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LAVORO E AUTOMAZIONE
ITALIA
POTENZIALITÀ, LIMITI E
GOVERNO NUOVO, POLITICA TECNOUTOPIE DELL’INTELLIGENZA
VECCHIA ARTIFICIALE
ALFONSO GIANNI 23 BENEDETTO VECCHI 97
L’IMPATTO DELL’INTELLIGENZA
LOTTE ED ESPERIENZE ARTIFICIALE SU SOCIETÀ E
OCCUPAZIONE
LA CROCIATA CONTRO LE FRANCESCO GARIBALDO 109
ORGANIZZAZIONI NON
GOVERNATIVE DONNE E LAVORO DIGITALE:
RAFFAELLA BOLINI 41 TRANSIZIONI FEMMINISTE
BIANCA POMERANZI 117
CASSANDRE E GUASTATORI.
CRONACHE DELL’ABITARE NELLA DENSITÀ ROBOTICA E
CAPITALE DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA.
FABRIZIO NIZI 52 UNA CORRELAZIONE REALE O
IMMAGINARIA?
CON ANTIGONE CONTRO CREONTE: RICCARDO CAMPA 125
UN’AUTONOMIA ALL’ALTEZZA DEI LAVORO
DOVERI INDEROGABILI.
LAURA RONCHETTI 60 COMMERCIO E MONETA
SAGGI RECENSIONE
ORDO-LIBERALISMO E ORDO-
MACCHINISMO: L’ECLISSI DELLA
DEMOCRAZIA E DELLA GIUSTIZIA
SOCIALE*
LELIO DEMICHELIS 189
Per un banale errore redazionale sono saltate due righe conclusive dell’articolo Le
nuove mobilitazioni dei lavoratori nel capitalismo digitale di Loris Caruso, Ric-
cardo Chesta e Lorenzo Cini, pubblicato nello scorso numero (54) della presente
rivista. Pertanto l’articolo chiude a pagina 178 con la seguente frase:
In questo senso, le lotte dei ciclo-fattorini e dei drivers sono anche ‘lotte per il
riconoscimento’: della propria individualità e dell’essere parte di un gruppo so-
ciale, della concretezza e della fisicità del proprio lavoro, della condizione reale
contrapposta al discorso aziendale.
L
e oscene convulsioni della politique politicienne in tutto il corso della crisi di
governo e della sua conclusione nel nostro paese propongono domande che
la sormontano e che interrogano la politica e il destino delle soggettività cri-
tiche in Italia e in Europa. Ci viene in soccorso la metafora del dito e della luna.
Il dito racchiude, in poche settimane, sul terreno della politica istituzionale, le
ultime manifestazioni della devastazione che essa è venuta accumulando in un
intero ciclo politico. Le forme politiche istituzionali si sono esaurite in quelle,
senza che sia stato possibile rintracciare un solo segno della volontà e della ca-
pacità da parte loro di sottrarsi al carattere miserabile che queste sono venute
assumendo. La sola volontà politica espressa è stata quella di rimanere sulla
giostra, la giostra del governo. I sedili a cui legarsi possono cambiare, ci si può
sedere disinvoltamente su quello rifiutato nel giro precedente anche con gran
dispetto. L’importante è solo che la giostra continui a girare e tu su di essa. Si
certifica così la fine dell’autonomia della politica, dunque, della morte della po-
litica come si è conosciuta nel 900 e, in Europa, come è vissuta nel tempo delle
costituzioni democratiche, dopo la vittoria contro il nazifascismo, il protagoni-
smo politico del conflitto di classe, l’irruzione delle masse sulla scena sociale e
politica fino a segnare di sé la stessa democrazia rappresentativa. Abbiamo vi-
sto ora da vicino le convulsioni, francamente inguardabili, di questa agonia. Ma
l’oscenità del dito non pregiudica il suo indicare la luna e, quindi, la necessità
di attrezzare lo sguardo a questo fine. È il compito delle forze critiche, di tutte
le forze critiche, pur nella loro diversa natura e dovunque collocate nell’espe-
rienza sociale e nella ricerca. La crisi, nella quale da noi si è prodotta la morte
della politica, si rivela allora una vera e propria crisi di società; in Europa e in
Occidente, una crisi di civiltà.
Se si pensa, come credo, che essa sia generata dalla connessione tra la sconfitta
storica del movimento operaio del 900, che ha portato alla sua fine, e l’avvento
di una nuova forma di capitalismo, il capitalismo finanziario globale, che ha già
rivelato la sua incompatibilità con la democrazia, allora, se così si pensa, il pro-
blema della rifondazione, meglio e più radicalmente della ri-nascita del campo
dell’antagonismo, prende una curvatura che la porta lontano, più precisamente
fuori e altrove dalla politique politicienne ma anche, qui e ora, dalla politica
istituzionale. Se il capitalismo torna a essere il problema (ce lo dice la realtà dei
fatti, ma anche ormai tanta parte della ricerca e della letteratura economica,
sociale, politica e culturale), torna anche chi, più di ogni altro, lo ha affrontato,
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L’EDITORIALE O FAUSTO BERTINOTTI
Karl Marx. La mia generazione politica ha imparato nei movimenti, come dai
marxismi che sono stati definiti eretici, la necessità di andare oltre Marx. Il
movimento delle donne, quello ecologista e quello pacifista lo hanno proposto
ben al di là della formula. Oltre, ma non senza. Senza sapere fare vivere una
critica radicale, cioè proprio in radice, del capitalismo del proprio tempo, senza
l’autonomia che si costruisce nella critica pratica e teorica di esso, la politica,
e con essa ciò che si è chiamato Sinistra, in Europa, muore. Prima la politi-
ca, consegnandosi alla compatibilità col sistema, si separa dalla società, dalla
vita delle persone e dalle classi subalterne; poi le istituzioni rappresentative
e la democrazia rappresentativa si separano dal popolo e cercano una diver-
sa legittimazione nella governabilità; infine il governo diventa l’alfa e l’omega
della politica e sequestra dentro di sé, dentro il suo orizzonte, le dinamiche
delle forze politiche in campo. Questo processo non è altro dalla formazione
del senso comune. La destrutturazione dei soggetti sociali, a partire dalla classe
operaia, è l’esito provvisorio di un processo la cui componente strutturale, la
mutazione del lavoro e del processo produttivo, si combina con quella sociale,
il rovesciamento del conflitto di classe, con una componente ideologica e cultu-
rale, l’insostituibilità del capitalismo, il primato del mercato, l’individualismo
competitivo e mercantilista. Quella che è stata chiamata la biopolitica, la presa
potente sulla vita da parte del meccanismo socio-economico, colpisce a fondo
l’autonomia dei soggetti e della politica. Si pongono così le basi delle politi-
che securitarie e di paura-avversione nei confronti del diverso, massime del
migrante. L’onda che ha alimentato il populismo reazionario cresce su questa
spinta potente - altro che su qualche tattica parlamentare - e può essere scon-
fitta rovesciando quella spinta - altro che con qualche manovra sugli assetti di
un qualche governo. Ma il governo è l’ultima spiaggia di una politica deprivata
di ogni alternativa di società e di ogni autonomia rispetto alle compatibilità col
funzionamento della macchina. Il governo è ciò che resta ai nullatenenti della
politica, perciò, di fatto, viene assunto come valore in sé.
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L’EDITORIALE O FAUSTO BERTINOTTI
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ITALIA
L
a perdurante instabilità del quadro politico italiano questa volta è davvero
tracimata. E’ successo persino quando di solito il generale Agosto mette
a tacere liti e spegne le ansie. Ma non si può certo dire che sia stata una
sorpresa assoluta. Da diverse settimane era chiaro ai più che, malgrado tutti gli
equilibrismi pensabili e fattibili, la vita della maggioranza pentaleghista era le-
gata a un filo. Talmente esile, per quanto resistente, da potersi spezzare in qual-
sivoglia momento. Le vere cause e gli agenti autentici di questa rottura sono
però diversi e con gradi differenziati di responsabilità. Sarebbe bene cercare
di evitare letture semplicistiche, perché un’analisi sbagliata su questo punto
offusca poi la capacità di vedere e comprendere quello che è in divenire. Come
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ITALIA O ALFONSO GIANNI
ad esempio ritenere che la caduta del governo sia stata causata solamente dalle
più o meno oscure macchinazioni dei centri di potere economico, finanziario
e politico dell’Unione europea. O, al converso attribuirla solo ad un clamoro-
so autogol compiuto da Salvini. Entrambi questi due elementi, di ben diverso
peso tra loro, entrano a pieno titolo nella vicenda, colgono degli aspetti della
realtà, o meglio ne fanno parte, ma né l’uno né l’altro forniscono spiegazioni
sufficienti. Oltretutto la tesi del complotto europeo è perfettamente funzionale
a vittimizzare la figura di Salvini, e difatti viene direttamente da quest’ultimo
usata a questo fine. Nello stesso tempo quella dell’autoaffondamento del mini-
stro della malavita finisce per velare i movimenti reali che hanno agito a livello
economico e politico, interni ed esterni al nostro paese.
Mentre i sondaggi portavano sempre più in alto il gradimento verso la Lega
e il suo leader, ampliando enormemente la forbice con un declinante Movi-
mento 5 stelle, al punto che i rapporti tra le due forze risultavano più che rove-
sciati rispetto agli assetti sanciti dal voto politico del 4 marzo 2018 e operanti
in Parlamento, settori che contano delle classi e dei ceti dominanti nel nostro
paese, di cui pare ormai superfluo sottolineare in una economia integrata i le-
gami internazionali a livello europeo e non solo, cominciavano a manifestare in
modo abbastanza visibile segnali di insofferenza verso le scelte e le non scelte di
questo governo, nonché verso i comportamenti di alcuni suoi rappresentanti,
primo fra tutti Salvini, anche perché fino ad allora era veramente lui il deus ex
machina di maggioranza e governo.
L’assemblea di Bankitalia
Nel tradizionale appuntamento dell’ultimo giorno di maggio, Il Governatore
di Bankitalia, Ignazio Visco, imprime alle sue Considerazioni finali, nelle ulti-
missime righe, un tono aulico e drammatico, per la verità non molto consono
al personaggio (www.bancaditalia.it› pubblicazioni› interventi-governatore›
integov2019). Due citazioni fra loro concettualmente combinate chiudono l’e-
sposizione del Governatore: “le parole sono azioni” e “nell’oscurità le parole
pesano il doppio”. La prima appartiene a Ludwig Wittgeinstein, la seconda a
Elias Canetti, anche se Visco non cita i due autori forse per mettere alla prova le
conoscenze altrui e creare così un po’ di pathos. Non è solo un vezzo intellettua-
le. E’ come se l’uomo volesse sollevarsi dalla triste e arida sequela di dati di cui
è infittita la Relazione annuale che misurano inesorabilmente il declino econo-
mico e sociale del nostro paese. E porsi su un piano più elevato. Al contempo il
monito per cui “saremmo stati più poveri senza l’Europa; lo diventeremmo se
dovessimo farne un avversario” chiarisce che il senso di quelle citazioni costi-
tuisce un richiamo educato ma fermo alle troppo facili e roboanti esternazioni
dei due vicepremier, in particolare di Salvini, che da sole hanno il potere di
innervosire i mercati, come si usa dire, con conseguenze reali e negative sull’an-
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Parlamento - che aveva votato quelle norme a colpi di voto di fiducia e che si
trovava di fronte alla possibilità persino di essere sciolto se non si fosse risolta
positivamente la crisi di governo - come un messaggio ai giudici di usare pon-
derazione e buon senso nell’interpretare e applicare le norme del decreto data
l’enormità del tutto ingiustificata delle misure punitive in esso contenute. «Tale
scelta legislativa - scrive a chiare lettere il Presidente - impedisce al giudice di
valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere» e tale osserva-
zione può benissimo essere interpretata come un implicito invito ai giudici a
ricorrere alla Corte Costituzionale. Vedremo nelle prossime settimane come si
comporterà la nuova maggioranza nei confronti di questi decreti e se si arriverà
alla loro sostanziale abrogazione, oppure al semplice recepimento delle osser-
vazioni presidenziali.
Nella tarda primavera si è così venuto delineando con maggiore determina-
zione un fronte che si potrebbe chiamare classicamente borghese, tramite una
triangolazione che si appoggia su Confindustria, Bankitalia e ha come sponda
istituzionale lo stesso Quirinale. Quello che resta della classe imprenditoriale
italiana avverte con sempre maggiore fastidio l’assenza di un punto di riferi-
mento politico, chiamarlo rappresentanza politica è forse eccessivo, anche per-
ché, visto l’andamento peggio che deludente dell’economia italiana, comincia a
rendersi conto che forse il solo “pilota automatico” non è in grado di traghettare
il paese fuori dalla palude in cui è finito.
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colme di BoT e di BTp. Secondo Bankitalia detengono una quantità pari a 401
miliardi di titoli nazionali, un record europeo nel possesso di titoli domestici.
Secondo Moody,s già da qualche mese i titoli nazionali occupano il 10,7% degli
attivi totali delle banche italiane, mentre per le spagnole tale valore è del 7,6%,
per le tedesche il 2%, per le francesi l’1,8%. Questo fa sì che le banche italiane
entrano in sofferenza più di altre appena i titoli di stato fanno i capricci, cioè
quando il loro prezzo scende e i loro rendimenti salgono. Il calo dello spread
permette alle banche anche di emettere obbligazioni a tassi più contenuti, come
sta avvenendo proprio in questi giorni, rafforzandosi ulteriormente. Ma tutto
ciò, come ormai s’è capito da tempo, non varca i confini dei forzieri e degli spor-
telli bancari. Questi benefici, a meno che non siano veramente di lunga durata,
e questo per ora non è prevedibile, non giungono ai cittadini e alle imprese,
non toccano l’economia reale. La semplice disponibilità di denaro non risolve
il problema se non vi è una politica economica e industriale accorta che sappia
come spenderlo. Anzi può costituire una trappola, come ci insegna Keynes.
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industriali nei confronti dei bassi salari. La sua richiesta, anche in vista delle
rivendicazioni retributive già prospettate da metalmeccanici e alimentaristi, è
che l’innalzamento del potere d’acquisto delle classi lavoratrici non assottigli
margini di profitto delle imprese, ma venga scaricato sulla fiscalità generale.
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co in tutte le interviste rilasciate dopo la nomina. Anche qui in linea con il suo
predecessore alla guida del prestigioso ministero. E’ un azzardo e forse anche
un atto di presunzione puntare tutto su nuove tranche di flessibilità che si spera
possano provenire dalla Ue.
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ITALIA O ALFONSO GIANNI
Tutto bene, quindi? No, per una serie di motivi, tra i quali il primo è proprio
l’irragionevolezza della modifica costituzionale che si vuole attuare. Diversi co-
stituzionalisti, fra cui Stefano Rodotà, fin dai lavori della Commissione bica-
merale Bozzi (1983-1985) - che però poi adottò a maggioranza una soluzione
diversa di cui comunque non si fece niente – hanno proposto di passare da
un sistema bicamerale “perfetto” ad uno monocamerale. Il disegno di legge di
revisione costituzionale attuale, che ha già ricevuto tre voti favorevoli in Parla-
mento con la precedente maggioranza, prevede la permanenza di due camere
con le stesse funzioni. Tanto più che si prospetta anche l’abbassamento dell’età
dei votanti e degli eletti per il Senato uniformandola a quella per la Camera.
Nel primo caso si avrebbe avuto un effettivo snellimento nel processo legisla-
tivo, evitando inutili “navette” tra Camera e Senato e il rischio di maggioranze
disomogenee o di diversa consistenza, rendendo ancora più autorevole e cen-
trale il ruolo del Parlamento, proprio perché uno e non bino. Nel secondo caso
l’unica motivazione è quella del risparmio per il bilancio statale, cosa che non
c’entra niente con l’efficientizzazione della democrazia, anzi la offende. Quindi
non vi è alcuna fretta, a differenza da quanto dichiarato da Conte, perché l’i-
ter della modifica costituzionale si concluda quanto prima con il quarto voto
della Camera. Se non per il fatto che l’eventuale referendum confermativo e
le stesse norme contenute del testo di revisione costituzionale procurerebbero
diversi mesi di vita garantiti all’attuale legislatura. Ma è sempre un grave errore
mascherare con modifiche costituzionali quelle che sono esigenze e obiettivi
politici.
Ma i problemi non si fermano qui. Non è un mistero che dietro al program-
ma ufficiale in 29 punti del governo, esiste un accordo tra M5stelle e Pd per
un’ulteriore miniriforma della Costituzione. La novità più importante sarebbe
l’istituzione della cosiddetta sfiducia costruttiva, ovvero della necessità quando
viene tolta la fiducia a un governo di avere una maggioranza già pronta a sosti-
tuirlo. Ci si ispira al modello tedesco. Ma quest’ultimo ha una diversa impalca-
tura istituzionale. Infatti prevede che il Cancelliere venga eletto direttamente
dal Bundestag, quindi si può capire che il Parlamento avendo eletto il capo
del governo, per sostituirlo ne debba presentare un altro. Vi è anche l’esempio
spagnolo, ma, a parte il fatto che lì siamo di fronte a una monarchia, l’impasse
nel quale si trova il paese iberico da diversi mesi, dimostra ancora una volta che
le soluzioni istituzionali non possono cavare le castagne dal fuoco alla politica.
Nella nostra Costituzione le cose funzionano diversamente. E’ il Capo dello Sta-
to a conferire l’incarico al futuro Presidente del Consiglio il quale si presenta
per la fiducia alle Camere solo dopo avere costituito il governo e giurato davanti
al Presidente della Repubblica. Nel nostro caso la sfiducia costruttiva servireb-
be soltanto a inibire per l’opposizione la possibilità di sconfiggere la maggio-
ranza. Non solo ma si potrebbe verificare il caso per cui un governo che non ha
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alternative per il socialismo O 55
La scissione di Renzi
Nel frattempo è apparso un nuovo soggetto politico, l’Italia Viva di Matteo
Renzi, prodotto da una scissione più che prevedibile. Avevamo scritto all’inizio
della legislatura che qualunque passo il Pd avesse fatto in direzione del M5Stel-
le o comunque qualunque diversivo tattico avesse inventato che lo avesse smos-
so dall’immobilità assoluta, avrebbe comportato il prezzo di una scissione se
non di una deflagrazione. E’ quanto è avvenuto, anche se con modalità par-
ticolari. E’ stato infatti indubbiamente Matteo Renzi a sdoganare, lui che era
sempre stato così ferocemente contrario, l’alleanza fra Pd e 5Stelle e ora sono
più chiari i motivi di quella conversione. Matteo Renzi coltivava da tempo l’idea
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ITALIA O ALFONSO GIANNI
di una scissione. Per farla aveva bisogno però che il quadro non precipitasse
verso le elezioni anticipate e che nello stesso tempo il Pd si contaminasse con i
5stelle pagandone il prezzo di fibrillazioni interne. A quel punto bastava spin-
gere, come si suol dire. E Renzi lo ha fatto in modo spregiudicato ma non del
tutto azzardato. I sondaggi sono saliti in pochi giorni da un 3,4 iniziale a oltre
il 6%. La nuova formazione pesca da più parti, e anche questo è indicativo del
ruolo che si appresta a giocare. Secondo l’ultimo sondaggio di cui disponiamo
(Winpoll-Sole24Ore 22.09.2019) Italia Viva succhierebbe consensi per 1,8%
da +Europa, per l’1,6% dal Pd e per l’1,5% da Forza Italia. Altri sondaggi for-
niscono dati diversi e dimostrano la difficoltà di testare un nuovo fenomeno
in rapidissima evoluzione, E’ comunque evidente l’intenzione di ricostruire un
centro politico che per rafforzarsi ha per ora tutto l’interesse che il governo
regga, nello stesso tempo potendo porre in atto nei suoi confronti tutte le forme
di ricatto possibile e che il Pd abbia la peggio nella relazione certamente non
idilliaca con il M5S Tatticamente una condizione favorevole.
Ma il suo vero punto di forza risiede proprio in quella insoddisfazione delle
classi e dei ceti dominanti nei confronti del precedente governo e nella loro
necessità di costruirsi un referente politico più affidabile di quanto non sia
uno sbiadito Pd in cerca di identità e un M5stelle eterodiretto dal duo Grillo-
Casaleggio. Del resto le dichiarazioni di Renzi alla vigilia dello strappo sono
chiarissime rispetto alla sua collocazione politico-sociale “Serve un partito del
Pil, probusiness e procrescita, un partito che porti alta la bandiera delle riforme
e che guardi ai tanti moderati che non vogliono seguire Forza Italia nell’ab-
braccio con il sovranista Matteo Salvini. Va benissimo il sostegno al governo
Conte, ma noi non moriremo grillini” (vedi Emilia Patta “Renzi accelera sul
partito: non moriremo grillini” in Il Sole24Ore 14.09.2019). Non è (ancora) un
programma articolato, ma è chiaro e netto, condito nei giorni seguenti dalla
rituale fiducia in un indeterminato futuro, che i suoi seguaci hanno subito mac-
chinalmente ripetuto in una sequela di Tweet.
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alternative per il socialismo O 55
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LOTTE ED ESPERIENZE
LA CROCIATA CONTRO
LE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE
A Est come a Ovest è in atto un restringimento dello spazio civico. E’ uno degli
aspetti principali di quella che gli analisti chiamano postdemocrazia. Tra i
primi a farne le spese sono le forze organizzate della società civile. Quando
parliamo di ong non dobbiamo intendere solo le strutture dedicate alla
cooperazione internazionale, ma, come nel resto del mondo, tale termine va
esteso a tutto l’associazionismo. E’ contro questo che è in atto una crociata per
spegnere ogni tipo di solidarietà. Nell’Europa orientale, come in Polonia e in
Ungheria, ma non solo, sono state varate leggi pesantemente repressive. Ma
anche nell’Europa occidentale, come da noi, non si è scherzato. Emblematica
è la guerra ai migranti e alla solidarietà nei loro confronti. E’ vietato aiutare.
Questo è il senso di molte leggi e provvedimenti recentemente assunti dai
governi orientali e occidentali, particolarmente con l’ondata populista di
destra. Ma gravi sono le responsabilità delle forze socialdemocratiche e della
Ue. Contro questa crociata si sono organizzati nuovi movimenti, di donne, di
giovani, di persone che non hanno saputo disobbedire a ordini e leggi ingiuste
in nome di un diritto superiore. Una parte decisiva della ricostruzione del
senso profondo della politica.
“S
hrinking space” in inglese vuol dire restringimento dello spazio. E’ il
termine che, a livello internazionale, definisce la riduzione dello spazio
di agibilità della società civile democratica e indipendente. E’ un feno-
meno globale che colpisce anche l’Europa, ad est e ad ovest. L’ultimo Rapporto
Civicus Monitor1 sullo stato delle libertà fondamentali nel mondo segnala che
nella Unione europea ben tredici paesi hanno uno spazio civico ristretto. Au-
stria, Italia e Lettonia, che avevano spazi civici aperti, sono stati declassati a
questa categoria nel 2018. Lo spazio dell’Ungheria è ostruito.
La criminalizzazione della solidarietà con i migranti è una delle componenti
essenziali del fenomeno, la più pesantemente agita nel nostro paese negli ul-
timi anni. Ma non è il solo modo in cui l’agibilità delle organizzazioni sociali
viene limitata, anche in Italia. Uno strumento usato in molti paesi è il divieto
https://monitor.civicus.org
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LOTTE ED ESPERIENZE O RAFFAELLA BOLINI
di uso dei fondi internazionali per attività e progetti. Così come azioni meno
eclatanti ma ugualmente efficaci: intoppi ed eccessi burocratici, tasse, divieti,
procedimenti giudiziari. Il tutto accompagnato da campagne diffamatorie get-
tano discredito sugli attori sociali democratici.
Un equivoco linguistico, nel nostro paese, fa spesso apparire vittime di questo
attacco un settore limitato di organizzazioni sociali. In italiano il termine Ong
è usato per identificare le strutture dedicate alla cooperazione internazionale.
Ma Ong vuol dire Organizzazione non governativa, ed è un termine interna-
zionalmente usato per indicare tutto l’associazionismo. E, infatti, l’offensiva in
atto è rivolta contro tutte le strutture di società civile indipendente, formali
ed informali, associazioni, gruppi, movimenti. Solo una piccola parte si salva:
quella che non parla. Quella cioè che si limita a fornire servizi o assistenza sen-
za aprire bocca sull’azione dei governi. In diversi paesi europei la distinzione
fra associazionismo buono e cattivo è diventata legge, in modo da penalizzare
le associazioni considerate “politiche”.
Anche l’Italia ha sperimentato questa tendenza con il “Codice di Condotta”2
di Minniti per le navi umanitarie nel Mediterraneo. Il Codice, nel luglio del
2017, ha pavimentato la strada alla campagna contro i “taxi del mare” di Lega e
5Stelle, culminata nell’approvazione dei due famigerati Decreti sicurezza. Era
mirato proprio a dividere il fronte della solidarietà, isolando le organizzazioni
e le navi che, continuando ad obbedire al diritto internazionale e alla legge del
mare, rifiutavano di omologarsi alla nuova politica italiana.
http://www.interno.gov.it/sites/default/files/codice_condotta_ong.pdf
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alternative per il socialismo O 55
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LOTTE ED ESPERIENZE O RAFFAELLA BOLINI
co: sono paesi dove i corpi intermedi indipendenti sono deboli. Anche laddove,
come in Polonia, alla caduta del regime esisteva un tessuto forte di partecipa-
zione popolare con i comitati civici di Solidarnosc, non è su quella risorsa che si
investe per il futuro. L’associazionismo si struttura nella prima fase della tran-
sizione democratica grazie alle fondazioni Usa che insieme ai fondi esportano
anche il loro modello di terzo settore, puro fornitore di servizi. La società civile
non è autosufficiente, continua ad essere dipendente dai fondi internazionali e
poco radicata a livello popolare. L’attacco contro l’associazionismo ad est dun-
que pare essere destinato a penetrare come un coltello nel burro.
E invece succede qualcosa di inaspettato: la società civile democratica indipen-
dente dell’est resiste, cambia, si rafforza, alza la testa e reagisce. La resistenza
inizia dalle donne, in Polonia. Dal 2016, i continui tentativi del partito di gover-
no PIS “Legge e giustizia” di vietare completamente l’aborto viene contrastato
da un forte, diffuso, radicato movimento delle donne. Organizzato dal basso,
in modo orizzontale e a rete, riesce a fare muro anche contro la forte Chiesa
conservatrice polacca.
Proprio nel 2016 il governo approva una nuova legge anti-terrorismo, che limi-
ta il diritto a manifestare, fornisce le forze dell’ordine di grandi poteri, estende
la possibilità di sorveglianza, perquisizione e di raccolta di informazioni per-
sonali. La legge viene usata contro le attiviste dello Strajk Kobiet, lo “Sciopero
delle donne”, il nome del movimento. Nonostante violenze, minacce e processi,
il movimento resiste, anzi, allarga il suo raggio di azione con la piattaforma
“Polonia per tutti” per la difesa di tutti i diritti civili, sociali e democratici. E ad
oggi, il governo non è riuscito ancora a far approvare il bando totale dell’aborto.
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alternative per il socialismo O 55
annuncia il trasferimento della sede centrale della sua Central European Uni-
versity da Budapest a Vienna.
Con l’entrata in vigore del pacchetto “Stop Soros”, tutte le organizzazioni un-
gheresi, e anche gli attivisti stranieri, coinvolti in assistenza agli immigrati
possono essere accusati di reati penali. Diventa reato anche la distribuzione di
materiali informativi sul tema. Viene istituita una tassa del 25% sui budget di
chiunque sostenga attività legate all’immigrazione.
Le fragili organizzazioni di società civile ungherese si ritrovano al centro della
politica nazionale. Hanno solo due alternative: chinare la testa o ribellarsi. Si
ribellano. Danno vita alla coalizione nazionale “Civilizacio”, scendono in piazza,
si appellano alla Unione europea, all’Onu, all’associazionismo europeo. Dopo la
gigantesca vittoria del partito di governo Fidesz nelle elezioni del 2018, aprono
una riflessione autocritica: Orban ha fatto il pieno di voti nelle zone rurali, e
lì decidono di concentrare il lavoro, uscendo dagli ambienti metropolitani, più
colti e indipendenti. Pochi mesi dopo, non sono più i soli in piazza: lavoratori e
sindacati manifestano per mesi contro la “Legge schiavitù”, che aumenta a 400
le ore annuali di straordinario, dilazionandone il pagamento fino a tre anni.
Nello stesso periodo, il Parlamento approva una legge che mette la magistratu-
ra sotto il controllo del Governo.
Le caratteristiche dell’offensiva contro lo spazio civico democratico in altri
paesi dell’Europa orientale, baltica e balcanica segue con diverse intensità lo
schema ungherese e polacco. La persecuzione si associa, e spesso si confonde,
con l’attacco ai diritti delle donne, dei migranti, degli omosessuali e delle mino-
ranze. L’accusa fondamentale è di essere forze al soldo di interessi stranieri, e di
fare politica invece che assistenza. Il taglio e il controllo dei finanziamenti è lo
strumento per colpire. Nel mirino c’è ovunque anche l’indipendenza della ma-
gistratura. E il giornalismo libero paga altissimi prezzi - anche in vite umane. Il
tutto, mentre in economia il credo liberista non viene intaccato.
Ma, come diversi analisti rilevano, e come l’esempio polacco e ungherese di-
mostra, la guerra ai corpi intermedi della società può essere un boomerang. Le
associazioni prima sconosciute diventano simboli dell’opposizione democrati-
ca, gli attivisti si politicizzano, creano legami internazionali per difendersi e
legami sociali per radicarsi. Significativa, da questo punto di vista, l’elezione a
Presidente in Slovacchia di Zuzana Caputova, avvocata ambientalista e attivi-
sta sociale, eletta sull’onda della grande mobilitazione seguita all’assassinio del
giornalista Jan Kuciak e della sua compagna.
La società civile democratica all’est è sotto pressione ma in movimento. Se gli
illiberali all’est hanno come target principale lo spazio civico, è anche perché è
vivo.
45
LOTTE ED ESPERIENZE O RAFFAELLA BOLINI
La lotta al terrorismo ha fatto fare un ulteriore salto indietro allo spazio pub-
blico democratico in diversi paesi, ed è stato usato per limitare l’agibilità di
associazioni e movimenti.
La Spagna a maggioranza assoluta del Partito Popolare ha approvato nel 2015
la cosiddetta “Ley Mordaza”, la legge museruola: vietato annunciare su internet
proteste non autorizzate, fotografare le forze dell’ordine, manifestare davanti
alle sedi istituzionali. La legge è stata condannata da ben cinque relatori per
i diritti umani delle Nazioni unite. Rajoy è andato avanti lo stesso, alzando il
tiro durante la crisi catalana con le violenze a manifestanti inermi, i processi a
musicisti ed artisti per diffamazione al Re e allo Stato, la detenzione di leader
associativi colpevoli solo di reati di opinione e di manifestazione pacifica.
3
https://civilsocietyeurope.eu/wp-content/uploads/2019/06/civic-space-in-europe-report-2017_
web.pdf
46
alternative per il socialismo O 55
In Francia, dopo gli attacchi terroristici del 2015, sono stati concessi poteri
speciali ai prefetti. Hanno il diritto di dichiarare il coprifuoco, di vietare qua-
lunque manifestazione, di impedire a singoli cittadini di parteciparvi. Queste
misure restrittive sono state applicate anche in casi di cortei sindacali e sociali
per nulla collegabili alla minaccia terroristica. Numerose sono le denunce per
uso eccessivo e non necessario della forza contro manifestanti pacifici e giorna-
listi in tutto il paese.
Nel Regno Unito, dal 2003 il programma Prevent che fa parte della strategia
antiterroristica del paese, ha permesso la sorveglianza non solo di movimenti e
persone a rischio radicalizzazione ma anche di attivisti e gruppi pacifisti, eco-
logisti e anti-austerità
Poi, su un altro fronte, ci sono le Slapps (Strategic Lawsuit against Public Par-
ticipation), le cause intentate dalle grandi aziende contro associazioni e movi-
menti che le contestano. Il loro obiettivo è intimidire, anche a causa degli alti
costi legali per la difesa nei processi. E nella lista c’è anche il tema della sicurez-
za urbana - assai usato, da governi e municipalità, per sgomberare esperienze
di auto-organizzazione occupate e occupazioni sociali a uso abitativo.
4
http://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/Transnational_Institute_La_solidarieta_
verso_i_migranti_e_i_rifugiati_occupa_uno_spazio_sempre_piu_ristretto.pdf
47
LOTTE ED ESPERIENZE O RAFFAELLA BOLINI
sto del continente. La Spagna ha già sbarrato tutto, lì non passa quasi nessuno.
L’Italia chiude l’operazione di salvataggio Mare Nostrum, e la nuova missione
europea ha solo il compito di sorvegliare le frontiere. L’Ue prepara la nuova
Agenda europea sulla migrazione, e la revisione della Nuova politica di vici-
nato. Le priorità della politica mediterranea diventano la lotta al terrorismo e
alla immigrazione clandestina. La strategia è fare accordi con i paesi di transito
extra-europei, perché fermino i migranti prima dell’arrivo sulle coste mediter-
ranee, vale a dire l’esternalizzazione delle frontiere.
La guerra in Siria intanto è in uno dei suoi momenti più tragici. Dodici milioni
di persone hanno lasciato il paese. Meno di un decimo arriva in Europa, una
parte si ritrova ora bloccato in Grecia. Nell’estate 2015, i migranti si mettono in
marcia verso il nord, in una delle più potenti manifestazioni per i diritti umani
della storia recente, e l’esodo sulla rotta balcanica diventa di massa.
La prima fase in cui, oltre a migliaia di volontari, anche i governi aprono le loro
porte finisce presto. L’Unione Europea nel 2016 sigla l’accordo con la Turchia
perché in cambio di soldi chiuda le sue frontiere. Nel 2017 l’Italia firma l’accor-
do con la Libia perché fermi i migranti. Una dopo l’altra, le frontiere interne
all’Europa ricompaiono e si blindano - con muri e reti o con il ripristino dei
controlli di polizia.
Tutti i movimenti dei migranti diventano impossibili. E il vuoto viene riempito
dalle organizzazioni sociali. Da quel momento, le azioni che compiono diventa-
no reati: faciliterebbero l’immigrazione clandestina e, nei casi più gravi, sareb-
bero colpevoli di traffico di esseri umani.
Ricevere richieste di aiuto dai naufraghi diventa un reato: finisce sotto inchie-
sta Don Mussie Zerai, candidato al Premio Nobel, il cui telefono è punto di
riferimento per molti migranti in pericolo, ma anche Helena Maleno Garzon
che in Spagna svolge lo stesso ruolo.
Vietato aiutare
E’ vietato aiutare. Sono centinaia gli arresti e le denunce. In Francia vanno
sotto processo la guida alpina Benoit Duclos per aver salvato una famiglia fra
la neve delle Alpi, e l’agricoltore Cedric Herrou che aiuta i migranti nel loro
cammino. Nell’isola di Lesbo vengono denunciati numerosi volontari, fra cui
tre vigili del fuoco spagnoli, per aver soccorso fra le onde persone sul punto di
affogare. A Calais viene arrestata Marian Guerey, per aver cercato di accom-
pagnare sette minori a fare una doccia nella sede della Caritas. Anche dare un
passaggio in macchina può comportare una denuncia. Alcuni comuni, fra cui
Ventimiglia, vietano la distribuzione di cibo e bevande ai migranti. Nei Paesi
Bassi è obbligatorio denunciare i migranti senza documenti.
Non si può neppure togliere i migranti dalla strada: ne fanno le spese, con con-
tinui sgomberi, il centro di accoglienza autogestito Baobab a Roma ma anche
48
alternative per il socialismo O 55
Ma ci sono tanti esempi nella storia a dimostrare che spesso è la pretesa di sca-
gliare l’attacco finale a dare forza alla contro-offensiva e a rovesciare i rapporti
di forza. E, se in Italia e in Europa si avverte nella politica mainstream una
tendenza, almeno nelle intenzioni dichiarate, a tornare al rispetto dei valori
delle nostre Costituzioni e Carte Fondamentali, lo si deve in gran parte alle navi
umanitarie. Alle nostre Mare Jonio e Alex di Mediterranea, e a Iuventa, Aqua-
rius, Open Ams, Sea Watch, Lifeline, Alan Kurdi, Ocean Viking, fino alla nave
Diciotti della Guardia Costiera, le cui odissee resistenti sono parte della storia
collettiva degli ultimi anni e mesi.
49
LOTTE ED ESPERIENZE O RAFFAELLA BOLINI
solo su casi specifici ed estremi: lo spazio civico in quanto tale inizia ad essere
monitorato e riconosciuto come cartina di tornasole della salute delle demo-
crazie nazionali.
Anche le organizzazioni per i diritti umani da tempo hanno aggiunto un ca-
pitolo al loro tradizionale lavoro a sostegno di singoli difensori minacciati e
perseguitati: oggi si battono anche contro la criminalizzazione e la mancanza di
agibilità politica di cui sono vittime i soggetti collettivi e organizzati. Accusate
di arrogarsi un ruolo di rappresentanza, le organizzazioni sociali sono spinte a
cercare maggiore radicamento sociale. Il crowdfunding di Mediterranea, ne-
cessario per l’assenza dei grandi finanziatori tipici del mondo umanitario clas-
sico, ha fatto la forza del progetto, coinvolgendo migliaia di persone e attivando
centinaia di gruppi locali. Le associazioni riscoprono il mutualismo per aumen-
tare i legami con le comunità locali.
Devono fare fronte per difendersi, e costruiscono coalizioni e alleanze. La rete
di solidarietà con i migranti e rifugiati - anche se informale- insieme alla lotta
delle donne e ai giovani per il clima sta ricreando una dimensione internazio-
nale di movimento, dopo anni di frammentazione. La resistenza contro la chiu-
sura dello spazio civico si dota di sedi e strumenti europei, come Civic Space
Watch. 5 Si prepara il primo esperimento di un Civic Pride europeo.
Negli corso del 2019, in Europa non si è realizzato il sogno dei sovranisti rea-
zionari, che speravano di conquistare il Parlamento europeo con le elezioni di
maggio. E in Italia il suicidio politico di Salvini ha portato al nuovo governo
che molti hanno definito di “sicurezza costituzionale”. Si annuncia un periodo
complesso, per alcuni versi inedito, e interessante. Può concedere il tempo e
il fiato necessario per provare a richiudere il vaso di Pandora e i mostri che
il neoliberismo ha liberato mentre distruggeva coesione sociale, solidarietà,
diritti.
5
http://civicspacewatch.eu/
50
alternative per il socialismo O 55
http://civic-forum.eu
51
FABRIZIO NIZI
CASSANDRE E GUASTATORI.
CRONACHE DELL’ABITARE NELLA CAPITALE
Cronache delle lotte per l’abitare prima e dopo Salvini. Con il Conte bis per
ora lo sgombero di via del Caravaggio a Roma è rinviato a data da destinarsi.
Si sviluppa tra i cittadini una nuova sensibilità alla difesa dell’interesse
comune. L’intervento imprevisto dell’elemosiniere del Papa all’Esquilino
ha creato un fatto inedito rispetto al quale vi sono state reazioni opposte
della società e della politica istituzionale. La difesa e la costruzione della
democrazia sociale è un processo sempre aperto. Da queste lotte e questi fatti si
comincia a intravedere una nuova rifondatrice dimensione della politica.
D
urante la crisi di Governo aperta da Salvini, prima che maturasse la nuova
coalizione “giallorossa”, queste Cronache iniziavano così...
La guerra ai poveri scatenata dal Salvini di turno continua a mietere le sue
vittime nel paese, picconando i fondamenti della costituzione della democrazia
repubblicana e di ogni parvenza di compromesso sociale senza che una profon-
da riflessione coinvolga le aree democratiche della politica. Neanche il fardello
di dolore e atrocità provocate riescono a sollevare di una spanna il diagramma
piatto di un centro sinistra in coma, nonostante non manchino qua e là espe-
rienze e pratiche di resistenza che sul confine tra umano e disumano indicano
il discrimine chiaro su cui si sta combattendo la feroce crisi di civiltà che rischia
di sommergerci.
I migranti e le ong sono stati la prova generale di un modello securitario che
adesso con più facilità può tracimare nella società. Dopo la votazione sul decre-
to sicurezza bis e sulla Tav non è neanche più importante sapere se la coalizione
gialloverde resterà al governo o se Salvini o Di Maio si doteranno di un altra
compagine. Ormai che il danno è stato fatto qualsiasi altro governo “moderato”
avrà la strada spianata. Sia un rimescolamento dei pesi dell’attuale coalizione,
sia un governo elettorale, sia un inedito “governo del Presidente” non potranno
fare altro che approfondire il divario tra la drammaticità della crisi del paese e
la follia autoconservatrice della sua elitè finanziaria, economica e politica che ci
sta conducendo verso la dissoluzione dell’idea stessa di società.
Quella che Rino Formica definisce “l’ultima chiamata prima della guerra civile”
sembra già caduta nel vuoto senza che chi poteva e doveva l’abbia raccolta per
52
alternative per il socialismo O 55
tempo. Chi troppo compresso nel ruolo di una vuota “garanzia istituzionale”, chi
troppo preso dalla preservazione di simulacri ormai senza senso, chi sorpreso
dalla velocità di trasformazione di idee, assetti e consuetudini, chi per semplice
e puro interesse. A volte miope, a volte un pò meno. Alla parte democratica del
paese, nella sua espressione sociale, non è rimasto che il ruolo di “Cassandre” o
“guastatori” di un presente inguardabile come unica alternativa concessaci dei
tempi. Sarà anche poco, lo ammetto, ma è già meglio di non avere alternative.
La Treccani alla voce “guastatore” dice che è un attività impiegata “nell’attac-
co e nella difesa di opere fortificate… spianare strade, aprire passaggi, scavare
trincee”. Credo che ci siamo.
53
LOTTE ED ESPERIENZE O FABRIZIO NIZI
ni. Che ci siano più di 13.000 richieste inevase di alloggi popolari nemmeno,
3.000 sfratti l’anno per morosità neanche, 7-8.000 famiglie nel centinaio di
stabili occupati men che mai. Per non parlare delle 5.000 case popolari occu-
pate abusivamente per necessità, o delle decine di migliaia di famiglie in diffi-
coltà con l’affitto o il mutuo. Non importa il “come” alla Prefetta, interessa solo
“quando” potrà offrire a Salvini lo scalpo della legalità capitolina, finalmente
epurata dagli orpelli di giustizia sociale che fino ad oggi ne hanno impedito il
perseguimento. E’ un ultimatum il suo. Avete tre mesi di tempo.
Un ultimatum intimato a occupanti e movimenti innanzitutto, ma anche a Mu-
nicipi, Comune e Regione Lazio. Le istituzioni locali che fino ad ora sedeva-
no da pari al tavolo del Comitato Istituzionale per l’ordine e la sicurezza, sono
declassati al rango di meri esecutori degli ordini del Viminale che ha assunto
direttamente il governo della città con Prefettura e Questura nel ruolo di “com-
missari straordinari”. La funzione pubblica delle istituzioni, la rappresentan-
za degli interessi, la politica intesa come compromesso, sono semplicemente
scomparsi, abrogati dal nulla che avanza con il concorso attivo della maggio-
ranza capitolina che ubriaca di “legalità” non ha capito che ne sarebbe rimasta
stritolata. Le poche voci e sensibilità che da dentro le istituzioni si levano sde-
gnate non sembrano avere la forza ne le armi per poter almeno competere col
mostro che la nostra falsa coscienza ha contribuito a far nascere. Rumori di
sottofondo.
54
alternative per il socialismo O 55
Una riflessione sugli ultimi due anni e sul ruolo della Regione Lazio
Accade ad esempio che nel corso del 2018 e del 2019, per una congiunzione
astrale fortunata si verifica un incontro inaspettato tra movimenti per la casa,
sindacati e associazioni laiche e cattoliche sensibili alle condizioni del disagio
abitativo romano. Complice la complicazione intervenuta con l’avvento della
giunta 5stelle che ha chiuso ogni spiraglio di condivisione delle politiche, atti-
visti dei movimenti, sindacalisti, operatori del sociale ed esponenti del mondo
cattolico iniziano ad annusarsi e riconoscersi su quel confine tra umano e disu-
mano che sembra occupare tutto lo spazio pubblico. Sanno per averlo imparato
per strada che la perdita della casa è un fattore primario di caduta nella povertà
e nell’esclusione sociale e si interrogano, prima da soli e poi insieme, sulle cose
da fare per interrompere l’emorragia di diritti che sta tracimando in città a
causa di una politica abitativa inesistente. Tracciano delle idee, definiscono del-
le priorita e le sottopongono al Comune unitamente ad alcune associazioni di
operatori del settore che lamentano da par loro la stessa latitanza di intervento
pubblico. Non è un programma rivoluzionario, è un protocollo d’intesa dettato
dal buon senso, un elenco di intenti condivisi dalle maggiori forse sociali e sin-
dacali che operano in città.
55
LOTTE ED ESPERIENZE O FABRIZIO NIZI
L’Assessore alla casa Castiglione si prende 6 mesi di tempo per rifiutarlo. Tem-
po sprecato. Ma nel frattempo la coalizione di Zingaretti è stata riconfermata
al governo della Regione Lazio e il nuovo assessore alle politiche abitative è
Massimiliano Valeriani del Pd, perno fondamentale in giunta con tre deleghe
pesanti: urbanistica, rifiuti e casa. Quale migliore occasione per aprire un fron-
te di riflessione con il responsabile territoriale del diritto all’abitare? Il contesto
è quello di “piazza grande”, del tentativo di Zingaretti di portare il Pd fuori dalle
secche dell’autosufficenza renziana, puntando alla realizzazione di un “campo
largo” della sinistra in cui le realtà sociali – sembra – dovranno avere un ruolo
da protagonisti. La possibilità di segnare uno scarto dalla china capitolina con-
siglia di tentare. Ovviamente a fronte di qualche sintonia riscontriamo molte
difficoltà, ma il dialogo sembra avviato e l’Assessore pare convinto quando af-
ferma che “la giustizia sociale viene prima di qualunque legalità”.
Altri 6 mesi e tutto si ferma di nuovo. Per bypassare le incomprensioni l’As-
sessore gioca prima la carta dei tavoli separati, nella peggiore delle tradizioni
della politica: sindacati di quà, movimenti di là, associazioni cattoliche di sotto,
operatori del settore di sopra… Quando si accorge che non funziona chiude le
interlocuzioni. Siamo al punto di prima. Anzi peggio, perchè al riparo da occhi
indiscreti impegna il suo staff e poi la Giunta nell’unica missione che sembra
interessarlo veramente: salvare l’Ater – l’ente regionale che gestisce l’edilizia
residenziale – dal fallimento decretato da 1 mld e 700 milioni di debiti sempli-
cemente dismettendone la funzione. Con una serie di atti, di cui quello peggio-
re riguarda l’ennesima vendita di alloggi popolari, sembra avviarsi un lento ma
inesorabile ritrarsi della Regione dalla gestione dell’edilizia popolare, attraver-
so la cessione potenziale di decine di migliaia di case. Salvo dichiarare che con i
proventi della vendita forse si realizzeranno 700 nuovi alloggi… “i guadagni di
maria calzetta!” diciamo a Roma.
In un altro tempo questo atteggiamento della Giunta regionale avrebbe avuto
un effetto devastante sulla fragile unità raggiunta da movimenti e sindacati.
Questa volta non è accaduto, anzi la questione sgomberi delle occupazioni abi-
tative e il futuro dell’edilizia residenziale sono diventati gli elementi fondanti
di un nuovo aggregato sociale che intorno ai temi dell’abitare sta lavorando per
dotare la città di un orizzonte urbanistico e sociale in sintonia con le esigenze
dei suoi cittadini, a partire dai più deboli. E’ certamente una buona notizia e
un ottimo inizio.
56
alternative per il socialismo O 55
57
LOTTE ED ESPERIENZE O FABRIZIO NIZI
58
alternative per il socialismo O 55
di chi ancora pensa che ci siano ruoli intoccabili e sacri da preservare mentre
tutto intorno tracima è solo un miope suicidio.
L’esperienza ci dice che a volte per costruire è importante prima decostruire,
scomporre, mettendo in luce gli scarti, i vuoti, le fratture, le discontinuità, i
riferimenti ideologici. Ma possiamo farlo solo unendo riflessione e coraggio po-
litico, istituzioni e persone, politica e società. Cassandre e guastatori.
59
LAURA RONCHETTI *
A
ntigone, nei tempi recenti, ha smesso di comparire solo nei titoli dei saggi
di filosofia, letteratura e diritto1, per occupare le prime pagine dei quo-
tidiani. Secondo tanti - e io concordo - la capitana Carola Rackete della
Tra di tanti mi limito a richiamare il mio L’autonomia e le sue esigenze, Milano, 2018, del quale
1
60
alternative per il socialismo O 55
2
Raffaele K. Salinari, Carola Rackete come Antigone, «prima delle leggi», in il manifesto,
28.06.2019, scrive “La memoria torna all’Antigone di Sofocle, che scelse la pietà verso il corpo
del fratello insepolto e per questo fu condannata dalle leggi che il nuovo sovrano aveva promul-
gato”; Gaetano Azzariti, Che fare se il potere viola la costituzione, in il manifesto, 28.06.2019,
scrive “Forse potremmo usare le parole di Antigone per intenderne la portata: «Non potevo
consentire a un mortale di calpestare le leggi non scritte degli dei. Io non potevo cadere nella loro
condanna per paura di un uomo e della sua arroganza». Antigone pensava che fosse inaccettabile
trasgredire la legge di natura, noi possiamo interrogarci se sia oggi possibile che l’arroganza del
potere possa giungere a violare la costituzione”. Tomaso Montanari e Francesco Pallante, Anti-
gone è la Costituzione, in il manifesto, 02.07.2019, scrivono: “Il nostro ordinamento giuridico è
costruito per gradi gerarchici. Al vertice sta la Carta. Le leggi e i decreti stanno sotto. E ciò che
sta sotto non può contraddire ciò che sta sopra, pena il suo annullamento da parte della Corte
costituzionale. Carola Rackete ha assunto apertamente il rischio di violare la legge, convinta
della sua contrarietà alla nostra Costituzione”.
3
Enrica Rigo e Lucia Gennari, Il diritto di Carola, in Dinamopress.it, 2 luglio 2019, affermano che
“Sono stati in molti a paragonare Carola alla figura di Antigone. A noi pare che il suo atto non sia
un appello a una qualche legge superiore, lo leggiamo piuttosto come una presa di responsabilità,
articolata, appunto, attraverso l’esperienza e l’azione”; Lorenzo Gradoni e Luca Pasquet, Lisistrata
a Lampedusa: una riflessione sul caso Sea Watch 3, in sidiblog, 6 luglio 2019, “A differenza di Antigone, che
respinse il diritto della polis in nome della legge divina, la comandante della Sea Watch 3 si è
scrupolosamente attenuta al diritto positivo e ciò, nonostante si sia trovata ad agire in un quadro
politico e giuridico sempre più invaso da incertezze e contraddizioni, da norme collidenti ed erme-
neutiche inconciliabili”.
4
Decreto legge14 giugno 2019 n. 53, art. 1 (art. 11, comma 1-ter, Tuim) sulla base del quale è stato
adottato il decreto interministeriale del Ministro dell’interno, di concerto con quello delle in-
frastrutture e trasporti con cui si disponeva il divieto di ingresso, transito e sosta della nave Sea
Watch 3 nel mare territoriale nazionale.
5
In questo caso, come si riporta nell’ordinanza del Gup di Agrigento del 12 giugno 2019 la Sea
Watch 3 ha tratto in salvo le persone trovate in mare su “un gommone in condizioni precarie e
nessuno aveva giubbotto di salvataggio, non avevano benzina per raggiungere alcun posto, non
avevano esperienza nautica né equipaggio” e ha ritenuto porto non sicuro Tripoli, come ricono-
sciuto anche dal Gup di Trapani il 23 maggio 2019.
61
LOTTE ED ESPERIENZE O LAURA RONCHETTI
rapaci e stabiliva la pena di morte per i trasgressori del divieto di sepoltura, non
rivendica mai di rispondere a una sua propria legge, a quella della sua famiglia
o di una presunta predisposizione femminile alla cura, quanto piuttosto alle
“leggi non scritte degli dei, leggi immutabili che non sono di ieri né di oggi, ma
esistono da sempre”. Antigone, dunque, non si limita a far valere una propria
intima necessità di sorella, di donna pronta al sacrificio per accudire il fratello,
quanto di adempiere a una norma giuridica fino ad allora non contestata del
corpus di leggi non scritte vigenti nel V secolo a.C.6
Innegabile è l’adesione di Antigone a questo corpus giuridico e alla visione della
polis che esso restituisce e, perciò, assolve lei stessa al dovere di degna sepoltura
che il neo re Creonte pretende di sospendere con una “legge-provvedimento”.
Anche nel caso di Rackete ci troviamo di fronte a un’omissione da parte del po-
tere legittimo, a causa della mancata individuazione di un porto sicuro da parte
delle autorità competenti con connessa diffida a sbarcare in territorio italiano
per la Sea Watch. Rackete, quindi, ha assolto al proprio dovere di assistenza dei
naufraghi e di sbarco in un porto sicuro7.
Il porto sicuro che, dopo 17 giorni in mare con decine di persone a bordo, la
capitana si è presa contro gli ordini ricevuti ricorda molto la degna sepoltura
che Antigone ha voluto dare al fratello Polinice, che Creonte (zio di entrambi)
imponeva restasse in balia delle fiere per espiare la colpa di aver mosso guerra
contro la sua città, Tebe. Creonte negava, dunque, il diritto alla sepoltura del
traditore sconfitto, in spregio della fondativa importanza attribuita alla sepol-
tura sin dalle più remote culture umane, mentre Salvini e i ministri cofirma-
tari del provvedimento, con tutti i parlamentari che hanno convertito ben due
Decreti-sicurezza, hanno negato il millenario diritto al porto sicuro nel quale
approdare dopo aver fatto naufragio ed essere stati salvati dalla morte per an-
negamento.
L’accanimento di Creonte contro un cadavere e gli affetti dei cari del defun-
to ricorda l’accanimento del ministro Salvini e dei suoi sostenitori contro vite
umane stremate e contro le persone che si sono messe in mare soltanto al fine
di salvarle e soltanto perché le istituzioni hanno declinato ogni responsabilità,
contravvenendo a precisi obblighi internazionali.
6
Si accoglie qui la tesi sostenuta da Giovanni Cerri, Il significato dell’espressione “leggi non scrit-
te” nell’Atene del V secolo A.C.: formula polivalente o rinvio ad un corpus giuridico di tradizione
orale?, in Mediterraneo antico, XIII, 1-2, 2010, p. 139, che ribadisce quanto sostenuto dall’A.
nel suo Legislazione orale e tragedia greca, Napoli, 1979: le leggi non scritte, prima della grande
codificazione avvenuta alla fine della Guerra del Peloponneso nel 403 a.C., costituivano “un vero
e proprio sistema legislativo di tradizione orale”.
7
Previsto dalla Convenzione di Amburgo detta SAR e dalle connesse Linee guida.
62
alternative per il socialismo O 55
Disobbedienza e giudici
Antigone non ha giudici terzi rispetto al re Creonte a cui rivolgersi, mentre
Rackete ha varie giurisdizioni cui appellarsi: per due volte non ottiene sod-
disfazione (non solo presso il Tar, ma financo davanti alla Corte europea dei
Diritti dell’uomo8) e, proprio a causa di questa denegata giustizia, non trova
alternativa se non quella di disobbedire agli ordini ricevuti di non avvicinarsi
al porto di Lampedusa.
È un’altra donna, giudice di Agrigento, a giudicare che Carola abbia agito “in
adempimento di un dovere”9 in caso di salvataggio in mare per rischio di nau-
fragio previsto da norme sovraordinate al c.d. “decreto sicurezza bis”: “dovere
di soccorso” che non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi, ma
nella loro conduzione fino ad un porto sicuro. “Disobbedire era un dovere” ha
detto la giudice penale10. Il futuro ci dirà se anche la giustizia costituzionale
saprà rendere giustizia dei principi fondamentali della nostra Costituzione che
consacrano i “doveri inderogabili di solidarietà” (art. 2 Cost.), compresi quelli
stabiliti da norme di diritto internazionale.
Entrambe le donne, Antigone e Carola, hanno rivendicato le proprie azioni
come inevitabili e se ne sono assunte la piena responsabilità. Entrambe, per
giustificare le proprie scelte, hanno invocato norme superiori perché espressi-
ve dei diritti fondamentali inviolabili di ogni persona, dalla più condannabile
come Polinice alle più vulnerabili come i naufraghi in mezzo al mare. Diritti
inviolabili che, come sempre, impongono doveri inderogabili che la comunità e
i suoi singoli componenti devono riconoscere e garantire.
È in nome di tale piena adesione a norme considerate inviolabili che Sofocle
più volte fa ripetere ad Antigone che seppellire suo fratello è un atto cui si im-
pegna volontariamente, nella convinzione che sia giusto e nella piena consa-
pevolezza delle conseguenze delle proprie azioni. Analogamente Rackete ade-
risce pienamente alla disciplina internazionale del diritto del mare nei sui più
fondamentali principi e intende ottenerne la piena efficacia. Lo fa, con il suo
equipaggio di mare e di terra, ricordando al mondo che quei doveri riguardano
tutte e tutti e avverte quando sta per forzare il blocco navale. Anche Antigone
rifiuta qualsiasi sotterfugio e rifiuta di agire in segreto, come le suggeriva la
sorella Ismene. Quest’ultima non ritiene possibile sfidare apertamente il potere
8
Sulla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 25 giugno 2019, Enrica Rigo e Lucia
Gennari, Il diritto di Carola, cit., affermano che “il confine territoriale riemerge feroce nella deci-
sione della Corte come limite al riconoscimento e alla protezione dei diritti: oltre le 12 miglia dalla
costa l’Italia non è più responsabile, anche se è lei a tenerti sotto scacco”.
9
Così l’ordinanza di non convalida dell’arresto di Carola Rackete del Gup di Agrigento del 2 luglio
2019. L’adempimento di tale dovere rientra tra le ipotesi di scriminante previste dall’art. 51 c.p.
10
Gup di Agrigento del 2 luglio 2019.
63
LOTTE ED ESPERIENZE O LAURA RONCHETTI
64
alternative per il socialismo O 55
65
LOTTE ED ESPERIENZE O LAURA RONCHETTI
“Autonomia differenziata”:
quando le differenze pretendono diseguaglianze
Il concetto di autonomia, recando in sé l’insormontabile esigenza di mettere
in connessione l’autos con il nomos, coinvolge ogni tipo di soggetto, da quello
individuale fino a quello collettivo, sia esso sociale o territoriale. Il principio
autonomistico, infatti, implica la capacità dell’ordinamento di riconoscere e
promuovere “le esigenze dell’autonomia” (art. 5 Cost.). Darsi un proprio or-
dinamento, però, non significa isolare la libertà di autodeterminazione dagli
altri principi del costituzionalismo, con particolare riferimento all’uguaglianza
e alla solidarietà. Al contrario, soltanto la connessione tra questi principi con-
66
alternative per il socialismo O 55
sente di creare spazi di autonomia per i singoli, per i gruppi e per i territori.
Quel che sempre si è opposto a leggere il principio autonomistico come collega-
to al principio di uguaglianza sostanziale, tuttavia, è l’idea liberale estremizzata
nell’ordine giuridico neoliberista dell’autonomia individuale come assoluta in-
dipendenza. Si tratta di una concezione che rende ipertrofica la volontà e le sue
capacità, confinando nel mondo delle “colpe” le debolezze, le povertà e le eccen-
tricità di vario genere. È il pensiero femminista che, a partire dalla decostru-
zione dell’infondato mito del soggetto indipendente, ha sviluppato una visione
dell’autonomia in cui diventa centrale la dimensione relazionale consapevole
delle reciproche forme di interdipendenza. È con tale pensiero e pratica che il
costituzionalismo democratico può prendere atto che la Costituzione italiana
fonda proprio un’accezione di autonomia alla luce degli altri principi fonda-
mentali, con particolare riferimento agli articoli 1, 2, 3 e 11 della Costituzione.
L’idea di autonomia che traspare dalla trama costituzionale, infatti, è quella del
riconoscimento della dipendenza che ogni soggetto ha nei confronti dell’altro,
in una prospettiva relazionale e sociale fortemente ancorata alla solidarietà,
alla lealtà e al rispetto, in una logica di interdipendenza.
Non c’è spazio, dunque, nel disegno costituzionale per un’autonomia come si-
nonimo di indipendenza o autosufficienza, astratti ideali che celano soltanto la
logica tipicamente proprietaria dell’esclusione dell’altro dal proprio benessere.
Se, viceversa, si comincia a teorizzare e praticare l’autonomia territoriale di-
sconoscendo il rapporto di interdipendenza con le altre autonomie nell’ambito
dell’unità del popolo, la con-vivenza si trasformerà in com-presenza tra indif-
ferenti fino a produrre la frammentazione del popolo sovrano: un’autonomia
differenziata che moltiplica le diseguaglianze trasformerà l’articolazione del
popolo in comunità territoriali compartecipi dell’interesse nazionale in una sua
scomposizione in comunità che si abbarbicano sul territorio regionale, convin-
te della propria autosufficienza che si atteggia ad indifferenza per le sorti del
resto della nazione.
È secondo questa logica che si sta giungendo all’apice del regionalismo com-
petitivo che si allontana sempre di più da un’accezione positiva di autonomia,
intesa come partecipazione all’individuazione e al perseguimento dell’interesse
generale, che viceversa richiede una piena consapevolezza dell’interdipendenza
tra le varie comunità regionali nella Repubblica una e indivisibile, tra i soggetti
e le persone che compongono l’ordinamento.
67
ALDO BONOMI
ECONOMIE ALTERNATIVE,
UTOPIE CONCRETE
S
e si presta attenzione a ciò che avviene “rasoterra” nelle comunità e nei
territori, si può osservare il proliferare di esperienze sociali di varia natura,
organizzate come un processo carsico di pratiche territoriali che apparen-
temente hanno più a che fare con la dimensione della vita quotidiana che con
le dinamiche del valore economico. Stiamo parlando di fabbriche recuperate ed
Economie sociali e solidali: Gas; botteghe del Commercio equo; associazioni di
cittadini produttori; cooperative di consumo orientate ai nuovi stili di vita del
consum-attore che sceglie; nuove forme di cooperative comunitarie o imprese
sociali: piccoli produttori agricoli che oltre al cibo producono tenuta del pae-
saggio e il bene comune della comunità. E’ un magma composito che nei fatti va
dalla ricerca di nuove forme capitalistiche dal volto umano, imprese con nuove
radici sociali, fino ad esperienze che programmaticamente intendono prefi-
gurare qui ed ora una società post-capitalistica. E’ un mondo che suggerisce
anche la possibilità a sinistra di riappropriarsi del tema dell’innovazione e del
cambiamento, ormai da molto tempo monopolizzato dal capitalismo dei flussi.
Dunque altro dalle retoriche dominanti della cosiddetta “innovazione sociale”
che spesso ci raccontano più che altro di soggetti il cui reale desiderio è in fondo
68
alternative per il socialismo O 55
integrarsi nei flussi, cominciando a correre senza meta come tanti criceti nella
ruota dell’economia e della società circolare che viene avanti. Mettendo anche
in guardia da alcune trappole della temperata versione socialdemocratica dello
sviluppo sostenibile.
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LOTTE ED ESPERIENZE O ALDO BONOMI
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alternative per il socialismo O 55
vita quotidiana, infatti, non solo per lo sfarinarsi degli agglomerati “di classe”,
ma anche come esito dell’introduzione di rapporti capitalistici nella riprodu-
zione, nella formazione, nell’amministrare, nell’affettività, ambiti dell’esistenza
umana che nella società industriale erano in minima parte piegati alla sintassi
del valore. I concetti-chiave si sono diffusi dall’immaginario alter globale di
Porto Alegre ad un tessuto sociale più largo che reagisce alla tendenza tipica
dello “spirito del nuovo capitalismo” a distruggere “perizia artigiana e saper
fare collaborando” (Richard Sennet).
Le economie alternative sono micro-economie che agiscono su tre dimensioni
oggi fondamentali per rendere sostenibili le nostre società: inclusione, comu-
nità e rappresentanza. Esprimono orientamenti sempre più diffusi a pensare il
consumo come una azione politica (tanto che si parla di consumo critico), in
una logica per cui “si vota con il portafoglio e si mangia con la testa”. Dal punto
di vista della composizione sociale sono forme d’azione tipiche di un ceto me-
dio riflessivo che tenta di adattarsi ad un mondo sempre più polarizzato e con
l’ascensore sociale bloccato. Dal punto di vista politico sono embrioni di una
“nuova politica” che costruisce filamenti organizzativi e di relazioni produttive
anche a partire dalla sfiducia nei confronti di istituzioni e rappresentanze tra-
dizionali. Segmenti di società più ricchi di capitale culturale e civile che econo-
mico, che reagiscono alla crisi di un modello di sviluppo fondato sulla costante
accelerazione sociale e tecnologica, in difficoltà nella promessa di un futuro che
sia anche aperto e inclusivo. In cui non si dissipi ma si produca valore sociale e
qualità diffusa delle esistenze. Sono anche esperienze di micro-tessitura sociale
le cui parole d’ordine rispecchiano i valori definibili di green society: sosteni-
bilità, sviluppo, comune-comunità, etica, responsabilità, terra, giustizia, inclu-
sione. Esperienze di economia civica che per quanto piccole sono comunque
cresciute negli anni della crisi, in parte sull’onda del diffondersi di stili di vita
diretti a rinsaldare i legami tra umanità e natura che spesso trovano nel cibo di
qualità la loro espressione di mercato.
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LOTTE ED ESPERIENZE O ALDO BONOMI
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alternative per il socialismo O 55
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LOTTE ED ESPERIENZE O ALDO BONOMI
economie di comunità siano nate e si siano sviluppate come forme di exit, per
quanto organizzata e collettiva, hanno creato nicchie di innovazione. Le sfide
odierne, la crisi climatica, imporrebbero un salto nella capacità di produrre an-
che voice, stando nella società e provando a stringere alleanze con quella parte
di comunità operosa che alla sostenibilità già guarda.
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PARTITI
Dopo più di dieci anni si e sulla base delle esperienze si possono sciogliere i
nodi interpretativi sulla natura del Partito democratico. E’ evidente il suo
tratto marcatamente governista. L’opposizione è considerata una sciagura
da evitare. L’attenzione alla situazione sociale è ridotta ai minimi termini. Il
ruolo di Veltroni e della vocazione maggioritaria. Il paradosso è che ora il Pd
è alle prese con una ipotesi proporzionalista. Ma tutto si spiega in base alla
necessità di adattare i modi per esplicare la vocazione governista. L’attuale
governo esclude ipotesi di alternativa di sinistra. Renzi punta all’implosione
del Pd attraverso la contaminazione con i 5stelle. Nello stesso tempo cerca di
contendere a Conte il ruolo del Macron italiano
D
opo aver ormai superato i dieci anni di vita il Pd ha accumulato una serie
di esperienze che svelano la sua effettiva natura e consentono di sciogliere
alcuni nodi interpretativi aperti sulla fisionomia di un partito sorto dal-
la fusione di eterogenei ceti politici. Alla luce della sua condotta nella storia
dell’ultimo decennio, il Pd si conferma non tanto un amalgama mal riuscito
quanto un esperimento perennemente esposto al fallimento. E’ rimasto in so-
stanza un ibrido dal punto di vista identitario ab origine depistato dalla impoli-
tica volontà di fissare un punto zero in cui tutto il passato veniva archiviato per
potere ricominciare daccapo senza il fardello della memoria. Senza identità e
con la storia dimenticata, il Pd non pare avere delineato convergenze durevoli
tra le sue componenti neppure sul piano della cultura politica e su quello del
radicamento sociale. Idee, cultura politica, interessi non trovano sintesi efficaci
e questo stato di assoluta indeterminatezza condanna il partito all’evanescenza,
e talvolta lo spinge sino alla produzione di detriti impazziti che urtano con gli
stessi pilastri dell’ordinamento costituzionale o una minimale attenzione verso
i referenti sociali di un tempo.
Se divisive rimangono le idee di società, il modello costituzionale preferibile, il
punto di vista da scegliere nei conflitti del capitalismo della tarda modernità,
la costruzione di una tradizione assunta come mappa selettiva per inquadrare
la funzione storica del soggetto, a tenere in piedi un organismo così liquido è
solo il cemento del potere come collante di percorsi irriducibilmente plurali.
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PARTITI O MICHELE PROSPERO
Progettato in laboratorio, anche con l’accorta regia delle grandi potenze edi-
toriali e mediatiche, come esemplare testato per vincere alle urne unendo gli
stati maggiore di due forze ciascuna delle quali ormai in declino, la macchina
democratica ha fornito prestazioni nel complesso molto deludenti. Da quan-
do è nato, il Pd non ha mai trionfato davvero in un’elezione politica generale.
Sotto la guida di Veltroni ha perso con dignità (in termini numerici, non po-
litici: la corsa in solitaria del 2008 è anzi la scelta originaria che, disboscando
la rappresentanza politica della sinistra, ha favorito la comparsa di formazioni
antipolitiche che nel vuoto di culture radicali hanno potuto raccogliere il disa-
gio sociale), ha fortunosamente pareggiato con Bersani (una non-vittoria solo
occultata dall’incostituzionale premio di maggioranza assoluta a un partito del
25 per cento) e ha ricevuto una sconfitta irrimediabile con Renzi (minimo sto-
rico nei voti e condanna alla dissoluzione).
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alternative per il socialismo O 55
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PARTITI O MICHELE PROSPERO
ne fa quello che vuole per il trionfo personale o è una oligarchia di capi corrente
di pari grado che con le loro manovre nei caminetti affogano il segretario in-
ducendolo a fare cose del tutto opposte rispetto a quelle per le quali ha avuto il
consenso alle primarie e alle europee.
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alternative per il socialismo O 55
zate verso le agenzie del profitto privato. Abbandonato dal mondo del lavoro,
rigettato dalla scuola, graffiato dalla diserzione delle regioni rosse, dal disagio
giovanile, dallo spaesamento del popolo di sinistra, il Pd è attraversato da un
malessere che ne paralizza il presente e ne distrugge il futuro.
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PARTITI O MICHELE PROSPERO
in parlamento ritiene lecito che, dopo il governo del contratto siglato dai due
vincitori del 2018 e la sua legislazione “salvo intese”, si proceda a un esecutivo
di svolta non scomodando il popolo sovrano sul gradimento del nuovo indirizzo
politico. La politica smarrisce ogni significato di analisi, di coerenza nei princi-
pi, di lucidità nella strategia e si riduce alla ricerca spregiudicata di postazioni
di governo. Una ossessiva invocazione di cariche, risparmia la fastidiosa com-
prensione delle ragioni della sconfitta e l’individuazione dei modi per ricostru-
ire i legami smarriti con la società.
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alternative per il socialismo O 55
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PARTITI O MICHELE PROSPERO
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alternative per il socialismo O 55
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DANAI KOLTSIDA*
Cos’è Syriza e dove sta andando? E’ una domanda che si pongono in molti
e non solamente in Grecia, data l’importanza che ha avuto ed ha la vicenda
greca nel contesto europeo. Per rispondere bisogna tenere conto della esperienza
di Syriza, una formazione politica, un partito in continua evoluzione. Prima
di Syriza, Synaspismos ha saputo legare due grandi correnti storiche della
sinistra greca, sia quella tradizionale comunista sovietica ed “ortodossa”,
sia la corrente dell’eurocomunismo e del “rinnovamento comunista”, come si
dice in Grecia. Syriza ha aggiunto, in un riuscito amalgama, le istanze dei
nuovi movimenti altromondialisti e ambientalisti. Senza mai contrapporre il
carattere radicale delle proprie rivendicazioni con la prospettiva di governo.
Il ruolo decisivo della nuova generazione di quadri guidata da Alexis Tsipras.
La sconfitta elettorale è giunta proprio nel momento in cui Syriza avrebbe
avuto più possibilità di implementare le proprie politiche. Il prossimo
congresso dovrà servire per una riflessione anche autocritica che interessa
tutta la sinistra di alternativa non solo in Grecia, ma in tutta Europa. In
modo da potere affrontare il nuovo presente, nel quale Syriza deve sapere
riannodare le fila ideali e politiche con la sua gente, oltre che combattere le
politiche revansciste del governo di destra. Sarebbe sbagliato partire da una
contrapposizione frontale tra sinistra radicale e socialdemocrazia. Entrambe
di fronte all’offensiva del neoliberismo e della destra estrema devono
riconsiderare le loro scelte precedenti. E’ una discussione che riguarda tutta la
sinistra almeno in Europa.
S
yriza, un tempo piccola formazione politica della sinistra radicale, prota-
gonista improvvisa nell’arena politica in Grecia e, per estensione, in Eu-
ropa, è un partito che ha causato e causa ancora imbarazzo. Non solo alla
gente della sinistra e delle sinistre, divisi tra speranza e rifiuto - due sentimenti
ugualmente estremi e eccessivamente pesanti sulle “spalle” di una sinistra alla
periferia dell’Unione europea - ma anche per gli scienziati politici che hanno
difficoltà a classificare Syriza con una certa chiarezza in una qualsiasi delle for-
me e tipologie interpretative canoniche. Syriza è uno dei nuovi partiti (newpar-
ties) che ha fatto partorire la crisi? E poi come viene spiegata la sua lunga storia
e la sua resistente forza elettorale? È uno dei partiti che rimane nella famiglia
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alternative per il socialismo O 55
della sinistra radicale nelle sue numerose varianti, o è passato ora sulle rive
della socialdemocrazia? Syriza può essere catalogata al flusso del “populismo
di sinistra”, se vogliamo accettare quel termine? Queste sono solo alcune delle
domande che sono state sollevate nel dibattito scientifico e politico che circon-
da il “fenomeno Syriza”.
In effetti, molti sostengono che Syiriza deve essere trattato come un singolo
fenomeno, un’eccezione, che sfrutta elementi di diverse tendenze politiche nel
contesto di una trasformazione senza fine di sé stesso. Sebbene la costante in-
venzione di eccezioni non sia buona per l’analisi scientifica, il percorso di Syriza
fino ad oggi sembra confermare il carattere di un “partito in movimento” (se-
condo la terminologia intelligente data da Ioannis Balambanidis, che ha curato
recentemente l’edizione di un libro in Grecia con lo stesso titolo).
Allora, cos’è Syriza e, soprattutto, dove sta andando? Questa è una domanda
che domina dalle recenti elezioni sia il dibattito interno del partito che quel-
lo esterno in modo pubblico in Grecia. Non proverò a riassumere qui questo
lungo percorso, che dopo tutto, sarebbe impossibile. Cercherò tuttavia di evi-
denziare alcuni dei suoi aspetti che potrebbero anche interessare la Sinistra
europea.
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PARTITI O DANAI KOLTSIDA
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alternative per il socialismo O 55
Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare che quella che è stata storicamente chia-
mata la °svolta a sinistra” di Syriza ha portato il partito alla piena rottura con
le tradizioni dell’eurocomunismo e la “Sinistra del rinnovamento”, come si dice
in Grecia. In effetti, la questione del governo e dell’intervento istituzionale non
ha mai smesso di esistere e di occupare un posto importante nell’azione e nel
pensiero dei dirigenti di Syiriza. L’esempio più eclatante è stato il congresso
di Synaspismos, che ha avuto luogo all’inizio del 2009, pochi mesi dopo che
Alexis Tsipras ha assunto la presidenza del partito e pochi mesi dopo un’on-
data senza precedenti di una radicalizzazione violenta della gioventù greca nel
dicembre 2008 dopo l’assassinio di uno studente di 15 anni da parte di un po-
liziotto. Syriza è stato l’unico partito parlamentare a sostenere la mobilitazione
della gioventù greca, ed è stato anche accusato di incoraggiare la violenza, e allo
stesso tempo, mentre le sue percentuali di consenso erano rimaste basse (tra
il 3% e il 5%), ha presentato un completo programma governativo, con molti
dei suoi elementi presenti fino all’altro ieri nel suo concreto lavoro di governo.
Pertanto, il percorso di Syriza verso il governo - sebbene non lineare - non può
essere considerato improvviso né improvvisato e non può in alcun modo es-
sere spiegato solo con riferimento alla crisi e alla mancanza di rappresentan-
za che questa ha creato. Nel suo nucleo si trova la sintesi creativa e originale
dell›identità radicale con la prospettiva di assumere la responsabilità del go-
verno, che si era incarnata nella coscienza pluralistica e collettiva di Syriza,
come «eredità» della corrente eurocomunista, anche quando si esprimeva in
un modo sbagliato.
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PARTITI O DANAI KOLTSIDA
terzo Memorandum. Syriza non solo non è crollata alle elezioni, ma ha perso
solo il 3,93% dei voti che aveva preso alle elezioni del Settembre del 2015 (ha
preso 31,53% ovvero 1.781.180 voti il luglio del 2019 di fronte al 35,46% pari
a 1.926.526 voti che aveva preso il settembre del 2015, quindi 145.346 voti di
meno). Un risultato che ha permesso di conservare sostanzialmente intatta la
sua base e di rimanere senza dubbio la forza egemone nell’ala sinistra del pa-
norama politico. Nello stesso momento il risultato elettorale è stato prima di
tutto una netta sconfitta di Syriza da parte della destra e per di più con una
differenza di 8 punti percentuali, fatto che ha smentito alcune voci, poche per
la verità, di autocompiacimento, che volevano escludere qualsiasi autocritica e
consideravano sicuro che i cittadini avrebbero rinnovato la loro fiducia nel suo
governo. Quindi, dato il risultato delle elezioni, e soprattutto date le contraddi-
zioni accumulate che per definizione caratterizzano la presenza di un partito di
sinistra radicale nel governo, e ancora di più in un periodo di crisi e di attacchi
neoliberisti, Syriza si trova oggi davanti a un presente complicato.
La sua identità radicale è stata ferita e contestata molte volte durante il suo
governo, dopo la ritirata dell›estate 2015, per la quale molte cose sono già state
scritte e molte altre ancora lo saranno. Ovviamente, il governo di Syriza nel suo
insieme - date le particolari circostanze del momento, a causa della coercizione
esterna dei Memorandum - era più adatto a un tipo di gestione socialdemocra-
tica. Tuttavia, nelle sue azioni governative si possono trovare molti elementi
di una politica di sinistra chiaramente radicale: come nel campo della regola-
mentazione del mercato del lavoro, della promozione dell›economia sociale e
della solidarietà, della creazione di un forte stato sociale con una prevalenza
sul sistema sanitario pubblico, di una radicale riforma della struttura e nel con-
tenuto dell›istruzione pubblica, della riforma democratica di istituzioni loca-
li ecc. E soprattutto, dobbiamo tenere presente che anche ciò che si potrebbe
considerare semplicemente una «gestione socialdemocratica» aveva piuttosto
un carattere radicale dentro il contesto estremamente negativo dell›assoluto
dominio di un neoliberismo crudele – e per questo motivo è stata combattuta
così duramente dentro e fuori dalla Grecia.
Dopotutto, la stessa Syriza non ha mai accettato un›identità socialdemocratica
per se stessa. Si è trovata senza un partito fratello a livello europeo, visto che
nessun altro partito della sinistra radicale ha realizzato le aspettative create
prima del 2015 di una «primavera europea dei popoli», in particolare nel Sud
europeo, mentre nel frattempo era l’obiettivo di un «attacco di amicizia» da
parte di quelle forze che hanno tentato di integrarla dal momento che non po-
tevano sconfiggerla.
Syriza ha perso le elezioni pochi mesi dopo la tanto desiderata uscita dai Me-
morandum. Proprio nel momento in cui riteneva che avrebbe avuto i gradi
di libertà necessari per attuare un programma più vicino alla propria politica
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alternative per il socialismo O 55
Il futuro è aperto
Nel prossimo futuro, Syriza deve fare il suo Congresso che dovrà esse-
re un’altra pietra miliare e storica nella trasformazione senza fine di que-
sto partito, valorizzando l’esperienza passata, curando gli aspetti patologici
e, soprattutto, rispondendo alla domanda su che cosa è e dove vuole anda-
re. Questa discussione sul presente e sul futuro non riguarda solo il suo in-
terno. Innanzi tutto, riguarda, nel senso molto ampio del termine, la si-
nistra greca, l’insieme delle cosiddette “forze progressiste” e, soprattutto,
riguarda l’insieme della classe operaia, i precari, i disoccupati, i più deboli
della società greca. E poi riguarda l’intera Sinistra europea e forse mon-
diale. Syriza è attualmente il leader indiscusso di sinistra nella vita politica
greca e allo stesso tempo uno dei partiti di sinistra più forti a livello inter-
nazionale, con una ricca esperienza di capacità di governo. Pertanto, il suo
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PARTITI O DANAI KOLTSIDA
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alternative per il socialismo O 55
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LAVORO E AUTOMAZIONE
M
achine learning, predettività. Sono le due espressioni mutuate dall’intel-
ligenza artificiale per indicare la radicalizzazione in atto del processo di
automazione del lavoro umano. Non solo le attività manuali sono oggetto
di indagine e di formalizzazione matematica da parte di ingegneri, fisici, ma-
tematici e manager per ridurre al minimo l’”interferenza” umana nel processo
lavorativo; ormai anche le attività cosiddette cognitive – il lavoro impiegatizio
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LAVORO E AUTOMAZIONE O BENEDETTO VECCHI
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alternative per il socialismo O 55
il costo dei componenti si riduce con un tasso variabile di tempo che segue
però a ruota quello della elaborazione. Questo significa che ogni diciotto mesi
vengono assemblati e venduti computer e reti di computer con una potenza
raddoppiata di calcolo e con costi talvolta inferiori ai computer della “genera-
zione” precedente. Per le imprese significa investire in informatica, automatica,
robotica a costi gestibili, di gran lunga minori di quelli del lavoro vivo. Da qui
l’uso intensivo, e capitalistico, dell’hi-tech volto comunque alla sostituzione del
lavoro umano. Finora è accaduto prevalentemente per le attività manuali. La
tendenza in atto è che la velocità di elaborazione, l’accumulo di dati vale anche
per il lavoro impiegatizio, delegando agli utenti l’esecuzione di alcune operazio-
ni semplici, come chiedere un estratto conto, pagare una bolletta, ordinare una
merce. Per operazioni più complesse intervengono sistemi esperti, al punto che
anche alcune diagnosi mediche vedono ormai in azioni computer e data base
in assenza di medici e personale sanitario. La machine learning è dunque una
macchina che accede a grandi quantità di dati, elaborando i risultati molto più
velocemente degli umani, sia a livello individuale che di gruppo. L’automazio-
ne di queste mansioni “cognitive” favorisce la cacciata di centinaia di migliaia
di lavoratori “cognitivi”. L’intelligenza artificiale non fa dunque che enfatizzare
la crescita di una disoccupazione strutturale, C’è da interrogarsi sul fatto che
tale disoccupazione possa essere riassorbita, come postulato in passato da al-
cuni economisti classici, tra i quali Joseph Shumpeter e Lord Keynes. Nelle
loro teorie, veniva affermato che gli espulsi da un settore economico sarebbero
stati riassorbiti, in termini occupazionali, prima o poi da un nuovo settore nato
dall’innovazione tecnologica. La situazione è tuttavia meno lineare di quanto
attestano i manuali di economia o le teorie economiche.
Il recente rapporto dell’Ocse (https://read.oecd-ilibrary.org/employment/
oecd-employment-outlook-2019_9ee00155-en#page1) sul futuro del lavoro
ridimensiona al 14% le fosche previsione di una riduzione radicale dell’occu-
pazione mondiale nei prossimi dieci anni (un precedente studio arrivava fino
al 50%), ma è indubbio che anche se queste percentuali al ribasso fossero con-
fermate si tratterebbe sempre di milioni di posti di lavori persi in presenza di
crescite occupazionali risibili. E non c’è neppure da ipotizzare che la geografia
dell’occupazione segua le linee di sviluppo del capitalismo. In risposta alla tesi
di una disoccupazione di massa strutturale, è stato risposto che in passato è
calato il lavoro nel Nord del Pianeta, mentre cresceva un robusto proletariato al
Sud. Tesi consolatoria che chiudeva gli occhi che il lavoro cresciuto nel Sud del
pianeta era legato a una contingenza. Significativi sono i dati emergenti nella
Cina, la realtà politica, sociale e economica dove maggiori sono gli investimen-
ti in Intelligenza artificiale allo scopo di costruire una economia competitiva,
producendo però disoccupazione, un fattore che sta mettendo in seria crisi l’o-
biettivo di Pechino di creare una “società dell’armonia”.
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LAVORO E AUTOMAZIONE O BENEDETTO VECCHI
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alternative per il socialismo O 55
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LAVORO E AUTOMAZIONE O BENEDETTO VECCHI
delle macchine come manufatto che non solo esegue meglio degli umani alcune
operazioni – manuali e cognitive – ma che, attraverso l’ambiente digitale, espri-
me una potenza alethica, che ha cioè la capacità di ridefinire i criteri del vero e
del falso secondo le linee guida del verosimile.
Una cosa, una affermazione, una realtà non è vera o falsa, secondo i teorici del
digitale e dell’intelligenza artificiale, bensì può essere valutata in base ai criteri
del verosimile, cioè che può essere sia falsa che vera, l’importante è che sia
appunto verosimile. La predettività sta in questa terra incerta, in questo regno
dell’ambivalenza, manifestando così un potere manipolatorio dei comporta-
menti e delle stesse previsioni.
Uno sguardo disincantato sulla pervasività della Rete non può che notare la
consonanza, meglio le assonanze tra il concetto di verosimile e di post verità. A
questa constatazione Sadin aggiunge il fatto che le macchine, così come i pro-
grammi informatici che le fanno funzionare, hanno sempre più una connota-
zione antropomorfica, cioè assumono la morfologia umana o compiono azioni
che “sembrano” fatte dagli umani, con i loro tic, incertezze, dubbi e arroganze.
Il cyborg (fatto di silicio, acciaio e il materiale sintetico che lo ricopre) è pa-
radigmatico. A oltre due decenni dalla sua pubblicazione, bisognerebbe com-
piere una rilettura critica del noto Manifesto Cyborg di Donna Haraway dove
la filosofa statunitense già metteva a fuoco questa pregnanza del verosimile e
della capacità performative delle macchine di modificare la realtà presente per
costruire un futuro che riproduceva, rafforzandoli, i rapporti sociali e di potere
della società capitalistica (Danna J. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecno-
logie e biopolitiche, Feltrinelli, 2018, pp. 208, euro 10,00).
Eric Sadin tuttavia rimane sulle soglia della critica del cyborg. Nel saggio ce ne
sono echi, laddove afferma perentoriamente che la ragione artificiale è fondata
su una continua negoziazione tra opzioni diversi e confliggenti tra loro, ma
che il campo operativo viene definito dalle macchine, meglio dagli algoritmi
che presiedono il loro funzionamento come un apriori intangibile. Più che una
critica al capitalismo delle piattaforme o della sorveglianza o del postfordismo,
il filosofo francese è dunque interessato a sondare lo statuto di ciò che defi-
nisce come tecnologie della perfezione (machine learning), capaci di imporre
l’esattezza come criterio guida nella valutazione dell’operato di un computer o
di un programma informatico. E’ cioè concentrato sulla analisi della “aletheia
algoritmica”, la potenza performativa del digitale, campo di indagine dato per
scontato e che produce rigetti e adesioni fideistiche al limite del religioso.
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LAVORO E AUTOMAZIONE O BENEDETTO VECCHI
per protesi sostitutive di parti del corpo umano; oppure che l’estrazione dei
dati vuol dire solamente cercare di capire come funziona il cervello umano e
le sue reti neurali. In fondo lo sviluppo di interfacce tra naturale e artificiale
nonché progetti per la mappatura delle reti neurali sono gli ambiti di ricerca
che continuano a ricevere miliardi e miliardi di euro di finanziamenti ad ogni
latitudine capitalistica.
Incubi da tecnoutopie
Scorrendo, i curriculum dei finanziatori delle fondazioni transumaniste o di
società che garantiscono il mantenimento del cervello in stato di ibernazio-
ne si scoprono personaggi importanti nella Silicon Valley, come appunto Ray
Kurzweil, ingegnere capo alla Google per quanto riguarda l’intelligenza arti-
ficiale; oppure si apprende che il capo i PayPal e potentissimo capitalista di
ventura Peter Thiel o l’eccentrico ex boss della Tesla Elen Musk finanziano pro-
getti di intelligenza artificiale per sostituire gli umani con computer o cyborg.
Il transumanesimo è cioè l’ultima frontiera dell’ideologia californiana, quella
che promette abbondanza e ricchezza da quasi mezzo secolo e che manifesta
una vision della natura umana dove non c’è posto per coscienza, passioni, uni-
cità di corpo e mente: l’uomo è un essere computazionale e il funzionamento
della sua testa può essere rappresentato come una central processing unit di
un computer. Basta solo avere microprocessori potenti, una grande capacità di
memorizzazione e la simulazione della mente umana con una macchina sarà
cosa fatta. Bisogna dunque solo avere pazienza e riporre fiducia nella computer
science e nell’intelligenza artificiale.
Questo grumo di convinzioni, frutto di una fede religiosa nella scienza, è analiz-
zato da Mark O’ Connell in Essere una macchina (Adelphi, 2018, pp. 260, euro
19), un viaggio nell’ideologia transumanista che ha portato questo scrittore e
giornalista irlandese a incontrare le teste d’uovo di questa sottocultura. Ogni
incontro è segnato da inquietudine, paure, rabbia, atteggiamento di sufficienza.
L’autore crede fermamente nell’unicità e integrità della natura umana. Crede
cioè che gli umani sono tali perché il loro corpo non è separabile dalla loro
mente. Ritiene cioè il dualismo mente-corpo un grande errore teorico. Visita la
sede della Alcor Life Extention Foudantion, che per 200mila dollari garantisce
l’ibernazione del corpo in attesa che l’uploading della mente su una macchina
sia possibile. Ma se si vuole conservare solo il cervello la tariffa è di 80 mila
dollari. Scopre che ci sono decine e decine di corpi ibernati in attesa di ritornare
in vita. Incontra un geniale ricercatore in crittografia (Ralph Merkle), figura
mitica della Silicon Valley per avere messo a punto un sistema di comunicazio-
ne “blindato” che mette la mano sul fuoco che la simulazione della mente potrà
avvenire tra dieci anni, al massimo venti. Oppure si dilunga in conversazioni
con la scrittrice di fantascienza e artista Natasha Vita-More, che evoca la mu-
104
alternative per il socialismo O 55
105
LAVORO E AUTOMAZIONE O BENEDETTO VECCHI
singolarità è vicina), dove Kurzweil elabora uno schema in base al quale pre-
vede che i tempi di sviluppo di tecnologie e software adeguati per questo scopo
rispondono quasi a leggi oggettive, come quelle che prevedono ogni tot mesi il
raddoppio della potenza di calcolo dei microprocessori.
Qui la fantascienza sembra proprio farla da padrone, ma sarebbe un approccio
sbagliato. Il transumanesismo è una visione feroce dell’evoluzione. Sopravvive
solo chi può, cioè ha i mezzi economici per farlo. Oppure i prescelti per l’im-
mortalità sono coloro che hanno le relazioni giuste, che sono dentro una rete
sociale e economica di potenti. In una miscellanea tra visione tribale, feudale-
simo digitale e fede nel capitalismo, il transumanesimo è il tentativo di rispon-
dere alla perdita di forza propulsiva dell’ideologia californiana dopo la crisi del
2008, la crescita del timore di una povertà su scala globale dovuta alla sostitu-
zione degli umani con le macchine e alla crisi ambientale.
106
alternative per il socialismo O 55
107
LAVORO E AUTOMAZIONE O BENEDETTO VECCHI
108
FRANCESCO GARIBALDO alternative per il socialismo O 55
I
nnumerevoli ricerche, libri e articoli cercano di cogliere, anticipandole, le
conseguenze a lungo termine per le nostre società della diffusione dell’Intel-
ligenza artificiale, dell’automazione guidata dagli algoritmi, di una nuova e
decisiva tappa di “matematizzazione del mondo”. Numerose sono sia le tenden-
ze utopistiche che quelle distopiche.
Tra quelle utopistiche la più radicale è quella della “singolarità”, predicata da
Raymond Kurzweil1, cioè l’idea che sia pensabile in un futuro più o meno lon-
tano la costruzione di veri e propri cloni della mente di uno di noi, non solo ar-
chiviando l’insieme della nostra memoria, ma modellando il modo con cui una
persona reagirebbe in ogni situazione data come ci racconta Luke Dormehl2.
Si creerebbero così degli avatar, basati sul software, e capaci di agire come noi,
anche se noi fossimo già morti, assicurandoci un’immortalità virtuale. È la la
2
Thinking Machines, VH Allen, 2017
109
LAVORO E AUTOMAZIONE O FRANCESCO GARIBALDO
3
Per una critica di Kurzweil vedi Francesco Garibaldo e Emilio Rebecchi, E. – Nothing but a Hu-
man - Garibaldo, F. & Rebecchi, E. AI & Soc (2018) 33: 313. https://doi.org/10.1007/s00146-
017-0741-4
4
Zuboff, S. (2015) – Big Other: surveillance capitalism and the prospects of an information civili-
zation –Journal of information technology (2015)30 – 75-89
Zuboff, S. (2016) – The secret of surveillance capitalism – available at http://www.faz.net/ak-
tuell/feuilleton/debatten/the-digital-debate/shoshana-zuboff-secrets-of-surveillance-capital-
ism-14103616.html?printPagedArticle=true#pageIndex_2 accessed June 27, 2017
Zuboff, S. (2017)- The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New
Frontier of Power- Public affairs
5
O’Neil, C. (2016). Weapons of Math Destruction. How Big Data Increases Inequality and Threat-
ens Democracy. Penguin Random House, UK. Tradotto in italiano Armi di distruzione mate-
matica, Bompiani
110
alternative per il socialismo O 55
stualizzati in modo preciso. Larga parte delle riflessioni oggi disponibili sono
di tipo deduttivo e presuppongono delle ipotesi di partenza sulla tecnologia e il
suo rapporto con le dinamiche sociali, sulla natura e struttura delle società in
cui viviamo, ecc. Spesso queste ipotesi che reggono l’esercizio deduttivo sono
non dichiarate. Vi sono già, però, delle vere e proprie ricerche sulle trasforma-
zioni in corso che descrivono e interpretano cosa sta effettivamente accadendo.
Mi riferirò a quelle che mettono a fuoco la natura reale dello sviluppo applica-
tivo dell’Intelligenza Artificiale.
È utile richiamare in che consiste lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA).
Mentre nell’immediato passato l’automazione era limitata a istruzioni dedut-
tive specificate da un programmatore via computer, con l’IA invece di automa-
tizzare dei compiti tramite la programmazione di un insieme di istruzioni, ora
i computer possono essere programmati per “imparare” da un insieme di dati
o da un insieme di sperimentazioni ricorsive, basate sulla statistica e su ragio-
namenti induttivi.6 In tutti i casi l’aspetto fondamentale è dato dagli specifici
algoritmi usati.
La tecnologia dell’IA è una tecnologia per uso generale (General Purpose
Technology o GPT)7 come le Tecnologie dell’Informazione e della Comunica-
zione (TCI), l’elettricità e prima il vapore. Sono quindi tecnologie che si diffon-
dono potenzialmente in un ampio raggio di attività industriali, economiche e
della vita quotidiana; sono tecnologie generiche, pervasive e con modelli di cre-
scita che in special modo per l’elettricità e le TCI sono fortemente determinate
dalla loro struttura a rete8, il che comporta un tasso di crescita inizialmente
lento e poi esponenziale. Le TCI e l’IA sono caratterizzate da l’alternarsi di in-
novazioni radicali e incrementali9. Oggi si parla di disruptive innovation10 per
focalizzarsi non solo sulla radicalità di un’innovazione, ma anche sulla capacità
di mettere in crisi dei mercati, dei prodotti e delle reti del valore esistenti sosti-
tuendole con soluzioni nuove e alternative. L’IA sarebbe, quindi, sia un’innova-
zione radicale che disruptive. Le innovazioni radicali sono sempre state la base
per trasformazioni profonde della società e dell’economia e quelle disruptive
potenzialmente capaci di creare problemi per gli assetti industriali, economici
e sociali consolidati.
6
Per una sintesi ragionata vedi Garibaldo, F. – Rebecchi Un documento di impostazione su In-
dustria 4.0. del gruppo di ricerca dell’Associazione “Punto Rosso” e della Fondazione “Claudio
Sabattini”. http://www.fondazionesabattini.it/download/658
7
Bresnahan e Trajtenberg,1992
8
Da un punto di vista economico si parla di esternalità di rete cioè di quella caratteristica per cui
il valore di un bene aumenta al crescere del numero di soggetti che lo consumano.
9
Freeman e Perez,1988
10
Christensen, 1997
111
LAVORO E AUTOMAZIONE O FRANCESCO GARIBALDO
L’eteromazione
Due ricercatori, Hamid R. Ekbia e Bonnie A. Nardi11, hanno creato questo ne-
ologismo unendo le due parole etero e automazione per indicare cosa accade
quando una richiesta del cliente implica qualcosa che l’algoritmo non può an-
cora fare. Allora la richiesta verrà automaticamente reindirizzato a un agente
umano. In conclusione12: “L’eteromazione in genere richiede del lavoro nasco-
sto, spesso sconosciuto agli stessi partecipanti, che sono inconsapevoli che, per
esempio, la loro attività sociale sui media può essere trasformata in merci ven-
dute per pubblicità, che i sistemi a self-service salvano soldi alle imprese elimi-
nando lavori pagati, o che la produzione di guide ai giochi – i videogiochi, nota
mia – significa che le imprese che vendono (video)giochi non hanno bisogno di
assumere programmatori con competenze tecniche.”
Infine13: “In sintesi, l’eteromazione può essere interpretato come un meccani-
smo mediato dal computer di estrazione del valore economico da varie forme di
lavoro umano attraverso logiche inclusive, forme attive di impegno, un control-
lo invisibile. Questi attributi chiave dell’eteromazione – inclusività, impegno e
invisibilità - la rendono allo stesso tempo nuova, potente, pericolosa.”
Come spiegano Mary L. Gray e Siddharth Suri14: “Un aggregato significativo,
in una miriade di settori economici, è quello della manodopera on-demand
pagata per singolo compito.”
Quindi, i servizi automatizzati, compresa l’intelligenza artificiale, non possono
funzionare senza che gli esseri umani nel ciclo completino progetti che altri-
menti andrebbero oltre la capacità del solo software; sono quelli che loro chia-
mano i lavoratori fantasma.
Gray e Suri mettono in evidenza che: “una nuova “catena di montaggio digita-
le aggrega l’input collettivo di lavoratori distribuiti, spedisce pezzi di progetti
anziché prodotti” ... in effetti, l’uso di questa forza lavoro ombra fa parte di una
riorganizzazione più ampia e profonda dell’occupazione stessa15.”
Il loro libro analizza dettagliatamente, sulla base di un lavoro di ricerca sul
campo di quattro anni, i diversi livelli ed ambiti di questi lavori fantasma, dai
micro-task ai macro-task, dai modelli che lavorano per produrre un profitto a
quelli no-profit o di tipo cooperativo.
La loro sottolineatura del fatto che l’uso di questa forza lavoro ombra fa parte di
11
Ekbia, H., R. & Nardi B., A. - Heteromation, and Other Stories of Computing and Capitalism
(Acting with Technology)- The MIT Press, 2017
12
p. 35, La traduzione è dell’autore del presente articolo
13
Ibidem, p.39, Idem
14
Gray, M., L. & Suri, S. - Ghost Work. How to stop Silicon Valley from Building a New Global
Underclass- Houghton Mifflin Harcourt, Boston, 2019 – (traduzione dell’autore dell’articolo)
15
Ibidem, pp. IX - X
112
alternative per il socialismo O 55
un più generale processo sociale va presa molto seriamente. Il mondo che loro
analizzano è parte di quello che è stato definito capitalismo delle piattaforme16,
una nuova fase del capitalismo che utilizza le informazioni come materia prima
e il web come uno strumento produttivo. Non si tratta quindi di posizioni lavo-
rative residuali o marginali ma di un processo generale di riorganizzazione del
capitalismo. Non è difficile comprendere che ognuna di queste trasformazioni
di attività induce trasformazioni sociali ed economiche retroagendo o agendo
lungo le linee delle catene del valore.
16
Haskel, J. & Westlake, S., Capitalism Without Capital: The Rise of the Intangible Economy,
2017; Srnicek, N., Platform Capitalism, Polity Press, Cambridge, 2017; Wu, T, The Attention
Merchants. The Epic Scramble to Get Inside Our Heads, Alfred A. Knopf, New York, 2016; Som-
ma, A. (a cura di) - Lavoro alla spina, welfare à la carte: Lavoro e Stato sociale ai tempi della gig
economy – Meltemi, 2019
17
Vedi in proposito Frey, C., B. – The Technology Trap: Capital, Labor, and Power in the Age of
Automation. Princeton University Press, Kindle edition, 2019
18
Quelle che ci consentono di realizzare compiti nuovi o prima inimmaginabili, ad esempio il
telescopio.
19
Quelle che sostituiscono il lavoro prima svolto da un essere umano, ad esempio il telaio meccanico.
20
Per un’analisi critica dei paradossi dell’automazione vedi Frey, C., B. – op. cit.
21
Polanyi, M. – La Conoscenza Inespressa – Armando,1979.
113
LAVORO E AUTOMAZIONE O FRANCESCO GARIBALDO
La disoccupazione tecnologica
Rispetto a quanto riferito nel mio articolo di un anno fa25 si possono fare una
serie di puntualizzazioni. Il dibattito era allora dominato dallo studio di Carl
Benedikt Frey e Michael Osborne26. Secondo quello studio il rischio di disoccu-
22
Questa e le seguenti sono in Part V, Cap 12, Artificial Intelligence, positions 5578 - 6347
23
Position 6153
24
http://www.fondazionesabattini.it/download/743
25
Francesco Garibaldo “L’intelligenza artificiale e il lavoro” in Alternative per il Socialismo n.50
(maggio-giugno 2018).
26
Frey, C., Osborne, M. (2013). The future of employment: how susceptible are jobs to
computerisation? Oxford Martin School Working paper.
114
alternative per il socialismo O 55
27
http://www.fondazionesabattini.it/download/687
28
Frey, C., B., 2019 op. cit. Kindle edition position 5998, traduzione mia
29
Ibidem, position 6005, traduzione dell’autore dell’articolo
30
Ibidem, position 6041, traduzione dell’autore dell’articolo
31
McKinsey Global Institute, https://www.mckinsey.com/business-functions/mckinsey-analytics/
our-insights/how-artificial-intelligence-can-deliver-real-value-to-companies.
115
LAVORO E AUTOMAZIONE O FRANCESCO GARIBALDO
32
Per un’analisi del tempo di lavoro tra tempo vuoto e tempo saturo vedi Garibaldo, F. e Rebec-
chi, E. - If I cannot move heaven, I will raise hell. Wishes. – paper presentato alla Conferenza
CRASSH (CENTRE FOR RESEARCH IN THE ARTS, SOCIAL SCIENCES AND HUMANITIES)
su Tacit Engagement in the Digital Age
– 26 -28 giugno 2019 Cambridge – disponibile in italiano sul numero di Inchiesta in uscita
116
BIANCA M. POMERANZI alternative per il socialismo O 55
C
osa sia il “lavoro” è una preoccupazione femminista di vecchia data. Per molti
anni, noi femministe, abbiamo sostenuto la necessità di ripensarlo attraverso
l’ottica della riproduzione e della divisione dei ruoli sessuali. Per questo, di
fronte alla rivoluzione digitale che stiamo vivendo e all’industria 4.0 non si può
fare a meno di mantenere uno sguardo ampio sul cambiamento radicale che si
è compiuto sia nella produzione, dalla catena di montaggio ai robot intelligenti,
sia nella riproduzione sociale, con le biotecnologie, i processi di screening e le
applicazioni virtuali per i servizi. Dobbiamo quindi sapere leggere e confrontare
il digitale e il lavoro tra le interpretazioni femministe e i dati mainstream1.
Il termini è usato in riferimento agli studi compiuti da OCSE e altri istituti di ricerca delle istitu-
1
117
LAVORO E AUTOMAZIONE O BIANCA M. POMERANZI
Già a metà degli anni ottanta Donna Haraway nel suo Manifesto Cyborg ri-
badiva che “… Le dicotomie tra mente e corpo, animale e umano, organismo
e macchina, pubblico e privato, natura e cultura, uomini e donne, primitivo
e civilizzato, sono tutte messe ideologicamente in discussione. La situazione
effettiva delle donne è la loro relazione di integrazione/sfruttamento con un
sistema mondiale di produzione/riproduzione e comunicazione detto informa-
tica del dominio.
La casa, il luogo di lavoro, il mercato, l’arena pubblica, il corpo stesso, tutto può
essere disperso e interfacciato in modi polimorfi e pressoché infiniti, con con-
seguenze importanti per le donne e per altri, conseguenze che variano molto a
seconda delle persone e che rendono i potenti movimenti d’opposizione inter-
nazionale difficili da immaginare, ma essenziali per sopravvivere.
Un buon modo per ricostruire la politica del socialismo femminista è svilup-
pare una teoria e una pratica rivolte alle relazioni sociali della scienza e della
tecnologia ed è cruciale che siano inclusi i sistemi dei miti e i significati che
strutturano la nostra immaginazione. Il cyborg è una sorta di sé postmoder-
no collettivo e personale, disassemblato e riassemblato. … Le tecnologie della
comunicazione e le biotecnologie sono gli strumenti principali per ricostruire
i nostri corpi. Questi strumenti incorporano e impongono nuove relazioni so-
ciali per le donne di tutto il mondo. …”
Questo punto di vista fornisce un buon punto di partenza per esaminare le
relazioni di potere integrate nell’uso della tecnologia e torna oggi di grande
utilità. Infatti, cercare di includere le relazioni sociali, la scienza e la tecnologia
con “i sistemi di miti e significati che strutturano la nostra immaginazione”
è un modo per leggere il cambiamento del lavoro e della vita sociale nel suo
complesso e per contrastare il dominio della digitalizzazione e il massiccio in-
tensificarsi dell’insicurezza e dell’impoverimento culturale. Fornisce, anche,
strumenti per fare fronte ai processi che controllano la governance di Internet.
Una visione così creativa, purtroppo, non è contemplata nelle analisi “ufficiali”
sulla trasformazione tecnologica in atto a livello globale che definiscono i nuovi
scenari in cui l’intreccio di digitalizzazione e automazione espone il lavoro a
profondi cambiamenti.
118
alternative per il socialismo O 55
In : http://www.oecd.org/employment/Going-Digital-the-Future-of-Work-for-Women.pdf.
2
119
LAVORO E AUTOMAZIONE O BIANCA M. POMERANZI
In https://www.mckinsey.com/featured-insights/gender-equality/the-future-of-women-at-
3
work-transitions-in-the-age-of-automation
120
alternative per il socialismo O 55
dover lasciare il mercato del lavoro. In generale, il “divario digitale” tra uomini
e donne, anche in connessione con l’età, la situazione geografica, economica e
sociale, penalizza e continuerà a penalizzare per il futuro l’accesso alla tecno-
logia digitale della popolazione femminile. In alcuni paesi, poi, la mancanza
di infrastrutture e di diritti rende le donne meno disponibili al cambiamento.
Inoltre, anche se le donne sembrano essere più inclini degli uomini all’auto-
mazione, il processo di “transizione” è più complesso per loro, sia nei paesi a
economia matura che in quelli a economia emergente, per la persistenza in
occupazioni meno qualificate, per la violenza fisica di cui sono oggetto, per i
preconcetti e gli stereotipi nei loro confronti e per il minor tempo a disposizio-
ne negli studi e nella ricerca a causa del lavoro di cura all’interno della famiglia.
Riprendendo la quantificazione Ocse del lavoro domestico, che calcola in 1,1
trilioni di ore annuali il lavoro non retribuito delle donne, mentre quello degli
uomini è di appena 400 miliardi di ore, cioè un terzo, il rapporto enfatizza
l’enorme potenziale inespresso e altamente sottoutilizzato delle donne con il
dato, già presentato nel 2015, relativo al valore economico dell›effettiva ugua-
glianza tra uomini e donne, che potrebbe aumentare il Pil mondiale di 12 tri-
lioni di dollari entro il 2025.
In sintesi, le analisi femministe su produzione e riproduzione e sulla situazione
delle donne a livello mondiale, tornano negli scenari ufficiali sull’automazione
del lavoro anche se assumono solo la “curvatura” dell’adeguamento allo sche-
ma produttivo attuale, basato sull’individualismo e la competizione. Gli stati
e anche i privati sono chiamati a varare politiche che facilitino l’adeguamento.
Non c’è traccia in questi studi del carattere “trasformativo” che la riflessione
femminista sul lavoro ha introdotto negli studi economici e che permetterebbe
un miglioramento della qualità della vita di tutti, specialmente dopo la grande
crisi del 2008.
L’automazione e la cura
L’economia globale ha dato priorità alla crescita finanziaria, ma ha occultato il
fatto che le attività di relazione e di cura sono al centro di ciò che ci rende uma-
ni. Richiede creatività, empatia, costruzione di relazioni e lavoro emotivo e spi-
rituale. Come afferma Pascale Molinier4, studiosa francese della psicodinamica
del lavoro “…pensare il lavoro delle donne implica che si continui a decostruire
l’episteme virile e capitalista del lavoro. Non abbiamo ancora portato a termine
il programma femminista di ‘implosione’ e ri-concettualizzazione del lavoro”.
In particolare, l’ultima fase di globalizzazione del capitalismo neoliberale ha
accentuato la privatizzazione e la monetizzazione del lavoro di cura, ma non è
4
Pascale Molinier “Care: prendersi cura. Un lavoro inestimabile (Moretti&Vitali, 2019, pp. 192,
euro 17,00)
121
LAVORO E AUTOMAZIONE O BIANCA M. POMERANZI
Trasformazioni divergenti
Per concludere, domandarsi in che misura digitalizzazione e automazione in-
dustriale potranno interferire con la vita delle donne richiede di scegliere il
punto di vista da cui analizzare i dati esistenti e, soprattutto, di scegliere quali
dati valorizzare per identificare i processi di trasformazione più utili a correg-
gere le disfunzionalità e a cogliere eventuali opportunità.
Da una parte, infatti, c’è la lettura ortodossa fondata sull’ottica della pro-
duzione che suggerisce di cogliere l’occasione per superare una condizione di
122
alternative per il socialismo O 55
Nel “La Quarta Rivoluzione industriale sarà un’opportunità per le donne?” in: Il lavoro 4.0 : la
5
123
LAVORO E AUTOMAZIONE O BIANCA M. POMERANZI
Per questo motivo l’unica “transizione” valida dovrebbe essere orientata a tene-
re conto delle analisi femministe sulla riproduzione sociale e sull’opportunità di
trasformare il concetto stesso del lavoro, alla luce del “paradigma della cura”6.
In questo caso le politiche dovrebbero essere indirizzate non solo e non tanto a
fare recuperare alle donne “capacità” che permettano loro di stare al passo con
il mercato del lavoro, ma piuttosto di portare uno sguardo diverso sull’utilizzo
delle tecnologie e dell’automazione nei campi di attività umana in cui possono
rappresentare il miglioramento della vita.
Secondo Cristina Morini ad esempio 7: “I processi della riproduzione sociale
diventano terreno di esame più prezioso e più fondante dei processi produttivi
stessi, ribaltando una gerarchia storicamente consolidata. Da questo punto di
vista le teorie del capitalismo bio-cognitivo dialogano con i femminismi con-
temporanei, a differenza di altre chiavi di lettura pervicacemente dicotomiche,
che separano corpo e linguaggio, materia e vita psichica. Proprio su questo ver-
sante del lavoro cognitivo-relazionale, ovvero della riproduzione sociale con-
temporanea, del “lavoro socializzato”, del bio-lavoro globale, della “vita come
plusvalore” si sono succedute riflessioni, che cercano di andare oltre le analisi
già correttamente condotte sulla riproduzione legata al lavoro domestico e alla
divisione sessuale del lavoro”.
Ripartire da lì non significa adeguare al comando tecnologico la vita, ma rove-
sciare il punto di vista sulla produzione, su cosa occorre produrre e su come
mettere in discussione la logica fondamentale della nostra economia: la cresci-
ta del Pil come priorità assoluta. L’opera di costruzione delle famiglie, delle
comunità, delle istituzioni e della democrazia non è un lavoro che il capitale
può assorbire e monetizzare.
Le lotte delle donne contro ogni tipo di violenza e in ogni regione del pianeta
stanno dicendo proprio questo.
6
Vedi il testo “La cura del vivere” supplemento a Leggendaria n. 89, Settembre 2011 a cura del
Gruppo del Mercoledì (Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Laura Gallucci, Le-
tizia Paolozzi, Bianca M. Pomeranzi, Bia Sarasini, Rosetta Stella, Stefania Vulterini).
7
Vedi “Le Macerie dei populismi” in Alfabeta 2 del 13 novembre 2016, in https://www.alfabeta2.
it/tag/cristina-morini/
124
RICCARDO CAMPA alternative per il socialismo O 55
DENSITÀ ROBOTICA
E DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA.
UNA CORRELAZIONE REALE O IMMAGINARIA?
S
i sente spesso ripetere che c’è uno scollamento tra “mondo reale” e “politi-
ca”. Se si dà un’occhiata ai dati Oecd sulla disoccupazione e agli studi sulla
disoccupazione tecnologica si potrebbe concludere che lo scollamento esi-
ste anche tra “mondo reale” e “comunità scientifica”. Come vedremo, dati alla
mano, da un lato l’Oecd ci dice che il tasso di disoccupazione a livello globale
è rimasto più o meno invariato negli ultimi settant’anni, salvo i picchi che si
sono registrati durante le fasi recessive. Questi ultimi sarebbero imputabili alle
esplosioni delle bolle speculative o finanziarie, più che alla crescita della pro-
duttività. D’altro canto, sempre dati alla mano, si può dimostrare che stanno
aumentando sensibilmente le pubblicazioni scientifiche sulla disoccupazione
tecnologica. Sicché, si potrebbe anche pensare che gli scienziati sociali, non
meno dei politici, soffrano di allucinazioni o stiano semplicemente seguendo
125
LAVORO E AUTOMAZIONE O RICCARDO CAMPA
Un fatto di cronaca
Cominceremo il nostro discorso da un recente fatto di cronaca, del quale al-
cune testate straniere hanno dato notizia il 27 agosto 2019. Grazie alla lotta
dei sindacati e dei partiti sensibili ai temi del lavoro, nel corso degli anni, i la-
voratori salariati francesi hanno ottenuto una serie di tutele legali. Per esem-
pio, non possono essere costretti a lavorare di domenica, dopo le ore 13:00,
nei grandi supermercati. Sennonché, il 25 agosto 2019, l’ipermercato Géant
Casino La Roseraie, presso Angers, ha aperto le porte ai clienti fino alle nove
di sera, come durante i giorni feriali (France24, 2019). Come hanno fatto ad
aggirare la legge sul lavoro? Hanno completamente automatizzato le casse,
affidando i controlli esterni a guardie giurate di un’agenzia privata. Ciò che
hanno fatto è perfettamente legale, ma ha causato le proteste dei lavoratori e
dei politici locali. I quali sono però impotenti, giacché nel momento in cui la
legge è stata scritta non era stata presa in considerazione l’ipotesi dell’auto-
mazione integrale.
Tutto ciò induce a una riflessione. I lavoratori non sono stati costretti a lavo-
rare di domenica. La legge ha prodotto gli effetti previsti. Perché, dunque, i
lavoratori protestano? Perché, a questo punto, se l’esperimento funziona, non
sono più nemmeno sicuri di lavorare durante i giorni feriali. E, in futuro, con
il progredire della robotica, persino le guardie giurate potrebbero essere sosti-
tuite da macchine.
Se il settore della produzione di beni è da tempo soggetto a progressiva auto-
matizzazione, oppure a delocalizzazione, lasciando così poco margine di mano-
vra a sindacati e partiti orientati alla difesa del lavoro, si pensava che almeno
la distribuzione al dettaglio restasse campo di negoziati e tutele, non potendo
essere delocalizzata. L’automazione apre invece nuovi scenari anche in questo
settore. Prima di trarre delle conclusioni, facciamo il punto della situazione
sul processo di robotizzazione e sulla comprensione del fenomeno nel mondo
accademico.
126
alternative per il socialismo O 55
Figura 1: Numero di robot installati per 10.000 dipendenti nell’industria manifatturiera nel 2017
127
LAVORO E AUTOMAZIONE O RICCARDO CAMPA
2017, lo stock operativo raggiungerà il livello di tre milioni di unità nel 2020 e
si avvicinerà a 3,8 milioni di unità nel 2021» (ibid.). Ciò significa che, tra il 2018
e il 2021, quasi 2,1 milioni di nuovi robot industriali saranno installati nelle
fabbriche di tutto il mondo.
L’IFR riferisce inoltre che «nel 2017, le vendite di robot sono aumentate
del 30%, raggiungendo le 381.335 unità e segnando un nuovo picco per il
quinto anno consecutivo» (Ibid.). Negli ultimi cinque anni (2013-2017), il
volume delle vendite annuali di robot industriali è aumentato del 114% (cfr.
Figura 2).
Figura 2: Fornitura annuale di robot industriali nel periodo 2009-2017 (dato storico) e nel periodo
2018-2021 (previsione)
128
alternative per il socialismo O 55
dei robot ha contribuito per circa 0,36 punti percentuali alla crescita annuale
della produttività del lavoro, ottenendo nel contempo un aumento della pro-
duttività totale e una diminuzione dei costi dei fattori di produzione».
I dati dell’IFR mostrano che il prezzo dei robot industriali in sei grandi eco-
nomie sviluppate (Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Svezia e Regno Uni-
to) è quasi dimezzato nel periodo 1990-2005. Inoltre, la qualità dei robot
ha registrato continui miglioramenti. Se prendiamo in considerazione anche
questo aspetto, notiamo che il costo degli impianti robotici rapportato alla
qualità è diminuito dell’80% circa in tredici anni. Graetz e Michaels (2018:
33) concludono che «i prezzi dei robot rapportati alla qualità continuano a
scendere ad un ritmo simile a quello osservato negli ultimi decenni e, man
mano che vengono sviluppate nuove applicazioni, ci sono tutte le ragioni per
credere che continueranno ad aumentare la produttività del lavoro». Inutile
dire che questo aumento convincerà sempre più aziende a sostituire i lavora-
tori con tecnologie robotiche.
Si consideri che qui stiamo ricostruendo soltanto l’impatto economico dei
robot industriali. La densità robotica e lo stock di robot in termini assoluti
risulterebbero molto più elevati, se includessimo nella figura anche robot di
compagnia (Johanna Seibt et al. 2014), robot sociali (Hannes Bleuler et al.
2016; Campa 2016), robot medici (Achim Schweikard & Ernst Floris 2015),
robot militari (Vishnu Nath & Stephen E. Levinson 2014; Paul J. Springer
2018; Campa 2019), robot di servizio (Marco Ceccarelli 2012; Erwin Prassler
et al. 2012) e robot spaziali (da Jiar Milagre de Fonseca & Mauricio Nacib
Pontuschka 2015).
L’IFR ha da poco cominciato a monitorare anche il settore dei robot di servi-
zio, i quali promettono di avere un ruolo crescente nel settore della vendita e
distribuzione di beni e servizi, oltre che della produzione. Il rapporto World
Robotics 2018 Service Robots mostra che «il numero totale di robot di ser-
vizio professionali venduti nel 2017 è aumentato dell’85%, raggiungendo le
109.543 unità» (IFR 2018b). Il dato è considerevole, se lo si raffronta alle
59.269 unità censite nel 2016. Le statistiche ci dicono che «nel 2017 sono sta-
ti installati 69.000 sistemi logistici, il 162% in più rispetto al 2016 (26.294),
pari al 63% delle unità totali e al 36% delle vendite totali (in valore) di robot
di servizio professionali» (Ibid.). Il rapporto sui robot di servizio specifica
che «6.721 veicoli a guida automatica in ambienti di produzione e 62.211 in
ambienti non di produzione fanno registrare un aumento del 162% rispetto al
numero di veicoli a guida automatica venduti nel 2016» (Ibid.). Cresce anche
il numero delle aziende, situate principalmente in Europa, Nord America e
Asia, che sono coinvolte nella progettazione e nella costruzione di robot di
servizio sempre più sofisticati (Cfr. Fig. 3).
129
LAVORO E AUTOMAZIONE O RICCARDO CAMPA
Figura 3: Numero di produttori di robot di servizio di tutti i tipi (uso professionale e personale/
domestico) per regione di origine
Il nostro obiettivo non è ora stabilire con certezza il nome dello studioso che
ha coniato il termine, ma piuttosto identificare il momento in cui il termine è
emerso e ha preso slancio. Una ricerca qualitativa approfondita rivela che gli
elementi identificati da Ngram Viewer prima del 1920 sono fuorvianti. Que-
sto è il caso dell’occorrenza rilevata nell’Engineering Extension Bulletin. Come
talvolta accade, è stata identificata la data di fondazione della rivista accade-
mica (1919), piuttosto che la data di pubblicazione del numero effettivamente
contenente il termine (1946). Tuttavia, l’uso dell’espressione negli anni venti
130
alternative per il socialismo O 55
può essere documentato. Nel 1928, per esempio, Paul H. Douglas pubblicò un
articolo sul Labor Bulletin intitolato “Stiamo soffrendo di disoccupazione tec-
nologica?”. L’occorrenza del termine è documentata anche nel 1929, quando
l’economista marxista Jürgen Kuczynski pubblicò un articolo intitolato “Disoc-
cupazione tecnologica” nel volume Trade Unions Study Unemployment, curato
e pubblicato dalla Federazione Americana del Lavoro. L’uso di questo concetto
si diffuse molto rapidamente nel biennio 1930-31 e raggiunse l’apice intorno al
1935, nel pieno della Grande Depressione.
Vi è generale consenso sul fatto che l’articolo Economic Possibilities for our
Grandchildren, pubblicato nel 1930 da John Maynard Keynes, abbia dato un
contributo significativo al successo del termine “disoccupazione tecnologica”.
L’articolo di Keynes è ancora citato oggi e attualmente si contano almeno due-
mila citazioni dello stesso. L’economista inglese sosteneva che la disoccupazio-
ne tecnologica deve essere vista come un’opportunità più che come una disgra-
zia. La comparsa del fenomeno dimostra che il nostro sistema economico può
funzionare con poco lavoro. Sicché, entro cento anni – diceva – si potrà ridurre
l’orario di lavoro a tre ore al giorno, distribuite su cinque giorni lavorativi, per
complessive quindici ore settimanali, a parità di salario.
Siamo vicini all’anno 2030 e questo scenario sembra ancora appartenere alla
fantascienza. In molti paesi industriali, si lavora lo stesso numero di ore di cen-
to anni fa. Invece di «lavorare poco, lavorare tutti», c’è chi lavora troppo e chi
non lavora affatto. La Fig. 4 mostra che il concetto stesso di disoccupazione
tecnologica, dal 1935 al 2008, ha subito un costante declino. Non sorprende,
quindi, che non vi siano stati tentativi concreti di ridurre drasticamente l’orario
di lavoro. Il neoliberismo ha sostituito il keynesismo, in teoria e in pratica. In
131
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alternative per il socialismo O 55
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alternative per il socialismo O 55
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LAVORO E AUTOMAZIONE O RICCARDO CAMPA
Figura 8: Frequenza assoluta delle pubblicazioni che contengono il termine “structural unem-
ployment” (fonte: Google Scholar)
Tuttavia, una diminuzione del numero assoluto di articoli contenenti questo ter-
mine è chiaramente osservabile negli ultimi anni del decennio, a fronte di una
crescita dell’uso del concetto meno generico di disoccupazione tecnologica. Pre-
cisamente, nell’anno 2009, il termine “disoccupazione strutturale” è stato usato
circa dieci volte più del termine “disoccupazione tecnologica”, mentre – come
mostra la Fig. 9 – dieci anni più tardi le occorrenze delle pubblicazioni contenen-
ti il primo termine sono soltanto il doppio di quelle contenenti il secondo.
Figura 9: Analisi comparata tra le frequenze assolute delle pubblicazioni contenenti i termini
“technological unemployment” e “structural unemployment”
Ciò significa che un numero crescente di scienziati sociali oggi parla apertamen-
te di disoccupazione tecnologica, nonostante l’anatema lanciato in passato dai
grandi economisti neoliberisti. Resta in campo la nostra domanda: gli studiosi
che denunciano questo pericolo hanno le allucinazioni o vedono un fatto reale?
136
alternative per il socialismo O 55
Figura 10: Raffronto tra i dati della produzione industriale e il numero di lavoratori impiegati nel
settore manifatturiero negli Stati Uniti, nel periodo 1972-2014 (fonte: Federal Reserve)
137
LAVORO E AUTOMAZIONE O RICCARDO CAMPA
Figura 11: Andamento della disoccupazione nei paesi OCSE dal 1955 ad oggi
alle mancate riforme in senso liberista, qualcun altro ancora agli industriali che
non investono per mancanza di coraggio o spostano la produzione all’estero per
mancanza di patriottismo, ecc.).
Tuttavia, anche negli altri paesi Ocse, almeno fino al 2014, i valori della disoc-
cupazione erano rimasti alti, nonostante tutti i parametri economici avessero
registrato notevoli miglioramenti dopo la crisi del 2008. Perciò, diversi esper-
ti avevano attirato l’attenzione sull’effetto dirompente delle nuove tecnologie.
Successivamente, il livello della disoccupazione è iniziato a calare. Perché, al-
lora, si continua a parlare di disoccupazione tecnologica? Se è vero che alcuni
economisti ne parlano semplicemente per negarne la realtà, è anche vero che
molti altri esperti continuano a denunciarne il pericolo per l’immediato futuro.
La ragione per cui questo dibattito, nonostante i dati Ocse, non è fuori luogo
è che ci sono altri dati significativi che devono essere messi sul piatto della bi-
lancia. Innanzitutto, si deve raffrontare il (supposto) calo della disoccupazione
con il dato globale della popolazione lavorativa. Nonostante il numero di abi-
tanti nelle società industriali sia in aumento, anche per via dei flussi migratori
dal Sud al Nord del mondo, la percentuale di abitanti che lavora è in continua
diminuzione. Consideriamo ancora il caso americano. Come si può notare dal
grafico in Fig. 12, non diminuisce solo il numero di disoccupati, ma anche la
forza lavoro complessiva.
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alternative per il socialismo O 55
Figura 12: Raffronto tra il tasso di disoccupazione e il rapporto tra occupati e popolazione comples-
siva negli Stati Uniti, dal 2000 ad oggi
139
LAVORO E AUTOMAZIONE O RICCARDO CAMPA
In conclusione
Da quanto detto finora, si comprende che i numeri possono essere piegati da
una parte o dall’altra, a seconda delle definizioni a priori dei fenomeni che si in-
tendono misurare. Se si stabilisse che il disoccupato involontario è il lavoratore
che – dopo essere stato sostituito da una macchina – non riesce più a trovare
un’occupazione che offra lo stesso livello di retribuzione e sicurezza garantito
dal precedente impiego, ecco che saremmo meno inclini a concludere che la
disoccupazione tecnologica non esiste. Ricchi ereditieri ed ex lavoratori caduti
in disgrazia non potrebbero più essere messi nello stesso calderone statistico.
La morale della storia è che ci si può attaccare a un numero o a una statistica
per concludere che viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma il fatto davanti
agli occhi di tutti è che l’enorme sviluppo tecnologico di cui siamo testimoni
– uno sviluppo che potrebbe risolvere i problemi basilari di tutta l’umanità –
nell’ambito dell’attuale sistema di produzione e distribuzione della ricchezza,
non sta beneficiando tutte le classi sociali allo stesso modo (Campa 2017).
È inutile illudersi. Non ci sono facili soluzioni. In un’economia globalizzata,
con frontiere sempre più permeabili e sistemi economico-giuridici sempre più
simili, la continua minaccia della delocalizzazione impedisce a partiti e sin-
dacati di assumere quel ruolo di difensori della classe lavoratrice che hanno
avuto in passato. Il gioco è al ribasso. Com’è noto, si parla di tagliare le tasse ai
ricchi, di abbattere il costo del lavoro, di ridurre le tutele dei lavoratori, per at-
tirare gli investimenti. Tutto ciò potrebbe nel breve periodo rallentare gli effetti
indesiderati dell’automazione, ma a prezzi socialmente inaccettabili e soltan-
to temporaneamente, considerato che il costo dei robot è in continua discesa.
Nemmeno una politica attenta a ridurre gli effetti deleteri della globalizzazione
– diciamo di sinistra sovranista o destra sociale – riuscirebbe a garantire i diritti
conquistati dai lavoratori in decenni di lotte. Lo dimostra il caso Géant in Fran-
cia. Laddove il capitalista non può delocalizzare, può sempre automatizzare.
La soluzione in teoria c’è, ma oggi sembra persino utopica. Innanzitutto, si do-
vrebbe ristabilire il primato della politica, in tutti i paesi. In luogo di comitati
d’affari al servizio di banchieri e capitalisti, servirebbero statisti culturalmente
preparati e pronti a collaborare a livello internazionale. Il lavoro non manca.
Ci sono moltissime cose da fare. Si pensi soltanto a quante persone, qualificate
140
alternative per il socialismo O 55
e non qualificate, potrebbero essere impiegate per ripulire il pianeta o per as-
sistere le persone in difficoltà. Queste attività possono, però, essere finanziate
soltanto da denaro pubblico, anche quando coinvolgono soggetti privati. Non
sono di per sé remunerative, non rientrano nella logica catallattica, ma sono
vitali per la sopravvivenza della specie umana. D’altro canto, non si può nem-
meno pensare di affrontare questi problemi chiedendo denaro in prestito ai
privati e pagando loro gli interessi, o tassando solo i soggetti deboli, quelli che
non possono rifugiarsi nei paradisi fiscali.
Si è spesso ripetuto che, se vengono a mancare i lavoratori salariati, vengo-
no a mancare anche i consumatori e l’intero meccanismo si inceppa. L’idea di
risolvere il problema con il reddito di cittadinanza incontra forti resistenze,
soprattutto se il sussidio viene elargito soltanto a chi non lavora, creando nuove
ingiustizie. Per ora il sistema sembra reggere, ma se dovesse davvero inceppar-
si, lo si può rapidamente rimettere in moto impiegando la popolazione inattiva,
specialmente i giovani disoccupati, per ripulire l’ambiente o assistere i bisogno-
si. L’idea di istituire un servizio civile in grande scala, a dimensione internazio-
nale, retribuito dignitosamente, riconosciuto anche sul piano simbolico per la
sua utilità sociale, potrebbe essere meglio accolta dall’opinione pubblica. Non
si tratta semplicemente di aumentare la schiera dei dipendenti statali, per adi-
birli a compiti di dubbia utilità, finanziando l’operazione con i mezzi consueti,
ovvero aumentando il debito pubblico e le tasse. Si tratta di mettere in atto una
misura straordinaria, fuori dalla logica del mercato, com’è stato il quantitative
easing. Un’enorme massa di denaro è stata creata dal nulla per salvare il siste-
ma finanziario. Quando verrà il momento di salvare milioni di vite umane o gli
stessi equilibri ecologici del pianeta, si potrà finalmente pensare a un quantita-
tive easing con finalità sociali?
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COMMERCIO E MONETA
Vent’anni fa il crollo del Wto a Seattle. Ma il Conte bis conferma Ceta e Ttip.
Si fa finta di non vedere la delusione del commercio internazionale. La metà
del commercio mondiale avviene tramite accordi extra Wto. Il commercio
mondiale resta un affare per pochi: povertà e fame in aumento su scala globale.
Oggi, di fronte all’evidente instabilità climatica e sociale che minacciano la
sopravvivenza del pianeta, si condividono appelli e solenni impegni per il taglio
delle emissioni globali, lo sviluppo sostenibile, l’economia circolare. Nonostante
questo né la Ue né i singoli governi cambiano le loro pratiche. Quello che invece
si dovrebbe e si potrebbe fare per difendere il clima e la nostra sopravvivenza.
Lo spazio che si è aperto a Seattle con il movimento altromondialista è tuttora
presidiato da organizzazioni, movimenti, sindacati, tante ragazze e ragazzi,
pochissimi partiti. Va spalancato, invaso, organizzato e comunicato con
rinnovata capacità e capacità di convergenza politica e costituente.
«S
ono determinato ad andare avanti sulla via del commercio libero e della
crescita economica, assicurando che l›economia globale abbia un volto
umano»1 Bill Clinton, presidente degli Usa e ‘padre’ politico dell’Orga-
nizzazione mondiale del commercio, commentò così il crollo della Conferenza
ministeriale della Wto a Seattle il 29 novembre 1999. Esattamente vent’anni
fa l’organizzazione collassò per la prima volta: innanzitutto al proprio interno,
sotto la pressione dei Paesi emergenti che non volevano più accettare che le re-
gole del commercio globale fossero sartorialmente disegnate sulle esigenze del-
le élites industriali di Europa e Stati Uniti. E poi fuori dal vertice, dove migliaia
di lavoratori, studenti, ambientalisti, sindacalisti, indigeni, attivisti e contadi-
ni arrivati dai quattro angoli del pianeta riuscirono a bloccarne gli accessi e a
spiegare come i colpi all’occupazione, ai diritti dei lavoratori, all’ambiente e
alla qualità delle produzioni stesse, scatenati dalle delocalizzazioni e dalla sem-
pre più scarsa trasparenza delle filiere globalizzate che stavano informando e
deformando tutti i mercati, non fossero che effetti collaterali prevedibili delle
politiche della Wto.
“Globalizzazione non vuol dire mangiare tutti lo stesso hamburger, ma fare
convivere persone che pensano diversamente su ogni cosa e che pretendono
147
COMMERCIO E MONETA O MONICA DI SISTO
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alternative per il socialismo O 55
fa sì che la forma attuale della rete degli scambi sia caratterizzata da un grado
di inerzia molto alto, e che l’ambizione di ‘riportare in patri’ produzioni prece-
dentemente dislocate altrove (nel mondo emergente) sia destinata a ridimen-
sionarsi6”. All’interno della ristretta cerchia delle imprese esportatrici, spiega
invece Unctad, l’1% delle imprese più grandi capitalizza in media il 57% delle
esportazioni di ciascun Paese. Dopo la crisi finanziaria globale, le 5 più grandi
imprese esportatrici, in media, rappresentavano il 30% delle esportazioni totali
di ciascun Paese. Anche durante il “boom commerciale” tra i primi anni 2000
e il 2007, la quota del Pil catturata dai salari è scesa dal 57,5% a meno del 55 %
nei Paesi sviluppati, e dal 53 al 49,5 % nei Paesi in via di sviluppo. Questa ten-
denza, dai primi anni ‹90 ad oggi, ha comportato un massiccio trasferimento
di reddito da lavoro al reddito da capitale (4% del PIL negli Stati Uniti, il 5% in
Germania, il 10% in Francia, il 12% in Italia)7.
Nonostante l’ampia retorica diffusa sulla guerra dei dazi e il protezionismo cre-
scente che impedirebbe il futuro luminoso del commercio globale, i dati di real-
tà riportati dall’Unctad sulle politiche commerciali chiariscono senza margine
d’errore che “i livelli dei dazi sono rimasti sostanzialmente stabili negli ultimi
anni e la protezione tariffaria resta un fattore critico solo in alcuni settori in un
numero limitato di mercati”. A partire dal 2017, il valore del dazio medio nei
paesi sviluppati è dell’1,2% circa, è rimasto, per motivi di sviluppo diseguale,
più elevato in molti Paesi in via di sviluppo, in particolare nell’Asia meridionale
e nei paesi dell’Africa sub-sahariana. Tra i settori dove i picchi tariffari sono più
elevati ne troviamo alcuni di interesse chiave per Paesi a basso reddito come
l’agricoltura (dove la tariffa media per l’export dei Paesi in via di sviluppo va dal
2,5% per i rapporti preferenziali dovuti a specifici accordi, a un 20% di media
per i rapporti commerciali che non rientrano in queste casistiche8), l’abbiglia-
mento, i prodotti tessili e in pelle, che in larga parte si misurano anch’essi per le
materie prime con agricoltura e allevamento.
A chi, invece, indica nella crisi della Wto la causa del rallentamento del com-
mercio globale, l’Unctad spiega ancora che “già nel 2017 circa il 50% del com-
mercio mondiale si svolgeva tra Paesi che avevano sottoscritto un accordo com-
merciale di liberalizzazione preferenziale extra Wto (passati da meno di 150
mappati nel 2005 agli oltre 300 del 2017) e un terzo era regolato da accordi
commerciali di liberalizzazione approfondita”8, quindi relativi anche a settori
non raggiunti dal perimetro multilaterale. Questi accordi, però, incidono di più
sul commercio dei Paesi avanzati che su tutti gli altri: “per i Paesi dell’Unione
Europea – spiega ancora l’Unctad - oltre il 75% degli scambi avviene all’interno
di un accordo preferenziale e oltre il 50% all’interno di accordi approfonditi. La
maggior parte degli scambi dei Paesi in via di sviluppo si verifica ancora al di
fuori delle norme di preferenza, con notevoli eccezioni in alcuni Paesi del Sud-
Est asiatico, dell’Africa meridionale e dell’America latina”9.
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alternative per il socialismo O 55
so tempo, la quota guadagnata dal 20% dei più retribuiti, è aumentata, dal 51,3
% al 53,5 %. Tra i Paesi in cui queste già pingui buste paga si sono ingrassate di
almeno un punto percentuale troviamo il Pakistan, l’Indonesia, poi gli Usa, la
Germania, il Regno Unito e la nostra bella Italia.14 34 Paesi del mondo sono an-
cora classificati “a basso reddito” (Low-Income Countries – Icc): sono la metà
rispetto al 2001, perché l’altra metà si è spostata nella fascia a medio reddito.
Gli ultimi 34, però, spiega la Banca Mondiale, sono economicamente più fragili
di prima anche perché confidando per gran parte del proprio Pil sull’export, e
in particolare sulle esportazioni agricole, sono i più esposti ai rovesci dei cam-
biamenti climatici15.
151
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alternative per il socialismo O 55
guardanti proprio il dialogo tra Canada e Europa sulla cornice regolatoria sono
stati tagliati e incollati senza alcun ritegno dai documenti di posizione della Ca-
mera di commercio Canadese e di Business Europe, la Confindustria della Ue18.
Ma questo non impedisce che ancora oggi parte delle forze politiche del nostro
Paese ne sia convinta tifosa, a rischio di scuotere gli equilibri di governo, come
è successo di recente da parte della ministra all’Agricoltura Teresa Bellanova19.
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COMMERCIO E MONETA O MONICA DI SISTO
delle sue competenze politiche in sede Onu, come pure i movimenti chiedono
proprio da Seattle in poi25.
Il nuovo Accordo dovrebbe sancire che i beni e i servizi che sono responsabili di
alti livelli di emissioni dovrebbero essere esclusi dalle facilitazioni commerciali
negoziate. È opportuno stabilire riduzioni tariffarie per i “beni e servizi verdi”,
garantendo al contempo che i produttori di media e piccola scala non siano
indebitamente espulsi dai mercati locali, ma anzi valorizzati tramite specifiche
azioni di adattamento e riconversione territoriale partecipata. Definizioni e cri-
teri per l’individuazione di “beni e servizi verdi” devono essere chiari e specifici,
poiché definizioni inadeguate potrebbero stimolare involontariamente scambi
commerciali di merci dannose, come verificatosi negli specifici negoziati Wto
(Ega) in cui la produzione nucleare di energia veniva ricompresa tra i servizi
green.26
I governi devono poter continuare a utilizzare dazi e quote per favorire lo svi-
luppo delle industrie domestiche sostenibili e rispettose del clima. Dovrebbe
essere imposta alle frontiere esterne – regionali o nazionali - una Carbon tax
per le merci prodotte nei paesi sviluppati che rimangono al di fuori del regime
internazionale di mitigazione dei cambiamenti climatici e che non applicano
un prezzo equivalente alle emissioni di carbonio come meccanismo di adegua-
mento (Border Carbon Adjustment). Le entrate generate dalla Carbon tax do-
vrebbero essere reinvestite nella transizione energetica dei paesi con livelli di
emissioni storicamente bassi per aumentare la loro prosperità attraverso l’in-
verdimento delle loro industrie e la fornitura di energia.
Dovrebbe essere compresa nel nuovo Gatt una tassa sulle emissioni del tra-
sporto aereo e marittimo visto che gli attuali accordi commerciali aumentano
le emissioni di gas a effetto serra a causa del loro ruolo nell’espansione di queste
modalità logistiche27. Si dovrebbe, inoltre, salvaguardare la capacità degli Stati
di tassare i prodotti che hanno un impatto ambientale significativo nelle fasi
di produzione, trasformazione, trasporto e fine vita. Un prelievo equivalente
dovrebbe essere imposto quando questi prodotti e servizi vengono importati.
Bisogna introdurre un graduale bando dei sussidi (a produzione, trasporto e
trasformazione) per i combustibili fossili, visto che promuovono l’uso di ener-
gia inquinante. Come pure dovrebbe essere introdotta la possibilità di limitare
o addirittura decretare il bando di beni e servizi che abbiano gravi ripercussioni
negative sui diritti umani.
L’ammissione degli Stati alle facilitazioni commerciali dovrebbe essere gra-
duata rispetto al loro livello di adesione alle convenzioni dell’Organizzazione
internazionale del lavoro, alle convenzioni Onu e ai diritti umani. L’Italia, in
questo ambito, potrebbe essere un laboratorio rilevante: Nel Piano di azione
nazionale (Pan) su Impresa e Diritti Umani 2016-202128, il Governo italiano,
relativamente al Primo principio guida, si è impegnato “in relazione al processo
154
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156
alternative per il socialismo O 55
157
COMMERCIO E MONETA O MONICA DI SISTO
Note
1
http://www.repubblica.it/online/economia/wto/reazioni/reazioni.html
2https://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2019/09/04/PROGRAMMA-GOVERNO-
4-settembre-2019.pdf?sfns=mo
3
https://espresso.repubblica.it/palazzo/2018/05/18/news/contratto-di-governo-lega-m5s-ecco-il-
testo-definitivo-1.322214
4
https://www.coldiretti.it/economia/falso-made-italy-sale-100-mld-70-10-anni
5
https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/tdr2018_en.pdf, p.V
6
https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/tendenze-delle-imprese-e-dei-
sistemi-industriali/tutti/dettaglio/rapporto-industria%20-italiana%20-2019
7
https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/tdr2018_en.pdf, p. 28
8
https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/ditctab2019d1_en.pdf, p. 8-9
9
Ivi, p. 16
10
Ivi, p. 17 p. 6 e segg.
11
https://www.worldbank.org/en/publication/global-economic-prospects
12
https://www.overshootday.org/
13
https://www.overshootday.org/newsroom/press-release-july-2019-italian/
14
http://www.fao.org/state-of-food-security-nutrition/en/
15
https://www.ilo.org/global/about-the-ilo/newsroom/news/WCMS_712234/lang--en/index.htm
http://pubdocs.worldbank.org/en/985861557262560388/Global-Economic-Prospects-June-
16
2019-Topical-Issue-growth-in-LICs.pdf
17
https://stop-ttip-italia.net/wp-content/uploads/2019/05/CropLife-RegCo-Plan.pdf
18
https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2019-04/cp190052it.pdf
https://corporateeurope.org/sites/default/files/attachments/ceo_regulatory_
19
cooperation_06.1.pdf
20
https://www.bilaterals.org/spip.php?page=print-art&id_article=38580&lang=en
Fernández-Amador, O., Francois, J. F., Tomberger, P., 2016. Carbon dioxide emissions and inter-
21
national trade at the turn of the millenium. Ecological Economics 125, 14–26.
22
European Parliament, 2015. Emission Reduction Targets for International Aviation and Ship-
ping. Policy Department Study for the ENVI Committee, November 2015
23
http://www.fao.org/3/a-i6583e.pdf
24
https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/tdr2018_en.pdf
158
alternative per il socialismo O 55
25
https://comune-info.net/lultimo-tango-della-wto/
26
& Environment, 2015. Briefing: Environmental Goods Agreement. Brussels, September 2015.
Keen, M., Parry, I., Strand, J., 2013. Planes, Ships and Taxes: Charging for International Avia-
27
Box382162B00PUBLIC0.pdf?sequence=1&isAllowed=y
36
Ivi, p. 104
37
https://www.bilaterals.org/spip.php?page=print-art&id_article=38580&lang=en, p. 3
38
https://stop-ttip-italia.net/2014/03/07/ttip-no-allaccordo-usa-ue-plasmato-sugli-interessi-
delle-imprese/
39
https://stop-ttip-italia.net/2018/09/20/brutti-fratelli-del-ceta-333/
40
Polanyi, K. (1957) The Great Transformation. Boston: Beacon.
Ashish Kothari, Federico Demaria, and Alberto Acosta, “Buen Vivir, Degrowth, and Ecological
41
Swaraj: Alternatives to Sustainable Development and the Green Economy,” Development, Vol.
57, Nos. 3-4 (2014), p. 371.
159
MASSIMO AMATO*
Come diceva John Stuart Mill la moneta è del tutto insignificante, salvo quando
smette di funzionare. Ma se questa eventualità dipendesse proprio dal sistema
capitalistico? Ne conseguirebbe che uno dei modi per uscire dal capitalismo è
proprio quello di ri-formare, dare cioè nuova forma alla moneta. Ma non è un
problema semplice. Come affermava Keynes l’economia non è una macchina e
la si può ridurre a un modello. Quando Keynes a Bretton Woods deve spiegare
il senso profondamente cooperativo, e pacifista, della International Clearing
Union (Camera di Compensazione Internazionale), non esita a sottolineare
l’obbligazione del creditore a liberarsi della moneta che si accumula nei
suoi surplus. Keynes stimava molto Silvio Gesell, imprenditore, economista
“eterodosso” e anarchico, che è stato il primo a proporre l’introduzione di
“costi artificiali”, cioè di tasse sulla detenzione di moneta. Il suo intento era
togliere sistematicamente alla moneta il suo tratto di riserva di valore, ossia,
in altri termini, la sua accumulabilità indefinita e dunque la sua indefinita
sottraibilità alla circolazione. All’accumulazione va opposta la socializzazione
degli investimenti. C’è un criterio per distinguere una buona innovazione
monetaria: la buona moneta è fatta in modo tale da circolare e rendere possibili
scambi che senza di essa non possono aver luogo. Per questo sono utili le monete
complementari, se ben fatte. Esempi concreti ce ne sono, come il Sardex. Si
tratterebbe di monete complementari locali, pensate per sostenere localmente il
funzionamento della moneta ufficiale, e non per opporvisi e sostituirla. Sono
complementari perché non sostituiscono l’euro, a cui restano agganciate, e
perché attivano meccanismi finanziari complementari a quelli bancari classici.
Sarebbe ora che la sinistra se ne occupasse seriamente
M
olti hanno osservato che, storicamente, gli economisti accademici si oc-
cupano sistematicamente di moneta solo in periodi di grave crisi struttu-
rale del capitalismo. È un’osservazione che da storico del pensiero econo-
mico non posso che confermare.
Ma il vero paradosso (che forse svela la natura antieconomica del capitalismo)
è che al di fuori di questi rari momenti di (cattiva) autocoscienza, un sistema
che si vorrebbe razionale, universale e definitivo abbia trovato la sua rappresen-
160
alternative per il socialismo O 55
1
O. Blanchard, L. Summers, Rethinking Stabilization Policy. Evolution or Revolution?, https://
piie.com/events/rethinking-macroeconomic-policy, 2018
2
P. Romer, The trouble with macroeconomics [2016], “The American Economist”, in corso di pub-
blicazione.
161
COMMERCIO E MONETA O MASSIMO AMATO
Insomma, se è vero che dei modelli ortodossi è possibile e doveroso dire che sono
astratti, astrusi e al fondo sbagliati nelle loro ipotesi di partenza, e nella loro inca-
pacità di assegnare alla moneta un ruolo attivo nella determinazione di equilibri
e squilibri, ciò non autorizza a darsi “anima e mente” alla Modern Money Theory
o ai miniBoT. Semplicemente perché se non è quasi mai vero che l’austerità è
espansiva, non è nemmeno affatto detto che ogni spesa in deficit lo sarà. L’espe-
rienza con il precedente governo potrebbe quantomeno suggerircelo.
Una cosa infatti, che tende a sfuggire ai più, e che dunque accomuna gli “oppo-
sti estremismi” orto- ed eterodossi, è l’idea che l’economia sia un meccanismo,
per cui, una volta che la macchina sia stata ben “assemblata”, tutto non potrà
che andare avanti meccanicamente.
3
J. M. Keynes, A Tract on Monetary Reform [1923], in The Collected Writings of John Maynard
Keynes, Macmillan and Cambridge University Press, London and Cambridge, 1971–89, vol. 4.
Trad. it. di P. Sraffa, La riforma monetaria, Feltrinelli, Milano 1974.
4
J. M. Keynes, A Treatise on Money [1930], in Collected Writings, cit., vol. 5. Trad. it Trattato sulla
moneta, Feltrinelli, Milano 1979.
J. M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money [1936], in Collected Writ-
5
ings, cit., vol. 7. Trad. it Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET
Torino 2006.
162
alternative per il socialismo O 55
6
J.M. Keynes, Post-war Currency Policy [8 settembre 1941] Collected Writings, cit., vol. XXV, pp.
21-33, tradotto in J.M. Keynes, Moneta internazionale Un piano per la libertà del commercio e il
disarmo finanziario, traduzione e cura di L. Fantacci, Il Saggiatore, Milano 2016, p. 68.
163
COMMERCIO E MONETA O MASSIMO AMATO
senza usare propositi buonisti, sostenere la necessità di una tassa sui crediti
internazionali accumulati dai paesi in surplus, che induca i creditori a liberar-
si del proprio credito spendendolo e a non esercitare una pressione deflattiva
sull’intero sistema degli scambi internazionali, e dunque, come Keynes non
manca di sottolineare, “in ultima analisi sui creditori stessi”.
Si tratta della stessa proposta che ho avanzato per rilanciare gli scambi all’in-
terno della zona euro7. Ma ciò che qui interessa, e che ci porta al tema delle
monete complementari e del loro possibile ruolo nel quadro di una riforma
monetaria, è che Keynes chiama questa clausola la “clausola Gesell”.
7
M. Amato, Euro, uscire o riformare? Un’alternativa all’effetto Titanic, “il manifesto”, 26/05/2019.
8
J.M. Keynes, The General Theory of Employment, “Quarterly Journal of Economics”, feb. 1937,
pp. 209-223.
164
alternative per il socialismo O 55
Si veda il IV capitolo del suo Discorso sull’economia politica, Bollati Boringhieri, Torino 1985,
9
che verrà ripubblicato a giorni dalla casa editrice Orthotes, con un’introduzione e una postfazio-
ne che daranno conto della sua sorprendente attualità.
165
COMMERCIO E MONETA O MASSIMO AMATO
Quali riforme?
È in questo tipo di considerazioni che si radicano tanto l’urgenza quanto la plau-
sibilità di una riforma dell’architettura monetaria globale, che non può certo
andare nella direzione privatistica auspicata del progetto Libra lanciato da Fa-
cebook. Ma non solo: anche le unioni monetarie (zona euro e zona Cfa) esigono
di essere modificate. Si tratta di incidere, anche a livello locale, sulle modalità di
circolazione della moneta, posto che i canali usuali di trasmissione della politica
monetaria funzionano sempre meno, come dimostra l’inefficacia strutturale del
quantitative easing rispetto al finanziamento degli investimenti reali.
Qui si pone il tema delle monete complementari. Da tempo se ne parla, e i
progetti si moltiplicano a tutti i livelli: dal progetto globale di Libra, alla ripresa
di camere di compensazione locali (Wir in Svizzera, e più recentemente Sardex
in Italia), alle monete fiscali (il famoso “piano B” di Varoufakis, ma anche le
intelligenti proposte di Gennaro Zezza)10, a esperimenti ideologici e strumen-
tali come i miniBoT. Così come nel grande campo dell’eterodossia c’è spazio
per gli “eretici coraggiosi” e per gli “energumeni monetari”, nel grande sacco
delle monete alternative c’è di tutto, progetti buoni e progetti pessimi. Tutto ciò
testimonia certo, dell’urgenza di un cambiamento e della debolezza dello sta-
tus quo monetario. Ma bisogna saper distinguere, tenendo lontane le distopie
potenzialmente distruttive e/o autoritarie e non avendo paura di quelle che solo
apparentemente sono utopie, e che invece serbano la possibilità di una demo-
cratizzazione dell’economico.
Come mi è già capitato di scrivere, “c’è un criterio per distinguere una buona
innovazione monetaria: la buona moneta è fatta in modo tale da circolare e ren-
dere possibili scambi che senza di essa non possono aver luogo. C’è un evidente
rapporto fra l’esigenza di uno stimolo della domanda e la disponibilità di moneta
in circolazione: la domanda è effettiva quando non risponde solo, astrattamente,
a bisogni reali, ma quando si esprime con una concreta disponibilità a spendere
del denaro che si ha”11. Sulla base di quanto finora detto, per esempio, il progetto
Libra appare per quello che è: quello di una moneta bancaria di riserva, emessa
e gestita al di fuori delle poche, sicuramente insufficienti, ma nondimeno impor-
tanti regole che disciplinano il funzionamento delle banche12.
10
Si vedano, a questo proposito, e rispettivamente, M. Amato, A. Papetti, La monnaie fiscale et le
soutien de l’euro(pe). Pour une réforme de l’architecture monétaire européenne, “Revue Française
de Socio-Économie”, 2019/1 n° 22, pp. 195-204, e M. Amato, L. Fantacci, D. Papadimitriou, G.
Zezza, Going Forward from B to A? Proposals for the Eurozone Crisis, “Economies”, 2016
11
M. Amato Altro che miniBoT, per la ripresa servono monete complementari ben fatte, “Valori”,
7/6/2019.
12
M. Amato, Arriva Libra, qualcuno svegli gli Stati: Facebook ha emesso una moneta che sfugge a
ogni controllo, “Linkiesta”, 20/6/2019.
166
alternative per il socialismo O 55
Le monete complementari
Esiste invece la possibilità di tornare alla Bretton Woods che Keynes avrebbe
voluto, e di costruire camere di compensazione internazionali, o continentali (in
Europa per esempio, dove una camera di compensazione a livello dell’euro esiste
già e potrebbe essere portata a compimento senza nemmeno cambiare i trattati).
Esiste, più in generale, la possibilità di costruire monete comuni che con il loro
modo di circolazione contribuiscano al riassorbimento degli squilibri globali che
hanno portato alla crisi e che stanno favorendo la sua prossima recrudescenza.
Infine, esiste la possibilità di replicare lo stesso funzionamento a livello locale.
Il circuito Wir e il circuito Sardex, già citati, funzionano sulla base della stessa
logica della International Clearing Union. Sono circuiti di compensazione fra
imprese che, nel caso di Sardex, si sono estesi anche ai lavoratori e ai consumatori
e che potrebbero includere anche le amministrazioni pubbliche.
Si tratterebbe di monete complementari locali, cioè pensate per sostenere lo-
calmente il funzionamento della moneta ufficiale, e non per opporvisi e sostitu-
irla. Sono complementari perché non sostituiscono l’euro, a cui restano aggan-
ciate, e perché attivano meccanismi finanziari complementari a quelli bancari
classici. Entrando più nel dettaglio: in un circuito di compensazione l’impresa
A può pagare le sue forniture dall’impresa B con la vendita dei suoi prodotti
all’impresa C. Si tratta di un modo di pagamento che è anche una forma di
finanziamento del capitale circolante. Che tuttavia non può essere usata per
il finanziamento del capitale fisso, cioè degli investimenti propriamente detti.
E tuttavia, nella misura in cui il circuito riduce l’indebitamento delle imprese
verso le banche per il capitale circolante, le rende più solvibili e meno rischiose
per le banche nel caso di un finanziamento a medio-lungo temine.
Complementari sono anche le monete fiscali ben congegnate, che “chiudono”
il circuito nel quale sono utilizzate grazie alla loro natura di sconti fiscali. In
un caso come nell’altro, cruciale è il livello della loro emissione. Nel caso delle
monete fiscali, il livello di emissione deve essere compatibile con una gestione
certo non “austeritaria” ma comunque responsabile dei conti pubblici. La mo-
neta fiscale deve tenere conto della riduzione di gettito che lo sconto implica, e
che solo entro certi limiti può essere compensata degli effetti espansivi che la
sua emissione può generare.
Nel caso delle monete complementari locali, le decisioni di emissione non pos-
sono essere lasciate a soggetti guidati da una pura logica di profitto, ma devono
essere prese da soggetti rispondenti a precisi vincoli di comportamento, anche
se non necessariamente devono essere pubblici nel senso di statuali. Un siste-
ma di mutual credit può essere “governato” dagli stessi soggetti che ne benefi-
ciano, una logica, come dicono gli anglosassoni, multi-stakeholder.
Questo era lo spirito di un progetto di legge depositato nella precedente legisla-
tura da un deputato dell’allora maggioranza di governo, ma che è stato lasciato
167
COMMERCIO E MONETA O MASSIMO AMATO
Lo “spirito di Gesell”
Nel capitolo 23 della Teoria generale, a Silvio Gesell Keynes non lesina né le
lodi (ne parla come di un “profeta ingiustamente negletto”) né le critiche (la sua
13
Cfr. “Delega al Governo per la disciplina dell’emissione e della circolazione delle monete comple-
mentari” (2582), XVII legislatura, https://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=2582.
14
J. M. Keynes, A Tract on Monetary Reform, cit., p. 124.
168
alternative per il socialismo O 55
169
SAGGI
ORDO-LIBERALISMO E ORDO-MACCHINISMO:
L’ECLISSI DELLA DEMOCRAZIA E DELLA GIUSTIZIA SOCIALE
LELIO DEMICHELIS O 189
N
el corso degli anni settanta, il dibattito economico e politico in Italia, so-
prattutto all’interno del Pci, ruotava attorno alla contrapposizione fra una
visione definita ‘compatibilista’ – il cui massimo esponente fu Franco Mo-
digliani, seguito dai giovani allievi Tommaso Padoa Schioppa ed Ezio Tarantelli
– e una visione definita ‘conflittualista’ – che faceva prevalentemente riferimen-
to agli studi di Augusto Graziani.
La tesi di Modigliani è così schematizzabile. Una condizione di alti salari rea-
li – resa tale da un elevato potere contrattuale dei sindacati nell’Italia di quel
periodo e dall’esistenza di un meccanismo di indicizzazione dei salari monetari
al tasso di inflazione (la c.d. scala mobile) – frena la crescita e danneggia i lavo-
ratori nel loro complesso, contribuendo ad accentuare la configurazione duale
del mercato del lavoro (lavoratori iperprotetti vs. lavoratori disoccupati). Lo
schema teorico di riferimento poggiava sui seguenti passaggi logici.
i) Alti salari si associano a prezzi elevati; prezzi elevati determinano perdita di
competitività delle imprese italiane nei mercati internazionali, per conseguen-
za compressione delle esportazioni, riduzione del tasso di crescita e riduzione
dell’occupazione;
ii) Alti salari disincentivano le assunzioni, riducendo la domanda di lavoro e
generando disoccupazione (Modigliani, 1963)1.
1 La teoria neoclassica del mercato del lavoro, alla base dello schema compatibilista e ieri come
oggi dominante nell’accademia, costituisce la base teorica delle politiche del lavoro messe in
atto in Italia negli ultimi anni. È una modellistica che, nella sua formulazione di base, tratta il
mercato del lavoro come un mercato ‘isolato’ dagli altri, nel quale si incontrano una funzione
di domanda di lavoro, espressa dalle imprese, decrescente rispetto al salario, e una funzione di
offerta di lavoro, espressa dai lavoratori, crescente rispetto al salario. In un contesto di libera
fluttuazione del salario, l’incontro fra domanda e offerta definisce il punto di equilibrio, nel
quale è determinato simultaneamente il salario di equilibrio e l’occupazione di equilibrio. In
corrispondenza di questo punto, esiste esclusivamente disoccupazione volontaria. La relazione
inversa fra salario e occupazione dipende da un’ipotesi estremamente restrittiva e discutibile, che
fa riferimento all’idea per la quale al crescere del numero di occupati – riducendosi la dotazione
di capitale per addetto – si riduce la produttività marginale del lavoro e, per conseguenza, la
domanda di lavoro espressa dalle imprese. Si tratta di un’ipotesi restrittiva, dal momento che
assume che tutte le imprese in ogni circostanza di tempo e di luogo operano con il medesimo
assetto tecnologico. Questa visione – ovviamente del tutto irrealistica – viene, a sua volta,
motivata con l’ipotesi – altrettanto irrealistica - per la quale esiste un’impresa “rappresentativa”,
173
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
che, operando con una tecnologia con rendimenti marginali decrescenti, ottiene i massimi profitti
quando il salario reale eguaglia la produttività del lavoro. Questa condizione è concepita come
una condizione di equilibrio di pieno impiego, così che può esistere disoccupazione involontaria
solo se intervengono istituzioni esterne al mercato del lavoro (Stato e/o sindacato) che fissano
il salario al di sopra del suo livello di equilibrio. Si tratta anche di un’ipotesi discutibile dal
momento che, sebbene non sempre esplicitato, fa riferimento a una teoria della distribuzione del
reddito eticamente connotata in senso meritocratico: in altri termini, si ritiene che l’eguaglianza
fra salario reale e produttività marginale del lavoro sia non solo una condizione di efficienza ma
anche di equità [quest’ultima considerazione, non esplicitata nella modellistica contemporanea,
si può far risalire a John Bates Clark (1965 [1899])].
2
Definita da Tarantelli un “residuo ideologico”. Sulla scala mobile torneremo più diffusamente
nel paragrafo seguente.
Per una ricostruzione di questo dibattito si rinvia a Ciccarone e Di Bartolomeo (2018).
3
174
alternative per il socialismo O 55
4
L’indice dei prezzi al consumo, dopo il picco del 21% nel 1980, passa al 9% nel 1985, al 5% nel
1987, al 4% nel 1993. Ciò nonostante, il tasso di inflazione italiano rimaneva quasi il doppio di
quello registrato in quegli anni nei principali Paesi europei.
Salvati (1978).
5
175
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
conda metà degli anni ‘70 – un dibattito serrato che fondamentalmente verteva
intorno alle seguenti principali spiegazioni: a) una squisitamente monetarista che
individuava, per dirla con Michele Fratianni6, in un “fenomeno in gran parte, an-
che se non esclusivamente, monetario” l’elevata inflazione, riconducendola quindi
all’eccessiva crescita degli aggregati monetari; b) una seconda basata sull’inflazio-
ne da costi non da lavoro, con particolare riguardo ai prezzi degli input importati
(si pensi alle materie prime ed alle fonti primarie energetiche)7; c) una terza che
invece faceva leva sulla elevata conflittualità salariale, grazie anche alla presenza
di meccanismi automatici di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita,
riconducendo quindi l’elevata inflazione alla spirale salari-prezzi a cui abbiamo già
fatto cenno nel paragrafo precedente.
Come riconosce Ferdinando Targetti, al tempo “la maggior parte delle interpre-
tazioni [fu] di tipo keynesiano-distributivo-strutturalista”8, riconoscendo nel
conflitto distributivo l’origine del processo inflazionistico. Conviene comunque
anticipare che ricondurre l’origine dell’inflazione ad una delle tre interpretazio-
ni suesposte non implica trascurare il ruolo giocato anche dagli altri fattori che
abbiamo elencato che invece, come vedremo, possono presentarsi contempora-
neamente – come fu il caso dell’Italia – rinforzandosi a vicenda. Ad esempio, in
seguito all’aumento dei prezzi conseguente all’aumento dei salari (spiegazione c
come origine del processo inflazionistico), la competitività dei beni nazionali può
essere preservata attraverso una svalutazione/deprezzamento del tasso di cam-
bio che, pur impedendo un peggioramento della bilancia commerciale nel breve
periodo, può nel medio periodo provocare un aumento del prezzo delle materie
prime importate e quindi un ulteriore incremento del tasso di inflazione (spie-
gazione b). Questa sarebbe poi null’altro che la cosiddetta “spirale” aumento dei
salari-aumento del livello dei prezzi-deprezzamento del tasso di cambio-ulterio-
re aumento dei prezzi-ulteriore aumento dei salari, ecc., che abbiamo già in parte
richiamato. Tutte queste dinamiche, poi, sono enormemente facilitate dalla – e
in un certo senso richiedono la – presenza di una politica “accomodante” da parte
delle autorità monetarie9. Queste considerazioni ci consentono di comprendere
quanto accadde in Italia tra gli anni ‘70 e la prima metà degli anni ‘80.
6
Fratianni (1980), p. 532.
Si veda ad esempio Zenezini (1985)
7
8
Targetti (1985), p. XXII
9
Si noti, comunque, che nel quadro appena descritto l’aumento dello stock di moneta sarebbe
endogeno, seguendo l’esito del conflitto distributivo: in un’accezione squisitamente monetarista,
invece, è l’originaria variazione dello stock di moneta ad innescare il processo inflazionistico, e
pertanto è la politica monetaria “discrezionale” ad essere all’origine di qualunque variazione dei
prezzi (e dei salari nominali).
176
alternative per il socialismo O 55
10
Il saldo di parte corrente, positivo fino al 1972, divenne comunque negativo nel periodo 1973-
1976, per poi tornare in surplus appunto nel 1977.
A proposito dell’allarmismo economico sopra richiamato, a parere di Basevi e Onofri (1997)
11
177
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
12
Si veda Targetti (1985) pp. XXVIII e segg.
13
Si veda su questo Reina (1981).
14
Per una ricostruzione di questo dibattito, si rimanda ancora a Reina (1981) e Targetti (1985).
La Repubblica, 24 gennaio 1978, intervista di E. Scalfari a L. Lama.
15
178
alternative per il socialismo O 55
tessuto sociale (in quella produzione di nuove soggettività che Toni Negri aveva
rappresentato come il processo del passaggio dall’operaio massa all’operaio so-
ciale16). A ciò si aggiungano la presenza di formazioni terroristiche (di destra e
di sinistra) che sembravano minare la tenuta stessa delle istituzioni democra-
tiche, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, la strategia della tensione, ecc.
Insomma, tutti questi elementi spingevano verso la necessità di “raffreddare”
l’intero sistema socioeconomico e più in generale verso politiche di maggior
“moderazione e responsabilità”.
Contestualmente, l’ingresso dell’Italia nello Sme nel 1979 aveva fortemente au-
mentato la cogenza del “vincolo esterno”: la necessità di ridurre drasticamente
i differenziali di inflazione con gli altri Paesi era ora una necessità non più elu-
dibile, considerate anche le differenze del costo del lavoro tra l’Italia e gli altri
Paesi aderenti all’accordo monetario.
16
Toni Negri (1979).
17
Si veda su questo punto Prasad-Utili (1998).
18
Friedman (1975).
19
C
ome abbiamo già detto, infatti, solo la libera interazione della domanda e dell’offerta possono
determinare i livelli di equilibrio del salario reale e dell’occupazione sul mercato del lavoro (si
veda sopra, nota 1).
179
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
20
Si veda tra tutti Lucas (1983).
21
Strangio (2017), pp. 54-55.
180
alternative per il socialismo O 55
181
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
22
Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) è dato dal rapporto fra salario monetario
unitario e produttività del lavoro. L’elevato CLUP italiano dipende dalla minore produttività del
lavoro rispetto alla media dell’Eurozona e il suo andamento è stato costantemente crescente (a
differenza di quello tedesco, rimasto sostanzialmente stabile fino alla metà del primo decennio
degli anni Duemila) proprio per la continua riduzione del tasso di crescita della produttività del
lavoro.
182
alternative per il socialismo O 55
[per i neoricardiani] Ricardo diventa colui che per primo impostò il problema
[dei prezzi] in termini corretti, anche se non seppe condurre l’analisi sino al
suo logico compimento, seguono lunghi decenni di decadenza, fino a che non
si arriva al 1960, anno del nostro riscatto, quando finalmente Piero Sraffa, pub-
blicando il suo Produzione di merci a mezzo di merci, completò il monumento
avviato da Ricardo e diede all’umanità la parola finale in materia di teoria dei
prezzi. E Marx? Possiamo lodare la sua buona volontà, ma dobbiamo ricono-
scere che anch’egli cadde vittima di errori, per cui, se il criterio di valutazione
resta sempre quello del corretto svolgimento della teoria del valore, anche Marx
va gettato nel mucchio di coloro che sbagliano (Graziani, 1997, pp. 112-113).
183
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
184
alternative per il socialismo O 55
(acquisto di beni). Questo significa che le imprese non fanno altro che trasfe-
rirsi fra loro liquidità, e che questo ammontare di moneta non ‘fuoriesce’ dal
settore delle imprese.
In questo contesto teorico, si assume che i salari siano contrattati in termini
monetari e che il salario reale sia noto ex-post, una volta, cioè, che le imprese
hanno fissato i prezzi dei beni di consumo. Il numero di occupati e il salario
reale dipende in modo cruciale dal grado di accomodamento del sistema ban-
cario, ovvero dalle decisioni di finanziamento della produzione da parte del
sistema bancario.
In questo schema, la scarsità di risorse – che nel modello neoclassico è assun-
ta esogena ed esistente in ogni circostanza di tempo e di luogo – è endogena,
ovvero determinata dalle decisioni della collettività delle imprese in ordine al
quanto e cosa produrre. Detto diversamente, nell’elaborazione teorica di Gra-
ziani vige il principio della sovranità del produttore: i consumatori sono for-
malmente liberi di scegliere cosa consumare, ma possono farlo solo scegliendo
all’interno della composizione merceologica della produzione – e dunque delle
merci immesse nel mercato – autonomamente stabilita dalla collettività delle
imprese.
23
ariazioni del livello di occupazione dipendono in modo cruciale dal grado di accomodamento
V
bancario, così che fenomeni di restrizione generano calo della produzione e degli investimenti e,
per conseguenza, dell’occupazione.
24
parità di occupazione, un aumento del salario nominale fa crescere l’indebitamento delle
A
imprese nei confronti delle banche.
25
E’ opportuno chiarire che questi effetti rientrano in una matrice teorica postkeynesiana che
probabilmente Augusto Graziani (morto nel 2014) non avrebbe accettato. Il suo obiettivo
185
SAGGI O GIORGIO COLACCHIO E GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
Primo. Un aumento dei salari avrebbe effetti sui consumi e dunque sulla do-
manda interna. L’aumento della domanda interna – anche per effetto della
maggiore propensione al consumo dei lavoratori rispetto ai capitalisti - gene-
rerebbe maggiore occupazione e maggiore occupazione genererebbe maggiore
crescita.
Secondo. Un aumento dei salari avrebbe effetti di segno positivo sul tasso di
crescita della produttività del lavoro e dunque sulla crescita economica, per
l’operare di un meccanismo virtuoso di aumento della domanda effettiva e con-
seguente aumento della produttività – la c.d. Legge Kaldor-Verdoorn (Forges
Davanzati, Patalano e Traficante, 2017).
Terzo. L’aumento della produttività conseguente a un aumento dei salari po-
trebbe ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto e, per conseguenza, au-
mentare le esportazioni, almeno per la parte trainata da competitività di prezzo
(McCombie and Thirwall, 1994).
– almeno quello che ne motivava l’elaborazione teorica negli anni settanta – consisteva nel
mostrare che per modificare la distribuzione del reddito a beneficio dei lavoratori occorreva
superare i limiti del ‘compatibilismo’ e dunque dare ai lavoratori, mediante azioni conflittuali, il
controllo sulla scala e la composizione merceologica della produzione. Ciò spiega le numerose
prese di distanza di Graziani dalle teorie postkeynesiane del tempo.
26
La pressione fiscale, pari al 25% in rapporto al Pil nel 1973 (inferiore di quasi quattro punti
percentuali rispetto alla media Ocse), raggiunge il 40% alla fine degli anni ottanta. Cfr. Felice
(2015). Se, con un esperimento controfattuale, fosse prevalsa questa spiegazione, la linea di
politica economica avrebbe assunto un segno diverso: si sarebbe, cioè, cercato di contenere
l’inflazione agendo sulla leva fiscale a beneficio dei percettori di redditi bassi.
186
alternative per il socialismo O 55
*
Università del Salento – Dipartimento di Scienze Giuridiche, Economics Sec-
tion, giorgio.colacchio@unisalento.it
Gli autori desiderano ringraziare Nicolò Giangrande per gli utili suggerimenti
offerti.
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Economics”, November, pp.1-21.
27
Egemonia che, seguendo Jessop (2007, p.74), risulta definibile come “… the capacity of a given set
of social forces to establish the primacy of their techno-economic paradigm and accumulation
strategy as the dominant economic imaginary, leading other forces to adapt their paradigms,
business models, and strategies to this hegemony”
187
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188
LELIO DEMICHELIS alternative per il socialismo O 55
ORDO-LIBERALISMO E ORDO-MACCHINISMO:
L’ECLISSI DELLA DEMOCRAZIA
E DELLA GIUSTIZIA SOCIALE*
S
e per Gramsci le forze che avevano sconfitto la classe operaia erano state il
fascismo e l’americanismo – «due volti, in sostanza, del capitalismo»1 - oggi
la sconfitta (di nuovo) della classe operaia, del concetto di giustizia sociale
e della democrazia politica e sociale/economica è effetto diretto – questa la tesi
che qui riprendiamo e approfondiamo - della filosofia neoliberale e delle tecnolo-
gie di rete2 (a loro volta ultima forma della tecnica come sistema), ma ambedue
(tecnica e neoliberalismo) sempre le due facce, ma non del solo capitalismo bensì
del tecno-capitalismo. La seconda metà del ‘900 è stato il tempo, da una parte
di una crescente anche se timida e faticosa ricerca di una democrazia economica
e sociale che integrasse e rendesse effettiva (essendo i diritti sociali la premessa
per i diritti politici e civili) quella politica; e, dall’altro di una democratizzazione
dell’impresa capitalistica (e quest’anno celebriamo i 50 anni dell’Autunno caldo,
il prossimo sarà mezzo secolo dallo Statuto dei lavoratori, massima realizzazione
e formalizzazione giuridica in Italia della democrazia oltre i cancelli delle fabbri-
che). Ma il neoliberalismo e le tecnologie di rete degli ultimi trent’anni hanno
smantellato progressivamente quei concetti e quelle buone pratiche.
Il neoliberalismo (inteso qui come sommatoria di neoliberismo austro-statu-
nitense e ordo-liberalismo tedesco) si proponeva infatti di liberare l’impresa
dai lacci e lacciuoli (diceva Guido Carli) della democrazia, del politico e del
sociale; di potenziare l’individuo alla sua massima prestazione/produttività/
egoismo-egotismo-narcisismo isolandolo dagli altri; e di annullare il vecchio
contratto sociale moderno de-strutturando/suddividendo la società (soprattut-
to la società civile, i corpi intermedi, i sindacati) per sostituirla con mercato e
competizione tra uomini. Uomini attivati a credersi impresa/imprenditori di se
stessi, capitale umano e merci, non persone ma fattori di produzione a flessibi-
lità/produttività crescenti. Avendo come obiettivo esplicito (secondo il neolibe-
rale Walter Lippmann che sintetizzava così i Colloqui svoltisi a Parigi nel 1938
per la rifondazione del liberalismo) quello di far adattare incessantemente gli
individui e le collettività alle esigenze, sempre mutevoli, della rivoluzione indu-
striale e della divisione del lavoro.
A sua volta, la rete/tecnica-apparato di connessione - e ogni mezzo di produzio-
ne è in primo luogo un mezzo di connessione delle parti di lavoro prima sud-
189
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alternative per il socialismo O 55
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SAGGI O LELIO DEMICHELIS
gli strumenti di cattura della nostra psiche messi in atto dal tecno-capitalismo13
per catturarci e farci adattare liberamente e volontariamente (ma senza avere
consapevolezza delle tecniche usate per ottenere questo obiettivo) alle forme e
alle norme del tecno-capitalismo. La rete che governa il mondo è, infatti sem-
pre più una mega-impresa/oligopolio tecno-capitalista (la Silicon Valley, ma
non solo; e pensiamo alla Cina) che tutto integra/incorpora/sussume in sé, a-
democraticamente/anti-democraticamente.
La rete è una globale fabbrica integrata, evoluzione però di un sistema (delle
sue forme e delle sue norme di funzionamento) che nasce e si sviluppa in realtà
a partire dalla prima rivoluzione industriale (anche la fabbrica di spilli di Smith
era una fabbrica integrata), passa per la Osl di Taylor, per la fabbrica integrata
di Taiichi Ohno e la lean production e arriva oggi alla Fabbrica 4.0/Intelligenza
artificiale/Internet delle cose. E ora – accrescendo ancora di più i processi di in-
tegrazione totalitaria/convergenza tra loro degli apparati tecnici e capitalistici
in apparati sempre più grandi (Anders - infra) - abbiano una di queste imprese
private, Facebook, che crea la sua moneta virtuale e si appresta a diventare
anche il nuovo banchiere centrale dell’impero globale del tecno-capitalismo.
Ovvero il sistema tecnico ed economico e di impresa che aveva ancora bisogno
dello stato fino a ieri per espandersi (da ultimo con la de-regolamentazione
statuale dei mercati finanziari e del lavoro e la libertà di monopolio/oligopolio
nella tecnologia) si fa esso stesso sempre più stato sovrano assoluto/Leviata-
no del mondo, divenendo non più parte della governance neoliberale globa-
le, ma government totale e globale d’impresa (in prima persona), che decide
ormai autocraticamente su fisco, diritti delle persone, orari e ritmi di lavoro,
organizzazione del tempo, modelli economici e sociali, produzione/estrazione
di valore, mobilità, amministrazione della vita - e ora anche sulla produzio-
ne/creazione di moneta. E come ricordava Hannah Arendt, l’organizzazione
dell’intera trama della vita in conformità a un’ideologia può essere pienamente
attuata soltanto in un regime totalitario14. Un totalitarismo che vive non tanto
di propaganda, quanto e soprattutto di organizzazione – come appunto il tota-
litarismo del Leviatano-apparato-impresa tecno-capitalista15.
192
alternative per il socialismo O 55
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194
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la tecnica, non è democratica per essenza, allora (ecco la causa che produce il
suo effetto) non può non discenderne che la società e lo stato devono escludere
la democrazia e introiettare piuttosto la logica a-democratizzante dell’impresa
monocratica e della delega; o della entrata volontaria di ciascuno in una forma/
norma (ancora attraverso una delega) di potere pastorale (Foucault) dove cia-
scuno è in relazione/subordinazione diretta e verticalizzata ieri con il pastore
del gregge religioso e oggi con un algoritmo/piattaforma-impresa-comunità di
lavoro/pastore virtuale che guida il gregge/folla/sciame. Dove tutti sono operai
dell’apparato, esecutori all’unisono degli ordini della fabbrica/rete e finalizzati/
formattati-attivati a seguire la direzione/rotta dettata dall’apparato/organizza-
zione. Quale relazione si dovrebbe invece ristabilire tra democrazia e impresa,
quale forma di democrazia economica si dovrebbe ristabilire?29.
Se la democrazia, come detto, è il governo mediante il dibattito; se in un siste-
ma democratico non possono e non devono esistere spazi/luoghi esclusi dalla
democrazia, altrimenti si nega la democrazia tutta (infra, Robert Dahl); se la
democrazia è possibile solo grazie alla esistenza di una società civile (movi-
menti, partiti, associazionismo, sindacati, mass media indipendenti) che faccia
appunto dibattito, discussione e poi decisione; se la democrazia presuppone
l’esistenza di cittadini capaci di attivarsi in autonomia e responsabilmente/
consapevolmente per decidere insieme e non di sudditi/nodi attivati/agiti/mo-
bilitati dal potere; se la democrazia deve – perché sia tale de facto e non solo de
iure – basarsi sulla separazione e sul bilanciamento dei poteri e sulla esclusione
a priori di un potere unico superiore; e se la democrazia è una grammatica poli-
tica, un processo e non un esito stabilizzato e soprattutto è uno spazio pubblico
e aperto – allora anche l’impresa privata deve essere (o tornare ad essere) de-
mocratica. Altrimenti – se non si ri-democratizza l’impresa rovesciando il mo-
dello alla Röpke oggi dominante anche in politica - nessuna democrazia sarà
più possibile e ci adatteremo (come richiesto/perseguito dal neoliberalismo e
dalla tecnica) anche alla sua fine (perché non ci sono alternative), delegando
tutto a un imprenditore della politica o, peggio, a un algoritmo che governerà
una polis-non-più polis ma pura impresa autocratica/integrata o società am-
ministrata.
Scriveva invece Robert A. Dahl: «Il demos e i suoi rappresentanti hanno il di-
ritto di decidere, mediante il processo democratico, come dovrebbero essere
possedute e controllate le imprese economiche, allo scopo di realizzare, per
quanto è possibile, valori quali la democrazia, l’equità, l’efficienza, la promo-
zione delle qualità umane desiderabili e il diritto a quelle minime risorse indi-
viduali che possono essere necessarie a condurre una vita buona»30. E poi: «Se
la democrazia è giustificata nel governo dello stato, allora essa lo è anche nella
conduzione delle imprese economiche. Ciò che più conta: se essa non trova va-
lide motivazioni nella gestione delle imprese economiche, non si vede proprio
195
SAGGI O LELIO DEMICHELIS
come potrebbe averne nel governo dello stato. (…) [Cioè] abbiamo il diritto
di autogovernarci democraticamente all’interno delle nostre imprese economi-
che. Ovviamente, non ci aspettiamo che [questo] le renderà perfettamente de-
mocratiche, o supererà completamente le tendenze verso l’oligarchia che appa-
re essere insita in tutte le grandi organizzazioni umane, incluso il governo dello
stato. Ma proprio come noi incoraggiamo il processo democratico nel governo
dello stato, nonostante le sostanziali imperfezioni che esistono in pratica, così
sosteniamo un analogo processo nell’amministrazione delle imprese economi-
che. (…) E intendiamo esercitare quel diritto»31. Così facendo, «un popolo de-
mocratico compirebbe un passo importante verso il perseguimento degli obiet-
tivi di eguaglianza politica, di giustizia, di efficienza e di libertà»32. Un così
facendo che oggi riguarda non solo le imprese ma la tecnica come apparato.
Continuiamo la nostra riflessione sulla crisi della democrazia quale effetto di-
retto – questa la tesi - dell’egemonia del neoliberalismo e della tecnica come
apparato totalizzante/totalitario. E aggiungiamo ora altri elementi di analisi
dopo quelli utilizzati sull’eclissi della democrazia economica e del concetto di
giustizia sociale (cfr. prima parte di ordo-liberalismo e ordo-macchinismo) e
proviamo a ragionare di una sempre più urgente democrazia tecnica o di una
democratizzazione della tecnica come apparato. E per farlo, andiamo a rileg-
gere Stendhal e un suo pamphlet purtroppo dimenticato, ormai introvabile: Di
un nuovo complotto contro gli industriali33. Partendo da una citazione dell’in-
dustrialista Saint-Simon fatta dallo stesso Stendhal: «La capacità industriale
deve trovarsi in prima linea; deve giudicare il valore di tutte le altre capacità e
farle lavorare tutte per il suo vantaggio»34; e da una riflessione stendhaliana:
«L’industrialismo vuole far lavorare tutti. (…) Se ci invade diventeremo sempre
più barbari nei confronti delle arti. Saremo tristi come gli Inglesi. Quella pove-
ra gente soccombe per eccesso di lavoro»35.
196
alternative per il socialismo O 55
vismo industriale, non c’è posto per il ruolo autonomo, indipendente e critico
degli intellettuali come gruppo a sé stante (…), mentre tutto lo sforzo dei posi-
tivisti tende a fissare un fine unico e ultimo, un funzionamento unitario della
società, e dell’intellettuale, che diventa inevitabilmente il chierico dell’umanità
regenerata. Quando Saint-Simon afferma che la politica è ormai diventata e si
risolve nella scienza della produzione e dell’organizzazione, sanzionando così
la riduzione della politica in economia e l’eliminazione della politica come ca-
tegoria originale dal dibattito ideale, il dilettante Stendhal avverte, prima di
ogni altro intellettuale, imitato solo più tardi da Benjamin Constant, che il pro-
getto di società industriale che viene loro proposto rischia di creare le basi per
l’eliminazione delle libertà individuali; il suo risultato fatale sarà l’oppressione
dell’obiettività tecnico-organizzativa e il regno del ridicolo»36. Il problema è
che oggi il ridicolo è diventato normale (l’oppressione della razionalità stru-
mentale/calcolante, il totalitarismo degli algoritmi e la dittatura del calcolo37
e le forme/norme tecniche e di mercato che diventano forme/norme sociali,
antropologia).
Riflessioni che ci rimandano a pochi anni dopo quel 1825 che è l’anno della
prima edizione del pamphlet di Stendhal e al liberale Tocqueville e a La demo-
crazia in America e in particolare alle sue riflessioni sul lavoro industriale, con
una critica alla fabbrica degli spilli di Adam Smith: «Con il progredire della
divisione del lavoro, l’operaio diventa sempre più debole, più limitato e meno
indipendente: l’arte fa progressi, ma l’artigiano regredisce. L’uomo si avvili-
sce a misura che l’operaio si specializza. Che cosa dobbiamo aspettarci da un
individuo che ha trascorso vent’anni di vita a fare capocchie di spilli? A cosa
potrà più applicarsi la sua intelligenza, se non a cercare il modo migliore di fare
capocchie di spilli»38.
197
SAGGI O LELIO DEMICHELIS
cemente vivendo in modo alienato la sua vita intera e il suo lavoro (a questo
viene attivato dal neoliberalismo e dalla tecnica e dalla industrializzazione del-
la felicità40)? Una vita/lavoro che sembra più libera e creativa, indipendente e
quasi anarchica ma che è invece totalmente e totalitariamente subordinata/in-
tegrata/sussunta alla tecnica (app/algoritmi/IoT come pastori, angeli custodi
o come padri normativi) e un lavoro anch’esso comunque alienato anche se of-
ferto/fatto percepire come virtuosa collaborazione con l’impresa/piattaforma.
Commenta Roberta Turi, Segretaria generale della Fiom di Milano, a propo-
sito della Fabbrica 4.0: «esiste il rischio concreto che la persona sia messa ai
margini del sistema. Attraverso intelligenza artificiale e machine learning, il
lavoratore viene guidato passo passo e non ha più bisogno delle competenze
che gli erano necessarie in passato per svolgere l’attività lavorativa»41, Aggiunge
Matteo Gaddi «La ricerca [della Fiom di Milano e della Fondazione Sabattini,
coordinata dallo stesso Gaddi] ha evidenziato che le tecnologie 4.0 combinate
con i sistemi organizzativi della lean production, determinano una forte com-
pressione dei tempi ciclo, un peggioramento dei ritmi di lavoro e un aumento
delle saturazioni, intensificando così la prestazione lavorativa. (…). Per cercare
di nascondere questi effetti, il tentativo delle aziende è quello di ‘oggettivare’
tempi e ritmi, dando loro una parvenza di scientificità incorporandoli in dispo-
sitivi e procedure e sottraendoli quindi alla contrattazione formale e informale.
I tempi ciclo (…) vengono presentati come qualcosa di oggettivo, determinato
unicamente dalla tecnologia e, oltretutto, nascosto alla percezione dei lavorato-
ri. Gli strumenti informatici sono funzionali a questo scopo: tramite la lettura
dei codici a barre collegati con gli ordini di lavoro, con lettori ottici e Pc a bordo
macchina/linea, oppure con comunicazione via Mes [Manufacturing Execu-
tion System – sistema informatico di fabbrica che governa e controlla l’intero
processo produttivo], all’operatore viene imposto il tempo ciclo entro il quale
concludere l’operazione. Contestualmente si avvia il conteggio del tempo effet-
tivamente impiegato, consentendo in tal modo il controllo in tempo reale e in
remoto della prestazione lavorativa»42.
E’ di nuovo l’autocrazia dell’impresa capitalistica-sala operatoria neoliberale di
Röpke ma anche di una tecnica gestita da algoritmi, ogni singola fase (uomini
compresi) strettamente sincronizzata e velocizzata e dove tutto è oggettivato
(ancora l’industrialismo). È l’ultima fase della continua ricerca di una fabbrica
sempre più integrata e soprattutto sempre più integrante/totalitaria: la Fab-
brica 4.0 essendo l’evoluzione della catena di montaggio, della lean production,
del just in time ma anche della organizzazione scientifica del lavoro tayloristica
e del suo controllo scientifico/oggettivato dei tempi ciclo, ma anche della pro-
gressiva e conseguente perdita di professionalità/conoscenza, ruolo e soprat-
tutto di autonomia, se mai ve ne è mai stata, nel lavoro industriale. Sempre
replicandosi la legge ferra del tecno-capitalismo: prima suddividere il lavoro,
198
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Note
1
A. d’Orsi, I ‘Quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci, in La Biblioteca di MicroMega, nr.2/2019,
Roma, pag. 30
2
L. Demichelis - https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-17-sem-1/tecnocapitalismo-
lelio-demichelis/; https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/democratizzare-la-tecnica-
per-salvare-lademocrazia- dal-tecno-capitalismo/
3
H. Rosa (2015), Accelerazione e alienazione, Einaudi, Torino
4
G. Anders (2003), L’uomo è antiquato, 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino
5
F. Remotti (2019), Somiglianze. Una via per la convivenza, Laterza, Roma-Bari
6
A. Sen (2010), L’idea di giustizia, Mondadori, Milano, pag. 5
7
N. Urbinati (2011), Liberi e uguali, Laterza, Roma-Bari
8
J. Rawls (2017), Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano; A. Sen (2010), L’idea di giustizia, cit.
9
H. Jonas (1990), Il principio responsabilità, Einaudi, Torino
10
S. Rodotà (2014), Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari
11
W. Ropke (1974), Scritti liberali, Sansoni, Firenze, pag. 160
12
E anche queste sono tecniche/dispositivi comportamentali indotti. Cfr. da ultimo W. Davies
(2019), Stati nervosi, Einaudi, Torino; Id., (2016), L’industria della felicità, Einaudi, Torino. Ma
si pensi anche a tutta la gamification che attraversa la nostra vita.
13
P. Bartolini – S. Consigliere (2019), Strumenti di cattura. Per una critica dell’immaginario tecno-
capitalista, Jaca Book, Milano
14
Cfr., H. Arendt (2004), Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino
15
L. Demichelis (2015), La religione tecno-capitalista. Dalla teologia politica alla teologiatecnica,
Mimesis, Milano, pag. 216
16
M. Gaddi (2019), Industria 4.0: più liberi o più sfruttati?, Edizioni Punto Rosso, Milano
17
L. Demichelis – https://www.economiaepolitica.it/il-pensiero-economico/ordoliberalismo-or-
doliberalismo-2-0-eordopopulismo-2/
18
L. Demichelis (2018), La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitali-
smo, Jaca Book, Milano
19
H. Marcuse (1991), L’uomo a una dimensione, cit., pag. 10
20
fr. W. Streeck (2013), Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Fel-
C
trinelli, Milano
21
Da ultimo: P. Ercolani (2019), Figli di un io minore, Marsilio, Venezia
203
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22
L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit.
23
G. Anders (2003), L’uomo è antiquato, cit.
24
L. Demichelis (2018), La grande alienazione, cit., pag. 20 e segg.
25
L. Gallino (2007), Tecnologia e democrazia, Einaudi, Torino, pag. 124
26
Può essere utile rileggere: M. Berg (1983), La questione del macchinismo e la nascita dell’econo-
mia politica, il Mulino, Bologna
27
Cit. in L. Demichelis (2011), Società o comunità, Carocci, Roma
28
G. Cesarale (2019), A Sinistra, Laterza, Roma-Bari.
29
Cfr. N. Bobbio – N. Matteucci – G. Pasquino (2004 e segg.), Il Dizionario di Politica, Utet, Torino;
N. Urbinati (2011), Liberi e uguali, cit.; Id (2013), Democrazia in diretta, Feltrinelli, Milano; G.
Sartori (2007), Democrazia, Rizzoli, Milano; C. Crouch (2003), Postdemocrazia, Laterza, Roma-
Bari
30
R. A. Dahl (1989), La democrazia economica, il Mulino, Bologna, pag. 75
31
Ivi, pag. 118
32
Ivi, pag. 123
33
Stendhal (1988), Di un nuovo complotto contro gli industriali, Sellerio, Palermo
34
Ivi, pag. 23
35
Ivi, pag. 89
36
M. Diani, Introduzione a Stendhal (1988), Di un nuovo complotto contro gli industriali, cit., pag.
14 e segg.
37
P. Zellini (2018), La dittatura del calcolo, Adelphi, Milano
38
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39
Cit. in P. Zellini (2018), La dittatura dell’algoritmo, cit. pag.131
40
W. Davies (2016), L’industria della felicità, Einaudi, Torino; Id. (2019), Stati nervosi, Einaudi, Torino
41
R. Turi, Prefazione a M. Gaddi (2019), Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati?, Edizioni Punto
Rosso, Milano, pag. 8
42
M. Gaddi (2019), Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati?, cit. pag. 237
43
Ivi, pag. 231
44
E. Fromm (1994), Fuga dalla libertà, Mondadori, Milano
45
Pensiamo agli italiani che votano per l’ultraliberista Salvini, confermando amaramente la rifles-
sione di Gobetti sul fascismo come autobiografia della nazione
46
P. Zellini (2018), La dittatura del calcolo, cit.
47
Cfr. L. Demichelis (2015), La religione tecno-capitalista. Dalla teologia politica alla teologia tec-
nica, cit.
48
M. Gaddi (2019), Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati?, cit. pag. 240
49
Ibid
50
H. Jonas (1990), Il principio responsabilità, Einaudi, Torino
51
Ivi, pag. XXVII
52
W. Veltroni (intervista), Stefano Mancuso e la vita segreta delle piante, in corriere.it, 30 giugno 2019
53
G. Anders (2003), L’uomo è antiquato, 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino
54
in L. Demichelis (2017), Sociologia della tecnica e del capitalismo, FrancoAngeli, Milano, pag. 128
55
Ibid
56
L. Demichelis (2018), La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecnocapitali-
smo, Jaca Book, Milano
57
L. Gallino (2007), Tecnologia e democrazia, Einaudi, Torino, pag. 27
58
Si legga, da ultimo il bellissimo: M. Boarelli (2019), Contro l’ideologia del merito, Laterza, Roma-Bari
59
G. Simmel (2003), Ventura e sventura della modernità, Bollati Boringhieri, Torino, pag. 195
204
MARIO AGOSTINELLI alternative per il socialismo O 55
N
ell’evoluzione del panorama sociale si possono cogliere alcuni segnali, la
cui novità sta nel grande rilievo e nella dimensione planetaria che in essi
viene a ricoprire il tempo. E’ più che matura la necessità di ridurre l’orario
per la cura della Terra, i diritti del vivente, la dignità del lavoro, l’autonomia
del sindacato.
“Il tempo viene a mancare!” affermano gli studenti di Fridaysforfuture che
scioperano per il clima. “Il Signore mi ha messo qui per poco tempo” afferma
papa Bergoglio, che intanto segnala da una cattedra prestigiosa anche per i
non credenti quanto e come una tecnocrazia invadente espropri incontrastata
nientemeno che il tempo di tutto il vivente “in funzione della massimizzazione
del profitto”. “Il tempo per la riproduzione”, denuncia con angoscia inascoltata
il movimento delle donne, “è ormai confinato nell’isolamento della famiglia nu-
cleare e destituito di valore economico”; quindi, mina l’uguaglianza di genere
e dà luogo ad un “tempo senza misura” a carico di oltre la metà dell’umanità.
Ebbene: in un riemergere della dimensione politica del tempo nei soggetti che
più acutamente colgono le incoerenze e le ingiustizie dello sviluppo in atto,
non può non colpire il silenzio del mondo del lavoro tenuto fino ad ora. Si la-
vora per un tempo più lungo (in Europa l’Italia è seconda solo alla Grecia) e
solo quell’esigua minoranza che accumula enormi capitali nelle proprie tasche
a spese della integrità della natura e della dignità del lavoro, può permettersi
di ripetere che “il tempo è danaro”. In una fase storica in cui l’universalità dei
diritti è sotto attacco, i potenti della Terra riuniti al Forum di Davos possono
permettersi di dichiarare che il lavoro - purché eterodiretto e sfruttato - “ri-
mane al centro della società moderna”. Per la verità non lo è affatto, almeno
nel senso delle Costituzioni di democrazia sociale che ancora sopravvivono, né
potrà rimanerci in futuro, a meno che le lavoratrici ed i lavoratori prendano la
parola e reclamino il loro diritto al tempo proprio e, di conseguenza, pretenda-
no la ripresa di una cittadinanza attiva e di una autonomia oggi soffocata. Forse
la nascita del movimento mondiale di Fridaysforfuture e la contaminazione tra
le assemblee studentesche e un primo nucleo di operai, ricercatori ed insegnan-
ti maggiormente disponibili ad un approccio che in Italia Maurizio Landini ha
cominciato a sollecitare, potrebbe mutare la non reazione, ad ora, dei luoghi
di lavoro. Occorre riconoscere che ci si trova di fronte a qualcosa di più vasto
di un conflitto redistributivo (peraltro già piegato su scala mondiale) e che si
deve fare i conti, da qui alle prossime generazioni, con un assetto del capitali-
205
SAGGI O MARIO AGOSTINELLI
smo che, almeno nelle sue frange più irresponsabili e nella sua rappresentanza
politica più smodata, ha messo in conto la non sopravvivenza di gran parte del
vivente in un futuro prossimo. A cominciare, come risulta evidente, dall’appog-
gio esplicito alle politiche di respingimento dei migranti e ai non salvataggi in
mare. Ci troviamo di fronte ad un sistema di dominio a cui è bastato indebolire
le forme di rappresentanza democratica e il pluralismo delle loro istituzioni
per invalidare il ruolo dei soggetti sociali antagonisti e cominciare impune-
mente a pretendere, nella sfera della produzione e del consumo, la coesistenza
senza distinzione tra giorno, notte, veglia, riposo. E, in aggiunta, la rottura di
frontiere tra tempo liberato, orario contrattuale e orario prolungato (spesso
non retribuito) tra ozio, consumo e tempo della riproduzione. Sta prendendo
sempre più piede una prospettiva che affida il primato indiscusso all’impresa,
anche se ha per estrema conseguenza la distruzione degli equilibri climatici,
l’impiego di tecnologie per ridurre l’occupazione, la eliminazione del controllo
sociale sull’informazione e sulla conoscenza e la privatizzazione dei beni comu-
ni. Insomma, a ben guardare, l’orizzonte delineato è quello in cui i governanti
detengono un indiscusso dominio sul tempo, o meglio, sui tempi.
Le note che seguono cercano di introdurre anche alcune osservazioni scientifi-
che, per dimostrare con maggior effetto di persuasione che il tempo smisurata-
mente prolungato che siamo costretti a trascorrere in mansioni ed operazioni
eterodirette, non è né naturale né inevitabile: anzi, una eccessiva capacità tra-
sformativa del lavoro nuoce a tal punto alla biosfera da depredarla e svuotarla
delle specie viventi, fino a mettere in discussione la continuità della storia uma-
na. Allo stesso tempo, la colonizzazione del tempo di vita all’interno di una in-
cessante pressione tra produzione e consumo favorisce il trasferimento di pre-
rogative proprie della coscienza umana agli algoritmi artificiali delle macchine,
fino a compromettere l’autonomia dei singoli e l’esercizio della democrazia e
ad annullare la parità di diritti e la valorizzazione della diversità delle donne e
degli uomini che abitano tra loro “lontani” un pianeta che si presenta ad ogni
ora sempre più “connesso”.
Come verrà esplicitato nel prossimo paragrafo, i tempi che strutturano la nostra
esperienza hanno una componente relativa - che ha a che fare prevalentemente
con le velocità dei fenomeni analizzati - ed una componente soggettiva - che ha a
che fare con il funzionamento dei sensi e il meccanismo della coscienza. Occorre
tuttavia osservare che raramente la fisica e la neurobiologia hanno preso in con-
siderazione, nel concreto e alla luce dell’applicazione delle scoperte più recenti, le
sequenze dell’odierna organizzazione del lavoro. C’è una ragione perché perman-
ga questa lacuna: per chi detiene i mezzi di produzione è altamente desiderabile
che non vengano indagati gli scopi ultimi per i quali il macchinario e il modello
organizzativo di cui si avvale in quanto proprietario sono stati progettati. L’uno e
l’altro, per quel proprietario, vanno in ogni caso sottratti al controllo eventuale di
206
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di geni come Poincaré, Lorentz e Mach - oggi nel mondo fisico il tempo non
sia più considerato nella sua forma assoluta e universale ed in quello filosofico
abbia perso la posizione di categoria a priori della sensibilità umana. Sono dif-
ferenti e numerosi i tempi (non il tempo) che coesistono in natura e nell’univer-
so, a seconda dei casi e dell’osservatore specifico che ne prende la misura: quel
che però conosciamo con la scienza moderna sono le relazioni che intercorrono
tra di loro. La nozione originale che ne dava Sant’Agostino, un po’ misteriosa,
contradditoria, tra fisica e metafisica, mantiene ancor oggi tutta la sua sugge-
stione, ma, in sua vece, ci pensa il mondo digitale a rimescolare la successione e
lo scorrere del tempo in base agli algoritmi con cui fruga nella memoria dei suoi
database e in base ai modelli di previsione con cui indaga e prevede il futuro.
“Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume”, scrive Jorge Luis
Borges. Leibnitz, invece che al sensorium Dei con un tempo e uno spazio unici
nell’Universo, pensava allo scorrere delle ore come una “relazione di eventi che
si succedono e vengono ordinati nelle nostre teste”. Per la quantistica, il tempo
non è affatto determinato dall’ordine causa-effetto e in ogni punto dell’Uni-
verso dipende da chi lo misura. Richard Feynman arriva a dire che il tempo
“è quel che succede quando non succede niente, ad esempio quando non lo
stiamo misurando”. Il neurobiologo Arnaldo Benini ritiene che tempo, spazio
e numero siano “i domini nei quali il cervello codifica e calcola quantità” (Ar-
naldo Benini,Neurobiologia del tempo, Raffaello Cortina, 2017, pp. 120, euro
14.00). Quindi, secondo uno dei più accreditati studiosi della mente, il tempo
sarebbe reale per qualsiasi uomo, contiguo al cuore della natura, senza essere
un arcaico arnese mentale, come invece sembrerebbe proporre il fisico Rovelli:
“un accadere locale e complesso che non si può descrivere con un unico ordine
globale”, al punto che “passato e futuro non hanno significato universale, ma
hanno un significato che cambia tra qui e lì”. Eppure, Einstein nel 1905 ( Jon
Stachel, a cura di, L’anno memorabile di Einstein, Dedalo, 2019, pp. 214, euro
13,00) nei suoi articoli stupefacenti sugli Annali di Fisica non si teneva affatto
sull’astratto, come ci si è fatto credere attraverso l’immagine di un genio eccen-
trico piovuto dal cielo nel secolo del diffondersi dell’elettricità e dell’elettroma-
gnetismo. Lui, esperto all’ufficio dei brevetti di Berna, afferma chiaro e netto
che la teoria della relatività “è un principio euristico che, considerato in sé e
per sé, contiene solo asserzioni su corpi rigidi, orologi e segnali luminosi (roba
da operai, meccanici, elettricisti …) E aggiunge subito dopo che per quando
descriviamo il moto di un punto materiale (e noi potremmo dire di un pacco
affidato ad un rider o di un pezzo che viaggia in catena o di un’informazio-
ne comunicata con lo smartphone), non dobbiamo mai dimenticare che tutti
i nostri giudizi in cui interviene il tempo sono sempre giudizi di eventi simul-
tanei (ad esempio l’arrivo del treno in stazione e la coincidenza con le lancette
dell’orologio), ma che “questa convinzione non vale se si devono correlare nel
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esclude la forza lavoro dalla conoscenza di come e con quale sequenza o algo-
ritmo venga organizzata la sua prestazione anche durante il tempo compresso
dalle macchine e sfruttato per la produzione, ma non retribuito. Non va dimen-
ticato che si è arrivati a predire l’eliminazione della prestazione umana, (un
“sogno” di certa industria 4.0!) anche al costo inaudito di non tener più conto
che si tratta di eliminazione di forza muscolare intelligente, cosciente, vivente.
Dobbiamo allora davvero e con una particolare attenzione politica chiederci a
cosa porti la corsa frenetica alle telecomunicazioni, alla creazione di magazzini
di dati strutturati e disponibili all’istante, agli acquisti e consegne online, ai
sistemi esperti, alle procedure di controllo e agli algoritmi di esecuzione, agli
eserciti di robot guidati da laser precisissimi, ai droni che trasmettono le imma-
gini all’istante e manipolano merci trasportate da lontano. Servono, dobbiamo
esserne coscienti, a creare un ambiente artificiale ad elevata produttività e a
forte induzione di consumi, esterno allo spazio biologico dell’esistenza e dell’at-
tività lavorativa, resa – quest’ultima - totalmente dipendente dal macchinario
artificiale e perciò sottratta alla contrattazione della riduzione di orario e alla
giusta retribuzione di donne e uomini in stabile occupazione.
Difficile, come abbiamo già preso in considerazione, la riconquista del “tempo
proprio” quando la velocità dei processi muscolari e biochimici che regolano il
comportamento umano non è minimamente comparabile a quella dei processi
artificiali. Difficile non tener conto che azioni a distanza, agiscono come se la
distanza si contraesse per effetto della velocità della comunicazione. Ma se gli
orologi umani e quelli dei computer battono un tempo diverso, questi mar-
chingegni devono pure espellere un prodotto finito o consegnare un servizio
compiuto laddove la pulsazione del cuore, la durata del respiro e la relativa
lentezza del ragionamento e del linguaggio convivono con i prodotti di qual-
sivoglia trasformazione artificiale di cui si valida al fine - e solo “post” - l’u-
tilità sociale e la efficacia nel procurare una vita buona! Anche quando una
infinità di operazioni logiche o di informazioni vengono trasmesse durante un
battito di ciglia, uomini e donne non possono comprimere il tempo biologico
che li contraddistingue – “tempo proprio” - se non a discapito di conoscenza,
informazione, relazioni, piacere o dolore, partecipazione democratica, conser-
vazione e trattenimento di vita vissuta in forma di memoria e identità. Vorrei
fare notare che gli stessi algoritmi che sembrano semplificare e accelerare i rit-
mi delle nostre vite hanno richiesto un tempo di elaborazione incomprimibile
da parte dei loro progettisti, successivamente trasformato in salario con uno
scambio economico che non tiene conto né dello studio, né della preparazione
precedente: è il prezzo sul mercato del tempo umano impiegato e finalizzato ad
accorciare essenzialmente i tempi di produzione.
Tornando in dettaglio sull’attività lavorativa in senso stretto, la difficoltà di sin-
tonizzare l’attenzione umana con la costanza e la velocità dei tempi di esecu-
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Terra. C’è inoltre un aspetto non prettamente fisico su cui riflettere ma che, a
sua volta, ha a che fare con l’entropia e la rigenerazione della nostra società: il
rapporto paritario tra i sessi. Riappropriarsi del tempo ha anche una compo-
nente di genere che va liberata dall’assetto attuale di potere maschile. Sono da
combattere le pratiche sociali ed economiche, le istituzioni e i sistemi culturali
o religiosi che sostengono o applicano la discriminazione della donna e le attri-
buiscono un obbligo di tempo nemmeno retribuito.
215
SAGGI O MARIO AGOSTINELLI
L’obiettivo dell’occupazione
La gerarchia temporale nella nuova organizzazione manifatturiera risulta tan-
to profondamente differenziata, ribaltata e mutata a favore dell’apparato elet-
tronico-digitale di controllo, da consentire la più totale saturazione dell’orario
di lavoro dei dipendenti, fino all’alienazione dell’operaio-operatore controllato.
L’abbattimento dei prezzi degli impianti conseguente alla loro miniaturizza-
zione, lo sviluppo delle stampanti 3D, la prevalenza delle “merci immateriali”,
l’ubiquità e la flessibilità delle tecnologie digitali, la messa in rete delle cono-
scenze, potrebbero prefigurare una riduzione di scala della produzione mon-
diale – conterà più il tempo che la distanza! - e consentire gradualmente la ri-
duzione dell’orario delle prestazioni individuali a dimensione mondiale, senza
più le remore del differenziale del costo del lavoro locale.
Già abbiamo constatato come le macchine di nuova progettazione infrangono
i modelli della meccanica classica e cominciano ad imitare e simulare l’intelli-
genza a velocità irraggiungibili dalla mente umana. Ma, anziché approfondire
il senso e l’ordine estremo dei processi in corso, nel mondo politico e nell’opi-
nione pubblica divampa il clamore della notizia, che attualmente prende la for-
ma di un autentico e un po’ goffo “panico da robot” che, a mio parere, andrebbe
quantomeno razionalizzato e ridimensionato. L’impressionante incalzare della
velocità incorporata artificialmente in modelli assai più neuronici che meccani-
ci non pone solo la questione della diminuzione dello sfruttamento attraverso
la riduzione del tempo destinato al lavoro, ma, addirittura, il dramma di una
definitiva espulsione e marginalizzazione di donne e uomini rispetto al pro-
cesso produttivo. Saremmo di fronte alla comparsa di una figura antropologi-
camente inedita che fin dalla nascita è destinata a rimanere fuori, perché non
più necessaria. Direi proprio antropologicamente irrealizzabile perfino per il
capitale.
Questa prospettiva della inoccupazione strutturale, unita alle considerazioni
su natura e clima, cambia tutto. Non possono reggere le previsioni del Forum
di Davos di due anni fa che prevedono nel nuovo manifatturiero 2 nuovi mi-
lioni di posti di lavoro con la contemporanea sparizione di 7. La tecnocrazia,
cioè, ci porterebbe non a liberarci dall’esosità del lavoro, ma all’espropriazione
della capacità lavorativa. Una interpretazione “keynesiana” del progresso con
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ispirato le politiche del lavoro degli ultimi decenni, rovesciandone la base teo-
rica e politica. Riconoscendo dunque, priorità al lavoro e alle condizioni di vita
dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto a quelle dell’impresa e ripristinando
una scala di valori che risponda ai bisogni vecchi e nuovi del mondo del lavoro.
Contemporaneamente è importante la ricerca sull›importanza del tempo non
lavorativo e, sotto questo profilo, un tempo libero più regolare - al di là delle
serate e del fine settimana in corso - alleggerisce il carico di lavoro e aumenta la
sensazione di autonomia, ancorché combinato con una serie di altre politiche
economiche più ampie.
221
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alternative per il socialismo O 55
viduale del tempo è un passo importante e specifico della fase storica attuale.
In un momento in cui i paesi ricchi devono ottenere una rapida riduzione delle
emissioni di carbonio, non esiste un modo migliore per integrare la politica
energetica con un nuovo approccio all’orario di lavoro. Le ore ridotte sono al-
tamente correlate con le emissioni più basse, i miglioramenti del benessere dei
lavoratori, dell’equità di genere e il mantenimento di una produttività i cui be-
nefici vanno redistribuiti.
Mentre il passaggio a una settimana lavorativa più breve non risponde diretta-
mente o in modo completo al problema delle forme precarie di lavoro, indiret-
tamente potrebbe portare alla creazione di posti di lavoro più sicuri e meglio
pagati. Gli obblighi familiari sedimentati spesso comportano che le donne ri-
spetto agli uomini svolgono più lavori a tempo parziale, che in genere vengono
pagati meno e offrono meno opportunità di avanzamento di carriera rispetto al
lavoro a tempo pieno. Una settimana lavorativa più breve crea una condizione
più favorevole per la parità anche nell’utilizzo del tempo tra i sessi.
La scienza dice che abbiamo circa un decennio per agire in modo radicale ai
fini di assicurare il diritto alla sopravvivenza anche alle prossime generazioni.
Non farlo, anche agendo direttamente e coinvolgendo in ragione di un suo po-
tere contrattuale il mondo del lavoro, sarebbe frutto di un irreparabile se non
delittuoso errore politico.
223
LUCIANO BEOLCHI
G
1
li incontri avvennero a cavallo del IV Congresso dell’Internazionale Comunista, 5 novembre-5
dicembre 1922. Lenin morì dopo lunga malattia nel gennaio 1924.
2
L’Internazionale Comunista era stata fondata a Mosca nel marzo 1919. Il suo III Congresso si
tenne dal 22 giugno al 12 luglio 1921.
3
Umberto Terracini (1895-1983). Il più giovane dei quattro fondatori dell’Ordine Nuovo. Avvocato.
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SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
Per tre anni il Partito Comunista era stato impegnato nel dibattito fusione sì/
fusione no. Per tre anni era rimasto come congelato nella sua capacità di elabo-
razione ideologica e strategica, miope di fronte alla realtà che si sviluppava sotto
i suoi occhi. Così si espresse Gramsci, durante il faticoso e doloroso parto di una
nuova linea politica e di una direzione rinnovata: quella che Togliatti chiamò
Formazione del gruppo dirigente.
6
G
iacinto Menotti Serrati (1876-1926) era il capo della corrente massimalista del Partito Socialista
al momento della scissione comunista. Dopo alterne vicende fu espulso dal PSI nel 1924 ed entrò
nel PCI con circa duemila militanti socialisti, i cosiddetti terzini.
7
R
uggero Grieco (1893-1955). Fu eletto nel Comitato Esecutivo del PCd’I sia al I (1921) che al II
Congresso (1922) del partito. Il Comitato Esecutivo in entrambi i casi era composto da Bordiga,
Terracini, Grieco, Fortichiari, Repossi.
226
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8
Q
uando si scontrarono in campo aperto con i fascisti, gli Arditi del Popolo ebbero quasi sempre
la meglio. Nella lunga stagione della controffensiva fascista e borghese del 1921-1922 vinsero a
Parma e a Roma, due volte a S. Lorenzo e poi a Viterbo, Sarzana, Civitavecchia e Bari. Molte bat-
taglie furono combattute con successo ancora nell’estate 1922, con la collaborazione di militanti
comunisti.
9
I l II Congresso del PCd’I si tenne a Roma dal 20 al 24 Marzo 1922 e approvò, sia pure in via
consultiva, le Tesi sulla tattica, in aperto conflitto con le omonime Tesi dell’Internazionale. Le
Tesi sulla tattica erano firmate da Bordiga e da Terracini, pur essendo in massima parte opera
di Bordiga. Il partito contava ancora circa quarantamila iscritti.
10
Angelo Tasca, I primi dieci anni del PCI, Laterza, 1973, pag. 128.
227
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
La crisi del partito durava da due anni e gli iscritti si erano ridotti a meno di
metà dei quarantamila che erano nel 1921. Di quello si discusse al IV Congresso
dell’Internazionale Comunista, quando Lenin incontrò Bordiga e Gramsci, e poi
al successivo III Esecutivo Allargato (giugno-luglio 1923) che merita particolare
attenzione perché fu in quell’occasione che venne imposto il gesto d’autorità che
incontrò in Bordiga, assente da quella riunione per motivi carcerari, un totale ri-
fiuto. Scrisse e riscrisse a Togliatti, che dopo l’arresto suo e di Grieco e la partenza
di Terracini per Mosca era diventato il segretario di fatto.
Dispensava suggerimenti, dava direttive e minacciava disastri, ma nelle nume-
rose lettere non menzionò mai Gramsci; e non perché ne ignorasse la posizione
(avevano parlato a lungo in novembre, lui irremovibile, l’altro pedagogico, senza
trovare accordo), ma piuttosto perché pensava che Gramsci non fosse in grado
di affrontare una battaglia nel partito. E invece Gramsci lo spiazzò. Ideò una
strategia e si mostrò capace di realizzarla. Scrisse e rispose a quanti considerava
alleati possibili e sicuri. Anzitutto a Togliatti, Terracini, Scoccimarro e Leonetti,
in quest’ordine di importanza.
Fin dal maggio 1923 la decisione di Gramsci era presa. Significativa è la lettera di
Gramsci a Togliatti dove dice:
“Bisogna creare nell’interno del partito un nucleo, che non sia una frazione, di
compagni che abbiano il massimo di omogeneità ideologica e quindi riescano
a imprimere all’azione un massimo di unicità direttiva. Noi, vecchio gruppo to-
rinese, abbiamo fatto molti errori in questo campo. Abbiamo evitato di portare
fino alle estreme conseguenze i dissidi ideali e pratici che erano sorti con Angelo
[Tasca]11, non abbiamo chiarito la situazione e oggi ci troviamo a questo punto:
che una piccola banda di compagni (?!) sfrutta per suo conto la tradizione e le
forze da noi suscitate e Torino è diventata un documento contro di noi. Nel cam-
po generale, per la repulsione che abbiamo sempre avuto a creare una frazione
siamo restati isolati...12”.
È un Gramsci nuovo, che si fa strada da solo, sul quale ha sicuramente influito in
modo positivo la frequentazione dell’IC e del partito russo dove si fa politica alta
e bassa. Gramsci impara presto ad anguilleggiare, quando lo ritenga opportuno,
ma anche a imporsi, se necessario.
11
Angelo Tasca (1892-1960), con Gramsci, Togliatti e Terracini fu uno dei fondatori dell’Ordine
Nuovo. Nel PCd’I rappresentò sempre l’ala destra fino a quando non ne fu espulso nel 1929. Da
allora frequentò ambienti socialisti. Durante la guerra fu collaboratore del regime di Vichy.
12
ettera di Gramsci a Togliatti del 18 maggio 1923, in Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo
L
dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 65 e in Antonio Gramsci, Edizione Nazionale degli
scritti, Epistolario, Vol II, 2011, p. 102.
228
alternative per il socialismo O 55
Gramsci a Mosca
Era arrivato a Mosca dal maggio 1922, come rappresentante del partito italiano
nell’Esecutivo e nel Presidium dell’Internazionale Comunista13. Ci sarebbe rima-
sto fino al novembre dell’anno seguente. Era arrivato deluso e amareggiato. Un
grande direttore di giornale, un organizzatore di cultura che destava sorpresa
e ammirazione, una prestigiosa riserva morale e intellettuale per il partito. Per
molti sarebbe stato un curriculum più che onorevole, ma come dirigente politico
Gramsci non pesava molto e se non era intervenuto al Congresso della scissione
né a quello della fondazione, non era, come scrisse Berti14, perché la sua voce era
debole e non c’erano altoparlanti a sorreggerlo.
Anche a Livorno era arrivato da sconfitto. Gli imputavano la sconfitta dello scio-
pero delle lancette e persino la sconfitta dell’occupazione delle fabbriche del set-
tembre 1920. Il suo gruppo si era disgregato e l’aveva lasciato solo: Tasca aveva
ribaltato le Tesi sui Consigli di Fabbrica. Togliatti e Terracini si erano alleati con i
massimalisti costringendolo a rifugiarsi in un piccolo gruppo di educazione ope-
raia: un tipico “gruppo Gramsci”, visto con il senno di poi.
Quando anche loro si erano avvicinati alla sinistra comunista di Bordiga,
come Gramsci aveva fatto fino dal maggio192015, solo Togliatti gli era rimasto
vicino perché Terracini – a sentir Gramsci – era diventato più bordighiano di
Bordiga.
Al Congresso Socialista del 1921 - dove si consumò la scissione - gli avevano anche
rinfacciato la sua iniziale propensione per l’interventismo e per lo stesso motivo
Bordiga e Terracini avevano dovuto imporlo ai compagni che non lo volevano nel
Comitato Centrale del neonato Partito Comunista e tanto meno nel suo Comita-
to Esecutivo, da cui in effetti rimase escluso. Sempre per il peccato interventista
a Togliatti fu negato di far parte del primo Comitato Centrale.
Le amarezze politiche erano continuate anche dopo, a partire dalla radicale di-
vergenza rispetto alla lotta al fascismo sulla questione degli Arditi del Popolo16.
Poi era arrivata la diffida di Terracini a che il giornale parlasse di governo operaio
e contadino, cioè della svolta conciliatrice dell’Internazionale solo previa autoriz-
13
L’organigramma del vertice dell’Internazionale, fissato nel corso del IV Congresso, prevedeva un
Comitato Esecutivo di ventuno membri, un Presidium di undici e un segretariato di sette.
14
Giuseppe Berti (1901-1979). Tra i fondatori del PCd’I, fece inizialmente parte della corrente di
Tasca, poi passò con Gramsci e negli anni trenta divenne responsabile della sezione quadri e orga-
nizzazione del partito.
15
Nel mese di maggio 1920 Gramsci si riavvicinò agli astensionisti e l’8-9 maggio partecipò al
Convegno indetto a Firenze dalla frazione comunista astensionista, come del resto parteciperà
ai successivi convegni di Milano, a metà ottobre e di Imola a fine novembre dello stesso anno.
16
Il 31 luglio 1921 Gramsci dovette pubblicare su Ordine Nuovo la risoluzione del Partito sull’asso-
luta incompatibilità.
229
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
zazione scritta del Comitato Esecutivo. Un vera e propria lettera censoria recapi-
tatagli nel dicembre 192117.
Arrivato a Mosca in cattivo stato di salute le lettere che ricevette da Bordiga
nell’estate del 1922 furono meno che irrispettose. Con tono da padrone Bordi-
ga lo accusava di essere un lazzarone e si domandava: ma perché vi abbiamo
mandati lì? Fino a informarlo che nei confronti suoi e dell’altro rappresentante
italiano a Mosca, Ersilio Ambrogi, era stata aperta una procedura disciplinare
per negligenza e scarso rendimento18.
Nel giugno 1923, di fronte alla singolare soluzione imposta dall’Internazionale
– il gesto d’autorità – Gramsci non espresse una posizione autonoma, ma si ac-
codò alla linea difensiva della sinistra comunista. A suo modo di vedere, l’attacco
brutale di Zinov’ev e di Tasca a sostegno di quella misura risultava inaccettabile
ai dirigenti del partito, per non dire della base che ne sarebbe stata sconvolta.
Ma quando, a dicembre, Bordiga commise l’errore fatale di dichiarare guerra
all’Internazionale, Gramsci ne approfittò. Fino a quel momento una frazione
gramsciana non era esistita e si può dire che Gramsci fosse solo, ma nel giro di
pochi mesi riuscì a mettere in minoranza Bordiga – è la seconda fase del gesto
d’autorità – e a farsi eleggere segretario generale del partito. Il primo segretario
del Partito Comunista Italiano.
17
3 dicembre 1921. Lettera di Umberto Terracini alla direzione de “Il Comunista”, “l’Ordine Nuovo”
2
e “il Lavoratore”. In: Antonio Gramsci, Edizione Nazionale degli scritti, Epistolario, Vol. I, 2009,
p. 320.
18
i vedano, in Antonio Gramsci, Edizione Nazionale degli scritti, Epistolario, Vol. I, 2009, le lettere
S
di Bordiga a Gramsci del 5, 6 e 23 agosto 1922.
19
È probabile che Zinov’ev sia tornato all’attacco nel giugno 1923.
20
L’Esecutivo era composto di fatto da lui, Terracini e Scoccimarro, Fortichiari in dimissioni.
230
alternative per il socialismo O 55
Ha caricato questo attacco con le dimissioni sue e di tutto l’Esecutivo inviato a marzo.
21
22
Questa decisione era formalmente legittimata dal nuovo statuto dell’Internazionale, approvato in
sede di IV Congresso dell’Internazionale ed era già stata precedentemente adottata nei confronti
del Partito Comunista Francese.
23
I l 16 ottobre 1922 Terracini aveva preannunciato a Mosca l’arrivo di 22 delegati. A dieci giorni
dalla marcia su Roma, il PCd’I spostava a Mosca l’intero gruppo dirigente. Antonio Gramsci, Edi-
zione Nazionale degli scritti, Epistolario, Vol. I, 2009, p. 395.
231
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
pressioni dell’Internazionale: la difesa rigida della sinistra, cui anch’egli per l’ul-
tima volta si adegua, non va in quella direzione, ma Gramsci non intende isolarsi.
È un Gramsci che ha anguilleggiato, ma è un Gramsci autorevole quello che su-
bito dopo il CE (Allargato) dell’IC, Gramsci scrive a Togliatti e per informazione
a Scoccimarro, Leonetti, Montagnana, Fortichiari, Platone, Terracini, Ravera,
Peluso, una lunga lettera.
“Sono assolutamente persuaso che oggi ogni discussione che da parte nostra si
limiti agli aspetti organizzativi e giuridici della questione italiana non può avere
nessun risultato utile; essa potrebbe solo peggiorare le cose e rendere più difficile
e pericoloso il nostro compito. Bisogna invece lavorare concretamente, dimostra-
re attraverso tutta un’azione di partito e una operosità politica che sia adeguata
alla situazione italiana, che si è quelli che si pretende di essere e non continuare
l’atteggiamento di geni incompresi24”.
La lettera, annunciata come tale a Togliatti, non fu lunga e non fu neanche spedi-
ta. La conosciamo come bozza e rappresenta comunque un cambiamento nell’at-
teggiamento di Gramsci che risponde a un gesto significativo di Togliatti che
per la prima volta aveva allegato alla sua corrispondenza la copia di una lettera
personale di Bordiga a Zinov’ev e Bucharin25.
La reazione di Bordiga
Bordiga viene a sapere della decisione d’autorità dell’Internazionale, che include
anche la sua destituzione dall’organo dirigente dal partito, mentre è in carcere a
Regina Coeli, dove gli arrivano notizie frammentarie e tardive di quanto è acca-
duto. Da lì, profittando dell’aiuto di una guardia amica, scrive ripetutamente al
Comitato Esecutivo italiano, in genere attraverso Togliatti.
La corrispondenza di Bordiga – e quella di Grieco che è in carcere con lui – è
scritta in una forma curiosa, una via di mezzo tra la stenografia e la crittogra-
fia, di cui daremo qualche esempio. L’originale di tutto il carteggio è conservato
nell’Archivi del Comintern di Mosca26.
Questo scambio di messaggi e la loro collocazione ci conferma che almeno una
24
Antonio Gramsci, Edizione Nazionale degli scritti, Epistolario, Vol. II, 2011, p. 582.
25
ordiga aveva inviato quella lettera personale a Zinov’ev e Bucharin dal carcere di Regina Coeli
B
dopo che gli erano divenuti chiari i cambiamenti imposti dal gesto d’autorità, In quella lettera
Bordiga faceva le sue valutazioni e dichiarava le intenzioni future. La lettera doveva passare
necessariamente per le mani di Togliatti che ne fece copia per inviarla a Gramsci. Il biglietto
d’accompagnamento di Togliatti e il suo allegato non sono riportate nella Formazione del gruppo
dirigente del PCI, ma si ritrovano nell’epistolario dell’Edizione nazionale gramsciana (vol. II, p:
119).
26
Archivio statale Russo per la storia socio politica, (Rgaspi). L’archivio è costituito di 5 sezioni di
cui una è dedicata al Komintern. Il fondo cui facciamo riferimento è il 495, della sezione Komin-
tern: ‘Organismi dirigenti’.
232
alternative per il socialismo O 55
parte degli archivi del partito, cui questi documenti seguenti appartengono, era
per l’appunto conservato a Mosca, dove i documenti si trasferivano per motivi di
sicurezza e dove sono conservati in originale.
Nella sua qualità di rappresentante italiano nell’Esecutivo dell’Internazionale e
di membro del Presidium, Gramsci era tra i primi, se non il primo a venire a
conoscenza del corriere in arrivo dall’Italia: per questo motivo era in grado di
seguire passo per passo tutte le mosse o quasi, di quello che fino da maggio, con-
siderava l’avversario da battere. Viceversa, Bordiga non aveva praticamente nes-
suna notizia di quanto faceva Gramsci a Mosca, né la cosa pareva preoccuparlo
perché in tutta la corrispondenza sua riservata del 1923 – per quanto essa ci è
nota-, il nome di Gramsci non compare mai.
In ordine di date, la prima lettera di Bordiga, del 29 giugno 1923, suona così:
eel – [la sigla di Bordiga] – a Plm-vntnv – attendm t rispost a nstr. Def e io lui
trvr il lvr di grupp defcent: occorre un dirzn: cercte di provvdr. (Doc. 1 - siglato
2127).
[Bordiga a Palmiro, ventinove (giugno 1923). Attendiamo tua risposta a nostra,
Grieco e io. Lui trova il lavoro di gruppo deficiente: occorre una direzione: cer-
cate di provvedere.].
Il giorno dopo, Bordiga insiste:
Il mio piano di azione autnm si disctr dopo. Appn avt ntz dcsn evlarg scrivr una
lettr persl a Gregrio ‘il pallista’. (Doc. 1 - siglato 2128).
[Il mio piano di azione autonoma si discuterà dopo. Appena avute notizie deci-
sioni Esecutivo Allargato scriverò una lettera personale a Gregorio il pallista.].
Il 3 luglio 1923 Bordiga (eel) protesta attraverso Togliatti: “A Mosca siete andati
in troppi” (Doc. 14)29-30. “Quattro su sette componenti dell’esecutivo, mentre due
sono in prigione (Bordiga e Grieco) e uno solo in Italia a lavorare (Togliatti): al-
meno Umberto (Terracini) e Scocci (Scoccimarro) dovevano restare”. E aggiun-
ge: “Spero che i nostri abbiano protestato per il rinvio al 1924 del V Congresso”.
E premonisce: “La cosa è significativa per la questione del programma e altro. Si
va a precipizio al revisionismo comunista, ab imis fundamentis”.
Il 4 luglio Bordiga (eel) scrive a Palmiro (Doc. 14) e gli riscrive protestando il 15
luglio: “I nostri non hanno osservato il mandato” (Doc. 14). Ribadisce che i diri-
genti della maggioranza debbano rifiutare le cariche. Tra l’altro, dice, “Umberto
(Terracini) e Mauro (Scoccimarro) sarebbero indispensabili qui”.
27
Archivio Komintern, 495, I 513/1/199 doc 1/21.
28
Archivio Komintern. 495, I 513/1/199 doc 1/21.
29
Archivio Komintern. 495, I 513/1/199 doc 1/21 doc 14.
30
orrado Basile – Alessandro Leni. Amadeo Bordiga politico. Edizione Colibrì 2014. Gli autori
C
riferiscono come missiva per Togliatti una lettera uscita il 7 luglio da Regina Coeli.
233
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
“Se però non volete fare quanto vi propongo, ecco, ancora le mie decisioni perso-
nali. Non pretendo di rappresentare altro che il signor di me stesso, ma dichiaro
che la mia azione sarà indipendente da quella dei rappresentanti dell’ex maggio-
ranza nella centrale e che non collaboro in nessun modo […] al lavoro di dire-
zione del partito. Dall’esecutivo sono lieto di essere già escluso: mi dimetto dal
Comitato Centrale. (luigi [Repossi, ndr] perché è stato liquidato? E il Comitato
sindacale? E i pinguini?). Non mi dimetto da non so che cariche mi hanno dato
a Mosca, ma se dovessero uscire, non andrò laggiù neanche pro tempore”. Doc. 1.
Riscrive a Togliatti il 7 luglio. A questa data deve aver ricevuto notizie della riso-
luzione del CE dell’IC perché propone che nessuno della maggioranza resti nel
nuovo esecutivo, come vorrebbe l’Esecutivo dell’Internazionale. Considera un
pasticcio la cooptazione sua e di Terracini nel Presidium [dell’Internazionale]; e
tuttavia consiglia che Terracini accetti purché non debba restare a Mosca.
Intorno al 20 luglio, Bordiga riceve un succinto verbale della riunione fatta a
Milano dalla sua maggioranza, tra chi era a Mosca e chi non c’era e non può
che registrare il disorientamento dei suoi collaboratori più fedeli. Il verbale di
quella riunione è stato verosimilmente raccolto da Terracini che lo accompagna
con una esortazione personale. L’originale del documento è anch’esso conservato
nell’Archivio del Comintern.
Lettera collettiva a Bordiga (cifrata ad Amedeo) del 12 luglio 1923.
Riunione per esaminare le decisioni dell’Esecutivo Allargato. Partecipano: Um-
berto (Terracini), Bruno (Fortichiari), Alfonso (Leonetti), (Camilla) Ravera, Pal-
miro (Togliatti). Si riuniscono a Milano come compagni della maggioranza e
non come organo di partito (Doc. 8).
I partecipanti concordano sulla necessità di un atteggiamento comune di fronte
all’Internazionale e respingono le posizioni personali. Più argomentato e lungo
è l’intervento di Togliatti. Lamenta che non si sia presa di fronte alle masse una
posizione di polemica aperta con l’Internazionale.
Umberto (Terracini) e Leonetti non sono completamente d’accordo sulle propo-
ste di Palmiro (Togliatti), mentre Ravera è d’accordo con lui. Anche Bruno (For-
tichiari) crede che “l’accettazione possa avvenire solo a parte di una dichiarazione
e polemica in cui la posizione del gruppo sia precisata”. Doc. 9 e 10.
Nella parte finale del rapporto Terracini passa al tu e dopo avere detto che non
bisogna ridurre la questione ai casi personali e piuttosto far cadere sulla mino-
ranza la minaccia di rottura, richiede esplicitamente:
“Gli atti polemici andranno compiuti collettivamente e tu dovrai avere gran parte
soprattutto nella estensione della dichiarazione fondamentale – riteniamo che
essa debba essere fatta lasciando da parte la questione contingente del momento
(fusione, esecutivo misto, ecc.) o almeno trattandole in relazione e in conseguen-
za delle posizioni teoriche e tattiche che il nostro gruppo ha preso e mantenuto
fin dalle sue origini”. Doc. 9.
234
alternative per il socialismo O 55
“La mia nomina a Mosca è stata motivata esplicitamente col desiderio di im-
pedire una mia possibile opera di opposizione in Italia. Si sarebbe voluto che io
non fossi neppure tornato, ragione per cui ho voluto precisamente rientrare per
qualche tempo”. Doc. 11.
Bordiga (eel) scrive a Togliatti il 20 luglio (Doc. 13), dopo aver ricevuto il verbale
del 12 col suo allegato e chiede:
Si può sapere se si sono o no impegnt ad accettr le carch? E chi son i tornt? Non
dove [intende i tre della sinistra nell’Esecutivo italiano] accettare di restare nell’e-
secutivo. Sarebbe una situazione impossibile per voi.
[Si può sapere se si sono o no impegnati ad accettare le cariche? E chi sono i
tornati? Non dovete accettare di restare nell’Esecutivo. Sarebbe una situazione
impossibile per voi.].
L’argomento di Bordiga è che il lavoro di frazione non si può fare “stando noi –
dice – alla testa del partito”. Lavoro di frazione vuol dire opporsi in modo palese
e frontale alle direttive di Mosca. Sostiene la proposta di Palmiro di un’aperta ed
elevata discussione. Piuttosto che stare con un piede dentro e uno fuori “capitola-
te definitivamente”, dice Bordiga (Doc. 13). Aggiunge: “è quasi certo che tra poco
saremo liberi per scadenza dei termini” ed elenca gli altri colpiti da mandato di
cattura: Bruno (Fortichiari), Umberto (Terracini), Vota, Gramsci, Tasca. Questo
consiglierà di protrarre la permanenza di Gramsci a Mosca.
Nel frattempo però Bordiga ribadisce in una forma ampia ed esaustiva la sua
posizione in una lettera scritta tra il 13 e il 15 luglio a Zinov’ev e Bucharin31. Ed è
quella lettera che Togliatti manda immediatamente in copia a Gramsci32.
In agosto Bordiga scrive a Ercoli (Togliatti) e Terracini (eel plmre Umbr) con-
fermando le dimissioni sue anche dal Comitato Centrale del Partito Italiano e
l’esclusione di qualsiasi possibilità di esecutivo misto (Doc. 15).
“Non fate la massima fesseria della vostra vita. Ed ora a voi decidere”.
L’8 settembre torna a scrivere a Terracini (Doc. 19).
“Ho mandato il documento che rende superflua una lunga risposta alle tue con-
siderazioni33… ma non siamo d’accordo affatto sulla tua difesa della linea seguita.
Voi l’avete deformata dopo il mio arresto più che altro per il vizio (grave in Um-
berto) di non richiamare avanti tutto lo sviluppo precedente di una questione
prima di risolverla”.
Lo scambio di lettere prosegue in agosto e settembre.
31
Sami Behare. Il partito decapitato. La sostituzione del gruppo dirigente del PCd’I (1923-1924)
Edizioni L’Internazionale, 1988, p. 60.
32
ettera di Togliatti a Gramsci del 23 luglio 1923. In: Antonio Gramsci, Edizione Nazionale degli
L
scritti, Epistolario, Vol. II, 2011, p. 119.
33
Si tratta del famoso Manifesto.
235
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
34
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 134.
236
alternative per il socialismo O 55
Tutti e tre insistono perché Gramsci firmi quel Manifesto nella versione corretta
da Togliatti, ma Gramsci in questo caso si mostra più testardo di Bordiga. “Con
Bordiga non c’è niente da fare, parlandogli al IV Congresso ho capito che è dispo-
sto anche a rischiare la distruzione del partito. Io non firmo”.
Gramsci è sostanzialmente solo, ma parla con sicurezza e decisione.
Parla e risponde anche alle questioni più spinose che gli pongono i suoi compa-
gni: prima tra tutte, perché non ti sei deciso prima?
Ai suoi occhi solo ora la situazione è chiara e sufficientemente matura.
Da una parte c’è la destra di Tasca, sempre incombente e che Gramsci non perde
mai di vista in tutto il percorso della crisi. Ininfluente nel partito, ma pur sempre
capace di riattivare quei meccanismi funesti di trasformismo, di parlamentariz-
zazione senza princìpi e di liberalismo che hanno segnato la vita e la decadenza
del vecchio PSI. E poi c’è lui, Bordiga, il capo del partito, il suo esponente più
illustre e popolare oltreché suo fondatore.
Bordiga ha con sé la grande maggioranza del partito e dei quadri, per quanto
dopo due anni il partito si sia ridotto alla metà rispetto alla sua fondazione; e
ancora si dimezzerà nei sei mesi seguenti. Non è tutta responsabilità di Bordiga,
ma certo il suo atteggiamento di Cincinnato comunista non aiuta.
Comunque, forte di questa sua maggioranza, Bordiga ha deciso con l’ostinazio-
ne e la logica ferrea che lo contraddistinguono, che quella sua maggioranza non
assumerà nessuna responsabilità di direzione. Prende atto che la politica dell’IC
non è la sua e cede le leve di comando all’unica alternativa interna dichiarata,
la destra eterogenea di Tasca, Graziadei e Bombacci che nel partito è non solo
ininfluente, ma discreditata.
Gramsci capisce che è sul quel terreno che si gioca la partita e che è una questione
assolutamente politica e non di princìpi. Bordiga potrebbe anche avere posizioni
opposte a quelle che ha: ciò che è inaccettabile è che la soverchiante maggioranza
di un partito si metta all’opposizione, si sottragga cioè a ogni disciplina formale
e sostanziale rispetto non solo a una direzione già screditata in partenza ma, e
nel contesto pesa ancora di più, in aperta rivolta contro le decisioni del Partito
Comunista mondiale, cioè dell’Internazionale.
Nelle sue lettere Gramsci osserva che se Bordiga rappresentasse una minoranza
potrebbe essere per il partito un pungolo e uno stimolo alla riflessione, potrebbe
essere accettato, riconosciuto e anche sostenuto – a proposito del suo Manifesto,
che personalmente lui non condivide – ma così, ossia per come si è venuta deter-
minando la situazione, la soluzione politica proposta da Bordiga è inaccettabile
per due motivi: del primo abbiamo già detto e vale sotto tutti i cieli e le stagioni,
il secondo è che l’alternativa di direzione che Bordiga consegna al partito – la
destra di Tasca, per lui estremamente comoda e conveniente, è quanto mai sco-
moda e indigesta, se non micidiale, per il partito stesso e per l’Internazionale. Il
partito nel frattempo è ridotto pressoché all’impotenza dalla violenta repressione
237
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
fascista e dalla sua crisi interna35. Avendo chiarissima quella situazione e oppor-
tunità politica, Gramsci si candida come alternativa di centro e lo dirà chiara-
mente ai quattro interlocutori che sceglie per giocare la sua partita: Togliatti,
Scoccimarro, Terracini e Leonetti.
E tuttavia, al momento è solo, isolato a Mosca, senza una propria corrente o fra-
zione nel partito; e senza essere agganciato a una frazione internazionale.
Osserviamoli più da vicino i compagni che Gramsci sceglie per dare battaglia.
Tranne Leonetti, che in tutta l’operazione ha un ruolo di sponda abbastanza mar-
ginale, gli altri tre hanno posizioni eminenti nel partito. Togliatti e Scoccimarro,
considerato l’appartarsi di Bordiga e dei suoi (Grieco e Fortichiari in primis)
sono in effetti i capi del partito. Terracini, nei tre anni precedenti ha avuto un
ruolo secondo solo a quello di Bordiga e dal giugno 1923 sostituisce Gramsci nel
Presidium dell’Internazionale. Tutti e tre appartengono alla corrente bordighia-
na, ma la loro formazione originaria non è quella del comunismo astensionista
e dogmatico, ma quella dell’Ordine Nuovo; questo vale anche per Scoccimarro
che viene da quel combattentismo tanto apprezzato da Gramsci quanto disprez-
zato da Bordiga il quale si limita a dire, dei combattenti: “ce li avevamo contro”.
Scoccimarro, che aveva aderito al Partito Comunista nel 1921, era stato subito
reclutato da Gramsci per l’Ordine Nuovo quotidiano.
Sono, non a caso, tre intellettuali, quattro con Leonetti. Hanno dei dubbi e ra-
gionano36. Sono loro che si sono fatti vivi con lui, proponendogli una mediazione
tra le scelte e le opinioni sue e quelle di Bordiga. Gramsci risponde che nessuna
mediazione è possibile e che non si tratta di limare questo o quel documento.
Seguirono tre mesi di carteggi, di dubbi e di chiarimenti che si possono con-
siderare conclusi con le lettere di fine marzo, quando sarà Togliatti a doman-
dare a Gramsci: “E di Bordiga che ne facciamo?”. Da quel momento lui, e più
di lui Scoccimarro, si dedicano alla preparazione di quella conferenza di Como
che passerà alla storia come il secondo atto del gesto di autorità e poco importa
35
ISCRITTI AL PCd’I
Livorno I Congresso circa 40.000 iscritti Gennaio 1921
36
a scelta di Gramsci esclude i bordighisti della prima ora come Grieco e i sinistri-sinistri milanesi
L
come Fortichiari e Repossi, per quanto con Fortichiari, che tiene accuratamente all’oscuro, condi-
vida i mesi viennesi; e i rigidi in genere.
238
alternative per il socialismo O 55
37
Che si affianca a Lo Stato Operaio voluto da Togliatti e uscito nell’agosto 1923.
239
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
240
alternative per il socialismo O 55
38
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 102.
39
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 172.
241
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
40
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 182.
41
La scissione di aprile (1920) è quella che contrappose gli organismi operai alla testa dello sciopero
delle lancette e poi dello sciopero generale piemontese alla CGdL nazionale e al partito riformista.
242
alternative per il socialismo O 55
9 febbraio 1924. Gramsci scrive a Togliatti e Terracini e a diversi altri quello che
finisce per essere un manifesto42. Non è ancora sicuro che gli altri lo seguiranno,
ma espone le sue posizioni in maniera definita e completa, anche per porre fine
alle incertezze e tergiversazioni dei compagni cui si rivolgeva. La lettera comin-
cia così:
“Volentieri accolgo l’invito rivoltomi dal comp. Urbani [Terracini] di fissare al-
meno nelle grandi linee la ragioni per le quali io credo necessario in questo mo-
mento non solo venire a una discussione a fondo dinanzi alle masse del partito
sulla nostra situazione interna, ma anche a un nuovo schieramento dei gruppi
che tendono alla dirigenza del partito”.
Il Manifesto di Bordiga è l’inizio di un attacco a fondo contro l’Internazionale e
che in esso si domanda una revisione di tutto lo sviluppo tattico che si è avuto
dopo il II Congresso.
Gramsci nega che la tradizione del partito, quale viene data nel Manifesto, coin-
cida con quella di uno dei gruppi che hanno contribuito alla sua costituzione e
nega che esista una crisi di fiducia tra l’Internazionale e il partito nel suo com-
plesso.
Questa crisi esiste solo tra l’Internazionale e una parte dei dirigenti del partito.
“Il partito – scrive Gramsci – ha solo creato un apparato di burocrati fedeli alla
linea e ha mancato nelle attività di agitazione e di propaganda. [Queste critiche,
sul funzionarismo, ricordano quelle coeve di Trotskij al partito bolscevico]. Il
Partito Comunista è stato perfino contrario alla formazione delle cellule di fab-
brica”. Soprattutto Gramsci prende di petto lo schematismo bordighiano che
ignora le più grandi superstrutture politiche, create dal più grande sviluppo del
capitalismo che rende più lenta e prudente l’azione della massa e domanda quin-
di al partito rivoluzionario tutta una strategia e una tattica ben più complesse e
di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi tra il marzo e il no-
vembre 1917.
Da questa lettera e da quella precedente a Leonetti del 28 gennaio risulta per-
ché egli avesse tanto atteso a fare il passo decisivo. Temeva, da un lato, che una
sua posizione aperta di rottura provocasse una reazione violenta di Bordiga met-
tendo a rischio l’unità del partito o isolasse Bordiga all’angolo, cosa che in quel
momento voleva evitare; temeva inoltre che nel partito si scatenassero contrasti
personali di natura deteriore. E ricorda le botte che i compagni si erano dati a
Mosca una volta conosciute le divergenze nel partito.
Qui43 Gramsci spiega le sue personali posizioni rispetto alle vicende del partito,
ricordando quella presa prima a Torino e poi al Congresso di Roma del marzo
1922 per evitare che le Tesi 51 e 52 contenessero la dogmatica esclusione della
42
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 185.
43
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 185.
243
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44
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI. Editori Riuniti, 1962, pag. 192.
45
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 209.
46
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 209.
47
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, 1962, pag. 213.
244
alternative per il socialismo O 55
48
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI. Editori Riuniti, 1962, pag. 228.
49
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI. Editori Riuniti, 1962, pag. 230.
245
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50
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI. Editori Riuniti, 1962, pag. 234.
51
Antonio Gramsci, Vita attraverso le lettere, a cura di Giuseppe Fiori. Einaudi, 1994, pag. 65.
52
Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI. Editori Riuniti, 1962, pag. 252.
246
alternative per il socialismo O 55
tito Comunista partecipa con discreto successo alle elezioni di aprile ottenendo
18 deputati. Gramsci è eletto in Veneto ed eletti sono i principali dirigenti della
corrente bordighiana. Non risultarono eletti Togliatti, Scoccimarro e Tasca. Ma
è soprattutto con l’apparizione dell’Unità, il 12 febbraio e di Ordine Nuovo, terza
serie, il 1° marzo, il Partito Comunista riacquista visibilità e vigore.
Bordiga, dopo il gesto d’autorità ha accentuato la sua opposizione alla politica
dell’Internazionale, rifiutando incarichi e responsabilità per sé e per i suoi, sia
nell’Internazionale che al vertice del partito.
Resta il più conosciuto e popolare dei comunisti italiani e il suo rifiuto di candi-
darsi alle elezioni ha influito negativamente sul risultato. In marzo un suo comi-
zio organizzato da Fortichiari a Milano ha avuto un grande successo; in luglio, al
V Congresso dell’Internazionale presenta il rapporto sul fascismo; in settembre
Gramsci, nominato in agosto segretario generale del partito, interviene al Con-
gresso Federale di Napoli. Bordiga, che gli si oppone frontalmente, viene tuttavia
eletto segretario federale quasi all’unanimità.
Gramsci nel novembre 1923 ha lasciato Mosca per Vienna e da Vienna si è dato
da fare per raccogliere e incoraggiare i suoi, in attesa di poter rientrare in Italia.
Su di lui pende un mandato di cattura. Il 6 aprile 1924 viene eletto deputato e il
12 maggio rientra legalmente in Italia grazie all’immunità parlamentare. In quei
mesi ha fatto un grande lavoro, non solo per spiegare e motivare l’operazione po-
litica che si andava preparando, ma anche per disegnare una nuova complessiva
linea d’azione e di strategia del partito.
In questo quadro si colloca la riunione di Como del 18 maggio 192453-54 che nella
pubblicistica comunista, tanto quella ortodossa che quelle di sinistra e di destra
viene giudicata il punto di svolta del passaggio della direzione del partito da
Bordiga a Gramsci. In realtà non fu esattamente quello il significato di quel-
la riunione; e non solo perché si trattava solo di una riunione consultiva, non
preparata da riunioni locali, per cui i dirigenti esprimevano opinioni personali,
ma anche perché quel passaggio fu graduale e si può dire che non fosse ancora
concluso al momento del III Congresso, nel 1926.
Tuttavia, si può anche dire che la scelta di Togliatti di tenere quella riunione
nonostante le esitazioni di Scoccimarro e della Ravera, aveva il significato di
rendere pubblica, per lo meno di fronte ai dirigenti locali, una divergenza di cui
in fondo non sapevano niente, e questo si faceva in parallelo alla pubblicazione
dei tre schemi contrapposti di Tesi che apparvero su Ordine Nuovo del 15 mag-
gio 1924, allargando la platea dei compagni chiamati a discutere55.
53
Paolo Spriano, Storia del PCI, Vol. I. Einaudi, 1967, pag. 352 e segg.
54
Sami Behare, Il partito decapitato, la sostituzione del gruppo dirigente del PCd’I (1923-1924)
Edizione l’Internazionale, 1988, pag.13 e 153.
55
Quella della maggioranza o del “centro” porta le firme di Togliatti, Gennari, Leonetti, Ravera,
247
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
Scoccimarro; quella della sinistra è presentata da Bordiga, Fortichiari, Grieco e Repossi; quella
della minoranza o “destra” viene firmato da Tasca, Vota, Berti, Bibolotti, Dante Cappelli, Giorgio
Carretto, Natale Cilla, Carlo Farini, Cesare Massini, Gustavo Mersù, Ottavio Pastore, Marco
Piccablotto, Giovanni Roveda: 13 firmatari, ossia più dei voti che prese la mozione.
248
alternative per il socialismo O 55
Questi numeri, già favorevoli alle Tesi della Sinistra, furono ottenuti nono-
stante non si fosse riconosciuto diritto di voto a Bordiga, Fortichiari, Repossi
e Grieco, che erano purtuttavia membri dell’Esecutivo eletto al Congresso, per
quanto dimissionari, mentre furono conteggiati a favore delle Tesi di Centro i
voti di tre membri assenti del Comitato Centrale (Gennari, Ravera e Leonetti),
in quanto co-firmatari delle tesi stesse.
Se non si fossero adottate queste decisioni procedurali, il risultato sarebbe stato
45 a 8 in favore della sinistra vs la direzione in carica.
Togliatti si affrettò a dire, dopo aver ribadito che la conferenza aveva solo fun-
zioni consultive, che il centro aveva comunque la maggioranza nel Comitato
Centrale.
Nella replica Togliatti riconobbe che:
“Quantunque siamo la maggioranza nel CC siamo i primi a riconoscere che la
maggioranza del partito non potrà mettersi sul nostro terreno se non dopo che
la discussione avrà reso possibile a tutti i compagni di superare il verbalismo
privo di senso che spinge molti, anche se sono d’accordo con le cose che dicia-
mo, a schierarsi contro di noi perché credono che il dovere di un buon militante
comunista è di essere sempre ‘a sinistra’”.
Era palese che il partito nel suo complesso restava, salvo poche eccezioni, bor-
dighiano. Tutt’altro partito da quello che immaginava Gramsci.
Arbitrio e autorità
Crediamo che a questo punto il lettore abbia abbastanza elementi per stabili-
re se quello che abbiamo chiamato gesto d’autorità, non fu piuttosto un gesto
d’arbitrio o anche, come sostengono gli epigoni della sinistra comunista, una
decapitazione della direzione del partito.
La differenza tra gesto d’autorità e gesto d’arbitrio è sottile ma sostanziale e si
può misurare solo in base agli effetti, partendo dallo stato di necessità.
L’Internazionale Comunista cercò di recuperare la figura di Bordiga, conosciu-
to e rispettato anche internazionalmente, offrendogli prima di entrare nel suo
Comitato Esecutivo, poi di assumere la carica di vicepresidente.
Bordiga rifiutò entrambe le offerte; e rifiutò la seconda anche quando le po-
sizioni dell’Internazionale, di lotta aperta e dichiarata alla socialdemocrazia,
finirono per coincidere con le sue, andando persino oltre, con la definizione
infelice e storicamente sbagliata di socialfascismo.
Fino al 1926, Bordiga restò comunque una figura prestigiosa del partito ricono-
sciuto come tale a livello nazionale.
Senza il rapporto con l’Internazionale il piccolo Partito Comunista italiano fra-
gile e perseguitato dal fascismo, avrebbe firmato la propria condanna, se non
a morte, all’irrilevanza e non avrebbe superato quelle vicissitudini meglio di
quanto sopravvisse Bordiga stesso, ritornato alla sua occupazione di ingegnere
249
SAGGI O LUCIANO BEOLCHI
nella natia Napoli. Se non fosse diventato in quel frangente decisivo il partito di
Gramsci, in seguito non avrebbe superato la stagione del partito di Stalin, non
sarebbe diventato né il partito della resistenza e né il partito nuovo di Togliatti,
quando la voce del proletariato e degli oppressi veniva ascoltata con rispetto
anche dai suoi nemici di classe.
Nota bibliografica
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Milos Hajek, Storia dell’Internazionale Comunista. Editori Riuniti, 1969.
250
alternative per il socialismo O 55
251
LA RECENSIONE
255
LA RECENSIONE
conti con la storia sociale, il quadro po- anzi, convinti di avere raggiunto grazie
litico, il sistema economico nella divi- a queste tecnologie un più alto grado
sione internazionale del lavoro, prima di libertà.
della globalizzazione e dopo. Anche Questo tema ritorna in più occasioni
perché la globalizzazione non è il frut- nel ragionamento dell’autrice nei di-
to neutro di processi naturali, ma la versi contesti dell’organizzazione del
risultante di scelte compiute dai poteri lavoro, nella manifattura o nei servizi,
economici dominanti a cui la politica e come anche nei processi di formazione
i sistemi statuali, anche nelle relazioni e di apprendimento perché per con-
internazionali, hanno dato sostegno e trastare l’alienazione e riappropriarsi
forza di norme a cui è difficile sottrar- della propria integralità di persona
si. È il “pilota automatico”, come lo bisogna mettersi nella condizione di
aveva definito Mario Draghi con il lu- ri-conoscerla. Si tratta di ricominciare
cido cinismo del banchiere! Ricorrere dall’analisi puntuale dell’organizza-
alla capacità di previsione di Marcuse zione del lavoro, di non fermarsi alle
che negli anni ’60 scriveva di totalita- apparenze banalizzate del lavoro non
rismo tecnico, della tecnologia come più assoggettato alla durezza dei capi
nuovo sistema di controllo e insieme o del lavoro cosiddetto autonomo o
di coesione sociale aiuterebbe a capire, autogestito perché svolto fuori da un
suggeriscono gli autori, come si è giun- luogo fisico di produzione e, magari,
ti all’assunto che “la razionalità tecno- con mezzi propri senza comprendere
logica è divenuta razionalità politica”. che la stessa piattaforma tecnologi-
E, auspicabilmente, fare comprendere ca che li comanda è, essa stessa, un
ai tanti dirigenti che si definiscono di mezzo di produzione, che, peraltro, è
sinistra che il cavallo scelto per correre capace di appropriarsi delle informa-
verso i traguardi della modernizzazio- zioni che i lavoratori acquisiscono ed
ne li ha portati a consegnare se stessi elaborano. Nella fabbrica di Adriano
e, drammaticamente, le lavoratrici e Olivetti c’era “la cassetta delle idee”
i lavoratori, nelle mani di poteri pre- dove i lavoratori depositavano sugge-
sunti oggettivi, e comunque abilmente rimenti che potevano diventare inno-
dissimulati, che li rendono ignari com- vazioni di processo e di p r o d o t t o !
plici dello sfruttamento che subiscono Abbiamo conosciuto il lavoro a do-
e dell’alienazione di cui sono incon- micilio e anche allora si cercava di far
sapevoli vittime. Opportunamente gli credere che l’autosfruttamento brutale
autori si rifanno alle aspre critiche di di un lavoro senza orari e senza dirit-
Luciano Gallino che rimproverava a ti fosse il regno della libertà operaia
tutta la sinistra, e anche al sindacato, perché permetteva di restare a casa e,
di non parlare più di alienazione e, con per le donne, badare ai figli e a tutte
ciò, di essere divenuti soggetti passivi, le faccende domestiche. Che fosse un
inconsapevoli della dipendenza dalla lavoro subordinato era evidente, era la
dittatura della tecnologia digitale e, “esternalizzazione”: il “terzista” ti por-
256
alternative per il socialismo O 54
tava le materie che dovevi lavorare e ti attraverso cui si costruì una solida cul-
dava le indicazioni circa il corrispetti- tura collettiva capace di egemonia. È
vo economico legato alla quantità di evidente che questo processo cogniti-
pezzi prodotti in un tempo assegnato; vo è più complicato se al posto di una
potevi guadagnare qualcosa in più se direzione aziendale c’è una piattafor-
ti assegnavi un super lavoro/sfrutta- ma digitale che opera attraverso l’al-
mento, una forma di cottimo. goritmo che indica ciò che si deve fare
Allora il sindacato seppe fare tesoro perché è tecnicamente l’unico modo,
della “conoscenza operaia”, della capa- quello più economico e produttivo, per
cità di mettere assieme le informazioni svolgere una mansione.
sulle diverse mansioni che si svolgeva- Francesca Re David, con l’attitudine
no in un reparto, e collegarle alle in- della sindacalista che da sempre si oc-
formazioni che venivano dai reparti a cupa di mercato e di organizzazione
monte e a valle e nelle fasi “esternaliz- del lavoro, con puntualità di ragiona-
zate”. Si trattava di capire quali potes- mento e attenzione alle diverse forme
sero essere i modi per colpire il padro- con cui si manifesta il comando sul
ne che negava gli aumenti di salario, lavoro nelle condizioni specifiche -
il riconoscimento di pause necessarie, dai magazzini di Amazon al ciclo dei
le misure per migliorare gli ambienti riders, fino alla organizzazione della
di lavoro rispetto a nocività derivan- mobilità con il sistema Uber - ci dice
ti dai fumi, dai gas, dalle polveri, dal che l’obiettivo del sindacato non può
rumore, dalle temperature. Il Gruppo essere quello di contrattare con l’algo-
Operaio Omogeneo composto da tutti ritmo ma che bisogna risalire, con la
quelli coinvolti nello specifico segmen- conoscenza e l’azione collettiva, a chi
to del ciclo produttivo, fu lo strumento governa l’algoritmo, a chi ha pensato
cardine per sviluppare la “conoscenza e progettato la piattaforma da cui pro-
operaia”, costruire su di essa le piat- mana, come oggettivo e necessitato, il
taforme rivendicative, organizzare le comando sul lavoro. Lavoro che, or-
forme di lotta più efficaci, conquistare mai, non si limita alla prestazione data
diritti e condizioni che hanno segnato in un tempo dato ma coinvolge ed as-
le relazioni sindacali ma anche la pro- sorbe il lavoratore nella sua interezza
duzione di leggi di tutela del lavoro, facendolo diventare contemporanea-
dei lavoratori, della loro dignità e salu- mente mezzo di produzione, strumen-
te. Avevano ri-conosciuto l’alienazione to di informazione, o disinformazione,
e insieme avevano trovato la via per re- a seconda di come gli algoritmi della
agire appropriandosi della conoscenza piattaforma reputano che si produca il
del ciclo produttivo. La Fiom, con l’ap- massimo del profitto estraibile. Il rife-
porto di tanti specialisti, produsse al- rimento ai social e alla loro capacità di
lora una dispensa illustrata e una serie assorbimento e di pervasività consente
di diapositive sull’ambiente di lavoro, di dire che tu produci anche quando
per la formazione dei quadri sindacali pensi di riposare o di occuparti di altro
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LA RECENSIONE
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alternative per il socialismo O 55
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RECENSIONI E INTERVISTE
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GIÀ PUBBLICATI
N. 1 MAGGIO – GIUGNO 2007 in Italia ed Europa. Il congresso di Rifondazione, le ferite
L’Europa e la sinistra. Il Partito democratico. I movimenti e del voto di aprile. Casa Bianca, il ciclone Obama.
le forme del conflitto. La nuova America Latina. Generazioni
politiche si raccontano. Democrazia e lavoro. Il capitalismo N. 8 GENNAIO – FEBBRAIO 2009
contemporaneo e la teoria del valore di Marx. La politica che IL CRAC DEL LIBERISMO
rimuove il corpo. Interpretazioni e prospettive della crisi finanziaria.
Quell’Onda su scuola e università. Il lavoro dimenticato
N. 2 LUGLIO – AGOSTO 2007 dalla sinistra. L’opposizione che non c’è. L’insediamento
Massa critica e nuovo soggetto politico. L’intervento di Obama, Cuba e la nuova America Latina. 1968-1969, la
pubblico in economia. Il lavoro senza rappresentanza. L’a- lezione di Praga e il socialismo reale.
nomalia italiana dei Dico. La democrazia nel tempo delle
guerre. Mediterraneo, tra Europa e Africa. La sinistra e la N. 9 APRILE – MAGGIO 2009
scienza. L’ingorgo di debito, pensioni e sviluppo. NEL TEMPO DELLA CRISI
Le regressioni del caso italiano. I pericoli dello Stato etico.
N. 3 SETTEMBRE – OTTOBRE 2007 L’uso politico del corpo delle donne. Come uscire dal crac
Il lavoro e la crisi della politica. Primi appunti sul veltroni- del liberismo. Analisi, risposte e ricerca. L’impasse delle
smo. Il dilemma strategico del sindacato. Dallo scontro di sinistre europee. Il Forum sociale mondiale di Belém. La-
classe allo scontro “alto-basso”: le banlieues, il caso Acer- vorare nel tempo dell’incertezza.
ra, i conflitti cinesi e la diseguaglianza di reddito. Le radici
di un nuovo autoritarismo. Nuove forme dell’instabilità N. 10 LUGLIO – SETTEMBRE 2009
finanziaria. La sinistra in Europa vista da Madrid. Il mo- MAL D’EUROPA
vimento per l’acqua e quello anti-ogm. Suicidarsi in fab- L’incedere della crisi, la fine delle due sinistre. Conflitti e poli-
brica: il caso francese. Luci d’inverno sul mondo cattolico. tica: il caso francese. Flessione socialdemocratica, populismi,
l’eccezione verde a Parigi: analisi del voto europeo. Finanza,
N. 4 NOVEMBRE 2007 – GENNAIO 2008 redditi, occupazione e congresso Cgil. Le sinistre in Germa-
Precarietà e capitalismo contemporaneo. governo o nia e in Spagna.
opposizione. Il contratto nazionale di lavoro in Italia ed
Europa. La democrazia nei luoghi di lavoro. Politica e mo- N. 11 OTTOBRE – DICEMBRE 2009
vimenti, quattro esperienze a confronto. Diritti civili nella LA SOLITUDINE DEI CONFLITTI
Cosa rossa. Democrazia identitaria e rappresentanza. I precari della scuola, La lotta operaia all’Innse. Il capita-
Sud-mafia, intrecci moderni. La sinistra in Europa vista da lismo cognitivo. Priorità ambiente. Europa nell’impasse. La
Berlino. Guerre, quattro anni dopo l’Iraq. Precari anche in Fiat di Melfi. Il sacco di Roma. Cgil a congresso. La sinistra
narrativa. La critica ai parametri di Maastricht. in Germania. Il ritorno di Marx. Cattolicesimo italiano: tesi a
confronto. Ricerca e saperi. Sesso, danaro, potere.
N. 5 FEBBRAIO – MARZO 2008
La Sinistra-l’Arcobaleno alla prova del voto. Il bis di Zapa- N. 12 GENNAIO – MARZO 2010
tero. Un anno di conflitti europei. La democrazia e la for- I DIRITTI E I ROVESCI
ma partito: dal femminismo al movimento dei movimenti. Migranti e integrazione. Emergenza omofobia. Democrazia
Le pratiche alternative di centri sociali e bilanci parteci- sindacale e congresso Cgil. La crisi che assedia l’Europa. Il
pati. L’emergenza salariale. A proposito di basic income. ’68-’69 studentesco e operaio alla prova della memoria. La
L’informazione, malattia italiana. sinistra e gli orfani dell’89. I contratti, i salari, il lavoro. Carta
stampata, Tv e web: l’anomalia del giornalismo italiano.
N. 6 LUGLIO – SETTEMBRE 2008
LE RAGIONI DI UNA SCONFITTA N. 13 APRILE – LUGLIO 2010
Numero monografico sull’esito delle elezioni politiche BUONE PRATICHE
dell’aprile 2008. (CONTRO LA MACELLERIA SOCIALE)
Se muore la democrazia, muore la politica e la sinistra. Le
N. 7 OTTOBRE – DICEMBRE 2008 riforme contro la Costituzione. I partiti come impedimento
SINISTRA E OPPOSIZIONE dei percorsi di trasformazione. I modelli di autogestione e
I conflitti, il tandem Sarkozy-Berlusconi, le politiche del cooperazione: le esperienze nelle Americhe, in Europa e in
governo delle destre. Rappresentanza e relazioni sindacali Italia. I conflitti nel campo delle destre. Il “partito borghese”
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GIÀ PUBBLICATI
Un’Agenzia per il lavoro: avvio di una discussione. Il rovescia- dell’America latina. La Tunisia alle prese con la lotta di clas-
mento del conflitto di classe e il collassamento dello schema se. La Chiesa di Francesco, un punto di vista.
socialdemocratico. L’era Marchionne e la fabbrica-caserma.
Sussurri e grida nella politica in Europa. Uno sguardo nel N. 27 LUGLIO – AGOSTO 2013
mondo: Occupy Ws, le Primavere arabe, la “svolta” cinese. A LA RIVOLUZIONE PASSIVA
proposito di Marx renaissance e di nuovo realismo. Il revisionismo costituzionale e la rivincita delle élites. La
deriva presidenzialista. Il governo Letta in continuità con il
N. 23 OTTOBRE – NOVEMBRE 2012 montismo. L’autoritarismo visto dalla dimensione sindacale.
LA ROTTURA Lo tsunami M5S. La scomparsa politica del Pd, la mutazione
L’urgenza della costruzione di una forza di sinistra alternativa della base sociale, il modernismo di Barca. L’esperienza della
alle politiche di massacro sociale. La nuova governance euro- Rete delle città solidali. La sinistra e la cultura, riflessioni sul
pea per uscire da destra dalla crisi. Analisi del “manifesto” di rapporto che non c’è. Il fallimento di Hollande e il diktat te-
Draghi. L’incompatibilità globalizzazione-democrazia. La di- desco sull’Europa. Siria e Libano nella polveriera Mediorien-
serzione del sindacalismo confederale e l’opportunità del re- tale. Un omaggio ad Augusto Graziani. Un ricordo di Milziade
ferendum sull’art. 18. La rimozione dell’emergenza ambiente. Caprili e Luigi Pintor.
La nuova primavera di Palermo. Torna la selezione di classe
nella scuola. Nuovi saggi su “realismo”, Marx e Gramsci. N. 28 OTTOBRE – NOVEMBRE 2013
PARTITO PERSO
N. 24 DICEMBRE 2012 – GENNAIO 2013 Numero monografico sulla fine del partito del movimento
RICCHEZZA E POVERTÀ operaio in Italia e in Europa. Riflessioni e approfondimenti
Radiografia degli effetti del processo di globalizzazione su cosa è stata quella storia di rivoluzionari e riformisti (co-
capitalistica: attacco allo Stato Sociale, emergenza Mez- munisti, socialisti, socialdemocratici e laburisti) e sulle cause
zogiorno, impoverimento del lavoro dipendente e degli della scomparsa del soggetto protagonista del Novecento. Il
anziani, Sos welfare metropolitano e migranti. La fine della crollo dell’Urss e l’ultima rivoluzione capitalistica. Il distac-
Seconda Repubblica, l’ideologia dello Stato azienda e l’aut co dal mondo del lavoro, l’incomprensione dei movimenti, il
aut per la sinistra sulla scelta di campo. La questione mora- mancato ascolto del femminismo e delle critiche alla forma
le come sistema e come storia. L’urgenza di un nuovo ruolo partito. Dibattito sul futuro dell’Ue. Commenti sull’accordo
del pubblico nell’economia. Le incrinature alla ricetta di sulle relazioni sindacali.
“austerità espansiva” non deviano il corso dell’Ue. La rivolta
della Spagna degli “indignati”. N. 29 DICEMBRE 2013 – GENNAIO 2014
AVANTI VERSO IL PASSATO
N. 25 MARZO – APRILE 2013 In Italia tutto ricomincia daccapo. Il voto tedesco e le larghe
IL SINDACATO. C’È ANCORA? intese consolidano la direzione di marcia di questa Europa rea-
Numero monografico sul movimento sindacale italiano e le. L’altra faccia della Germania: cominciano a mordere preca-
internazionale per porre all’attenzione un tema decisivo rietà e povertà. La cesura della Spd con la propria identità. Il
per la sinistra e, più in generale, per la stessa democrazia. disastro della Francia di Hollande. La necessità dell’intervento
Analisi dello stato del “sindacato reale” in Europa (Germania, pubblico e della socializzazione degli investimenti. La proposta
Spagna, Francia, Paesi dell’Est europeo), Stati Uniti e Cina. Fiom sulle politiche industriali. I temi della riduzione dell’orario
L’esperienza italiana: la Cgil. Il caso Fiat e il marchionnismo. di lavoro e della democrazia economica. I movimenti tra ras-
Elementi per una possibile ricostruzione a partire dal conflit- segnazione e conflitto: un’analisi critica. Moderno capitalismo
to e dal protagonismo. Materiali e brani scelti. versus democrazia, il convegno della Fondazione Cercare An-
cora. La Chiesa di Francesco e il mercato.
N. 26 MAGGIO – GIUGNO 2013
ABBASSO LA DELEGA, N. 30 MARZO – APRILE 2014
W LA DEMOCRAZIA L’EUROPA REALE
Il voto e la sconfitta del sistema politico. Le elezioni non Il sistema oligarchico europeo cannibalizza i regimi costitu-
sono la soluzione, la sinistra è il problema. Le sfide della zionali, mentre in Italia il partito-governo diventa il nuovo
politica a 5 Stelle e quel paradosso tra democrazia digitale principe della politica. L’opportunità della Lista Tsipras alle
e leader carismatico. Propositi e attese dei movimenti nel elezioni europee. Analisi sullo stato di salute e sul futuro
nuovo quadro politico-istituzionale. Il sindacato e la muta- dell’euro. L’urgenza di politiche d’alternativa: socializzazione
zione genetica. Il Venezuela bolivariano e il destino comune degli investimenti, reddito di cittadinanza, riduzione dell’ora-
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rio di lavoro, conversione ecologica. Luci e ombre dei sogget- grandi opere e tanto cemento. Expo 2015: tra trasformi-
ti organizzati del cambiamento. Lettera a papa Francesco smo, criminalità e lunga mano dei privati. E se l’immigra-
(ancora senza risposta). zione fosse un’opportunità? Latinoamerica, dove le sinistre
vincono e rivincono. L’anomalia Kobane: ecco perché fa
N. 31 MAGGIO – GIUGNO 2014 tanta paura.
LA PAURA DELLE ÉLITES
Lo scontro si polarizza tra l’alto e il basso della società. I N. 35 MARZO – APRILE 2015
dubbi sulla capacità di tenuta di questa civiltà. L’epoca di ATENE
Matteo Renzi, la Renzeconomics alla prova dei fatti e cosa Le elezioni greche aprono una breccia nel muro dell’Europa
resta della democrazia rappresentativa. L’“Europa reale” e Reale. La sfida di Syriza tra mutualismo, resistenza e con-
la Lista Tsipras. Congresso Cgil, verso il sindacato unico. I flitto per l’alternativa. Il governo Tsipras ha materializzato
conflitti sociali: domande sul lavoro e sul suo futuro; lo stato l’impensabile e impone una riflessione alla sinistra: ripen-
di salute dei movimenti (dall’acqua pubblica al diritto all’abi- sare linguaggio e approccio alla realtà del Terzo Millennio.
tare). Il cardinale Kasper e Amartya Sen. Ragionamenti su un rinnovato intervento pubblico in eco-
nomia. Il caso Ilva. La stabile instabilità di Renzi e la fine
N. 32 LUGLIO – AGOSTO 2014 del rapporto tra il Pd e la Cgil. Parigi, quattro tesi su cosa
LE ÉLITES HANNO PAURA ha significato l’attacco alla rivista Charlie Hebdo. L’omicidio
Lo scontro tra il basso e l’alto della società nella realtà politi- Michael Brown e gli Usa, tra razzismo e conflitto sociale. Un
ca e istituzionale dell’Europa. Analisi del voto nell’Unione, tra ricordo di Silvano Andriani.
astensionismo, populismo e problema del soggetto politico
nuovo della sinistra. Il fenomeno Matteo Renzi, miglior inter- N. 36 GIUGNO – LUGLIO 2015
prete dello “spirito del tempo”, e il rischio di una democrazia VENTI DI GUERRA
totalitaria. Cgil, il sindacato che non c’è. Il disastro ambien- La Fortezza Europa e lo scempio dei corpi dei migranti: te-
tale e occupazionale dell’acciaio. Uno sguardo nel mondo: stimoni delle violenze e della miseria. L’inarrestabilità dei
reportage da Palestina e Israele, l’accordo Russia-Cina e conflitti in tutti gli scenari mondiali. Un mesto anniversario
dintorni, l’India di Modi, la cittadinanza digitale in Brasile e per il Vecchio Continente stretto nella morsa della crisi e
le Costituzioni latinoamericane. del rischio implosione. Gli effetti istituzionali della contro-
rivoluzione del capitale in Italia. Dopo il Jobs Act: tutto il
N. 33 OTTOBRE – NOVEMBRE 2014 potere all’impresa. L’opportunità della Coalizione sociale e
AZIONI E PENSIERI CRITICI il dibattito sul reddito minimo garantito. Uno sguardo nel
Ripartiamo dal “rovesciamento del rovesciamento” della mondo: Israele e la lista di Ayman Odeh; la speranza del
lotta di classe. Vecchi e nuovi scenari nell’Ue del semestre Kurdistan di Ocalan; le rivoluzioni andine al bivio.
italiano. Quali riforme per quale democrazia. Rimettiamo la
possibilità di una scelta nell’economia e il primato dei diritti N. 37 OTTOBRE – NOVEMBRE 2015
nella Costituzione. Storie di lotte e di liberazione: dal Teatro ARRIVANO I NOSTRI
Valle alla Ducati, dall’Ex Colorificio di Pisa ai fast food sta- I migranti alle prese con la Fortezza Europa: da una lato,
tunitensi. Quel silenzio insopportabile sui temi “eticamente l’orrore delle morti e per chi alimenta l’intolleranza; dall’al-
sensibili”. Il tempo e lo spazio del web, alcune riflessioni tro, l’opportunità per un’alternativa di modello di società.
critiche. Uno sguardo su vicino Oriente e Paesi arabi. Re- L’epilogo della trattativa Ue-Grecia dimostra che la sinistra
portage dalla Palestina. Omaggio a Focault: “L’impazienza di governo è oggi al bivio: o di sinistra o di governo. L’Ita-
della libertà”. lia al tempo di Matteo Renzi. La Buona Scuola e il ritorno
dell’istruzione di classe. Il lavoro, analisi delle tendenze in
N. 34 DICEMBRE 2014 – GENNAIO 2015 campo. Buen Vivìr o fine di un sogno? Le sinistre latinoame-
CONTESA SOCIALE ricane alla sfida cruciale. Un approfondimento sul principio
Piazze piene, urne vuote: torna il protagonismo delle lavo- del comune come barriera del “sovranismo” e del “nazional-
ratrici e dei lavoratori. Primi segnali di superamento della populismo”.
rassegnazione. L’asse social-liberista Renzi-Valls serve
all’Europa di Maastricht per distruggere ciò che resta del N. 38 DICEMBRE 2015 – GENNAIO 2016
contratto. Le ragioni del fallimento del semestre italiano di TERRA DI NESSUNO
presidenza europeo. Illusione e realtà della Renzinomics. Sulla guerra: orientarsi nella “fitna” mediorientale. Gli
La dittatura del pareggio di bilancio. Sblocca Italia: inutili attacchi terroristici di Parigi rischiano di accelerare lo
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GIÀ PUBBLICATI
sfaldamento dell’Unione europea. Verso la fine di Schen- cinto della politica, contro la sua mortifera pacificazione.
gen: migranti e accoglienza del “diverso” oppure logica L’opposizione alla riforma è opposizione alla catastrofe ne-
dell’emergenza e dell’ordine pubblico? La coalizione sociale oliberale che sta dilaniando l’Europa. La polarizzazione del
ovvero la rifondazione del sindacato. La rinascita della sini- voto referendario nelle città, nel mondo del lavoro, nel cam-
stra è in alternativa all’ulivismo. Crisi della Costituzione e po cattolico. Qualche appunto di macroeconomia: dopo la
Controriforma. Ritratto del New Labour di Jeremy Corbyn. crisi l’Ue resta al palo; le sorprese del Brexit; il labour stan-
L’“ecologia integrale” di Bergoglio. Il programma della Fon- dard sulla moneta; il braccio di ferro sul contratto delle tute
dazione Sabattini. blu. Conflitti e convergenze nella “crisi esistenziale” dell’Ue.
Gli Usa e lo scontro Clinton-Trump. La sinistra e la comples-
N. 39 MARZO – APRILE 2016 sità latinoamericana. Cina, la fine di una rivoluzione.
ARIA DI TEMPESTA
Le tante/troppe crisi dell’Unione europea: migrazioni, Brexit, N. 43 MARZO – APRILE 2017
euro, mercato interno, clima, Isis, Siria. La spirale guerra/ DENTRO LA CRISI
terrorismo e il Medio Oriente nel disordine mondiale. Il ruolo Un ciclo politico è finito: la “stabilità instabile” in cui è vissuto
della Cina nella scena geopolitica. L’ultima chiamata per il l’Occidente in questo quarto di secolo si è rotta. La crisi in-
Brasile di Dilma. L’Italia renziana che avanza traballando e veste anche la globalizzazione vincente: il capitale si separa
la forza dei referendum. Bilancio e prospettive delle sinistre dallo sviluppo, dal riformismo, dalla democrazia. Il clamoroso
radicali europee. Maternità surrogata, un’alternativa possi- esito del referendum. Il ritorno sulla scena degli invisibili. Il
bile. Bruno Trentin: cos’è la politica. nuovo protagonismo delle donne e dei femminismi. Le pro-
spettive del nuovo contratto dei metalmeccanici. L’impatto
N. 40 MAGGIO – GIUGNO 2016 della robotizzazione e del digitale nel mondo del lavoro e non
IL VECCHIO E L’IMPREVISTO solo. L’Europa al voto, analisi su Francia e Germania. Gli Usa e
Ricominciare daccapo è l’imperativo dei tempi di eccezione, le relazioni internazionali dopo la vittoria di Trump. Omaggio
intravedendo i germi di un futuro diverso. L’Europa che non a Bruno Amoroso.
c’è, le responsabilità dell’Ulivo e ciò che l’Unione potrebbe
essere. L’Italia alle prese con una nuova stagione referen- N. 44 MAGGIO – GIUGNO 2017
daria: da quello costituzionale ai quesiti sociali. Il contratto FUORI DAL SEMINATO
di lavoro. Città al voto tra grandi disuguaglianze e consigli Apriamo il dibattito e ripartiamo dalle proposte del reddito
comunali espropriati dell’interesse generale. Focus sul di- di cittadinanza e della riduzione dell’orario di lavoro. La glo-
battito sulla “gestazione per altri”. Orizzonte sul mondo: il balizzazione, la deglobalizzazione e l’Europa: la lotta di clas-
ciclone Sanders, il Brasile lulista, il sogno di pace colombiano se dopo la lotta di classe. Diario francese di un’elezione (im)
e il declino delle socialdemocrazie europee. prevedibile. I dilemmi strategici di Podemos. I crimini dell’Ue
contro gli “indesiderabili”. Il divorzio operaio della sinistra.
N. 41 LUGLIO – AGOSTO 2016 Viaggio politico nell’ultima grande fabbrica meridionale.
PROVE DI INCENDIO Orario, salario e tempi di vita nell’era 4.0. Donne e politica:
Cresce l’instabilità. Con l’irrompere della Brexit nulla in Eu- un’interpretazione delle manifestazioni femministe, la rivo-
ropa sarà più come prima. La rivolta francese in opposizione luzione degli ombrelli polacca, l’8 marzo e il primo sciopero
alla nuova legge sul lavoro può essere la scintilla che incen- della riproduzione sociale.
dia la prateria. La governabilità contro la rappresentanza
produce l’instabilità. Le garanzie e le deformazioni costitu- N. 45 LUGLIO – AGOSTO 2017
zionali. La corruzione come grimaldello dell’antipolitica. I FUORI SQUADRA
populismi alla sfida del governo. Le migrazioni in epoca mo- Istituzioni impermeabili alla domanda sociale: la grave ma-
derna. Radiografia del lavoro oggi: gli atelier della produzio- lattia della democrazia rappresentativa. L’Unione europea
ne, i voucher, la Fca, i giovani, le donne, la riappropriazione nella crisi della globalizzazione. Gli andamenti carsici dei
del tempo. Marx, quanto è utile e quanto va oltrepassato. populismi. Macron e lo sconquasso del panorama politico
Omaggio a De Finetti. Il Nobel per la pace a Barghouti. francese. La svolta di Corbyn: nuova sovranità, nuova socie-
tà. Analisi delle sinistre alternative in Europa. Focus sull’Ita-
N. 42 NOVEMBRE – DICEMBRE 2016 lia: i nuovi femminismi e la sinistra da costruire, una rotta
SABBIA NELL’INGRANAGGIO per Alitalia, il welfare e la contrattazione. Uno sguardo nel
La vittoria del No al referendum costituzionale indica una mondo: le guerre prossime venture, l’America di Trump, il
possibilità: favorirebbe un sommovimento, fin dentro il re- Venezuela sull’orlo del baratro, il colpo d’ala dei prigionieri
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politici palestinesi. Approfondimenti: la democrazia e Marx, follia; alla ricerca del Gandhi di Palestina; Afrin ci interro-
il capitalismo e la robotica. ga. Cosa ci resta del Vietnam? Il tema dell’uguaglianza in
Ferrajoli.
N. 46 NOVEMBRE – DICEMBRE 2017
CENT’ANNI DOPO N. 51 OTTOBRE – NOVEMBRE 2018
La Rivoluzione vittoriosa dell’Ottobre 1917: un’analisi dei CAMMINARE DOMANDANDO
fatti e delle connessioni politiche e culturali dell’evento che La necessità di costruire la coalizione sociale - L’Italia alle
ha segnato il XX secolo. Il problema pratico e teorico della prese con un governo pericoloso e senza opposizione - Cosa
nostra attualità: ma noi che facciamo? Il tema del lavoro in resta dell’Europa?: la crisi di consenso dell’Unione; naziona-
relazione all’automazione e ai fenomeni migratori. La ridu- lismi verso il voto di primavera; per un diritto internazionale
zione dell’orario di lavoro. La Francia, il paesaggio dopo la dell’ospitalità; la terribile proprietà intellettuale - Le stagio-
battaglia. Il Venezuela, una partita strategica per l’America ni dell’inchiesta operaia tra passato e attualità - Il rapporto
latina. Il Comune, a che punto siamo? tra potere “cibernetico” e libertà costituzionali - Uno sguar-
do nel mondo: chi decide le sorti del Brasile?
N. 47-48 GENNAIO – FEBBRAIO 2018
EPPUR SI MUOVE N. 52-53 DICEMBRE 2018 – MAGGIO 2019
I nuovi, inediti ed imprevisti tentativi di pratica di una critica REGIME O RIVOLTE
dell’esistente: dal grande movimento mondiale delle donne, L’Italia verso la costruzione di un regime; la politica econo-
alle lotte nel mondo del lavoro che cambia. Le esperienze mica del governo M5s-Lega; la fase politica in Europa e l’U-
locali di autogoverno a Roma, Napoli e Bologna. Controllo, nione bancaria; il ventennale dell’Euro; La Francia di Macron
consenso e conseguenze dell’informatizzazione e dell’auto- alle prese con i Gilet Gialli; la democrazia No Tav; il sindaca-
mazione nel lavoro. Le eclissi delle democrazie costituzio- to, il lavoro precario e le lotte; l’opportunità dei femminismi;
nali. Può esistere un’Europa franco-tedesca? Proposte per l’esperienza di Riace e il caso Baobab; il Brasile, il Venezuela
ribaltare la visione germano-centrica dell’Ue. La Repubblica e l’America Latina; Russia vs Ucraina.
catalana, l’impasse di un processo. La Cina della nuova era di
Xi dopo il 19o congresso del Pcc. Saggi: la sinistra e i vaccini; NUMERO 54 GIUGNO - AGOSTO 2019
il fallimento della rivoluzione tedesca degli anni ’20; una ri- IL REGNO DELL’INCERTEZZA
lettura dell’evoluzione del pensiero di Lucio Colletti. La via maestra della rivolta contro l’ordine capitalistico esi-
stente. Il voto, la deflagrazione e gli squilibri europei. Nuovi
N. 49 MARZO – APRILE 2018 fenomeni a confronto: la Brexit e le destre nazionaliste; la
CAVALLI SCOSSI sfida dei Gilet Gialli e dell’onda verde dei giovani. Il mondo
La difficile strada per la crescita di una soggettività antago- intorno a noi: nelle sabbie del Nord Africa (il caso Algeria) e
nista. Se la ripresa economica consolida la crisi. I casi Whir- del Medioriente; gli Usa e la rinascita degli ideali socialisti; la
pool, Amazon e simili. Conseguenze sociali ed ecologiche del Cina e il drammatico ’89. L’Italia della controriforma istitu-
Piano Industria 4.0. Diseguaglianze e antifascismo oggi. Le zionale, Md e l’attacco alla magistratura, No Tav e modello
donne: sviluppo del movimento e nuovi problemi. L’Italia, di sviluppo, Riders e Drivers tra precariato e sindacalizza-
le elezioni nel dissolvimento/mutazione del Pd. Dal mondo: zione, un’altra riorganizzazione dell’auto. Il saggio: la teoria
l’Europa franco-tedesca, gli Usa dell’era Trump, la Palestina. dell’immiserimento in Marx.
Pietro Ingrao, un omaggio “inedito”. Lenin e il capitalismo
di Stato.
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