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π HUMAN RESOURCESπ
Formazione informaticaπ
Knowledge managerπ
LA FORMAZIONE INFORMATICA:
CENERENTOLA DELLE INIZIATIVE
AZIENDALI, MA “COSÌ FAN TUTTI”
sintesi
L
e ICT possono manifestare i vantaggi legati alla loro
adozione solo se questa si trasforma in assimilazione.
Una delle leve che il responsabile della funzione
PAOLA BIELLI sistemi informativi (CIO) può utilizzare per passare
Ricercatore presso l’Istituto di
Organizzazione e Sistemi Informativi, dall’adozione all’assimilazione è la formazione informatica.
Università Bocconi Obiettivo di questo studio era capire quali fossero le
determinanti del ricorso alla formazione informatica da parte
ANDREA PAGLIARI dei CIO e quali impatti percepiti abbia avuto. In particolare:
Docente dell’Area Sistemi Informativi,
SDA Bocconi
1. Qual è la propensione al ricorso alla formazione
informatica per fini gestionali da parte dei CIO?
2. Quali sono le determinanti, gli elementi facilitatori
STEFANO BASAGLIA
Assegnista di ricerca presso l’Istituto di e gli ostacoli della formazione informatica nelle aziende?
Organizzazione e Sistemi Informativi, 3. Quanto sono considerati esplicitamente nei processi
Università Bocconi
decisionali i legami causa-effetto delle iniziative di formazione
informatica? Lo studio ha cercato di rispondere sulla base
RICCARDO BECAGLI
Direttore generale di CFI Group & GPF di un campione di aziende del settore sanitario.
Dall’analisi dei dati è emerso che 1. la propensione
alla formazione informatica delle aziende osservate è bassa;
2. la razionalità delle scelte di investimento è solo
uno tra i numerosi fattori che promuovono questa attività;
3. i processi decisionali sull’investimento in formazione
informatica non sembrano vincolati da ostacoli espliciti
e riconoscibili, quanto piuttosto influenzati da un contesto
di razionalità superficiale, se non limitata, al cui interno
la formazione viene effettuata “perché comunque fa bene”
e in ogni caso “si sa che può servire”. Ci troviamo distanti
dalle abituali situazioni decisionali aziendali, almeno
apparentemente improntate a una razionalità, se non
assoluta, supportata da strumenti e metodi derivanti dalle
scienze socio-economiche e affinati nella prassi manageriale.
Introduzione
Uno dei temi attualmente più dibattuti nel campo economico e dei sistemi informa-
tivi (SI) è il cosiddetto paradosso della produttività, ossia l’evidenza in base alla qua-
le crescenti investimenti in tecnologie informatiche e della comunicazione (ICT) non
sembrano generare gli attesi livelli di produttività (Brynjolfsson, Yang 1996; Or-
likowski, Iacono 2000) e, quindi, di ritorno degli investimenti.
Numerose sono le possibili spiegazioni di tale paradosso: dal modello di calcolo uti-
lizzato all’arco temporale osservato, alla natura degli impatti degli investimenti infor-
matici e così via. Un’interpretazione di tale fenomeno sottolinea come si debba os-
servare non tanto la fase di adozione delle soluzioni basate sulle ICT, e quindi la sem-
plice acquisizione di tali soluzioni, ma si debba prestare attenzione al grado di assi-
milazione delle ICT all’interno dell’azienda (Fichman, Kremerer 1999). In altri ter-
mini, solo in presenza di un elevato livello di assimilazione delle ICT si possono ma-
nifestare i vantaggi e i risparmi auspicati. Raggiungere un elevato livello di assimila-
zione delle ICT significa, da un lato, avvicinare le ICT alle caratteristiche dell’azien-
da e, dall’altro, rendere l’azienda, e quindi gli utenti del SI, pronti a utilizzarle pie-
namente (Orlikowski 1992). Per conseguire tali obiettivi è necessario risolvere i pro-
blemi connessi al sottoutilizzo o al cattivo utilizzo delle ICT da parte degli utenti fi-
nali (Lassila, Brancheau 1999). A questo proposito, una delle leve che il responsabi-
le della funzione sistemi informativi (CIO) può utilizzare per rendere più fluido il
passaggio dall’adozione all’assimilazione è quella della formazione informatica (Nel-
son, Cheney 1987). In quest’ottica, la formazione non è solo un passo indispensabi-
le per utilizzare gli strumenti informatici, ma è uno strumento per perseguire il mi-
glioramento dell’efficacia e delle prestazioni dei SI a livello aziendale.
Questo articolo esplora proprio il tema della formazione informatica, approfonden-
do il ruolo che tale formazione ha nell’ambito dei processi di assimilazione delle ICT
nelle aziende, cercando di capire quali siano le determinanti del ricorso alla forma-
zione informatica da parte dei CIO e quali impatti percepiti essa abbia.
Per arricchire le considerazioni sviluppate con l’analisi della letteratura, si è indivi-
duato un campione di aziende – nel caso specifico operatori del settore della sanità –
presso il quale approfondire il tema della formazione informatica e dei suoi risultati.
Dall’analisi delle evidenze raccolte è emerso come la propensione alla formazione
informatica delle aziende studiate sia tutto sommato bassa e come la razionalità del-
le scelte di investimento in quest’area sia solo uno tra i numerosi fattori che ne pro-
muovono l’avvio. Se ne derivano suggerimenti manageriali volti a individuare i fat-
tori a maggiore impatto e a meglio definire le politiche e le iniziative di formazione
informatica.
L’articolo è strutturato in tre parti: la prima parte è dedicata all’analisi della rilevanza
della formazione informatica nell’ambito dei processi di assimilazione delle tecnolo-
gie; la seconda parte è dedicata alla descrizione della ricerca sul campo. La terza par-
te presenta i risultati della ricerca e indica alcuni temi chiave che possono aiutare il
CIO a rendere i processi di assimilazione vicini alle aspettative legate all’adozione e
all’utilizzo delle ICT nelle aziende.
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
1988; Fichman, Kremerer 1999; Fichman 2000; Orlikowski, Iacono 2000). Il tema
critico diviene, pertanto, come rendere effettivo l’uso delle ICT all’interno delle azien-
de. Infatti, ciò che si osserva in molte aziende è un non-utilizzo o un sottoutilizzo
delle ICT, le cui conseguenze sono il mancato raggiungimento degli obiettivi strate-
gici e/o operativi legati alla decisione di adottarle e quindi il verificarsi del già citato
paradosso della produttività. Inoltre, il gap tra obiettivi desiderati e risultati raggiun-
ti può generare frustrazione o sfiducia verso le tecnologie stesse
(Lassila, Brancheau 1999). Ma come rendere effettivo il passag-
La formazione è una delle gio dall’adozione all’assimilazione, sia a livello individuale, sia a
livello aziendale?
leve principali che il CIO deve Una risposta a questa domanda si trova nello sviluppo e nel mi-
utilizzare per incidere sulle glioramento delle conoscenze informatiche possedute, sia dai de-
cisori (ossia chi decide l’adozione e chi gestisce l’implementazio-
conoscenze informatiche ne delle ICT) sia dagli utenti.
dell’azienda Le leve che la funzione sistemi informativi può utilizzare per au-
mentare le conoscenze informatiche aziendali sono (Heckman
1998): 1. avviare programmi di formazione informatica; 2. avvia-
re un programma di assunzione di personale dotato delle cono-
scenze informatiche necessarie; 3. esternalizzare le attività per le quali sono richie-
ste determinate conoscenze informatiche; 4. stringere accordi di collaborazione con
soggetti esterni al fine di reperire specifiche conoscenze informatiche necessarie per
periodi di tempo limitati. Ne deriva che la formazione informatica rappresenta una
delle leve principali che il CIO deve utilizzare al fine di incidere direttamente e su va-
sta scala sulle conoscenze informatiche della propria azienda (Nelson, Cheney 1987).
La formazione informatica, da questo punto di vista, è uno dei fattori abilitanti che
consentono l’assimilazione delle ICT e quindi portano al miglioramento delle pre-
stazioni aziendali (Yi, Davis 2003).
Il tema della formazione e delle conoscenze informatiche è stato trattato in lettera-
tura da differenti prospettive di studio. In particolare, tale tema è stato analizzato
negli studi 1. sull’adozione delle tecnologie informatiche (Attewell 1992; Abdul-Ga-
der, Kozar 1995); 2. sulla Resource-Based View (Wade, Hulland 2004; 3. sull’End-
User Computing (Bostrom et al. 1990).
Gli studi sull’adozione delle ICT (Attewell 1992; Abdul-Gader, Kozar 1995) sottoli-
neano il fatto che le conoscenze informatiche dei decisori influenzano la decisione
di adottare o rigettare un’innovazione basata sulle ICT: un elevato livello di cono-
scenze informatiche porta ad avere una maggior propensione verso l’adozione delle
innovazioni basate sulle ICT. Inoltre, è stato osservato che un elevato livello di cono-
scenze informatiche da parte del management considerato nel suo complesso, ossia
andando al di là dei confini della funzione sistemi informativi, incide non soltanto
sulla decisione di adottare le ICT, ma anche sulla buona riuscita della fase di imple-
mentazione e sull’effettivo utilizzo delle ICT (Basselier et al. 2003).
Gli studi del filone Resource-Based View mettono in evidenza la rilevanza delle co-
noscenze informatiche (Abdul-Gader, Kozar 1995; Bharadwaj 2000) e della forma-
zione informatica (Kanter 1984; Benjamin et al. 1984; Powell, Dent-Micallef 1997;
Wade, Hulland 2004) nel consentire alle ICT di avere un impatto positivo sulle pre-
stazioni delle aziende. Infatti, soltanto se la tecnologia è supportata da un adeguato
livello di conoscenze informatiche (delle persone della funzione sistemi informativi,
dei manager funzionali, degli utenti del sistema informativo) può migliorare i livel-
li di efficacia ed efficienza. Conseguentemente, alcuni studi (Wade, Hulland 2004;
Powell, Dent-Micallef 1997) mettono in evidenza come la formazione informatica de-
gli utenti finali rappresenti una leva cruciale per sviluppare quelle competenze che
supportano l’utilizzo efficace ed efficiente delle ICT e che rendono possibile una lo-
ro reale assimilazione all’interno dell’azienda.
Infine, gli studi sull’End-User Computing (Rivard, Huff 1988; Sein et al. 1987; Che-
ney et al. 1986; Zmud, Lind 1985) sottolineano l’importanza della formazione infor-
matica per il successo dell’informatica individuale: la corretta comprensione degli ap-
plicativi di End-User Computing e la motivazione a usarli rappresentano fattori chia-
ve per concretizzare pienamente le potenzialità di tali applicazioni.
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
PROPENSIONE
Fattori abilitanti ALLA FORMAZIONE
INFORMATICA
Ostacoli
Fattori esogeni
La propensione alla formazione informatica come “Il budget della formazione informatica non viene
elemento in grado di assicurare la stabilità del mai ridotto nel corso dell’anno per coprire spese
budget annuale per la formazione impreviste”
Dopo aver esplicitato come è stata definita e articolata la propensione alla forma- 2. Si ricorda sinteticamente che gli intervistati
zione informatica, si presentano di seguito le variabili – fattori endogeni e fattori hanno formulato per ogni affermazione un
esogeni – che in sede di definizione del modello sono state scelte per essere vali- giudizio di accordo o di disaccordo su una scala
da 1 a 10 dove 1 significa “completo disaccordo”
date rispetto all’influenza ipotizzata sulla propensione alla formazione informatica. e 10 significa “completo accordo”. I risultati
Si è ipotizzato anche che le percezioni relative ai fattori endogeni possono essere sono stati elaborati e riportati su una scala
influenzate dai risultati ottenuti con le passate esperienze di formazione. da 0 a 100 per finalità di analisi, sintesi
Come evidenziato dalla consolidata letteratura in materia (Kirkpatrick 1998), il ruolo e e comparazione (la formula per riportare su
scala 0-100 i voti assegnati in scala 1-10 è stata
i risultati passati della formazione informatica devono essere valutati a più livelli, par- la seguente: Voto assegnato – Estremo inferiore/
tendo dalla reazione dei partecipanti verso le iniziative di formazione (livello 1 – Reac- (Estremo superiore – Estremo inferiore) *100.
tion), passando per l’apprendimento ottenuto (livello 2 – Learning), valutando quindi
gli effetti sul comportamento (livello 3 – Behaviour), per arrivare infine ai risultati di
ampiezza aziendale, spesso ricondotti a valutazioni di tipo economico-monetario (li-
vello 4 – Results). Nella prassi dei processi di misurazione dei risultati gli strumenti
più utilizzati e diffusi riguardano i questionari di soddisfazione dei partecipanti ai cor-
si (livello 1), così come la valutazione dell’utilità della formazione per il proprio lavoro
(livello 1). La misurazione dell’apprendimento del partecipante (livello 2) può essere va-
lutata mediante test specifici, mentre l’osservazione delle modifiche nel comporta-
mento di lavoro in seguito alla formazione ricevuta rappresenta una modalità per va-
lutare gli impatti a livello 3. Al livello 4, quello dei risultati aziendali, gli strumenti uti-
lizzati sono legati ad analisi quantitative, spesso di natura economico-monetaria, orien-
tate a valutare l’incremento di efficienza e di efficacia legato alla realizzazione di ini-
ziative di formazione. Tra le principali critiche al modello proposto e alla sua adozione
nella prassi aziendale (Bates 2004) vi è la considerazione che l’idea dell’esistenza di re-
lazioni causali, positive e importanti, tra i diversi livelli porta a con-
centrare l’attenzione sui primi due livelli di valutazione della for-
mazione (Bassi, Benson, Cheney 1996). Come a dire che parteci-
panti soddisfatti delle iniziative di formazione e che hanno appre-
Partecipanti soddisfatti
so le conoscenze trasferite dall’iniziativa di formazione metteran- metteranno in atto
no necessariamente in atto comportamenti virtuosi che genere-
ranno significativi ritorni in termini di efficacia e di efficienza.
comportamenti che genereranno
Muovendo da queste considerazioni, l’attenzione si è concen- ritorni in termini di efficacia
trata sulle variabili di livello 3 e 4, dal momento che il punto di
vista adottato, e verificato nel corso dell’indagine empirica, è ed efficienza
quello del decisore aziendale, che prende in considerazione i ri-
sultati in termini di comportamenti organizzativi e di prestazio-
ni aziendali. A questo proposito, la tabella 2 presenta i fattori endogeni suddivisi in:
1. ruolo della formazione informatica; 2. fattori abilitanti; 3. ostacoli; e in tabella 3
vengono illustrati i fattori esogeni che possono influenzare la propensione alla for-
mazione informatica. Nel box, invece, si presenta una descrizione della logica sta-
tistico-matematica che sta alla base del modello di ricerca proposto.
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
VARIABILE LATENTE VARIABILI MANIFESTE (domande formulate nel questionario) IPOTESI SOTTOPOSTE A VERIFICA
(fattori endogeni) “nella nostra azienda le iniziative di addestramento
e di formazione informatiche sono…”
Ruolo della formazione Ω Finalizzate a ottenere una maggior efficienza del lavoro La formazione informatica ha l’obiettivo di ridurre i costi
Aumento dell’efficienza Ω Uno strumento per ridurre il personale di staff segretariale aziendali, promuovendo un utilizzo coerente
interna Ω Un intervento per ridurre i costi di assistenza agli utenti della strumentazione informatica da parte degli utenti
informatici
Ω Uno strumento per fronteggiare la crescente complessità
aziendale
Ω Uno strumento per ridurre le richieste di intervento all’help
desk per il supporto agli utenti
Ruolo della formazione Ω Uno strumento per ridurre i disservizi nei confronti dei clienti Anche il livello complessivo dei risultati aziendali può essere
Aumento dell’efficacia verso dell’azienda (utenti del Servizio Sanitario Nazionale) dovuti incrementato grazie ad un migliore utilizzo delle tecnologie
l’esterno a errori nell’uso dei sistemi informatici informatiche ottenuto tramite un incremento delle
Ω Uno strumento per migliorare la qualità dei nostri servizi competenze degli utenti
Ω Uno strumento per ridurre i disservizi nei confronti
degli interlocutori istituzionali dovuti a errori nell’uso
dei sistemi informatici
Ruolo della formazione Ω Finalizzate ad aumentare il senso di sicurezza dei dipendenti Il ruolo della formazione informatica è quello di incrementare
Aumento della nell’esecuzione del lavoro quotidiano la tranquillità e la confidenza dei dipendenti nell’utilizzo degli
soddisfazione del personale Ω Finalizzate a ridurre l’ansia e la tensione dei dipendenti strumenti informatici messi a disposizione dall’azienda
nell’esecuzione del lavoro quotidiano
Ruolo della formazione Ω Utilizzate dall’azienda come un premio per chi ottiene La formazione ha l’obiettivo di stimolare in modo diretto
Aumento della motivazione risultati positivi il comportamento degli utenti a un utilizzo sempre più ampio
del personale Ω Considerate dai dipendenti un benefit perché possono delle tecnologie informatiche
utilizzare meglio gli strumenti informatici anche al di fuori
del luogo di lavoro
Ω Uno dei parametri di valutazione annuale delle performance
del singolo dipendente
Ruolo della formazione Ω Uno strumento utile per migliorare la nostra immagine verso L’incremento della legittimazione presso gli interlocutori esterni,
Migliorare l’immagine verso l’esterno con particolare riferimento all’accreditamento di un’immagine
l’esterno innovativa e al passo con i tempi è uno degli obiettivi per i
quali viene effettuata la formazione informatica
Ruolo della formazione Ω Finalizzate a introdurre il più rapidamente possibile le nuove La formazione viene considerata uno strumento fondamentale
Supportare l’introduzione versioni di pacchetti e sistemi informatici per incrementare sia l’efficacia sia l’efficienza dei processi
di tecnologie informatiche Ω Finalizzate a massimizzare il ritorno degli investimenti di introduzione delle nuove soluzioni informatiche presso
in nuove versioni di pacchetti e sistemi informatici gli utenti
Ruolo della formazione Ω Indirizzate a fornire a tutto il personale un livello adeguato La creazione di un contesto organizzativo abilitante, all’interno
Sviluppare la di conoscenze di base del quale gli utenti dispongano delle competenze e di un
“user readiness” Ω Uno strumento per diffondere il più possibile l’uso “habitus mentale” positivo nei confronti delle tecnologie
del computer in tutti i servizi e reparti informatiche è uno degli scopi della formazione informatica
Ω Uno strumento per migliorare l’aggiornamento professionale
dei nostri dipendenti e collaboratori
Ostacoli Ω Richiedono investimenti eccessivi rispetto alla nostra capacità Alcuni limiti sia organizzativi sia di disponibilità di risorse
di spesa rappresentano ostacoli critici per il ricorso in azienda
Ω Le competenze informatiche del personale sono adeguate alla formazione informatica
Ω È difficile staccare il personale dall’attività operativa
Ω Il personale non vuole frequentare tali iniziative
Ω Le iniziative disponibili non sono di livello adeguato ai nostri
fabbisogni
Ω La formazione informatica non è una priorità aziendale
Fattori abilitanti Ω Il livello di conoscenza degli utenti degli strumenti Il livello di conoscenza degli utenti è un elemento di impatto
di informatica individuale sulla propensione alla formazione informatica dell’azienda
Ω Il livello di conoscenza degli utenti dei sistemi gestionali
Ω Il livello di conoscenza degli utenti dei sistemi clinici
Tabella 3 Fattori esogeni VARIABILE VARIABILI MANIFESTE (domande IPOTESI SOTTOPOSTE A VERIFICA
LATENTE formulate nel questionario)
“nella nostra azienda le iniziative
di addestramento e di formazione
informatiche sono…”
Fattori esogeni Ω Imposte da scelte e progetti di settore Esistono dei fattori esogeni alla realtà
Ω Una necessità per continuare aziendale che influenzano la
a operare nel nostro comparto predisposizione all’investimento
Ω Prevalentemente dipendenti dalla in formazione informatica
disponibilità di finanziamenti
specifici di tipo nazionale o europeo
Il modello di ricerca siano correlati con altri indicatori rilevati: ciascun indice la relazione tra le variabili
questa analisi (discriminant validity) è prova “manifeste” e la variabile “latente” (commu-
La costruzione del modello che misura le valu- del fatto che tali indici siano in grado di mi- nality) e la successiva “unidimensionalità”
tazioni dei CIO sulla formazione informatica e surare in maniera affidabile le convinzioni e i dell’indice costruito.
i nessi causali con la propensione degli stessi concetti complessi. Una volta definita la struttura degli indici, si
CIO a continuare ad allocare investimenti sul- Il processo di validazione del modello causa- è proceduto con la path analysis: il modello di
la formazione è stata effettuata utilizzando la le si è basato su due fasi fondamentali (For- equazioni strutturali è stato infatti costruito
tecnica PLS (Partial Least Squares). nell, Larcker 1982): in primo luogo analizzando la matrice di cor-
PLS è una tecnica di analisi basata sulla path Ω la valutazione del modello di misurazione, relazione tra gli indici, al fine di evidenziare
analysis e sulla regressione che permette di sti- finalizzata a verificare le proprietà psico- gli antecedenti della variabile endogena (pro-
mare e testare relazioni fra costrutti, che espri- metriche degli indici (variabili “latenti”), pensione a investire in formazione informati-
mono le diverse dimensioni delle convinzioni ovvero della loro capacità di esprimere ca) e, in secondo luogo, effettuando un test
3
dei soggetti interessati (Fornell, Cha 1994). appropriatamente i concetti e le convin- di collinearità tra gli indici che rappresenta-
Tale tecnica permette di individuare e quan- zioni indagate; no gli antecedenti.
tificare i nessi causali fra indici complessi Ω la valutazione del modello di equazioni Successivamente sono stati calcolati i cosid-
(variabili “latenti”), ovvero costrutti di varia- strutturali, che ha l’obiettivo di stimare i detti path coefficients, ovvero i coefficienti di re-
bili non misurate o misurabili direttamente, coefficienti (path coefficients), che espri- gressione fra le variabili “latenti” (indici) di-
ma costituite da più indicatori semplici, sui mono i legami causali statisticamente si- pendenti e indipendenti, fra le quali sono ipo-
quali viene chiesto ai soggetti intervistati di gnificativi fra gli indici (variabili “latenti”) tizzati e misurati i legami di causalità.
assegnare una valutazione diretta ed esplici- considerati. I path coefficients – altrimenti detti “impatti” –
ta (item o “variabili manifeste”). sono misurati sulla stessa scala degli indici cui
Gli indicatori semplici (variabili “manifeste”) È stata effettuata un’analisi fattoriale “con- si riferiscono (0-100 punti), in modo tale che
entrano a far parte dello stesso indice com- fermativa” per verificare la validità dei co- sia possibile visualizzarne l’effetto stimato sul-
plesso (variabile “latente”) se risultano tra strutti di variabili “latenti”, su cui si basano la variabile dipendente, in termini di punteggio
loro fortemente correlati e più di quanto non tutti gli indici: è stata pertanto verificata per incrementale. In altri termini, l’impatto stima
VARIABILE LATENTE VARIABILI MANIFESTE (domande formulate nel questionario) IPOTESI SOTTOPOSTE A VERIFICA
“nella nostra azienda le iniziative di addestramento
e di formazione informatiche hanno…”
Risultati Ω Migliorato la soddisfazione del personale addestrato La formazione contribuisce soprattutto a generare un clima
Aumento della soddisfazione di maggiore soddisfazione tra il personale
del personale
Risultati Ω Stimolato anche altri utenti a richiedere iniziative Il risultato ricercato e ottenuto con le iniziative di formazione
Aumento della motivazione di addestramento informatico è quello di incrementare la motivazione degli utenti
del personale Ω Ridotto il divario di competenze informatiche tra gli utenti
Risultati Ω Consentito di aumentare i volumi di documenti elettronici L’aumento di conoscenze e di capacità di utilizzo degli
Aumento dell’efficienza scambiati con altri enti o amministrazioni strumenti informatici determina sia un risparmio di risorse
interna e dell’efficacia Ω Permesso di operare nonostante la crescente complessità utilizzate dall’azienda sia un miglioramento dei risultati
aziendale ottenuti in termini di capacità di affrontare la complessità
Ω Consentito di creare figure di utenti evoluti a supporto aziendale
dei colleghi funzionali
Ω Permesso di realizzare la riorganizzazione dei processi
aziendali
Ω Ridotto i disservizi per gli errori nell’uso dei sistemi
informatici
Ω Ridotto le richieste all’help desk per il supporto agli utenti
Risultati Ω Migliorato l’aggiornamento professionale dei nostri Il beneficio si è particolarmente manifestato nell’incremento
Sviluppare la dipendenti e collaboratori delle condizioni preliminari per l’adozione degli strumenti
“user readiness” informatici da parte degli utenti
Risultati Ω Consentito di tenere il passo con le tendenze del nostro L’effetto della formazione è stato soprattutto quello di agevolare
Supportare l’introduzione settore sotto il profilo della gestione del cambiamento l’introduzione
di tecnologie informatiche Ω Aumentato l’uso delle tecnologie informatiche in quasi tutti di nuovi strumenti informatici all’interno dell’organizzazione
i servizi e i reparti aziendale
Ω Consentito di introdurre nuove release di pacchetti
e di sistemi informatici
Risultati Ω Migliorato la qualità percepita del servizio da parte dei clienti La formazione è servita per supportare un’immagine aziendale
Migliorare l’immagine verso dell’azienda di attenzione all’innovazione e all’utilizzo delle nuove tecnologie
l’esterno Ω Migliorato la nostra immagine di settore
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
Al fine di testare le ipotesi che stanno alla base del modello di ricerca dello studio si
la variazione marginale della propensione dei è scelto di condurre una ricerca sul campo nell’ambito del settore della sanità in Ita-
CIO intervistati a investire in formazione infor- lia coinvolgendo i Responsabili Sistemi Informativi di Aziende Sanitarie Locali (ASL)
matica al variare delle convinzioni misurate da e Aziende Ospedaliere (ASO). La scelta di tale settore è motivata da tre ordini di con-
ciascuno degli indici antecedenti. siderazioni: 1. l’interesse da parte della letteratura organizzativa e manageriale verso
Il modello di equazioni strutturali evidenzia il settore sanitario e verso il rapporto ICT e settore sanitario; 2. la rilevanza sociale,
una buona capacità predittiva, dal momento
politica ed economica del settore e la conseguente attenzione tributata dai policy
che la varianza spiegata (R2) nella variabile en-
makers; 3. la rilevanza attuale e potenziale delle ICT a supporto delle attività e dei pro-
dogena (propensione a investire in formazio-
ne informatica) è superiore a 0,5, il che sugge- cessi degli attori del settore sanitario al fine di incrementarne l’efficacia e l’efficienza.
risce che le variabili “latenti” ipotizzate quali
antecedenti di tale variabile la influenzino in
modo decisamente rilevante. I risultati
In sintesi, è perciò possibile affermare che il
modello testato: Complessivamente sono stati raccolti telefonicamente e con intervista diretta 89 que-
1. dimostra di aver preso in considerazione e stionari compilati dai Responsabili Sistemi Informativi di 61 ASL e 28 ASO che rap-
misurato (sotto forma di indici/variabili presentano circa il 30% dei rispettivi segmenti su base nazionale.
“latenti”) uno spettro di convinzioni e va-
Nei prossimi paragrafi si presentano le principali considerazioni che emergono dal-
lutazioni dei CIO che spiegano gran parte
l’elaborazione dei dati esaminati.
della varianza della loro propensione a in-
vestire in formazione informatica;
2. è funzionale a stimare correttamente quali Il profilo del campione
valutazioni dei CIO sono più in grado di Dal punto di vista dimensionale, le aziende intervistate sono medio-grandi: solo il
condizionare la propensione a investire in 16% ha un numero di dipendenti inferiore a 1000.
formazione informatica e quali hanno un’in- Ai fini di questa indagine è rilevante osservare la relazione delle imprese del campio-
fluenza bassa o nulla su tale intenzione. ne con le ICT. Innanzitutto, i dati mostrano chiaramente come all’aumentare del nu-
mero di dipendenti all’interno delle aziende vi sia una diminuzione significativa (dal
48% al 35% circa) della presenza di utenti di sistemi informatici; ovvero, detto in altri
3. Come diagnostici per la collinearità sono stati termini, le realtà maggiori hanno una penetrazione informatica minore. L’incremen-
i Condition Indices di Belsey, Kuh e Welsch. to dimensionale riguarda dunque in prevalenza risorse che non utilizzano tecnologie
Come spiega Rawlings (Rawlings et al. 1998):
informatiche all’interno dei processi di cura. In altre parole, quando aumentano i “po-
quando l’indice è vicino a 10 significa che la
collinearità tra le variabili indipendenti è bassa, sti letto” all’interno dei reparti di cura, l’incremento di personal computer non segue
tra 30 e 100 si ha una collinearità da moderata la medesima evoluzione. Questo aspetto è una caratteristica intrinseca dei processi di
ad alta, oltre 100 la collinearità è troppo elevata cura e di assistenza, che rimangono comunque incentrati sul rapporto diretto con il
e inficia la validità dei coefficienti di regressione paziente, che necessita di presenza e supporto fisico piuttosto che di bit e interazioni
calcolati. Il modello causale adottato aveva un
indice pari a 10,3. digitali. Dopotutto, ci ammaliamo nel mondo reale, e non siamo particolarmente in-
teressati a cure virtuali o, peggio, “immaginarie”. Al tempo stesso emerge un ruolo
centrale dell’informatica come fattore produttivo in grado di attivare importanti eco-
nomie di scala nei processi amministrativi e di gestione delle informazioni: al rad-
doppiare delle dimensioni dell’organizzazione è possibile gestire la complessità ag-
giuntiva con un’incidenza delle risorse informatiche inferiore di quasi il 15%.
In termini di competenze di utilizzo degli strumenti di informatica individuale, la
percentuale di utenti di base nelle imprese del campione è del
78%, mentre il rimanente 22% è composto da utenti esperti, che
Emerge un ruolo in alcuni casi (3%) hanno raggiunto un livello formale di certifi-
centrale dell’informatica cazione. La lettura di tale dato, unita alla considerazione che in
media il 59% degli interventi effettuati dalle strutture aziendali
come fattore produttivo di help desk è dovuto all’insufficiente conoscenza da parte degli
in grado di attivare utenti del funzionamento dei programmi software, definisce un
contesto nel quale il fabbisogno di formazione informatica è in-
importanti economie dubbiamente presente.
di scala In questo contesto si è passati ad approfondire il tema della
formazione informatica e in particolare della propensione alla
formazione.
Diviene dunque importante studiare in modo più approfondito le motivazioni che
possono spiegare la propensione a investire in formazione informatica delle aziende
intervistate, partendo dal punto di vista del Responsabile Sistemi Informativi. Tale
punto di vista costituisce un punto di osservazione privilegiato in quanto il Respon-
sabile Sistemi Informativi si trova a operare una sintesi quotidiana tra i servizi che
fornisce agli utenti, combinando tecnologie informatiche e risorse umane all’interno
di processi di gestione della funzione Sistemi Informativi, e i feedback che riceve dal-
le attività di help desk e di definizione dei fabbisogni evolutivi. La considerazione vie-
ne confermata dall’analisi dei molteplici attori aziendali coinvolti nei processi deci-
sionali che portano alla decisione di effettuare iniziative di formazione informatica
all’interno delle aziende del campione. Il responsabile Sistemi Informativi prende
parte al 54% dei processi decisionali osservati, il responsabile di funzione o di uffi-
cio viene coinvolto, così come il responsabile dell’organizzazione, in circa un terzo
delle decisioni, mentre il contributo della direzione aziendale è richiesto nel 20% dei
casi. In alcune realtà è presente uno specifico ufficio Formazione che contribuisce al
14% del totale delle decisioni osservate. In termini operativi, si tratta di ricostruire lo
schema delle cause che, nelle convinzioni dei responsabili Sistemi Informativi, de-
terminano l’intenzione delle aziende a realizzare investimenti in formazione infor-
matica e verificare quanto ciascuna valutazione incida sull’atteggiamento futuro.
L’analisi dei risultati viene realizzata prendendo in considerazione sia il livello di ac-
cordo e di condivisione degli intervistati in merito alla specifica variabile latente, sia
il livello di impatto che tale variabile ha sul livello complessivo di propensione alla
formazione informatica.
Il risultato complessivo del modello viene sintetizzato in figura 2. In particolare, nel-
la figura vengono riportati i livelli di accordo e di impatto calcolati rispetto alle varia-
Figura 2 I risultati dell’elaborazione
bili latenti. del modello
LEGENDA 60
Livello Livello Impatto
di impatto Livello di conoscenze 2,4
di accordo nullo
41
Ostacoli operativi e priorità -2
62 68
Risultati: 1,8 1,6
miglioramento immagine Immagine esterna
59 67
Risultati: 3,1 Aumento delle 0,8
aumento performance aziendali performance aziendali
51
53
PROPENSIONE
Fattori esogeni di settore 0,6 ALLA FORMAZIONE
INFORMATICA
65 55
Risultati: 4,3 Supporto all’introduzione 0,2
semplificazione introduzione di tecnologie informatiche
49
Investimenti eccessivi -0,1
69 54
Risultati: 2,9 Aumentare la soddisfazione 0,1
incremento soddisfazione del personale
69 68
Risultati: 2,1 0,1
Sviluppare la “user readiness”
aumento “user readiness”
71 45
Risultati: 1,9 Aumentare la motivazione 0
aumento motivazione del personale
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
In tabella 5 viene sintetizzato il passaggio dalle ipotesi formulate nella fase di impo-
stazione del modello ai risultati riportati in figura 2. La differenza sostanziale consi-
ste nell’aggregazione, nel corso dell’elaborazione statistica del modello, in un unico
costrutto “Aumento delle performance aziendali” delle domande formulate inizial-
mente per distinguere in modo esplicito gli impatti della formazione informatica ri-
conducibili all’efficienza aziendale rispetto a quelli relativi all’efficacia dei risultati
conseguiti.
Tabella 5 Variabili latenti e risultati VARIABILE LATENTE (fattori endogeni) RISULTATI DELL’ELABORAZIONE DEL MODELLO
dell’elaborazione del modello
Ruolo della formazione Aumento delle performance aziendali
Aumento dell’efficienza interna
4. Per una disamina dell’approccio La lettura dei risultati viene proposta in due fasi di approfondimento successivo. La
metodologico all’elaborazione dei dati prima valutazione si propone di commentare il livello di accordo rispetto agli indici
si veda il box “Il modello di ricerca”.
complessi (variabili latenti) costruiti nella fase di elaborazione delle evidenze empiri-
5. Per esempio, i risultati dell’elaborazione che, aggregando i giudizi relativi a più domande poste nel questionario.4 L’analisi sta-
del modello mostrano come un tistica utilizzata permette di considerare anche l’impatto che la singola variabile la-
aumento di cinque punti nei giudizi
relativi alla capacità della formazione tente esercita rispetto alla propensione alla formazione informatica, ovvero di quanti
informatica di influenzare positivamente le punti si incrementerebbe la propensione delle aziende alla formazione informatica a
performance aziendali porterebbe a un fronte di un incremento di cinque punti nella valutazione della variabile latente.5
incremento della propensione alla formazione La seconda valutazione approfondisce, quando utile ai fini della comprensione del fe-
informatica da 51 a 51,8.
nomeno, anche il livello di accordo o di disaccordo espresso in modo esplicito dagli
intervistati rispetto alle singole domande (variabili manifeste) che compongono gli
indici complessi.
Una prima considerazione di carattere generale: la propensione alla formazione
informatica non è particolarmente elevata (51). L’analisi delle singole variabili mani-
feste che vanno a comporre l’indicatore mostra come sia la propensione futura (“in
futuro il budget della formazione informatica aumenterà rispetto al livello attuale” –
54) sia la valutazione di quanto accaduto in passato (“la spesa per la formazione infor-
matica negli ultimi cinque anni è sensibilmente cresciuta” – 53) mostrino valori su-
periori alla percezione dell’attenzione alla formazione informatica nell’azienda ri-
spetto alle altre realtà del settore (“l’attenzione verso la formazione informatica nel-
la nostra azienda è significativamente superiore agli altri operatori confrontabili con
noi” – 45). In ogni caso, il giudizio complessivo mette in luce una limitata criticità
percepita verso il tema della formazione informatica.
L’analisi complessiva delle evidenze emerse parte dal prendere in considerazione se
e in quali termini i risultati delle iniziative di formazione informatica organizzate dal-
le aziende nel passato influenzino le attuali convinzioni e percezioni in merito al ruo-
lo che la formazione informatica svolge all’interno dell’azienda.
L’attenta lettura dei dati conferma come i risultati delle esperienze di formazione intra-
prese nel passato (figura 2) abbiano una valutazione relativamente positiva in termini
assoluti e un rilevante impatto sul rispettivo ruolo attribuito alla formazione infor-
matica in azienda.
I rispondenti hanno espresso complessivamente il maggiore livello di accordo e di
consenso sulla variabile “Risultati: aumento motivazione” (71),6 seguita dalla varia-
bile “Risultati: incremento soddisfazione” (69). Dunque, dopo aver promosso e rea-
lizzato programmi di formazione informatica le aziende hanno
riscontrato risultati particolarmente apprezzabili nell’area della
gestione e dello sviluppo delle risorse umane sotto il profilo del-
la soddisfazione e della motivazione.
Le aziende hanno riscontrato
Tuttavia, la formazione non agisce solo sulle variabili “soft” della risultati apprezzabili nella
gestione del personale. Un risultato importante e condiviso è
quello di aver agevolato l’introduzione di nuove tecnologie infor- gestione delle risorse umane
matiche. Se entriamo nel merito delle affermazioni che compon- sotto il profilo
gono questo indicatore (“Risultati: semplificare introduzione” –
65), è interessante notare come le valutazioni siano parzialmen- della motivazione
te disomogenee. Infatti se, da un lato, viene ampiamente condi-
viso il fatto che le iniziative effettuate di formazione informatica
abbiano “consentito di utilizzare meglio gli strumenti informatici esistenti” (76) e an- 6. I numeri espressi tra parentesi esprimono,
che “aumentato l’uso delle tecnologie informatiche in quasi tutti i servizi e i reparti” su una scala da 1 a 100 il valore del giudizio
(72), vi è maggiore incertezza rispetto all’affermazione che abbiano “consentito di in- di accordo o di disaccordo in merito alle
affermazioni proposte ai responsabili Sistemi
trodurre nuove release di pacchetti e di sistemi informatici” (60). La formazione pas- Informativi all’interno del questionario.
sata viene dunque vista come un importante fattore abilitante, ma non come l’ele-
mento propulsore dell’introduzione di nuove applicazioni. Più marcato è invece il be-
neficio nell’utilizzo quotidiano degli strumenti, quando la spinta propulsiva dell’ini-
ziativa progettuale si è conclusa e si è, per così dire, passati alla fase di “post imple-
mentazione”. È a questo punto che la formazione diviene un’importante leva per ca-
pitalizzare gli investimenti progettuali effettuati.
Il giudizio in merito ai benefici riconducibili all’incremento delle performance com-
plessive aziendali (“Risultati: aumento delle performance aziendali” – 59) sono positi-
vi anche se cauti. In generale, è diffusa una valutazione positiva dell’impatto della for-
mazione informatica sulle performance aziendali, sia dal punto di vista dell’efficienza
operativa sia sotto il profilo dell’efficacia. La formazione permette dunque di “miglio-
rare la produttività del nostro personale” (65) e, al tempo stesso, consente l’introdu-
zione di “molti cambiamenti all’operatività aziendale” (65). Vi è inoltre una visione suf-
ficientemente condivisa rispetto al fatto che sia uno strumento utile ad “affrontare la
crescente complessità aziendale” (64) e che consenta di “incrementare il volume di do-
cumenti elettronici scambiati con altre organizzazioni” (62). Dunque, finché il giudi-
zio di risultato sulla formazione si mantiene in termini ampi e generali, gli intervista-
ti manifestano un sufficiente livello di accordo. Il tono delle risposte muta nel mo-
mento in cui si cerca di collegare l’intervento di formazione con risultati quantitativa-
mente apprezzabili. Infatti, non sembra esserci alcun collegamento tra le iniziative di
formazione informatica realizzate dalle aziende e la riduzione dei “costi di assistenza
agli utenti informatici” (52). Né, tanto meno, appare esplicito il legame con la possibi-
lità di “ridurre il personale delle staff segretariali” (30) grazie al recupero di efficienza
legato a una maggiore capacità di utilizzo degli strumenti informatici.
Un’ulteriore area di risultato interessante è costituita dallo sviluppo della user readi-
ness (“Risultati: aumento user readiness” – 69), ovvero dall’incremento di quelle pre-
condizioni, in termini di capacità e abilità di base dei singoli utenti, che consentono
di creare un humus organizzativo fertile per introdurre nuove applicazioni e nuove
tecnologie informatiche.
L’ultima area di risultato è costituita dal miglioramento dell’immagine verso l’ester-
no (“Risultati: miglioramento dell’immagine” – 62), che, ancorché in modo positivo,
non viene percepita tra le mete più frequentemente raggiunte grazie alla formazio-
ne informatica.
È dunque utile provare a entrare nel merito delle singole variabili che influenzano la
propensione alla formazione informatica, disponendole all’interno di una matrice bi-
dimensionale che prende in considerazione congiuntamente:
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
Figura 3 Miti, leve, opportunità alto Quadrante I -“I miti” - Concretizzare Quadrante II -“Le leve” - Utilizzare
e chiacchiere
Immagine
Sviluppare la esterna
“user readiness”
Aumento
performance
Supporto all’introduzione aziendali
di tecnologie informatiche
Livello di
RUOLO
conoscenze
55
Aumentare
la soddisfazione
del personale Fattori esogeni
di settore
Investimenti
eccessivi Ostacoli
Aumentare la motivazione operativi
del personale e priorità
basso Quadrante IV - “Le chiacchiere” - Dimenticare Quadrante III -“Opportunità e minacce potenziali” - Presidiare
corso agli slogan. Non stupisce ritrovare in questo quadrante l’aumento delle “Perfor-
mance aziendali” quale fattore con alta adesione ed elevato impatto, nonché il mi-
glioramento dell’“Immagine esterna”. La rilevanza che il fattore “Immagine esterna”
riveste è coerente con la dimensione istituzionale del settore. La numerosità dei sog-
getti esterni con cui il settore della sanità opera, la criticità del processo di erogazione
dei servizi e l’attenzione posta in questi anni sul recupero dell’efficienza spiegano la
presenza di entrambe le variabili all’interno del quadrante.
Un secondo e più importante risultato è quello che porta a non di-
stinguere utilmente le variabili manifeste che fanno riferimento al-
l’efficienza interna da quelle che riguardano l’efficacia. Infatti, tut- La propensione alla formazione
te le formulazioni in domande esplicite sono state raggruppate in
un unico costrutto, definibile in senso ampio come aumento delle informatica aumenta
performance aziendali. Come a dire che le considerazioni che por- all’aumentare della conoscenza
tano a distinguere l’efficienza dall’efficacia come obiettivo e finalità
aziendale direttamente riconducibili alla formazione informatica informatica degli utenti
non sono percepite in modo significativamente diverso dalle azien-
de. Ritornano e vengono confermate in modo ancora più specifico
le considerazioni effettuate in precedenza nel corso della valuta-
zione dei benefici percepiti della formazione informatica. La carenza di utilizzo di me-
todi e di strumenti di valutazione a priori dell’opportunità delle iniziative di formazio-
ne e di analisi ex post dei risultati conduce a una limitata razionalizzazione, e quindi
“distinguibilità” delle aree di impatto e di beneficio della formazione informatica.
Anche il “Livello di conoscenza”, inserito nel modello come variabile di contesto, fa
parte di questo quadrante. Infatti, nelle aziende intervistate risulta un discreto livel-
lo di conoscenza informatica e, coerentemente con la letteratura a riguardo, ne deri-
va un alto impatto sulla propensione alla formazione informatica. Sarebbe lecito at-
tendersi che le aziende che hanno consapevolezza di un minore livello di conoscen-
za informatica dei propri utenti siano quelle più propense ad aumentare il livello di
formazione. Non è così, come è emerso anche dall’analisi statistica della propensio-
ne articolata per classi di conoscenza degli utenti. Infatti, la propensione alla forma-
zione informatica aumenta all’aumentare della conoscenza informatica degli utenti.
Questo accade perché, da un lato, gli utenti che non hanno partecipato a iniziative di
formazione per imitazione tendono a richiedere maggiore formazione e, dall’altro,
gli stessi utenti già formati in genere rilevano una necessità di ulteriore approfondi-
mento e ampliamento delle proprie conoscenze.
L A F O R M A Z I O N E I N F O R M AT I C A
Discussione e conclusioni
L’analisi dei nessi causali fa emergere sostanzialmente un insieme di fattori che han-
no impatto significativo sulla propensione alla formazione informatica (quadranti II e
III). Tra questi, ve ne sono alcuni che presentano un elevato “Ruolo” (quadrante II) e
che dunque influenzano al momento la propensione alla formazione. Nel quadrante
III sono rappresentati i fattori che potenzialmente potrebbero giocare un ruolo posi-
tivo o di ostacolo alla formazione informatica e che devono essere costantemente mo-
nitorati in termini di rischi e di opportunità.
Le implicazioni manageriali di questa analisi vanno dunque nella direzione di ricono-
scere quali sono gli elementi che influenzano il processo decisionale e quali sono i driver
latenti che possono essere innescati da fattori interni o esterni all’azienda.
La ricerca svolta stimola anche una riflessione di carattere più generale in merito alla
coerenza complessiva delle risposte al questionario.
Da un lato, esiste una parziale coerenza tra la valutazione dei risultati della formazio-
ne informatica e il ruolo che la stessa svolge in azienda. Come a dire che, nonostan-
te la percezione positiva dei risultati raggiunti rispetto a determinate aree, a queste
medesime viene riservato un peso limitato in fase decisionale. È questo il caso della
“Motivazione del personale”, che presenta il giudizio più elevato di valutazione delle
esperienze di formazione trascorse, ma non influenza affatto la propensione alla for-
mazione informatica.
Dall’altro lato, due ruoli ben distinti della formazione informatica quali il migliora-
mento dell’efficacia e l’incremento di efficienza si sovrappongono e si confondono
nelle valutazioni degli intervistati. Ciò suggerisce una sostanziale incertezza nella va-
lutazione concreta e operativa della portata della formazione agli
utenti.
Alcune scelte nascono In sintesi, emerge che i processi decisionali sull’investimento in
formazione informatica non sembrano essere vincolati da parti-
non da valutazioni razionali, colari ostacoli espliciti e riconoscibili, quali limitatezza nelle risor-
ma da un’adesione se disponibili o barriere culturali e organizzative, quanto piuttosto
appaiono influenzati da un contesto di razionalità superficiale, se
“superstiziosa” a precetti non limitata, all’interno del quale la formazione viene effettuata
ritenuti veri per definizione “perché comunque fa bene” e in ogni caso “si sa che può servi-
re”. Nelle aziende osservate la valutazione operativa dei risultati
della formazione informatica rispetto allo schema proposto da
Kirkpatrick non si spinge in modo esplicito fino al livello 3 (Beha-
viour) e al livello 4 (Results). Ci si accontenta di valutare il livello di soddisfazione dei
partecipanti rispetto alle iniziative seguite. Dunque, non vengono raccolti e messi a
disposizione del decisore aziendale quegli elementi di valutazione consuntiva sul-
l’apprendimento, sui comportamenti e sui risultati aziendali che potrebbero rendere
maggiormente analitiche, strutturate e consapevoli le motivazioni per le scelte future
di formazione informatica.
Ci troviamo dunque ben distanti dalle abituali situazioni decisionali aziendali, alme-
no apparentemente improntate a una razionalità, se non assoluta, di sicuro suppor-
tata da strumenti e metodi derivanti dalle scienze socio-economiche e affinati nella
prassi manageriale quotidiana.
Questa interpretazione è coerente con i risultati di alcuni lavori di ricerca (Levitt, March
1988; Abrahamson 1991; Abrahamson, Fairchild 1999) dai quali emerge come spesso
alcune scelte nascano non da valutazioni razionali, frutto di un effettivo processo di
apprendimento, ma da un’adesione “superstiziosa” a una serie di precetti ritenuti ve-
ri per definizione. In particolare, i risultati del presente studio richiamano alla mente la
dicotomia, proposta da Abrahamson e Fairchild (1999), tra apprendimento “supersti-
zioso” e apprendimento “reale”. L’apprendimento è reale quando si ha una chiara con-
nessione tra azioni (in questo caso, decisione di avviare politiche di formazione infor-
matica) e risultati (in questo caso, miglioramento dell’efficacia, dell’efficienza, della
motivazione relativamente all’utilizzo delle ICT). Si ha invece, un apprendimento “su-
perstizioso” quando le connessioni tra azioni e risultati non sono chiare oppure sono
definitive in maniera ambigua (Levitt, March 1988; Abrahamson, Fairchild 1999).
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Introduzione
Fino a pochi anni fa la formazione manageriale era per lo più governata dalle mo-
dalità tradizionali della formazione d’aula.
Questo contenitore era prevalentemente legato a una concezione colmativa della
formazione, ancorata cioè al sopperimento delle inadeguatezze e delle lacune
professionali soprattutto nell’area dei contenuti tecnico-specialistici.
Negli anni più recenti si è assistito, accanto alle metodologie attive utilizzate nel
setting d’aula (casi, role-playing, simulazioni ecc.) alla fioritura di nuove metodo- 1. La nozione di Strategic Human Resource
logie “oltre l’aula” (metodologie esperienziali per lo sviluppo di capacità compor- Management teorizza il vantaggio competitivo
basato sul capitale umano e si articola in due
tamentali, outdoor, teatro, fino ad arrivare ai servizi one-to-one) che superano
aspetti: l’integrazione delle politiche e dei sistemi
l’approccio, più semplice e sicuro, dell’apprendimento di modelli teorici predefi- di gestione delle risorse umane con gli obiettivi
niti, certi e generalizzabili. A partire dagli anni novanta, la sfida nel campo dello strategici dell’organizzazione e lo sviluppo
sviluppo delle risorse umane appare, da un lato, quella di sostenere capacità le- delle competenze degli attori organizzativi,
gate più all’area comportamentale che a quella dei contenuti, più al saper essere al fine di aumentarne la soddisfazione
e il contributo al raggiungimento degli obiettivi
che al saper fare, con riferimento a fattori quali: il senso di identità e di apparte- d’impresa (Camuffo, Costa 1993; Dyer 1985;
nenza organizzativa, la fiducia relazionale, l’ascolto, l’autoefficacia, l’empower- Fombrun, Tichy, Devanna 1984; Wright,
ment, il lavoro di team. McMahan 1992; Pilati, Silvestri 2005).
Parallelamente, la richiesta alla formazione manageriale diventa quella di avvici-
narsi all’area dello “sviluppo” più che del trasferimento della conoscenza, con-
centrandosi sui significati soggettivi dell’esperienza lavorativa e sulle dinamiche
profonde che percorrono la vita dell’organizzazione.
Il bisogno di indirizzare gli investimenti in formazione sui comportamenti oltre
che sui contenuti e, quando sui contenuti, di personalizzarli in modo stretta-
mente e immediatamente trasferibile nelle singole realtà organizzative e sui sin-
goli ruoli professionali, risulta essere una conseguenza dell’evidenza empirica e
teorica del contributo che il capitale umano è in grado di assicurare alla creazio-
ne del vantaggio competitivo d’impresa.
L’enfasi sul legame esistente tra vantaggio competitivo e capitale umano trae ori-
gine dalle ricerche sviluppate dagli autori della teoria della Resource-Based-View
of the firm (Pfeffer 1998), che allarga i confini proposti dal precedente paradig-
ma porteriano di strategia competitiva (Porter 1980), dando particolare rilevanza
alle risorse immateriali dell’organizzazione, tra cui l’individuo portatore di cono-
scenza tacita oltreché esplicita, nella gestione del suo ruolo professionale. La va-
lorizzazione del patrimonio intangibile legato all’individuo, al-
le sue competenze, alle sue attitudini e ai suoi valori diviene
un fattore di presidio importante così come la gestione delle
leve più tradizionali quali la capacità finanziaria, tecnologica,
strategica e di marketing. L’importanza riconosciuta alle per-
sone conduce a una maggiore attenzione alle politiche di ge- La valorizzazione
stione e di sviluppo: di qui l’approccio dello Strategic Human
Resource Management (SHRM)1 che si pone, tra gli altri, l’o- del patrimonio intangibile
biettivo di ottenere il massimo della soddisfazione dell’indivi- legato all’individuo
duo perché possa contribuire al meglio al raggiungimento de-
gli obiettivi d’impresa. è un fattore di presidio
Coerentemente alla filosofia dello SHRM, i servizi di forma- sempre più importante
zione e sviluppo one-to-one si fondano sulla convinzione che
sulla prestazione lavorativa non agiscano soltanto motivazioni
estrinseche (retribuzione e carriera), ma anche motivazioni in-
trinseche come la soddisfazione derivante da se stessi, dall’af-
fermazione dei propri valori, dal contenuto del proprio lavoro,
dall’ambiente professionale e dalle relazioni che ivi si sviluppano e che, per con-
tro, le problematiche irrisolte degli individui tendano di fatto a ripercuotersi ne-
gativamente sulle loro prestazioni. Il presupposto di fondo è che l’individuo pos-
sa essere messo nelle condizioni di attivare pienamente le proprie risorse, consi-
derate un prezioso patrimonio naturale potenzialmente disponibile ma contin-
gentemente non sempre adeguatamente utilizzato, per poter contribuire allo svi-
luppo d’impresa.
I SERVIZI ONE-TO-ONE
All’interno dello scenario descritto, l’articolo propone uno studio empirico sullo
stato dell’arte della formazione e dei servizi one-to-one (counseling, mentoring,
coaching e tutoring) nel mercato italiano. Si è infatti assistito negli ultimi anni a
uno sviluppo veloce e repentino di questi servizi, che sembra aver generato sia nel-
l’utenza (aziende e individui) sia negli operatori che si sono trovati coinvolti o che
hanno deciso di professionalizzarsi a tal proposito, molto interesse ma anche una
certa confusione circa gli obiettivi, gli ambiti di competenza, le metodologie e le
specificità relative di ciascun servizio.
2. Schede di descrizione dei progetti di L’obiettivo che si è inteso raggiungere con la ricerca è duplice:
counseling, executive coaching e coaching capo- 1. indagare i significati e le attribuzioni prevalenti (rappresentazione sociale) (Mo-
collaboratore redatti dalle società di consulenza
scovici 1976) relative ai servizi one-to-one;
coinvolte nella strutturazione ed erogazione di
questi servizi presso le aziende oggetto d’analisi; 2. descrivere le principali modalità applicative e implementative dei servizi che de-
schede di progetto delle Direzioni risorse umane rivano dalla rappresentazione prevalente del tema. Secondo la teoria delle rap-
sui servizi di counseling, coaching, tutoring e presentazioni sociali, infatti, il pensiero struttura l’agire e la realtà. In altre pa-
mentoring; documenti di mappatura delle core role, le rappresentazioni sono il prodotto delle nostre azioni e comunicazioni e
competences aziendali; questionari di analisi
di clima; testi di presentazione ai dipendenti dei sono parimenti capaci di influenzare il comportamento dell’individuo che fa
servizi di counseling, coaching, mentoring e parte di una comunità.
tutoring presentati in meeting interni o nei siti
aziendali; programmi di formazione per le Per raggiungere i suddetti obiettivi ci si è mossi su due campi integrati di analisi:
risorse interne selezionate per ricoprire ruoli di
on the desk – analisi della letteratura sul tema – e on the field – esame di realtà or-
mentor, coach capo collaboratore, tutor;
documenti di descrizione metodologica dei ganizzative (Accenture, Bayer, Walt Disney) rappresentative per dimensione, sto-
progetti analizzati; documenti sui servizi di ria, settore di appartenenza e prassi aziendale.
counseling prestati da società di consulenza per È stata infine realizzata una metariflessione sulle best practices che possano servi-
dipendenti con esigenze specifiche; testi dei re da linee guida per chi intenda sviluppare progetti di formazione e sviluppo del-
progetti individuali (anonimi) sviluppati dai
singoli manager durante i percorsi di executive le risorse umane secondo la filosofia e la metodologia del one-to-one.
coaching; testi di presentazione dei risultati dei
progetti di coaching, mentoring e tutoring Una metodologia di stampo etnografico e costruttivista
presentati in meeting interni; valutazione dei L’impostazione del progetto di ricerca ha richiesto analisi diversificate secondo ca-
risultati dei servizi di counseling, executive
tegorie interpretative di differente matrice teorica. Si è quindi adottato un model-
coaching e dei programmi di formazione per il
coaching capo collaboratore redatti dalle società lo di ricerca flessibile di tipo qualitativo: seguendo i principi della grounded theory
di consulenza coinvolte nell’erogazione di questi (Glaser, Strass 1967), si è proceduto in modo induttivo, sviluppando dai risultati
servizi presso le aziende oggetto d’analisi; forme di generalizzazione e teorizzazione; un approccio creativo, poco standar-
questionari di valutazione dei servizi rivolti ai dizzato per descrivere una realtà in fieri, poco strutturata e rispetto alla quale non
partecipanti ai programmi, ai loro capi e
collaboratori. erano disponibili conoscenze testate e condivise.
Tale metodologia permette, a partire dall’osservazione e dalla descrizione delle pra-
tiche, di ricostruire la realtà creando una sorta di radiografia del contesto in cui si
sviluppa. Si procede dunque a una problematizzazione del tema utilizzando come
punto di partenza le pratiche osservate; si va alla ricerca non dell’oggettività ma di
descrizioni situate da cui poter trarre questioni più generali. Le analisi e i dati qua-
litativi raccolti sono principalmente dati narrativi che l’approccio costruttivista ed
etnografico riorganizza in forme descrittive, registrando e riorganizzando i dati in
una thick description della realtà sociale (Geertz 1998).
I casi sono stati costruiti attraverso interviste semistrutturate svolte all’interno del-
la Direzione risorse umane (dai direttori risorse umane, ai responsabili dello svi-
luppo, ai responsabili di progetti specifici), analisi di documenti2 e fonti prodotte
in seno all’organizzazione.
A mano a mano che si procedeva nel disegno di ricerca si verificavano i dati emer-
si con l’analisi on the desk per porre via via nei casi successivi questioni più speci-
fiche e di approfondimento.
Il concetto centrale del disegno di ricerca è stato quello di generare una teoria so-
stantiva iniziale (legata ai propri dati-caso) e da questa muovere verso una teoria più
formale (a partire dai propri dati). L’analisi è quindi avvenuta in base ai seguenti cri-
teri: codifica aperta e intuitiva, selezione e costruzione di categorie, costante com-
parazione, conferma/ridefinizione/elaborazione di concetti più generali.
Nonostante la scelta di un numero limitato di casi, il materiale raccolto e l’im-
pianto di ricerca predisposto hanno permesso di attivare le fonti delle informa-
zioni, rendendo loro esplicito, nel dialogo con il ricercatore, il processo di produ-
zione di opinioni e giudizi sui servizi one-to-one.
Analizzando la genesi dei servizi one-to-one risulta evidente come il loro sviluppo e
il loro utilizzo quale strumento di gestione delle risorse umane costituiscano una del-
le possibili risposte ai nuovi bisogni che si rendono ad oggi evidenti nella gestione
sia d’impresa sia dei singoli individui che la animano. Verranno perciò illustrate al-
cune tendenze organizzative, e successivamente approfonditi i loro impatti sugli at-
tori organizzativi, ed evidenziate le opportunità che i diversi servizi one-to-one pos-
sono offrire come possibili risposte ai bisogni elencati.
I bisogni organizzativi
Ω Definizione e sviluppo delle competenze chiave. La ricerca del vantaggio competitivo, 3. Procedimento di analisi delle competenze
in un mercato dove le innovazioni di prodotto e di processo vengono superate in ci- chiave basato concettualmente sulla teoria
competence-based (Prahald, Hamel 1990)
cli sempre più rapidi e l’estrema permeabilità e compenetrazione dei segmenti fan-
e sulla teoria dell’integrazione della Gestione
no sì che i soggetti concorrenti si moltiplichino in modo sostanzialmente impreve- strategica con la Gestione delle risorse umane
dibile (Perrone 1996), porta molte imprese alla scelta strategica di concentrarsi sul- alla base dell’approccio alla Gestione
le proprie attività distintive, ovvero quelle attività caratteristiche, difficili da imitare, strategica delle risorse umane.
in grado di fornire un contributo alla percezione di un valore distintivo da parte del 4. Si vedano la scheda 2 (caso Walt Disney)
cliente finale. Per poter raggiungere l’eccellenza in queste attività vengono realiz- e la scheda 3 (caso Bayer).
zati processi di selezione, sviluppo e presidio delle competenze chiave necessarie a 5. Secondo l’approccio della Learning
svolgerle. Il processo parte dalla loro mappatura, strettamente discendente dai pia- Organization “la competitività è funzione
ni strategici aziendali, sia a livello collettivo organizzativo sia a livello di singole fa- diretta delle competenze possedute dagli attori
organizzativi” (Garvin 1993; Senge 1994;
miglie professionali, di processi e di singoli ruoli.3 Procede con la valutazione dei
Quaglino 1999).
gap esistenti fra queste competenze e quelle espresse dalle persone e con la pro-
grammazione di iniziative tese ad aumentarne il grado di possesso e applicazione
per singoli ruoli e singoli soggetti. L’obiettivo è definire conoscenze e comporta-
menti necessari per migliorare le performance individuali, nella convinzione che
queste contribuiscano al raggiungimento dell’eccellenza nelle attività distintive
d’impresa, e perciò alla realizzazione di una migliore performance aziendale.
Alcuni servizi one-to-one (in particolare l’executive coaching, il coaching e il tutor-
ing) risultano, dal lavoro di ricerca, strumenti che possono rispondere bene all’e-
sigenza di sviluppare le competenze individuali chiave per svolgere il proprio ruo-
lo poiché, a valle dei processi di mappatura e valutazione del grado di possesso
delle competenze, permettono di attivare percorsi formativi estremamente mira-
ti e personalizzati affrontando sia contenuti tecnico-specialistici sia aspetti legati
più ai comportamenti individuali.4
Ω Esigenza di apprendimento continuo. I costanti mutamenti organizzativi, derivati
dai fenomeni di riorientamento strategico che le imprese sono chiamate ad af-
frontare per poter sopravvivere nel mercato, richiedono la ricerca di nuove moda-
lità formative che rispondano a tre esigenze: garantire lo sviluppo di competenze
sempre nuove, sostenere gli individui nell’esprimerle in tempo reale all’interno
degli specifici ruoli e contesti lavorativi d’appartenenza,5 svilupparsi con tempi e
modalità compatibili con ritmi operativi sempre più stringenti e rapidi.
Tutti gli interventi one-to-one, per le loro caratteristiche di personalizzazione e
possibilità di essere erogati protraendosi nel tempo, offrono l’opportunità sia di
affrontare tematiche non standardizzate, sia di sostenere i processi di apprendi-
mento individuale in modo continuativo e perciò immediatamente verificabile
“sul campo” e flessibile rispetto alle esigenze professionali.
Ω Enfasi sulle abilità comportamentali. Le capacità di cooperazione, di comunicazio-
ne, di ascolto si rivelano indispensabili per supportare nuove forme di relazioni
intraorganizzative e il committment e la fiducia (Perrone, Chiacchierini 1999) ne-
cessari a sostenere appartenenze aziendali basate sempre meno sul controllo e la
gerarchia e sempre più su meccanismi di coordinamento orizzontale. Abilità cru-
ciali in contesti caratterizzati da strutture snelle, appiattimento delle linee gerar-
chiche, integrazione di culture diverse (Perrone 1996) e nuovi ruoli trasversali
(process owner, project-product manager ecc.), che trovano modo di svilupparsi in
processi formativi molto delicati – poiché vicini all’espressione più profonda del
sé degli individui – ben affrontati nei percorsi di counseling ed executive coaching.
I SERVIZI ONE-TO-ONE
I bisogni individuali
Contesti organizzativi sfidanti, che richiedono costante attenzione allo sviluppo del-
le competenze individuali anche su aspetti personali, coerenti con strategie soggette
a frequenti riorientamenti, innalzando sempre più le richieste di assunzione di re-
sponsabilità e di impegno emotivo e mentale verso gli attori organizzativi fanno
emergere al loro interno alcuni bisogni individuali di fondo.
Ω Sviluppo dell’autoconsapevolezza. La capacità soggettiva di riconoscere i propri sta-
ti interiori, le preferenze, le proprie risorse e intuizioni, diventa una risorsa indi-
spensabile per sopravvivere in una realtà d’impresa incerta, instabile (si pensi, per
esempio, alla perdita della garanzia del posto fisso suffragata dal passaggio dal
concetto di employment a quello di employability) (Ellig 1998)) e in continua evo-
luzione e cambiamento (Maggi 2001; Chandler 1990). L’individuo deve poter ac-
cedere al proprio patrimonio interiore, vuoi per costruirsi in modo protagonistico
il proprio percorso professionale (Vaccani 2001) vuoi per rispondere, senza di-
sintegrare la propria identità, a processi organizzativi che richiedono comporta-
menti divergenti ad alto impegno emotivo e mentale. L’organizzazione, per esem-
pio, richiede da un lato maggiore abilità di socializzazione (enfasi sui comporta-
menti di collaborazione, di networking, di team) e, dall’altro, capacità di scelte au-
tonome, sia per la diffusione delle responsabilità a seguito dell’appiattimento del-
le linee gerarchiche sia per la richiesta di agire sempre più velocemente per ri-
spondere a delivery o time-to-market che non concedono esitazioni temporali.
Ω Revisione dei propri schemi predittivi. Ogni essere umano, nella propria vita, co-
struisce mappe di significati che lo sostengono nell’orientarsi nel suo “stare al
mondo” (Pearls, Helferline, Goodman 1971). I contesti organizzativi all’interno
dei quali si esprime la dimensione professionale individuale, caratterizzati da ve-
locità di reazione e dalla necessità di apprendimento continuo, non permettono di
fondare schemi di conoscenza sufficientemente stabili per essere utili a interpre-
tare quegli stessi ambienti e a indirizzarvi le scelte individuali. Richiedono piut-
tosto una grande capacità di decodifica della complessità e attenzione costante a
esprimere le proprie competenze e modalità comportamentali coerentemente a
contesti sempre diversi (Nardone, Watzlawick 1999).
Ω Ricerca di relazioni d’aiuto. La possibilità di trovare spazi di riflessione in grado,
nel confronto esterno, di far relativizzare i propri punti di vista e di rielaborare le
difficoltà, diventa una necessità stringente per coloro che vivono in aziende com-
plesse e in continuo mutamento.
Bisogni Bisogni
Bisogni di integrazione di conoscenza
individuali individuo/ tecnico
organizzazione specialistica
Ambito formativo
I SERVIZI ONE-TO-ONE
Il counseling
Il termine deriva dal latino consulere (consultare) e consilium (consiglio). In campo
formativo il counseling è definito come “processo di apprendimento interattivo fra
counselor e cliente che affronta in modo olistico temi sociali, culturali, economici e/o
emotivi ... e che può concentrarsi sulla modalità di affrontare e risolvere problemi
specifici, favorire un processo decisionale, aiutare a superare una crisi, migliorare i
rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo personale, accrescere la conoscenza e la
consapevolezza di sé, permettere di elaborare emozioni e conflitti interiori. L’obietti-
vo globale è quello di offrire ai clienti l’opportunità di lavorare su se stessi, con mo-
dalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risor-
se come individui e come membri della società più vasta” (Associazione Europea di
Counseling 2000).
Il counseling è quindi un servizio incentrato sulla relazione sim-
metrica tra due persone – il counselor e il cliente – e sulla condi-
Il counselor, nel suo ruolo di zione di difficoltà personale vissuta dal cliente cui viene offerto uno
“specchio” che restituisce spazio di esplorazione dei propri schemi di pensiero, per sviluppa-
re la propria capacità di decidere e di cambiare comportamenti con
immagini ma pone anche un maggiore livello di autonomia e consapevolezza (AICO 1999).
interrogativi, aiuta il cliente a La tecnica utilizzata nei colloqui è quella dell’ascolto come “modo
di aiutare qualcuno a decidere il proprio futuro, più che a decifra-
esaminare situazioni re il proprio passato” (Paladino, Cerizza Tosoni 2001). Il counse-
problematiche lor, nel suo ruolo di “specchio” che restituisce immagini ma pone
anche interrogativi, aiuta il cliente a esaminare situazioni proble-
matiche come punto di partenza ai fini di un cambiamento.
Di massima importanza è l’adesione volontaria del cliente al servizio (Mazzoleni
1999) perché il counseling, a differenza degli altri servizi one-to-one, dà ampio spa-
zio alla dimensione emotiva e relazionale: nasce nell’ambito della “psicologia uma-
nistica” (Rogers 1970, 1971), anche se, a differenza della psicoterapia, non affronta i
disturbi strutturali dell’ego.
Si distinguono poi i servizi di:
Ω Career counseling (Holdsworth 1988; Hopson, Barrie 1985) che hanno l’obiettivo
di aumentare il grado di consapevolezza delle persone che si trovano di fronte a
una scelta critica nel loro sviluppo di carriera e di facilitare l’individuazione delle
loro potenzialità in rapporto alle opportunità ambientali. Si basano su un’accura-
ta analisi delle aspettative del cliente e dei suoi eventuali problemi di partenza at-
traverso colloqui in profondità ed esercizi di autoconsapevolezza nei quali il
counselor cerca di stimolare nel cliente la presa di coscienza dei suoi bisogni-de-
sideri e delle strategie possibili di realizzazione.
Ω I servizi di counseling di sostegno (che sono quelli che più si avvicinano alla psico-
terapia) hanno invece lo scopo di prevenire e superare i momenti di difficoltà cau-
sati da un’inadeguata relazione individuo-lavoro per problemi personali (per es.
alcolismo, situazioni famigliari difficili) oppure di attività lavorativa (sovraccarico,
turni, compiti stressanti o pericolosi) o ancora afferenti al mercato del lavoro (pre-
pensionamenti, processi di mobilità). Questa tipologia di servizi ha trovato fino-
ra, in Italia, una modesta applicazione, quasi esclusivamente incentrata sull’ulti-
mo tema indicato.
L’executive coaching
È una modalità particolare di applicazione della filosofia e della metodologia del 7. Il counseling sottolinea prioritariamente
counseling, molto spesso utilizzata in ambito organizzativo (vedi caso Walt l’azione di sostegno lasciando sullo sfondo
la metafora dell’allenamento in vista di una
Disney nella scheda 2). Ha lo scopo di aiutare il manager nel percorso di svilup-
performance.
po della carriera (Guardino, Schmidt 2000; Looss 1992), partendo dalla mappa-
tura delle core competences di ruolo e lavorando per piani di azione che consenta- 8. Tuttavia Looss (1992) suggerisce di usare
con cautela questa analogia, dal momento che
no di colmare eventuali gap. L’executive coaching, a differenza del counseling, tra i due campi le differenze sono sostanziali,
ha quindi come focus duplice la persona e il contesto aziendale, da tenere en- soprattutto perché in ambito manageriale le
trambi presenti nel definire il target di performance da raggiungere via via lun- variabili di cui tenere conto sono sicuramente
go il percorso.7 più numerose rispetto allo sport.
L’attività viene svolta insieme a un consulente, preferibilmente esterno all’azienda,
in un rapporto di affiancamento in cui il coach è un consulente personale che cerca
di rispondere alla domanda: “in che modo questa persona svolge il suo ruolo di ma-
nager?” (Looss 1992).
Il coaching
Il significato della parola anglosassone coach è “carrozza”, “cocchio”, utilizzata anche
per indicare il conducente, “il vetturino che guida il cavallo” (Higy-Lang, Gellman
2000). Attualmente, il coach in inglese è l’insegnante privato e, per estensione, l’al-
lenatore sportivo di una squadra o di singoli atleti. Con analogia tra sport e business,8
coach e manager devono saper valutare competenze, capacità manifeste e potenzia-
li, punti di forza e di debolezza dei loro giocatori/collaboratori, e studiare le strategie
più efficaci per svilupparne la performance. Nel linguaggio corrente, la parola coach-
ing ha acquistato una connotazione di “stile di conduzione, di leadership”, attento al-
la crescita e alla motivazione dei propri collaboratori per costruire “un senso dell’es-
sere squadra” (Reggiani 2000). In altre parole, il coaching è un processo volontario
e pianificato attraverso cui il capo diretto, che ha la responsabilità gestionale del col-
laboratore (coach-ee), ha la possibilità di osservarlo in progress costantemente e di for-
nirgli un feedback continuo ma anche approfondito sulle sue prestazioni (vedi caso
Bayer nella scheda 3).
I SERVIZI ONE-TO-ONE
Il tutoring
In latino tutor significa “difensore” e deriva dal verbo tutorare (tutelare). Il tutoring
può dunque definirsi come “una funzione di consulenza finalizzata a supportare, ac-
compagnare le persone nei propri percorsi di apprendimento” (Colautti 2002). Di
norma, il tutor è un collega più esperto, mai un diretto superiore, che si pone come
punto di riferimento organizzativo e come guida nel processo di apprendimento di
conoscenze tecnico-specialistiche per coloro su cui l’organizzazione decide di inve-
stire. È un ruolo incentrato “non sullo sviluppo delle capacità relazionali … e delle po-
tenzialità, bensì sulle competenze lavorative, sulle specifiche capacità richieste dal
ruolo che si svolge all’interno dell’azienda” (Arenzi 1994).
Rispetto al coaching, il tutoring si caratterizza per un maggior presidio dei processi
Il mentoring
Il termine deriva da Mentore, personaggio mitologico greco dell’Odissea, saggio con-
sigliere di Ulisse, sotto le cui spoglie si nasconde Atena, la dea della Sapienza. Il suo
compito è quello di educare Telemaco, figlio di Ulisse, dal punto di vista intellettua-
le, emotivo e caratteriale, aiutandolo nel percorso verso il raggiungimento di un’e-
quilibrata maturità personale, fornendogli protezione e consigli, e consegnandogli
per sempre la sua saggezza.
Rispetto al coaching e al tutoring, il mentoring fa quindi riferimento a un legame
più profondo che non riguarda solo lo sviluppo delle competenze o della prestazio-
ne, ma fornisce sostegno e sviluppo attivando un processo di apprendimento basa-
to sulla condivisione delle conoscenze e delle esperienze del mentor e sul suppor-
to all’esercizio della riflessione critica. Rispetto al counseling, la relazione che si svi-
luppa tra mentore e mentee, seppur emotivamente intensa, è finalizzata allo svilup-
po dell’individuo nella dimensione dell’identità professionale in quella specifica or-
ganizzazione di riferimento. Il mentor può essere un experienced manager, un col-
lega con maggiore anzianità aziendale o un superiore ma estraneo alla linea gerar-
chica del mentee (Megginson, Clutterbuck 1995) (vedi caso Accenture nella scheda
1), e fattore fondamentale del successo del servizio è l’adesione spontanea da parte
del mentor prescelto.
Più schematicamente, le funzioni dell’attività di mentoring sono:
Ω sostegno al processo di apprendimento, alimentando una dialettica virtuosa tra
teoria ed esperienza (Clutterbuck 1985);
Ω trasmissione e diffusione della cultura organizzativa (Baum 1992; Whitely, Dou-
gherty, Dreher 1991; Antal 1993), accompagnando l’allievo lungo il suo cammino
di iniziazione, socializzazione e integrazione nella cultura aziendale;
Ω sponsor di carriera: il mentore, per seniority e appartenenza al gruppo dei deci-
sori, può rilevare posizioni aperte adatte al mentee e legare le necessità aziendali
con il potenziale espresso dalle persone.
Il mentoring, rispetto al tutoring, richiede contatti molto più frequenti e continui, per
la durata di uno-due anni, e si differenzia dal coaching per la relazione non gerar-
chica tra attore e destinatari (Antal 1993; Veale, Watchel 1996) e l’alto coinvolgimento
emotivo: “il mentor facilita la realizzazione dei sogni … presenta i tratti del genitore
e del compagno…” (Levinson 1978).
Le prime sperimentazioni di questo servizio in Italia risalgono agli anni novanta e
restano ad oggi rare.
Destinatari Ω Neoinseriti
Ω Potenziali in crescita
Attore (chi eroga il servizio) Collega più esperto / anziano non in gerarchia
I SERVIZI ONE-TO-ONE
I problemi aperti
Come risultato finale della ricerca sono state individuate le criticità più rilevanti sol-
levate dall’implementazione dei servizi one-to-one, al fine di offrire alcuni spunti di
approfondimento e riflessione sull’evoluzione di queste tematiche.
Un problema definitorio
Nelle imprese è diffusa una certa confusione nominalistica fra le quattro tipologie
dei servizi one-to-one, ascrivibile alla tensione di dare risposte ai bisogni organizza-
tivi e individuali senza curarsi della rigorosità terminologica. Tale confusione, però,
risulta anche in letteratura: l’approfondimento analitico dei singoli servizi sembra
portare a una perdita di visione d’insieme e di dimensione logica che sottende e so-
stiene il loro utilizzo all’interno di specifici contesti organizzativi.
Il grado di formalizzazione
Questo aspetto è strettamente correlato al tema della definizione del contratto psico-
logico la cui validità dipende anche e soprattutto dalla capacità dell’impresa di ren-
dere chiaro il “patto” che contrae con i diversi attori. Ogni azienda può definire in
modo esplicito:
Ω le aree di bisogno cui il servizio risponde;
Ω gli obiettivi istituzionali dell’intero processo o dei singoli percorsi;
Ω i criteri per identificare chi eroga il servizio;
Ω i criteri per definire i target di destinatari;
Ω le metodologie di lavoro;
Ω i tempi di durata dei servizi;
Ω i criteri e le modalità di valutazione degli esiti dei processi;
Ω i criteri e le modalità di valutazione dei soggetti che erogano i servizi;
Ω i criteri e le modalità di valutazione dei soggetti fruitori;
Ω i criteri di definizione e le modalità di raccolta dei feedback.
La decisione del grado di formalizzazione del servizio, non ossessiva tanto da svuotare
di contenuto i processi, non è ininfluente rispetto all’attività e può costituire una buo-
na occasione per chiarire e riflettere su cosa si sta facendo e perché lo si sta facendo.
L’equità
Se è vero che la diversità degli individui e dei bisogni fa sì che sia necessario un alto
grado di personalizzazione dei servizi, per l’organizzazione si viene a rompere il prin-
cipio dell’equità: la sfida del futuro diventa allora quella di progettare strumenti e me-
todi che “mettano d’accordo” valori apparentemente antitetici e poco conciliabili.
Nonostante i limiti descritti, la ricerca vuole sia offrire alcuni iniziali spunti di ri-
flessione su un tema relativamente nuovo, assai complesso e certamente ricco di
molteplici punti di vista, sia evidenziare le opportunità che questi servizi offrono per
l’individuo e per l’organizzazione.
La difficoltà di introduzione di questi servizi nelle imprese italiane – soprattutto del
counseling e del mentoring, che richiedono il più alto coinvolgimento personale sia
per chi eroga il servizio sia per l’utente – riguarda, oltre le criticità intrinseche ai ser-
vizi precedentemente descritte, il tabù nella cultura organizzativa italiana secondo la
quale le problematiche di natura più emotiva che tecnica sono considerate difficoltà
sfortunate da gestirsi in prima persona; ne consegue che l’apprendimento e lo svi-
luppo di questi aspetti vengono prevalentemente associati all’essere inadeguati, al
non essere all’altezza. Inoltre, sembra essere convinzione diffusa che le persone che
operano nelle organizzazioni lavorative siano “creature parziali” dotate di una forte
razionalità, capaci di non manifestare sentimenti, emozioni e passioni: “da un lato,
le organizzazioni riconoscono l’importanza della soggettività, come valore dichiara-
to per il successo organizzativo, dall’altro le politiche gestionali tendono a margina-
lizzare l’affettività e l’emotività dei singoli nei luoghi separati della formazione e del-
la consulenza o nel trattarla in modo doveristico e ideologico (‘la soddisfazione del
cliente interno ed esterno’) … in modo contraddittorio; pertanto l’affettività è vissuta
non come risorsa da valorizzare, ma come un possibile inconve-
niente o contrattempo da rimuovere” (Tacchio 1999).
In questo senso, i servizi one-to-one possono generare, nel mo-
mento implementativo, fantasie difensive: è giusto e funzionale In tutti i servizi one-to-one
che l’azienda si occupi della “persona”? Non si rischia di sconfi- la criticità più alta,
nare nella psicoterapia? Come si possono rendere tangibili i van-
taggi che tali servizi comportano? Questi i dubbi che i manager in particolare nel counseling,
dell’HR prevalentemente si pongono. è la confidenzialità dei temi
Nell’articolo si è inteso, per contro, rilevare come i servizi one-to-
one risultino più consoni, rispetto alla formazione tradizionale, affrontati
ad alcuni bisogni che le organizzazioni attualmente esprimono.
Infatti, garantiscono uno sviluppo delle competenze (Cappucci
1999) più legato a esigenze strettamente inerenti i ruoli specifici o i vissuti persona-
li degli individui, più adattabile ai mutamenti continui, più coerente con i ritmi ope-
rativi, più immediatamente verificabile rispetto alla formazione tradizionale.
La personalizzazione garantisce un percorso di apprendimento mirato su obiettivi e
aree di miglioramento della singola persona e del singolo ruolo.
I SERVIZI ONE-TO-ONE
La relazione basata su un clima di fiducia e allo stesso tempo fattivo, guidando l’in-
dividuo a prendere coscienza delle proprie risorse in un’ottica di autosviluppo e por-
tandolo a farsi carico della propria crescita attraverso la presa di consapevolezza, lo
sviluppo della responsabilità e della fiducia nei propri mezzi, determina una minore
labilità dell’apprendimento.
La flessibilità dell’erogazione dei servizi garantisce una buona efficacia anche da un
punto di vista più pragmatico e operativo: gli incontri hanno una durata massima di
una o due ore; è possibile organizzarli, nel rispetto della cadenza
temporale utile alla buona riuscita dell’attività, coerentemente al-
Tra i bisogni che le le esigenze dell’agenda professionale, e possono essere attivati
organizzazioni attualmente anche presso il proprio ufficio.
La continuità del servizio data sia dalla caratteristica intrinseca di
esprimono vi è uno creazione di una relazione di lunga durata nei servizi di mentor-
sviluppo delle competenze ing, coaching e tutoring, sia dalla possibilità di creare incontri di
counseling o executive coaching sequenziali su tempi lunghi,
più legato ai vissuti permette di sperimentare da un incontro all’altro gli apprendi-
personali degli individui menti e rielaborarli all’incontro successivo, in percorsi formativi
strettamente verificabili sul campo e che accompagnano quasi in
tempo reale lo sviluppo delle competenze.
Si propone, a titolo conclusivo, una tabella riassuntiva dei diversi servizi che renda
esplicito, per chi volesse implementare un progetto di formazione e sviluppo one-to-
one nella propria realtà organizzativa, differenze e similitudini, in modo tale da ri-
correre al servizio che, al di là dei possibili entusiasmi o inevitabili dubbi, risponda
al meglio agli obiettivi d’impresa.
Chi è Consulente esterno Consulente esterno Capo diretto Collega più esperto Collega più esperto /
o interno all’azienda all’azienda anziano non in gerarchia
Centratura del suo ruolo Personale > professionale Personale > professionale Professionale > personale Professionale > personale Personale + professionale
Chi sono Ω Top management Ω Top management Collaboratori a tutti Ω Neoinseriti Ω Neoinseriti
i suoi destinatari Ω Alti potenziali Ω Alti potenziali i livelli Ω Potenziali in crescita Ω Potenziali in crescita
Ω Neoinseriti
Ω Persone con
problematiche specifiche
Quali competenze Autoconsapevolezza, Competenze nell’area Competenze di gestione Competenze Competenze di analisi
manageriali sviluppa autostima, assertività, del comportamento del ruolo: gestione tecnico-specialistiche e interpretazione del ruolo
gestione dell’emotività legate al ruolo collaboratori, problem e della cultura organizzativa
e dello stress, elaborazione professionale specifico solving, stile di leadership,
di problematiche personali capacità negoziali,
che interferiscono con orientamento all’obiettivo
la prestazione lavorativa
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Scheda 1 Profilo dell’azienda per l’azienda e per gli stessi gimento degli incontri di
IL MENTORING Nata nel 1953 con il nome di mentor che imparano a tra- mentoring e i principi del-
E IL COUNSELING Andersen Consulting, nel smettere esperienza, consi- l’empowerment.
IN ACCENTURE 1989 diviene una business gliare e mantenere il contatto Per i primi cinque anni di ge-
unit distinta rispetto alla so- con i giovani: il mentor deve stione del programma viene
a cura di Paola Castelli
cietà di revisione, denomina- avere capacità di ascolto e di nominato un Mentoring Pro-
e Simona Cuomo
con la gentile collaborazione ta Accenture nel 2001. Con comunicazione, nonché l’abi- cess Owner i cui principali
della dottoressa A. Lucchini, oltre 75 000 professionisti in lità di “empowerizzare” i pro- compiti sono: gestione delle
partner di Accenture 47 paesi, Accenture è oggi pri mentee, ovvero di aumen- assegnazioni, controllo degli
uno dei leader mondiali nel tarne il “potere interno”. A tal incontri, raccolta dei feed-
settore della consulenza e dei fine, deve essere dotato di back e produzione di un re-
servizi di management e tec- sufficiente influenza per pe- port semestrale che evidenzi
nologici: in Italia conta 4000 rorare, quando necessario, le criticità e risultati del pro-
dipendenti e ha una struttura cause dei mentee ma, per gramma.
organizzata per Industries e mantenere una visione obiet- Pur essendo la relazione di
Services. tiva e instaurare un rapporto mentoring tendenzialmente
di fiducia, non deve essere il libera (il mentee incontra il
Le origini capo diretto e non deve deci- proprio mentor quando lo de-
del programma dere in merito alla valutazio- sidera o quando ne ha biso-
di mentoring ne e alla carriera dei propri gno), per dare continuità al
Nel 1993 Andersen Consult- mentee. rapporto e per una maggiore
ing svolge a livello mondiale, utilità aziendale vengono fis-
per verificare l’allineamento L’articolazione sati anche due “incontri isti-
tra i core values cui l’azienda del servizio tuzionali”, uno di gruppo e
dichiara di ispirarsi e i com- In fase di avvio si definiscono uno individuale, con durata
portamenti effettivamente il profilo del mentor (signifi- media compresa tra una e
adottati, un’analisi di clima cativa esperienza in azienda, due ore.
dalla quale emergono alcune distanza ideale di età ed espe-
esigenze avvertite dai più gio- rienza – sette/dieci anni – Le origini
vani: essere maggiormente e con il mentee) e i criteri di as- del programma
costantemente seguiti, avere segnazione (principi della di counseling
dell’azienda una visione non “relatività del mentor” e delle Nel corso del progetto di
limitata al cliente/progetto “assegnazioni a cascata”) per mentoring, la complessità
assegnato. Le dimensioni cui, come mentor, gli analyst del mercato ha portato a ride-
aziendali aggiungono inoltre hanno un manager, i consul- finire la tipologia dei progetti
un problema di distanza tant hanno un associate part- e la relazione con i propri
sempre maggiore tra divisio- ner, i manager hanno un clienti, enfatizzando gli aspetti
ni e tra livelli gerarchici. An- partner rispettando così i li- dell’innovazione continua e
dersen Consulting decide di velli della piramide di carrie- del rapporto di partnership
formare gruppi di lavoro in- ra. Inoltre, dopo aver consi- duratura con i clienti: “i no-
ternazionali per studiare il derato le “assegnazioni incro- stri consulenti rimangono
problema e le possibili solu- ciate” (mentor non apparte- per tantissimo tempo presso
zioni. Il gruppo europeo si nente alla stessa area del i clienti; questo è il nostro va-
focalizza sulla messa a punto mentee), si giudica più oppor- lore … con il rischio di perde-
di un programma di mento- tuno che il mentor apparten- re l’identità e il legame con
ring il cui principale obiettivo ga alla stessa area del mentee l’azienda”. In questa situazio-
è favorire la crescita delle per- per condividerne la stessa ne si decide di trasformare il
sone, dando consigli sui con- realtà e sia scelto dal mentee programma di mentoring in
tenuti del lavoro, sui percorsi che può anche cambiarlo: il counseling per sottolineare la
formativi e sulle scelte di vita meccanismo di assegnazione presenza istituzionale di un
professionale, migliorando la “di ufficio” viene conservato punto di riferimento stabile
retention e costituendo, nella per i nuovi assunti e per me- cui poter “sempre fare riferi-
“giungla aziendale”, un pun- glio equilibrare il carico di la- mento”, con l’obiettivo di ga-
to di riferimento facilmente voro dei mentor. rantire a ciascuna risorsa un
accessibile per qualunque A tutti i mentor, in un incon- supporto per gestire con suc-
esigenza. Il programma vie- tro formativo di mezza gior- cesso lo sviluppo della pro-
ne concepito in modo da pre- nata, vengono illustrati gli pria professionalità e della
sentare vantaggi per i mentee, obiettivi e le modalità di svol- propria carriera, nonché co-
I SERVIZI ONE-TO-ONE
struire un sistema di relazio- anno (annual interview) e, co- Sul versante delle criticità, si c’è sempre un motivo per la-
ni interpersonali all’interno me funzione non prevista in segnalano il posizionamento mentarsi del progetto…”.
della società positivo e moti- fase di progettazione, è coin- del servizio nell’organizzazio- A parere del ricercatore e di
vante. Counselor e counselee volto nella gestione delle ne – “un’appendice dello chi scrive, per poter cogliere
hanno un incontro al mese o aspettative di carriera, aspetto scheduling” – e la sua spon- appieno i benefici di questo
ogni due mesi. cruciale per un’azienda in cui sorship: “attualmente viene servizio sarebbe necessario
Il counselor fornisce suppor- vige un “modello up or out”. vissuto come una attività di un maggiore investimento
to al proprio counselee in fa- staff, a latere dal core busi- organizzativo (formazione
se di assegnazione e durante Gli esiti del programma ness; non è considerato im- dei counselor) che tende inve-
l’inserimento nei progetti, nel Il mentoring prima e il counsel- portante … perché lo devi ge- ce a essere limitato alla fase di
processo di valutazione, co- ing poi si sono dimostrati uti- stire nei ritagli di tempo…”. progettazione dei programmi
me supervisione sul training. li e sono stati apprezzati dai Inoltre, il counseling è stato e gestito come attività resi-
Oltre a queste funzioni speci- destinatari e dall’azienda, co- spesso interpretato, da parte duale nei ritagli di tempo e
fiche, il counselor incontra il me testimoniano gli indicato- dei counselee, non come op- non in orario lavorativo.
counselee durante il collo- ri di clima contenuti nella Ba- portunità di sviluppo, ma co-
quio di accoglienza e di fine lanced Score Card. me una sorta di “lamentatoio;
Scheda 2 L’EXECUTIVE Profilo dell’azienda forza e delle aree di migliora- nel merito dello svolgimento
COACHING IN THE La Walt Disney Italia risale al mento per ogni ruolo e ogni del lavoro. L’attività ha senso
WALT DISNEY ITALIA 1938. Oggi si occupa di: edi- persona coinvolta). Mentre in solo se i capi delle persone
toria libri e periodici, distri- avvio l’iniziativa consiste in coinvolte non richiedono
a cura di Martina Raffaglio
buzione televisiva, cinemato- un’analisi “ingegneristica” di feed back al coach e se i sog-
con la gentile collaborazione
del dottor A. Magnone, grafica e discografica, tv te- misurazione dell’organizza- getti coinvolti dimostrano ca-
responsabile del personale matica, home entertainment, zione, dei ruoli e delle com- pacità di imprenditorialità,
licensing, giochi interattivi. petenze, il progetto si traduce autonomia di scelta e creati-
Conta 450 dipendenti e 11 col- poi in attività focalizzate sui vità nel progettare le iniziati-
laboratori free lance per ogni comportamenti organizzativi ve per il proprio sviluppo.
dipendente. Il fatturato 2004 fondamentali per la tipologia L’attività viene inizialmente
è stato di 500 milioni di euro. di business dell’azienda. proposta a dirigenti di me-
Lo scopo del progetto è infat- dio-alto livello e comunicata
Le origini del servizio ti creare uno strumento di o dalla Direzione del perso-
Il progetto di Individual De- gestione del personale che nale o direttamente dai capi
velopment System, per i re- permetta di lavorare sui com- di primo livello. Con un’ade-
sponsabili di primo livello portamenti organizzativi del- sione su base volontaria ven-
delle funzioni aziendali, par- le persone, fattore chiave del- gono coinvolti, in cinque an-
te nel 1996 con un processo la performance di ruolo su ni, 47 dirigenti con prevalen-
diviso in due fasi: la mappa- cui si sono sempre focalizza- za delle funzioni marketing e
tura dei ruoli e dei gap esi- te le iniziative della Direzio- delle divisioni di editoria, no-
stenti rispetto alle scelte stra- ne del personale, in modo nostante richieste più nume-
tegiche dell’impresa – riser- strettamente coerente al pe- rose di adesione al servizio,
vata ai responsabili di funzio- culiare contesto di business considerato un riconosci-
ne –, la realizzazione di piani di Disney, che lavora sostan- mento, un fatto di status.
di miglioramento individuali zialmente sulla creazione di La selezione iniziale eviden-
in affiancamento a un coach immagine. zia due filoni di interesse: gli
scelto in modo autonomo e aspetti più “tecnocratici” e
approvato da un capo, diretto Articolazione quelli più “comportamenta-
o di altra funzione, che di- del servizio li”, con l’individuazione di
venta sponsor del progetto. Il processo di executive coach- consulenti esperti di processi
L’attività parte dalla mappatu- ing può variare da sei mesi a aziendali e hard skills o di spe-
ra delle competenze chiave due anni e prevede circa die- cialisti con competenze di
aziendali e viene scelta come ci incontri all’anno di tre- psicologia sullo sviluppo del-
modalità formativa per svi- quattro ore con il coach. Il le soft skills.
luppare quelle carenti o pre- committente dell’iniziativa, La verifica dell’efficacia dell’i-
sidiare quelle esistenti (il pia- la Direzione del personale, niziativa viene fatta attraver-
no di lavoro dei coach parte conosce solo l’action plan e i so l’osservazione dei compor-
dalla definizione dei punti di suoi obiettivi, ma non entra tamenti dei destinatari, il
feed back diretto ai loro capi- conosce pienamente la se- chiara, non solo per l’azien- zione svolto nei confronti
sponsor, un final check della niority delle risorse coinvol- da ma soprattutto per gli dell’azienda.
Direzione del personale con te, in una realtà dove livello stessi protagonisti, la reale Ω La scelta del campione degli
una valutazione a 360 gradi, culturale e responsabilità disponibilità all’apprendi- utenti: per esempio, a pa-
un’analisi di clima, una sur- organizzative sono media- mento e al cambiamento da rità di livello culturale e di
vey sulle risorse coinvolte e mente alti: il 53% dei dipen- parte delle persone coinvol- categoria, i risultati miglio-
sui loro sponsor-capi. denti, quasi tutti laureati, te (alcuni dirigenti hanno ri sono stati ottenuti da ri-
sono inquadrati come qua- scoperto di essere già sod- sorse inquadrate in fun-
Gli esiti del programma dri o dirigenti. disfatti del proprio lavoro zioni di business piuttosto
Punti di forza Ω La scelta di advisors esterni senza bisogno di ricercare che di staff. Per motivi di
Ω La filosofia di fondo del pro- all’azienda, dotati di cari- nuove posizioni). politica interna, l’iniziativa
getto, come “relazione adul- sma, esperti del settore di viene estesa a una fascia di
ta fra individuo e organizza- riferimento e studiosi “con Aspetti critici popolazione identificata
zione” in cui vengono offer- i capelli grigi” che rivela l’a- Ω La percezione degli utenti cir- per il livello della posizio-
ti al top management gli spettativa di una funzione ca la riservatezza del consu- ne senza distinzioni indi-
strumenti per definire in di guida autorevole, non- lente esterno, punto di forza viduali, ma di fatto per co-
autonomia le proprie poten- ché di garanzia della riser- del lavoro di coaching, co- loro che dimostrano un at-
zialità di sviluppo e di auto- vatezza necessaria allo svol- me un limite del servizio teggiamento passivo, di-
definizione, ivi compresa la gimento di un delicato per- poiché non sembra garan- sallineato al tipo di propo-
scelta di abbandonare l’a- corso di apprendimento. tire una visibilità imme- sta, l’attività non porta a
zienda. Questo approccio ri- Ω La possibilità di rendere diata del lavoro di forma- cambiamenti significativi.
Scheda 3 Profilo dell’azienda boratori e il percorso propo- per ognuna di esse, mostra il
IL COACHING Il Gruppo Bayer in Italia si sto si pone l’obiettivo di tra- modo in cui è possibile os-
IN BAYER configura come una grande sformare la classica figura servarla nei collaboratori e
realtà industriale con cinque del capo in quella di coach promuoverne lo sviluppo. A
a cura di Adele Mapelli
stabilimenti situati per lo più delle proprie risorse. ciascuno dei capi, secondo la
con la gentile collaborazione
della dottoressa Fiocchi, nel Nord Italia. Occupa 2600 carica e il settore, viene forni-
HR di area, e della dottoressa persone e opera nei settori: L’articolazione to un dizionario parziale,
Natale responsabile Selezione, sanità, agricoltura e polimeri. del servizio contenente dieci competenze
Formazione e Sviluppo Il progetto coinvolge 185 col- fondamentali per osservare i
di Bayer Italia Le origini del servizio laboratori più 125 coach e si comportamenti dei propri
Il progetto Coaching & Leader- concretizza in due giornate collaboratori, per proporre
ship realizzato tra il 2000 e il di aula full-time, più una percorsi di miglioramento e
2001 nasce con l’obiettivo di giornata di verifica a distanza per valutare eventuali pro-
aiutare i “capi” a riconoscere di alcuni mesi, articolate in gressi. La griglia di osserva-
le competenze critiche per le quattro fasi: zione-valutazione viene pro-
diverse posizioni e a svilup- 1. mappatura del ruolo (check posta come “punto di riferi-
pare il dialogo con i propri delle competenze chiave mento aziendale” uniforme
collaboratori. La logica di fon- del collaboratore); per la valutazione delle risor-
do del progetto è quella di in- 2. diagnosi dei punti di forza e se con il duplice obiettivo di
segnare ai capi a distinguere, debolezza dei collaboratori; abituare i capi a interrogarsi
sviluppare e valutare le com- 3. sviluppo di un piano d’azione sul comportamento dei colla-
petenze chiave per ogni ruolo (come potenziare la profes- boratori e di superare la diso-
gestito e aumentare l’effica- sionalità del collaboratore); mogeneità dei criteri di giu-
cia della performance dei col- 4. monitoraggio dei migliora- dizio nella gestione ordinaria
laboratori, laddove l’efficien- menti (tipo di cambiamenti dei collaboratori.
za su risultati di produttività, riscontrati dopo il training). Alla fine del progetto, in una
già ottenuta su buoni livelli, giornata di follow-up, alcuni
si rivela insufficiente per il Come strumento fondamen- capi (i primi a aderire al me-
perseguimento delle strate- tale viene utilizzato un dizio- todo) sono invitati a esporre
gie aziendali. Distribuire ge- nario delle competenze, for- la propria esperienza per evi-
rarchicamente compiti e nito dalla società di consulen- denziare, anche ai meno en-
obiettivi non è sufficiente a za che si occupa della realiz- tusiasti, le potenzialità del
garantire l’eccellenza nella zazione del progetto, che de- ruolo di coach.
performance dei propri colla- scrive 55 competenze base e,
I SERVIZI ONE-TO-ONE
Gli esiti del programma tere che i ritorni ottenuti La valutazione delle Risorse umane auspica-
La valutazione dei responsabili sono sproporzionati rispet- dei partecipanti8 no una reazione positiva per
delle Risorse umane to all’investimento”, “... Il primo dato che emerge è cui i manager dei livelli più
Gli esiti del progetto sono nel adesso è fondamentale l’iniziale scetticismo con cui elevati possano diventare sia
complesso positivi, soprattut- passare alla normale ge- la maggior parte dei capi ha buoni coach sia promotori
to in termini di: stione dei collaboratori co- affrontato il progetto: in par- del coaching presso le loro ri-
Ω miglioramento del clima me coachee” (d.ssa Natale). ticolare i più anziani sono sorse, che sono a loro volta
aziendale e della motivazio- stati, come prevedibile, i me- coach di altre persone.
ne anche se: “… il coaching Sembra comunque “difficile no entusiasti dell’iniziativa
non è la panacea. … per vedere quanto il programma con pregiudiziali quali: “Con
migliorare la performance sia riuscito a migliorare le tutto quello che abbiamo da
dell’organizzazione, … performance dei capi o la loro fare, come si fa a pretendere
Bayer ha dato uno stru- effettiva crescita professionale che perdiamo tempo con i
mento, ora la palla passa ... (è certo) che i partecipanti al collaboratori?”. Dopo la pri-
8. Le indicazioni sono tratte
ai capi … devono essere lo- programma sono comunque ma parte di attività e verifica dal lavoro di tesi di P. Sala,
ro a metterlo in pratica…” tornati a casa con una maggior sul campo, alcuni hanno mo- “Counseling e coaching
(d.ssa Fiocchi); consapevolezza dello strumen- dificato la propria opinione per la formazione di manager “,
Ω maggior coinvolgimento to “coaching”, delle loro stesse apprezzando le potenzialità Università degli Studi di Padova.
Sono state raccolte attraverso
dimostrato rispetto alla for- competenze e degli effetti del del coaching, mentre altri interviste e questionari
mazione tradizionale an- proprio stile di leadership sui hanno confermato l’iniziale ai partecipanti al programma
che se “… occorre ammet- collaboratori” (d.ssa Natale). scetticismo. I responsabili Coaching & Leadership.
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Ω forum
Michele Gaido
La gestione
dei talenti:
Monica Poggio
UNA SFIDA
Tiziana Rosato
POSSIBILE?
LA PROGETTAZIONE DI UNA SOLUZIONE ORGANIZZATIVA E
GESTIONALE IN CUI IL COINVOLGIMENTO DELLE PERSONE DI
VALORE CONVIVE CON LA FLESSIBILITÀ DELLE RELAZIONI DI
LAVORO È LA SFIDA CHE OGGI SI PRESENTA ALLE AZIENDE IN
TEMA DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE.
Barbara Imperatori
IMPERATORI: Il processo di gestione dei talenti si che vengono descritti come di successo. La prima sfida che
concretizza nell’insieme delle pratiche, dei sistemi si prospetta alle aziende che vogliano cominciare a pensare
e degli strumenti che l’azienda decide di mettere in atto per a un programma di sostegno e di sviluppo dei propri talenti
identificare, gestire, sviluppare e trattenere le persone criti- è la loro identificazione, che presuppone una – non sconta-
che. L’insieme di queste pratiche costituisce una sorta di ta – definizione di “talento” in ambito aziendale. Molte sono
“pacchetto gestionale” pensato specificamente dall’azienda le etichette utilizzate in letteratura e nella pratica: high poten-
per i propri lavoratori “d’élite”. tial (HiPo), high flyer, fast tracker, star, best performer, solo per
La formulazione e la progettazione di questo pacchetto di citare le più diffuse. Ma chi sono i talenti in azienda? Quan-
offerta non è però ancora consolidata nella pratica. Vi sono do e con quali strumenti vengono identificati? Questi sono i
addirittura alcune aziende che hanno rinunciato all’idea di primi interrogativi che rivolgo ai nostri ospiti, pregandoli di
costruire percorsi specifici per particolari popolazioni azien- illustrarci anche come è interpretato e vissuto, nelle loro dif-
dali perché i rischi di tale operazione sono sembrati, talvol- ferenti realtà, il “problema dei talenti” e a quale punto del
ta, superiori ai possibili benefici. Al contrario, ci sono casi dibattito attualmente si trovano.
GAIDO: Partiamo dalla definizione. Talento è un ter- struttura di tutorship e di mentoring di alto profilo. Il pro-
mine che si rifà a doti naturali, quasi innate, da soli- gramma ha coinvolto negli anni più di cinquecento laureati,
sta e mette in secondo piano un aspetto importante: le compe- più o meno il 15% dei neoassunti laureati del Gruppo. L’obiet-
tenze. Personalmente preferisco parlare di alti potenziali; forse tivo era formare manager polivalenti.
è un termine più tradizionale, che però ha valenze superiori Il profilo di selezione era elevato: laurea in ingegneria o in eco-
perché coniuga doti e capacità personali con la dimensione nomia, con votazioni di spicco, caratteristiche personali
organizzativa, valoriale, esperienziale dell’azienda. Chi è ad alto anch’esse particolarmente elevate in termini di leadership,
potenziale? Sintetizzando, è colui che meglio interpreta i valo- disponibilità a partecipare a un programma impegnativo (tra
ri dell’azienda; chi più di altri è in grado di contribuire al suo l’altro, veniva dichiarata sin dalla fase di selezione la partecipa-
successo nel tempo; chi possiede le caratteristiche personali e zione a un programma di questo genere), attitudine a operare
professionali che fanno ritenere che possa ricoprire nel tempo in un contesto globale. Il processo di selezione si focalizzava
ruoli chiave. su un assessment condotto sia da tecnici della sele-
“
A tale proposito, è importante però chiarire zione sia da manager locali specificamente
che gli alti potenziali non esauriscono il addestrati. Il tasso di caduta era pari
patrimonio delle persone di valore all’89%.
di un’azienda: per cogliere corret- La prima sfida
tamente tutte le persone che POGGIO: Dopo
“fanno la differenza nel busi-
ness” è necessaria una mag-
che si prospetta alle aziende proprietà Efim un passato di
e, quindi, di
gior segmentazione. In partecipazioni statali, Agu-
Fiat, per esempio, ci sono i che vogliano cominciare sta è da tre anni parte di
manager, ma anche i know- una joint venture paritetica
ledge owner. a pensare a un programma tra Finmeccanica e, a oggi,
Per noi, talento significa Westland-GKM. Recente-
alto potenziale junior, ovve-
ro le nostre promesse. Gesti-
di sostegno e di sviluppo dichiarato mente Finmeccanica ha
di voler acquisire
re al meglio questi nostri
talenti è importante semplice-
dei propri talenti è la loro voler diventare proprietaria al
la metà inglese, e quindi di
”
La gestione degli alti potenziali in questa logi- dei sitemi di gestione e sviluppo di Westland,
ca non è per Fiat un fatto nuovo. Abbiamo sentito la Agusta e Finmeccanica. Questa precisazione è
necessità di sviluppare un nuovo programma destinato a que- importante perché chiarisce i cambiamenti in atto e le diffe-
sta popolazione nella seconda metà degli anni novanta, anche renti posizioni sul tema “talenti”.
per rispondere a un’accelerazione del processo di internazio- In un articolo pubblicato su Aviation Week di maggio è citata
nalizzazione dell’azienda. Inoltre, con processi di outsourcing, una ricerca condotta negli Stati Uniti secondo cui nell’agenda
e di lean production tipici di quegli anni, sono proliferate strut- dei CEO del settore aeronautico e difesa è sicuramente impor-
ture a matrice e reticolari complesse che hanno richiesto un tante, ma non urgente, il tema dei talenti. Questo tema sta però
sempre maggior numero di persone con competenze inter- diventando urgente in Agusta, perché è strettamente collegato
funzionali capaci di dialogare all’interno dell’azienda. al problema dei piani di successione.
In un’azienda come Fiat, di grandi dimensioni, affrontare temi Sia il mercato governativo e militare sia quello civile hanno
di questo genere vuol dire parlare di grandi numeri e quindi i subito forti contrazioni che hanno portano a numerose ristrut-
programmi, per avere successo, devono avere processi ben defi- turazioni e crisi aziendali tra l’inizio e la metà degli anni novan-
niti. Per questo nel 1998, nel nostro Gruppo, nasce Fiat Grade: ta. Oggi il settore è in ripresa. Una forte ristrutturazione ha
un percorso internazionale rivolto a laureati reclutati nelle ven- interessato in questi ultimi anni l’azienda, che ha visto ridurre
ticinque nazioni in cui Fiat è presente, della durata di cinque dapprima di circa il 50% il personale, e poi riprendere le assun-
anni, suddiviso in tre step operativi di diciotto mesi ciascuno. zioni di giovani negli ultimi due-tre anni (prevalentemente neo-
Per lanciare e seguire questo progetto abbiamo sviluppato una laureati “tecnici”). Questo ha generato un gap generazionale:
guardando la piramide demografica aziendale è visivamente ti da un paio di anni, anche perché sta cambiando la propria
evidente che c’è un “buco” che crea un problema di successio- vocazione: da holding puramente finanziaria sta diventando
ne manageriale. La complessità di questo problema aumenta una holding industriale e gestionale, e quindi sta ragionando
per la presenza nella nostra struttura di molti bravi tecnici. su alcuni temi che il dottor Gaido citava prima: internaziona-
Gaido prima parlava di knowledge owner: immagino che siano i lizzazione e innovazione.
nostri scientists: noi stiamo lanciando un riconoscimento della Questo è il tema di cui stiamo dibattendo con fatica in un’a-
carriera tecnica perché è necessario preservare e valorizzare zienda che non è abituata a utilizzare sistemi di sviluppo strut-
alcune competenze critiche e rare per la nostra azienda, che turati. Sono affascinata dall’impianto di Fiat, ma io vengo da
hanno natura squisitamente tecnico-professionale. una realtà diversa. Sicuramente sono mondi diversi, per certi
Un’altra delle sfide di Agusta è ampliare la sua presenza nel versi antitetici, in termini di stadio di vita del sistema e di una
segmento di mercato civile. Servire questo segmento vuol cultura di sviluppo di talenti, quindi non solo sviluppo del
dire affrontare un cambiamento di impostazio- talento dal punto di vista individuale, ma di talen-
“
ne significativo: sviluppare l’intero ciclo to inserito in un sistema, dove lui o lei deve
aziendale, dalla progettazione alla vivere e dove deve, ovviamente – spe-
consegna dell’elicottero, tenendo riamo – avere successo.
conto delle esigenze di mercato, Occorre trovare
è uno degli obiettivi che si vor- IMPERATORI: Sin
rebbe raggiungere anche
attraverso il programma di
un bilanciamento tra qui sembra dun-
que che il “problema talenti”
sviluppo dei giovani. sia un problema di succes-
Il pendolo oscilla tra com- competenze manageriali sione manageriale: i talenti
petenze manageriali e tec- sono coloro sui quali inve-
niche, ma bisogna trovare e tecniche, cercando stire poiché rappresentano
un bilanciamento, cercan- il futuro dell’azienda, la
do di garantire la stratifica-
zione costante delle compe-
di garantire la stratificazione te.classe manageriale entran-
L’esigenza di gestire al
tenze tecniche, che richiede
tempo, rispetto a un parco gio-
delle competenze tecniche, sembra
meglio i migliori, inoltre,
enfatizzata da un biso-
vani che per valori, portato, vissu- gno diffuso di cambiamento orga-
to, vuole crescere “più in fretta”. che richiede tempo nizzativo, di innovazione, di interna-
Come sviluppare tutti questi giovani zionalizzazione, che proprio attraverso la
”
assunti negli ultimi anni? Come svilupparli comunicazione e lo sviluppo delle competen-
portandoli a essere le persone che tra cinque-dieci ze chiave viene attivato e governato.
anni potranno occupare un ruolo manageriale, ma preservan- Infine, emerge anche un’esigenza di caratterizzazione – e una
do la loro competenza tecnica? Come stimolare il cambiamen- conseguente strutturazione – delle soluzioni adottate in accor-
to culturale che orienterà la nostra azienda anche al mercato e do con il contesto organizzativo specifico e la storia aziendale.
non solo al prodotto? Nelle aziende imprenditoriali il tema della successione
A proposito degli strumenti di identificazione, anche noi abbia- manageriale è sicuramente un nodo critico. A tale proposi-
mo un assessment di selezione; stiamo inserendo ora un asses- to, mi piacerebbe sapere come è vissuto il “problema talen-
sment più “leggero” a due anni dall’assunzione e, infine, un ti” in Diesel, azienda multinazionale con una forte connota-
assessment di potenziale dopo almeno cinque anni. A questo zione imprenditoriale.
proposito, in base alla mia esperienza maturata anche in altre
realtà aziendali, la definizione del profilo di assessment è molto ROSATO: Anche in Diesel stiamo pensando al tema
importante, perché i “talenti” diventano anche un role model, un dei talenti. Io sono arrivata in Diesel da circa sei anni
“metamessaggio” dell’organizzazione. e mezzo, e l’azienda era completamente diversa: oggi è molto
Chi sia un talento in Agusta è un dibattito attualmente in più strutturata e manageriale, però c’era e c’è un imprendito-
corso. Secondo la definizione di Finmeccanica sono i quadri re. Fino a poco tempo fa l’imprenditore si occupava personal-
sotto i quarant’anni con un elevato potenziale manageriale. mente di individuare le persone destinate a ricoprire posizio-
Finmeccanica ha avviato iniziative particolari di sviluppo talen- ni chiave, con un fiuto veramente incredibile e grazie a una
dote personale di identificazione del talento. L’imprenditore problema non si pone. Nelle aziende in cui questo non è fatti-
aveva la capacità di capire se la persona che aveva di fronte bile e, se non ci sono modalità che in qualche modo suppli-
potesse inserirsi nel contesto Diesel, essere in grado di inna- scano a questa mancanza, le persone rischiano di essere
morarsi di questo brand, di questa azienda, lavorare sodo, met- abbandonate, oppure di legare il proprio futuro a quella che è
tersi in gioco e cambiare continuamente. Fino a qualche anno la situazione contingente del capo più o meno sensibile, o della
fa lo faceva personalmente. Quando non è stato più possibile fortuna che magari li ha inseriti in ambienti o in ambiti pro-
ha passato a me e ai miei colleghi il testimone e noi abbiamo fessionali più dinamici rispetto ad altri che sono più stretti.
cominciato ad attrezzarci, strutturando il processo di selezio-
ne e sviluppando esperienze di assessment, ma con molta atten- INTERVENTO DEL PUBBLICO (Cristiana Agliardi, Korn Ferry
zione, con molte riflessioni, non solo da parte mia, come dire- International): Non è detto però che i prescelti, a seguito di
zione Risorse Umane, ma anche da parte dei miei colleghi un processo così strutturato, siano davvero i migliori in ter-
della linea. Ciò che l’imprenditore ha cercato mini di talento. Nell’89% delle persone non
“
sempre di trasmetterci è la capacità di selezionate in Fiat quanti talenti ci pote-
osare, di scommettere sulle persone, di vano essere?
non aspettare che la risorsa sia “la
migliore” per la posizione. GAIDO: Attivare
Venendo da Philips, una multi-
nazionale molto consolidata
In un’azienda in cui una selezione all’i-
nizio di un programma per
dal punto di vista manage-
riale, ero abituata a utilizza-
l’imprenditore ha possibilità alti potenziali è importante,
secondo me, poiché dimi-
re tutti i sistemi di indagi- nuisce il rischio che se ne
ne: dai test agli assessment. di vedere e seguire debba fare in seguito di
Ho quindi deciso – dal molto più feroci, anche se
momento che non abbia- direttamente le persone non può esserci garanzia di
mo il fiuto dell’imprendito- aver scelto le persone
re – di utilizzare anche in
Diesel alcuni di quegli stru-
che assume il problema migliori o di non aver scarta-
to dei grandi talenti.
menti, senza però esagerare, La selezione iniziale è comun-
senza volere a tutti i costi capire non si pone que necessaria per attivare un pro-
tutto e decidere il futuro delle perso- cesso di gestione. Come dicevo
ne basandoci sui risultati di test, asses- prima, in un’azienda articolata, con sedi
”
sment e valutazioni varie. in tutto il mondo, con una classe manageria-
C’è una cosa che mi spaventa della popolazione di le diversa a seconda del paese, il pericolo è di perde-
neolaureati e di giovani che sono in Diesel: fanno molta fatica re persone di valore. I sistemi aziendali non ci garantiscono di
a capire quale sia il loro progetto professionale, a capire quelli identificare tutti i talenti, però, se non altro, il fatto di avere
che sono i loro talenti, gli aspetti su cui possono riuscire visioni diverse, di mettere insieme più persone a confrontarsi
meglio, le cose su cui devono lavorare di più e applicarsi di più. su questi aspetti e quindi a spendere un po’ del loro tempo a
Non mi piace moltissimo ma, d’altro canto, se il mondo in cui valutare i giovani, a capire che cosa possano fare, aiuta a dimi-
ci confrontiamo è questo, forse qualche responsabilità come nuire gli errori, oltre a sviluppare la cultura valutativa dei capi.
azienda dovremmo averla nel lavorare con le risorse, con i In particolare, è importante definire molto bene quello che è il
nostri manager, per sviluppare qualche consapevolezza in più profilo del potenziale delle persone, perché il pericolo, nelle
su quello che veramente è il talento. Questo è il “nostro” pro- aziende, è che ci si innamori di alcuni aspetti. Quando si parla
blema talenti. di talento, nella testa delle persone c’è: brillante, giovane, gran-
di relazioni, facilità di parlare in pubblico, si presenta bene, è
GAIDO: Personalmente non sono innamorato dei dinamico, aggressivo eccetera, e le competenze vengono
sistemi e delle metodologie o di programmi molto dimenticate. Questa persona rischia di essere portata in alto e
strutturati: credo sia un’esigenza là dove non sia possibile – arrivando improvvisamente su posizioni che non è in grado
gestire a vista. In un’azienda in cui l’imprenditore ha possibi- di gestire, dato che nessuno si è chiesto se ne avesse i numeri
lità di vedere e seguire direttamente le persone che assume il e l’esperienza giusta – di passare dall’essere considerato un alto
potenziale a essere una persona da ricollocare. Ed è secondo me gramma far capire alla linea quale sia il suo valore aggiun-
un rischio che in qualche modo bisogna evitare, costruendo un to), ma il modello GE sarebbe ancora più difficile da accet-
sistema di gestione del potenziale un po’ più robusto. tare in Agusta e poi, probabilmente, non funzionerebbe.
POGGIO: Mentre parlavate ho ripensato alla mia IMPERATORI: Abbiamo aperto questo dibattito chie-
esperienza in GE. In questa azienda è sicuramen- dendoci: “Chi sono i talenti nelle vostre aziende?”. La
te impossibile gestire a vista le persone, però c’è la voglia domanda ha stimolato una serie di riflessioni interessanti, ma
di non ingessarsi in sistemi molto strutturati, per ripren- mi sembra ci sia convergenza, almeno tra i relatori, sul fatto che
dere il discorso di Tiziana Rosato. Eliminare la burocrazia, un talento sia la persona che ricoprirà un ruolo manageriale
intesa come carta, livelli di firme e sistemi che rischiavano nell’azienda, colui o colei che – utilizzando un termine meno
di portare l’azienda e le funzioni stesse a orientarsi al pro- di moda – molte direzioni del Personale chiamavano e chia-
prio prodotto interno piuttosto che all’esterno mano “alto potenziale”.
“
è stata una delle più grosse opere di Abbiamo anche avuto conferma che il “pro-
Welch. In GE non c’erano assessment blema talenti” è sentito in realtà azien-
strutturati; il capo era responsabi- dali differenti per storia, cultura, set-
le di definire il potenziale e se Guidando lo sviluppo tore, modello organizzativo, as-
ne prendeva la responsabi- setto istituzionale. Il dibattito
lità; c’era il feedback a 360°
sul web disponibile per
dei giovani continuiamo poi ha dimostrato la diversità
degli approcci adottati, in
tutti: chiunque poteva una logica sicuramente
scegliersi un coach, lan- ad alimentare una contingente.
ciarsi una valutazione a L’ultima riflessione di
360° sempre nella logica dipendenza molto forte Monica Poggio sulla neces-
di autoimprenditorialità. sità di “vendere alla linea” il
Credo sia un caso abba-
stanza unico in cui si co-
e togliamo alle persone progetto talenti mi offre
l’occasione per rivolgere
niugano, da un lato, la ge-
stione di un sistema comples-
capacità e voglia di un’altra domanda ai nostri
relatori a proposito dell’imple-
so per numeri, business, di- mentazione di tali programmi nel
spersione geografica e, dall’altro, costruirsi, di sognare tempo: quali sono i benefici che un
la voglia di garantirsi i migliori talen- programma separato di gestione dei
”
ti in un’ottica imprenditoriale. talenti porta all’azienda?
A questa sfida GE ha risposto così, e in GE que-
sto modello funziona. Agusta è diversa. È un’azienda in cui GAIDO: Uno dei risultati positivi più facilmente
una delle parole più usate è “certificazione”. La certifica- misurabili è quello collegato alla riduzione del turn-
zione è l’operazione che fa l’ENAC (un ente terzo rispetto over. Avevamo un tasso di turnover piuttosto alto per i neo-
all’azienda e al cliente) autorizzando la consegna dell’eli- laureati, con conseguenti costi aziendali elevati, sia di for-
cottero e confermandone l’idoneità al volo. Quando in Agu- mazione sia di selezione. Il programma Fiat Grade ci ha per-
sta si parla di talenti ci domandiamo: “Come certifichiamo messo di abbattere il turnover del 50%, passando al 15% nel-
che questo sia un talento?”. Quale “ente terzo” può farlo? l’arco di cinque anni. Da questo punto di vista, penso sia
In GE lo decide il capo, scrivendo un rating; in Agusta stia- stato un programma di successo, anche perché è stato pen-
mo valutando come incrociare le valutazioni fatte dalla sato per venire incontro alla scarsa consapevolezza dei gio-
linea, dal Personale e dagli esperti consulenti qualificati vani di oggi rispetto ai loro percorsi carriera ideali o le aree
sugli assessment, per garantire una maggiore omogeneità su cui vogliono professionalizzarsi. Il programma è basato
interna e interfunzionale nell’identificazione dei talenti; su un patto esplicito e, oltre a consentire una visione allar-
questo è coerente con la cultura aziendale. Talvolta penso a gata dei processi aziendali e dunque lo sviluppo di compe-
quanto ciò potrebbe ingessare il sistema e rendere molto tenze importanti per i nostri business, crea un legame forte
difficile vendere questo strumento alla linea (è, infatti, con l’azienda. Lo sviluppo di competenze, il loro riconosci-
estremamente importante per il successo dell’intero pro- mento da parte del management, la facilità di inserimento su
posizioni di rilievo per coloro che hanno terminato il pro- corsi più o meno strutturati. Allora, la cura del rapporto tra capo
gramma sono altri indicatori dei suoi risultati positivi per e collaboratore, a mio parere, è decisiva, esattamente come l’in-
l’organizzazione. troduzione di strumenti sofisticati e adeguati.
“
progettare il futuro. In un’azienda come INTERVENTO DEL PUBBLICO (Cristina
quella in cui lavoro, con un’età media Agliardi): Vorrei fare una domanda
bassa, vedo che spesso tra i giovani provocatoria: quanto, nelle vostre
manca questa capacità di imma- aziende, la linea è premiata e
ginarsi il futuro: sono comple- educata alla gestione delle pro-
tamente dipendenti dall’a-
zienda. Questo mi porta a
Il tema della gestione prie risorse?
”
però mi sento di condividere questo tipo di ment aziendale. La nostra storia, però, è anche
disagio, perché se è vero che tutti i sistemi di assess- una storia di tipo industriale con una cultura molto
ment, di valutazione, di selezione sono assolutamente necessa- forte. Questa cultura è il suo punto debole ma, contempora-
ri e imprescindibili – innanzitutto perché le persone ce li chie- neamente, anche il suo punto di forza: esiste un sistema di rap-
dono e perché danno un ritorno di informazioni che, se gioca- porti molto strutturato anche sul piano organizzativo e inter-
to nel senso di fornire alla persona una maggiore conoscenza di personale che ha facilitato la socializzazione e la condivisione
se stessa può anche essere utile in prospettiva di autosviluppo – dell’intero programma.
è anche vero, mi sembra, che a volte le aziende tendono a voler
rispondere anche un po’ affannosamente a questo tipo di disa- POGGIO: A differenza di quanto accadeva in GE, io
gio, che percepiscono, con un surplus di strumentazioni, e spes- sto vivendo in una realtà dove la linea non è storica-
so il risultato che ci si aspetta non è esattamente quello che poi mente abituata a essere coinvolta di concerto con il Personale
si ottiene. L’aspetto dell’intuito e del rapporto personale tra il su questi temi, ed è invece più avvezza ad avere una direzione
fondatore dell’azienda e le persone scelte una per una, perso- del Personale con un ruolo diverso. Il tema della gestione dei
nalmente, andrebbe un po’ riscoperto anche nelle grandi orga- talenti probabilmente è un modo per portare avanti un cam-
nizzazioni. Per esempio, il rapporto tra capo e collaboratore, da biamento anche culturale.
questo punto di vista, diventa fondamentale perché le persone,
se aiutate a riflettere sul tempo passato in azienda, si rendono IMPERATORI: Questa moda, o questo ritorno al tema
meglio conto della propria crescita professionale, al di là di per- dei talenti, dunque, sembra aver avuto una serie di
riscontri positivi, non solo a seguito della diretta implementa- no questo tipo di percorso in modo molto profittevole, ma con-
zione di programmi che hanno migliorato la retention, contri- sapevoli che ciò è coerente con la nostra cultura aziendale.
buito a sviluppare competenze sempre più coerenti con i fab-
bisogni aziendali, migliorato la relazione tra impresa e lavora- INTERVENTO DEL PUBBLICO (Maria Luisa Ortini, SDA Boc-
tori, ma anche perché ha avviato una serie di riflessioni sia sui coni): Ho lavorato insieme a Barbara Imperatori e ad altri col-
sistemi di gestione sia sulle persone per le quali i sistemi sono leghi a una ricerca che stiamo completando sui talenti e gli alti
4
pensati. Il tema della gestione dei talenti aiuta tutta l’azienda a potenziali. Studiando la letteratura abbiamo scoperto che
ripensare al ruolo della direzione delle Risorse Umane e al suo alcuni autori si schierano contro la gestione dei talenti. Noi
rapporto con la linea. Inoltre, sembra rivelarsi non solo un tema abbiamo provato a ragionare in modo astratto rispetto a que-
di attraction e retention, ma un’occasione per educare la linea a sta forte affermazione, provocando un po’ le aziende con cui
gestire le persone. Vorrei, a questo punto, tornare al tema dei abbiamo collaborato, per capire quale fosse il punto di equili-
rischi collegati all’implementazione di un sistema brio. Il grosso problema riguarda i non talenti. Su
“
di gestione dei talenti. Ci sono autori che, questo tema le aziende stanno lavorando
recentemente, hanno invitato le azien- moltissimo perché il problema è co-
de a non combattere la guerra dei struire l’equilibrio. Quello che, in-
talenti: troppi rischi a fronte di po- dagando, lavorando e ascoltando
3
chi e incerti benefici. Rispetto
alle vostre esperienze, alle
Il rischio era veder abbiamo capito è che l’azienda
che pone grande attenzione
vostre riflessioni, quali sono
i rischi per l’organizzazione
lievitare i costi per le nei confronti dei talenti è
l’azienda che ha una gran-
collegati all’implementa- de sensibilità nei confronti
zione di un sistema di ge- retribuzioni in collegamento delle persone in generale.
stione separato dedicato ai Questa particolare sensibi-
talenti? Come fare per su- ai temi della retention dei lità non è altro che la capa-
perare tali rischi? cità di capire che tutte le
POGGIO: Il proble-
talenti e della motivazione persone hanno bisogno di
attenzione con modalità e
ma è il “resto del modelli molto diversi, legati
mondo”. Il problema è motivare le dei non talenti alla strada dell’azienda, al mana-
persone che sono ottimi contributori gement, all’evoluzione in corso.
in termini di prestazione e di funziona- Quello che cambia è il sistema del com-
”
mento aziendale, ma non talenti. Credo che il mitment dell’intera azienda e del top mana-
tema sia “come gestisco e come tengo motivati tutti i gement nei confronti dei talenti. La sfida è proprio
buoni performer, che però non sono le star?”. Il rischio è di nella ricerca dell’equilibrio.
demotivare il resto del mondo.
GAIDO: Uno dei rischi è sicuramente quello di cer-
ROSATO: In Diesel il rischio che abbiamo percepito care “il” talento, la persona eccezionale, prescinden-
è stato quello dei costi, collegato in parte a questo do da quelli che sono gli aspetti più “hard” quali il ruolo, le
tema di retention dei talenti e di motivazione dei non talenti. Il responsabilità, la discrezionalità, le competenze richieste alle
rischio era veder lievitare i costi per le retribuzioni, cercando di persone chiamate a ricoprire una data posizione organizzativa.
trattenere i migliori pagandoli di più. Per scongiurare questo È necessario tenere ben presente quale sia il valore della perso-
rischio, e anche per non differenziare troppo internamente, na rispetto al contesto organizzativo, non in assoluto, perché
abbiamo deciso che i nostri talenti non li paghiamo più di altre nell’organizzazione ognuno di noi ha un ruolo diverso, ha
risorse, ma parallelamente abbiamo offerto loro un program- responsabilità diverse, e queste devono essere valorizzate cor-
ma di sviluppo della managerialità a livello sia di casa madre sia rettamente dall’azienda. Questo, però, non sempre è facile.
internazionale. Nell’offrire questo programma, inoltre, abbia- Inoltre, non credo che nella gestione dei talenti l’aspetto retri-
mo cercato di non essere selettivi: abbiamo preferito estendere butivo sia fondamentale; anzi, secondo me è marginale, per-
l’opportunità a tutto il primo livello, convinti che non tutti riu- ché quando parliamo di talenti parliamo di persone giovani da
sciranno a cogliere l’opportunità al meglio, che non tutti faran- sviluppare. Quindi, è il processo di crescita che guida la gestio-
ne dei talenti, non tanto l’aspetto retributivo; sono persone che GAIDO: Il problema dell’equità è un problema fon-
vogliono essere valorizzate ed è nell’interesse di tutti valoriz- damentale e spinosissimo. Ci deve essere un’estre-
zarle e far sì che quella che è la loro potenzialità si sviluppi ma coerenza in tutti i pezzi del sistema, sia in programmi di
velocemente. questo tipo che, in qualche modo, si devono agganciare al resto
della gestione, sia su aspetti di retention, di retribuzione, di valu-
IMPERATORI: Uno dei problemi, dunque, collegati tazione delle persone. Qui ritorniamo al discorso della stratifi-
all’implementazione di un programma di gestione cazione sul piano gestionale: cioè, quali strumenti l’azienda si
per i talenti è quello dell’equità interna. Partendo dal problema dà per gestire i vari strati della propria popolazione? Prima
dei talenti sembra che, sempre più, le aziende stiano cercando abbiamo parlato di talenti, quindi abbiamo identificato una
di personalizzare la gestione delle persone, costruendo catego- fascia intermedia, poi c’è la fascia superiore – i top manager –
rie aziendali come quella cui accennava Michele Gaido di Fiat. che ha un’altra filosofia e altre modalità di gestione, ma anche
La sfida che ci sta aiutando a cogliere il tema dei la fascia “inferiore”. La scommessa che bisogna
“
talenti è dunque quella della segmentazio- vincere, specialmente nelle aziende grandi,
ne della popolazione aziendale. Sostan- è quella di saper costruire tante azien-
zialmente questo è un dibattito che de piccole, di frazionare il sistema e
sta aiutando la direzione del Per- di portare lo spirito tipico della
sonale a ripensare ai sistemi di
gestione tout-court: viene mes-
La scommessa che bisogna piccola azienda dentro una
grande azienda, quindi lascia-
sa in dubbio la standardizza-
zione degli strumenti di
vincere è frazionare re autonomia, possibilità di
esprimersi, e per fare que-
gestione poiché le persone sto bisogna trovare mecca-
contribuiscono in maniera il sistema e portare nismi che rompano l’omo-
diversa ai risultati azienda- geneità, la rigidità del siste-
li, ma anche perché hanno lo spirito tipico della piccola ma. Una delle risposte che
bisogni e aspettative diffe- abbiamo trovato in Fiat è
renti che guidano i loro com-
portamenti e dunque le loro
azienda dentro una quella delle famiglie profes-
sionali: è importante costruire
performance aziendali. Stru- sistemi in cui professionalmen-
menti standard, soluzioni uguali grande azienda te le persone si riconoscano e si
per tutti, potrebbero non essere effi- identifichino, in un ambiente più
caci. Si pensi, per esempio, all’importan- ristretto rispetto a quello del complesso
”
za dell’accettazione dell’inclusione nel pro- dell’azienda, che possa essere gestito in ma-
gramma talenti da parte dei diretti interessati. Alcu- niera meno formalizzata. A livello di operation, dove
ne esperienze fallimentari di gestione dei talenti sono spiega- le persone svolgono attività più ripetitive, credo che l’unico
bili proprio con l’assoluto non ascolto delle esigenze e delle aspetto sul quale si possa lavorare sia il coinvolgimento, perché
aspettative delle persone designate, che si sono trovate costret- non ci sono molti spazi. Quindi, bisogna sapere cosa pensano
te e ingessate in un percorso non in linea con i propri bisogni. le persone, fare rilevazioni, discutere con loro in gruppo di che
Questa importante riflessione porta con se, però, un grosso cosa si potrebbe migliorare, e poi, anche a queste persone
problema di bilanciamento. Quanto personalizzare? Il rischio è occorre offrire possibilità di crescere.
personalizzare troppo, al limite gestire in maniera individuale
la relazione, con un doppio pericolo: da un lato, una diffusa per- POGGIO: C’è stato un periodo in cui si parlava di
cezione di iniquità gestionale e dunque di demotivazione; dal- marketing interno, e mentre si discuteva di seg-
l’altro, una situazione di caos organizzativo con costi gestiona- mentazione mi è venuto in mente. Credo che, generalizzan-
li elevatissimi. Questa è un’altra sfida che il progetto di gestio- do, ci siamo tutti concentrati sul cluster dei talenti per cui
ne dei talenti ha portato al dibattito nella direzione del Perso- abbiamo segmentato, e ad un certo punto abbiamo comin-
nale. Il problema, allora, è come motivare quelli che talenti non ciato a lavorare sui talenti, sugli alti potenziali, tralasciando le
sono e come mantenere la motivazione di coloro che dovesse- altre fasce o strati della popolazione aziendale, quindi quella
ro uscire dal programma perché non confermati in itinere. significativa percentuale di popolazione che assicura il fun-
Come avete gestito questo problema nelle vostre realtà? zionamento quotidiano.
Credo che un’altra delle chiavi per gestire il problema del- lezza dei motivi delle decisioni aziendali e, dunque, della loro
l’equità sia senz’altro la comunicazione interna: come equità. La trasparenza, inoltre, aiuta a diffondere, e dunque a
comunico rispetto a un programma di talenti, come comu- rendere più efficaci, i messaggi organizzativi, offrendo mo-
nico rispetto al resto del mondo e come comunico sui capi delli di comportamento.
che gestiscono i talenti, perché poi c’è tutta una fase di Abbiamo iniziato questo dibattito evocando la cosiddetta
inserimento del talento, che sia il giovane talento o il talen- “guerra per i talenti”. Quello che è emerso, in questa sede, è
to con esperienza in azienda. Io, sicuramente, continuo a sicuramente una ricca riflessione che ci porta a sottolineare
sottolineare l’importanza di un approccio sistemico, lavo- l’importanza, per le aziende, delle risorse di valore.
rando molto sulla comunicazione, rivalutando il percorso La presa di coscienza delle aziende circa la valenza strategica
di crescita non solo manageriale, ma anche tecnico. Uno di tali risorse sta assumendo sempre meno la forma di “guer-
dei messaggi che stiamo cercando di comunicare in Agu- ra” per comprarsi e accaparrarsi i migliori sul mercato; solu-
sta è che ci sono sia la carriera tecnica sia quella manage- zioni di questo genere sono molto rischiose e, soprattutto, è
riale, e che fra questi due percorsi non ci sono carriera di provato che, nella pratica, non hanno effetti positivi per l’or-
serie A e di serie B. La comunicazione interna è un fattore ganizzazione. Sempre più, invece, le aziende si stanno preoc-
importante e da non lasciare al caso, ma da gestire in ter- cupando di sostenere il proprio vantaggio competitivo anche
mini di progettazione. attraverso la progettazione, l’introduzione e la comunicazio-
ne di soluzioni organizzative che sanciscono l’“impegno” per
IMPERATORI: I primi articoli sulla gestione dei gestire, far crescere a valorizzare le persone – tra cui anche i
talenti parlavano di “un gruppo di persone inserito talenti, ma non solo – senza la pretesa di assicurarsi il loro
in una lista segreta”, proprio perché il problema della comu- contributo “in eterno”, ma cercando di creare le condizioni
nicazione è molto delicato in termini di gestione delle aspet- per una reciproca soddisfazione.
tative dei talenti e di motivazione di coloro che non sono in Questa non facile sfida ha (ri)aperto il dibattito su numerosi
questo gruppo. Oggi si è visto che la trasparenza è sicura- temi collegati alla gestione strategica delle persone in azien-
mente una via preferibile, anche se più impegnativa. Traspa- da e ha reso sempre più evidente la necessità di un serrato
renza vuol dire gestione del processo di comunicazione che confronto e di una sempre più intensa collaborazione tra la
ha come risultato una maggiore e più oggettiva consapevo- direzione del Personale e la linea.
www.economiaemanagement.it
Accogliere un approccio strategico alla gestione delle risorse umane non significa
però solo valutare l’esistenza di una relazione tra tali sistemi e l’ambiente di riferi-
mento, ma pone anche di fronte a un altro interrogativo di fondo, tuttora in parte ir-
risolto: come misurare l’impatto degli investimenti in risorse umane sui risultati
aziendali? Negli ultimi anni molti autori hanno cercato di rispondere a questo inter-
rogativo, nel tentativo di stabilire se esistano, e quali siano, le pratiche di gestione del-
le risorse umane che consentono di ottenere i migliori risultati sia per la funzione
del personale, sia per il risultato competitivo d’impresa nel suo complesso. A livello
teorico, si ritiene che la gestione strategica delle risorse umane abbia un impatto sul-
la performance aziendale attraverso tre processi interrelati: 1. partendo dalle risorse
umane critiche per l’impresa, essa modella le competenze da sviluppare e diffonde-
re; 2. fornisce motivazione e incentivi ai dipendenti attraverso politiche quali sistemi
di carriera, sistemi di ricompensa ecc.; 3. fornisce ai dipendenti competenti e moti-
vati le opportunità di contribuire e crescere professionalmente.
Il lavoro di Huselid (1993, 1995) rappresenta un vero e proprio punto di svolta in ta-
le ricerca, in quanto per primo si è affrancato dai tentativi di correlazione tra singo-
la pratica di gestione e risultati aziendali per concentrarsi sull’impatto dell’intero si-
stema di pratiche. Egli ritiene, infatti, che l’efficacia delle pratiche di gestione delle
risorse umane nell’influenzare i risultati aziendali sarebbe rafforzata da un approc-
cio sistemico: ognuna produrrebbe effetti più evidenti qualora fosse logicamente cor-
relata alle altre. L’obiettivo è quello di dimostrare come il complesso delle sofisticate
scelte di gestione delle risorse umane sia positivamente legato a precisi indici di
performance aziendale, quali il turnover, la produttività, e per questa via ai risultati
economico-finanziari (Becker, Huselid, Pickus, Spratt 1997).
In sostanza, viene posta in primo piano l’importanza per i risultati aziendali delle si-
nergie, dell’integrazione e della coerenza tra le pratiche di gestione delle persone, in
termini di internal fit, come precedentemente definito. Stando ai risultati della ricer-
ca di Huselid, conferme attendibili sarebbero emerse solo a livello di allineamento in-
terno, sicché sarebbe dimostrato come una buona coerenza interna conduca a posi-
tivi risultati in ogni tipo di impresa, indipendentemente dal settore di appartenenza.
Analizzando i collegamenti tra i sistemi di pratiche di HRM e la performance dell’a-
zienda, con uno studio condotto su oltre mille imprese statunitensi, viene rilevato
che è possibile individuare pratiche eccellenti di lavoro (dallo stesso definite High
Performance Work Practices e utilizzate nella ricerca come variabili indipendenti)
che hanno un impatto economico statisticamente significativo su variabili dipendenti
di performance espresse sia in termini di indicatori intermedi in relazione al perso-
nale (turnover e produttività), sia in termini di indicatori finanziari aziendali di bre-
ve e lungo periodo (Huselid 1995). Le misure attraverso le quali vengono individua-
L’evoluzione delle fonti, degli studi e delle pratiche manageriali volte a conseguire il
vantaggio competitivo ha modificato il ruolo e l’importanza attribuiti alle differenti
funzioni aziendali. Tra queste, la direzione del personale in Italia ha vissuto profon-
di cambiamenti negli ultimi decenni.
La letteratura tende spesso a trattare l’evoluzione della direzione del personale in re-
lazione ai cambiamenti dei contesti economici e competitivi (Auteri, Busana 1993;
Camuffo, Costa 1993; Costa 1997; Boldizzoni 2003), attribuendo ad essa caratteri
reattivi piuttosto che proattivi e individuando cinque principali fasi evolutive. La pri-
ma, identificata negli anni cinquanta, affida alla direzione del personale (DIPER) una
Obiettivi e metodo
Alla luce del quadro di questo dibattito teorico, è stato avviato il programma di ricer-
ca “HRM Practices e Performance”, con l’obiettivo di supportare manager e direzio-
ni del personale nelle scelte di investimento e configurazione delle pratiche di HRM,
Ai fini dell’economia di questo scritto si ritiene di sottolineare solo alcuni dei risul-
tati emersi dalla ricerca. Più in particolare, sulla base di questi ultimi, si intende pro-
porre alcune considerazioni riguardo i seguenti temi di discussione.
Ω Quali pratiche di HRM assumono maggiore o minore rilevanza strategica, in ter-
mini di importanza percepita da parte dei manager, in presenza di performance
economiche e finanziarie eccellenti?
Ω Come differiscono le scelte combinatorie delle pratiche di HRM in funzione dei
diversi contesti competitivi?
Ω Quali scelte attendono top manager e direttori del personale in termini di inve-
stimenti in sistemi di gestione delle risorse umane e decisioni di internalizzazio-
ne o esternalizzazione degli stessi?
I dati che riguardano i risultati economici e finanziari delle imprese del campione
sono stati raccolti attraverso fonti documentali e banche dati in modo da poterne ri-
cavare la massima affidabilità. La costruzione del data set di ricerca si è poi comple-
tata rivolgendo quattro distinti questionari a tre categorie diverse di rispondenti per
ciascuna impresa del campione:
Ω un questionario relativo al profilo aziendale compilato dalla direzione generale (le
macrovariabili di indagine hanno riguardato anagrafica e ambiente competitivo di
riferimento per un totale di 30 item);
Ω un questionario rivolto alla direzione generale (le macrovariabili di indagine han-
no riguardato soddisfazione e valutazione strategica delle HRM practices, politiche
di outsourcing, autonomia affidata alla direzione del personale per un totale di
166 item);
Ω un questionario per la direzione del personale (le macrovariabili di indagine hanno
riguardato descrizione della funzione e relativa autonomia, politiche di outsourcing
e importanza attribuita alle differenti HRM practices per un totale di 226 item);
Ω un questionario per i manager di linea (le macrovariabili di indagine hanno ri-
guardato coinvolgimento nelle attività di people management, soddisfazione verso
le pratiche di HRM e loro valutazione strategica per un totale di 88 item).
Tale impostazione rappresenta una novità tanto nel panorama di ricerca nazionale
quanto in quello internazionale. Come già evidenziato nell’introduzione a questo
scritto, in letteratura è spesso difficile “isolare” la relazione che lega le scelte di ar-
chitettura del sistema di gestione delle risorse umane alle performance economiche
e finanziarie d’impresa. Si è scelto, dunque, non solo di raccogliere, laddove possi-
bile, i dati economici e finanziari, ma anche di affiancare ad essi la rilevazione delle
valutazioni e percezioni dei clienti interni (direzione generale e manager di linea) ri-
guardo all’importanza strategica attribuita ai sistemi di HRM e alla loro soddisfazio-
ne. Sono questi clienti interni, infatti, i primi diretti beneficiari degli effetti dei si-
stemi di HRM e, come tali, anche gli attori di influenza nelle conseguenti scelte di
investimento e valutazione strategica.
In termini metodologici, questa scelta ha portato a privilegiare un’analisi dei dati più
Alla ricerca hanno risposto 144 imprese per un totale di 486 differenti questionari rac-
colti (con una media di 3,4 questionari raccolti per impresa rispondente e un tasso di
risposta pari al 22,7% su un totale di 1800 questionari inviati). Come già esposto nel
paragrafo precedente, a ciascuna impresa sono stati rivolti quattro differenti questio-
nari di ricerca: uno di anagrafica aziendale, uno per il top management, uno per la di-
rezione del personale e uno, infine, per i manager di linea. Non tutte le imprese han-
no compilato tutti i questionari (di qui il motivo per il quale da 144 imprese si sono
raccolti 486 questionari). Più in particolare, si sono raccolti 142 questionari relativi al
profilo aziendale, 105 da parte del top management, 133 dalla direzione del personale
e 106 da manager di linea (figura 1). Le successive analisi vengono poi svolte corre-
lando, a seconda dei casi, i dati relativi alle differenti classi di rispondenti.
Il 18,7% del totale delle imprese rispondenti del campione sono società quotate alla
Borsa Italiana, e il 77,1% fa parte di un gruppo; un terzo del campione è costituito da
imprese che hanno aperto la sede legale in Italia dopo il 1980.
Per quanto riguarda i meccanismi di governance, il 3,2% delle imprese del campio-
ne è a controllo statale, il 23,8% public company, il 6,5% ad azionariato frammenta-
to gestite attraverso patti di sindacato e il rimanente 66,5% ad azionariato concen-
trato a controllo familiare o di un singolo azionista. La differenza tra imprese quota-
te alla Borsa Italiana e public company è dovuta al fatto che nel campione sono pre-
senti anche multinazionali estere.
La distribuzione territoriale delle aziende del campione rispecchia il dato nazionale,
con una preponderanza di grandi imprese localizzate nel Nord Italia e un 5% nel me-
ridione e nelle isole. Anche la distribuzione settoriale del campione è omogenea ri-
spetto al dato nazionale, fatta eccezione per il comparto finanziario creditizio che non
è stato ricompreso nella popolazione analizzata.
Come indicatori dimensionali si sono considerati il fatturato e il personale dipen-
dente. Con riferimento a quest’ultimo, il 26,5% del campione conta tra i 300 e i 500
dipendenti; il 33,7% tra 501 e 1000; il 30,1% tra 1001 e 5000 e un restante 9,6% su-
pera i 5000 dipendenti.
È opportuno chiarire fin da subito come la ricerca abbia in parte scontato i medesimi li-
miti di quanto già emerso nella letteratura sul tema. La mancanza di un approccio lon-
gitudinale all’analisi non permette cioè di chiarire il nesso di causalità tra performance
economiche aziendali e sviluppo di sistemi di SHRM. In altri termini, non è chiara la
direzione della relazione, cioè se lo sviluppo di sistemi e pratiche evoluti nella gestione
delle persone determini performance differenziali o se, al contrario, la presenza di mag-
giori risorse finanziarie permetta l’implementazione di pratiche evolute.
La ricerca ha raccolto da fonti documentali le informazioni principali riguardanti i ri-
sultati economici e finanziari delle imprese del campione e confrontato tali perfor-
mance con la rilevanza/importanza strategica percepita e attribuita dal top manage-
ment al tempo della ricerca (“oggi”) e nel medio termine (“nel futuro”), in relazione al-
le differenti pratiche di gestione delle risorse umane. La percezione di rilevan-
za/importanza attribuita alle differenti pratiche (ugualmente espressa per tutte e tre le
classi di soggetti rispondenti) è stata richiesta facendo riferimento al contributo diret-
to o indiretto che tali pratiche possono avere in termini di costruzione di un vantaggio
competitivo sostenibile o di generazione di risultati economici e finanziari eccellenti.
La performance è stata misurata attraverso quattro differenti indicatori: il tasso di cre-
scita del fatturato (1998-2001); il Return on Investment (ROI 2002); il Return on
Sales (ROS 2002); il Return on Equity (ROE 2002).
Tabella 1 Relazione tra indicatori IMPORTANZA STRATEGICA ESPRESSA DAL TOP MANAGEMENT ROS ROI ROE
di performance e percezione temporale
dell’impatto di alcuni sistemi di HRM Valutazione prestazioni (importanza nel futuro) - 0,33 * - 0,417 **
I risultati ottenuti nel contesto italiano dalla ricerca “HRM Practices e Performance”,
se da un lato non permettono di risolvere il dualismo tra modello contingente e uni-
versalistico, dall’altro mostrano una stretta correlazione in termini di influenza eser-
citata dal contesto competitivo sull’adozione di differenti pratiche di gestione strate-
gica delle risorse umane.
IMPORTANZA ATTRIBUITA OGGI DALLA DIR. DEL PERSONALE Crescita Profittabilità Tabella 2 Ambienti in crescita
o profittevoli e importanza attuale
Valutazione potenziale 0,288 * delle pratiche di HRM
Competenze 0,350 **
Formazione 0,315 *
Comunicazione 0,258 *
IMPORTANZA ATTRIBUITA IN FUTURO DALLA DIR. DEL PERSONALE Crescita Profittabilità Tabella 3 Ambienti in crescita
o profittevoli e importanza in futuro
Valutazione posizione - 0,247 * delle pratiche di HRM
Valutazione potenziale - 0,315 *
Formazione 0,328 **
Nel secondo tipo di ambiente, le pratiche di HRM considerate più importanti oggi e
nel futuro, da un punto di vista strategico, sono le politiche retributive, l’attività di
downsizing e di outplacement (tabelle 4 e 5).
L’unica pratica la cui importanza appare trasversale rispetto ai diversi contesti am-
bientali è la valutazione della prestazione, probabilmente per la sua duplice natura
di strumento di controllo e di leva di sviluppo.
I sistemi di gestione del personale sembrano dunque caratterizzarsi come forte-
mente contingenti rispetto al contesto ambientale, almeno nella percezione di im-
portanza dichiarata dalle direzioni del personale (tabella 6).
Tabella 4 Ambienti ad alto dinamismo IMPORTANZA ATTRIBUITA OGGI Dinamismo Innovazione Intensità
e importanza attuale delle pratiche DALLA DIREZIONE DEL PERSONALE ambientale tecnologica competitiva
di HRM
Valutazione prestazione 0,352 **
Downsizing 0,273 *
Tabella 5 Ambienti ad alto dinamismo IMPORTANZA ATTRIBUITA IN FUTURO Dinamismo Innovazione Intensità
e importanza in futuro delle pratiche DALLA DIREZIONE DEL PERSONALE ambientale tecnologica competitiva
di HRM
Compensation 0,361 **
Tabella 6 Relazione contingente AMBIENTI CARATTERIZZATI DA: Pratiche di HRM oggetto di investimento
tra tipologie di ambiente competitivo e ritenute strategiche
e pratiche di HRM
Ω Rapida obsolescenza di prodotto Ω Compensation
Ω Instabilità della domanda Ω Downsizing
Ω Alto tasso di innovazione tecnologica Ω Outplacement
Ω Valutazione della prestazione
Fin qui si è discusso come, in vario modo, tanto le performance economiche e fi-
nanziarie d’impresa quanto le caratteristiche dell’ambiente competitivo possano
variamente influenzare l’importanza strategica attribuita ai sistemi di gestione del-
le risorse umane e le conseguenti scelte di investimento negli stessi. Lasciando a
Visione condivisa
Il valore e l’importanza strategica delle pratiche di gestione delle risorse umane non
sono una tematica specialistica e funzionale. Negli anni recenti, tanto nel dibattito
accademico quanto nella pratica manageriale è maturata la consapevolezza di come
la gestione del capitale umano sia un fattore strategico che coinvolge al pari gli spe-
cialisti della direzione del personale, il top management e i manager di linea.
A tale proposito la ricerca ha indagato le visioni e le percezioni di questi tre impor-
tanti attori organizzativi, chiedendo di esprimere una valutazione in merito all’im-
portanza strategica delle pratiche di HRM in uso oggi e nel futuro.
Confrontando le risposte della direzione del personale con quelle del top manage-
ment emerge che:
Ω è presente un sostanziale accordo nel prevedere in media per il futuro una cre-
scita dell’importanza attribuita alle pratiche di HRM e una diminuzione dell’im-
portanza delle attività di amministrazione del personale e gestione delle relazioni
industriali;
Ω il top management attribuisce maggiore importanza rispetto alla direzione del
personale a sistemi e attività quali: compensation, valutazione delle prestazioni, se-
lezione, semplificazione di processi e procedure.
OGGI Direzione del personale Top management Manager di linea Tabella 7 Pratiche di HRM e percezione
degli attori organizzativi
Formazione Formazione Formazione
Le 3 pratiche più importanti Selezione Selezione Selezione
Retribuzione Prestazione Retribuzione
La direzione del personale pone massima enfasi al tema della gestione della mobilità
e delle carriere, laddove questo non sembra essere percepito come prioritario da top
management (settima posizione) e linea (ottava posizione). Di contro, la comunica-
zione, prioritaria per questi ultimi, non pare essere percepita come urgenza strate-
gica per il futuro da parte della direzione del personale.
Autonomia decisionale
Se la presenza di una visione condivisa sull’attribuzione di importanza strategica al-
le differenti pratiche è da considerarsi una precondizione allo sviluppo delle mede-
sime, occorre in seguito chiedersi a quale funzione spetti la responsabilità dell’im-
plementazione e quali possano essere le leve utilizzabili nel breve e medio periodo.
La ricerca ha successivamente analizzato l’autonomia della direzione del personale
(nella percezione della stessa direzione del personale e del top management) attra-
verso una scala di misure che ha evidenziato quattro diverse variabili, relative a: ge-
stione del budget affidato (autonomia economica), decisioni di outsourcing (autono-
mia outsourcing), decisioni relative alle politiche di HR in generale (autonomia HR
policy) e decisioni concernenti la definizione degli assetti organizzativi (autonomia
organizzazione).
Dai risultati emersi, colpiscono in particolare due elementi: anzitutto la direzione del
personale si attribuisce un differenziale di autonomia superiore rispetto alla perce-
zione del vertice aziendale; in secondo luogo tale differenziale non è equamente di-
stribuito rispetto ai diversi ambiti decisionali (figura 2).
2,75
2,5
2,25
Media Economica Outsourcing HR policy Organizzazione
Outsourcing
Per quanto riguarda le scelte di outsourcing delle pratiche di HRM, si sono innanzi-
tutto ricercate nelle intenzioni del top management le ragioni che ispirano tali poli-
tiche. Come mostra la figura 3, le prime ragioni di esternalizzazione sono: flessibi-
lità, accesso a competenze specialistiche e risparmio di costi. Già da questa prima
analisi emerge come il tema dell’outsourcing non sia riassumibile in un’unica logi-
ca e in un’unica formula, ma piuttosto risponda a esigenze differenti mosse da biso-
gni tanto di recupero di efficienza quanto di miglioramento di qualità ed efficacia.
2,4 prestazione
competenze
2,2 posizione
mobilità
potenziale
2
1 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 1,7
Outsourcing
retribuzione di HRM
formazione
mobilità
3,1
2,9 competenze
prestazione posizione
2,7
potenziale
2,5
0,95 1,05 1,15 1,25 1,35 1,45 1,55 1,65
Outsourcing
L’importanza e la centralità dei sistemi di gestione delle risorse umane, tanto nello svi-
luppo del capitale umano quanto nel conseguente contributo alla creazione del van-
taggio competitivo, modificano sostanzialmente responsabilità e ruolo sia delle dire-
zioni del personale, deputate tecnicamente al loro sviluppo e controllo, sia di top ma-
nager e linee, beneficiari e utilizzatori di tali sistemi. La correlazione tra pratiche di
HRM, performance aziendali e caratteristiche dell’ambiente competitivo se, da un la-
to, richiede all’alta direzione di sviluppare un’attenzione maggiore rispetto al passato
verso tali investimenti, dall’altro impone alle direzioni del personale una maggiore
prossimità, non solo cognitiva, con le politiche di business aziendali. Sono queste le
basi di un cambiamento culturale da parte di entrambi gli attori, che come tale non
potrà avvenire in tempi rapidissimi. Il suo successo dipenderà non solo da una cor-
retta considerazione di tali tematiche, ma anche dalla capacità di tutto il management
aziendale di affrontare le scelte future in modo condiviso, con le competenze neces-
sarie e con una chiara attribuzione di responsabilità che ne permetta una più sempli-
ce implementazione operativa. Ciò richiede una visione comune, da parte dei diversi
attori aziendali, dell’importanza dei sistemi di HRM e, in particolare, una maggiore
attenzione da parte delle direzioni del personale ai bisogni dei clienti interni, facen-
dosi promotrici, attraverso un’accorta azione di comunicazione, dello sviluppo di un
commitment diffuso a sostegno degli investimenti in tali sistemi.
Se, da un lato, è necessaria una visione condivisa dell’importanza strategica delle dif-
ferenti pratiche di HRM, dall’altro è altrettanto necessaria una chiara definizione del
ruolo della direzione del personale, quale funzione deputata allo studio e all’imple-
mentazione del sistema integrato di HRM. Per questo si dovrà far chiarezza riguardo
alle deleghe e alle autonomie decisionali in merito agli investimenti in sistemi di
HRM, distinguendo i momenti di decisione strategica, probabilmente collegiali e par-
tecipativi, da quelli di implementazione e gestione tecnica, maggiormente delegati al-
le direzioni del personale.
Lo sviluppo dei sistemi di gestione delle risorse umane, oltre a essere costo-
Emergono nuove e complesse so, richiede spesso competenze tecniche e specialistiche non facilmente rin-
venibili in azienda.
aspettative di ruolo che Recenti ricerche (Greer, Youngblood 1999; Cook 1999; Adler 2003; Gainey,
configurano la direzione Klaas 2003; Ordanini, Silvestri 2004) e gli stessi risultati della ricerca qui pre-
sentata hanno mostrato come il ricorso all’outsourcing possa rappresentare
del personale in termini sovente una politica utile non solo a superare tali ostacoli ma, anche, a mi-
di “business partner” gliorare tanto la soddisfazione dei clienti interni quanto la sofisticazione tec-
nologica dei sistemi.
e di “broker” Necessità di una visione condivisa, ridefinizione di autonomie e responsabi-
lità e scelte di outsourcing richiedono un nuovo patto tra management e di-
rezione del personale, e la riconfigurazione del ruolo di quest’ultima. Tradi-
zionalmente il passaggio è stato da unità di staff a unità di servizio alla linea. Dalla ri-
cerca sembrano emergere nuove e complesse aspettative di ruolo, da parte del top
management e della linea, che configurano la direzione del personale in termini di
“business partner”, capace di generare valore con appropriate pratiche di HRM e di
“broker” di tali pratiche da affidare in outsourcing, attraverso scelte economicamen-
te e organizzativamente convenienti.
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Il primo punto può aiutare a comprendere meglio quali possono essere, se esistono,
i meccanismi che legano capitale umano e performance.
Con il secondo punto si vuole tentare di fornire un contributo significativo alla com-
prensione dei meccanismi di relazione tra competenza in essere nell’individuo e e-
spressione della stessa in termini di performance lavorativa. In questo modo, si è an-
che in grado di valutare quanto gli sforzi e gli investimenti delle imprese nei sistemi
di recruiting e selezione siano efficaci. In altri termini, misurare l’impatto delle com-
petenze valutate nel processo di selezione del personale sulle performance indivi-
duali si rivela il modo migliore per “validare” il processo stesso.
L’obiettivo è comprendere se il capitale misurato durante la fase di selezione sia effetti-
vamente un “generatore” di prestazione nel tempo o se non vi siano altri fattori in gra-
do di determinare il contributo che gli individui apportano alle performance aziendali.
Nel paragrafo che segue si presenta la metodologia che consente di collegare le ca-
pacità alle performance individuali e, di riflesso, alle performance aziendali. Nei suc-
cessivi paragrafi s’intende esplorare in maniera più dettagliata la relazione compe-
tenze-prestazione individuale, prendendo spunto dalla letteratura specialistica svi-
luppatasi in materia. Dopo una breve panoramica di tipo teorico, si fornisce un’evi-
denza empirica volta a verificare l’esistenza effettiva di una relazione diretta tra com-
petenze rilevate in selezione e performance individuali. L’obiettivo è fornire, nella
parte conclusiva dell’articolo, indicazioni di tipo manageriale sulla reale efficacia del
processo di selezione come antecedente del livello di performance individuale.
mance complessiva elevati (Gatewood 2002; Schmitt, Chan 1998). In questo artico-
lo proponiamo una risposta alle seguenti domande.
Ω Quale effetto producono le competenze di cui dispone un individuo al momento del-
la selezione sulle performance che egli sarà in grado di ottenere nel proprio lavoro?
Ω Quali sono le tipologie di competenze rilevate in selezione che hanno un impat-
to positivo sulla prestazione?
La ricerca manageriale ha sviluppato una cospicua mole di studi vol- Un processo di selezione
ti a indagare la relazione tra competenze e prestazione (Kristof
1996; Schmitt, Chan 1998; Schmidt, Hunter, Outerbridge 1986; può definirsi “valido” se
Borman, White, Paulakos, Oppler 1991; Schmidt, Motowidlo, De- individua una corrispondenza
Groot, Cross, Kiker 1996). Sotto questa prospettiva, il processo di se-
lezione deve essere in grado di cogliere tale relazione in maniera ef- tra caratteristiche individuali
ficace, identificando le persone che detengono un patrimonio di e livello di performance
competenze quanto più coerenti possibile con il ruolo da svolgere.
Una valida modellizzazione della relazione competenze-presta- individuale atteso
zione e delle implicazioni che essa ha sulla progettazione e ge-
stione del processo di selezione è presentata da Binning e Barrett
(1989). Secondo i due studiosi, l’efficacia della selezione dipende dalla accuratezza
con cui si svolge l’analisi del ruolo, identificando le competenze che meglio di altre
determinano livelli di prestazione eccellenti, e dalla progettazione di strumenti in
grado di rilevare tali competenze nei candidati (Campbell, McCloy, Oppler, Sager
1993; Campbell, McHenry, Wise 1990).
Tale modello risulta particolarmente interessante in quanto fornisce una base di par-
tenza per quello che in letteratura viene definito “studio di validità del processo di se-
lezione”, ossia un strumento metodologico che consente di verificare in maniera con-
creta l’esistenza prima, e l’intensità poi, della relazione competenze-prestazione, for-
nendo dati numerici che quantifichino l’effettivo impatto del processo di selezione
sulle performance individuali.
L’utilizzo di una metodologia statistica non complessa consente di mettere in relazio-
ne diretta i livelli di competenza rilevati in selezione e le valutazioni della prestazio-
ne, così da ottenere un dato affidabile sul livello di efficacia del processo di selezione.
Naturalmente, il modello che stima la relazione tra competenze misurate in selezio-
ne e performance richiede un’attenta definizione del concetto di performance. Dato
che le competenze sono misurate a livello individuale, si parlerà di job performance.
La job performance riflette alcune dimensioni concettuali, espressione sia dello svol-
gimento delle attività strettamente connesse alla mansione sia dell’emissione di com-
portamenti coerenti con il contesto di ruolo e organizzativo (Campbell 1990). Coe-
rentemente con questa prospettiva, Borman e Motowidlo (1993) hanno sviluppato un
modello che identifica due componenti distinte della job performance: task performance
e contextual performance:
1. la task performance comprende gli aspetti più tecnici e differenzianti della presta-
zione. Essa si riferisce allo svolgimento delle attività job-specific o di supporto alle
stesse e costituisce l’aspetto di prestazione più tradizionale, legato cioè all’otteni-
mento del risultato strettamente connesso a quel determinato tipo di lavoro svolto;
2. la contextual performance si riferisce all’emissione di comportamenti individuali e
sociali, orientati cioè alla costruzione e al mantenimento di relazioni funzionali
allo svolgimento dell’attività di lavoro (Conway 1996; Van Scotter, Motowidlo
1996). L’introduzione di questa dimensione è coerente con la configurazione del-
le organizzazioni contemporanee, in cui si pone particolare enfasi sulla coerenza
tra le persone e le aspettative dell’intero sistema organizzativo nelle sue compo-
nenti formali e informali. La coerenza dell’individuo con il contesto organizzati-
vo entro il quale attiverà i propri comportamenti è da considerarsi una delle de-
terminanti nel raggiungimento di risultati eccellenti.
La definizione di queste due dimensioni di job performance, che hanno entrambe im-
patto diretto sul livello di performance complessiva individuale (Kiker, Motowidlo
1999) appare coerente con l’evoluzione – necessaria – che ha subito la concezione
del processo di selezione. In passato, l’enfasi veniva principalmente posta sul cosid-
detto job-fit, ossia la coerenza persona-mansione che richiedeva la mera identifica-
zione di competenze tecnico-specialistiche espressive dei singoli task. Attualmente,
le pratiche di selezione e la ricerca organizzativa si focalizzano sull’organization-fit,
quindi sulla selezione di persone che siano in grado contemporaneamente di svol-
gere correttamente le attività core del proprio lavoro e di rispondere alle aspettative
del sistema organizzativo complessivamente inteso (Dillman 1967).
Questa evoluzione segnala la rilevanza assunta dai sistemi di selezione di matrice più
comportamentale basati sull’identificazione e rilevazione delle competenze, intese
come “caratteristiche individuali intrinseche”, “modi di comportarsi che si ripetono
nelle loro grandi linee nelle diverse situazioni e perdurano nel tempo” (Guion 1991).
La natura intrinseca delle competenze sottintende la ripetibilità dei comportamenti
e il mantenimento della loro qualità al di là delle molteplici situazioni in cui la perfor-
mance può manifestarsi. Per questo motivo la competenza può essere vista come e-
spressione della personalità, ossia nucleo centrale e stabile del soggetto (Levati, Sa-
raò 2002).
Secondo tale definizione è possibile identificare caratteristiche individuali che risul-
tano invarianti rispetto alla task performance, ma che hanno un forte impatto sulla
coerenza della persona con il contesto di riferimento. Tali caratteristiche sono stabi-
li e insite nell’individuo, ovvero presenti-assenti in modo invariato nel tempo. Assu-
mendo la prospettiva delle competenze, per tali caratteristiche si parla generalmen-
te di “competenze relazionali”, ossia repertori di capacità riferiti alle modalità di in-
terazione della persona con il proprio contesto (Boyatzis 1982; Spencer, Spencer
1995). Al contrario, le competenze tecnico-specialistiche sono attivabili e/o sviluppa-
bili nel tempo con l’esperienza diretta. Appartengono a questa famiglia di compe-
tenze le abilità cognitive, le conoscenze teoriche e di strumenti/tecniche rilevanti per
lo svolgimento di un lavoro. Nelle prassi correnti si fa riferimento a questo tipo di
competenze con il termine di “competenze realizzative” (Boyatzis 1982; Spencer,
Spencer 1995).
Alla luce di quanto discusso in precedenza, le ipotesi testate in questo articolo sono
le seguenti:
Ω Hp1: all’aumentare del livello di competenze realizzative osservate in selezione,
aumenta il livello di task performance che gli individui sono in grado di generare
nel tempo;
Ω Hp2: all’aumentare del livello di competenze relazionali osservate in selezione, au-
menta il livello di contextual performance che gli individui sono in grado di gene-
rare nel tempo;
Ω Hp3: l’impatto delle competenze relazionali sulla performance complessiva gene-
rata nel tempo è superiore rispetto a quello delle competenze realizzative.
La ricerca empirica
La metodologia
2
2. Ragioni di riservatezza e sensibilità dei La ricerca è stata condotta presso la sede centrale per l’Italia di ABC, collaborando a
dati alla privacy non consentono di fornire stretto contatto con l’unità responsabile per la selezione e con quella che gestisce la
informazioni più dettagliate sull’azienda valutazione delle prestazioni, al fine di identificare la specifica concettualizzazione di
indagata. Il nome è, pertanto, fittizio.
job performance e le competenze critiche.
Per fare ciò, dell’intera popolazione aziendale è stata scelta la famiglia degli analysts.
L’analyst costituisce il primo livello d’inquadramento in ABC. Tale ruolo è apparso
interessante poiché consente di testare la relazione competenze-prestazione in mo-
do più diretto, dato che l’arco di tempo che è intercorso tra la selezione e la valuta-
zione della prestazione è relativamente breve. Tanto maggiore, infatti, è il tempo che
intercorre tra la selezione e la valutazione della prestazione, tanto più la stessa può
essere condizionata da elementi di contesto che rendono difficile la verifica della re-
lazione competenze-prestazione.
Pertanto, è stato selezionato un campione di 201 persone, da considerarsi rappre-
sentativo dell’intera popolazione di analysts presenti in azienda, con le seguenti ca-
ratteristiche:
Ω anzianità lavorativa compresa tra i 12 e i 29 mesi (la job tenure media nel ruolo di
analyst è di due anni);
Ω status di neolaureato alla selezione;
Ω iter di selezione standard composto da quattro step. Nello specifico, ABC adotta
un processo di selezione standardizzato, costituito da quattro momenti selettivi:
assessment center, due colloqui con i manager, un colloquio con i partner.
Sul campione, così selezionato, sono state raccolte informazioni inerenti le valuta- 3. Per tutelare la riservatezza delle persone
zioni rilevate in selezione sulle competenze critiche e informazioni sul livello di coinvolte è stata impiegata una procedura
3 di codifica dei dati al fine criptarne l’identità.
performance. Sono state utilizzate fonti documentali riservate ed è stato costruito il
Tale procedura è coerente con i protocolli
dataset selezionando e codificando le informazioni raccolte. di ricerca accettati internazionalmente.
Le variabili
Le variabili individuate sono distinte in: variabili dipendenti; variabili indipendenti;
variabili di controllo.
Ω Variabili dipendenti. Come detto in precedenza, in questo articolo siamo interes-
sati a spiegare la performance complessiva individuale che si identifica per ABC
con la cosiddetta overall evaluation. Essa è sintesi del livello di performance rag-
giunto dall’individuo nel corso di un intero anno lavorativo, tenendo conto dei pro-
getti intermedi svolti in tale arco di tempo. La valutazione è normalmente e-
spressa da un comitato che sintetizza le valutazioni sulle singole dimensioni nei
progetti svolti durante l’anno.
Accanto a tale variabile, ne sono state individuate e utilizzate altre due che misu-
rano la task performance e la contextual performance.
La prima comprende aspetti della prestazione legati ad attività tipiche dell’attività
primaria dell’analyst, come: produrre output di elevata qualità, risolvere problemi
poco strutturati, creare attività a valore aggiunto.
La seconda – contextual performance – comprende aspetti del-
la prestazione di tipo prettamente relazionale, quali: la qualità
lavoro in team, la qualità della relazione stabilita con il clien- Le competenze realizzative
te, la gestione di contesti e situazioni critiche. si riferiscono alla sfera cognitiva
Sebbene la presente ricerca voglia indagare la predicibilità del-
la performance individuale complessiva, le ultime due varia- e gestionale: orientamento
bili sono necessarie per testare l’effettiva relazione esistente al risultato, problem solving,
tra dimensioni concettualmente diverse di prestazione e grup-
pi concettualmente diversi di competenze. capacità di programmare
Task performance, contextual performance e overall performance il proprio lavoro
sono variabili distinte, rilevate in modo separato, nonostante
sia facile immaginare una stretta relazione reciproca di tipo
sia concettuale sia statistico.
Ω Variabili indipendenti. Le variabili indipendenti (o predittori) sono quelle che dovreb-
bero spiegare il fenomeno di interesse, rappresentato dalla variabile dipendente.
In questa ricerca sono state individuate due variabili indipendenti.
La prima – competenze realizzative – è composta da un insieme di competenze ri-
levate in selezione che si riferiscono alla sfera cognitiva e gestionale. Comprende
item quali: l’orientamento al risultato, il problem solving, il decision making, la
capacità di programmare e organizzare il proprio lavoro.
Analisi di affidabilità
L’analisi di affidabilità consiste nel verificare che le misure utilizzate per le analisi
statistiche siano “stabili”, ossia rilevino quantitativamente in modo corretto le varia-
bili che si intendono indagare. In particolare, si utilizza un indicatore, alpha di Cron-
bach, che esprime il livello di omogeneità degli item che compongono una variabile.
L’alpha di Cronbach può assumere valori compresi tra 0 e 1. Maggiore il valore rile-
vato e più “stabile” sarà la misura costruita.
I valori dell’alpha ottenuti dalle analisi sono riportati sinteticamente nella tabella 1.
Tabella 1 Sintesi analisi di affidabilità: Competenze relazionali Competenze realizzative Contextual performance Task performance
Alpha di Cronbach
Alpha 0,9028 Total Alpha 0,8414 Total Alpha 0,5386 Total Alpha 0,6317
Come è possibile rilevare dalla tabella, il valore dell’indicatore alpha è molto elevato
per tutte le variabili considerate, con l’eccezione della variabile contextual performance,
in cui il valore è sensibilmente inferiore (alpha = 0,5386). Questo risultato va tenuto
in considerazione in quanto, non presentando la variabile forte stabilità, anche i ri-
sultati delle analisi successive potrebbero risentire di ciò. Alla luce di questo dato sarà
necessario porre cautela nell’interpretazione complessiva delle analisi.
Risultati e discussione
Analisi descrittive
La tabella 2 mostra i risultati delle analisi statistiche di tipo descrittivo condotte sul-
le variabili oggetto di indagine.
Sesso -,202* (,009) -,201* (,009) -,093 (,237) -,096 (,219) -,046 (,550) -,048 (,527)
Età -,060 (,457) -,070 (,384) -,044 (,596) -,075 (,373) -,089 (,275) -,123 (,136)
Diploma -,022 (,746) -,013 (,851) ,000 (,995) -,008 (,916) ,090 (,199) -,091 (,200)
Voto maturità -,034 (,639) -,042 (,567) -,007 (924) -,015 (,836) -,022 (,766) -,011 (,881)
Titolo universitario ,007 (,922) ,008 (,912) -,054 (,472) -,056 (,451) -,056 (,447) -,058 (,429)
Voto laurea ,113 (,133) ,110 (,147) ,087 (,265) ,091 (,244) ,048 (,526) ,049 (,516)
Anzianità lavorativa ,326** (,000) ,313** (,000) ,257** (,000) ,252** (,001) ,321** (,000) ,252** (,001)
Osservando la tabella e considerando come variabile dipendente la task performance, Tabella 3 Analisi multivariata:
regressione multipla. Sintesi complessiva
si rileva che l’ipotesi di una relazione positiva tra il possesso di competenze realiz-
zative in selezione e la task performance non è confermata. Infatti, le competenze rea-
lizzative non manifestano alcun effetto significativo sulla task performance (coeffi-
ciente beta = -0,010 e p-value = 0,910). In termini più concreti, le persone eccellen-
ti in fase di selezione nel possesso di competenze realizzative non sono necessaria-
mente quelle che otterranno performance migliori e viceversa.
Come interpretare tale risultato? Occorre anzitutto osservare che, sebbene si tratti di
una prassi molto diffusa, la misurazione di competenze realizzative (abilità cogniti-
ve, conoscenze teoriche e di strumenti/tecniche rilevanti per lo svolgimento di uno
specifico job) per una popolazione di persone senza alcuna esperienza lavorativa pre-
gressa è complessa e può portare a frequenti distorsioni di giudizio. Infatti, esiste u-
na componente esperienziale nell’osservazione delle competenze realizzative che
non può essere elusa. Nella sostanza, la misurazione di competenze realizzative in
una popolazione come quella da noi indagata dovrebbe essere un’analisi e valutazio-
ne del potenziale piuttosto che una valutazione di ampiezza e profondità di compe-
tenze realmente possedute. È dunque il potenziale di competenze realizzative che
non predice la performance di job. Questa argomentazione trova conferma osser-
vando l’impatto dell’anzianità lavorativa sulla task performance. La robusta relazione
positiva tra anzianità lavorativa e task performance (coefficiente beta = 0,313 e p-value
= 0,000), dimostra come la prestazione di tipo job-specific sia influenzata positiva-
mente da un “effetto apprendimento” sul capitale di competenze individuali che è,
per sua stessa natura, fortemente condizionato dal tempo. L’effetto dell’anzianità la-
vorativa (job seniority) sulle performance può essere interpretato sulla base della com-
binazione di due elementi:
1. il progressivo sviluppo della conoscenza, anche implicita, riguardo alle aspettati-
ve reciproche individuo-azienda;
2. lo sviluppo di una maggiore fiducia nella propria capacità di svolgere le attività
connesse al ruolo attraverso l’esperienza (senso di efficacia personale percepita).
per ciò che concerne le competenze realizzative, piuttosto che concentrarsi su com-
plesse valutazioni dei candidati è meglio focalizzare l’attenzione sulla creazione di
condizioni di lavoro e organizzative che siano attrattive nel tempo e in grado di so-
stenere le persone nel processo di accumulazione di esperienze finalizzate e di svi-
luppo del patrimonio di conoscenze e skill rilevanti rispetto alla task performance. Se
l’obiettivo è ottimizzare le task performance degli individui, la leva più efficace per
un’organizzazione è la riduzione del turnover, cercando quindi di trattenere il più
possibile il capitale potenziale acquisito, indipendentemente dal suo valore iniziale.
Il focus si sposta, quindi, dall’individuo al job e al contesto organizzativo, suggeren-
do la riscoperta di fattori ben conosciuti nella teoria organizzativa come la varietà,
l’autonomia e il senso di contribuzione connessi al lavoro, il contesto sociale e di ap-
prendimento ecc. (Oldham, Hackman 1981).
Con riferimento alla contextual performance, invece, l’ipotizzata relazione positiva tra
le competenze relazionali osservate negli individui in fase di selezione e tale dimen-
sione di prestazione (ipotesi 2) risulta verificata (coefficiente beta = 0,178 e p-value =
0,042).
Accanto alle competenze relazionali si osserva un impatto robusto sulla contextual
performance anche dell’anzianità lavorativa. Come detto in precedenza, l’anzianità la-
vorativa può essere intesa come l’insieme delle capacità sviluppate con l’affinarsi del-
la conoscenza, delle aspettative reciproche persona-organizzazione e con un aumen-
tato livello di autoefficacia percepita in relazione all’esperienza maturata. Da questa
prospettiva, i risultati della ricerca ci aiutano a comprendere come l’anzianità lavora-
tiva abbia l’effetto di amplificare l’impatto delle competenze relazionali sulla contextual
performance e, quindi, sul livello di performance complessivo.
L’ipotesi 3, infine, si riferisce all’intensità dell’impatto delle competenze realizzative
e relazionali sul livello di performance complessiva. Quest’ultima costituisce, peral-
tro, la misura di performance che ABC qualifica come maggiormente rappresentati-
va ai fini dei piani di compensation, incentivazione e sviluppo.
I dati mostrano un impatto statisticamente significativo delle competenze relaziona-
li sul livello di performance complessivo (coefficiente beta = ,208
e p-value= 0,016), mentre non esiste alcuna relazione significati-
L’anzianità lavorativa va tra performance complessiva e competenze realizzative. Tale
risultato vale anche considerando le variabili di controllo. In par-
amplifica l’impatto delle ticolare, emerge nuovamente un forte impatto dell’anzianità la-
competenze relazionali sulla vorativa (coefficiente beta = 0,289 e p-value = 0,000) sul livello
di performance complessiva.
contextual performance e, Tale risultato indica non solo che le competenze relazionali sono
quindi, sul livello di più critiche nello spiegare la performance, ma soprattutto che la
spiegano in modo esclusivo.
performance complessivo Osservando complessivamente i tre modelli, si possono trarre al-
cune conclusioni e indicare i punti di attenzione da considerare
a livello di progettazione e svolgimento del processo di selezione.
Con questo articolo si è voluta verificare la relazione tra competenze rilevate in sele-
zione e prestazione. Lo scopo principale è stato quello di individuare categorie di
competenze più critiche di altre nel determinare il livello di prestazione futura.
Si è dimostrato, infatti, che esiste una relazione causale tra livello di performance in-
dividuale e profilo di competenze rilevate in sede di selezione. Questo risultato met-
te in evidenza il potere informativo del processo di selezione in termini di preditti-
vità sul livello di performance individuale futura.
Questo articolo è, pertanto, un contributo scientifico che tenta di partecipare al di-
battito sulle ricerche che analizzano la relazione tra HR practice e performance a-
ziendali e che avanzano critiche sull’effettivo contributo delle high performance work
practices sul valore aggiunto aziendale. I risultati raggiunti paiono indicare una pos-
sibilità di entrare in questa black box insinuando il dubbio nei più critici che possa
esistere una relazione forte tra pratiche aziendali volte a valorizzare le performance
eccellenti e il valore aggiunto aziendale (Wright, Gardner, Moynihan 2003).
Le analisi statistiche hanno infatti portato a conclusioni interessanti sia dal punto di
vista scientifico sia per le implicazioni manageriali conseguenti.
Si è anzitutto dimostrato che il capitale umano è influenzato in misura differente sia
da fattori individuali, che sono stati identificati nelle competenze relazionali, sia da
fattori più strettamente legati alla natura del lavoro, identificati nella definizione di
competenze realizzative. Se obiettivo dell’azienda è alimentare costantemente lo svi-
luppo e la crescita del proprio capitale umano, allora essa dovrà agire su entrambi i
fattori, ma utilizzando leve differenti.
Per i fattori individuali, che sono stati definiti come elementi “stabili” dell’individuo,
la cui presenza-assenza può essere discriminante, il management dovrebbe investi-
re sulla progettazione e sull’implementazione di processi di selezione appropriati che
consentano di rilevare al meglio questo tipo di competenze ex ante. L’impegno dovrà
essere rivolto sia alla scelta di strumenti di selezione idonei alla rilevazione di que-
sto specifico tipo di competenze (per esempio dinamiche di gruppo, assessment center),
sia all’investimento nella formazione di figure professionali “competenti” nell’utiliz-
zo degli strumenti stessi. La formazione dei selezionatori è, certamente, un punto
chiave per la buona riuscita di un processo di selezione ben progettato. Assumendo
l’ottica della prestazione, i costi di un’errata selezione sono da ritenersi considerevo-
li e, pertanto, da non sottovalutare.
Per quanto riguarda i fattori legati più alla natura del lavoro, è interessante osserva-
re come questa tipologia di competenza, quando rilevata in sede di selezione, non
rappresenta un capitale in grado di generare performance nel tempo. Si tratta di un
patrimonio che si sviluppa nel tempo attraverso l’esperienza sul campo. Di conse-
guenza, tali competenze non vanno ricercate in selezione ma sviluppate all’interno
dell’azienda attraverso una progettazione organizzativa orientata fortemente allo svi-
luppo. Nella prospettiva indicata da questo articolo, il management attento alle
performance individuali dovrebbe preoccuparsi di creare un contesto organizzativo
strumentale a processi di apprendimento veloci ed efficaci così da accelerare la for-
mazione degli asset di competenza realizzativa. Pur conservando condizioni effi-
cienti e flessibili di impiego del capitale umano, le politiche organizzative dovrebbe-
ro quindi essere orientate al consolidamento della relazione persona-organizzazione,
così da ottenere una riduzione del tasso di turnover e il contestuale sviluppo del ca-
pitale di competenze realizzative.
Tale riflessione è assolutamente attuale in un contesto socio-economico come quel-
lo odierno, in cui si sta puntando verso una flessibilizzazione del
rapporto lavorativo in modo generalizzato, forse in parte perden-
do di vista l’importanza di un investimento duraturo dell’azienda
nelle proprie persone nell’ottica della valorizzazione del capitale
umano.
L’evidenza empirica
In questo articolo, infatti, attraverso l’evidenza empirica, corro- sottolinea l’importanza della
borata dai dati statistici, seppur nei limiti della ricerca, si sottoli-
nea l’importanza della natura sistemica delle politiche del perso-
natura sistemica delle politiche
nale per la crescita del capitale umano, che oggi rimane driver in- del personale per la crescita
dispensabile per il vantaggio competitivo sostenibile d’impresa.
Tale risultato contribuisce, pertanto, al dibattito letterario in me-
del capitale umano
rito alla relazione tra capitale umano e sistemi di gestione del per-
sonale integrati (Becker, Huselid, Pickus 1997).
che nell’azienda esaminata. Tuttavia, il fatto che si tratti di una famiglia professiona-
le precisa, composta interamente da neolaureati, apre lo spazio per una possibile li-
nea di ricerca futura in cui si possano verificare/falsificare i risultati qui ottenuti, sul-
la predittività della selezione sulla task performance, confrontando famiglie profes-
sionali con un diverso livello di esperienza pregressa.
D’altro canto, l’unicità del campione utilizzato, fortemente contestualizzato in una
realtà aziendale, è in linea con la teoria e la prassi sulla selezione del personale che
nascono dal desiderio di predire performance per ruoli specifici e organizzazioni par-
ticolari. Tale peculiarità di contesto costituisce, al tempo stesso, un limite e un pun-
to di forza della ricerca, in quanto permette di “plasmare” processi di selezione effi-
caci per specifici contesti, creando peculiarità difficilmente imitabili e tali da rende-
re ogni realtà aziendale unica (Schmitt, Chan 1998; Schmitt, Borman 1993).
Un ulteriore limite all’analisi può riferirsi alla mancanza di termini di paragone con
altre realtà aziendali. Probabilmente, un’analisi più ampia avrebbe permesso di otte-
nere informazioni più complete, avendo la possibilità di testare la medesima rela-
zione in contesti differenti. Tuttavia, ci sono ancora molti dubbi in merito alla vali-
dità di analisi cross-sectional su queste tematiche, poiché è incerta l’efficacia di iden-
tificazione del nesso causale tra politiche del personale e performance a livello gene-
ralizzato e generalizzabile (Wright, Gardner, Moynihan 2003).
Infine, le informazioni raccolte riguardano solo persone che lavorano in azienda; men-
tre non si sono raccolti dati su chi ha lasciato l’azienda nell’arco temporale considerato.
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sintesi
GIUSEPPE DELMESTRI
Q uanto le “relazioni forti” tra individui aiutano
e quanto invece impediscono il successo, la creatività
e l’efficienza delle attività economiche?
La nostra ricerca ha voluto indagare il fenomeno, formulando
Ricercatore di Organizzazione
Aziendale presso l’Università ipotesi che considerino la coesione tra individui una variabile
Luigi Bocconi di Milano, multidimensionale, scindibile, cioè, in coesione
professore a contratto di
Organizzazione Aziendale presso interpersonale e coesione basata sul compito. Questo
l’Università dell’Insubria di Varese e ci ha portato a esaminare l’effetto che la prima (una forma
docente dell’Area Organizzazione e
Personale della SDA Bocconi di coesione “forte” di natura normativa, legata a valori ed
emozioni) e la seconda (una forma di coesione più “debole”
MASSIMO MAGNI di natura cognitiva) hanno sulla performance in gruppi reali
Dottorando in Sistemi Informativi
Aziendali presso l’Università in una situazione sperimentale.
LUISS Guido Carli di Roma e Lo studio effettuato non si presenta come una one best way
assistente dell’Area Organizzazione
e Personale della SDA Bocconi per il processo di creazione dei gruppi, ma vuole essere uno
strumento teorico di supporto alla loro creazione all’interno
delle aziende. Oltre ad altre variabili, che devono essere prese
in considerazione nella creazione di un gruppo – come,
per esempio, le competenze tecniche – deve però essere
monitorata anche la coesione o, meglio, la tipologia
di coesione tra individui. Più il compito che il gruppo
deve affrontare è innovativo, più è necessario che il
management tenga conto della coesione basata sul compito
per formare i gruppi.
Introduzione1
del fattore dominante che spinge gli individui a rimanere all’interno del gruppo
(Gross, Martin 1952; Hackman 1975).
Gross e Martin (1952) distinguono due tipi di coesione in base alle forze che agisco-
no sull’individuo per farlo rimanere all’interno del gruppo:
1. coesione basata sull’attrazione interpersonale tra i membri del gruppo; l’apparte-
nenza al gruppo si fonda sul fatto che questo legame tra i membri rappresenta esso
stesso l’obiettivo del gruppo, e quindi possiede un valore proprio, indipendente dal-
l’attività svolta, dal prestigio o dallo status del gruppo.
In altri termini, la coesione interpersonale è la manifestazione di relazioni amicali
tra individui, identificabili in un continuum di simpatie e antipatie che nascono spon-
taneamente (coesione interpersonale);
2. coesione basata sul potenziale mostrato dal gruppo nell’essere mediatore per il
raggiungimento di interessi personali materiali che non potrebbero essere ottenuti
dal singolo; oppure fondata sulla condivisione, da parte degli individui, dell’impegno
verso le attività di gruppo (coesione basata sul compito).
mente complessi e non additivi che richiedono un impegno intellettivo. Ciò significa
che per riuscire a raggiungere l’obiettivo è di fondamentale importanza che i membri
del gruppo gestiscano nel miglior modo possibile le informazioni scambiate.
Abbiamo creato gruppi reali (self-selected) intervenendo minimamente nella manipo-
lazione delle variabili. I gruppi erano già presenti nella vita quotidiana, i legami (posi-
tivi e negativi) tra i membri esistevano già; l’unico nostro intervento è stato sottoporre
un questionario al fine di identificare questi gruppi durante l’esperimento senza
esercitare alcuna influenza psicologica sui soggetti.
Naturalmente, la diversità del contesto sperimentale adottato ha portato anche alla
formulazione di ipotesi differenti rispetto a quelle di Zaccaro e colleghi.
Ω La prima ipotesi si basa sul seguente assunto: in una situazione in cui il dialogo e
la comunicazione tra individui risultano fondamentali per lo svolgimento del com-
pito, i gruppi coesi a livello interpersonale dovrebbero evidenziare una performance
maggiore rispetto agli altri due tipi di
gruppi considerati. Figura 1 Ordine dei gruppi in base alla
Ω La seconda ipotesi, considerata un Performance dei gruppi coesi
a livello interpersonale performance attesa
corollario alla prima, prevede che sia i
gruppi coesi a livello interpersonale sia
quelli coesi in funzione del compito Performance dei gruppi coesi
manifestino una performance maggiore in funzione del compito
Ai soggetti coinvolti in questo esperimento – studenti iscritti agli ultimi due anni di
liceo – è stato riferito che lo studio in oggetto avrebbe riguardato la performance dei
gruppi di lavoro. La scelta di studenti per lo svolgimento dell’esperimento è stata
effettuata alla luce di due motivi sostanziali, che legano questo studio ai precedenti.
In primo luogo, l’utilizzo di studenti per esperimenti di questo genere è stato già
testato e validato dalla comunità scientifica. In secondo luogo, era necessario mini-
mizzare gli elementi differenziali tra gli studi precedenti e la presente ricerca. Que-
st’ultimo elemento garantisce la confrontabilità dei risultati ottenuti con quelli rile-
vati nelle ricerche condotte precedentemente e relative alla medesima tematica.
L’esperimento si è svolto in due sessioni con finalità differenti:
1. porre le basi per la creazione dei gruppi;
2. misurare la performance dei gruppi e testare l’attendibilità della manipolazione
delle variabili.
Sessione 1
Durante la prima sessione, agli studenti è stato consegnato un questionario costitui-
to da tre quesiti.
La struttura del questionario è molto simile a quella adottata da Tziner e Vardi (1982)
per creare degli equipaggi self-selected per carri armati. Le domande del questionario
avevano la finalità di isolare le tre variabili prese in considerazione dallo studio, in
modo da poter creare gruppi con medio-alta coesione interpersonale, con medio alta
coesione basata sul compito e, infine, gruppi non coesi.
Ω Prima domanda (coesione interpersonale): indica tre dei tuoi compagni di classe con
cui preferiresti trascorrere una vacanza. Questo quesito è stato concepito in modo da
far emergere i legami interpersonali di ciascun individuo e gli eventuali legami
reciproci tra soggetti. Agli studenti è stato chiesto di indicare negli appositi spazi i
nomi di tre compagni con cui avrebbero preferito trascorrere una vacanza. Inoltre,
è stata data loro una breve spiegazione sulla finalità della domanda, poiché il que-
sito sottintendeva, attraverso l’immagine della vacanza, che ogni soggetto indicas-
se i compagni con cui esisteva un maggiore feeling a livello personale. L’idea di
Per rendere la creazione dei gruppi più semplice e per isolare nel migliore dei modi
ciascuna delle tre variabili in gioco, è stato chiesto agli studenti di non indicare il
nome di un compagno per più di una volta. In questo modo, ogni soggetto è stato
portato a riflettere sul differente significato della prima e della seconda domanda.
Dopo aver raccolto i questionari, sono stati elaborati graficamente tutti i dati. Per ogni
domanda è stato creato un grafico simile a quello rappresentato in figura 2, in cui
ogni freccia indica le scelte di ciascun individuo.
Soggetto
Soggetto
Gruppo 2
4
Soggetto
Soggetto
1
n
Con tale metodo sono quindi stati creati gruppi ad hoc per ognuna delle tre variabi-
li. In particolare, sono stati creati 24 gruppi, di cui 8 costituiti da individui con ele-
vata coesione interpersonale, 8 con coesione basata sul compito e 8 non coesi. I grup-
pi erano composti da 4 individui, a eccezione di 2 gruppi formati da 3 individui. Dato
che i risultati raggiunti dai gruppi composti da tre membri erano molto prossimi alla
media generale, non è stato eseguito alcun test che tenesse in considerazione questa
differenza (per il confronto di dati riferiti a gruppi di differenti dimensioni si veda
Bliese, Halverson 1998).
Sessione 2
Obiettivo della seconda sessione è stato misurare la performance dei gruppi preceden-
temente creati. Sono stati quindi sottoposti a ogni gruppo sei quesiti logico-matematici
a difficoltà crescente, e ad ogni problema è stato associato un punteggio in base alla
complessità. Per la scelta dei quesiti e l’assegnazione del relativo punteggio si è potuto
contare sulla collaborazione di un ricercatore del dipartimento di matematica presso
l’Università di Salt Lake City. La scelta dei test da sottoporre è stata effettuata cercando
di creare una dinamica di motivazione progressiva alla risoluzione dei problemi, instau-
rando una sorta di sfida ulteriore a ogni problema risolto dal gruppo, fino a raggiunge-
re un livello di complessità tale da rendere veramente difficoltoso il raggiungimento del-
l’obiettivo. Gli ultimi problemi avrebbero infatti messo a dura prova le dinamiche e i
processi decisionali all’interno del gruppo. Queste ultime affermazioni sono conferma-
te anche dal fatto che nessun gruppo è riuscito a raggiungere il punteggio massimo
disponibile (21 punti). Per maggiore chiarezza, i quiz sono stati riportati nel box 1.
Lo scopo dell’esercizio era cercare di ottenere più punti possibili nel tempo limite di
un’ora. Al termine dell’esercizio è stato chiesto a ogni studente di compilare un que-
stionario costituito da due domande, che misurassero il grado di soddisfazione di grup-
po e il grado di stabilità attesa del gruppo. I valori delle variabili soddisfazione e sta-
bilità attesa sono state misurate con una scala Likert a 5 punti. Le domande avevano
la finalità di accertare se il criterio con cui erano stati creati i gruppi poteva ritenersi
sufficientemente attendibile:
1. Soddisfazione: Ti è piaciuto il gruppo in cui hai lavorato?
2. Stabilità attesa: Se dovessi prendere parte a un altro esperimento, accetteresti di
lavorare ancora con gli stessi compagni?
necessario considerare la coesione come una variabile statica, cioè non soggetta ad
alcun incremento o diminuzione. In un contesto dinamico, i risultati da noi rag-
giunti e quelli riscontrati da Zaccaro e colleghi dovrebbero essere riesaminati.
I risultati conseguiti lasciano quindi spazio a ulteriori approfondimenti della ricer-
ca fin qui condotta. In particolare, il passo seguente sarebbe quello di testare il rap-
porto tra coesione e performance in un contesto ambientale totalmente reale,
tenendo conto della dinamicità della coesione e quindi del suo evolversi tempora-
le. Nel nostro studio i due tipi di coesione sono stati isolati, ed è stato sottolineato
che la coesione interpersonale non presuppone necessariamente l’esistenza di coe-
sione basata sul compito. Infatti, nel primo questionario i soggetti non potevano
indicare la stessa preferenza più di una volta, e quindi non è stato volutamente
possibile identificare casi in cui erano presenti sia coesione interpersonale sia coe-
sione basata sul compito. A tale proposito sarebbe interessante analizzare situa-
zioni in cui coesione interpersonale e coesione basata sul compito coincidono e
confrontare la performance ottenuta da questi gruppi particolari con la perfor-
mance delle tipologie di gruppo isolate e analizzate nell’esperimento.
Il successo della manipolazione della variabile coesione è stato misurato attraverso l’ana-
lisi di significatività della differenza tra le medie delle risposte relative alle variabili sod-
disfazione e stabilità attesa in ogni situazione sperimentale. In particolare, le tabelle 1 e 2
oltre a mostrare il valore medio di ciascuna delle due variabili in situazione di coesione
interpersonale, coesione basata sul compito e assenza di coesione, evidenziano anche la
significatività dei risultati ottenuti mediante un’analisi della varianza (ANOVA).
Tabella 1 Risultati medi della variabile I dati riportati nella tabella 1 mostrano che la differenza tra medie relative alla variabile
soddisfazione (1 = decisamente no;
5 = molto) nelle tre situazioni soddisfazione è risultata significativa (p<0,001). Inoltre, l’analisi dei dati mostra che non
sperimentali e analisi di significatività è emersa alcuna differenza significativa tra le medie delle risposte fornite dai membri
della differenza tra medie (anova)
appartenenti a gruppi soggetti a coesione interpersonale, rispetto alle risposte dei grup-
pi legati da coesione basata sul compito. Questo risultato sembra indicare che la soddi-
sfazione che può derivare dal partecipare a una situazione di lavoro di gruppo, che può
essere alla base della creazione di coesione fra i membri, potrebbe rendere la coesione
interpersonale più un risultato che una precondizione al lavoro di gruppo stesso. Que-
sta considerazione si avvicina molto al dibattito relativo alla fiducia, ossia se questa debba
essere considerata un prodotto o un risultato delle relazioni sociali (Bigley, Pearce 1998).
Nella nostra ricerca non abbiamo, però, esplorato questa eventualità.
Stabilità attesa media rilevata in ciascuna Fonte della varianza SSq DF MSq F p
delle situazioni sperimentali
Esterna 44,662 2 22,331 24,97 <0.0001
Coesione Coesione basata Gruppi
interpersonale sul compito non coesi Interna 65,272 73 0,894
Tabella 2 Risultati medi della variabile Nella tabella 2 vengono sottolineati i risultati ottenuti dall’analisi della varianza con-
stabilità attesa (1 = certamente no;
5 = sicuramente sì) nelle tre situazioni dotta sulla variabile stabilità attesa per ciascuno dei contesti sperimentali. Il con-
sperimentali e analisi di significatività fronto tra medie evidenzia la significatività (p<0,001) delle differenze emerse sia tra
della differenza tra medie (anova)
gruppi con coesione interpersonale e gruppi non coesi, sia tra gruppi con coesione
basata sul compito e gruppi non coesi.
L’analisi di varianza svolta per i risultati ottenuti in entrambi i quesiti dimostra che la
manipolazione delle variabili ha avuto successo e che le domande espresse nel primo
questionario sono state efficaci al fine di identificare tre tipologie di gruppo: coeso a livel-
lo interpersonale, coeso in funzione del compito, non coeso.
La performance dei gruppi appartenenti a ciascuna delle tre condizioni sperimenta-
li è stata misurata utilizzando la somma dei punteggi associati a ogni test logico-
matematico risolto dal gruppo.
La tabella 3 mostra i risultati ottenuti da Tabella 3 Performance ottenuta da
Coesione Coesione basata Assenza
ciascun gruppo in base al tipo di coesio- interpersonale sul compito di coesione ciascun gruppo e performance media
ne presente. Si può notare che i gruppi in base alla tipologia di gruppo
3 7 7
caratterizzati da coesione interpersonale
hanno mediamente ottenuto perfor- 5 9 7
mance inferiori rispetto agli altri gruppi.
8 8 7
Quindi, anche in questo caso, in cui il
compito da svolgere non era additivo ma 3 10 7
richiedeva integrazione tra le competen- 2 8 7
ze intellettive, a fronte di un elevato livel-
3 8 8
lo di attrazione interpersonale non è
stato riscontrato un altrettanto elevato 8 7 8
livello di performance. 16 12 7
Partendo dal livello di performance di
Media Media Media
ciascun gruppo, si è calcolata la perfor- 6 8,6 7,2
mance media ottenuta da ciascun tipo di
gruppo; seguendo questo procedimento
è stato possibile confrontare l’influenza che le tre condizioni sperimentali hanno
avuto sulla performance di gruppo.
Osservando la tabella 3 è possibile notare che l’ultimo gruppo appartenente alla colon-
na “coesione interpersonale” ha raggiunto un livello di performance pari a 16 punti.
Tale punteggio, oltre a essere il migliore, se confrontato con le performance raggiun-
te dagli altri gruppi, è altresì superiore al doppio del punteggio medio ottenuto dai
gruppi appartenenti a una situazione di elevata coesione interpersonale (M = 6).
Il gruppo preso in esame può essere quindi considerato un outlier non significativo dal
punto di vista statistico. Per tale motivo, il valore di performance raggiunto da questo
gruppo non è stato preso in considerazione nell’analisi della varianza (ANOVA) con-
dotta sulla performance media delle tre classi di gruppo (sarà, invece, preso in consi-
derazione in un test non parametrico riportato più sotto).
La significatività della differenza tra le medie di performance di ogni gruppo è stata
verificata con l’ausilio del metodo ANOVA (p<0,001).
Come evidenziato nella tabella 4, attraverso questo tipo di analisi è stato possibile
verificare che la differenza di performance è risultata significativa tra i gruppi appar-
tenenti a un contesto di elevata coesione interpersonale e i gruppi legati da coesione
basata sul compito. Inoltre, dall’osservazione della tabella 4 si appura che risulta
significativa anche la differenza di performance ottenuta tra gruppi non coesi e grup-
pi coesi a livello interpersonale.
Totale 121,826 22
ti sono stati sottoposti anche a un median test. Si tratta di un metodo non parametri-
co che dipende dai dati solo attraverso il loro ordine. Il p-value ottenuto, pari a 0,0136,
conferma quanto stabilito con l’ausilio dell’ANOVA. Il p-value è stato definito come
la probabilità di ottenere un risultato più estremo di quello osservato.
Per incrementare ulteriormente l’affidabilità dei dati raccolti è stata eseguita anche
un’analisi di correlazione tra le performance ottenute dai gruppi e i voti di matema-
tica di ogni studente. Trattandosi, infatti, di test logico-matematici è stato necessario
verificare che non ci fosse alcuna relazione tra le competenze matematiche degli
individui e i risultati raggiunti dal gruppo. La correlazione tra il voto di matematica
medio del gruppo e la performance ottenuta dal gruppo stesso è molto bassa (il coef-
ficiente di correlazione risulta pari a 0,16).
Procedendo sempre nella stessa direzione è stato anche verificato che le competen-
ze matematiche di un singolo individuo non pesassero significativamente sul risul-
tato raggiunto dal gruppo. A tal fine è stata misurata la correlazione tra miglior voto
di matematica osservato all’interno del gruppo e performance ottenuta dal gruppo
stesso. L’indice di correlazione, nonostante sia maggiore del precedente (pari a 0,22),
risulta comunque basso.
do in questo modo risultati migliori. Anche il nostro studio conduce quindi a individua-
re consistenti limiti dei “legami forti” nell’assicurare performance elevate, per lo meno
per quanto riguarda compiti complessi e intellettivi in cui i membri del gruppo sono inter-
dipendenti. I risultati della nostra ricerca potrebbero dunque portare a riconsiderare l’ef-
ficacia e l’efficienza comparata del gruppo come modalità di coordinamento in contesti
anche complessi, rendendo comparativamente più conveniente l’adozione di meccani-
smi di coordinamento basati su regole e incentivi anche in contesti a elevata interdipen-
denza e complessità, quando non sia assicurata la possibilità di comporre gruppi coesi
sul compito (ringraziamo un anonimo referee per questo argomento).
Nella figura 3 sintetizziamo gli argomenti finora discussi riguardo alla relazione tra
coesione e performance rifacendoci al nostro studio e a quelli di altri autori. La curva
indicante doppia coesione, sia interpersonale sia basata sul compito, rappresenta
solo un’ipotesi da verificare in studi futuri, mentre le altre due curve sono sufficien-
temente assodate.
alta
Figura 3 La relazione tra coesione
e performance
Doppia
coesion
e
Coesione interpersonale
bassa
assente forte
Coesione
Lo studio effettuato non si presenta come una one best way per il processo di creazione
dei gruppi, ma vuole essere uno strumento teorico di supporto alla loro creazione all’in-
terno delle aziende. Oltre ad altre variabili, che devono essere prese in considerazione
nella creazione di un gruppo, come, per esempio, le competenze tecniche, deve però
essere monitorata anche la coesione o, meglio, la tipologia di coesione tra individui. Ciò
significa che sia nella fase di generazione dei gruppi, sia di controllo dei gruppi di lavoro
devono essere attentamente controllati i network sociali, in particolar modo le tipologie
di legami relazionali tra individui. Più innovativo è il compito che il gruppo deve affron-
tare, più è necessario che il management tenga conto della coesione basata sul compito
per formare i gruppi. In pratica, non è realistico pensare di poter adottare il metodo da
noi utilizzato nell’esperimento. È possibile, invece, cercare di resistere alla tendenza di
creare gruppi di amici con l’idea che, facendo leva sulla coesione interpersonale, ciò por-
terà sicuramente a risultati migliori. I manager che hanno responsabilità di definire grup-
pi dovrebbero quindi acuire l’attenzione che dedicano alla lettura dei fenomeni sociali e
prestare ascolto ai segnali relazionali deboli che provengono dai propri collaboratori.
Dovrebbero, per esempio, valutare se all’assenza di coesione interpersonale tra due per-
sone si accompagni anche l’assenza di stima reciproca, e solo in questo caso cercare di
tenere separati, se possibile, i contendenti. Mentre invece, in presenza di riconoscibile
stima ma in assenza di attrazione reciproca i collaboratori dovrebbero essere inseriti negli
stessi gruppi di lavoro. Sono quindi di successo quei gruppi che riescono a creare coe-
sione rispetto a un risultato condiviso limitando gli effetti negativi della coesione inter-
personale. Determinante è anche la capacità del management di creare una cultura che
consenta l’inserimento di persone apportatrici di nuove idee e capaci di mettere in discus- www.economiaemanagement.it
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sione le modalità operative correnti del gruppo.
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L’
DI BARBARA IMPERATORI evoluzione dei paesi industria- Le imprese moderne sono da più parti
Docente di Progettazione e di Strategia lizzati dipende sempre più dalla sollecitate a disegnare sistemi di gover-
Aziendale presso l'Università Bocconi.
Docente dell'Area Organizzazione e capacità delle imprese di svilup- nance delle competenze individuali che
Personale della SDA Bocconi. pare e mantenere nel tempo risorse ne incentivino lo sviluppo e la diffusione.
distintive: diversi contributi manageriali Questo richiama un cambiamento nelle
sostengono la progressiva rilevanza stra- logiche di gestione del personale, come
tegica della Direzione del personale in indicato nella figura 1.
questo critico processo di gestione delle Tra gli indicatori della effettiva adozione
1
competenze e risorse dell’impresa. di queste nuove logiche vi sono la pre-
Quanto detto e scritto a proposito di senza e l’utilizzo di sistemi di mappatu-
temi manageriali – il cosiddetto “discor- ra delle competenze, la progettazione di
so manageriale” – per qualcuno è, però, unità organizzative dedicate e l’adozione
solo il frutto di cicli di moda e non sem- di sistemi di gestione basati sulle com-
2
pre trova corrispondenza nella realtà. petenze.
Qual è il ruolo della Direzione del perso-
nale nelle imprese oggi? È davvero un 2. La retorica della carriera senza confini:
“partner strategico” per la gestione delle nuovi percorsi di sviluppo del lavoro
competenze e delle risorse scarse? Le recenti ristrutturazioni aziendali
A
Una ricerca svolta su un campione di 326 hanno prodotto una riduzione della forza
3
imprese milanesi cerca di dare risposta lavoro e un appiattimento delle strutture
Figura 1 Dalle logiche tradizionali di gestione del personale alla gestione per competenze
le carriere 90 2,54
lo sviluppo 95 2,70
la selezione 86 2,42
5
Tabella 1 Presenza e utilizzo di sistemi gestionali basati su una logica di competenze
dipendenti e il 24% per quelle che ne strumenti si presta ad alcune considera- 6. Per le sole imprese che hanno dichiarato
impiegano meno di venti. I risultati pre- zioni e può trovare diverse spiegazioni. di aver adottato una politica di gestione
delle carriere (40% del campione).
sentati nella tabella 2, però, mostrano La dimensione si conferma una variabile
una presenza degli strumenti di gover- rilevante: al decrescere del numero dei
nance piuttosto disomogenea sebbene, a dipendenti, diminuiscono le percentuali
eccezione dei percorsi di carriera oriz- di adozione delle nuove pratiche. Questo
zontali e differenziati, il loro grado di uti- significa che le grandi imprese sono
lizzo sia elevato. forse contaminate in tempi più brevi dai
Inoltre, i dati confermano la diffusione di discorsi manageriali o sono più sensibili.
movimenti di carriera verticali per la Il processo di teorizzazione (che ha l’obiet-
quasi totalità del campione. La mobilità tivo di rendere interessanti certe tecniche
orizzontale è invece molto più rara (circa per categorie organizzative che raccolgo-
il 10%) e interessa percentuali residuali no anche forme tra loro dissimili) è pro-
di lavoratori (intorno al 5%). babilmente debole e la letteratura mana-
Il numero e il peso dei movimenti di car- geriale relativa ai modelli di gestione del
riera orizzontali sono, inoltre, molto infe- lavoro non è stata ancora in grado di con-
riori a quelli relativi alle assunzioni dal taminare le piccole e medie imprese
mercato esterno, mentre i passaggi di milanesi, poiché queste si percepiscono
categoria sono più frequenti. Questo come una forma organizzativa peculiare.
testimonia un ricorso al mercato interno C’è, però, un dato incoraggiante che sem-
del lavoro, secondo una logica prevalen- bra sottendere un cambiamento in atto,
te di progressione verticale della carriera. anche se più lento di quanto teorizzato
La retorica del lavoro a distanza: solo il 2% nei discorsi manageriali: ove presenti le
delle imprese (tutte con più di mille nuove logiche di gestione, i singoli stru-
dipendenti) ha dichiarato di avere utiliz- menti sono diffusi e il loro grado di uti-
zato il telelavoro. Ciò è in parte spiegato lizzo è mediamente elevato. Ciò confer-
dalla presenza di vincoli infrastrutturali e ma sia la loro efficacia percepita sia l’in-
organizzativi. La scarsa rilevanza di que- tenzionalità di cambiare “sostanzialmen-
sta modalità è, comunque, sintomatica te” i modelli di gestione. È allora neces-
della reale portata di un fenomeno molto sario che il discorso manageriale diventi
discusso ma poco diffuso. più credibile e, forse, più concreto.
I risultati tratteggiano uno scenario arre-
trato rispetto al discorso manageriale e
ciò sottende una limitata valenza strate-
gica della Direzione del personale. Que- www.economiaemanagement.it
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Personale della SDA Bocconi. 2
ment (KM) un aspetto rimane cizzare i processi aziendali, di favorire
un po’ in ombra, forse perché sono anco- l’interfunzionalità, di ridurre gli errori, di
ra poche le aziende che hanno fatto scel- aumentare la qualità e di diminuire
te definitive in quest’ambito. tempi e costi di prodotti e servizi aumen-
Chi sono le persone che lavorano “dietro tando la soddisfazione e la retention dei
le quinte” della gestione della conoscen- clienti.
za? Quali i loro compiti? Quali le loro Una seconda categoria di obiettivi
competenze? Esiste una funzione dedi- riguarda la gestione e lo sviluppo delle
cata, prevista nell’organigramma azien- risorse umane. In quest’ottica il KM è
dale, oppure si tratta di un ruolo ricoper- uno strumento di induction e di appren-
to più o meno informalmente da qualcu- dimento, ma anche di coinvolgimento,
no che fa anche un altro mestiere? O valorizzazione e motivazione delle per-
addirittura di un ruolo condiviso da tutto sone. Attraverso la capitalizzazione della
il personale? conoscenza, il KM consente anche di
Facciamo un passo indietro. Infatti, per creare storia, cultura e identità azienda-
poter ragionare su ruoli e competenze, le, favorendo in tal modo la stabilità e il
A
ovvero sul “chi” e sul “come”, è oppor- senso di appartenenza delle persone. Si
tuno ripartire dai contenuti e dagli obiet- evita inoltre di perdere il know-how di
tivi del KM, ovvero dal “che cosa” e dal una persona quando questa dovesse
“perché”. lasciare l’azienda.
L’articolo ripercorre brevemente le fina- Il KM può essere considerato anche uno
lità e le attività tipiche del KM, per poi strumento di comunicazione interna,
delineare responsabilità e ruoli legati alla che promuove la circolazione e la condi-
gestione della conoscenza e approdare visione delle idee e che, nelle realtà mul-
infine alla descrizione delle competenze tinazionali, aiuta a superare le barriere
necessarie per ricoprire con successo il geografiche, linguistiche e culturali.
ruolo di knowledge manager, indipen- D’altro canto il KM, contribuendo a crea-
dentemente dal livello di formalizzazio- re o migliorare l’immagine dell’azienda
ne previsto. sul mercato, può avere anche obiettivi di
comunicazione esterna, finalizzata, per deve filtrare, verificare, strutturare e rag- 1. L’articolo si basa sulle riflessioni svolte
esempio, al marketing o al recruiting. gruppare la conoscenza che perviene al da un gruppo di lavoro coordinato dall’autrice
nell’ambito della ricerca MURST Bocconi sulle
Infine, sfruttando il principio delle idee sistema di KM. Spesso deve svolgere Knowledge Based Organization. Alla ricerca,
che generano altre idee, il KM può costi- anche un’opera di redazione, o quanto conclusa nel 2001, hanno partecipato 25
imprese. I temi centrali della ricerca sono
tuire uno strumento per favorire l’inno- meno di “traduzione” della conoscenza approfonditi nel libro di C.D. Ruta e C. Turati,
vazione diffusa e la creatività, nonché un “grezza” per uniformarla agli standard Organizzare il Knowledge Management,
Egea, luglio 2002. L’articolo è basato inoltre
supporto specifico per la funzione R&S. aziendali e renderla comprensibile e usu- sull’esperienza personale dell’autrice,
fruibile da tutti. Infine, escludendo che il che è stata knowledge manager in Accenture.
Ruoli, compiti e responsabilità per il KM knowledge manager possa essere un tut- 2. Si ricordano, a titolo di esempio,
due articoli pubblicati nel 2002 su Economia
Il perseguimento delle finalità sopra tologo, dovrà mantenere opportune rela-
& Management: S. Massa, M. Merlino,
descritte richiede un sistema di KM dalle zioni con un insieme di “esperti di mate- “Produzione e marketing dei servizi
caratteristiche molteplici e complesse, ria”, che lo supporteranno di volta in professionali: il ruolo del knowledge
management”, E&M, n. 1, 2002; M. Bonifacio,
che funzioni e sia facile da usare, che sia volta nella valutazione e nel trattamento P. Bouquet, D. Merigliano, “Knowledge
continuamente aggiornato negli stru- dei nuovi “pezzi” di conoscenza. e management: sono compatibili?”,
E&M, n. 3, 2002.
menti e nei contenuti, che contenga co- Un terzo ruolo è quello di responsabile
noscenza di ottima qualità. E ancora, che dei processi di KM. In quest’ottica il
sia accettato, riconosciuto e apprezzato knowledge manager è chiamato a defini-
dalle persone, che devono essere moti- re e gestire le procedure di creazione,
vate a utilizzarlo. contribuzione, raccolta, utilizzo, diffusio-
Il ruolo del knowledge manager, inteso ne, condivisione e valorizzazione della
come responsabile a 360° del sistema di conoscenza. Nel caso esista una struttu-
KM, è conseguentemente complesso: ra dedicata al KM, dovrà inoltre gestire le
comprende ruoli differenti, esercitati persone che ne fanno parte, nonché
direttamente dal knowledge manager o curare gli aspetti di amministrazione e
da costui coordinati. Per semplificare, controllo, per esempio individuando e
immaginiamo che il sistema di KM sia utilizzando appropriati indicatori di
già stato realizzato, in quanto la fase di performance.
sviluppo e avvio richiede in realtà ruoli, Last but not least, il ruolo del knowledge
compiti e responsabilità fondamentali manager comprende una responsabilità
ma non dissimili da qualunque grande di marketing del servizio, che consiste
progetto di cambiamento aziendale nel promuovere il KM all’interno dell’or-
basato sulla tecnologia. ganizzazione attraverso piani di comuni-
A regime, il ruolo di knowledge manager cazione interna e change management,
comprende innanzitutto un ruolo tecno- assumere un ruolo di interfaccia verso
logico, ovvero di responsabile del funzio- tutte le altre funzioni, agire come “broker
namento operativo del sistema di KM: in della conoscenza”.
quest’ottica il knowledge manager deve Esistono altri due ruoli fondamentali per
curare la gestione e il costante aggiorna- il funzionamento di un sistema di KM,
mento delle infrastrutture IT per il KM, dei quali qui si fa solo cenno, in quanto
nonché delle eventuali applicazioni di non rientrano nei compiti del knowledge
supporto. manager: quello degli utenti/alimentato-
Il secondo fondamentale ruolo è quello ri del sistema, ricoperto potenzialmente
di responsabile dei contenuti: bisogna da tutto il personale, e quello dello spon-
infatti assicurare che il sistema di KM sor, ricoperto generalmente dal top
contenga conoscenza di qualità, utile e management.
aggiornata; e ancora, che risultino facili- Per quanto concerne il posizionamento
tati il reperimento di ciò che si sta cer- della funzione KM nell’organigramma, le
cando e il collegamento con altra cono- soluzioni più frequentemente adottate o
scenza. A tal fine, il knowledge manager ipotizzate dalle aziende vedono il KM nei
sistemi informativi oppure nelle risorse anche le lingue delle diverse funzioni
umane. Altre possibilità sono legate alla aziendali – informatica, risorse umane,
funzione ove il KM è nato o che per marketing, e così via).
prima lo ha utilizzato, per esempio Fra le attitudini che il knowledge mana-
marketing o R&S. Un’ulteriore possibi- ger dovrebbe possedere si possono
lità, fortemente caldeggiata dagli addetti menzionare l’entusiasmo, la motivazio-
ai lavori, è quella di organizzare il KM ne, la curiosità, la flessibilità, la tenden-
come funzione a sé stante, in posizione za all’innovazione, la forma mentis mate-
visibile a tutti (per esempio in staff alla matica. Non guasta una buona dose di
Direzione generale). autostima e di resistenza alle frustrazio-
Un’ultima domanda che le aziende si ni, soprattutto nella fase di avvio di un
pongono riguarda la scelta fra ruoli dedi- sistema di KM.
cati, ruoli esercitati da chi fa anche un Infine, per quanto riguarda le esperienze,
altro mestiere o, infine, ruoli condivisi da può essere utile la provenienza dai siste-
tutti. Posto che la risposta dipende mi informativi e/o dalle risorse umane,
anche dalle dimensioni dell’azienda e anche se, per quanto detto sopra, il
dall’importanza assunta dal KM nel con- knowledge manager dovrebbe essere
testo specifico, c’è concordanza sulla essenzialmente un non specialista, che
necessità di una persona dedicata, alme- abbia vissuto una molteplicità di espe-
no nella fase di lancio del KM. rienze professionali. Nella fase di avvio,
oltre che, ovviamente, in quella di svi-
Competenze di KM luppo, è essenziale l’esperienza di
Le competenze necessarie per il know- project management.
ledge manager di successo si compon- Per concludere, è possibile provare a
gono di conoscenze, capacità, attitudini immaginare alcuni ulteriori requisiti,
ed esperienze. quali l’età, l’anzianità lavorativa e la sco-
In primo luogo il knowledge manager larità. Un’ipotetica (e un po’ scherzosa)
deve conoscere l’azienda, il suo business inserzione per la ricerca di un knowledge
e il settore di appartenenza. Solo in tal manager potrebbe suonare così: “Cerca-
modo può essere in grado di capire si giovane (max 35 anni), brillante e moti-
quale conoscenza è veramente utile e di vato, con laurea in ingegneria (purché
valore per l’azienda. Sono poi necessarie pentito) oppure umanistica (se evoluto),
conoscenze di Information Technology e con esperienza di gestione di progetti
di gestione delle risorse umane. Infine, è complessi, con conoscenze di IT e busi-
indispensabile la conoscenza della lin- ness e grandi capacità interpersonali per
gua inglese, soprattutto se l’azienda è stimolante posizione di responsabilità
multinazionale e l’intranet opera a livello nella new economy”.
internazionale.
Per quanto concerne le capacità, il know-
ledge manager deve innanzitutto avere www.economiaemanagement.it
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capacità di comunicazione e di ascolto,
deve essere portato per i rapporti inter-
personali e deve avere capacità di vendi-
ta del servizio. Sono utili, inoltre, capa-
cità analitiche e di sintesi, di gestione
della complessità, di pensiero laterale, di
visione a 360°. Infine si rivela vincente la
capacità di “parlare molte lingue” (stra-
niere, per le aziende multinazionali, ma
LICENZIAMENTI E VALORE:
UNA RICERCA EMPIRICA SULLA RELAZIONE
TRA ANNUNCI DI DOWNSIZING
E QUOTAZIONE AZIONARIA
ABST I drammatici eventi dell’11 settembre 2001,
RACT il ristagno dell’economia americana, europea e giapponese,
il panico per la diffusione di altri casi di “Enronite” – termine con
cui è stata battezzata la sindrome da bilanci truccati – hanno
riportato il tema dei licenziamenti al centro del dibattito economico
in tutto il mondo. A questo scenario internazionale si sono
affiancati, in Italia, il confronto sulle regole del mercato del lavoro
e sulle norme che regolano l’uscita dei lavoratori dall’impresa
e la drammatica crisi della principale industria del paese.
Il confronto su questi temi si è spesso trasformato, nei toni
e nella sostanza, in scontro e conflitto sociale. La morte di Massimo
D’Antona e Marco Biagi ha tragicamente confermato quanto
la questione lavoro sia ancora oggi un nervo scoperto, sensibile
e potenziale oggetto di devastanti speculazioni. Il bisogno,
civile prima che economico, di togliere alibi e terreno di coltura
a queste speculazioni si è scontrato negli ultimi mesi con
l’impressione, da molti condivisa, di un dibattito poco ancorato
alla realtà e di una discussione prevalentemente condizionata
da posizioni preconcette.
e della redditività (Cameron 1988; Ca- pensata dalla crescita dei costi variabili
meron, Freeman 1993). Proprio parten- ma anche da una conseguente maggiore
do da questa considerazione, il progetto flessibilità e reattività rispetto al ciclo
di ricerca da cui è tratto questo lavoro economico.
trae origine da una riflessione più ampia Per comprendere meglio il legame tra
svolta in merito alla natura delle nuove nuove forme organizzative e riduzioni
forme organizzative, alle logiche ad esse radicali dell’organico è opportuno antici-
sottese, ai paradossi che talvolta sembra- pare la definizione di downsizing propo-
no suggerire (Illnich, D’Aveni, Lewin sta nella ricerca organizzativa. Il concet-
1996). Da diverso tempo, ormai, gran to più esaustivo di organizational down-
parte delle imprese si trova a dover fron- sizing può essere considerato quello for-
teggiare una radicale metamorfosi nei nito da Cameron (1994a, 1994b). Egli ha
processi competitivi riconoscendo nella cercato di distinguere le cause delle ri-
ricerca di forme organizzative innovati- duzioni d’organico dagli effet-
ve un efficace strumento di sopravviven- ti che possono produrre.
za (Volberda 1996). Non casualmente, Il termine organizational down- Da tempo le imprese si
dalla seconda metà degli anni ottanta e sizing indica un insieme di at-
per tutti gli anni novanta si è osservato tività intraprese dal manage- trovano a dover fronteggiare
un continuo susseguirsi di operazioni di ment di un’organizzazione al una radicale metamorfosi
riorganizzazione aziendale. fine di apportare migliora-
Nel novero delle strategie di riorganizza- menti in termini di efficienza, nei processi competitivi
zione più diffuse, quali il restructuring o produttività e/o competitività.
il reengineering, devono essere incluse al- Si tratta di una vera e propria
tre azioni ad esse complementari come strategia, la cui implementazione impat-
il downsizing, il rightsizing, il delayering ta su tre elementi che conferiscono all’a-
(Eisenberg 1997; Hall, Rosenthal e Wade zienda una parte fondamentale della pro-
1993; Hammer, Champy 1993). Tutte pria identità, vale a dire: la dimensione
queste strategie organizzative sono go- della forza lavoro; i costi; le modalità di
vernate dalla stessa filosofia di fondo: la svolgimento dei processi di generazione
rigenerazione della competitività azien- del valore. Ciò che rende il downsizing or-
dale ha una tappa obbligata nella massi- ganizzativo differenziabile da una sem-
mizzazione dell’efficienza (da ottenersi plice riduzione di personale è il fatto che
mediante un’attenta riduzione dei costi la sua scelta sia motivata da una precisa
e un aumento della produttività) e della ipotesi circa la relazione tra azione orga-
flessibilità. Il downsizing, sebbene sia na- nizzativa, risultato economico e impatto
to come strategia complementare alle strategico (Cameron, Freeman, Mishra
grandi ristrutturazioni, è andato sempre 1991). Se tale azione viene implementa-
più assumendo un’identità propria, una ta in fasi recessive, come è avvenuto ne-
dignità specifica, attribuita dalla valenza gli Stati Uniti tra la fine degli anni ottan-
strategica di cui è stato caricato in mol- ta e la seconda metà degli anni novanta e
tissime esperienze (McKinley et al. come sta accadendo in questi giorni, il
1995). La peculiarità del downsizing co- comportamento del management appare
me vera e propria corporate strategy si ba- più chiaramente teso a offrire una rispo-
sa sull’ipotesi per cui un ridimensiona- sta consapevole a situazioni negative. Ciò
mento della struttura organizzativa, at- che tuttavia più impressiona, osservando
traverso una riduzione rapida e consi- l’evoluzione temporale delle politiche di
stente dei costi fissi legati al lavoro, pos- downsizing, è come si siano trasformate
sa consentire a un’organizzazione di in azioni strategiche anche e soprattutto
perseguire non solo obiettivi di econo- in fasi economiche non più recessive ma
micità, ma anche un vantaggio competi- di crescita economica. Tale evoluzione è
tivo duraturo (Robertson 1987). In ag- stata condizionata dall’emergere dei nuo-
giunta, le grandi riduzioni di personale vi contesti competitivi che, indipenden-
sono generalmente affiancate dal mas- temente dal ciclo economico, suggeri-
siccio ricorso all’outsourcing determinan- scono l’adozione di modelli organizzati-
do una riduzione più generale di com- vi snelli e flessibili, sinteticamente defi-
ponenti di costo fisso non direttamente niti lean and mean (Harrison 1994). Tra i
riconducibili al lavoro umano. Questa ri- molteplici effetti generati, la rapida af-
duzione dei costi fissi è in parte com- fermazione di questa filosofia organizza-
tiva ha contribuito in molti casi (USA e condotto alla globalizzazione dei merca-
Regno Unito in testa) al declino del valo- ti, come diretta conseguenza della rea-
re della sicurezza del lavoro (job security). lizzazione di una politica orientata alla li-
In questo scenario, se si escludono i vin- bera circolazione dei capitali. Dal mo-
coli normativi, la riduzione dei costi del mento che gli investitori hanno la possi-
personale assume i connotati di una po- bilità di allocare i loro investimenti libe-
litica perseguibile in modo apparente- ramente, su qualunque mercato (la loca-
mente semplice e direttamente collegata lizzazione non discrimina gli investi-
al miglioramento dei costi di produzio- menti), si orienteranno verso le migliori
ne. La presumibile assenza di lungimi- prospettive di investimento, a parità di
ranza insita in un comportamento del rischio. In questo modo le aziende quo-
genere non ha impedito la diffusione di tate subiscono le pressioni di un merca-
tale best practice, tanto da far assurgere il to finanziario guidato dal controllo degli
downsizing al ruolo di vera e azionisti che sanzionano il comporta-
A ben vedere, una versione propria filosofia, condivisa
dalla stragrande maggioranza
mento dei manager semplicemente spo-
stando gli investimenti da un titolo al-
rigorosa della teoria del valore degli executive americani l’altro. Naturalmente, più ampia è la pro-
richiederebbe la centralità (McKinley,
1993).
Mone, Barker porzione delle azioni controllate dall’a-
zionariato diffuso, maggiori saranno le
degli interessi degli azionisti Rispetto alla valutazione dei pressioni esercitate sul management at-
benefici e dei costi connessi a traverso la minaccia “dell’uscita” dagli
nel lungo periodo questa strategia, si è sviluppa- investimenti. Molti manager hanno de-
to un ampio dibattito nel qua- ciso l’impiego sistematico del downsi-
le gli studiosi di organizzazione hanno zing, sia con l’intento di ridurre veloce-
giocato un ruolo determinante attraver- mente i costi, sia con l’obiettivo di co-
so una prospettiva per molti versi antite- municare all’esterno una rigida politica
tica a quella centrata sulla generazione di controllo dell’efficienza, così da ren-
di valore per gli azionisti. Nei successivi dere l’impresa più attrattiva e coerente
due paragrafi saranno sintetizzate que- con le aspettative dei conferenti il capi-
ste due prospettive e proposte le ipotesi tale di rischio (Appelbaum, Simpson,
testate empiricamente nella ricerca. Shapiro 1987). In termini di fiducia dei
mercati finanziari, questa strategia ha
spesso pagato (box 1).
Il downsizing in una prospettiva A ben vedere, una versione rigorosa del-
di creazione di valore per gli la teoria del valore richiederebbe l’indi-
azionisti scussa centralità degli interessi degli
azionisti nel lungo periodo. Sotto questa
Come interpretare il ricorso sistematico prospettiva, gli sforzi del management
alle politiche di downsizing? Una prima dovrebbero quindi essere orientati verso
risposta a questa domanda può essere ri- la massimizzazione del valore attuale del
cercata nel tipo di valutazione che gli in- flusso atteso per il futuro. Di conse-
vestitori e i mercati finanziari hanno svi- guenza, i teorici del valore ritengono che
luppato nel tempo riguardo agli effetti le decisioni prese dal management do-
prodotti dal downsizing. Infatti, una del- vrebbero disporsi e prendere forma lun-
le chiavi di lettura principali della diffu- go una prospettiva temporale ampia, con
sione delle politiche di downsizing deve grande vantaggio, alla fine, per tutti i
essere ricercata nell’attenzione sempre soggetti coinvolti nell’attività di impresa
crescente prestata dal management alla (stakeholders). Sotto questa luce, il down-
soddisfazione delle attese degli azionisti. sizing può essere visto come una strate-
Anche nei contesti in cui la separazione gia organizzativa aggressiva di ripristino
tra proprietà e controllo si è realizzata della profittabilità attraverso una radica-
nelle forme più evolute, in particolare le riduzione dei costi legati al personale
negli USA, il management delle impre- ma che non dovrebbe incidere sul patri-
se resta particolarmente sensibile alla monio di competenze presente in azien-
generazione del valore per gli azionisti. da (Lesly, Ligth 1992). Si tratta di una
Questa preoccupazione si è nel tempo motivazione razionale e in taluni casi
amplificata alla luce delle condizioni, ampiamente giustificabile con la neces-
economiche e istituzionali, che hanno sità di ripristino della competitività e, di
Box 1 Caso Alitalia legge 223, si apre ora un periodo di 75 giorni nel
quale le parti possono continuare a negoziare su
“Il gruppo Alitalia, richiamandosi a quanto previsto dal- altre forme, più morbide, di riduzione del costo
la legge 223 del 1991, ha avviato formalmente, il 20 del lavoro, come i contratti di solidarietà, che
febbraio, le procedure di licenziamento per 2600 di- comporterebbero riduzioni di orario e di stipen-
pendenti. La decisione del gruppo è venuta dopo dio per un numero elevato di dipendenti. Se entro
che, alla scadenza del 15 febbraio prevista dall’ac- la scadenza del termine, il 6 maggio, non sarà tro-
cordo del 23 gennaio scorso, le parti non erano riu- vata un’intesa, i licenziamenti diventeranno ope-
scite a trovare un accordo per definire misure di rativi [accordo poi trovato a fine marzo – n.d.a.].
riduzione del costo del lavoro che, in base a quan-
to previsto dal piano di ristrutturazione del grup- Misure molto pesanti, quindi, che hanno convinto la
po, nel 2002 dovrà essere di 180 milioni di euro. borsa. Il recupero del titolo a Piazza Affari, già
iniziato ieri, dopo l’annuncio del contingency
L’Alitalia non ha ancora specificato se nei 2600 licenzia- plan si è fatto ancora più sostanzioso, registrando
menti saranno compresi i circa 815 esodi “volonta- oggi un progresso superiore all’8%, sopra quota
ri” agevolati. Sono stati, comunque, individuati 0,71 euro [corsivo non nel testo originale – n.d.a.]”.
gli esuberi per ogni categoria: per i piloti sono 138,
per gli assistenti di volo 386, per i dipendenti di Fonti: Il Sole 24 Ore 21 febbraio 2002;
terra 1974 e per i tecnici di volo 102. In base alla La Repubblica, 23 febbraio 2002
zione, confidando comunque in una rea- stenti riduzioni del personale; dall’altro,
1. Ragioni di spazio non consentono di
sviluppare questo importante punto. Alcune zione positiva da parte degli investitori e questa stessa fiducia che accresce la pro-
ricerche stanno mettendo in luce come i piani del mercato al fine di ottenere un van- pensione a realizzare downsizing in virtù
di stock-options producano una maggiore taggio non necessariamente reddituale, degli effetti patrimoniali legati alla cre-
propensione del management ad attuare non necessariamente nel lungo periodo, scita del valore delle azioni, indipenden-
strategie di downsizing.
ma patrimoniale, di breve e con forti va- temente dalla capacità o meno dell’azien-
lenze simboliche e psicologiche. Gli da di rigenerare la propria competitività.
eventi degli ultimi dieci-quindici anni Possiamo sintetizzare questa prospettiva
hanno infatti mostrato come, di fronte con un’ipotesi riguardo alla reazione de-
ad annunci di downsizing, il valore delle gli investitori di fronte agli annunci di
azioni della società interessata tenda a downsizing.
salire. Il prezzo delle azioni, infatti, è Ipotesi 1: Quanto più radicale è la ridu-
condizionato fortemente dal valore per- zione di personale dichiarata da un’impre-
cepito, un valore che risente dell’asim- sa in sede di annuncio, quanto più favore-
metria informativa esistente tra investi- vole sarà la reazione degli investitori con
tori (shareholders) e management. Que- conseguente beneficio per il valore aziona-
st’ultimo, dunque, mostrerà scarso inte- rio dell’impresa stessa.
resse nel perseguimento della massi-
mizzazione del valore attuale, dal mo-
mento che, nel breve periodo, il valore Il downsizing in una prospettiva
percepito rappresenterà ciò che condi- organizzativa e fondata
zionerà maggiormente l’andamento del sulle strategie “people-centered”
titolo. Sotto questa luce, il downsizing
viene ad assumere le caratteristiche pro- Esiste, però, un rovescio della medaglia
prie di una tattica esercitata al fine di in- del quale gli studiosi di organizzazione
crementare rapidamente e consistente- hanno colto la portata verificandone em-
mente il valore delle azioni di un’impre- piricamente le implicazioni. Già nei pri-
sa. L’unico imperativo sarà puntare alla mi anni novanta erano disponibili nu-
credibilità delle decisioni intraprese. Il merose evidenze empiriche che descri-
mercato deve infatti percepire in modo vevano gli effetti tutt’altro che positivi,
chiaro l’intenzione, da parte di chi guida nel medio periodo, delle strategie di
l’organizzazione, di accrescere continua- downsizing (Worrel et al. 1991). I pro-
mente il valore dell’azienda, sebbene ciò grammi di ricerca realizzati a partire dal-
che può avvenire non sia altro che il fe- la seconda metà degli anni ottanta sotto-
nomeno del quick fix descritto da De- lineano come l’ondata di downsizing ab-
Vries e Balazs (1997). Poco importa, bia generato negli USA ripercussioni
dunque, se l’intenzione effettiva sia non trascurabili sul sistema delle impre-
orientata esclusivamente alla realizza- se. Rimandando all’ampia letteratura esi-
zione di guadagni in conto capitale otte- stente l’analisi delle ripercussioni a livel-
nibili nel breve periodo, cosa che, tra l’al- lo di sistema economico generale, è inte-
tro, si concilia perfettamente con la ten- ressante, per le finalità di questo lavoro,
denza a concedere stock options al top indagare gli effetti sulle singole imprese.
management, nel tentativo di allineare La ricerca organizzativa ha messo a fuo-
1
interessi di dirigenti e azionisti. È dun- co un nuovo fenomeno micro-organiz-
que facile comprendere come annunci zativo denominato significativamente
di cambiamenti strutturali a livello orga- survivors’ syndrome (sindrome dei so-
nizzativo possano modificare profonda- pravvissuti) (Brockner et al. 1985; Brock-
mente le aspettative degli investitori e ner 1992). Esso sta a indicare la quasi to-
dunque gli andamenti del mercato fi- tale perdita di fiducia, da parte dei lavo-
nanziario. Di conseguenza, è probabile ratori, nella possibilità di conservare il
che queste stesse strategie vengano de- proprio posto di lavoro. Senso di preca-
cise e implementate proprio per agire su rietà e scarsa fiducia nelle proprie capa-
tali aspettative. cità rappresentano gli elementi classici
In sintesi, si evince una sorta di circolo vi- di un fenomeno ampiamente osservato
zioso: da un lato, la valutazione positiva in imprese che hanno sperimentato co-
degli investitori, giustificata dalle miglio- spicui tagli del personale. Osservata sot-
ri prospettive di competitività, che incen- to questa luce, la logica di licenziare al fi-
tiva il management a realizzare consi- ne di perseguire il miglioramento della
performance d’impresa non sembra giu- effetti meno visibili ma altrettanto im-
stificabile nel medio/lungo periodo, poi- portanti per l’acquisizione di un vantag-
ché, in seguito a una riduzione dell’effi- gio competitivo strutturale. Cameron ha
cacia del coordinamento e della motiva- per lungo tempo studiato secondo que-
zione dei dipendenti, i risultati non pos- sta prospettiva il fenomeno del down-
sono che peggiorare. In molti casi i pro- sizing, proponendo una classificazione
cessi di downsizing sono coincisi con un delle conseguenze comportate da tale ge-
reale aumento della produttività e una ri- nere di strategie qualora queste vengano
duzione dell’incidenza del costo del la- condotte senza alcuna consapevolezza
voro per unità prodotta, ma solo relati- dei limiti e delle potenzialità dell’orga-
vamente al periodo immediatamente nizzazione. Le deduzioni fornite nel pro-
successivo alla sua implementazione. gramma di ricerca di Cameron sono la
Accanto a questi effetti di breve periodo conseguenza di un ragionamento linea-
è emerso il fenomeno della corporate re ed empiricamente fondato:
anorexia o dumbsizing (Eisenberg 1997). l’impreparazione sulle impli- Si chiama survivors’
Il termine, indica un processo di ridu- cazioni organizzative con cui
zione di costi e dimensioni aziendali di le aziende affrontano i proces- syndrome il senso di
ampiezza e profondità tali da impoveri- si di downsizing è, nella quasi precarietà che si riscontra
re il patrimonio di competenze e capa- totalità dei casi, fonte di situa-
cità presenti in azienda. A partire dalla zioni di grande difficoltà. Nel- all’interno di imprese che
serie di studi condotti nel tentativo di lo specifico, il downsizing può hanno sperimentato cospicui
confrontare le organizzazioni che aveva- generare un deterioramento
no operato un downsizing e quelle che consistente dell’efficacia orga- tagli del personale
avevano preferito ricorrere a strategie al- nizzativa attraverso la crescita
ternative, numerose sono le evidenze dei carichi fisici e psicologici sui dipen-
che mostrano quanto il ricorso al down- denti. Queste maggiori pressioni posso-
sizing sia stato effettuato senza una ra- no essere inoltre amplificate dal manca-
zionale e consapevole riflessione sulle to adeguamento dei sistemi di ricom-
potenziali involuzioni di tutto l’assetto pensa e dalla mancata revisione dei pro-
organizzativo d’impresa. Le pubblicazio- cessi aziendali (Manzini, Gridley 1986).
ni di De Meuse, Vanderheien e Berg- Un’organizzazione incapace di com-
mann (1994) e di Cascio (1994) hanno prendere gli effetti “di sistema” del
evidenziato come le aziende che hanno downsizing non è in grado di tutelare
fatto ricorso al downsizing si siano rive- adeguatamente il patrimonio di compe-
late meno produttive e, in taluni casi, tenze presenti in azienda, configurando
non più in grado di mostrarsi efficienti. le basi per il fenomeno che Cameron,
Non solo: è stato provato quanto fosse con un’altra analogia medica, definisce
negativo l’effetto provocato sui compor- “anemia delle competenze” (1994a).
tamenti di ruolo e extra ruolo dei dipen- Questa anemia organizzativa è in grado
denti e, conseguentemente, quanto di produrre effetti diretti sulla qualità dei
plausibile fosse il verificarsi di fenomeni prodotti e sul livello di servizio offerto al
di conflitto, alienazione e turnover. In cliente. Sempre Cameron (1998) ha rag-
sintesi, riassumendo la ricerca svolta nel gruppato le disfunzioni organizzative
lontano 1991 dalla Wyatt Company su più frequenti in un insieme definito
un campione di 1005 aziende che aveva- “The Dirty Dozen”. La sporca dozzina
no sperimentato processi di downsizing, del downsizing comprende: la centraliz-
si può riscontare che: zazione; la visione di breve periodo; la
1. meno di 1/3 delle aziende considera- perdita di capacità di innovazione; la re-
te ha ottenuto i profitti sperati; sistenza al cambiamento; il peggiora-
2. solo il 21% delle aziende considerate mento del morale; lo sviluppo di coali-
ha ottenuto incrementi in termini di ROI; zioni di interesse interne all’impresa e in
3. il 46% delle aziende considerate ha conflitto tra loro; la non chiara definizio-
realizzato che la riduzione del perso- ne delle priorità; la perdita di fiducia;
nale non consente la riduzione di costi l’aumento dei conflitti; la diminuzione
auspicata. della comunicazione; la mancanza di
teamworking; l’assenza di leadership.
Dunque, una prospettiva organizzativa In sintesi, questa prospettiva aiuta a
del downsizing consente di studiarne gli identificare le cause del fallimento dei
Al di sotto
.250 -.153 .091 .013 -.100
delle aspettative
Al di sopra
.107 .095 .0163 .074 .098
delle aspettative
Durata vertenza
sindacale .474 .285 .041 .158 .340
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L’autore ringrazia la dott.ssa Alessandra Cancelliere, il cui contributo si è rivelato indispensabile per svolgere il programma di ricerca presentato in questo
articolo. Una prima versione dell’articolo è stata presentata durante i lavori del convegno 2002 dei docenti italiani di Organizzazione Aziendale. L’autore
ringrazia i due reviewer anonimi di Economia & Management per i preziosi suggerimenti. Limiti e imperfezioni sono di responsabilità dell’autore.
GIUSEPPE SODA è professore associato di Organizzazione Aziendale presso l’Università Bocconi e direttore dell’Area Organizzazione e
Personale della SDA Bocconi
0,3
0,25
1 = 100
0,2
0,15
0,1
0,05
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
ANNI
profit / equity EVA / Human Capital
costituiscono casi numericamente limi- possono senza tale impegno produrre 2. L’Economist del 2 agosto 1997
tati e quindi sostanzialmente ininfluen- alcun risultato. (“A star to sail by?”) riassumeva efficacemente
ti sulla valutazione complessiva dell’im- Se si accetta questo punto di vista si può la diffusione dell’EVA e di altri sistemi
presa). Pertanto, il riferimento al suo quindi attribuire l’EVA al patrimonio alternativi proposti da grandi società
di consulenza, indicandone i limiti.
costo (medio per la categoria cui appar- umano, in percentuale sul relativo costo
tiene: direttore, dirigente, quadro ecc.) annuo, ricavandone un “indicatore di
sembra essere un criterio in generale rendimento” che potrà essere ragione-
obiettivo. volmente attribuito ai singoli in propor-
Ω La consistenza quantitativa delle risor- zione al loro costo.
se disponibili, articolata per grandi cate- Il “rendimento” di ciascuno così definito
gorie: per esempio, direttori (top mana- potrebbe quindi essere capitalizzato, come
ger), dirigenti, quadri, impiegati, operai. valore attuale di una rendita per gli anni
E le variazioni registrabili: entrate e usci- di disponibilità di ogni dipendente (al tasso
te annuali, per esempio. standard adottato dall’impresa per l’accet-
Ω La durata della loro disponibilità: rife- tazione dei progetti di investimento) e
ribile all’età delle persone e alle regole di costituire, pertanto, un valore
pensionamento in vigore nell’impresa. cui si sommeranno i valori delle
La maggioranza attualmente adotta lo altre persone per determinare Se un’impresa perde,
standard dei 65 anni. la stima complessiva del patri-
monio umano. Nel tempo, si le persone che ne fanno parte
Tradizionalmente il risultato netto della potrà poi studiare come esso
gestione è riferito interamente al capita- dipenda dai livelli retributivi,
hanno valore economico
le proprio, e cioè ai mezzi finanziari dal suo “rendimento” (EVA), negativo
messi a disposizione dell’impresa dai dalla durata della disponibilità
suoi proprietari. Negli anni più recenti si delle persone (anni dalla pen-
è però diffuso il riferimento all’EVA (Eco- sione), dalle politiche di assunzione e
nomic Value Added), cioè alla stima del dismissioni attuate ogni anno.
valore economico creato dalla gestione al Riflettendo sul problema, anche con
netto del compenso standard ai mezzi qualche verifica concreta, mi è sembrato
finanziari impiegati (costo del capitale), peraltro eccessivo assumere come riferi-
considerato strumento di valutazione più mento la redditività (stima EVA) di un
2
significativo. solo anno. Gli andamenti congiunturali
A me pare che l’EVA sia, in pratica, pro- possono infatti in un dato anno provoca-
dotto dall’impegno delle persone che re oscillazioni del PU la cui correzione
costituiscono il capitale umano: le risor- richiede un certo tempo anche a un
se inanimate materiali e immateriali non management capace. Propongo quindi di
1400
1200
LIRE MILIARDI
1000
800
600
400
200
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9
1999 ANNI 2001
fatturato Capitale proprio mil. L
adottare la redditività triennale, calcolata il valore attribuito a questa parte del patri-
3. Il valore attuale di una rendita R
per n anni al tasso di sconto i è dato dalla con media mobile. monio umano – i dirigenti – risulta per-
formula di matematica finanziaria Nell’esempio che presento un dirigente tanto 72,754 miliardi di lire.
R*((1+i)^n-1)/(i*(1+i)^n. Con i dati aveva in media, nell’anno 2000, un costo Il calcolo esteso alle altre categorie di
dell’esempio n= 22,4 i=10% R=1 si ottiene annuo di 264,36 milioni di lire; l’EVA dipendenti determina un indice com-
appunto 8,8175. Per comodità denominiamo
stimata in quell’anno rappresentava plessivo del valore del capitale umano di
coefficiente di capitalizzazione il valore
attuale così determinato della “rendita” l’80,87% del costo dei dipendenti. La red- cui dispone l’impresa. Nel caso Natuzzi
attribuita al dipendente. ditività del dirigente, pertanto, con l’im- si perviene a 1280,902 miliardi di lire per
postazione qui suggerita, si stima in l’anno 2000, pari a quasi il doppio del
80,87% × 264,36 = 213,79 milioni annui. capitale proprio. È interessante notare
Ma la media degli ultimi tre anni (1998, che con questa metodologia la stima del
1999, 2000) è 201,245. Se l’età media era capitale umano (PU) risulta di dimensio-
di 42,6 anni, il periodo di sua disponibi- ni rilevanti rispetto al valore attribuito alle
lità (durata) risulta 65-42,6 = 22,4 anni; risorse materiali (attività o capitale pro-
da cui deriva un “coefficiente di capita- prio); come aveva segnalato il premio
lizzazione” di 8,8175; e quindi il suo valo- Nobel Gary Becker nel suo famoso
re attuale (supposto il tasso standard Human Capital (1964).
attribuito agli investimenti pari al 10%) È importante considerare che, con que-
3
si stima pari a 201,245 × 8,8175 = 1774 sta impostazione, il PU si annulla o
milioni di lire. Poiché i dirigenti sono 41, diventa negativo se l’EVA si annulla o
Figura 3 Dipendenti
5000
4500
4000
3500
3000
NUMERO
2500
2000
1500
1000
500
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9
OPERAI 2132 2510 2919 2824 2943 3109 3940
IMPIEGATI 439 473 469 475 480 499 571
QUADRI 24 25 28 31 33 51 78
DIRIGENTI 36 37 36 33 36 41 54
ANNI
120,000
100,000
liv. retr. saldo (EVA)
80,000
60,000
entrate
40,000
uscite età media
20,000
0,000
-20,000
1
2000
MILIARDI DI LIRE
1500
1000
500
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9
1996 ANNI 2000
Patrimonio Umano - Hum. Cap. Capitale proprio mld. L
diventa negativa. In altre parole, si affer- ferenza dei livelli retributivi per la sua
ma che in un’impresa che perde le per- redditività e per il coefficiente adottato
sone che ne fanno parte hanno valore per il calcolo del valore attuale (coefficiente
economico negativo! In tal modo dovreb- di capitalizzazione) e per la numerosità
be derivarne uno stimolo forte al mana- relativa. Nel nostro esempio, per i diri-
gement a provvedere o andarsene; evi- genti dal 1999 al 2000 la differenza di
tando i periodi lunghi di difficoltà cre- costo è stata di milioni/anno 264,56 –
scenti che non di rado si osservano prima 259,6 = 4,96, sempre per r = 91,51%
che il management venga sostituito (la (quello dell’anno precedente), per il coef-
cosiddetta sindrome del rospo di alcuni stu- ficiente 9,5867. Risulta 2,061 e quindi
diosi anglosassoni). per 36 dirigenti 1,383 miliardi di lire.
Analogamente, l’effetto delle nuove assun-
zioni si può stimare moltiplicando il
Vantaggi e applicazione del numero dei nuovi assunti per il loro “valo-
sistema di valutazione proposto re” (costo × redditività dell’anno × coef-
ficiente di capitalizzazione). Risulta nel-
In primo luogo, il sistema può essere age- l’esempio per i dirigenti 0,020 mld di lire.
volmente integrato con i consueti siste- Invece, per le riduzioni di organico (usci-
mi di analisi con costi assai ridotti. Se si te) si moltiplicherà il numero per il valo-
dispone delle valutazioni EVA, stabilite re dell’anno precedente (costo × reddi-
le categorie di dipendenti per cui si vuole tività × coefficiente di capitalizzazione).
effettuare l’analisi, basta determinare: Nell’esempio risulta per i dirigenti –0,09
Ω il costo medio annuo, miliardi di lire.
Ω l’età media, Infine, l’effetto delle variazioni dell’età
media, e quindi della durata di disponi-
parametri che la Direzione del persona- bilità delle risorse umane sino al pensio-
le può ottenere abbastanza agevolmente namento, si può stimare moltiplicando il
dalla sua documentazione, ormai auto- valore delle risorse umane disponibili (n.
matizzata in quasi tutte le aziende. × costo × redditività ) per la numerosità
Ma il vantaggio fondamentale del siste- relativa e per la differenza dei coefficienti
ma è che consente di analizzare rapida- di capitalizzazione degli anni a confron-
mente le variazioni dovute a modifiche to. Nell’esempio, l’“effetto invecchia-
dei livelli retributivi, alle nuove assun- mento” per i dirigenti risulta -6,743
zioni, alle dismissioni, ai cambiamenti miliardi di lire, e questa è la stima della
dell’età media (e cioè gli effetti di politi- riduzione del patrimonio umano che ne
che di invecchiamento o ringiovanimen- risulta.
to dell’organico). È bene ricordare che, soprattutto a causa
L’effetto della variazione dei livelli retribu- delle complesse interazioni fra i diversi
tivi si può valutare moltiplicando la dif- parametri (costo unitario, redditività, tas-
Il gruppo Natuzzi
Il gruppo Natuzzi è articolato in dieci società industriali (tre
all’estero: Brasile, Cina, Romania), interamente con-
trollate, che producono e distribuiscono divani e pol-
trone e loro componenti (pelli e imbottiture) e più recen-
temente accessori di arredamento (tavolini, lampade, tap-
peti, ecc.). Vende in oltre cento paesi, dove è la marca lea-
der: le esportazioni sono il 90%. Il fatturato 2001 è stato
di 1522 miliardi di lire (circa 800 milioni di euro) con
profitti netti di 146 miliardi (circa 75 milioni di euro).
Sotto la guida del fondatore Pasquale Natuzzi, che con
la famiglia ne ha il controllo anche dopo la quotazio-
ne al New York Stock Exchange, si è sviluppato da picco-
la impresa artigianale a gruppo che nel 2002 supererà i
5000 dipendenti.
Ricerca sul valore del Patrimonio Umano Natuzzi Stima redditività con medie mobili triennali
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
totale attività mld. 471 548 661 812 874 937 979 1388
total assets
fatturato mld. lire 691 839 855 1063 1066 1092 1333 1522
sales
capitale proprio mld. lire 258 352 466 605 657 732 710 832
equity
totale passività mld.lire 213 196 195 207 217 205 268 556
liabilities
margine operativo mld. lire 95 108 100 136 170 231 245 198
utile esercizio mld. lire 77 96 117 104 139 160 153 146
profit/loss
ROE 29,84% 27,27% 25,11% 17,19% 21,16% 21,86% 21,55% 17,55%
stima EVA mld. lire 53 59 41 63 91 147 157 73
(marg.op.-9% tot.att.)
costo dipendenti mld. lire 0 117 145 152 160 194 217
cost of personnel mln. euro
n. totale dipendenti 0 2631 3045 3452 3363 3492 3700 4643
n.employees
% EVA su costo dipendenti= r 34,57% 43,25% 60,27% 91,51% 80,87% 33,68%
PIETRO GENNARO ha insegnato Arte e Scienza del Negoziato all’Università di Pavia e all’ISTUD di Stresa. Attualmente svolge attività di
consulenza aziendale.