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La comunicazione

La relazione può essere definita come un legame tra persone.


Le relazioni sono molteplici tra le persone tra le cose o i fenomeni.
La relazione si concretizza attraverso la comunicazione, cioè mettere in
comune elementi che legano persone cose o eventi.
La comunicazione dunque oltre a quella parlata è legata anche al
comportamento perché ogni comportamento comunica qualcosa: i gesti
la mimica la posizione del corpo le parole le azioni.
Dunque il comportamento umano è di per sé comunicazione.
Nella relazione tra le persone le cose e gli eventi sono di fatto circolari:
per cui non è possibile stabilire quale sia la causa quale sia l’effetto.
Ogni comportamento è nello stesso tempo azione e reazione a un altro
comportamento.
Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di
comunicazione così il sociologo polacco Bauman sostiene.
Ma qual è uno dei requisiti o prerequisiti di un buon comunicatore?
È il saper ascoltare.
Saper ascoltare è in effetti una predisposizione all’empatia,
all’accettazione dell’altro senza giudizio o critica.
La comunicazione è fondamentale nel rapporto insegnante-allievi, in
quanto essa mira ad elevare il bagaglio delle conoscenze dell’allievo e a
modificare, attraverso la cultura, il comportamento.
La comunicazione in classe è sempre bidirezionale.
Infatti il docente pur sapendo di essere lo stimolo della conoscenza può
diventare reagente, e l’allievo a sua volta da reagente può diventare
stimolo.
Nella azione didattico-educativa si verifica di continuo, senza una
modalità o temporaneità, una reversibilità dei ruoli.
Il docente deve tener sempre conto che, in effetti, durante il suo
insegnamento svolge contemporaneamente due funzioni: quella
didattica, legata alla propria disciplina, e quella educativa, funzione che
consiste nel modificare, attraverso la conoscenza, il comportamento dello
studente in termini umani e relazionali. Quindi sociali.
Quando gli studenti considerano l’insegnante professionalmente
competente, comunicativo, empativo, capace di essere onesto con la
propria funzione educativa, allora essi si fidano e si affidano senza
incertezze alla sua guida autorevole.
L’educazione e la didattica costituiscono, in effetti, un rapporto di
mediazione intenzionale, perché il messaggio culturale trasmesso si dirige
verso un obiettivo prefissato.
L’apprendimento è un processo complesso che richiede da parte
dell’insegnante nella sua comunicazione estrema semplicità, ordine e
brevità del messaggio.
È solo il caso di ricordare che l’insegnante deve possedere una
comprovata formazione culturale e professionale per poter trasmettere
in modo coerente e efficace la sua azione didattica.
L’insegnante non può prescindere dalla considerazione utilitaristica della
propria esperienza. Il sapere da solo non basta .
Il docente ha necessità di modulare la propria didattica sulle esigenze
degli allievi e del contesto scolastico in cui agisce.
In ogni caso il lavoro dell’insegnante è un lavoro che si modifica
continuamente, tenendo conto del contesto del proprio ambiente
educativo.
Il docente non può esimersi dal misurare le conoscenze dei propri allievi
attraverso un punteggio o un giudizio.
È questa la tassonomia cioè la scienza che si occupa delle classificazioni.
Benjamin Bloom classificò sei categorie di apprendimenti cognitivi:
• conoscenza-concerne l’apprendimento delle competenze più
elementari e riguarda in primo luogo la memoria, cioè la capacità di
ricordare le informazioni;
• comprensione-è la capacità di rielaborare le informazioni acquisite;
ciò avviene nella traduzione di un testo(Latino- Inglese) o si estrapola una
informazione dal contesto originario per utilizzarla in un ambito diverso;
• applicazione-che è la capacità e l’abilità di applicare le nozioni
teoriche ai casi pratici;
• analisi-che è la capacità di individuare i rapporti e le gerarchie di
valore tra gli elementi che formano un insieme;
• sintesi-l’abilità di indirizzare le informazioni e i dati verso una nuova
configurazione;
• valutazione-la capacità di esprimere giudizi e organizzare delle
opinioni.
Gli elementi caratteristici degli obiettivi collegati all’apprendimento
devono essere:
• interesse-quando l’individuo è ricettivo allo stimolo attraverso
l’attenzione;
• impegno-quando lo studente è reattivo intervenendo esprimendo
opinioni dissenso o condivisione;
• partecipazione-che la capacità di interagire attivamente fornendo il
proprio contributo all’attività didattica.
La scuola deve in ogni caso interagire con la famiglia in quanto essa
costituisce l’elemento portante dell’educazione di base dell’allievo.
Si sono individuati tre modelli educativi all’interno della famiglia, modelli
che in ogni caso espongono il proprio figlio a comportamenti
consequenziali.
Lo stile repressivo-l’obbedienza, la tradizione, il rispetto dell’ordine
provocano ripercussioni sulla socializzazione dei figli, con assenza di
creatività di autonomia e di competenza sociale.
Lo stile indulgente e permissivo-tollerante consenziente alle richieste dei
figli ma esigente nei confronti delle aspettative di responsabilità. Può
generare atteggiamenti ribelli e comportamenti aggressivi.
Lo stile autorevole-reciprocità senso della democrazia i genitori devono
far passare l’idea che nella famiglia esistono diritti e doveri per tutti e si
mostrano disponibili alle richieste dei figli. I genitori però sono fermi ed
inflessibili in merito alle regole e agli obblighi, sempre tenendo presente il
dialogo e il ragionamento, il confronto e la comunicazione.
Quest’ultimo stile è quello che favorisce il senso di responsabilità
autostima socializzazione.
Il docente ha come suo compito primario quello di comunicare il
proprio sapere perché esso diventi l’alimento della conoscenza
del discente e farlo crescere così sul piano della lettura del
mondo ma a che e soprattutto lo della consapevolezza del
proprio agire con gli altri.
Tutto questo però non è semplice in quanto sia nella società che
nelle classi vi sono sempre più spesso persone e studenti con
problematiche comportamentali che rendono difficile il rapporto
comunicativo.
Nella scuola vi sono persone e studenti “male-educati “ che sono
recalcitranti sia alla comprensione delle esigenze dei propri
compagni, sia alle esigenze delle componenti educative, quali gli
insegnanti.Come sempre più spesso avviene nella società e nel
mondo del lavoro.
Allora, conseguentemente,l’impegno del docente deve essere
indirizzato alla gestione corretta della classe,dove ogni discente
può e deve trovare il proprio spazio cognitivo e relazionale.
Per fare ciò c’è bisogno di una conoscenza delle difficoltà presenti
all’interno della classe per indirizzare e promuovere l’interesse ed
incoraggiare la partecipazione di tutti gli studenti.
Il docente deve intervenire con tempestività e cautela nelle
dinamiche di gruppo,per sventare l’insorgere improvviso di
contrasti e dinamiche conflittuali.
Comunicare, ma come?

Il “ come comunicare “ è il fondamento del rapportarsi alle


dinamiche di relazioni, o meglio, relazionali che si evidenziano tra
gli studenti.
Adottare per ciò metodologie opportune per favorire lo sviluppo
ottimale degli allievi con il proprio io e con gli altri.

Una delle strategie fondamentali della comunicazione è quella


“ non violenta “.
Questo metodo fu adottato dal dottor Rogers che definì il
metodo didattico come “ CNV “cioè comunicazione non violenta.
Si tratta di una comunicazione empatica e collaborativa.
Un processo per la risoluzione dei conflitti.
La comunicazione non violenta utilizza tre aspetti:
auto-empatia (profonda consapevolezza ed esperienza interiore).
Empatia (ascolto dell’altro con partecipazione).
Auto-espressione onesta (essere autentico nel condividere
l’altro).
Questo modo di comunicare si basa sul convincimento che tutti
gli esseri umani hanno la capacità emotiva della condivisione dei
problemi altrui.
Rimanere umani, questo è in effetti, il metodo di comunicare con
empatia e con l’uso di un linguaggio non aggressivo ed offensivo
anche e soprattutto in condizioni difficili.
Il buon nocchiero è chi sa governare la propria nave nel mare in
tempesta. Non perdendo la calma.
Nel comunicare con gli altri bisogna tener presente sempre
un’attenzione rispettosa ed empatica del soggetto che si
racconta.Il docente come lo psicologo durante le sedute di
terapia.

L’empatia è quella condizione di ascolto che genera un rapporto


umano di interazione emotiva e condivisa.
Il cuore deve precedere la mente. Il sentimento deve precedere il
giudizio.
La condivisione produce di conseguenza la fiducia e la stima.

Quattro sono le componenti della comunicazione non violenta:


l’osservazione-cioè riferire senza esprimere giudizi, le azioni
concrete che osserviamo e che influenzano il nostro benessere;
i sentimenti-cioè come ci sentiamo in relazione a ciò che
osserviamo;
i bisogni-cioè i valori, i desideri che creano i nostri sentimenti;
Le richieste-cioè le azioni concrete che desideriamo richiedere
per arricchire la nostra vita.
Questo processo comunicativo si basa soprattutto con
l’esprimere noi stessi sinceramente e rivivendo empaticamente
queste quattro informazione degli altri.
Naturalmente la comunicazione non violenta non ha regole fisse
perché essa si deve adattare alle varie situazioni ai diversi stili
personali e culturali ed è facilmente adattabile ai bambini con
bisogni speciali.

Il linguaggio non violento è detto anche


Il linguaggio giraffa
Questo linguaggio è molto utile all’interno di un gruppo
per creare un atteggiamento collaborativo.

Obiettivi:
-atteggiamento di ascolto e di relazione positiva nei confronti
dell’altro;
-individuazione dei propri limiti e delle proprie capacità;
-descrizione di sé, delle proprie capacità e abilità, dei propri
interessi;
- narrazione dei cambiamenti personali nel tempo.

Attivare modalità relazionali positive con i compagni e con gli


adulti, tenendo conto delle caratteristiche differenze individuali.
Riflessioni sulle modalità per una relazione corretta tra coetanei e
alunno-adulto;
-esercizio dell’abitudine a mettersi dal punto di vista dell’altro e a
rispettarlo.
Controllo dell’espressione verbale e non verbale della
comunicazione ai fini della scelta del registro più idoneo alla
relazione positiva.

Quali possono essere le metodologie che possono sviluppare le


caratteristiche della comunicazione non violenta?
Brain Storming, circle time, ascolto attivo, drammatizzazione,
simulazioni, problem solving.

Accanto al linguaggio empatico che Rosemberg definiva


“ linguaggio giraffa “ c’è anche il “ linguaggio sciacallo “.

Lo studioso evidenziava, infatti, che per secoli le persone sono


state educate al linguaggio sciacallo.
Il linguaggio sciacallo è in effetti
il linguaggio della critica,
il linguaggio di coloro che pensano di sapere che cosa è giusto e
cosa è sbagliato che cosa è normale e cosa non lo è.
È il linguaggio in cui ogni cambiamento è determinato dal premio
dalla punizione, dai sensi di colpa, dal senso del dovere e della
vergogna.
Spesso ci lasciamo guidare dalla paura, dai sensi di colpa, dalla
vergogna e questo genera violenza tra le persone(non
necessariamente fisica)e fa sì che le persone si sentono poco
apprezzate.

lo sciacallo cerca di ingannare l’altro, facendogli credere di


essere responsabile di aver compiuto delle azione fanno star
male.
Ecco alcuni esempi del linguaggio sciacallo:
rimproverare minacciare- “vai subito a pulire il tuo banco. Dove
credi di vivere? In un porcile… se non lo fai vedrai cosa ti succede”.
Giudicare e criticare- “sei una persona insensibile quando di
comporti così”.
Dare consigli non richiesti: “ invece di andare al cinema oggi, è
meglio si studi, altrimenti di succede come l’altra volta che hai
preso quattro “.
Incolpare: “ mi fai star male quando non torni a casa prima della
mezzanotte “.
Negare le proprie responsabilità
(a volte possiamo usare un linguaggio che maschera la
consapevolezza che ognuno di noi è responsabile dei propri
pensieri, sentimenti e azione).
“ Si deve fare… “, ho picchiato mio figlio perché piangeva troppo
forte ‘ ‘ non voglio lavorare ma devo farlo perché me lo chiede
mia moglie “.
Pretendere: “ vorrei che tu mi amassi. “ Papà mi vuoi bene vero?
Perché non mi compri il cellulare nuovo? “
Punire- premiare: la maggior parte delle persone crede che certe
azioni meritino un riconoscimento, un premio.
Altre meritano una punizione.

Vi è poi il linguaggio empatico che viene definito linguaggio


giraffa.

Molti pensano che la non violenza sia sinonimo di fragilità e di


debolezza, ma non è così.
La comunicazione non violenta è in effetti rimanere collegati alla
forza della vita che viviamo.
Qualunque sia il bisogno che proviamo è possibile notare che tutti
gli esseri umani condividono gli stessi bisogni.

Fare delle osservazioni chiare, esprimere il sentimento, esprimere


il bisogno, questo è il modo di comunicare empatico del
linguaggio giraffa.
In effetti la giraffa ha il cuore più grande di tutti i mammiferi ed
avendo il collo alto a una visione molto ampia.
Il docente è “ la Giraffa nell’aula”.
Deve fare uno sforzo ed educare anche gli alunni a trasformare il
linguaggio aggressivo, cioè il linguaggio sciacallo, in linguaggio
empatico e non violento, cioè in linguaggio giraffa.
Alcuni esempi:
sciacallo-“sei troppo buono , non ti arrabbi mai quando ti
offendono”;
giraffa “ quando ti vedo regalare tutti soldi che ha in tasca io
penso che tu sia troppo generoso “.
Stando a queste poche considerazioni è bene che ogni docente si
ponga il modello migliore per poter comunicare ai propri allievi, e
non solo.
Questo tipo di linguaggio, cioè quello dello sciacallo, si manifesta
in maniera eccessivamente chiara quando si parla di politica o di
sport o di altre situazioni che coinvolgono emotivamente i
conversatori non abituati ad un equilibrato confronto dele
proprie idee.
Cattiva maestra è la TV con Talk show dove la violenza verbale
costituisco un collante sociale violento, verbale per gli adulti,
fisico per i più giovani e fragili emotivamente.
La didattica dell’analisi dell’errore.
Nel momento in cui l’insegnante fa fare un compito in classe il suo
obiettivo è quello di verificare se la propria azione educativa nella
trasmissione delle conoscenze disciplinari che ha svolto durante la sua
progressione della progettazione didattica è stato produttivo.
Quando il docente si rende conto che la maggior parte degli allievi
commette errori simili, allora è il caso che egli ripeta l’argomento e faccia
approfondire alcuni aspetti dello stesso,modificando qualche elemento
della comunicazione.,
In effetti l’errore costituisce una messa in discussione sia delle strategie di
apprendimento dell’alunno sia del metodo dell’insegnante.
L’analisi dell’errore deve costituire un elemento di approfondimento del
dato disciplinare e contemporaneamente una rimodulazione del dato
insegnato.
L’errore quindi non deve significare fallimento ma un elemento dinamico
per la formazione culturale del discente.
Correggere in classe un compito significa evidenziare e condividere le
criticità del sapere di alcuni e approfondire quelle di altri.
Durante la mia esperienza didattica in occasione ho corretto compiti fatti
in classe durante le ore di lezioni dedicate alla mia disciplina.
Questo permesso una sorta di attività laboratoriale ed una partecipazione
attiva da parte di tutta la classe.
Leggere poi il compito ritenuto il più esauriente costituiva una sorta di
modello operativo per gli altri studenti.
Come si vede l’insegnante deve approcciarsi agli allievi con fantasia e
creatività cercando di dare e ricevere stimoli per un lavoro didattico
interattivo.
L’uso della memoria nella scuola è fondamentale per avere nel tempo la
possibilità di utilizzare le conoscenze e le nozioni apprese nel tempo.
Aver recepito una informazione non garantisce di essere in grado di
recuperarla; per fare questo è necessario fissarla nella memoria.
Rossana de Beni psicologa vede l’uso della memoria come elemento
indispensabile del sapere.
Per creare le premesse di una memorizzazione dei dati appresi c’è
necessità di organizzare l’archivio delle proprie conoscenze.
Se è vero che la scuola di oggi scoraggia l’apprendimento a memoria,
mentre è a favore di quello significativo, tuttavia è necessario che ogni
persona abbia possibilità di far riferimento al proprio sapere in qualsiasi
momento di necessità operativo grazie alla memoria.

Le memorie di tipo diverso e si realizzano attraverso molteplici


meccanismi.
Il metodo che potenzia la capacità di immagazzinare nozioni esatte è
capire. Capire e fare collegamenti.
La memoria dunque serve, ma senza un ragionamento di base diventa
inutile.
Esistono anche le cosiddette tecniche associative, cioè la tecnica che
associa due elementi di conoscenza diversi tra loro che sono all’interno
della nostra mente.
Qualcuno sostiene nel mondo latino che “ memoria minuitur nisi
exerceas”.
È dunque utile che in ogni tempo e a qualsiasi età l’uomo faccia esercizi
che possano mantenere vivo il proprio bagaglio memoriale, ed aprire il
più possibile l’archivio delle proprie conoscenze.
Imparare a memoria alcuni canti della Divina Commedia, alcuni brani
poetici dei Promessi Sposi, alcune poesie di Leopardi o di Montale o di
Ungaretti è certamente crearsi un bagaglio culturale comunque utile alla
vitalità del nostro cervello e alla vita citazione di conversazioni tra
persone che non vogliono parlare solo di sport.

Il pensiero complesso.
Il termine complesso deriva dal latino complexus
che significa “ tessuto insieme “ si ha quando sono inseparabili i diversi
elementi che costituiscono un tutto come l’economico, il politico, il
sociologico, lo psicologico, l’affettivo.
La complessità è perciò il legame tra l’unità e la molteplicità

Il filosofo Edgar Morin nel suo libro “ I sette saperi necessari


all’educazione del futuro” ritiene che la conoscenza delle informazioni o
dei dati in proprio possesso non sono sufficienti per interpretare il
mondo.
Gli aspetti e le relazioni che formano il tessuto sociale sono:
il contesto-che è l’insieme di elementi, idee e fatti che danno senso ad un
evento;
il globale-le relazioni tra tutte le parti è più del contesto e la presenta
l’insieme contenenti parti diverse che adesso sono legata. Una società, ad
esempio, è l’insieme di molteplici contesti.
Da ciò deriva che è impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto.
Il pensiero complesso intende la realtà come composta di relazioni.
Il multidimensionale è rappresentato dalle unità complesse come l’essere
umano o la società. Così l’essere umano è nel contempo biologico
psichico sociale affettivo relazionale.
La società comprende: dimensioni storiche economiche sociologiche
religiose.
Ciascuna realtà, quindi, ha più sfaccettature ed è definita
multidimensionale.
La creatività e il pensiero laterale
La creatività è un elemento presente in ciascun individuo.
La creatività è innata in ognuno di noi, ma spesso noi utilizziamo nella
gestione delle difficoltà tutti gli elementi risolutivi che ripropongono
schematizzazioni già collaudate.
Le scoperte, figlie della creatività, non sono mai nate da schemi rigidi e
precisi. In effetti la creatività serve a trovare strategie di problem
solving.
Serve soprattutto ad allenare l’ educazione all’ascolto,
all’osservazione, allo stupore.
L’autore che prima degli altri ha dato impulso a questa nuova visione
della creatività è stato Edward De Bono che spiega come
nell’affrontare un problema o una decisione, ci si aggrappa spesso a
vari atteggiamenti di pensiero:
quello logico, quello emotivo, quello creativo.
Questi tre approcci non sempre seguono una sequenza comune a tutti.
C’è chi si lascia guidare dall’approccio emotivo, un altro da quello
logico, un altro ancora da quello creativo.
Per spiegare il pensiero verticale, cioè quello logico l’autore usa una
metafora: quando pensiamo in moto verticale, è come se attaccarsi
mo, una dietro l’altra, un certo numero di graffette per realizzare una
catena.
Pensare in modo laterale invece vuol dire aprire leggermente ognuno
di quelle graffette e far sì che scuotendole in una bacinella si creino
nuove modalità di legame.
Ciò vuol dire che quando più il problema è complesso tanto più si può
raggiungere ad una soluzione guardando le problematiche da
un’angolazione diversa.
Per trovare la soluzione a problemi complessi non sempre il tempo ci
aiuta per cui il suggerimento è quello di attendere con la pazienza del
pescatore: ci si mette di fronte all’acqua e si aspetta. In questo caso
l’acqua è il problema da risolvere.
Nel libro di De Bono c’è la teoria o gioco dei sei cappelli.
-Cappello bianco: assenza di colore, indica neutralità. Con questo
cappello ci si concentra sui dati di fatto.
-Cappello rosso: il rosso suggerisce sentimenti, emozioni: si è
autorizzati a dare sfogo alla motivi.
-Cappello nero: il colore del pessimismo che indica ciò che non è fatto
e non si sarebbe potuto fare.
-Colore giallo: è il colore della luce e dell’ottimismo. Serve ad
individuare i punti di forza di una idea.
-Colore verde: colore del prato, della fertilità quindi della creatività. Si
mette quando si vogliono cercare idee nuove e abbandonare il
pensiero logico razionale o meglio verticale. Si usa così il pensiero
laterale. Della creatività.
-Cappello blu: il colore del cielo e della calma. È il momento delle
conclusioni.
Questo certamente è un gioco di gruppo in cui ogni mini gruppo può
individuare un percorso originale per risolvere un problema.
In genere il portatore del cappello blu è colui il quale mettere a fuoco i
problemi. Realizza una sintesi c’è un quadro di insieme per dare una
soluzione unica al problema.
De B ono così dice “ spesso le persone dotate di una grande intelligenza
non si rivelano dei buoni pensatori; perché si sentono superiori, vogliono
sempre avere
ragione e passano il loro tempo a cercare di dimostrare che gli altri
hanno torto.
L’intelligenza è una potenzialità, il pensiero invece è un’abilità.
Certamente questa potrebbe essere la base del metodo del Brain
storming.
Lezione simulata
presentare alla classe una lezione bisogna tener conto di vari elementi
che concorrono a rendere la comunicazione efficace.
Il primo elemento da tener conto in una lezione è quella di essere attenti
alle diversità presenti nella classe, diversità linguistiche e di competenze,
ai ritmi e alle capacità di ciascun alunno. La lezione quindi deve tener
conto dei codici linguistici comunicativi semplici e efficaci. Se si vuole fare
una lezione riguardante gli aspetti giuridici ed economici di un
determinato periodo, bisogna avere presente tutti gli elementi storici
nella dimensione locale nazionale ed europea.
Una lezione quindi deve tener conto di una sorta di dimensione
discontinua dei fattori che hanno caratterizzato il processo della storia.
Lo sforzo primario dell’insegnante è quello di evidenziare il rapporto tra
storia di una società e la sua espansione economica.
L’economia quindi deve essere vista come una conseguenza di un sistema
politico integrato che caratterizza un determinato periodo.
Così come le leggi devono essere presentate come il risultato di una
evoluzione democratica di un popolo. Insegnare diritto ed economia
costituisce un entusiasmante processo di conoscenza che apre la mente
dello studente ad una visione diacronica della convivenza civile. Questa
consapevolezza di appartenere ad un sistema sociale con le sue regole e i
suoi diritti e doveri crea certamente una prospettiva di partecipazione
responsabile da parte dell’alunno.
Comprendere i meccanismi dell’economia e dei suoi processi metterà
certamente lo studente nella possibilità di potenziare lo spirito di
intraprendenza e di imprenditorialità così come ha raccomandato il
Parlamento e il Consiglio europeo il 18 dicembre 2006.
La scuola quindi vista come palestra per acquisire strumenti per la
conoscenza del tessuto sociale ed economico del territorio, delle regole
del mercato, di lavoro e delle possibilità di mobilità.
Lo sviluppo delle competenze.
Ogni azione didattica deve quindi avere come obiettivo primario lo
sviluppo delle competenze.
Lo sviluppo delle competenze dell’asse storico- sociale al termine del
percorso scolastico della scuola secondaria di secondo grado consiste nel
creare nell’allievo la comprensione del cambiamento, la diversità dei
tempi storici in una dimensione diacronica fra aree geografiche e
culturali.
Ciò colloca l’esperienza individuale e personale in un sistema di regole
fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantiti dalla
Costituzione, a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente.
La tipologia di scuola in cui si svolge la lezione è un Istituto secondario di
secondo grado.
La condizione socio-culturale degli alunni è eterogenea.
Gli alunni destinatari appartengono ad una classe seconda della scuola
secondaria di secondo grado.

Presento ora la classe


La classe è composto da 28 allievi di cui 15 donne e 13 maschi.
Il gruppo è dunque eterogeneo.
La classe si caratterizza con una condizione di prerequisiti abbastanza
sviluppati: infatti gli alunni sono molto interessati alla vita scolastica, sono
collaborativi sono interessati alla tecnologia.
Non mancano però punti di debolezza come per esempio l’ansia da
prestazione, aggressività, distrazione a mantenere l’attenzione e
difficoltà a memorizzare.
Il gruppo classe non presenta elementi con PDP.
Il Consiglio di classe suggerisce di dare regole, orari e compiti chiari.
Collocare i banchi in direzione della lavagna, consentire pausa regolare,
dare compiti di responsabilità, utilizzare ricompense.
Servirsi di strumenti didattici adeguati come leTIC cioè le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione come la LIM.
Tra i riferimenti teorici elenchiamo quella delle intelligenze multiple di
Gardner .
Ogni individuo possiede abilità mentali che può utilizzare separatamente
o miscelare secondo le operazioni centrali che compie:
intelligenza linguistica musicale,
logico matematica, spaziale,
corporeo-cinestetica,
interpersonale,
intrapersonale,
naturalistica ed esistenziale.
L’attivismo pedagogico di Dewey.
La nuova pedagogia, abbandonata la tecnica di offrire contenuti già
preconfezionati si dirige sempre più verso il metodo della scoperta e della
esperienza diretta.
Lo studente va stimolato attraverso il laboratorio: la scuola serve per la
vita, l’apprendimento è indispensabile per la soluzione di problemi reali.
Il linguaggio di comunicazione e il pensiero hanno un’origine sociale:
l’essere umano sviluppa e apprende mediante la cooperazione e il lavoro
di gruppo. (Vigotsky).
Lo sviluppo cognitivo si evolve nell’interazione con il prossimo; quindi la
competenza si acquisisce in un primo momento a livello sociale e poi
diventa individuale.
Ogni soggetto ha potenzialità cognitive latenti che soltanto
nell’interazione si possono manifestare ed esprimere.
Imparare ad imparare.
La costruzione di nuove conoscenze è il prodotto di negoziazione con gli
altri e non solo di rielaborazione individuale.
È la cultura che forma l’impostazione mentale Brunner.
Essa fornisce gli elementi necessari affinché si possa organizzare e
comprendere la realtà.
L’apprendimento deve essere concepito come culturalmente
contestualizzato.
Finalità della scuola e le competenze “ chiave “ dell’unione europea
In data 18 dicembre del 2006, il Parlamento e il Consiglio dell’Unione
Europea hanno emanato la Raccomandazione sulle competenze “ chiave
“ per l’apprendimento permanente.
Le competenze “ chiave “ sono quello di cui tutti i cittadini europei hanno
bisogno per lo sviluppo personale, per la cittadinanza attiva, per
l’inclusione sociale e l’occupazione.
Le otto competenze “ chiave “ sono:
comunicazione nella madrelingua;
comunicazione nelle lingue straniere;
competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;
competenza digitale;
imparare ad imparare;
competenze sociali e civiche;
spirito di iniziative in imprenditoriali tra;
consapevolezza ed espressione culturale.

Le finalità generali della scuola sono in base a ciò, non solo lo sviluppo
armonico ed integrale della persona, ma anche l’esigenza di
accompagnare gli alunni nella elaborazione del senso della propria
esperienza e nella promozione della alfabetizzazione culturale di base
all’interno dei principi della Costituzione italiana e della tradizione
culturale europea; ciò sia nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità
individuali sia con il coinvolgimento attivo di alunni famiglie.
Un altro elemento che la scuola deve promuovere e quella
dell’apprendimento permanente: Lifelong learning.
Le competenze certificano la capacità di impiegare in un determinato
contesto conoscenze-il sapere-----abilità-il saper fare----e capacità sociali-
atteggiamento di- in situazione di lavoro o di studio e nello sviluppo
professionale personale.
Il complesso delle competenze dà la padronanza in termini di autonomia
e responsabilità.

Il ruolo dell’insegnante.
L’insegnante per il ruolo che svolge-guida-facilitatore-mediatore,
interviene pur osservando e analizzando solo quando è necessario;
individua le strategie di intervento per il proseguimento della relazione
educativa;
prospetta condizioni attività stimolante e coinvolgenti;
prende in considerazione le preferenze e le idee espresse;
lascia libertà di iniziativa;
sostiene la crescita logica ed espressiva;
incoraggia e favorisce lo scambio di idee.

L’insegnante per svolgere adeguatamente un tale ruolo deve possedere


competenze non solo disciplinari, pedagogiche, metodologiche e
didattiche, ma anche quelle organizzative e di ricerca.

Metodologie didattiche e strumenti.


Le metodologie didattiche che vengono utilizzate sono:-il cooperative
learnig, metodologia dell’apprendimento cooperativo.
Lo scopo di questa metodologia non è solo quello di promuovere la
comunicazione tra pari, coinvolgendo e includendo tutti, ma è anche un
incoraggiare ad approfondire per chi la utilizza come reciproca
conoscenza;
• il Webquest, che un tentativo di integrare le nuove tecnologie
all’insegnamento.
Questo metodo sollecita in maniera particolare l’attenzione e l’operatività
dei giovani studenti, i cosiddetti digital native, che in piccoli gruppi
attraverso attività di ricerca risolvono problematiche culturali poste.
È questo un ambiente di apprendimento di matrice costruttivistica e si
basa sull’uso estensivo di Internet e di altre risorse.
Gli strumenti che vengono utilizzati sono: LIM PC TIC.
ESEMPIO D’ UN ARGOMENTO DA
TRATTARE:
Dallo Statuto albertino alla Costituzione Italiana
Lo Statuto albertino fu emanato da Carlo Alberto, re del Regno di Sardegna, il 4 marzo
1848 come “legge fondamentale ed irrevocabile” che sostituiva l’ordinamento
monarchico costituzionale alla monarchia assoluta nello stato piemontese. Con la
formazione del Regno d’Italia, divenne la legge fondamentale del nuovo Stato e restò
in vigore fino al 1 gennaio 1948.
to albertino si componeva di 81 articoli 22 dei quali erano riservati per definire le
prerogative del re al quale era attribuito il potere esecutivo, la nominale
sovrintendenza del potere giudiziario, la partecipazione al potere legislativo insieme al
Parlamento.
Il sistema di rappresentanza era bicamerale: il Senato era composto da membri
nominati a vita dal re; alla Camera dei deputati accedevano i rappresentanti della
nazione, votati in base a una legge elettorale che non era inclusa nello Statuto. Erano
garantiti i diritti fondamentali dei cittadini e l’inviolabilità della proprietà individuale.
Si adattò ai mutamenti sociali e istituzionali che derivarono sia dall’unificazione
dell’Italia, sia dall’estensione del diritto di voto, sia dal passaggio nel 1922 dallo stato
liberale a quello fascista.
I principi essenziali dello Statuto albertino sono:
· la libertà di pensiero, di parola e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge;
· il potere esecutivo riservato esclusivamente al re; il potere legislativo condiviso con il
parlamento; il potere giudiziario affidato a magistrati di nomina regia;
· la responsabilità dei ministri solo di fronte al re;
· la dichiarazione della religione cattolica come “ religione di Stato”.
Lo Statuto era caratterizzato dal fatto di essere:
- una costituzione concessa: lo Statuto non era frutto di una collaborazione con il
popolo;
- una costituzione flessibile: lo Statuto poteva essere modificato con leggi ordinarie.
La sua elasticità permise il passaggio da una forma costituzionale pura ad una
parlamentare; non garantì le libertà democratiche e permise il passaggio al regime
fascista in modo formalmente legale;
- una costituzione monarchica: la struttura dello Stato era di tipo monarchico;
- una costituzione rappresentativa: la camera dei deputati era un’assemblea eletta;
- una costituzione confessionale: nella fase iniziale lo Statuto prevedeva come sola
religione di stato quella cattolica.
La forma di governo introdotta con lo Statuto albertino non era fondata su una netta
separazione dei poteri:
· il sovrano aveva il potere esecutivo;
· il Parlamento, composto da due camere (Camera dei deputati e Senato), condivideva
con il re la titolarità del potere legislativo. Le due camere non erano poste su un piano
di parità: aveva maggiori poteri la Camera dei deputati;
· ai giudici era affidato il potere giudiziario.
Con le leggi fasciste del 1925, lo Statuto albertino venne notevolmente alterato, al
punto da rendere la struttura stessa dello Stato di tipo autoritario-totalitario. La
modifica statutaria, finiva per attribuire una posizione di preminenza giuridica al Primo
ministro rispetto ai singoli ministri.
A questo importante cambiamento istituzionale seguì, nel 1939, la sostituzione della
Camera dei deputati con la Camera dei fasci. In pratica la Camera era formata in
parte dai Consiglieri nazionali e in parte dai membri del Gran consiglio del fascismo.
Così la Camera, divenuta assemblea permanente, si formava in seguito alla nomina o
alla decadenza dalle suddette cariche, senza dover ricorrere, per il suo rinnovo, a
periodiche consultazioni elettorali.
Le riforme legislative in atto determinarono il progressivo instaurarsi di un regime di
governo totalitario, basato sul riconoscimento di un unico partito, quello fascista.
La crisi costituzionale seguita alle vicende belliche che sconvolsero il paese si aprì il 25
luglio 1943 con la revoca di Mussolini da capo del Governo; questa fu avviata per
iniziativa del re e fu sostenuta dallo stesso Gran consiglio, che affidava in via
provvisoria il potere esecutivo al maresciallo Badoglio.
Con il decreto del 2 agosto il re stabilì lo scioglimento della Camera dei fasci
accelerando il crollo di un regime.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’Italia restava divisa in due: al nord, ancora in
mano ai tedeschi con il regime fascista; al sud, occupato dagli anglo-americani, veniva
ripristinato l’ordinamento monarchico.
Per sanare questa frattura, nell’aprile del 1944 si giunse a un accordo tra i comitati di
liberazione nazionale e Vittorio Emanuele III, proclamando la tregua istituzionale.
Intanto, prima della ritirata delle forze tedesche dall’Italia, il 5 giugno 1944 il re
affidava al figlio Umberto la luogotenenza del Regno, attribuendogli i poteri di capo
dello Stato. Il luogotenente generale accettò il principio che fosse rimessa al popolo la
libera scelta circa la forma istituzionale monarchica o repubblicana, così il 2 giugno
1946 ci fu il referendum, al quale tutta la popolazione italiana fu convocata per la
scelta fra monarchia e repubblica, in questo modo fu proclamata la Repubblica. Dopo
il referendum, il 25 giugno 1946, si riunì l’Assemblea Costituente (assemblea formata
da 556 membri, per approvare la nuova Costituzione repubblicana) che affidò la
redazione della nuova Costituzione repubblicana a una commissione formata da 75
deputati, ( suddivisa in tre sottocommissioni, rispettivamente incaricate di elaborare le
diverse parti dell’intero progetto costituzionale), che concluse i lavori, in seduta
plenaria, il 22 dicembre 1947 con l’approvazione a scrutinio segreto del testo
definitivo.
La promulgazione da parte del capo dello Stato provvisorio Enrico de Nicola, dopo
cinque giorni, e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, permisero l’entrata
in vigore della nuova Costituzione il 1° gennaio 1948.

La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato.


Entrata in vigore il 1 gennaio 1948, fu firmata dal presidente della Repubblica Enrico
De Nicola e controfirmata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal
presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini.
La Costituzione è composta da 139 articoli e da 18 disposizioni transitorie e finali.
· I principi fondamentali (art. 1-12).
· Parte prima (art. 13-54) riguarda i diritti e i doveri dei cittadini.
· Parte seconda (art. 55-139) è la parte più estesa della Costituzione. In questa
sezione sono stabiliti i poteri, la composizione e la nomina degli organi fondamentali
dello Stato.
Gli organi costituzionali sono:
· il Parlamento;
· il Presidente della Repubblica;
· il Governo;
· la Magistratura;
· la Corte Costituzionale.
La Costituzione è caratterizzata dal fatto di essere:
- una costituzione compromesso: l’articolazione della Carta costituzionale si fonda
sull’accordo fra i diversi partiti del Comitato di liberazione nazionale. Il compromesso
raggiunto permette un equilibrio, che dà il giusto peso sia alle esigenze di riconoscere
e garantire le libertà sia a quelle di realizzare uno Stato sociale;
- una costituzione lunga: il testo costituzionale indica le linee fondamentali
dell’ordinamento dello Stato, definisce i diritti fondamentali, organizza i diversi aspetti
della società;
- una costituzione votata: il testo costituzionale è approvato da un’Assemblea
costituente eletta dal popolo;
- una costituzione rigida: a differenza dello Statuto albertino, essa può essere
modificata solo attraverso un procedimento speciale. Ciò fornisce una garanzia al
mantenimento delle libertà democratiche;
- una costituzione laica: tutte le fedi religiose, se in linea con il nostro ordinamento,
hanno uguale diritto di esistere e operare sul territorio nazionale;
- una costituzione pluralista: lo Stato riconosce e tutela le diverse forme nelle quali si
esprimono le molteplici sfaccettature della società;
- una costituzione liberale; i principi di libertà sono riconosciuti e garantiti
dall’ordinamento;
- una costituzione sociale: lo Stato interviene in modo diretto per garantire
l’uguaglianza fra i cittadini.

Luigi Meccariello

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