebraiche (oltre a quelle elementari);
▪ «libero esercizio del culto e l'attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti»;
▪ eventuale immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell'Etiopia (ben presto
annullata dal regime);
▪ «Questa eventuale e le altre condizioni fatte agli ebrei potranno essere annullate o
aggravate a seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà nei riguardi dell'Italia
fascista».

Regio decreto-legge n. 1728 del 17 novembre 1938 Provvedimenti per la difesa della razza
italiana
Capo I: dedicato alle norme matrimoniali
▪ veniva vietato il matrimonio tra il cittadino italiano di razza ariana e persona
appartenente ad altra razza
▪ soggetto a limitazioni il matrimonio tra cittadini italiani e persone di cittadinanza
straniera
Capo II Degli appartenenti alla razza ebraica: si specificavano ulteriori aspetti riguardanti la
capacità giuridica:
▪ riprendeva la definizione riportata nella Dichiarazione della razza
▪ non si poteva prestare servizio militare
▪ era vietato esercitare l'ufficio di curatori di minori o di incapaci non appartenenti alla
razza ebraica
▪ l’ebreo poteva essere «privato della patria potestà sui figli appartenenti a religione
diversa da quella ebraica»
▪ non poteva non avere domestici cittadini italiani di razza ariana e viceversa prestare
servizio alle dipendenze di nessuna amministrazione pubblica civile e militare (dello
Stato, del PNF e così via).
Regio decreto-legge 9 febbraio 1939 n.126
▪ modalità per l'alienazione delle quote di patrimoni immobiliari eccedenti le quote
consentite;
▪ amministrazione delle aziende soggette ai limiti previsti dalla legge;
▪ viene creato l’Ente di gestione e liquidazione immobiliare (EGELI) per la gestione e la
vendita dei beni facenti parte delle eccedenze immobiliari
Regio decreto 21 novembre 1938 (n.2154) firmato dal re -> l'inammissibilità dell'iscrizione al
partito dei cittadini italiani ebrei;

19
Legge 13 luglio 1939 n.1024 -> il ministro dell’Interno possedeva la facoltà di dichiarare «la non
appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello Stato civile».
Legge 29 giugno 1939 n. 1054 Disciplina dell'esercizio delle professioni da parte dei cittadini di
razza ebraica
▪ divieto per gli ebrei di esercitare la professione di notaio e quella di giornalista; esclusi
quelli discriminati, ovvero coloro che appartenevano alle categorie benemerite* -> ciò
valeva anche per la maggior parte delle attività professionali, come quella del medico,
del farmacista e così via.
▪ Ulteriori specificazioni, come il divieto di essere amministratori giudiziari, di essere
revisori ufficiali dei conti;
▪ «vietata qualsiasi forma di associazione e collaborazione professionale tra i
professionisti non appartenenti alla razza ebraica e quelli di razza ebraica».
Legge 19 aprile 1942 n. 517 -> esclusione degli ebrei, compresi quelli discriminati, «da qualsiasi
attività nel campo dello spettacolo».

Considerazioni
▪ l'Italia fu severissima e pignola nelle misure che venivano imposte agli ebrei.
▪ lo studioso Valerio Di Porto, che ha operato una comparazione tra la legislazione
italiana e quella tedesca, dichiara che non esiste in Germania una norma
sull'espulsione generalizzato degli ebrei stranieri come quella italiana del settembre
1938; ciò riguarda anche l'ambito scolastico tedesco.
▪ Nonostante questo, sicuramente fino al 1943, furono meno devastanti le
conseguenze della normativa contro gli ebrei in Italia che in Germania. Funse da
fattore moderatore la relativa consistenza esigua della popolazione ebraica in Italia;
le violenze sino al 1943 rimasero fatti sporadici nel nostro paese.
▪ Agli ebrei italiani non fu imposta alcuna stella gialla o altro segno distintivo.

5. Le leggi contro gli ebrei e la società italiana


La quasi totalità degli ebrei fu sorpresa, esterrefatta, quando incominciò la campagna razzista
nei loro confronti. Soltanto alcuni, si rendevano conto della minaccia che stava incombendo

20
(per esempio sicuramente i redattori dell’Israel); basta leggere la testimonianza di Luciana
Nissim Momigliano15 che fu deportata ad Auschwitz.
Tale reazione non accumulò solo ebrei e non ebrei, ma anche gli ebrei che facevano parte della
comunità e quelli che invece vi rivestivano cariche rappresentative. Alcuni studi parziali e locali
permettono di affermare che gli organismi dirigenti dell’Unione non percepirono pienamente
la portata dei provvedimenti del regime. Eccetto un’attiva minoranza di ebrei di tendenza
antifascista, si deve presumere che il resto della popolazione ebraica non avesse avuto motivi
prendere le distanze dagli orientamenti generali del resto della popolazione, come segno di
conformità con gli orientamenti politici del paese.
▪ Nonostante la pubblicazione del Manifesto della razza, l'organo del sionismo «Israel»
volle continuare a prestare fede al regime fascista, convincendosi che si sarebbe
distinto dal razzismo tedesco; inoltre faceva appello alla tutela con dignità
dell'ebraismo, a mantenere fede ai suoi valori e il suo spirito (richiamandosi all'unità
degli ebrei). Con l'assalto degli ebrei fascisti alla sede del giornale, il prefetto di Firenze
colse l'occasione per chiudere l’«Israel».
▪ L'Unione delle comunità, persino dopo il Manifesto, continuò ad affermare la piena e
assoluta fedeltà degli ebrei italiani a Mussolini, tentando di contestare quello che
affermava la propaganda fascista, ovvero il loro essere tanti italiani e antifascisti.

Le conseguenze per gli ebrei furono, al di là dello sbigottimento, un senso di solitudine e di


progressivo isolamento. La solidarietà vi fu, ma si manifestò di più quando fu in gioco anche la
vita degli ebrei.
Oltre alle già citate normative (vedi capitolo quattro), la situazione degli ebrei deve essere
considerata anche alla luce della normativa gerarchicamente minore ad opera
dell'amministrazione; per esempio, gli ebrei non potevano esercitare l'attività di portierato, il
commercio ambulante; o ricevere l'autorizzazione per l'esercizio delle seguenti attività
commerciali: agenzie d'affari, di brevetti e varie; commercio di preziosi, esercitate fotografica,
piazzisti, commissionari, e tante altre attività. [Vedi elenco pagina 85.]
Sicuramente il settore nel quale fu più immediatamente visibile l'esito della persecuzione fu il
settore della cultura e in modo particolare, della scuola. Tra le motivazioni che spinsero famiglie
di ebrei italiani ad emigrare all'estero vi fu anche la causa della necessità di permettere ai figli
di proseguire gli studi e di accedere a livelli superiori di istruzione. Ancora adesso non
conosciamo esattamente quanti insegnanti ebrei furono esclusi dalle scuole e quanti alunni
ebrei, possediamo però le cifre analitiche per singole località (no dell'intero territorio italiano):
- sul «Giornale della scuola media» fu pubblicato un elenco di presidi e docenti
espulsi dall'Istituto di insegnamento secondario: il totale fu di 177 insegnanti. E
possiamo trarre che:

15
P. 80 del testo.

21
▪ entro la fine del 1938 esistevano (tra quelle già presenti e quelle istituite a seguito della
legislazione razzista) 23 scuole elementari ebraiche e 14 scuole medie e commerciali.
La loro creazione e il loro potenziamento fu possibile solamente nelle comunità che
potevano disporre di maggiori mezzi.
▪ Per quanto riguarda le università italiane, esse furono coinvolte nel processo di
"razzizzazione" della società e della cultura. Gli insegnamenti tradizionali,
(l'antropologia, la demografia, le discipline storico letterarie, l'antichistica e così via),
venivano impregnati del nuovo "verbo" antisemita. L'organizzazione dei giovani
universitari fascisti fu diretta a diventare l'avanguardia di un'aggressiva propaganda
razzista, sfruttando gli entusiasmi giovanili e offrendo ai giovani di emergere nella
stampa universitaria e di precostituirsi in questo modo, carriere politiche.
▪ Da notare inoltre, che i testi di autori ebrei furono proibiti nelle scuole e nelle università.
E nonostante la subordinazione delle autorizzazioni a tradurre autori stranieri ed ebrei
alle prescrizioni del Ministero della Cultura popolare tuttavia non riuscì a impedire
totalmente che negli anni ‘30 si diffondessero anche in Italia autori di grandi letterature
(nordamericana, tedesca).
▪ Con la circolare del Ministero dell'istruzione nazionale del 17 febbraio 1942 venne
invitato gli ebrei di accedere alle biblioteche pubbliche.
➔ Processo di omogeneizzazione della società
A pagina 89, sono elencati i numerosi nomi di docenti universitari, scienziati, medici,
economisti statistici ebrei "espulsi" a causa della legislazione. Vi fu una relativa indifferenza con
qui si realizzò questo processo di espulsione e tra l'altro, da notare è l'arrivismo con il quale
(con poche eccezioni), i posti lasciati vacanti furono prontamente occupati da nuovi docenti.
Molti intellettuali, scienziati, accademici scelsero l'emigrazione: Emilio Segre, Guido Fubini,
Enrico Volterra e tanti altri.
Molti non tornarono non solo perché nel 1945 non vi fu una legge che permise la
reintegrazione nei ruoli, ma per via dell'indifferenza che aveva accompagnato nell'ambiente
accademico scientifico il loro allontanamento. Approssimativamente furono 6000 ebrei a
scegliere di emigrare: in Francia, in Gran Bretagna, nell'America del Nord e nell'America Latina,
in Palestina.
Per quanto riguarda i professionisti ebrei, secondo i dati ufficiali forniti dal sottosegretario
Buffarini Guidi se ne contavano circa 5200. Ancora, fornendo qualche esempio, la ricerca
compiuta da S. Bon per Trieste (l'insediamento ebraico più consistente sul territorio italiano
nel rapporto tra popolazione complessiva e quota di popolazione ebraica) mostra che furono
radiati dall'albo 22 avvocati, quattro furono discriminati; espulsi 55 medici e 30 ingegneri. A
Torino, secondo quanto scrive F.Levi, furono radiati dall'albo 15 medici; espulsi 10 ragionieri,
quattro giornalisti, 37 ingegneri, 30 avvocati e procuratori.
In generale, l'incidenza quantitativa nei settori professionali ha esito assai differenziato, da
settore a settore e da città a città (in base al contesto economico e il numero degli ebrei).
CHIESA CATTOLICA E RAZZISMO

22
▪ Bisogna tenere conto che vi era una consolidata tradizione cattolica di antigiudaismo,
ma elaborata meramente sul piano religioso; si sottolineavano le divergenze sul piano
teologico e lo si vedeva associato, nella polemica contro il mondo moderno, alla
massoneria, al socialismo, al bolscevismo.
▪ La concezione autoritaria dello Stato, le tendenze corporative e la condanna della lotta
di classe aveva portato la Chiesa, fortemente autoritaria gerarchizzata, e il regime, a
una forte convergenza di opinioni e di obiettivi
▪ Ciò che la Chiesa cattolica contestava al Terzo Reich fu il fatto che il nazionalsocialismo,
faceva del razzismo la "nuova religione di Stato16"; attraverso il razzismo e
l'antisemitismo, finiva per incidere anche sulle chiese cristiane e in particolare su quella
cattolica; si limitava in questo modo l'esercizio del culto, lo sviluppo dell'organizzazione
ecclesiale e della rete di proselitismo, le basi patrimoniali e le forme di propaganda e di
espressione attraverso la stampa -> l’Enciclica Mit brennender sorger di papa Pio XI del
marzo del 1937 non va quindi la retta come condanna in generale del
nazionalsocialismo e dell'antisemitismo
▪ in realtà, il Papa intendeva condannare l'antisemitismo ma la sua denuncia non fu
diramata per i contrasti interni alla gerarchia, e per la presenza di residui di
antisemitismo cattolico. Ancora, a fine luglio del 1938, il Papa aveva ribadito l'ostilità
della Chiesa al razzismo, riferendosi esplicitamente alla Germania nazista ma
indirettamente anche all'Italia.
▪ I rappresentanti in Italia di tale antisemitismo erano i clerico-fascisti; essi non
accusavano soltanto gli ebrei di congiura internazionale, ma anticiperanno la
conclusione che nessuna soluzione di una questione ebraica era possibile!
▪ Il governo fascista, a metà agosto del 1938, rassicurò pubblicamente la Santa sede sulla
modellazione degli orientamenti del regime, richiamando in modo subdolo e
strumentale i precedenti della politica ecclesiastica (berretti distintivi, ghetti, confische
di beni).
▪ Ciò che interessava al regime era che gli organi ecclesiastici, stampa compresa, si
astenessero dal prendere pubblicamente posizione sull'argomento.
Ciò che ostacolava ad una decisa presa di posizione contro la persecuzione in Germania:
▪ convinzione del pensiero dei cattolici della natura distruttiva dell'ebraismo e l'esistenza
di una congiura internazionale da parte degli ebrei;
▪ Insofferenza contro la presenza ebraica e talvolta contro la loro super rappresentatività
in alcuni settori.

16
si ricorda che nel luglio del 1933 i nazisti firmarono il concordato con la Chiesa cattolica; tuttavia, il regime
violò ben presto le clausole e associazioni e giornali cattolici vennero fatti chiudere; anche il partito cattolico
Zentrum venne fatto sciogliere. Dichiarazione emblematica del Fuhrer è stata «:"Ciò (il "Reichskonkordat",il
concordato) non mi impedirà di sradicare totalmente il cristianesimo dalla Germania, di eliminarlo in maniera
completa, radicale e definitiva. È una questione decisiva: o il nostro popolo ha una fede ebraico-cristiana, con la
sua morale molle e compassionevole, oppure una forte ed eroica fede nel dio della natura, nel dio del proprio
popolo, nel dio del proprio destino, nel dio del proprio sangue [...] Non è possibile essere cristiani e tedeschi
insieme.»

23
La Chiesa, senza astenersi a punti di vista tradizionali della cultura cattolica che riflettevano
giudizi e pregiudizi contro gli ebrei, manifesta ostilità all'antisemitismo nella versione che ne
aveva tradotto il razzismo nazista, ma non escludeva che potesse consentire, come dimostrava
l’approvazione a misure recenti del governo ungherese, a forme di discriminazione che non
sfociasse in una legislazione speciale o in pesanti persecuzioni.
Non vi fu alcuna protesta per l'emanazione delle leggi razziali, ma la Chiesa si preoccupò di far
sì che le conseguenze di ess non si riversasse sugli ebrei convertiti, mettendo in rilievo la
questione religiosa -> La questione per la Santa sede era rappresentata dai matrimoni misti in
cui uno dei coniugi fosse di religione cattolica (convertiti compresi). L'intervento del Vaticano
consentì di ottenere modifiche a favore degli ebrei battezzati e dei figli battezzati di matrimoni
misti.
Ebrei stranieri
▪ una buona parte di loro era giunta dopo il 1933 (con l’emanazione delle leggi razziste)
dalla Germania nazista e poi dall'Austria (annessa al terzo Reich nel marzo del 38). Nel
mese di ottobre del 1938 si trovavano nel Paese 9699 ebrei con cittadinanza straniera;
▪ I cittadini ebrei tedeschi giunti in Italia se restituiti, rischiavano di finire in campo di
concentramento;
▪ La possibilità che l'"esodo" degli ebrei fosse facilitato dalle autorità di polizia dipendeva
spesso dalle autorità locali;
▪ tentavano anche espatri illegali con il crescere dei comportamenti discrezionali o
permanenze clandestine per non rendere nota la loro presenza.

24
6. La guerra e l'ulteriore progressione dell'emarginazione degli ebrei
All'approssimarsi dell'intervento in italiano nel secondo conflitto mondiale, vi fu un progressivo
inasprimento della persecuzione contro gli ebrei. Uno dei segnali in questo senso fu
l’aggravamento della campagna di stampa contro gli ebrei.
▪ La causa del conflitto fu ricondotta agli stessi ebrei facendo riferimento alla congiura
che gli ebrei avrebbero organizzato.
Giovanni Ansaldo, pubblicista di regime e direttore del «Telegrafo» di Livorno si
accanì contro gli ebrei, riesumando l'immagine della viltà degli ebrei che tramano
nell'oscurità.
Giovanni Preziosi, nella sua rivista «La vita italiana» esprimeva senza sosta il suo
odio contro gli ebrei [vedi p.103]
La propaganda agì inoltre attraverso la radio, attraverso i manifesti sui muri per le strade,
attraverso le cartoline pubblicitarie, nelle circolari dirette di uffici e alle scuole e così via.
La propaganda di guerra demonizzò l'ebreo, lo rese capro espiatorio, bersaglio delle ostilità
della popolazione; e ciò come mezzo per rafforzare la solidarietà attorno al fascismo. L'ebreo
non era soltanto nemico interno, ma ora esterno.
Circolare del 16 maggio 1940 -> il ministero dell'Interno prevedeva in caso di guerra,
l'internamento dei sudditi di Stati nemici, una norma di carattere generale che rientrava negli
usi di tutti gli Stati belligeranti; specificava ulteriormente che tutti gli ebrei stranieri dovevano
essere internati.
Comunicazione del 26 maggio 1940 del sottosegretario Buffarini Guidi al capo della polizia
Bocchini: «il duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per gli ebrei,
in caso di guerra».
➔ Circolare del 27 maggio 1940 -> si prescriveva in caso di emergenza e per la loro
pericolosità, l'internamento anche degli ebrei italiani. Si sarebbe proceduto poi, entro
una decina di giorni alla compilazione dei relativi elenchi, salvo poi formulare separate
proposte per i «casi che presentano un effettivo pericolo per l'ordine pubblico».
Circolare del 6 giugno 1940 -> si specificava il concetto di pericolosità degli ebrei da proporre
per l'internamento: «pericolosità ebrei italiani internare deve essere esaminata anche di
riguardi loro capacità propaganda disfattista e attività spionistica»
Gli ebrei stranieri avrebbero dovuto essere mandati in appositi campi di concentramento, divisi
da quelli italiani; quest’ultimi sarebbero stati internati con gli elementi considerati pericolosi,
come gli antifascisti. Togliere dalla circolazione alcuni di loro esponenti serviva:
▪ per evidenziare il loro pericolo potenziale;
▪ per intimidire l’intera popolazione ebraica;
▪ concentrare su di loro l'odio che si doveva rivolgere al nemico interno.
Il più grande dei campi di concentramento per ebrei stranieri fu quello di Ferramonti di Tarsia,
in provincia di Cosenza, che incominciò a operare il 29 giugno 1940. Questo fu uno dei pochi

25
campi costruiti appositamente per la loro funzione, (tipologia del campo di baracche mutuata
dai campi per prigionieri di guerra), e che non sfruttarono strutture preesistenti, (vecchie
caserme, fabbriche o edifici dismessi) come avvenne nella maggioranza dei casi. Nell'estate del
1943 il numero degli internati raggiungeva il 2000. Questo campo sul primo ad essere liberato
dalle forze angloamericane nel settembre del 1943.
I luoghi, definiti ufficialmente come “campi di concentramento”, furono 51 come luoghi di
internamento; mentre oltre 250 furono i luoghi del cosiddetto "internamento libero”, nei quali
gli internati erano obbligati a risiedere in determinate località. In origine nati come campi per
ebrei, molti di essi finirono per ospitare deportati provenienti da varie zone cadute sotto
dominazione italiana (soprattutto dai Balcani), ma anche ebrei ed antifascisti italiani. Questo
“genere” di campi erano sottoposto alla giurisdizione del Ministero dell'Interno, attraverso
unità dei corpi di polizia.
Altri campi invece, sorti durante il conflitto, furono posti sotto la giurisdizione del Ministero
della Guerra e delle Forze armate, destinati all'internamento di militari e civili dei territori
occupati, catturati come partigiani o nelle azioni di rastrellamento intraprese per tentare di
ricostituire l'autorità italiana in zone in cui vi era stata ribellione da parte della popolazione
locale; si internavano coloro che erano oppositori del regime. Il più grande di questi campi fu
quello di Renicci (Arezzo) in un secondo momento sottoposto alla giurisdizione del Ministero
dell'interno.
Infine, un’altra tipologia di campo è quello per i prigionieri di guerra.
L'evoluzione della situazione interna e militare durante il conflitto fece sì che progressivamente
le rigide distinzioni tra i vari tipi di campi si andassero attenuando.
I campi di concentramento si collocavano principalmente nell'area centro meridionale
dell'Italia, soprattutto tra la Toscana, le marche e la posso, la campagna e la Puglia, in località
lontane dai confini settentrionali del regno e dalle reti di comunicazione di facile accessibilità.
Le categorie di soggetti alla restrizione della libertà personale furono:
▪ gli ebrei stranieri
▪ una parte di quelli italiani
▪ gli zingari italiani (per quelli stranieri era prevista l'espulsione)
▪ gli antifascisti, suddivisi in «allogeni», ovvero gli appartenenti a minoranze nazionali
sotto la sovranità italiana (gli slavi della Venezia Giulia); quelli condannati dal tribunale
speciale; i sudditi di Stati nemici.
Il numero degli ebrei stranieri in Italia nel maggio del 1940 era 4000, ma non sappiamo
effettivamente quanti ne furono internati.
Gli ebrei italiani internati nei campi di concentramento furono molto meno, ma neppure di loro
si conosce la cifra esatta. Oggi le stime attestano un numero variabile tra le 300 e le 400 unità
internati nei campi di concentramento.
Allo scoppio della guerra diverse centinaia di ebrei italiani, secondo le testimonianze custodite
presso l'archivio centrale dello Stato, scrissero alle autorità e al duce in persona per esternare

26
la loro volontà di enunciarsi come volontari per combattere nel conflitto. Con la circolare del 6
marzo 1942, si stabilì tuttavia che «con disposizione ministeriale odierna appartenenti razza
ebraica anche se discriminati di età dai 18 ai 55 anni compresi sono sottoposti precettazione a
scopo di lavoro», dichiarando quindi l'impossibilità per gli ebrei di partecipare alla guerra, se
non in vista della produzione dell'apparato bellico. Con ulteriori disposizioni, gli ebrei potevano
essere unicamente, salvo eccezioni, «a lavori manuali, salvo previo accertamento -in casi
dubbi-della loro idoneità fisica».
Agli ebrei, che erano stati accusati di essere la causa dello scatenamento del conflitto, ora si
rinfacciava l’assenza lo sforzo bellico.
In realtà, la precettazione, che ebbe scarso esito, servì essenzialmente ad aggiornare le liste sulla
presenza degli ebrei in Italia; divenne ulteriore strumento per il regime fascista. L'operazione fu
fallimentare per diversi motivi: gli ebrei vennero considerati inadatti a lavori manuali pesanti;
eccesso di manodopera; insostituibilità degli ebrei dai loro posti di lavoro; maggiori vincoli per
gli ebrei stessi; impossibilità di tenere gli ebrei separati dai lavoratori «ariani» e così via. In
sostanza, furono poco più di 10.000 gli ebrei effettivamente mandati al lavoro coatto.
Alla vigilia del crollo del regime fascista, fu sancita la mobilitazione totale degli ebrei, compresi
quelli appartenenti a famiglie "miste", per il lavoro obbligatorio in campi di concentramento.
Veniva allargata la fascia delle classi chiamate al lavoro obbligatorio (20 giugno 1943, Ministero
delle Corporazioni) -> 1907-1925. La novità però era la decisione di avviare gli ebrei al lavoro
in speciali campi sotto sorveglianza delle autorità di polizia, veri e propri campi di
concentramento.
Nei territori d'occupazione (Francia, Grecia, Jugoslavia) il confronto e la collisione con la politica
nazista era inevitabile. In generale, è vero che le forze armate e la diplomazia italiana non
condivisero la politica persecutoria il cui fine ultimo sarebbe stato lo sterminio, attuata dai
tedeschi; ma di una ferrea opposizione dell'Italia alla politica nazista non si può parlare.
La questione si pose per il Ministero degli Esteri italiano nel momento in cui l'inasprimento
delle misure antiebraiche adottate dai tedeschi nella Francia occupata (primavera del 1942)
propose il problema se la legislazione potesse applicarsi anche agli ebrei cittadini italiani. Il
regime fascista negò tale proposta, e così i nazisti dovettero consentire ad esonerare gli ebrei
cittadini sia dall'imposizione della stella gialla, sia dalla deportazione verso l'est dell'Europa a
condizione che l'Italia provvedesse entro il 31 marzo del 1943 a richiamare in patria e a
rimpatriarli. Formalmente, tale procedura doveva riguardare anche gli ebrei italiani nei territori
occupati dell'Europa centro-orientale ma di fatto, non fu così per via dell'impossibilità di
accertare quanti e dove essi fossero.
Per quanto riguarda la Grecia, territorio sottoposto a duplice occupazione italiana e tedesca,
la il problema riguardò la comunità ebraica di Salonicco, costituita anche da ebrei italiani.
➔ Il consolato italiano sollevò il problema della tutela dei cittadini italiani ancorché ebrei
➔ Le autorità tedesche però sospettavano che gli ebrei greci, per evitare la deportazione,
chiedessero di acquisire la cittadinanza italiana.

27
➔ Alla fine, l'Italia “salvò” tutti propri cittadini, tranne un numero incerto di essi che già
erano stati deportati e riuscì a coprire un numero esiguo di operai che vengono
richieste la cittadinanza, nonostante le contestazioni dei tedeschi (fino, purtroppo,
all'armistizio dell'8 settembre 1943).
La questione si prospettava diversa per gli ebrei stranieri nelle zone sottoccupazione dell'Italia.
La tendenza generale è quella di non consegnare gli ebrei che si rifugiavano sotto la protezione
dell'Italia ai tedeschi; tuttavia non vennero sottratti a misure restrittive, a maggior ragione poi
quando entrassero nel territorio dello Stato italiano.
➔ Mancanza di una tradizione di antisemitismo militante;
➔ estraneità ad una pratica di razzismo biologico;
➔ scarsa convinzione di militari di dover combattere la guerra come guerra di razza;
➔ orgoglio nel differenziarsi dal comportamento dei tedeschi, rifiutandosi di
sottomettersi all'imposizione del potente alleato.
Su una cosa non c'è dubbio: il governo fascista era conoscenza della cosiddetta "soluzione
finale", ossia del fatto che il terzo Reich aveva condannato di ebrei d'Europa allo sterminio
fisico. Si può discutere soltanto se conoscesse tutti i dettagli dello sterminio pianificato e dove
si arrestavano le sue conoscenze. Fin dall'ottobre del 1942 a Mussolini era stata fornita
personalmente un’informazione da parte del capo delle SS (che era in visita a Roma), Himmler,
principale responsabile con gli uomini del Servizio di sicurezza, dello sterminio [vedi pp.124-
125].
▪ La prima fonte era la stampa internazionale e quella tedesca
▪ è impossibile che al governo italiano e ai suoi servizi di informazione non fosse giunta
tale informazione.
▪ Testimonianze scritte e orali dei militari italiani mandati sul fronte orientale, che
attraversavano la Polonia.
▪ Testimonianze analoghe da personaggi più autorevoli e ufficiali, come quella di Alberto
Pirelli, nei suoi Taccuini.
▪ Canali ecclesiastici, tra cui la Santa Sede, la quale ebbe informazioni più complete e per
certi aspetti più diretta di ciò che stava accadendo, specialmente in Polonia. Il già citato
Alberto Pirelli, nel marzo del ‘43, riferisce che il cardinale Maglione, segretario di Stato
della Santa sede, «quanto alle atrocità commesse in Polonia e dappertutto contro gli
ebrei, le prove che abbiamo sono terrificanti».
▪ L'ambasciatore a Berlino Alfieri inviava a Ciano, ministro degli esteri, un agghiacciante
rapporto in cui si ripercorrono le tappe della lotta contro gli ebrei [vedi pagina 123-
124].

28
7. Continuità e salto di qualità: l'occupazione tedesca e la Repubblica sociale
italiana
L'armistizio dell'8 settembre del 1943 concluso con Gran Bretagna e Stati Uniti, comportò
l'occupazione tedesca dell'intero paese. Questo significò per gli ebrei presenti nel territorio
italiano di essere compresi nell'area operativa della «soluzione finale».
È necessario ricordare che l'antisemitismo ha rappresentato uno dei punti programmatici anche
della neonata Repubblica sociale italiana, riproposta dalla pubblicistica e dalla propaganda.
Inoltre, bisogna far notare che senza la collaborazione delle autorità politiche e di polizia della
RSI la deportazione degli ebrei in Italia verso i campi di sterminio non sarebbe stata
assolutamente possibile. Infatti, gran parte dei provvedimenti contro gli ebrei furono realizzati
mediante all'intervento delle forze occupanti e dei servizi italiani. L'esaltazione della razza
rappresentava uno dei fattori di specificità del nuovo fascismo italiano.
Dopo la liberazione di Roma, la propaganda presentò la vita nel «regno del Sud» come una
parte d'Italia invasa da orde straniere, in cui spesso predominava l'orrore per la figura
deformata nel negro. Quest’ultimo era simbolo delle civiltà inferiori, contaminatore della razza
italica; espressione della degenerazione della cultura contemporanea, come il jazz.
Sin dal Manifesto di Verona del novembre 1943 del Partito fascista repubblicano, gli ebrei
furono espulsi dalla società italiana: non erano più soltanto cittadini illimitati fortemente nei
loro diritti e nel principio di eguaglianza (1° fase del razzismo); furono privati della cittadinanza
italiana e così, in quanto stranieri, gli fu attribuita la cittadinanza degli Stati nemici in guerra con
l'Italia (2° fase del razzismo fascista). Non erano più tutelati giuridicamente da parte dello Stato
italiano e pertanto totalmente nelle mani dei tedeschi.
Con l'ordinanza di polizia del 30 novembre 1943, Buffarini Guidi, ministro dell'interno della RSI,
ordinò il raduno degli ebrei in campo di concentramento, compresi anche i cosiddetti
«discriminati»; formalmente esclusi gli ammalati gravi, i vecchi al di sopra dei 70 anni e gli
appartenenti a famiglia mista. Formalmente, perché nessuno in realtà fu risparmiato. Tale
disposizione da parte del ministro facilitò la cattura degli ebrei da parte dei tedeschi, e non vi
fu alcuna protesta dalle autorità della RSI.
Con decreto legislativo del duce n.171, il 18 aprile 1944 fu creato l’Ispettorato generale per la
razza della RSI, a capo di Giovanni Preziosi. Il tentativo di quest'ultimo di far approvare il suo
progetto di una nuova legge sulla razza di carattere esplicitamente biologistico (includendo la
categoria del meticcio) fallì. Va smentita la teoria (avanzata da Buffarini Guidi e riproposta da
De Felice), secondo la quale i peggiori provvedimenti contro gli ebrei sarebbero dovuti allo
stesso Preziosi.
L’11 ottobre 1943 il «Corriere della Sera», come altri organi di stampa, annunciava l’adozione
di nuovi provvedimenti che avrebbero messo «definitivamente gli ebrei in condizione di non
potere più nuocere agli interessi nazionali». Le Norme relative ai limiti di proprietà immobiliare
e di attività industriale e commerciale per i cittadini italiani di razza (rdl 9 febbraio 1939-XVII, n.
126) venivano ora integrate dalle Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di
razza ebraica (decreto legislativo del duce 4 gennaio 1944 n.2).

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➔ Si afferma la loro giuridica incapacità ad essere in alcun modo titolari di beni
patrimoniali
➔ decretata la totale confisca dei beni
➔ si attesta lo zelo persecutorio dell'amministrazione e la funzione demagogica dell'intera
operazione, con lo scopo di rappresentare l'ebreo come profittatore ai danni della
nazione. C'era la volontà di umiliare gli ebrei, enfatizzandone la totale impotenza.
[Vedi esempio pp. 133-137]
L’ultimo decreto del 16 aprile 1945 emanato dal Consiglio dei ministri della RSI decreta lo
scioglimento di tutte le comunità e la confisca dei loro beni, scioglimento di tutte le istituzioni
di assistenza e di beneficenza ebraiche.
L'estensione all'Italia della «soluzione finale» fu una conseguenza dell'occupazione da parte
dei nazisti. L'occupazione permise ai tedeschi di conseguire la deportazione degli ebrei
dall’Italia, che all’epoca del protocollo di Wansee17 (gennaio 1942) non poteva essere possibile
per via dell’alleanza tra Italia e Germania. L’apparato tedesco operò in quasi totale autonomia,
unicamente alle dipendenze di Himmler, del servizio di sicurezza e dei suoi rappresentanti in
Italia (generale Harster). Il sistema d’occupazione tedesca era collocato principalmente nelle
dure aree cosiddette “Zone speciali d’operazione” delle Prealpi e del Litorale Adriatico.

Vennero create appositamente per tenere le forze angloamericane più lontano possibile dalla
parte meridionale del Reich e ad impedire il dilagare della guerriglia dei partigiani slavi,
garantendo le vie di comunicazione alle forze tedesche verso il teatro di guerra dei Balcani.
Inoltre, vi era l’obiettivo di predisporre a guerra conclusa il passaggio di queste aree alla
sovranità tedesca.
▪ Provincia italiana di Bolzano: predisposta ad essere compresa nel Reich, annullando
anche il compromesso per le opzioni degli alto-atesini di lingua tedesca che regime
nazista aveva dovuto concludere nel 1939 con il regime fascista.

17
La conferenza di Wannsee fu una riunione in cui alti ufficiali e burocrati nazionalsocialisti vennero messi al
corrente della "Soluzione finale della questione ebraica" e vennero sollecitati a coordinarne l'attuazione.
L'incontro si tenne il 20 gennaio 1942. [Wikipedia]

30
▪ Venezia Giulia: conflitto di nazionalità tra i fascisti e le minoranze slave annesse al regno
d’Italia nel 1918; i tedeschi si ersero a difensori delle minoranze slave, con lo scopo di
“rivitalizzare” il porto di Trieste e di riaggregare le vecchie province asburgiche al
Grande Reich germanico.
➔ Zona d'operazione del Litorale adriatico (Udine, Trieste, Gorizia, Fiume, Pola + Lubiana)

Supremo commissario Friedrich Rainer


Capo supremo delle SS e della polizia Odilo Globocnik18
➔ Zona d'operazione delle Prealpi (prov. Trento, Belluno, Bolzano)

Supremo commissario Franz Hofer

Capo supremo delle SS e della polizia /

Nelle aree occupate la caccia agli ebrei fu affidata, secondo disposizioni usuali, all’Ufficio IV B
della centrale della Sicurezza del Reich attraverso gli inviati diretti da Eichmann che ad essa
era preposto.
Agli inizi di ottobre del ‘ 43 era giunto in Italia, come inviato di Eichmann, il colonnello delle
SS Theo Dannecker, il quale con Kappler sarebbe stato responsabile del noto rastrellamento
del ghetto di Roma del 16 ottobre. Da gennaio del ‘44 subentrò a Dannecker come
responsabile della deportazione Friedrich Bosshammer; alle sue dipendenze agirono gli
ufficiali ai comandi di Firenze, di Genova, di Milano, di Roma, di Torino, di Bologna, di Padova,
Parma, Perugia, Venezia. Le operazioni coinvolsero quindi autorità e uffici, di prefettura ma
anche di quelli comunali, della RSI.
Gran parte degli ebrei furono mandati dei campi di sterminio, dopo essersi fermarti nei campi
di concentramento allestiti in Italia.
A) Campo di Fossoli (nei pressi di Carpi, in provincia di Modena): prima campo di
prigionia, dal dicembre del 1943 divenne campo di concentramento per gli ebrei; da
qui partì il contingente più numeroso alla volta della deportazione. Circa la metà di
tutti gli ebrei deportati dall’Italia transitarono in questo campo. La struttura era un
preesistente campo per prigionieri di guerra gestito dall’esercito italiano. All’inizio
gestito dalla RSI, a partire dal marzo del 1944 passò direttamente nelle mani tedesche;
questo sino all’agosto dello stesso anno, quando all’avvicinarsi del fronte appenninico,
si decise di trasferire gli internati non ancora deportati in Germania e quelli nuovi, nel
nuovo campo di Gries-Bolzano (B). Quest’ultimo attivo fino all’arrivo degli Alleati
nell’aprile del ’45.
C) Risiera di S. Sabba (Trieste): entrò in attività nell’autunno del ’43 e rimase attivo fino
all’aprile del ‘45. Fu l’unico dei campi allestiti nell’area dei confini dello Stato italiano
del 1939 dotato di un forno crematorio; il numero di ebrei uccisi fu esiguo (più che

18
Odilo Globocnik: generale e politico austriaco, di nazionalità slovena trasferitosi a Trieste. Ufficiale delle SS e
supervisore della costruzione di diversi campi di concentramento in Polonia, fu uno dei maggiori responsabili
dello sterminio di milioni di ebrei [Wikipedia]. Aveva, sotto la sua giurisdizione la sorveglianza della Risiera di S.
Sabba, campo di concentramento di transito e campo di sterminio.

31
altro vi transitarono), perché la parte più consistente delle vittime furono antifascisti
italiani, sloveni e croati.
D) Campo di Borgo S. Dalmazzo (Cuneo): venne aperto nel settembre del ‘ 43 e chiuso
definitivamente nel febbraio del ‘ 44, poiché gli ebrei qui internati furono trasferiti a
quello di Fossoli. All’inizio, destinato ad accogliere gli ebrei che dalla Francia occupata
avevano tentato di spostarsi entro i confini italiani.
[Vedi tabella pagina 145, dove vi sono raccolti i dati (non definitivi) forniti dalle ricerche del
Centro di documentazione ebraico contemporaneo (CDEC)bisogna tenere in considerazione
degli spostamenti individuali, di intere famiglie, che si verificarono soprattutto dopo
l’armistizio]
La maggioranza degli ebrei deportati dall’Italia fu mandata ad Auschwitz; altri campi di
sterminio che ospitarono gli ebrei furono Bergen-Belsen, Ravensbrück, Buchenwald,
Flossenbürg, Dachau, Mauthausen e così via.
I campi in Italia non furono di sterminio ma servivano come anticamera dello sterminio. In
realtà, gli eccidi di ebrei avvennero fuori dei campi, come quelli accaduti a Meina, o nelle
vicinanze del Lago Maggiore; noto è l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il numero totale delle
vittime (deportate e vittime di eccidi) tra quanti risiedevano in Italia ammonta, secondo le
ricerche del CDEC a 6291; soltanto 837 deportati sopravvissero. Inoltre, dei 1820 ebrei delle
isole del Dodecanneso, in quel momento sotto sovranità italiana, soltanto 180 sopravvissero.
La percentuale in sostanza è circa del 20-22%.
In comparazione comunque con altri paesi dell’Europa occidentale, le perdite di ebrei
nell’Italia furono inferiori. È da richiamare l’alto livello di assimilazione e di integrazione degli
ebrei italiani che favorì la possibilità di trovare soccorso presso le componenti della società
italiana. Questo anche nel campo della pubblica amministrazione. Inoltre, molti ebrei furono
aiutati non tanto per senso di umanità ma per il timore delle conseguenze nel caso in cui la
Germania nazista e la RSI fossero state sconfitte.
Da ricordare che sin dalla fine del 1939 con la collaborazione dell’Unione delle comunità
nacque la Delegazione assistenza immigrati, con sede a Genova, che aveva lo scopo di
assistere gli ebrei stranieri in Italia e di agevolarne il transito per recarsi fuori dal paese
(specialmente in America e in Palestina). Ovviamente, dopo l’8 settembre la Delegazione
divenne illegale e si trasformò in ancora di salvataggio per gli ebrei sia stranieri che italiani.
Essa venne sostenuta dalle autorità ecclesiastiche, che si assunsero il compito di gestire i beni
e gli impegni di soccorso dell’organizzazione (in particolar modo a Firenze e a Genova), grazie
all’aiuto di alti prelati. Il salvataggio consisteva più che altro in forme di assistenza collettiva
in istituzioni (conventi, ospizi, opere di assistenza e di beneficenza) maggiormente protette
dall’irruzione di fascisti e tedeschi; e nei conventi romani adiacenti al Vaticano o coperti
dall’extraterritorialità. Da parte della Santa sede tuttavia, non risulta documentato alcun
intervento generale a favore del soccorso degli ebrei.
Non va dimenticato che, secondo le stime, circa 5000 persone riuscirono a mettersi in salvo
rifugiandosi in Svizzera, partendo dall’Italia settentrionale o dall’area centrale
subappenninica.

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8. Il bilancio della tragedia. Gli ebrei in Italia dopo il 1945.
Dappertutto sul territorio liberato tra i primi atti del governo militare alleato e degli organismi
del Comitato di liberazione nazionale (CLN) vi fu la riapertura delle comunità israelitiche e del
tempio, che erano stati chiusi in seguito all’occupazione.
Tra le clausole dell’armistizio concluso tra il governo Badoglio e le forze anglo-americane vi
era l’abrogazione delle leggi razziali. Nei fatti, l’abolizione degli effetti delle discriminazioni
di poté avvenire soltanto con nuove procedure, ossia provvedimenti amministrativi, atti
della magistratura e simili, che restituivano ai soggetti diritti, prerogative e attribuzioni
anche patrimoniali. Non vi fu alcun atto solenne che riconoscesse il torto commesso dello
Stato italiano ai danni di tanti individui.
In seguito alla Liberazione l’iter per l’abrogazione delle leggi antiebraiche era appena
abbozzato: le forze politiche non avevano compreso la sensibilità del significato che una forte
dichiarazione avrebbe potuto dare anche in senso polemico come segnale di rottura con il
passato regime. Soltanto il 20 gennaio 1944 il governo Badoglio adottò il primo
provvedimento abrogativo generale; tuttavia, come ha evidenziato Mario Toscano nei suoi
studi, la sua attuazione definitiva doveva protrarsi per molti decenni ancora.
Al conteggio delle vittime delle persecuzioni si aggiungevano le conseguenze che erano state
prodotte dai Provvedimenti e le Nuove disposizioni che riguardavano i beni patrimoniali,
individuali o collettivi delle comunità: furti e rapine furono commessi, soprattutto di opere
d’arte o oggetti spendibili sul mercato antiquario da coloro che erano addetti alla confisca dei
beni degli ebrei.
Un altro problema da considerare è quello della reintegrazione degli ebrei. Le cronache ci
mostrano come la riassunzione dei posti di lavoro degli ebrei che erano tornati dai campi fu
un processo lento, che incontrò notevoli difficoltà, e nel quale si vede la partecipazione da
parte di funzionari che spesso erano gli stessi che avevano eseguito l’allontanamento di
colleghi o la confisca dei beni patrimoniali. Anche i governi democratici non si impegnarono
nel processo di reintegrazione e furono poco disponibili a compiere gesti politici di pubblica
rilevanza. E le norme promulgate, come quella del 16 gennaio 1978 n.1 che prevedeva il
risarcimento del «pregiudizio morale», ebbero attuazione parziale o addirittura nulla.
Inoltre, le integrazioni o i risarcimenti patrimoniali non avvennero in automatico e numerose
furono le difficoltà dei proprietari per riottenere quanto loro apparteneva. Soprattutto se
riguardavano i beni mobili, soprattutto nel caso di beni di valore artistico o antiquariale. Molti
oggetti d’arte e di antiquariato finirono al mercato nero e molti patrimoni furono dispersi. E
soltanto nel 1998 il governo italiano, conformandosi a un quadro di iniziative internazionali,
e costituì una commissione apposita. Nell’aprile del 2001 la Commissione, presieduta
dall’onorevole Tina Anselmi, ha consegnato un Rapporto generale nel quale sono state
ricostruite le diverse procedure adottate per il sequestro dei beni ed è stata esaminata
ampiamente la casistica.
Incompleto rimase per molti anni il censimento di coloro che erano stati deportati e che non
tornarono più dai campi di sterminio: poco più del 10 % rientrò in Italia. Gli ebrei che dopo la

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Liberazione si trattenevano nei campi profughi italiani o che furono raccolti tra le displaced
persons provenivano il più delle volte da tutte le parti d’Europa e transitavano dall’Italia nella
speranza di proseguire per altre mete.
Oggi siamo a conoscenza del numero approssimativo di ebrei deportati dall’Italia, dei
deceduti e di coloro che sono sopravvissuti; e tali informazioni saranno suscettibili di ulteriori
precisazioni via via che le ricerche renderanno possibile l’acquisizione di altre notizie. Grazie
agli organismi di ricerche e di studio dell’ebraismo italiano è stato possibile tentare il
censimento delle perdite da esso subite; importantissimo l’aiuto di Massimo Adolfo Vitale,
esponente dell’Unione delle comunità, il quale fu preposto al primo Centro di ricerche degli
ebrei deportati. Fonte di ricerca furono anche i processi a carico dei responsabili dello
sterminio. Dei 40.000 ebrei che vivevano in Italia prima dell’8 settembre del 1943, sappiamo
che i deportati dal territorio metropolitano furono 6806 (di cui 5969 deceduti e 837
sopravvissuti; inoltre, vi furono 1820 deportati dal Dodecanneso, di cui solo 179 persone
sopravvissero. Questi dati indicano un’incidenza del 15% di perdita di popolazione ebrea
italiana. Oggi gli ebrei residenti in Italia risultano circa 35.000. Vi fu l’accorpamento di centri
ebraici minori nelle sedi comunitarie principali, in reazione alla dispersione provocata dalle
persecuzioni e dalla riaggregazione in base alle socioeconomiche dei nuovi aderenti.
Nel ritorno con la Costituzione repubblicana del 1948 allo Stato laico, si ripresentò al
problema di restituire uguaglianza di trattamento alle confessioni religiose e di sottolineare
che il culto professato dai singoli cittadini non doveva in alcun modo minare la loro
eguaglianza dinanzi alla legge. Dopo la revisione del 1984 del Concordato con la Santa Sede,
fu possibile stabilire i rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose.
Lo Statuto dell’ebraismo italiano (regola quindi l’Unione delle comunità), venne approvato
nel dicembre del 1987 da un Congresso straordinario dell’Unione, contestualmente all’Intesa
con lo Stato italiano del 27 febbraio 1987 (diventa legge l’8 marzo del 198919). Con l’Intesa,
l’Unione rivendicava la propria autonomia organizzativa, e richiedeva garanzia del
riconoscimento da parte dello Stato dell’effettiva eguaglianza delle confessioni; veniva
inoltre, chiesta allo Stato, per esempio, la tutela del diritto alla libertà religiosa e al libero
esercizio del culto; il riconoscimento delle festività ebraiche; il riconoscimento delle scuole
ebraiche e rispetto delle istituzioni comunitarie e della loro democrazia interna, e così via.
Una seconda Intesa fu stipulata il 6 novembre 1996 tra il governo della Repubblica italiana e
l’Unione delle comunità ebraiche italiane a modifica integrazione dell’intesa del 1987.
▪ Viene regolata la questione della partecipazione dell’Unione delle comunità, al pari
delle altre confessioni religiose «alla ripartizione della quota pari all’8 × 1000
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche».
▪ Con tale atto l’Unione si impegna a destinare le somme devolute dallo Stato alle
«attività culturali, alla salvaguardia del patrimonio storico, artistico e culturale;» e ad
«interventi sociali e umanitari rivolti alla tutela delle minoranze contro il razzismo e
l’antisemitismo».

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http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/norme/89L101.html

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