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Circa tre mesi fa ho concluso il corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione per 

i Media e le Istituzioni all'Università di Palermo. 

Le domande che amici e conoscenti mi fanno più di frequente su questo corso riguardano le 
materie e gli esami che si devono superare. Cioè, cosa si studia nei corsi di Scienze della 
Comunicazione? Quali sono le materie più importanti? 

La risposta a questa domanda non è immediata, almeno per due motivi. In primo luogo, 
bisogna considerare la grande diversità di approcci che esistono in questo campo di studi. 
L'interdisciplinarietà è una caratteristica fondante degli studi sulla comunicazione. In 
secondo luogo, i corsi di studio presentano differenze rilevanti nell'impostazione didattica, 
sia all'interno del contesto italiano che all'estero. Per esempio, negli Stati Uniti lo studio della 
comunicazione viene spesso inserito all'interno dei corsi di giornalismo e di arti 
performative, mentre in Italia le scienze della comunicazione si sono costituite sotto la guida 
delle più mature scienze sociali. 

Concentrandomi sul contesto italiano e sui corsi di laurea triennali, con l'aiuto del prof. 
Mauro Ferrante, docente di Statistica sociale presso l'Università di Palermo, ho fatto una 
ricerca su questo tema. Questa ricerca, di cui presenterò i risultati qui, è certamente 
incompleta e scarsamente significativa dal punto di vista statistico, ma potrebbe essere in 
futuro un punto di partenza per un eventuale approfondimento. 

Credo che fare chiarezza sui saperi di base dei corsi di comunicazione sia un tema urgente 
per chiunque si interessi a questo ambito. Se le Scienze della Comunicazione vogliono 
continuare in modo proficuo il loro percorso di legittimazione all'interno del mondo 
accademico e del mercato lavorativo, è necessario stabilire con precisione quali sono le 
conoscenze fondanti di questo campo. Solo in questo modo sarà possibile avviare un 
dibattito serio su cosa sia necessario includere, escludere, ridurre e potenziare dai curriculum 
didattici e risolvere alcuni dubbi nelle scelte di orientamento, professionale e accademico, 
degli studenti. Sino a questo momento abbiamo giocato in un terreno dai confini incerti, ora 
è arrivato il momento di marcare le linee del nostro campo. 

Parametri presi in considerazione 

Chiaramente, il punto di partenza della ricerca è consistito nel decidere che tipo di dati 
raccogliere. Visto che parliamo di piani didattici, le unità di base sono le materie. Ad ogni 
materia sono associate una serie di informazioni: 

● Denominazione dell'insegnamento 
● Numero di CFU (Crediti Formativi Universitari) 
● TAF (Tipologia Attività Formativa) 
● ssd (settore scientifico-disciplinare) 

Oltre a questo, ho ritenuto utile riportare se l'insegnamento fosse opzionale o obbligatorio 


per lo studente. Con questa informazione ho voluto verificare se alcune università diano più 
libertà agli studenti nel formare i loro piani di studio rispetto ad altre. 

Al contrario di quanto si potrebbe intuitivamente pensare, la denominazione non è stata 


utile per rilevare la ricorrenza di insegnamenti simili. La maggior parte delle denominazioni 
che ho raccolto non ricorrevano più di una volta. 

Due parametri più utili da questo punto di vista sono stati la tipologia di attività formativa e 
il settore scientifico-disciplinare. 

Nel sistema universitario italiano si distinguono sei tipi di attività formative: le attività di 
base, le attività caratterizzanti, le attività affini, le attività a scelta dello studente, la prova 
finale e le altre attività formative. Nell'ultima categoria ricadono ad esempio i laboratori e gli 
stage. Le attività formative di base non sono presenti nei corsi di laurea magistrali, dato che 
devono essere completate durante i corsi triennali. Nei piani didattici ad ogni tipo di attività 
è associata una lettera, come mostrato nella tabella sotto. 

I settori scientifico-disciplinari rappresentano le categorie dentro cui le materie vengono 


inserite in base all'area disciplinare di provenienza. Per esempio, gli insegnamenti 
"Comunicazione digitale", "Data Analytics" e "Tecnologia dell’elaborazione multimediale e 
dei linguaggi visuali" fanno tutti riferimento allo stesso ssd, ING-INF/05. Questo parametro 
sembra essere il più affidabile per determinare la rilevanza delle diverse aree disciplinari nei 
piani di studio. 
La normativa sull'autonomia didattica degli atenei 

Come ho detto all'inizio, i corsi di studio possono presentare differenze importanti 


nell'impostazione didattica. Ciò è dovuto al fatto che il Ministero dell'Istruzione concede una 
certa discrezione alle singole università nell'impostazione dei loro corsi di studio. Nel diritto 
questa facoltà di scelta viene definita come "autonomia didattica degli atenei". Conoscere la 
normativa sull'autonomia didattica degli atenei è importante per capire quali indicazioni 
sono date al livello statale per l'impostazione generale dei corsi di laurea in Scienze della 
Comunicazione. 

L'ultimo decreto ministeriale a cui facciamo riferimento su questo tema è quello del 16 
Marzo 2007. Questo decreto è particolarmente importante perché è quello in cui vengono 
stabilite le classi di laurea attualmente esistenti. Le classi di laurea dei corsi di Comunicazione 
sono tre: una triennale e due magistrali. 

● (L-20) Scienze della Comunicazione 


● (LM-59) Scienze della Comunicazione pubblica, d'impresa e pubblicità 
● (LM-92) Teorie della Comunicazione 

Nell'allegato 1 del decreto citato sopra, quello inerente alle classi di laurea triennali, vengono 
stabiliti gli "​obiettivi formativi qualificanti​" e le "​attività formative indispensabili​" per la 
classe di laurea L-20. Per queste attività formative indispensabili il Ministero dell'Istruzione 
indica una serie di settori scientifico disciplinari che devono essere presenti con almeno 36 
CFU per le attività di base e con almeno 54 CFU per le attività caratterizzanti, per un totale 
di 90 CFU. Considerando che i piani didattici dei corsi di laurea triennali hanno un peso di 
180 CFU, il Ministero dà la libertà di scegliere ai singoli atenei quali settori 
scientifico-disciplinari considerare per la metà restante dei crediti formativi universitari. E' 
importante notare che nel decreto vengono date indicazioni solo sulle attività di base e 
caratterizzanti, lasciando piena autonomia agli atenei sugli altri tipi di attività. 

Nell'immagine riportata in basso osserviamo che, per alle attività formative di base della 
triennale in Scienze della Comunicazione, sono associati due ambiti disciplinari: quello delle 
discipline semiotiche, linguistiche e informatiche​ e quello delle d​ iscipline sociali e 
mediologiche​. In base alla loro autonomia didattica le università non sono tenute a includere 
tutti gli ssd elencati sulla destra dell'immagine, ma la cosa necessaria è che almeno 36 CFU 
delle attività formative di base facciano riferimento a una selezione di questi settori 
disciplinari. Quando gli atenei scelgono ssd diversi a partire da questo "paniere" emergono le 
differenze fra le attività di base dei corsi. 

 
Incompletezza della ricerca 

Secondo i dati di Universitaly, portale di orientamento del MIUR, i corsi di laurea in Scienze 
della Comunicazione, sia triennali che magistrali, sono attualmente 96. Di questi 96 corsi ne 
ho selezionati 10, tutti triennali, di cui ho raccolto informazioni sulle offerte formative. Il 
criterio di scelta si è basato essenzialmente su due fattori: la distribuzione geografica e la 
completezza dei dati messi a disposizione dalle università. 

In molti casi infatti i dati sulla tipologia di attività formativa non erano reperibili, in altri 
l'utilizzo delle tecniche di web scraping era difficile perché i dati erano poco accessibili o mal 
strutturati (per esempio in mancanza del tag <table> per l'estrazione di tabelle). 

A causa dei tempi ristretti e della mancanza di conoscenze approfondite su argomenti come 
il campionamento e l'estrazione di dati, la ricerca è rimasta incompleta e non rappresentativa 
della totalità dei corsi di laurea italiani di Comunicazione. Rimane utile comunque 
presentare questi risultati, seppur parziali, per mostrare i settori scientifico-disciplinari che 
hanno più peso e le differenze nella composizione didattica di questi corsi. 

I risultati sulle attività di base 

Arriviamo quindi ai risultati sulle attività di base. Dopo la fase della raccolta dei dati, il 
procedimento che è stato alla base dell'analisi dei dati è stato il seguente: 

Isolando le attività formative di base (TAF A) dei piani didattici raccolti 


possiamo individuare i settori scientifico-disciplinari (ssd) che ne sono inclusi e 
possiamo capire il loro peso in base ai crediti formativi universitari (CFU) che 
gli sono stati assegnati 

Un puro esempio di statistica descrittiva quindi, per cui si raccolgono dei dati, si analizzano e 
si rappresentano graficamente in modo tale da ricavarne informazioni utili (in inglese queste 
informazioni verrebbero definite come i​ nsights)​ . 

In base al procedimento dichiarato prima è stato possibile individuare i settori disciplinari 


maggiormente presenti tra le attività di base dei dieci corsi di laurea precedentemente 
selezionati. Possiamo considerare quindi i primi cinque: ​SPS/08​ (Sociologia dei processi 
culturali e comunicativi), L
​ -LIN/01​ (Glottologia e linguistica), M
​ -FIL/05​ (Filosofia e teoria 
dei linguaggi), L
​ -LIN/12​ (Lingua e traduzione - lingua inglese), I​ NF/01​ (Informatica). 
Questi cinque ssd provengono da quattro aree disciplinari diverse: 

1. Area 01 - Scienze matematiche e informatiche (per INF/01) 


2. Area 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche (per 
L-LIN/01 e L-LIN/12) 
3. Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (per M-FIL/05) 
4. Area 14 - Scienze politiche e sociali (per SPS/08) 

Passando dal dato generale ai casi particolari, possiamo vedere come le singole università si 
comportino diversamente nella selezione delle attività di base. Non solo gli ssd scelti sono 
diversi, ma variano anche nella quantità. Se per esempio, come riportato in basso, 
l'università Bicocca di Milano concentra su quattro ssd le attività di base, l'università 
Sapienza di Roma le diversifica selezionandone sei. 
La distribuzione degli CFU 

Le università, come abbiamo visto prima, hanno a disposizione una certa libertà di scelta 
nella scelta delle materie da inserire nei corsi di studio e nel peso da attribuirgli attraverso i 
crediti formativi. Osservando la distribuzione degli CFU per i vari gruppi di attività 
formative emergono altri dati interessanti. 

Anche qui sono evidenti le differenze fra i vari piani didattici. L'università di Cagliari dedica 
la maggior parte degli cfu alle attività di base, mentre Bergamo alle attività caratterizzanti. Le 
"altre attività formative", che solitamente corrispondono a laboratori, hanno molto peso nel 
corso della Bicocca di Milano, a discapito delle TAF-A e B. Con questa informazione si 
potrebbe ipotizzare che questo corso miri ad avere un approccio più pratico rispetto agli 
altri. 
La quantità delle materie opzionali 

Un discorso a parte va fatto per le materie opzionali, dato che sono le materie che 
permettono, assieme a quelle a scelta. allo studente di "personalizzare" il proprio piano di 
studi sulla base dei propri interessi formativi. Le materie opzionali non vanno confuse con le 
materie a scelta (TAF-D), ma in questo caso abbiamo deciso di raggrupparle per capire quali 
atenei dessero più libertà di selezione agli studenti. 

Dal grafico in basso salta subito all'occhio il dato sul corso di Bologna, dove vengono messi a 
disposizione più di 300 crediti formativi per questo tipo di materie. Al contrario l'università 
Sapienza di Roma ne dedica solamente 12. 
Conclusioni 

Con questa breve analisi abbiamo osservato, in modo panoramico, la discrezionalità dei 
singoli atenei nella scelta dei settori scientifico-disciplinari, nel peso che viene assegnato a 
questi e alle tipologie di attività formative e nella presenza delle materie opzionali. Abbiamo 
inoltre individuato gli ssd più ricorrenti tra le attività di base per cercare di capire quali 
fossero gli ambiti disciplinari considerati come "fondanti" nei singoli piani di studio. I dati, 
seppur parziali, hanno confermato la tesi che l'interdisciplinarietà sia una caratteristica 
fondante dei corsi in Scienze della Comunicazione e hanno mostrato gli effetti 
dell'autonomia didattica degli atenei dichiarata nei decreti legislativi. 

Chiaramente questa ricerca presenta molti spunti di approfondimento. Sarebbe necessario 


integrare i dati sulle altri piani di studio, oppure si potrebbe analizzare in dettaglio la 
composizione accademica di alcuni corsi relazionandola agli obiettivi dichiarati nelle offerte 
formative, alla soddisfazione degli studenti o all'efficacia esterna degli stessi corsi. 

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