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L’obiettivo primario delle norme volte a disciplinare la gestione dei rifiuti è costituito dall’adozione
di misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana prevenendo e riducendo gli impatti
negativi derivanti dalla produzione e gestione dei rifiuti stessi.
Per gestione dei rifiuti si intende: “l'insieme delle politiche, procedure o metodologie volte a gestire
l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro destinazione finale coinvolgendo
quindi la fase di raccolta, trasporto, trattamento (riciclaggio o smaltimento) fino all’eventuale
riutilizzo dei materiali di scarto".
La gestione dei rifiuti deve essere vista come un processo articolato nelle seguenti fasi:
• Produzione;
• Classificazione;
• Separazione e raccolta nel luogo di produzione;
• Movimentazione interna e conferimento al deposito locale e quindi al deposito temporaneo;
• Adempimenti amministrativi (formulari di identificazione dei rifiuti, di seguito anche FIR, e
registri di carico e scarico);
• Prelievo e trasporto esterno;
• Smaltimento o recupero.
E’ opportuno che tutte queste fasi siano oggetto di specifiche e formalizzate procedure aziendali che
definiscano ruoli, compiti e responsabilità per ciascuna delle stesse.
La disciplina giuridica dei rifiuti si fonda su 5 concetti importanti di cui è necessario comprenderne
bene la portata applicativa:
• Nozione di rifiuto;
• La nozione di Produttore e Detentore;
• Classificazione dei rifiuti;
• La gestione dei rifiuti;
1
• Lo smaltimento e il recupero.
La legislazione a cui le strutture sanitarie devono attenersi nella gestione dei rifiuti sanitari prodotti
è particolarmente complessa in quanto è costituita da svariate fonti normative che regolano
particolari settori.
Gli operatori sanitari devono confrontarsi non solo con il Testo Unico Ambientale e con il
regolamento che disciplina la gestione dei rifiuti sanitari, ma anche con disposizioni
interdisciplinari quali, ad esempio, le norme relative alle sostanze stupefacenti, alle radiazioni
ionizzanti, agli scarichi idrici, alla tracciabilità dei rifiuti.
La nozione di rifiuto
L’art. 183 co.1 lett. a) del D.lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale: di seguito per brevità TUA)
definisce il rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione
o abbia l’obbligo di disfarsi”.
Nella nozione di rifiuto è stato soppresso, con il DLgs 205/2010, il riferimento all’allegato A della
parte Quarta del D.lgs. 152/2006; non è quindi sufficiente l’inserimento nell’Elenco Europeo dei
Rifiuti1 (di seguito per brevità EER) per attribuire ad un determinato materiale la qualifica di rifiuto.
La nozione di rifiuto è quindi basata sul concetto del disfarsi o sull'intenzione di disfarsi e pone
l’accento sulla condotta del soggetto che lo detiene.
In sintesi, per qualificare un rifiuto come tale si deve accertare se il detentore se ne sia disfatto,
abbia deciso di disfarsene o sia obbligato a disfarsene.
1
Decisione Comunitaria 2014/955/UE
2
La nozione di Produttore e Detentore
La corretta individuazione del soggetto giuridico qualificabile come produttore dei rifiuti è di
estrema importanza soprattutto per gli adempimenti correlati a tale qualifica e per le responsabilità
conseguenti all’omissione degli adempimenti previsti dalla legge.
L’art. 183 co.1 lett. h) del TUA definisce il Detentore come “il produttore di rifiuti o la persona
fisica o giuridica che ne è in possesso”.
E’ opportuno precisare che la nozione comunitaria di detenzione implica la disponibilità materiale
del rifiuto e non coincide con la nozione di possesso di cui all’art. 1140 del codice civile italiano.2
Il detentore viene quindi identificato come il soggetto che intrattiene con il rifiuto un rapporto
di possesso sia dopo averlo prodotto, sia avendolo ricevuto dal produttore per effettuare
attività di gestione.
Dalla definizione di detentore discende direttamente quella di “produttore” definito dall’art. 183
lett. f del TUA come “il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia
giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di
pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la
composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”.
La suddetta definizione, introdotta all'interno del TUA con la L.125/2015, attualmente individua
come produttore iniziale – oltre al soggetto la cui attività produce rifiuti – anche “il soggetto al
quale sia giuridicamente riferibile detta produzione” venendo quindi a determinare un’estensione
del concetto di produttore di rifiuti anche a chiunque incarichi un soggetto terzo di effettuare
un’attività generatrice di rifiuti, per proprio conto.
Sintetizzando, secondo le prime interpretazioni, la novella verrebbe a determinare due diverse
fattispecie di responsabilità:
• la responsabilità di gestione della tracciabilità del rifiuto prodotto fino a trattamento finale,
propria del produttore effettivo del rifiuto che è responsabile della gestione amministrativa
del rifiuto e quindi deve predisporre: formulari e registri nonchè Modello Unico di
Dichiarazione ambientale (di seguito anche MUD);
2
Il legislatore ignora la differenza presente nel codice civile tra possesso e detenzione, onde utilizza i due concetti in
modo promiscuo ed equivalente, si rimanda a Paolo dell’Anno – Eugenio Picozza in “Trattato di diritto
dell’Ambiente”, pag. 180 “ La nozione di produttore ( del rifiuto) e di detentore”
3
• la responsabilità in vigilando sulla gestione del produttore effettivo del rifiuto ad opera del
committente (produttore giuridico) che deve sorvegliare effettivamente sull’operato del
produttore effettivo.
Nelle more di ulteriori orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, è consigliabile che il produttore
giuridico del rifiuto adegui i contratti di appalto in essere mediante l’inserimento dei seguenti
obblighi a carico del produttore effettivo del rifiuto:
ü indicare su ogni formulario nel campo annotazioni la ragione sociale e il codice fiscale del
committente;
ü farsi rilasciare la prima e la quarta copia del formulario che andranno conservati per 5 anni.
Una diversa interpretazione ad oggi non pare possibile salvo affermare che entrambi i produttori
quello della pericolosità, che differenzia i rifiuti non pericolosi da quelli pericolosi (art. 184 del
TUA).
I rifiuti, quindi, sono classificati dall’art. 184 co.1 del TUA:
Secondo l’origine in:
ü rifiuti urbani o assimilabili per quantità e qualità agli urbani;
ü rifiuti speciali.
Secondo le caratteristiche di pericolosità in:
3 Ex plurimis: "La nozione di “produttore iniziale di rifiuti” cambia?" Di David Roettgen, Paolo Lepore in Ambiente e
Sviluppo n°11-12/2015 pag. 628 e segg.; “Ferragosto: vietato distrarsi! Le novità della L. 125/15 su classificazione
rifiuti, produttore e deposito temporaneo. (di Stefano Maglia)” in www.tuttoambiente.it
4
ü rifiuti pericolosi;
ü rifiuti non pericolosi.
Una volta qualificato il rifiuto come urbano o speciale è necessario verificare se questo rifiuto sia
pericoloso o meno. La distinzione ha effetti pratici sui seguenti aspetti:
- regimi autorizzativi ed abilitativi;
- obblighi di registrazione e comunicazione annuale;
- divieto di miscelazione;
- sanzioni.
Rifiuti urbani
d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade
ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive
dei corsi d'acqua;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;
f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività
cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).
L’art. 184 co. 2 let. b del TUA disciplina i Rifiuti assimilati agli urbani fa rientrare nella
definizione di rifiuto urbano anche i rifiuti non pericolosi, purché provenienti da locali diversi da
quelli adibiti ad uso di civile abitazione laddove assimilati agli urbani per qualità e quantità.
5
Tale assimilazione dovrebbe essere effettuata tramite appositi regolamenti comunali 4.
I rifiuti assimilati agli urbani sono sottoposti integralmente alla disciplina dei rifiuti urbani, sotto il
profilo amministrativo, penale e tributario.
Rifiuti speciali
I rifiuti speciali, invece, sono oggetto di una disciplina più articolata, nella quale rileva tanto
l’origine (ad esempio rifiuti provenienti da attività sanitarie) quanto la struttura merceologica ( ad
esempio macchinari obsoleti ecc..).
Per classificare correttamente un rifiuto è necessario, quindi, acquisire le seguenti informazioni:
- Composizione e proprietà del rifiuto;
- Conoscenza dell’attività specifica da cui lo stesso è stato originato;
obblighi a carico del produttore e dei successivi gestori. La non corretta attribuzione del codice
CER di per se stessa non è sanzionata, nemmeno nel caso in cui da tale errore consegua un’errata
classificazione. L’errata codifica può però determinare la commissione di altre violazioni per le
quali sono previste delle sanzioni. In particolare:
- conferimento del rifiuto a terzi che non sono autorizzati a riceverlo, qualora l’impianto di
smaltimento non sia autorizzato per quello specifico codice;
- affidamento del rifiuto per il trasporto ad un trasportatore non abilitato a trasportarlo,
qualora nell’iscrizione all’albo figuri il codice erroneamente attribuito, ma non quello che si
sarebbe dovuto attribuire.5
4
L’assimilazione viene deliberata con apposito regolamento comunale sulla base dei criteri quali e quantitativi stabiliti
con apposito DM ad oggi mai emanato. La Finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n.296) art.1 co.184 rimandava
all’art.18 e 57 del Dlgs 22/1997. Ad oggi i Comuni devono fare riferimento al DPR 915/1982 e alla Delibera del
Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984 ( S.O. Gazzetta Ufficiale n. 253 del 13 settembre 1984).
6
Analoghe possibili conseguenze si hanno in caso di recupero e smaltimento o trasporto in proprio
qualora il codice corretto, a differenza di quello attribuito per errore, non sia compreso
nell’abilitazione posseduta.
Se poi, per effetto dell’errore, si qualifica non pericoloso un rifiuto che invece lo è, oltre ad
incorrere in sanzioni più gravi (di norma tutte le violazioni delle norme per la gestione dei rifiuti
sono più gravemente sanzionate se commesse con riferimento ai rifiuti pericolosi) vi sono
ripercussioni anche per quanto riguarda il tema del deposito temporaneo. Difatti, se il produttore ha
optato per la “regola del limite qualitativo” vi è il rischio di incorrere anche nel mancato rispetto del
limite dei dieci metri cubi stabilito per i rifiuti pericolosi, mentre se si detengono solo rifiuti non
pericolosi si può arrivare fino a 30 metri cubi (art. 183 co.1 lett.bb).
Parimenti, un errore di classificazione dei rifiuti, che non qualifichi come tali rifiuti sanitari
pericolosi a rischio infettivo, può condurre alla violazione dei limiti dei 200 litri per un massimo di
30 giorni (art. 8 DPR 254/2003).
I rifiuti pericolosi
Viene definito pericoloso (art. 183, lett. b art. 184 co. 4 del TUA) il rifiuto che presenta una o più
caratteristiche di pericolo di cui al Regolamento (UE) n.1357/2014 della Commissione Europea del
18 dicembre 2014 (di seguito regolamento).6 Il regolamento contiene le nuove indicazioni
dell’Unione Europea per l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti e sostituisce le
precedenti caratteristiche con le nuove da HP1 a HP15.
5
Cass. 11/05/2007 n. 18038: In tema di gestione dei rifiuti, nel caso in cui il soggetto ricevente il rifiuto non sia in
possesso della prescritta autorizzazione, o sia autorizzato a ricevere rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento, il
produttore e il detentore del rifiuto rispondono a titolo di concorso del reato di cui all'art. 51, c. 1, D.Lgs. 22/97, oggi
sostituito dall'art. 256 D.Lgs. 152/06, atteso che su questi grava l'obbligo di verifica della esistenza e regolarità della
citata autorizzazione. Cass. Pen. n° 18030 del 11/05/2007: Il produttore di rifiuti risponde della contravvenzione di cui
all’art. 51, c. 1, del citato D.Lgs. 22/97, a titolo di concorso col soggetto ricevente, nel caso in cui quest’ultimo risulti
privo della prescritta autorizzazione al recupero.
6 Circolare del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 11845/2015
7
Deve essere disapplicata la premessa all’Allegato D – parte Quarta del D.lgs. 152/2006 per
contrasto con il regolamento comunitario n° 1357/2014 con la sola eccezione delle seguenti
disposizioni di cui ai commi 6 e 7 della premessa: “ omissis…..quando le sostanze presenti in un
rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero
le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come
pericoloso…”.
La nuova classificazione è entrata in vigore dal 1° giugno 2015, in parallelo alla piena operatività
del regolamento sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle miscele e delle sostanze
pericolose (Reg. Classification Labelling and Packaging, CE n. 1272/2008) al quale intende
allinearsi.
8
- HP15 rifiuto che non possiede direttamente una delle caratteristiche di pericolo
summenzionate ma può manifestarla successivamente.
Le caratteristiche di pericolo sono attribuite sulla base della presenza o meno all’interno del rifiuto
di sostanze che presentino indicazioni di pericolo specifiche in concentrazione superiore ai valori di
soglia indicati e sulla base di metodi prova descritti nel regolamento (CE) n.440/2008 oppure in altri
metodi di prova e linee guida riconoscibili a livello internazionale.
In linea generale si osserva che le caratteristiche di pericolo rimangono per lo più le medesime, ma
per ognuna vengono esplicitati criteri di attribuzione specifici coi relativi limiti in conformità con il
regolamento CLP.
7
Art. 7, co.9 ter L.125/2015
9
decisione ha introdotto modifiche di portata limitata rispetto alla precedente confermando
sostanzialmente l’impianto della classificazione della decisione del 2000.
L’Elenco europeo dei rifiuti è suddiviso in 20 classi che indicano le macro aree produttive da cui è
originato il rifiuto e consta di codici strutturati come segue:
- la prima coppia cifre del codice indicano la categoria o attività che ha generato il rifiuto (es.
area 18);
- la seconda coppia di cifre indica il processo produttivo dal quale è originato il rifiuto;
- la terza coppia di cifre indica i singoli tipi di rifiuti.
Di conseguenza, per identificare un rifiuto nell'elenco occorre procedere come segue:
al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che
terminano con le cifre 99. Occorre rilevare che un determinato impianto o stabilimento potrà dover
classificare le proprie attività in capitoli diversi.
- Se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un
determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto.
- Se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al
capitolo 16.
- Se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre
utilizzare il codice 99 (rifiuti non specificati altrimenti) preceduto dalle cifre del capitolo che
corrisponde all'attività identificata nella prima fase.
IL DEPOSITO TEMPORANEO
La definizione di deposito temporaneo è stata anch’essa oggetto di modifica ad opera della L.
125/2015 che ha modificato la definizione di gestione dei rifiuti, di deposito temporaneo e di
raccolta dei rifiuti come segue:
10
- «gestione»: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il
controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento,
nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario. Non
costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento,
cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da
eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri
materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il
medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati;
- «raccolta»: il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare
alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera «mm», ai fini
del loro trasporto in un impianto di trattamento;
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3) il «deposito temporaneo» deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel
rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle
norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle
sostanze pericolose;
5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico,
sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.
Il deposito temporaneo si colloca al di fuori della disciplina dei rifiuti, in quanto precede la prima
fase della loro gestione, rappresentata dalla raccolta e trasporto, intesi come vicenda unitaria.
Per quanto invece concerne i limiti temporali o quantitativi, la norma, come da ultimo riformulata
dal d.lgs. n. 205/2010, dispone che i rifiuti devono essere avviati a recupero o smaltimento secondo
una delle seguenti modalità alternative a scelta del produttore:
– con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;
– quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunge i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri
cubi di rifiuti pericolosi.
In ogni caso, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno, a prescindere dal
quantitativo di rifiuti prodotti, anche se non supera i limiti sopra indicati (30 metri cubi in totale e
10 metri cubi per i rifiuti pericolosi).
In altri termini, almeno una volta all’anno i rifiuti in deposito debbono essere avviati a
recupero o smaltimento.
Questi limiti di carattere generale devono essere coordinati con le norme speciali in tema di
deposito temporaneo dei rifiuti sanitari, come disposto dall’art.8 del DPR 254/2003, che resta in
vigore come espressamente disposto dal TUA.
Di conseguenza, ai sensi dell’art. 8 del DPR 254/2003 si devono rispettare le seguenti regole di
gestione del deposito temporaneo:
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realizzati in un colore idoneo a distinguerli dagli imballaggi utilizzati per il conferimento
degli altri rifiuti;
- il deposito temporaneo di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo deve essere effettuato
in condizioni tali da non causare alterazioni che comportino rischi per la salute e può avere
una durata massima di cinque giorni dal momento della chiusura del contenitore. Tale
termine è esteso a trenta giorni per quantitativi inferiori a 200 litri;
- le operazioni di deposito preliminare, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a
rischio infettivo restano sottoposte al regime generale dei rifiuti pericolosi;
- per i rifiuti pericolosi a rischio infettivo destinati agli impianti di incenerimento l'intera fase
di trasporto deve essere effettuata nel più breve tempo tecnicamente possibile;
- il deposito preliminare dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo non deve, di norma, superare i
cinque giorni. La durata massima del deposito preliminare viene, comunque, fissata nel
provvedimento di autorizzazione, che può prevedere anche l'utilizzo di sistemi di
refrigerazione.
Le caratteristiche strutturali del deposito temporaneo non sono normate in maniera chiara ed
univoca a livello nazionale e regionale.
Resta fermo il principio generale secondo il quale lo stesso deve essere effettuato in condizioni tali
da non causare alterazioni che comportino rischi per la salute. Si riportano, di seguito, alcune
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- i recipienti fissi e mobili devono essere provvisti di:
ü idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;
ü accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le
operazioni di riempimento e svuotamento;
ü mezzi di presa per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;
ü fusti contenenti i rifiuti non devono essere sovrapposti per più di tre piani e lo
stoccaggio deve essere ordinato e prevedere appositi corridoi di ispezione tali
da consentire l’accertamento di eventuali perdite;
- i cumuli di rifiuti devono essere protetti dall’azione delle acque meteoriche e, ove allo stato
polverulento, dall’azione del vento; le aree ad essi dedicate devono inoltre possedere
adeguati requisiti di resistenza in relazione alle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti
stoccati;
- la capacità del bacino di contenimento del serbatoio fuori terra deve essere pari all’intero
volume del serbatoio;
- i serbatoi contenenti rifiuti liquidi devono essere provvisti di segnalatori di livello ed
opportuni dispositivi anti traboccamento e qualora questi ultimi siano costituiti da tubazione
di troppo pieno, il relativo scarico deve essere convogliato in modo da non costituire
pericolo per gli addetti e l’ambiente in modo da garantire il rispetto delle normative vigenti;
- le aree utilizzate il deposito dei rifiuti dovranno essere adeguatamente contrassegnate al fine
di rendere nota la natura e la pericolosità dei rifiuti, dovranno inoltre essere apposte tabelle
che riportino le norme di comportamento del personale addetto alle operazioni di deposito;
- le aree interessate dalla movimentazione, dal deposito e dalle soste operative dei mezzi che
intervengono a qualsiasi titolo sul rifiuto, devono essere impermeabilizzate e realizzate in
modo tale da facilitare la ripresa di possibili sversamenti.
Resta inteso che per poter correttamente definire le caratteristiche igienico sanitarie del deposito
temporaneo sarà necessario consultare le specifiche disposizioni regionali (se presenti) ed i
regolamenti di igiene applicabili.
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GESTIONE AMMINISTRATIVA DEI RIFIUTI
Per documentare la produzione, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, per garantirne
cioè la cosiddetta “tracciabilità” sono stati introdotti gli obblighi relativi:
• alla sistematica registrazione dei tipi e quantità di rifiuti da ciascuna struttura prodotti, smaltiti,
recuperati, trasportati o conferiti a terzi: “registro di carico e scarico”;
• alla compilazione ed utilizzo di apposito documento di accompagnamento durante il trasporto:
“formulario di identificazione”;
• alla “rendicontazione” annuale dell’attività da ciascun operatore svolta nel corso dell’anno
precedente, ai fini della formazione ed aggiornamento del catasto dei rifiuti: comunicazione annuale
tramite il “MUD”.
Al medesimo fine di garantire la “tracciabilità” dei rifiuti, con Decreto Ministeriale 17 dicembre
2009, emanato in attuazione dell’articolo 189, comma 3-bis, del d.lgs. n. 152/2006, è stato istituito
il Sistema di Tracciabilità dei Rifiuti (SISTRI), prevedendone l’utilizzo obbligatorio da parte
proprio di tutti i soggetti tenuti alla presentazione della comunicazione annuale.
L’ambito di applicazione obbligatoria di SISTRI è stato significativamente ridotto con il decreto-
legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 1013, n. 125 e
poi con il decreto ministeriale 24 aprile 2014.
Con il medesimo decreto sono stare rideterminate le date di avvio dell’utilizzo (non sanzionato) di
SISTRI e, salvo ulteriori modifiche e proroghe, la data, oggi è fissata al 31 dicembre 2016,
decorsa la quale i soggetti che lo dovranno utilizzare non saranno più tenuti gli attuali obblighi e
saranno sanzionabili per mancato od irregolare utilizzo di SISTRI.
Quindi, fino alla data di decorrenza dell’effettiva obbligatorietà di SISTRI, i soggetti obbligati ad
iscriversi a tale sistema rimangono tenuti all’osservanza degli obblighi relativi al registro di carico e
scarico ed al formulario di identificazione per il trasporto secondo le modalità già da tempo in uso,
pena l’applicazione delle relative sanzioni.
ll D.M. 10 novembre 2011, n. 219 è intervenuto a modificare il D.M. 18 febbraio 2011, n. 52 (c.d.
TU SISTRI) e segnatamente la definizione di delegato, che oggi è: “il soggetto che, nell’ambito
dell’organizzazione aziendale, è delegato dall’ente o impresa all’utilizzo del dispositivo USB, al
quale sono associate le credenziali di accesso al SISTRI ed è attribuito il certificato per la firma
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elettronica. Qualora l’ente o impresa non abbia indicato, nella procedura di iscrizione, alcun
delegato, le credenziali di accesso al SISTRI e il certificato per la firma elettronica verranno
attribuiti al rappresentante legale dell’ente o impresa”.
Per effetto di queste modifiche, è venuto meno per il delegato l’obbligo di custodia, che è stato
invece assegnato al titolare del dispositivo (art. 9, c. 1, TU SISTRI come modificato dal D.M.
219/2011).
Pertanto il delegato SISTRI non risponde più né della veridicità dei dati, né della custodia del
dispositivo USB, ma solo del corretto inserimento nelle Schede SISTRI dei dati ricevuti.
SI ricorda, per concludere, che dal 27 febbraio 2016 è in vigore la L. 25 febbraio 2016, n. 21, di
conversione del D.L. n. 210/2015 (c.d. Decreto Milleproroghe), che contiene alcune disposizioni in
materia ambientale.
Il registro di carico e scarico è un documento di tipo formale che deve contenere tutte le
informazioni relative alle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti prodotti, trasportati,
recuperati, smaltiti e oggetto di intermediazioni.
I modelli vigenti del registro di carico e scarico dei rifiuti sono quelli definiti dal Decreto
Ministeriale 1 aprile 1998 n. 148.
Per amor di precisione si segnala che un nuovo modello di registro di carico e scarico dei rifiuti,
come previsto dall’art.190, comma 7, del D.lgs. 152/2006, era stato definito dal D.M. del
02/05/2006 (pubblicato sulla G.U. del 10/05/2006 n. 107).
Successivamente il Ministero dell’Ambiente con proprio comunicato (pubblicato sulla G.U. del
26/06/2006 n. 146) ha dichiarato inefficaci i decreti attuativi del D.lgs. 152/2006, compreso quello
relativo al nuovo registro di carico e scarico.
17
Pertanto, rimane vigente il D.M. 148/1998 ed i modelli di registro di carico e scarico da questo
definiti, da adottare in base all'attività esercitata:
Modello A: per i soggetti che producono, recuperano, smaltiscono, trasportano o commerciano e
intermediano rifiuti con detenzione;
Modello B: per i soggetti che commerciano e intermediano rifiuti senza detenzione.
Con riguardo alla tenuta dei suddetti registri si segnala che il D.Lgs.152/2006, all’art.190, comma 6,
prevede che i detti registri siano numerati, vidimati e gestiti con le procedure e le modalità fissate
dalla normativa sui registri IVA.
Gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico si intendono correttamente adempiuti
anche qualora sia utilizzata carta formato A4, regolarmente numerata e vidimata.
I registri sono numerati e vidimati dalle Camere di Commercio territorialmente competenti come
disposto dal D.lgs. 16/01/2008, n. 4 che ha modificato l’articolo 190 del D.lgs. 03/04/2006, n. 152.
La Camera di commercio competente alla vidimazione dei registri di carico e scarico è quella della
provincia in cui ha sede legale l’impresa o quella della provincia in cui è situata l'unità locale presso
la quale viene tenuto il registro di carico e scarico. 10
Nel registro di carico e scarico devono essere inserite le seguenti tipologie di operazione:
• movimento di carico e cioè quando il rifiuto viene prodotto;
• movimento di scarico, e cioè quando un rifiuto viene conferito ad altre unità locali, a
soggetti terzi autorizzati o sottoposto ad operazioni di recupero o smaltimento.
L’annotazione in carico e scarico inserita sul registro va riferita ad ogni singolo formulario. 11
Ai registri di carico e scarico devono essere sempre allegati i formulari di identificazione relativi
alle operazioni di trasporto dei rifiuti annotati.
• Tempi di registrazione
10 Nota Unioncamere del 29 gennaio 2008 n. 1467
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In base all’articolo 190, comma 1, «... le annotazioni [sul registro- ndA] devono essere effettuate
per i produttori almeno entro dieci giorni lavorativi dalla produzione del rifiuto e dallo scarico del
medesimo; fatto salvo il disposto dall’art. 8 del DPR 253/2003 per i rifiuti sanitari pericolosi a
rischio infettivo per i quali la registrazione deve effettuarsi entro 5 giorni".
• Luogo di conservazione
Di norma (art. 190, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006) i registri debbono essere tenuti presso ogni
impianto (o sede operativa) ove vi sia produzione di rifiuti da registrare.
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Conferimento in discarica:
La disciplina sulle discariche (D.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 11) prevede infatti che il
produttore effettui una caratterizzazione di base di ciascuna tipologia dei rifiuti (e cioè determini le
caratteristiche dei rifiuti, raccogliendo informazioni in merito a tipo, origine, codice europeo e
quant'altro relativo al rifiuto):
- in occasione del primo conferimento alla discarica;
- ogniqualvolta sia intervenuta una "variazione significativa del processo che origina i rifiuti";
- comunque, almeno una volta all'anno.
Se le caratteristiche di base di una tipologia di rifiuti dimostrano che gli stessi soddisfano i criteri di
ammissibilità per una categoria di discarica, tali rifiuti sono considerati ammissibili nella
corrispondente categoria.
Il gestore della discarica, da parte sua, deve verificare la conformità dei rifiuti smaltiti (e cioè
accertarsi che questi corrispondano alla caratterizzazione dei rifiuti e che soddisfino i criteri di
ammissibilità) e ammettere in discarica solo i rifiuti conformi alla descrizione riportata nella
documentazione di accompagnamento secondo le modalità previste dall'articolo 11, comma 3 del
D.lgs. 36/2003.
Conferimento ad attività di recupero rifiuti operanti in regime semplificato: La disciplina relativa a
questa tipologia di recupero, ai sensi del D.M. 05/02/98 e del DM 161/02, prevede che le analisi
siano eseguite dal produttore, in occasione del primo conferimento all’impianto e successivamente
ogni 24 mesi (12 nel caso di rifiuti pericolosi) e comunque ogni volta che intervengano modifiche
sostanziali nel processo di produzione che ha originato tali rifiuti.
Il formulario è il documento di tipo formale che garantisce la tracciabilità del flusso dei rifiuti nelle
varie fasi del trasporto, dal produttore/detentore al sito di destinazione.
Da quanto disposto dall’art.193, del D.lgs. 152/2006, discende che l’obbligo del FIR (Formulario di
Identificazione del Rifiuto) sussista sempre durante il trasporto di rifiuti effettuato da un
ente/impresa.
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Il formulario sostituisce tutti gli altri documenti previsti per il trasporto dei rifiuti, compreso il
modello F di cui al Dm 16 maggio 1996 n.392, per gli oli minerali usati, ma non sostituisce la
documentazione prevista dal vigente "Accordo Internazionale per il Trasporto di Merci Pericolose"
( di seguito ADR).
E’ necessario emettere un formulario:
- per ogni tipologia di rifiuto trasportato;
- per ogni produttore/detentore;
- per ogni impianto di destinazione finale.
Il modello vigente FIR è quello definito dal Decreto Ministeriale 1 aprile 1998 n.145.
I formulari di identificazione devono essere:
- numerati e vidimati dall'Ufficio del Registro o dalle Camere di Commercio;
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Una copia resta al destinatario e due sono acquisite dal trasportatore.
Di queste due copie, una copia resta al trasportatore e una viene inviata dal trasportatore al
detentore, entro i 3 mesi successivi alla data del conferimento (art. 188 comma 3, D.lgs. n.
152/2006).
E’ responsabilità del produttore:
- verificare che la targa del mezzo di trasporto sia indicata nel documento di autorizzazione al
trasporto;
- verificare tutti i dati inseriti nel FIR prima della partenza;
- verificare che la 4 copia del FIR gli venga recapitata entro tre mesi dalla consegna del rifiuto
al trasportatore.
In caso di mancata ricezione della quarta copia nel termine previsto, il produttore/detentore deve
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L'interconnessione tra ogni registro ed i formulari si realizza presso ciascuno dei soggetti coinvolti
nella medesima operazione ed obbligati alla tenuta di detto registro.
L'art. 193, comma 2 del D.lgs. n. 152/2006 dispone che le copie del formulario devono essere
conservate per cinque anni dalla data della loro emissione.
In caso di mancata o parziale accettazione del carico non sono previste norme precise.
Si ritiene che in applicazione dei principi generali in materia si possa procedere come segue:
Ø se un carico è stato accettato dall’impianto di destinazione solo per una certa quantità si
deve procedere come segue:
- l'impianto emette un nuovo formulario relativo al quantitativo di rifiuti che il
trasportatore riporta al produttore;
- il produttore indica nello spazio annotazioni dell’operazione di scarico, la quantità
respinta, il codice alfanumerico del secondo formulario e i motivi della mancata
accettazione del carico.
Ø se un carico è stato respinto dall’impianto di destinazione:
- il destinatario trattiene una fotocopia del formulario come prova dell'avvenuto
diniego;
- il produttore indica nello spazio annotazioni dell’operazione di scarico che la
quantità è stata respinta e i motivi della mancata accettazione del carico;
- il produttore effettua successivamente un’operazione di scarico quando il rifiuto
verrà avviato ad attività di recupero /smaltimento.
Ai sensi dell'art. 193 D.lgs. 152/2006 il formulario deve essere redatto in quattro esemplari,
compilato, datato e firmato dal detentore dei rifiuti, e controfirmato dal trasportatore.
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Una copia del formulario deve rimanere presso il detentore, e le altre tre, controfirmate e datate dal
destinatario, sono acquisite una dal destinatario del carico e due dal trasportatore che provvede a
trasmetterne una al detentore.
Le copie del formulario devono essere conservate per 5 anni, assieme al registro di carico e scarico
su cui sono annotate le operazioni dei trasporti relativi ai formulari in oggetto.
2003/108/CE e relativo decreto legislativo di attuazione 25 luglio 2005, n. 151. Relativamente alla
data di entrata in vigore delle singole disposizioni del citato provvedimento, nelle more dell'entrata
in vigore di tali disposizioni, continua ad applicarsi la disciplina di cui all'articolo 44 del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
b) rifiuti sanitari: decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254;
c) veicoli fuori uso: direttiva 2000/53/CE e decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, ferma
restando la ripartizione degli oneri, a carico degli operatori economici, per il ritiro e trattamento
dei veicoli fuori uso in conformità a quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, della citata direttiva
2000/53/CE;
d) recupero dei rifiuti dei beni e prodotti contenenti amianto: decreto ministeriale 29 luglio 2004,
n. 248;
d-bis) rifiuti di pile e accumulatori: direttiva 2006/66/ CE e relativo decreto legislativo di
attuazione 20 novembre 2008, n. 188.
A seguito dell’aggiornamento della normativa comunitaria, il Dlgs 151/2005 è stato abrogato (ad
eccezione: dell’articolo 6, comma 1-bis, dell'articolo 10, comma 4, dell'articolo 13, comma 8,
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dell'articolo 15, commi 1 e 4, e dell'articolo 20, comma 4) e l’intera materia è stata riscritta
mediante l’emanazione di due provvedimenti:
• Il DLgs 14 marzo 2014 n.49 che, in attuazione della direttiva 2012/19/UE, ha riformulato
dal 12 aprile 2014 le regole nazionali sulla gestione dei RAEE;
• Il Dlgs 4 marzo 2014 n.27 che, in attuazione della direttiva 2011/65/UE ha riformulato, a
decorrere dal 30 marzo 2014, le regole nazionali sulla restrizione dell’uso di sostanze
pericolose nelle AEE.
L’art. 13 del DLgs 49/2014 disciplina la Raccolta differenziata dei RAEE professionali come
segue: “1. Fatto salvo quanto stabilito all'articolo 24 del presente decreto, i produttori,
individualmente o attraverso i sistemi collettivi cui aderiscono, organizzano e gestiscono sistemi di
raccolta differenziata dei RAEE professionali, sostenendone i relativi costi. A tal fine possono
avvalersi delle strutture di cui all'articolo 12, comma 1, lettera a), previa convenzione con il
Comune interessato, con oneri a proprio carico.”
Il D.M. Ambiente 8 marzo del 2010 n.65 recante il “Regolamento recante modalità semplificate di
gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e
degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri
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di assistenza tecnica di tali apparecchiature” rende operativo il “c.d. Uno contro Uno”:
l’acquirente consegna l’apparecchiatura nuova a fronte dell’obbligo del distributore/venditore di
ritirare la vecchia AEE e provvedere al trasporto dei RAEE presso i centri di raccolta comunali
organizzati dai produttori.
Il D.M. Ambiente 8 marzo del 2010 n.65 dispone che il distributore svolga i seguenti adempimenti:
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Art. 3 D.M. Ambiente 8 marzo del 2010 n.65
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