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GOOGLE E IL FUTURO DEI LIBRI

 Google sta digitalizzando milioni di libri, molti protetti da copyright, rendendo i testi ricercabili online.
 Il progetto chiamato Google Book Search ha dato luogo a una causa da parte di un gruppo di autori e di editori
secondo i quali Google stava violando i loro diritti di proprietà intellettuale
 Sono arrivati a un accordo che potrebbe avere conseguenze profonde sul mondo dei libri
 Ma è molto complesso quindi non sappiamo il futuro dei libri.

 Parla del Settecento, con la sua fede nella conoscenza, parla dell’illuminismo. Si immaginavano la repubblica delle
lettere come una nazione senza confini e disuguaglianze. Il Settecento fu un’epoca di lettere e scambi epistolari e
parla dello scambio di lettere tra Jefferson e Madison.
 Ma era una repubblica democratica solo in linea di principio, nella pratica era dominata dai figli delle migliori
famiglie e dai ricchi, quasi tutti gli scrittori dovevano corteggiare protettori ed erano controllati dallo stato. La
repubblica delle lettere era afflitta dalla malattia che erodeva tutte le società del Settecento: il privilegio non era
limitato all’aristocrazia, si applicava anche alla stampa e vendita dei libri. Quindi nella pratica la repubblica delle
lettere era un mondo chiuso, accessibile solo ai privilegiati.

 Guardiamo al presente:
 Parla della legge del copyright di Sonny Bono del 1998. 70 anni dopo la morte.
 Per quanto riguarda la digitalizzazione, l’accesso al patrimonio culturale si arresta generalmente al 1923, data
oltre la quale un numero imprecisato ma alto di libri è protetto da copyright.

 Quando colossi commerciali come Google mettono gli occhi sulle biblioteche, non vi vedono solo templi del sapere.
Passiamo dal mondo dell’illuminismo al mondo del capitalismo corporativo. Ci si vedono risorse potenziali. I fondi
librari delle biblioteche possono essere digitalizzati in massa a costi relativamente contenuti.

 Le biblioteche esistono per promuovere un bene pubblico: per favorire la conoscenza aperta a tutti. Le imprese
capitalistiche esistono per fare soldi a beneficio dei loro azionisti.

 Ma se permettiamo la commercializzazione del contenuto delle nostre biblioteche ci scontriamo con una
contraddizione di fondo. Perché se consentiamo a un soggetto privato di digitalizzare le raccolte delle biblioteche
vendendo il risultato con modalità che non garantiscono il più ampio accesso possibile equivale a ripetere l’errore
che trasformerebbe internet in uno strumento per la privatizzazione di un sapere che attiene alla sfera pubblica.

 Non si può imporre per legge l’illuminismo per tutelare, ma si possono stabilire regole a tutela dell’interesse
pubblico. Le biblioteche rappresentano il bene pubblico e non sono aziende ma devono essere in grado di coprire i
loro costi. E va fatto nell’interesse del pubblico.

 Parla di un ‘noi’, di un popolo. Digitalizzare è sì necessario ma ciò che conta è che è necessario democratizzare
aprendo l’accesso al nostro patrimonio culturale. Come? Subordinando gli interessi privati al bene pubblico. Per
creare una Repubblica digitale del sapere.

 Il via a queste riflessioni è partito dal progetto di Google, per cui digitalizzando, ha permesso per esempio di rendere
accessibile a tutti la prima edizione di un determinato libro, e l’operazione risulta vantaggiosa per tutti, sia per chi
può fruire gratuitamente, sia per Google che intasca i profitti grazie alle inserzioni pubblicitarie.
 Ha digitalizzato anche libri protetti da copyright limitandone la visualizzazione a piccoli stralci.
 Nel 2005 un gruppo di autori ha iniziato una class action contro Google per violazione di copyright e nel 2008
raggiungono un accordo. L’accordo prevede l’istituzione di un’agenzia chiamata Book Rights Registry. Google
venderà l’accesso a una grande banca dati composta da libri sotto copyright ma fuori catalogo e le istituzioni
potranno abbonarsi alla banca pagando una licenza istituzionale, mentre una licenza di pubblico accesso renderà
questo materiale accessibile alle biblioteche pubbliche. Anche singoli utenti potranno accedere. Nel frattempo,
Google continuerà a rendere disponibili gratuitamente per la lettura i libri in pubblico dominio.
 DATI:

 È una proposta che potrebbe portare alla realizzazione della più grande biblioteca del mondo in forma digitale.
Inoltre, Google potrebbe diventare la più grande industria libraria del mondo.
 Due tipi di reazioni: Entusiasmo e lamentele sul pericolo di una concentrazione del potere di controllo
sull’accesso alle informazioni.

IL FUTURO DELLE BIBLIOTECHE


 Quale sarà?
 Parla di una fantasia futurista del 1771 di Mercier nel suo romanzo utopico L’anno 2440 e in un sogno trova una
biblioteca con soli quattro scaffali, perché gli altri libri sono stati bruciati in quanto inutili, sono stati salvati solo
pochi tomi essenziali. Per lui la parola scritta era vista come agente di progresso.
 Ma la sua fantasia dava voce a un sentimento ora ossessivo, cioè la sensazione di essere sopraffatti dalle
informazioni e di ritrovarsi inermi di fronte alla necessità di selezionare i materiali rilevanti in mezzo alla massa di
dati effimeri.
 Soluzione: Biblioteca senza libri. Con Google Book search questa fantasia non è così lontana
 Con l’accordo del 2008 fu reso pubblico l’accordo di transazione raggiunto con il gruppo di autori e di editori che
avevano citato Google in giudizio e in base a quell’accordo veniva creato un complesso meccanismo di spartizione
dei profitti generati dalla vendita dell’accesso al database di Google. Abbonamento istituzionale per le biblioteche.
Ritorna la preoccupazione del monopolio di Google. Il monopolio dell’accesso alle informazioni.
 È un monopolio per 3 motivi:
 Dopo l’abbandono del campo da parte di Microsoft, non esiste altro concorrente che abbia la forza tecnologica e
finanziaria di contrastare Google.
 L’accordo si estende automaticamente a tutti gli autori e editori che rientrano nella classe degli aventi diritto.
Dunque, un eventuale rivale di Google sarebbe costretto a cercare il consenso di ogni singolo detentore dei diritti e
a sobbarcarsi a innumerevoli cause per violazione della legge sul copyright.
 La clausola della nazione più favorita
 Si arriverebbe a un problema di privacy in cui tutti sanno cosa leggiamo.
 Il problema: ci sono sì, nell’accordo di transazione, alcune linee guida da seguire per stabilire i prezzi, ma nessuna
norma è volta a impedire che questi salgano alle stelle.
 Google dovrà concordare i livelli dei prezzi con il Book Rights Registry ma questo registro sarà gestito da
rappresentanti di autori e editori, che hanno interesse a far lievitare i prezzi e il pubblico non ha voce in questo
accordo.
 Si potrebbero applicare dei miglioramenti come il monitoraggio periodico dei prezzi da parte di un’autorità
pubblica, o la presenza nel registro di rappresentanti di biblioteche e lettori
 Si potrebbe immaginare un finale ancora più ottimistico, cioè una legge che stabilisca l’accessibilità pubblica
all’intera banca dati di Google.
 Parla di come le università come quella di Oxford prima fosse isolata dal mondo, quasi inaccessibile.
 Le più grandi biblioteche appartengono alle università più esclusive (Harvard, Yale, Princeton, Stanford) che
ammettono solo gli studiosi specializzati ma non il pubblico e così facendo, hanno voltato le spalle alla cittadinanza
destinando la loro ricchezza a pochi privilegiati.
 Robert Darnton in quanto direttore della biblioteca di Harvard, ha istituito un ufficio per le comunicazioni
scientifiche, chiamato Office for Scholarly Communication (OSC) che amministra e mette a disposizione
gratuitamente un deposito di tutti gli articoli scientifici prodotti dalle facoltà aderenti al progetto, a meno che
l’autore dell’articolo scelga di escluderlo. L’OSC radunerà la cosiddetta letteratura grigia (conferenze speciali,
appunti di laboratorio, raccolte dati) così da rendere accessibile la vita intellettuale dell’università a chiunque voglia
connettersi. (Non come nel libro di Thomas Hardy che l’autore cita). Inoltre, Harvard vuole espandere questa
funzione attraverso l’Open Collections Program che ha digitalizzato libri, opuscoli, manoscritti, stampe e
fotografie sparsi in una dozzina di biblioteche di facoltà, accomunati per argomenti specifici, e l’ha reso disponibile
gratuitamente su appositi siti web. E vuole mettere a disposizione del mondo il proprio materiale, che non esiste
altrove, tra cui: dati sulle origini dell’istruzione superiore negli Stati Uniti; più di 200 copie uniche di opere cinesi;
materiali riguardo l’Ucraina, di vitale importanza per il popolo ucraino in quanto ha perduto il suo patrimonio
letterario.
 La raccolta e la conservazione di questi materiali deve essere ben organizzata ed è questo il motivo che ha portato
al servizio di conservazione Web Archive Collection Service (WAX).
 Dalla metà degli anni Ottanta dello scorso secolo gli organismi statali e ministeriali utilizzano perlopiù la posta
elettronica per la corrispondenza, ma purtroppo la maggior parte di queste e-mail sono andate ormai perdute.
 Harvard sta cercando di avviare soluzioni parziali ai problemi esistenti per quest'archiviazione, ma ciò viene
aggravato dalle difficoltà nel reperire i fondi. Per ovviare questo problema si potrebbe creare un’alleanza tra le
biblioteche universitarie e le case editrici. Diverse biblioteche universitarie hanno assorbito le case editrici ma ad
Harvard questo non è ancora in programma. La Harvard University Press continua a prosperare nonostante la crisi.
 In futuro, se tutto questo avverrà, le biblioteche potranno contare sulla ricchezza dei materiali più antichi che,
finalmente, potranno essere condivisi con il resto del mondo.
 Se vorranno continuare a svilupparsi nel futuro, le biblioteche dovranno associarsi per progredire su due fronti
contemporaneamente: quello analogico e quello digitale. Ma visto l’elevata quantità di fondi richiesti dovranno
formare dei consorzi per decidere di concentrare gli investimenti su certe materie a discapito di altre.
 Lo Stato dovrebbe intervenire, per impedire l’affermazione di un regime monopolistico, sia che le biblioteche
interagiscano tra loro per promuovere un progetto comune. Digitalizzare e democratizzare è l’unica formula efficace
se veramente vogliamo far diventare realtà l’ideale della Repubblica delle Lettere che in passato sembrava solo
un’utopia.
GOOGLE BOOK SEARCH E LE POLITICHE DI DIGITALIZZAZIONE LIBRARIA – RONCAGLIA
Si tratta di un tema assai discusso, e rispetto al quale le posizioni sono spesso fortemente cristallizzate: sostegno entusiastico
a un progetto considerato – a ragione – come il primo tentativo di digitalizzazione libraria su scala globale, o, al contrario,
rifiuto altrettanto netto di scelte percepite come culturalmente ‘imperialiste’ nella selezione delle priorità, guidate da logiche
commerciali e non culturali.
Vedremo caratteristiche fondamentali dell’iniziativa avviata da Google, con argomentazione di limiti e vantaggi.
Premettiamo che i ricavi pubblicitari costituiscono ad oggi il 97% delle entrate di Google rispetto a un 3% derivante da
entrate legate alla vendita di licenze o di altro tipo di servizi.
Perché, allora, un motore di ricerca dovrebbe imbarcarsi in un progetto di digitalizzazione libraria?
1- Perché si tratta di lavorare con una quantità di informazione assolutamente compatibile – come ordine di
grandezza – con quella già presente in rete e che Google è abituato ad indicizzare
2- In secondo luogo, perché – a differenza di molta parte dell’informazione grezza presente in rete – i libri
contengono per lo più informazione validata, dunque di alto valore potenziale per gli utenti di un motore di
ricerca.
3- Infine, perché in questo modo Google può anticipare e cavalcare una tendenza che vede evidentemente
all’orizzonte: la transizione verso il digitale anche dei supporti per la lettura.
Il progetto di digitalizzazione dell’azienda di Mountain View nasce come naturalmente onnivoro, guidato in primo
luogo dal criterio della potenziale appetibilità dei contenuti rispetto alle ricerche effettuate dagli utenti. Dunque non
è una digitalizzazione bibliotecaria, ma libraria.
La natura onnivora del progetto si scontra però con i diversi regimi giuridici e con le diverse caratteristiche proprie di
oltre cinque secoli di produzione libraria a stampa. I libri recenti sono naturalmente i più appetibili dal punto di vista
delle ricerche degli utenti, ma sono ancora sotto diritti, e i diritti sono detenuti da case editrici diverse, che possono
avere atteggiamenti diversi rispetto all’iniziativa di Google. I libri meno recenti si trovano in biblioteca, e la loro
digitalizzazione – peraltro spesso più complessa – richiede dunque accordi con almeno alcune fra le grandi biblioteche
di riferimento.
Storia e dispute legali
Inizialmente Google aveva previsto (e avviato) un lavoro di digitalizzazione sostenendo che la digitalizzazione di opere
ancora sotto diritti avveniva al solo scopo di indicizzarne i contenuti, rendendo disponibili agli utenti solo gli indici e
degli ‘snippets’ dell’opera (brevi frammenti o ‘ritagli’ del testo, la cui disponibilità Google riteneva fondata sul diritto
di citazione, o fair use), corrispondenti alle ricerche effettuate dagli utenti stessi.
Davanti alle prime critiche, per rafforzare la tesi che il lavoro effettuato riguardasse in primo luogo la realizzazione di
strumenti di indicizzazione e ricerca, Google abbandonò subito il primo nome scelto, Google Print, a favore del più
esplicito Google Book Search.
La tesi di fondo sostenuta da Google restava tuttavia fortemente controversa visto che fra gli altri argomenti addotti
la realizzazione degli indici si basava comunque sulla gestione di banche dati on‐line contenenti il full‐text delle opere
digitalizzate, e che nel caso di opere ancora sotto diritti tale gestione, indipendentemente dalla disponibilità o meno
del full text delle opere per gli utenti finali, costituiva di per sé una violazione massiccia e sistematica del copyright.
La disputa giuridica che ne è seguita è stata fra le più discusse e commentate degli ultimi anni.
La creazione di un Registro indipendente per i diritti su libri (Book Rights Registry), che dovrebbe raccogliere in
maniera aperta e trasparente informazioni sui detentori di diritti relativi a opere librarie, permettendo di utilizzare tali
informazioni sia nell’ambito del progetto di digitalizzazione portato avanti da Google sia nel caso di altre iniziative
analoghe curate da altre società. In base alla proposta di accordo, Google si impegna a versare a tale registro una cifra
iniziale di 34,5 milioni di dollari, e a una serie di altri adempimenti per un impegno finanziario complessivo di 125
milioni di dollari. La proposta di accordo prevede anche una divisione dei ricavi della vendita on‐line di opere sotto
diritti digitalizzate da Google o dei ricavi derivanti dalla pubblicità aggiunta da Google ai risultati di ricerche sul
contenuto di tali opere, nella proporzione del 63% per autori ed editori detentori dei diritti, e del 37% per la stessa
Google.
La proposta di accordo non ha certo messo a tacere le polemiche, e le ha anzi in diversi casi rafforzate, rimescolando
però non poco i ruoli e i temi discussi.
Il rischio è evidentemente quello di offrire a Google una sorta di monopolio di fatto sulla loro gestione, dal momento
che per altri operatori diventerebbe assai oneroso e complesso costituire collezioni alternative di contenuti e
negoziarne indipendentemente le condizioni di distribuzione.
Questione delle opere orfane: va considerato che la grande maggioranza dei libri pubblicati nel corso del secolo scorso
è composta da opere o sotto copyright o orfane: dei sette milioni di libri che Google dichiara di aver digitalizzato al
novembre 200812, circa un milione è composto da opere di pubblico dominio, circa un milione da opere in commercio,
e circa cinque milioni sono orfane o sotto copyright ma fuori commercio.
E l’Europa?
Dall’accordo vengono esclusi i libri editi nell’Europa continentale. Intesa evidentemente a rispondere alle proteste che
come abbiamo visto erano state avanzate da editori e governi del vecchio continente, ma il risultato concreto rischia
di rivelarsi un boomerang proprio per chi rivendicava l’esigenza di una maggiore apertura del progetto di Google verso
lingue diverse dall’inglese e per la tradizione culturale europea. Per ora solo le opere orfane.
Google e la concorrenza
Si può affermare senza timore di smentita che, nonostante le controversie che abbiamo appena esaminato, e
nonostante i numerosi limiti e le numerose imperfezioni anche tecniche del lavoro portato avanti da Google, su cui
torneremo fra breve, un’azienda privata è riuscita ad avviare un progetto che nessuna istituzione pubblica di alcun
paese al mondo ha avuto (purtroppo) la forza, le risorse e la capacità di affrontare in maniera altrettanto determinata
ed efficace. Fra i concorrenti di Google, un ruolo particolare – ma comunque caratterizzato da una minore capacità di
produrre risultati tangibili, nonostante le dimensioni di alcuni dei partner privati inizialmente coinvolti – ha l’Open
Content Alliance.
Microsoft aveva infatti avviato un progetto rivale, denominato Live Search Books. Si trattava di un’iniziativa
esplicitamente anti‐Google, che rifiutava le posizioni dell’azienda di Mountain View in materia di fair use, rifiutava la
digitalizzazione libraria basata su politiche opt‐out (richiedendo invece l’esplicita adesione delle case editrici
interessate), e si concentrava in primo luogo sulla digitalizzazione di opere di pubblico dominio. In questa situazione,
Microsoft agiva innanzitutto per catalizzare consenso e sottrarlo al progetto di Google, stringendo un’alleanza con
associazioni del calibro dell’Internet Archive, paladine della diffusione aperta dei contenuti, e contribuendo – insieme
a Yahoo! e ad altri partner pubblici e privati – alla costituzione nell’ottobre 2005 dell’Open Content Alliance. All’avvio
del progetto la sola Microsoft aveva contribuito alla digitalizzazione di circa 750.000 opere, con una qualità media
probabilmente maggiore di quella garantita da Google. Ma nello stesso periodo Google Book Search aveva digitalizzato
diversi milioni di volumi. E Microsoft si era nel frattempo accorta che, almeno dal punto di vista strettamente
commerciale, concentrarsi sulle opere fuori diritti non portava lontano: ‘classici’ maggiori e minori, i testi pubblicati
prima del ‘900 avevano un interesse assai più limitato di quelli pubblicati nel corso del secolo scorso e di quelli in
commercio. Così nel maggio 2008 abbandona il proprio progetto. Ma lascia in eredità all’Open Content Aliance – che
rimane attiva – una ricca dote di volumi, ora accessibili attraverso la Open Library.
Qualità e formati
Al livello più basso, può trattarsi solo di una sorta di ‘fotocopia digitale’ dell’originale, in cui il testo non è ricercabile
perché all’immagine digitalizzata non è mai stato associato il corrispondente testo elettronico. Oppure si usa un OCR
ma vengono fuori scorretti. In ogni caso vanno prese decisioni che incidono in maniera essenziale sulla qualità del
lavoro. Ci sono molti errori, pensiamo all’errore del libro di Freud che “parla” di internet. È non solo auspicabile ma
necessario che questi errori vengano corretti attraverso un lavoro sistematico di revisione e attraverso il
miglioramento degli algoritmi utilizzati: le biblioteche che partecipano al progetto possono lavorare nella prima
direzione, mentre Google – che del progressivo perfezionamento degli algoritmi utilizzati ha fatto la propria arma
vincente – dovrebbe dedicare un’attenzione assai maggiore alla seconda.
Conclusioni
Google a è comunque un’azienda privata con obiettivi e priorità che non coincidono necessariamente con quelle di
una biblioteca o di una istituzione culturale. E alcuni aspetti del settlment agreement suscitano indubbiamente, anche
nella sua versione modificata, più di una perplessità, anche se va detto che le perplessità manifestate dagli editori
internazionali sono assai diverse, e talvolta di segno opposto, rispetto a quelle manifestate da chi vorrebbe una
maggiore apertura nella gestione delle opere orfane. La digitalizzazione libraria è un’impresa costosa, complessa, per
molti versi controversa, ma preziosa e necessaria: portare in rete il nostro patrimonio librario vuol dire garantirne
vitalità e fruizione anche nell’era del digitale

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