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Perchè l'Europa ha cambiato il mondo

Storia economica m-z (Università Politecnica delle Marche)

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Capitolo primo, Le civiltà agricolo-mercantili avanzate tra Medioevo ed età moderna

Uno sguardo allo sviluppo economico del mondo sul lunghissimo periodo e il ruolo delle istituzioni
La rivoluzione industriale spezzò un periodo di profonda continuità. L’uomo visse per decine di
migliaia di anni una vita nomadica di continuo movimento. In alcune zone dove il clima era
temperato si determinò a partire dalle 9000 a.C. l’evoluzione di una civiltà agricolo-pastorale.
Questa evoluzione permise le prime forme di stanzialità. Poi con il tempo si sviluppò la scrittura e
l’amore per la conoscenza e sorsero famose biblioteche. La bassa capacità di controllo
dell’ambiente e l’elevata conflittualità generata da insediamenti capaci di sostenere potenti
eserciti sia in funzione difensiva che offensiva, tennero la vita media a livello sostanzialmente non
diverso dalle società primitive. Ci vollero millenni per trasformare la civiltà agricolo pastorale nella
civiltà industriale, questo avvenne in Europa tra 16º e 18º secolo d.C. dopo circa 9 millenni di
civiltà agricolo-pastorale. Con questa trasformazione la speranza di vita si era triplicata e
l’urbanizzazione si era diffusa prepotentemente facendo mutare i modi di lavorare e di vivere. La
giovane civiltà industriale è stata sorprendentemente capace di una trasformazione radicale in
breve tempo rispetto alle precedenti ed è per questo che è stata definita rivoluzione.
Va adottato un approccio di lungo periodo per riuscire a spiegare perché tale rivoluzione sia
avvenuta proprio in Europa. gli studiosi sostengono ci siano stati seguenti elementi: il clima, la
localizzazione geografica, le risorse naturali, la visione filosofico-religiosa del mondo e
l’organizzazione della società con la creazione di istituzioni apposite. Inoltre, va sottolineato che
alcune popolazioni locali, come nel Nord America che si sviluppò solo dopo l’immigrazione di
coloni dall’Europa, non erano state in grado di cogliere le opportunità offerte dalle risorse
disponibili nel loro territorio.
Il ruolo decisivo è stato quello della visione filosofico-religiosa del mondo e dalla organizzazione
della società, come sostenuto dallo storico Douglass North che ribadisce l’importanza delle
istituzioni economiche. Paul David ho sviluppato il concetto di path dependance, cioè la
dipendenza dal sentiero, riguardo il fatto che catene di monti finiscono col chiudere alternative
che erano inizialmente possibili e con il delimitare il campo delle scelte alla particolare
configurazione che si viene a formare. Quindi, se questo è vero i paesi che si sviluppano tendono a
restare legati alla particolare configurazione che lo sviluppo ha preso origine.

Un confronto istituzionale fra economie agricola avanzate


L’Europa non è mai esistita come entità statuale unitaria e anche la sua matrice culturale non è
originaria del territorio europeo perché una componente decisiva, quale il cristianesimo, proviene
dalla Palestina. Per ragioni geografiche, storiche e religiose, l’Europa venne a crearsi come un
continente limitato a ovest, sud e nord dai mari mentre il confine est era determinato da fattori
culturali ed è stato quello più permeabile con vari insediamenti islamici e asiatici.
L’aspetto interno europeo era dinamico e caratterizzato da contaminazioni culturali, scontri
militari e scambi economici. Infatti, tutti gli stati europei hanno storicamente avuto una vita
politica, economica e culturale interconnessa anche se il continente non è stato unito
politicamente e questo perché le differenze interni erano molte.
Confronto istituzionale tra Europa, mondo islamico e Cina:
Sono escluse le civiltà agraria del centro America perché isolate, poco alfabetizzate e poco
meccanizzate. Anche l’India viene esclusa perché, pur avendo avuto una complessa civiltà agraria
fin dal terzo millennio prima di Cristo, non è stata in grado di sfruttare la capacità di autodifesa
politico militare delle sue tradizioni culturali subendo prima la conquista musulmana e poi il
dominio inglese perché le mancavano requisiti istituzionali e soprattutto di tipo politico. L’Europa,
il mondo islamico e la Cina avevano avuto uno sviluppo riguardante più settori, ma l’agricoltura

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restava l’attività più diffusa, inoltre erano basate su religioni e filosofie diverse che però
condividevano la la fiducia nella razionalità dell'uomo e la diffusione della cultura delle arti e su
queste basi erano stati in grado di produrre importanti avanzamenti tecnologico-scientifici E di
conduzione degli affari. Va comunque ricordato che l’Europa aveva subito un ritardo,
faticosamente colmato, causato dalla caduta dell’impero Romano. Quindi sia Cina che mondo
arabo erano fino all’11º secolo più avanzate dell’Europa ma ebbero una diversa capacità di
sostenere il passo dello sviluppo. le ragioni della grande divergenza furono in prima linea legate
alla forma di governo che poteva essere libertà o assolutismo e va notato che le legislazioni
emanate dall’alto non sono mai favorevoli all’attività economiche individuali e che la libertà
goduta dagli individui nelle società con governi rappresentativi è incomparabile rispetto a quella
permessa nelle società con governi assoluti. Inoltre, nei governi assoluti si creano istituzioni
estrattive (istituzioni che mettono al servizio dell’arricchimento di pochi il sovrappiù economico
prodotto attraverso l’estrazione di rendite) a danno di quelle inclusive (istituzioni che permettono
a un gran numero di persone di partecipare all’attività economica con pari opportunità). Secondo
Acemoglu e Robinson, le istituzioni estrattive sono limitate nel tempo e, infine, la frammentazione
politica tipica dell’Europa fornì un forte incentivo a governi per aumentare le loro ricchezze.
Un altro elemento da considerare è quello dell’ordine, entità statali grandi come la Cina hanno
notevoli risorse interne all’interesse si concentra sulla conservazione dello status quo con
tendenze isolazioniste e difensive mentre piccole entità cercheranno sempre di ingrandirsi. Da
questa visuale si spiega la situazione di guerra europea tra medioevo il 20º secolo. Le esplorazioni
geografiche furono il risultato della frammentazione politica e della competizione e il continuo
stato di guerra aumentò l’incentivo all’uso di tecnologie militari migliorando le capacità strategiche
di politici condottieri che imposero sistemi finanziari sempre più efficienti. Il mondo islamico è
stato frammentato al suo interno e anche la posizione geografica era sfavorevole infatti, si è
scontrato con gli europei che lo hanno fermato a ovest e nord e con l’India e le popolazioni
asiatiche a est. L’India, in realtà, venne conquistata dall’Islam ma le popolazioni asiatiche
conquistarono e distrussero gli stati islamici anche se si convertirono all’Islam prima con Gengis
Khan e poi con i turchi ottomani, questi ultimi costruirono un impero islamico nel 16º secolo sulle
rovine di precedenti stati. Inoltre la posizione geografica non consentì al mondo islamico di
partecipare alle esplorazioni geografiche.
Terzo fattore di comparazione è quello della giustizia in senso giuridico, questa è collegata al
sistema di governo che se è assoluto consegue una giustizia arbitraria mentre se è rappresentativo
e poi democratico sarà in linea di principio “uguale per tutti”.
Inoltre trattato il ruolo dello Stato, i dati parlano di un’elevata ed efficiente tassazione per scopi
militari e per i beni pubblici in Europa. sempre in Europa, emerse una singolare tutela della libertà
individuale parlamento all’esistenza di istituzioni politiche e in campo culturale. La libertà di
pensiero e di intrapresa sta alla base di un progresso economico e produce la concorrenza che è la
molla più potente per un continuo miglioramento e in merito a ciò, l’Europa seppe sviluppare un
ambiente favorevole all’innovazione e i fondamenti che si sono rivelati strategici nel creare questo
ambiente sono: la definizione di persona umana come unico valore assoluto da cui discendono la
libertà e la giustizia, in merito a ciò anche il concetto di lavoro è stato rivisitato come un’attività
per uomini liberi; La relazione tra le persone è una relazione orizzontale il cristianesimo fu un
potente centro di irradiazione di questa relazioni di fraternità da qui deriva la mentalità espansiva
di mercati europei; L’esaltazione dello spirito come razionalità da cui seguono la nascita della
scienza, la diffusione dell’istruzione e la superiorità dell’uomo sulla natura; la separazione dei
poteri per evitare la concentrazione degli stessi importi mai e permettere il controllo reciproco,
con il tempo si è arrivati alla separazione tra potere legislativo, giudiziario, ed esecutivo (tale
articolazione non esisteva negli stati assoluti).

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La peste nera del trecento produsse dovunque un aumento di salari ma solo in alcuni paesi tale
aumento fu sostenuto nei secoli successivi, nelle altre aree invece fu un episodio di relativamente
breve durata.

Capitolo secondo, Dalle città stato italiane alle esplorazioni geografiche

Il nuovo sistema cittadino europeo


Le città europee che si vennero a formare a partire dall’11º secolo avevano caratteristiche diverse
dalle città islamiche, indiane e cinesi, infatti, in Europa erano anche delle comunità e godevano o
di totale indipendenza o di vaste autonomie e in esse gli uomini d’affari svolgevano un ruolo
politico di autogoverno. Il sistema economico della città si fondava: sulle corporazioni degli
artigiani produttori e le Camere dei mercanti. La produzione manifatturiera godette di importanti
innovazioni spesso già note nel mondo islamico e in Cina ma che gli europei introdussero e/o
reinventarono. I più importanti sviluppi furono la navigazione e l’orologeria. Per quanto riguarda la
navigazione grazie alla bussola, alla redazione di carte nautiche e alla compilazione di tavole
trigonometriche il tragitto diventò molto più preciso e attuabile anche in condizioni atmosferiche
meno favorevoli. Mentre l’orologio meccanico (invenzione originale europea) si diffuse con grande
rapidità in tutta Europa nel 14º secolo e con esso venne definitivamente instaurata in Occidente
una mentalità meccanica che fu alla base delle sue fortune.
Le aree di maggiore sviluppo manifatturiero furono l’Italia centro-settentrionale la quale trasse
vantaggio dalla posizione geografica che la rendeva ponte naturale tra Europa, Nord africa e vicino
oriente e i Paesi Bassi meridionali i quali erano il collegamento tra il mare del Nord e il versante
Atlantico di Francia e Spagna.
Le prime fiere ebbero luogo il Nord Italia già nel 12º secolo per poi diffondersi in Europa e
particolarmente famose erano le fiere della champagne.
Veneziani, pisani e genovesi aprivano imponenti varchi nel Mar Mediterraneo cercando di tenere a
bada altri competitori come i catalani e anche le vie che portavano in India e in Cina si
moltiplicarono. Le grandi libertà di cui godeva di mercanti generò innovazioni significative nel
campo delle istruzioni economiche, nei contratti e nella gestione del denaro, le più importanti
sono:
- la commenda, si diffuse nel 12º secolo soprattutto nelle città marinare italiane come forma
di associazione di capitali che permetteva di finanziare un’impresa ottenendo delle
remunerazioni, poi nel 17º secolo si arrivò alla società per azioni;
- L’assicurazione, nata nella Repubblica marinara di Venezia nel 12º secolo per tutelare gli
armatori che trasportavano le mercanzie via mare;
- La banca, nata nelle città medievali e legate alle attività del mercante ad esempio
attraverso lettere di credito o di cambio ed erano volte ad attivare flussi di credito per
finanziare l’attività mercantile su aree vaste. cari credito aumentare il lavoro dei mercanti e
permetteva migliori condizioni di vita per tutti. Anche la Chiesa cattolica abbandonò la
condanna all’usura per parti di credito prendendoli moralmente accettabili. Il credito al
consumo venne messo in mano ad appositi istituti con capitale donato detti Monti di pietà
che esercitava tassi interesse modici. Infine nacquero i Banchi pubblici che concedevano
prestiti agli Stati sotto forma di titoli di debito pubblico allo scopo di sostenere una guerra
ma anche per contrastare emergenze alimentari o sanitarie;
- La partita doppia, un modo di tenere la contabilità;
- Lo ius mercatorum o diritto commerciale, il quale dettò una regolamentazione nei confronti
dei terzi non appartenenti alle corporazioni e creò una giurisdizione amministrata dai

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giudici-mercanti. Era una sorta di diritto commerciale internazionale creato direttamente


dalla classe mercantile.
In Italia si affermò la professione del notaio che aveva la funzione di garante della legittimità di un
negozio giuridico concluso alla sua presenza, che assumeva valore di atto pubblico. Nel 1300
l’Italia (centro-nord) aveva raggiunto reddito un pro capite doppio rispetto a quello delle migliori
aree europee quali Olanda e Spagna, ma già nel 16º secolo si registra un arretramento delle città
italiane con un’avanzata dell’Olanda la quale primeggerà fino alla rivoluzione industriale
britannica.
Le innovazioni istituzionali nati in Italia vennero perfezionate:
- la borsa divenne luogo di operazioni commerciali e finanziarie, la prima venne inaugurata
ad Anversa nel 1531;
- il servizio postale pene introdotto nel 15º secolo;
- il brevetto che tutelava lo sfruttamento commerciale di una nuova invenzione, venne
introdotto in Gran Bretagna nel 1624;
- i codici di commercio.
Tutte queste innovazioni istituzionali allargarono e migliorarono il funzionamento di mercati
incentivando invenzioni strategiche che determinarono la nascita della rivoluzione industriale in
Europa.

Le esplorazioni geografiche e le grandi compagnie commerciali


Le esplorazioni europee per mare del Quattro e del Cinquecento provocarono una rivoluzione
spaziale con l’avvio di un processo di integrazione economica, politica e culturale nel mondo. In
primo luogo, però, ci fu un’alterazione degli equilibri raggiunti in Europa e l’Italia, ad esempio,
venne tagliata fuori dallo sfruttamento coloniale per due motivi principali: le repubbliche marinare
italiani avevano conquistato un ambiente così confortevole da non essere incentivate a cambiare e
la loro dimensione era troppo piccola per sostenere spedizione della portata di quelle necessarie
per attraversare gli oceani.
Per il Portogallo fu invece l’opportunità unica mentre la Spagna era abituata ad un continuo
regime di guerra con gli arabi e quindi tentarono la fortuna con l’avventura coloniale adottando un
approccio militare di conquista. Il declino dei portoghesi fu legato al loro inglobamento nel regno
spagnolo nel 1578 che limitò la loro autonomia. Mentre il declino spagnolo fu legato al fatto che la
ricchezza ottenuta con le esplorazioni geografiche non venne sfruttata per sviluppare l’economia
Nazionale ma bensì per intraprendere troppe avventure militari in Europa.
Va inoltre trattato il perché non è stata la Cina ad esplorare e colonizzare il mondo dato che aveva
una tradizione marinara avanzata con potenti navi dette giunche e utilizzavano la bussola
magnetica e il timone ti poppa fin dall’11º secolo. Gli studiosi danno come spiegazione il fatto che i
cinesi dirottarono le risorse verso canali interni con la costruzione della grande muraglia e inoltre
la grande dimensione dell’impero cinese favorì una mentalità di autosufficienza e poi mancava un
potere politico delle classi di mercanti.
In Europa c’erano due tradizioni marinare:
- la mediterranea Dove venivano utilizzate navi a vela, dette galee, con rematori in quanto i venti
erano limitati;
-la nordeuropea in cui si svilupparono le cocche che erano delle navi robuste e alte senza rematori
ma che non erano facilmente manovrabili
Poi Portogallo sviluppo le caravelle, le quali vennero utilizzate per le esplorazioni decisive, che
erano una via di mezzo tra la tradizione marinara mediterranea e quella nordeuropea con navi
senza rematori con vele miste e che erano veloci e manovrabili. Poi le navi vennero ulteriormente
perfezionate con il galeone il quale era munito di pezzi di artiglieria.

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Con le esplorazioni geografiche, vennero scoperte nuove rotte per l’importazione di prodotti già
conosciuti e nuovi, le città italiani e impero ottomano videro ridurre i propri traffici commerciali e
soprattutto quest’ultimo iniziò il proprio declino. Poi vanno ricordate le grandi quantità di metalli
preziosi arrivati in Europa che causarono nel lungo periodo un aumento di prezzi tramite
l’inflazione e questo prevalentemente Spagna e Portogallo. Tuttavia recentemente si riconduce
l’aumento di tali prezzi all’aumento della domanda di prodotti alimentari causato da un robusto
incremento demografico e dei traffici.
Un altro argomento è quello della tratta degli schiavi, gli europei causarono una catastrofe
demografica in centro America, in Brasile e negli stati meridionali degli Stati Uniti. Questo
fenomeno attivò un commercio triangolare che partiva dall’Europa facendo tappa nell’Africa
centrale dove venivano scambiati i prodotti europei con gli schiavi africani e poi proseguiva per
l’America dove venivano venduti gli schiavi in cambio di prodotti americani e metalli preziosi che
venivano portati in Europa e qui venduti.
I paesi colonizzatori si dotarono di società commerciali, le più importanti erano quelle olandesi e
inglesi in quanto avevano l’appoggio dei governi attraverso la legislazione ma anche con navi
militari. Inoltre l’Inghilterra, avendo scarse risorse, fece ricorso ai corsari che erano pirati che
agivano per conto del governo inglese il quale rilasciava loro una lettera di corsa cioè il consenso
ufficiale alla loro attività. I corsari aggiravano il monopolio spagnolo e portoghese dedicandosi al
contrabbando di armi e di schiavi venduti illegalmente alle colonie americane.
Poi nacquero le compagnie ufficiali:
-East India Company, fondata a Londra l’inglese 1600, ottenne il monopolio del commercio con i
territori a est del capo di buona speranza, aveva filiali in India ed estese il raggio dei suoi traffici
alla Cina costiera dove fondò Hong Kong e Singapore;
-VOC, era olandese e operò tra il 1602 e il 1799 strappando ai portoghesi il controllodel capo di
buona speranza e dell’oceano indiano con basi commerciali in Indonesia, in Cina, Giappone e in
Nuova Zelanda. Venne sciolta nel 1800 a causa dell’invasione di Napoleone.
Il Portogallo fu il primo paese a costruirsi un impero coloniale basato sulla costruzione di
avamposti commerciali mentre la Spagna utilizzava un approccio di conquista militare delle aree
da colonizzare impiegando manodopera locale nelle miniere per esportare metalli preziosi nella
madrepatria. L’élite politica spagnola che risiedeva nelle colonie non era propensa
all’imprenditorialità e nella madrepatria non vennero utilizzate in maniera positiva le importazioni,
questo spiega l’effimero effetto positivo delle esplorazioni geografiche nell’economia spagnola. Gli
olandesi hanno avuto un approccio simile a quello dei portoghesi incentrato sul commercio, fu un
successo che portò l’Olanda ad essere il paese più ricco d’Europa nel seicento.
In conclusione il commercio internazionale ebbe effetti positivi nei trasporti, nel diversificare
consumi, nell’offrire materie prime strategiche e nel rendere profittevoli molte innovazioni
tecnologiche e istituzionali sostenendo così i redditi dei paesi che maggiormente praticarono la
rivoluzione commerciale.

Capitolo terzo, perché la Gran Bretagna fu la prima nazione europea a industrializzarsi.

Nascita di un’eccezione: la monarchia parlamentare inglese e il mercantilismo


L’Inghilterra aveva un clima mite e ricco di acque e si trovò in una posizione geograficamente
strategica per partecipare alle esplorazioni geografiche, inoltre fu in grado di far evolvere la
propria cultura e il proprio sistema politico e istituzionale per sostenere al meglio le condizioni per
l’innovazione dell’investimento. Un altro elemento molto importante furono le riserve di carbone.
Con la Magna Charta del 1215 la monarchia inglese diventò sempre meno assoluta inverso la fine
del seicento con la rivoluzione gloriosa (1688) il Parlamento assunse il controllo diretto della

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finanza pubblica istituendo un debito pubblico distinto dalle finanze del re e fondò la Banca
d’Inghilterra nel 1694. la monarchia resto comunque il simbolo dell’unità della nazione e governo
rappresentativo si rafforzò fino ad arrivare ad una democrazia. L’Inghilterra fu la prima monarchia
parlamentare d’Europa con un governo disponibile ad appoggiare le richieste degli uomini d’affari,
inoltre il regno aveva grandi risorse militari ma soprattutto aveva politiche economiche
mercantiliste. Le principali manovre furono quelle dei divieti di esportare la lana grezza, di vietare
l’emigrazione di artigiani specializzati e l’esportazione di macchinari. Ci furono poi atti di
navigazione, il primo nel 1651, che stabilirono che il commercio da e per l’Inghilterra doveva
avvenire con navi britanniche. Un altro importante atto è il cosiddetto Calico Act che proibì
l’importazione dei tessuti di cotone stampati in India e che fece affermare l’industria cotoniera
nazionale basata sull’importazione di cotone grezzo dalle colonie.

Altre spiegazioni della localizzazione della rivoluzione industriale in Gran Bretagna


Dal punto di vista del diritto venne emanata la Common Law secondo cui la società veniva
amministrata sulla base delle mutate consuetudini accertate attraverso i casi esaminati. Ci furono
poi le enclosures, recinzioni che privatizzarono le terre e il loro sfruttamento attraverso la
rotazione delle colture. Ci furono anche provvedimenti solidaristici, la Poor Law impose la
tassazione dei ricchi a scopo redistributivo con l’obiettivo di utilizzare al massimo le forze
produttive del paese assicurando un ordine pubblico. Inoltre la certezza di avere una sorta di rete
di salvataggio aumentava la propensione al rischio e abbassava il tasso di violenza sostenendo i
consumi interni e offrendo occasioni di lavoro.
Per quanto riguarda le esplorazioni geografiche vennero create le compagnie commerciali
specializzate in particolari rotte che determinarono il superamento delle potenze coloniali come
Portogallo, Spagna e Olanda, poi, sconfissero la Francia tutto ciò portò ad un’accumulazione di
notevoli capitali.
Vennero sviluppate poi le merchant banks le quali fornivano capitali per i commerci, c’erano poi
anche banche che finanziavano in tutto il paese crescenti affari dette country banks.
Tramite le colonie la Gran Bretagna delocalizzò le produzioni più intensive in terra e si specializzò
in attività che producevano maggiore ricchezza.
Va aggiunto poi lo sviluppo della filosofia inglese in senso empiristico con la nascita dell’economia
politica di Adam Smith e la diffusione della cultura attraverso giornali, accademie e club.
Dopo la peste nera in Inghilterra si diffuse la pratica della famiglia nucleare dove ci si sposa più
tardi, le donne lavoravano ottenendo così un rapporto più paritario, ci sono meno figli che sono
educati meglio ed è aperta a legami esterni. È proprio la famiglia nucleare a sviluppare le virtù
borghesi di attaccamento al lavoro ben fatto e di promozione dei talenti individuali.
storiografia:
Allen → la rivoluzione industriale è avvenuta in Gran Bretagna perché i salari elevati determinati
dalla peste nera la spinsero a innovazioni;
Kelly, Mokyr → la rivoluzione industriale venuta in Gran Bretagna per la produttività del lavoro
inglese dovuta al sistema dell’apprendistato e alla migliore dotazione di cibo

Caratteristiche della rivoluzione industriale


Il processo di preparazione alla rivoluzione industriale è stato lento. In Gran Bretagna avvenne
nella piena industrializzazione nei due secoli tra la metà del seicento la metà dell’ottocento con
nuovi processi di produzione sempre più meccanicizzati.
La più grande innovazione è stata quella dell’utilizzo del carbon fossile il quale liberò l’industria
soprattutto del ferro dalla dipendenza dal carbone di legno E quella della messa a punto della
caldaia a vapore inventata nel 1698 da Thomas Savery (l’amico del minatore) e perfezionata nel

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1782 con Watt e Boulton. Oltre all’utilizzo nelle miniere per l’aspirazione dell’acqua, si passò poi
alla sua applicazione nelle filande di cotone e nell’industria del ferro, infine nei trasporti.
Per quanto riguarda i trasporti la prima applicazione è opera di Stephenson nel 1813.
Con la macchina vapore cambiava la modalità di sfruttamento della terra passando anche allo
sfruttamento delle risorse del sottosuolo, questo ebbe effetti di innalzamento della produttività in
quanto le riserve del sottosuolo erano degli stock di grandi proporzioni e con una fonte di energia
così abbondante vi era un notevole incentivo a potenziare le macchine sempre di più.
La conseguenza nei mercati fu l’opportunità di fare profitti vendendo di più a prezzi più bassi e
anche questo incentivava a cercare energie sempre più potenti e macchine sempre più
automatizzate.
I risultati positivi raggiunti dalla Gran Bretagna furono dovuti alla continuità e all’accelerazione del
processo che la rese il paese più produttivo del mondo.

Capitolo quarto, modelli di imitazione della rivoluzione industriale inglese e il ruolo dello Stato

I motivi dell’imitazione
I fattori che determinarono un processo di imitazione della rivoluzione industriale inglese furono:
- molti paesi condividevano con la Gran Bretagna molti elementi che avevano portato alla
rivoluzione industriale
- il rapido passaggio delle informazioni
- lo spirito di competizione
Il processo di imitazione si mise in moto quando prevalsero le condizioni di pace e quando vennero
temperati i rigori assolutistici della restaurazione.

Una teoria dell’imitazione senza differenze


Molti hanno creduto che qualunque differenza nell’imitazione sarebbe stato un qualcosa che
avrebbe deviato il successo. La più nota teoria dell’imitazione senza differenze è quella di Rostow
prevede cinque stadi:
1- Società tradizionale. È questo il punto di partenza con un sistema economico bloccato su
trend di stagnazione dal basso sfruttamento delle risorse del suolo, dall’aumento della
popolazione e dalla presenza di eventi naturali catastrofici;
2- La transizione. La società inizia cercare il mutamento con la nascita di figure
imprenditoriali;
3- Il decollo (take off). Avviene nel momento in cui si forma un gruppo numeroso di
imprenditori dinamici che investono e che causano una accelerazione del sistema, in
genere il decollo inizia prima in certi settori che svolgono il ruolo di settori-guida generando
un processo di crescita settoriale squilibrata che con il tempo riesce a trascinarsi dietro
tutto il sistema;
4- La maturità. Quando il sistema si è totalmente modernizzato si entra in una fase di
rallentamento della crescita in cui l’investimento ristagna e si possono dedicare le risorse ai
consumi;
5- L’età di consumi di massa. Fino alla maturità c’è un periodo di compressione dei consumi e
terminato questo periodo il potere d’acquisto viene distribuito per il consumo
incentivando le imprese produttrici a investire in processi di standardizzazione per
abbassare i costi e allargare il mercato di beni di consumo.
Tale teoria ha dei limiti in quanto non spiega come si passa da uno stadio all’altro e quali sono
meccanismi di formazione dell’imprenditorialità. Viene inoltre ignorato il ruolo dello Stato e la
dimensione internazionale dell’economia.

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Teorie dell’imitazione con differenze


La teoria più importante è quella di Gerschenkron la quale si basa soltanto su due degli stadi
rostowiani, la transizione e il decollo. Si inizia con il concetto di arretratezza relativa che posiziona i
vari paesi ad una certa distanza dal paese leader che è la Gran Bretagna, più si è lontani e
maggiore è la difficoltà nell’industrializzarsi. Tuttavia ci sono possibilità di recupero in grado di
attivare dei fattori sostitutivi capaci di svolgere il medesimo ruolo dei prerequisiti inglesi
originando quindi la differenziazione dei processi di imitazione. Nel momento in cui un paese
riesce a recuperare e a industrializzarsi il suo decollo può essere più rapido di quello del leader
grazie ai vantaggi dell’arretratezza in quanto un paese imitatore non necessita di invenzioni ma
può introdurre tecnologie già messe a punto producendo un balzo di produttività. Il fenomeno di
agganciamento è stato definito dagli economisti catching up cercando di generalizzare le
condizioni che devono essere presenti in un paese perché possa effettuare con successo la
rincorsa.
La molla della competizione può permettere anche a chi è decaduto di cercare di rialzarsi, questo
viene dimostrato dal caso dell’Italia.
Infine il teorico nota che i settori guida nei paesi ritardatari non furono gli stessi della rivoluzione
industriale inglese configurando vari versioni di capitalismo industriale.
La differenza fondamentale tra imitazioni e innovazione è che la prima richiede una buona
organizzazione della società possibile anche nei governi dittatoriali mentre l’innovazione richiede
attitudine a rischio e capacità creativa finora possibile soltanto in società dove vige la libertà e la
partecipazione del governo nelle attività sociali.

Vi è poi la teoria di Pollard il quale sviluppa due concetti significativi come basi di partenza per
ulteriori ricerche, il primo suggerisce un’importante correzione nell’ unità-base di applicazione
della teoria di Gerschenkron ribadendo che non è la nazione ma è la regione che decolla
economicamente. Il secondo concetto è quello che definisce l’interferenza, cioè Pollard sottolinea
il differenziale della contemporaneità in quanto vi sono eventi di risonanza internazionale che
influiscono sulle decisioni dei singoli paesi. Ad esempio il caso delle ferrovie, in GB furono la
conseguenza dello sviluppo mentre in Belgio, Francia, Germania e Stati Uniti furono la molla dello
sviluppo. Mentre nei paesi più arretrati come l’Italia i governi vedevano come un potente
strumento di modernizzazione del paese le costruzioni delle ferrovie necessitando di notevoli flussi
di importazioni di materiali dall’estero senza indurre la nascita di un’industria metalmeccanica
nazionale. L’Italia aveva voluto le ferrovie prima di essere pronta al loro arrivo, questo è un tipico
fattore di interferenza cioè un differenziale della contemporaneità.
Pollard abbraccia il liberismo classico mentre rifiuta qualsiasi forma di protezionismo come un
episodio di guerra economica.

Il ruolo dello Stato


La storiografia di stampo liberista ha spesso oscurato il ruolo dello Stato nello sviluppo, secondo
Gerschenkron lo Stato ha rappresentato a volte un fattore sostitutivo per il decollo ma la maggior
parte delle volte è stato nominato soltanto quando si è comportato malamente. Soprattutto nel
20º secolo con il generalizzarsi del welfare state, la spesa pubblica ha avuto la tendenza a salire.
Non si può quindi ignorare il ruolo dello Stato che è un elemento fondazionale di un capitalismo
progressivo ed è utile una discussione in merito alla quantità e alla qualità della sua presenza. Vi
sono quindi tre tipologie di Stato:
- Lo stato minimale, in cui vi è un livello minimo di presenza statale che tende a garantire la
difesa, la legislazione che stabilisce le regole del mercato (law and order) e a fornire
qualche bene pubblico ritenuto essenziale. Un bene pubblico che gode di vasto consenso è

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la moneta e la banca centrale che amministra la moneta, un altro bene pubblico è stata la
posta e a fronte di questi due lo Stato effettua una spesa pubblica che finanzia mediante
tassazione;
- Lo stato economia mista, in cui il comparto statale produce molti beni pubblici tra cui
istruzione, edilizia popolare, infrastrutture il ruolo del privato è circoscritto a una sorta di
supplenza in alcune aree di intervento come ad esempio nelle imprese pubbliche ritenute
strategiche. Quindi una parte dell’economia capitalistica è gestita dallo Stato sotto forma di
monopoli o imprese competitive;
- Lo stato massimale, in cui il comparto statale assume tutte le responsabilità produttive
mediando il capitalismo ed eliminandosi sia il mercato che la libertà di intrapresa. un
esempio è quello dell’economia sovietica a pianificazione centralizzata rivelatasi però
fallimentare.
Storicamente è prevalso fra i paesi avanzati occidentali il modello ad economia mista in quanto,
come sottolineato anche dallo studioso americano Nelson, alcuni settori dell’economia sono
meglio amministrati dalle autorità pubbliche come la difesa, l’istruzione e la sanità mentre altri
settori sono meglio amministrati da organizzazioni della società civile non profit come la cultura e
vi sono molte aree in cui privato e pubblico sono chiamati a collaborare come nella finanza. Gli
Stati Uniti hanno un’economia mista più vicina allo stato minimale mentre in Europa è nota per
avere un welfare state più spinto e per avere avuto politiche industriali declinate in modi diversi
prima attraverso il protezionismo e poi attraverso i sussidi.

Capitolo quinto, i principali casi di imitazione in Europa

Il periodo che viene trattato è quello che si ferma alla vigilia della prima guerra mondiale e tratta il
lungo ottocento in quanto la grande guerra spezza la continuità andando ad interferire sugli
sviluppi di tutte le economie che vi parteciparono. Tale guerra, quindi, diventa un evento
periodizzante.

Belgio
Era il paese con una dotazione di risorse più simile all’Inghilterra. La storia belga è caratterizzata da
sconvolgimenti politici, prima sotto gli spagnoli, poi sotto gli Asburgo, poi con l’inglobamento
nell’impero francese e dopo la restaurazione venne accorpato con i Paesi Bassi. Infine divenne un
regno autonomo nel 1830.
Il Belgio essendo appartenuto a diverse nazioni ha continuato a coltivare autonomamente i propri
interessi economici, prima con la lana poi con le miniere e le macchine filatrici. Si sviluppò anche
l’industria cotoniera, gli zuccherifici, le vetrerie, i cantieri navali, l’industria chimica (introdotta nel
1862 da Ernest Solvay e tuttora attiva).
A rafforzare e coordinare l’intensa attività imprenditoriale furono le banche, nel 1822 venne
fondata a Bruxelles la Sociètè gènèrale pour favoriser, una particolare banca di investimento che
non solo deteneva pacchetti azionari di imprese industriali ma le creava in prima persona e ne
seguiva da vicino gli interessi (fu un’antenata delle moderne holding finanziarie) e questo
strumento finanziario non era presente in Gran Bretagna.
Dopo l’indipendenza il nuovo governo finanziò la costruzione di un’estesa rete ferroviaria E nel
1840 il Belgio era il paese più industrializzato del continente e rimase tale fino alla prima guerra
mondiale.

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Francia
Le numerose differenze rispetto al modello inglese hanno prodotto una visione negativa dello
sviluppo francese. Solo con O’Brien e Keyder iniziò una revisione di tale visione reinserendo la
Francia nei casi di industrializzazione di successo.
Prima dell’industrializzazione, la Francia aveva bassi livelli di cultura, distribuzione polarizzata del
reddito, aristocrazia non orientata agli affari e soprattutto la monarchia era assoluta.
La Rivoluzione francese e la salita di Napoeone trascinarono la Francia in un conflitto di 25 anni
che la tagliò fuori dalle innovazioni e ne distorse l’uso di risorse.
Questa situazione chiarisce il perché la Francia non si industrializzo prima, i fattori che più la
rallentarono rispetto all’Inghilterra furono quelli istituzionali.
Nel 1851 il 64% (contro il 22% in Ing) della popolazione attiva lo era in agricoltura e anche questo
fattore rallentò l’industrializzazione francese.
Uno sviluppo industriale ci fu e questo permise alla Francia di non rimanere troppo indietro
rispetto all’Ing. Si mantennero importarti la tradizionale industria dei tessuti di seta, crebbe
l’industria meccanizzata del cotone e si impiantò l’industria siderurgica. Venne introdotta
l’illuminazione a gas e vennero modernizzate le industrie di vetro, ceramica, carta e gomma. Iniziò
poi l’epoca delle ferrovie a cui seguirono quella dell’elettricità e dell’automobile la quale vide la
Francia in prima linea con Panhard, Peugeot e Renault.
Fu particolarmente prospero il periodo della belle époque cioè il periodo immediatamente
precedente la prima guerra mondiale.
L’industria francese era dunque molto più diversificata di quella inglese ma con dimensioni più
ridotte e ad alto valore aggiunto, per consumatori di elevato potere d’acquisto, inoltre, era
largamente finanziata dagli stessi proprietari mediante il reinvestimento dei profitti.
Napoleone, durante il secondo impero, incentivò la creazione di nuovi istituti: la Crèdit mobilier
(Sociètè gènèrale du crèdit mobilier) venne fondata nel 1852 sostenendo finanziariamente le
imprese industriali ma il difficile contesto economico la fece fallire nel 1867. L’importanza della
banca a scopi di finanziamento dell’impresa non fu mai grande in Francia. Lo Stato, inoltre,
interveniva poco limitandosi ad appoggiare le costruzioni di infrastrutture, a mantenere un certo
protezionismo e a sostenere una serie di importanti scuole superiori tecnico-professionali.
Il colonialismo francese fu assai meno significativo dal punto di vista economico rispetto a quello
inglese.

Germania
La Germania conservò a lungo le proprie tradizioni localistiche restando nel Settecento
frammentata in una pluralità di staterelli (più di 400), la più importante era la Prussia degli
Hohenzollern. Dopo il periodo napoleonico e il Congersso di Vienna gli stati diminuirono a 39 ma la
regione non decollava. Nel 1818 la Prussia si aprì agli scambi internazionali e venne istaurata
un’unione doganale (Zollverein) nel 1833 che aggregava gli altri stati abolendo i dazi interni e
adottando i moderati dazi esterni della Prussia. Nel 1871 ci fu l’unificazione della Germania la
quale ne consentì il decollo collocato tra l’epoca delle ferrovie e la seconda rivoluzione industriale,
tali periodi erano basati sull’industria pesante la quale richiedeva imprese di elevate dimensioni e
flussi di finanziamento. La Germania diventò il più grande produttore di acciaio e leader in Europa
nell’elettricità e nella chimica, dotandosi di banche costituite da società per azioni (Kreditbanken)
le più note sono la Disconto Gesellschaft di Berlino (1851) e la Deutsche Bank (1870). Queste,
erano sia banche commerciali che banche d’investimento, incanalando verso il credito a lungo
termine sia i propri capitali che parte dei depositi dei loro clienti. Per questo motivo erano dette
banche miste o universali, inoltre, offrivano numerosi servizi come collocamento di azioni,
operazioni di ristrutturazione del capitale, interventi di salvataggio ecc.

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Tali banche spesso possedevano anche pacchetti azionari di imprese con lo scopo di mettere i loro
uomini all’interno dei consigli di amministrazione. Poiché i rappresentanti di ogni banca sedevano
in più consigli, questi avevano informazioni di prima mano sui complessi industriali e ciò favoriva le
forme di protezione del mercato interno attraversi cartelli e un moderato protezionismo esterno
attraverso il dumping (tenere prezzi interni alti rispetto a quelli internazionali per favorire le
esportazioni e recuperare sul mercato interno i margini di guadagno).
Tutto questo sistema necessitava di una banca centrale interventista e così fu la Reichsbank.
Questo sistema istituzionale venne poi definito come cooperativo o organizzativo.
Gerschenkron definì la banca mista tedesca come un fattore sostitutivo rispetto alle merchant
banks inglesi.
Acciaio, elettricità (Siemens e Aeg) e chimica (famose imprese erano Bayer, Basf, Hoechst, la
Germania deteneva la metà delle esportazioni chimiche nel mondo all’alba della grande guerra)
furono i settori di spicco dell’industria tedesca. Tutte queste industrie andavano a costituire
l’industria pesante che è facilmente convertibile in industria di guerra e ciò favorì la politica
nazionalistica degli Hohenzollern. Inoltre, la base tecnologica richiesta da queste aziende era più
avanzata di quella delle imprese tessili durante la rivoluzione industriale inglese.
La Germania si dotò, poi, di un efficiente sistema di scuole e politecnici.
C’era una divisione territoriale delle attività: nella parte occidentale c’erano le imprese mentre in
quella orientale era ancora finalizzata all’agricoltura soprattutto di tipo estensivo. Questo è il
motivo per cui il reddito pro capite rimase medio ed è una conferma della validità dell’approccio
regionale di Pollard.
La Germania fu il primo paese europeo a promuovere un sistema di previdenza sociale gestita
dallo stato e generalizzata a tutti i lavoratori già con Bismark nel decennio 1880. Fu inoltre il primo
paese a realizzare una copertura assicurativa così generalizzata e basata sul rapporto di lavoro e
non sui diritti di cittadinanza.

Impero asburgico
Tale impero si era costruito nel tempo aggregando all’Austria vari territori, nell’Ottocento erano
presenti 11 diverse nazionalità. Il territorio non era favorevole all’agricoltura, l’unico sbocco al
mare era nell’Adriatico e le risorse di carbone erano scarse e mal localizzate.
L’entità politica era importante e potente ma non riuscì a tenere il passo, l’impero ritardò molto
l’abolizione della servitù della gleba (1848) e l’abolizione dei dazi interni (1850). Altro elemento
negativo fu la politica protezionistica che tagliò fuori l’impero dal commercio internazionale. La
politica di accentramento amministrativo, poi, venne temperata solo dall’autonomia concessa
dall’Ungheria nel 1867 da cui l’impero venne nominato austro-ungarico.
Venne privilegiata l’industria leggera (alimentare, tessile, del vetro e della carta) mentre l’industria
pesante ebbe insufficienti risultati imitando malamente il sistema tedesco con banche miste quali
la Creditanstalt (1855) e la Wiener Bankvenerein. Anche la formazione di cartelli seguì l’esempio
tedesco. Ma il principale problema dell’impero era quello di avere dotazioni di prerequisiti per lo
sviluppo troppo diverse tra loro e vi era un ampio divario regionale.
Nella seconda metà dell’Ottocento tutte le aree crebbero ma il risultato complessivo all’alba della
grande guerra restò comunque insoddisfacente.
(Gerschenkron fa notare un episodio avvenuto agli inizi del Novecento in cui non si riuscì a
decidere la costruzione di un canale tra il Danubio e l’Oder che avrebbe migliorato i trasporti, in
merito a ciò si dimise il primo ministro che ne era l’ideatore a causa del continuo sabotaggio da
parte del ministero delle finanze.)

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Russia
Alla vigilia della prima guerra mondiale la Russia era la nazione più arretrata con il 75% della orza
lavoro impiegata in agricoltura, il 72% di analfabeti e solo il 15% della popolazione insediata nelle
aree urbane. Va quindi capito il motivo di tale arretratezza e anche come si sviluppò l’industri
pesante e l’estesissimo sistema ferroviario.
La posizione geografica della Russia le aveva fatto subire notevoli influenze dell’assolutismo
orientale e solo con Pietro il Grande (1696-1725) ci furono i primi tentativi di importazione della
tecnologia occidentale.
Con la sconfitta della guerra di Crimea nel 1855 ci si rese conto dell’elevata arretratezza e lo zar
Alessandro II abolì la servitù della gleba nel 1861 ma questo non liberò né la coltivazione della
terra né la mobilità dei contadini perché le decisioni sulla distribuzione delle terre da coltivare e il
controllo dei lavori vennero affidatati al mir (comunità del villaggio) a cui chi voleva emigrare
doveva continuare a pagare le imposte e le rate del riscatto. Soltanto nel 1907 con Stolypin
vennero aboliti i pagamenti residui del riscatto permettendo la privatizzazione delle terre.
A partire dal decennio 1880 l’industrializzazione russa decollò, nel decennio 1890 si localizzò
nell’area di Mosca e San Pietroburgo ma anche negli Urali e nelle regioni polacche. Decollò
l’industria pesante legata alle ferrovie e aumentò l’industria degli armamenti.
Nel 1905 la Russia subì la sconfitta con il Giappone e la rivoluzione del 1905-06 causò scioperi e
vennero legalizzati i sindacati. Ci fu poi la riforma agraria ma un vero parlamento (duma) non
venne concesso.
All’alba della grande guerra si verificò una ripresa ma non venne raggiunto un equilibrio sentiero di
crescita.
Gerschenkron sottolinea il ruolo dello stato russo come un fattore sostitutivo dato che canalizzava
i capitali verso l’industria.
Il capitale straniero fu strategico, alla vigilia della guerra esso finanziava la metà del debito
pubblico russo e 40% di tutte le società per azioni. Per svolgere questo ruolo, lo stato russo tassò
redditi già bassi contribuendo alla ristrettezza della domanda privata. Gerschenkron ritiene che, se
non avesse partecipato alla guerra, forse la Russia si sarebbe evoluta verso equilibri politici più
favorevoli ad una crescita autosostenuta mentre, invece, la guerra si rivelò fatale per i destini del
capitalismo russo.

Italia
Durante il periodo precedente la rivoluzione industriale, l’Italia ospitava attività manifatturiere
avanzate per l’epoca. Era però caratterizzata da una frammentazione politica, da una conflittualità
endemica, da un’esagerata insistenza sulle manifatture di lusso le quali insieme allo spostamento
dell’asse dei traffici dal Mediterraneo all’Atlantico produssero il declino dell’Italia.
Con il Congresso di Vienna, il territorio italiano venne riorganizzato in 7 stati e fra questi solo il
Regno di Sardegna si rivelò dinamico istituzionalmente diventando una monarchia costituzionale
nel 1848 ed economicamente con la costruzione di ferrovie, manifatture e banche.
Cavour seppe tessere valide alleanze internazionali che lo condusse a sostenere l’irredentismo
degli italiani e poi con Garibaldi si concepì l’idea di unificazione politica del paese seppur con la
presenza di differenze di tradizionali culturali, di infrastrutture economiche, diffusione
dell’istruzione e produttività dell’agricoltura.
I nuovi governi dell’Italia unificata la modernizzarono istituzionalmente con una legislazione
commerciale liberista, un fisco allineato ai più avanzati sistemi europei, la legge Casati per
l’istruzione e legando la moneta italiana al gold standard. Non si riuscì a instituire, però, una banca
centrale.

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Il paese stentava a decollare, aveva scarse risorse di carbone e ferro, il debito pubblico era elevato
e le banche costituite da società per azioni erano poche (fra queste le più importanti erano alla
francese, il Credito mobiliare (1863) e la Banca generale (1870)).
L’economia si ravvivò nel decennio 1880 ma una vasta speculazione edilizia fece precipitare il
sistema bancario in una pesante crisi che fece fallire il Credito mobiliare e la Banca generale.
Avvenne poi una ristrutturazione del sistema bancario con la fondazione di banche miste alla
tedesca con la fondazione della Banca commerciale italiana (nota come Comit) nel 1894 e con la
conversione in banca mista del Banco di Roma.
Nella seconda metà del decennio 1890 iniziò il decollo industriale italiano che proseguì fino alla
prima guerra mondiale, decollarono tutti i settori a parte la chimica e con particolare successo del
settore elettrico che aveva attutito la mancanza di carbone.
Al termine di questo prospero periodo, però, l’Italia appariva ancora arretrata. Gerschenkron
ritenne che le politiche economiche dei governi italiani (con un protezionismo mal concepito e la
fretta nella costruzione delle ferrovie) avessero impedito di sfruttare i vantaggi dell’arretratezza.
Inoltre, l’Italia soffriva di profondi squilibri regionali con tre regioni in cui era concentrato il decollo
industriale (Piemonte-Liguria-Lombardia, noto come triangolo industriale) e l’intero sud che era
poco progredito.

Spagna
Lo sviluppo spagnolo ebbe un positivo picco nel Cinquecento per poi declinare successivamente
fino alla perdita delle colonie nel 1824. L’agricoltura era arretrata, anche per le condizioni
climatiche e del sottosuolo, mentre l’istruzione era carente.
Nella seconda metà dell’Ottocento le cose migliorarono, in Catalogna si sviluppò l’industria del
cotone e quella meccanica, dei mezzi dei trasporti, elettrica e dei servizi pubblici, mentre nei Paesi
Baschi si impiantò l’industria siderurgica e in seguito anche l’industria meccanica.
All’alba della prima guerra mondiale il reddito pro capite della Spagna era simile a quello dell’Italia.
Comunque nel lungo Ottocento nessuna, tra Italia e Spagna, riuscì a realizzare un miglioramento
rispetto alla Gran Bretagna. Alcuni sostengono che ciò fosse dovuto al protezionismo troppo
elevato, altri al non avere appartenuto al gold standard.
In seguito, la crescita spagnola continuò negli anni Venti accusando una battuta d’arresto molto
pesante con la guerra civile del 1936.

Capitolo sesto, il declino inglese e l’emergere di competitori fuori dall’Europa: Stati Uniti e
Giappone

Verranno analizzati due casi di industrializzazione extraeuropea, quello degli Stati Uniti che è
direttamente connesso alla storia europea fin dalle origini e quello del Giappone per mostrare
quanto grande è stata l'influenza dell'Europa anche in un luogo così distante geograficamente e
culturalmente. Verrà inoltre trattato il declino della leadership della Gran Bretagna a partire dalla
seconda metà dell’ottocento.

Il declino della Gran Bretagna


Tale declino è dato dal fatto che il primo che si verifica in età industriale, le motivazioni sono
prevalentemente economico-sociali-culturali e non politico-militari in quanto la Gran Bretagna ha
mantenuto la sua integrità territoriale vincendo sempre le guerre e non ha avuto rivoluzioni
politiche.
Questo paese è stato il primo in cui l’agricoltura si è ridotta a favore dell’industria già nella
seconda metà dell’ottocento ed è stato anche il primo in cui l’industria si è fortemente ridotta a

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favore dei servizi. I tassi di crescita del reddito relativamente scarsi hanno permesso un Catching
Up da parte degli Stati Uniti a fine ottocento e dopo la seconda guerra mondiale da parte di quasi
tutti paesi europei più avanzati compresa l’Italia e dal Giappone.
Il declino inglese viene trattato secondo tre gruppi di considerazioni:
- L’inizio precoce (early start), in quanto l’arretratezza può rivelare di vantaggi e aver
incominciato presto produce degli svantaggi. I modelli adottati di macchine raggiunsero
presto un elevato grado di obsolescenza economica e la Gran Bretagna perse di
competitività attività, ad esempio quando prevalsero treni più grandi e larghi, l’intero
impianto inglese divenne obsoleto e si faticò a modernizzarlo;
- Rigidità istituzionali, nella Gran Bretagna c’è stata un’evoluzione interna che la rese capace
di realizzare la rivoluzione industriale, tale aspetto trattato secondo le principali
applicazioni:
∙ la finanza, nella borsa nelle banche riuscirono ad essere mai efficienti lasciando le
industrie prive di un efficace sostegno finanziario. Le merchant banks erano troppo legate
al finanziamento di attività internazionali mentre banche d’affari alla francese o la banca
mista tedesca non vennero mai prese in considerazione
∙ l’istruzione, non venne introdotto un sistema pubblico di istruzione e non ci si interessò
all’istruzione tecnica di conseguenza i tecnici erano degli autodidatti e non avevano uno
status sociale elevato. La mentalità degli imprenditori era spesso più legata agli affari in
generale che ha lato tecnico dell’attività produttiva
∙ la grande impresa, in Gran Bretagna ci fu una lenta evoluzione verso forme di
organizzazione manageriale e Chandler battezzò il capitalismo inglese come “personale”
intendendo che la rivoluzione manageriale degli Stati Uniti non fu generalizzata. Lazonik ha
notato il fatto che la fabbrica inglese era lasciata in mano ai caporeparto con un rapporto
maestro-apprendista con i lavoratori invece che essere organizzata secondo principi
tayloristici e con una gerarchia funzionale
∙ lo Stato, questo preferì impegnare larghe risorse nel colonialismo e nella leadership
internazionale
- Il peso della leadership, in quanto questa impone dei costi:
∙ le colonie, con costi militari e amministrativi il recessivo impegno i mercati poco sofisticati
∙ il sostegno del gold standard, la Bank of England ebbe come obiettivo principale quello di
mantenere la stabilità internazionale mettendo in secondo piano il sostegno della
congiuntura interna
∙ il predominio della City, gli interessi della City, la più grande piazza finanziaria dell’epoca,
erano ritenuti più importanti di quelli dell’industria inglese e le abilità nelle attività
internazionali fece attirare gli investitori e le merchant Banks verso investimenti esteri più
che verso investimenti nazionali
∙ il ruolo di “poliziotto del mondo”, fece sì che il coinvolgimento della Gran Bretagna in
molte guerre la portò a eccessivi investimenti militari e a notevoli perdite di capitale
umano
Il declino ebbe una battuta d’arresto negli anni 30 e 40 ma precipitò negli anni successivi alla
seconda guerra mondiale.

La prepotente ascesa degli Stati Uniti


Il modello americano di industrializzazione discende direttamente da quello europeo ma presenta
notevoli differenze nel contesto e nelle modalità di realizzazione.
Gli Stati Uniti si distaccarono dalla Gran Bretagna con la Dichiarazione dei diritti del 1776 e poi con
la vittoria delle guerre di indipendenza si stabilì un governo federale nel 1789. L’ unico episodio di

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contrasto aperto fu la guerra di secessione 1861-1865 che oppose gli stati del Nord a quelli del sud
e che vide la vittoria dei primi sui secondi con l’abolizione della schiavitù.
Lo sviluppo industriale degli Stati Uniti non mi iniziò in modo particolarmente rapido.
Furono le ferrovie dopo la metà del secolo e la fine della guerra civile a segnare il vero proprio
decollo unificandone il già ampio mercato e la crescita continuò per l’affermazione della grande
impresa (corporation) nei settori ad alta intensità.
1)Gli Stati Uniti erano un’area immensa e ricca di risorse scarsamente popolata da popolazioni
indigene a stati di sviluppo semiprimitivi. La scarsità è una tipica dimensione europea mentre negli
Stati Uniti i conflitti distributivi furono secondari e marginali perché le risorse erano elevate e
quindi prevalse un atteggiamento costruttivo su come organizzare al meglio lo sfruttamento delle
risorse. 2)Inoltre gli Stati Uniti sono composti da una popolazione di emigranti e l’emigrante è per
definizione mobile e considera normale andare a cercare lavoro dove c’è, la nazione americana è
fatta di gente che cerca di migliorare la sua condizione (self made man). Inoltre gli emigranti
provenivano da diversi paesi che avevano la necessità di cercare e trovare un terreno di
convivenza reciproca sviluppando i “valori americani” in un melting pot che annullò il rischio di
formazione di etnie diverse e la stessa proclamazione dello stato federale va vista in questa luce.
Tale decisione si rivelò poi una scelta strategica per la realizzazione di un mercato unico con una
moneta unica e un’unica politica estera. 3) Il territorio era vuoto anche di leggi e nuove leggi
venivano introdotte per consenso in un ambiente pubblico che da subito si organizzò
democraticamente, persino l’urbanistica era più adatta alla nuova era industriale.
La gran parte degli emigranti arrivava senza molta istruzione alle spalle e quindi il miglior modo di
sfruttare recentemente le risorse per aumentare la produzione fu quello di creare imprese che
controllassero da cima a fondo il processo produttivo. La grande impresa nacque nelle ferrovie con
la nascita di una struttura manageriale che combinava la line con responsabilità operative lo staff
con responsabilità di pianificazione e inoltre attivava un sistema informativo capillare basato sui
reports che permettevano una dettagliata analisi dei costi.
Poi fu la volta dei telegrafi e dei telefoni, dell’acciaio, l’ascesa del petrolio, a cui seguirono
l’elettricità e quindi iniziò l’avventura dell’automobile con Henry Ford che nel 1913 introdusse una
catena di montaggio completa che gli consentiva di abbassare i tempi di produzione del suo
famoso modello T e in questo modo gli permise di pagare i salari più alti del mondo e di diventare
uno degli uomini più ricchi del mondo. Negli anni 20 con la petrolchimica gli Stati Uniti faranno un
balzo in avanti anche in questo settore.
Si configura dunque un paese in cui il centro sistemico era rappresentato dalle grandi imprese e la
centralità della grande impresa è stata preferita negli Stati Uniti a quella dello Stato perché
l’impresa è un’espressione più diretta del popolo. L’impresa si è dunque managerializzata per
garantire stabilità e continuità e venne emanata una legislazione antitrust in cui si evitava la
cartellizzazione e la costruzione di grandi monopoli (Sherman Act 1890).
Le banche vennero mantenute piccole da una legislazione restrittiva e durante la guerra civile
venne emanato un banking act che prevedeva che le banche nazionali avessero un’unica sede
senza filiali mentre le banche interne a ogni singolo Stato potevano avere qualche filiale, inoltre, le
banche non potevano impegnare più del 10% dei loro crediti con un singolo cliente. Fu così che le
banche americane si moltiplicarono restando deboli e marginali anche perché non ci fu una banca
centrale fino al 1913. Mentre invece la borsa venne rafforzata al diretto servizio delle imprese e i
poteri statali vennero mantenuti nei confini più ristretti possibili in quanto la richiesta che veniva
fatta allo Stato era il protezionismo per poter sfruttare senza preoccupazioni il proprio mercato
nazionale. A livello internazionale gli europei non risentivano dell’influenza degli Stati Uniti E
nemmeno della sua competizione essendo un paese assai più interessato al suo mercato interno.
Nemmeno la prima guerra mondiale riuscì a cambiare questo quadro conferendo agli Stati Uniti la

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consapevolezza delle responsabilità legate alla loro potenza mentre spezzò il ciclo virtuoso di
crescita della Germania. Solo con la seconda guerra mondiale si segnerà la definitiva discontinuità
nell’atteggiamento isolazionista degli Stati Uniti.

Perché il Giappone fu l’unico paese di cultura non europea a decollare nell’ottocento


Il Giappone era un paese dalla civiltà sofisticata e complessa, basata sulla cultura confuciana della
lealtà, della rettitudine, del decoro e dell’armonia e su di un nazionalismo spinto che implicava
un’etica della vita disciplinata e produttiva che costituì il background culturale sul quale le
trasformazioni successive si poterono innestare.
a differenza della Cina, il Giappone aveva un imperatore costituzionale già a partire dal settimo
secolo in quanto non esercitava direttamente il potere che venne invece messo in mano al capo
dell’aristocrazia militare (shogun). La struttura del potere era un sistema multicentrico simile al
sistema feudale europeo, il Giappone preindustriale aveva grandi città e mercati funzionanti e un
sistema creditizio sviluppato. La diffusione dell’istruzione era ristretta alle classi più elevate (i
samurai) ed era eccellente.
Inoltre il Giappone si era chiuso all’influenza occidentale limitando il commercio ad una nave
olandese all’anno che attraccava nel porto di Nagasaki seguendo la politica del sakoku ossia del
paese chiuso. Tra il 1853 e il 1854 il Giappone venne invaso dagli americani con la minaccia di
bombardare la capitale se la politica estera del paese non fosse cambiata costringendo
l’imperatore a cedere imponendo i “trattati ineguali” Sulla base dei quali il Giappone si doveva
aprire con dazi non superiore al 5%. Questo evento fece scaturire delle rivolte xenofobe. Salì poi al
trono dell’imperatore Mutsuhito che emanò una serie di riforme istituzionali, il movimento è noto
come restaurazione Meiji cioè governo illuminato. Vennero abolite le caste e i samurai non
ricevettero più uno stipendio spinti così a intraprendere carriere negli affari, la burocrazia statale
venne modernizzata e il sistema educativo reso più efficiente e generale. Le riforme furono
modellate su ispirazione occidentale; l’esercito venne organizzato come quello prussiano e la flotta
come quella inglese; mentre industria e finanza seguirono prima il modello americano e poi quello
tedesco. Nel 1882 venne creata la banca centrale e nel 1889 fu promulgata la costituzione.
Il paese era piccolo, montuoso e scarso di risorse del sottosuolo. Il Giappone basò le esportazioni
iniziali sulla seta grezza soppiantando agli inizi del 900 Italia sui mercati internazionali poi si
incentro sul te, altra esportazione importante.
Alla disperata ricerca di risorse in Giappone diventò presto una potenza coloniale con una prima
guerra contro la Cina con la quale guadagnò Taiwan e poi con alla guerra vinta con la Russia nel
1905 a seguito della quale acquisì la Corea.
Decollo poi l’industria tessile, quella pesante e alla fine dell’ottocento vennero abrogati i trattati
ineguali. Furono costruite ferrovie e si diffuse l’elettricità. Il peggioramento relativo nel corso dei
primi tre quarti dell’ottocento era stato notevole data la chiusura del Giappone, e i risultati del
primo mezzo secolo di apertura furono buoni ma non tali da permettere un processo di catching
Up. nacquero imprese che agivano sinergicamente denominate zaibatsu che avevano legami
prevalentemente di tipo familiare. Al centro avevano una banca che agiva come polmone
finanziario. I più famosi zaibatsu sono noti ancora oggi Mitsubishi, Sumitomo e Mitsui.
Furono le occasioni della prima guerra mondiale e la crisi del 29 a permettere al Giappone di
realizzare il Catching up con l’Occidente europeo e con gli Stati Uniti.

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Capitolo settimo, Tecnologia, socio-economici e forme d’impresa

Le tre rivoluzioni industriale


Schumpeter notò che le invenzioni tendono a raggrupparsi attorno ad alcune tecnologie di base da
cui si sviluppano tutte le implicazioni generando un ciclo di sviluppo che arriva a saturazione
quando tutti quelli che hanno sufficiente potere d’acquisto si sono muniti di tali tecnologie. Il
sistema economico internazionale è quindi segnato da cicli di lungo periodo caratterizzati da
regimi tecnologici diversi per cui si parla di più rivoluzioni industriali:
∙la prima rivoluzione industriale ebbe inizio nel 700 e durò fino oltre la metà dell’800, fu
caratterizzata dalla caldaia a vapore, dall’acciaio e dalla ferrovia. questa rivoluzione non è ci sito di
livelli alti di istruzione e si basò sulla scienza semplice, la lavorazione si realizzava in fabbriche dove
era possibile la divisione del lavoro e l’uso di macchinari specializzati con caldaie vapore sempre
più potenti. Per salvare la famiglia la donna venne confinata in casa e quindi ci fu l’espulsione delle
donne dal mondo del lavoro, nacque il mito ottocentesco della donna angelo della casa e
dell’uomo breadwinner fuori casa, questo fenomeno generò nel 900 un processo inverso di
emancipazione femminile. Le imprese erano di piccole dimensioni, molto disperse e scarsamente
integrate ed erano amministrate generalmente dal proprietario e non necessitavano di capitali
ingenti, a eccezione delle ferrovie.
∙ la seconda rivoluzione industriale ha inizio nella seconda metà dell’ottocento quando i costi di
trasporto diminuirono rapidamente con l’espandersi della ferrovia e della navigazione a vapore e
le informazioni incominciarono a viaggiare rapidamente prima con il telegrafo e poi con il telefono.
Venne sviluppata una tecnologia basata su grandi impianti che risparmiavano sui costi fissi
attraverso economie di scala. Le tecnologie di base furono l’elettricità, il motore a scoppio
impiegato particolarmente per l’automobile dell’aeroplano, e la chimica organica, senza
dimenticare la radio. Tali tecnologie richiedono livelli di cultura e istruzione molto più elevati
rispetto a quelli richiesti nella prima rivoluzione industriale sia per crearle che per adoperarle. La
conseguenza più importante fu la necessità di grandi capitali e questo generò la necessità di
trovare canali di finanziamento massicci della finanza privata (le grandi banche miste e la borsa) e
spinse ad aumentare sempre più la dimensione delle imprese e a sfruttare sempre meglio le
economie di scala. Negli Stati Uniti, ma anche in Germania, si affermò la grande impresa che diede
l’incentivo all’accentramento della popolazione in grandi agglomerati urbani e favorirono la
formazione di potenti sindacati di settore che rimasero però tipici solo dell’ambiente inglese e di
quello francese.
∙ la terza rivoluzione industriale è iniziata più o meno attorno alla metà del novecento ed è tuttora
in corso. È basata su energie alternative, il primo luogo il nucleare, il fotovoltaico, le biomasse, i
materiali artificiali, sulla biochimica e l’elettronica. I livelli di istruzione richiesti sono elevatissimi,
ben oltre il livello universitario, e anche le invenzioni sono il risultato di un lavoro di gruppo
laboratori molto specializzati. La tendenza all’accentramento della popolazione è cessata ed ora la
produzione può essere frammentata in impianti decentrati. Le catene di montaggio sono più
automatizzate con robot ed è stato introdotto, inoltre, il telelavoro rendendo di nuovo possibile il
lavoro a domicilio. La novità di questa rivoluzione è l’aumento dell’occupazione dei servizi. Il
sindacalismo è in crisi così come il rapporto di lavoro dipendente perché ritorna in auge
l’occupazione autonoma che era prevalente in epoca preindustriale, anche le opere infrastrutturali
sono in crisi e vengono soppiantate dall’uso di impianti sempre più miniaturizzati. Infine, la
rivoluzione del computer e delle telecomunicazioni ha fatto fare un salto all’economia
internazionale e i confini delle nazioni non hanno più rilevanza con implicazioni di delocalizzazione
delle produzioni a seconda delle convenienze. Ciò ha portato una serie di paesi in via di sviluppo

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prima del tutto isolati a essere coinvolti nell’economia globale e i lavoratori non abbastanza
specializzati di paesi avanzati a trovarsi senza lavoro.
I diversi regimi tecnologici hanno ricadute sociali di grande portata sul modo di vivere, di lavorare,
di organizzarsi specialmente delle persone e vi sono ripercussioni persino sulla speranza di vita e
sulle caratteristiche della famiglia.

Forme d’impresa: cooperative e corporations


Nella prima rivoluzione industriale l’attività produttiva si svolgeva nella fabbrica che non era in
generale di grandi dimensioni e veniva gestita da un proprietario del capitale con orari di lavoro
molto lunghi e in un ambiente malsano con salari che si fermavano a livelli di sussistenza. questo
provocò reazioni di protesta e si arrivò alla fondazione di imprese che assunsero una forma non
legata la proprietà del capitale ma un’associazione di persone che praticavano l’uguaglianza, si
tratta dell’impresa cooperativa in cui è il socio che conta e non il capitale. I modelli più noti di
impresa cooperativa sono:
- Cooperativa di consumo, di origine inglese in cui soci sono i consumatori;
- Cooperativa di credito, di origine tedesca in cui soci sono risparmiatori e investitori;
- Cooperativa di lavoro, di origine francese in cui soci sono i lavoratori stessi;
- Cooperativa agricola, di origine nordeuropea in cui soci sono gli agricoltori;
- Cooperativa sociale o di comunità, di origine italiana con una base sociale mista che
comprende i lavoratori e i destinatari dei servizi.
Con la seconda rivoluzione industriale sono nate le corporations (Grandi imprese), gli Stati Uniti ne
comprese per primo le potenzialità E ne elaborò le caratteristiche organizzative tra gli anni 60
dell’ottocento e la prima guerra mondiale. Chandler, storico della grande impresa, rileva che
questa è stata creata non solo per sfruttare le economie di scala ma anche quelle di
diversificazione e le economie di rapidità. Questo processo viene studiato dagli ingegneri
americani di cui più famoso e Taylor da cui il taylorismo che arriva alla costruzione della catena di
montaggio in cui i lavoratori stavano fermi a effettuare la loro lavorazione specializzata mentre i
pezzi giacevano sulla catena. Tale sistema richiedeva un investimento di notevoli proporzioni
impianti programmati e quindi spingeva alla standardizzazione, ma in compenso abbassava
incredibilmente costi unitari di produzione come successe con l’automobile modello T di Ford.
La grande impresa aumentò la produttività e abbassò talmente tanto i costi unitari da spiazzare
rapidamente le piccole imprese con una tendenza a diventare sempre più grande attraverso
l’integrazione orizzontale, cioè fondendosi con altre imprese simili, e con quella verticale ossia
acquisendo imprese a monte e a valle del suo processo produttivo. In questo modo il controllo
diretto da parte del proprietario non fu più possibile ed emerse l’organizzazione scientifica del
controllo dell’impresa attraverso la figura del manager.
C’è l’amministratore delegato che ha sotto di sé uno staff dirigenziale funzionalmente suddiviso e
quindi poi tutta la catena (la line) di manager operativi che sovrintendono i vari settori operativi
(chiamati divisioni). Tutti devono produrre delle memorie scritte monitorizzando continuamente il
processo per individuare con precisione i costi operativi. Per le carriere manageriali si sviluppa la
business school.
Esistono delle importanti differenze fra le strutture proprietarie delle grandi imprese di paesi
diversi, dipendenti sia dalle diverse forme di finanziamento sia da una diversa cultura manageriale.
La managerializzazione delle imprese le rende più stabili e continuative nel tempo non dovendo
esse affrontare crisi di passaggi generazionali e per questo l’impresa che nasce per prima conserva
un vantaggio competitivo.
Il sistema economico basato su queste grandi imprese (stand alone) che non si coordinano con le
altre è un misto di mercato e programmazione da parte delle imprese stesse che vogliono

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continuare a ingrandirsi puntando alla multinazionalizzazione, la coerenza tecnologica viene


abbandonata attraverso la formazione di conglomerate e la tendenza al monopolio si forma ben
presto. Gli Stati Uniti emanarono ben presto leggi antitrust (Sherman Act 1890) mentre l’Europa
permise i cartelli e spesso mise suoi monopoli naturali sotto il controllo pubblico.
Il più gran numero di grandi imprese è rinvenibile nell’industria metallurgica, chimica, petrolifera,
dei mezzi di trasporto alimentari. Col tempo le imprese tessili, che negli Stati Uniti non appaiono
essere mai state grandi imprese, tendono a scomparire anche in Germania e Gran Bretagna.
Ma non dappertutto le grandi imprese restano stand alone e l’esempio più famoso è quello
dell’economia giapponese con i suoi zaibatsu.
Con la terza rivoluzione industriale anche l’impresa medio piccola inizia coordinarsi con le altre
della medesima dimensione in distretti industriali e con le grandi imprese nei cluster. Nel caso
italiano, le medie imprese competitive, che esportano molto all’estero e sono anche in grado di
internazionalizzazione sono state definite imprese di quarto capitalismo (il primo capitalismo è
quello privato, il secondo è quello di stato e il terzo è quello delle piccole imprese nei distretti
industriali).
Piccole imprese, corporation, imprese cooperative e imprese sociali formano un contesto di ampia
scelta di forma d’impresa adattandosi a situazioni di mercato, preferenze etiche e politiche diverse
e offrendo libertà di scelta nell’organizzazione del lavoro e nella modalità di distribuzione dei
profitti.

Una vita sempre più lunga e una famiglia sempre più piccola
L'intenso sviluppo della popolazione mondiale è iniziato solo con la rivoluzione industriale e la
speranza di vita avuto un miglioramento a livello mondiale solo dopo il 1950, mentre nei paesi più
sviluppati era già iniziato nell'ottocento a ulteriore conferma della stretta connessione tra
demografia e sviluppo economico. Il miglioramento della speranza di vita è dovuto
all’abbassamento del tasso di mortalità, ma anche il tasso di natalità tenderà ad abbassarsi ed è
proprio questo drastico mutamento di regime demografico che va sotto il nome di “transizione
demografica”. Infatti è storicamente provato che
l’adeguamento del tasso di natalità al tasso di mortalità
avviene con ritardo generando grandi aumenti di
popolazione (vedi grafico).
Tuttavia è ormai provato che nessuna popolazione ha
resistito a lungo con alta fecondità al diffondersi del
benessere e della caduta della mortalità.
Le cause dell’abbassamento della mortalità durante la
rivoluzione industriale furono: i miglioramenti della scienza
medica, legati alla scienza e alla tecnologia, la migliore
nutrizione e la migliore igiene.

La vita media più lunga ha permesso di ridurre il dispendio di energie per l’allevamento della prole
accrescendo l’impiego della popolazione e permettendo una curricula di studi più lunghi, inoltre,
ha reso possibile comportamenti legati a progettualità di più lungo periodo. Mentre gli effetti
negativi furono legati all’agglomerarsi della popolazione in metropoli che causarono la
disoccupazione e all’invecchiamento della popolazione con l’esplosione dei costi di assistenza.
Ultimamente nei paesi sviluppati si è arrivati alla contrazione della natalità fino ad arrivare ad una
diminuzione della popolazione, la tradizionale piramide per età della popolazione si è tramutata in
una trottola dalla base sottile causando problemi seri ai sistemi di welfare.

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La famiglia è diventata sempre più piccola, ci sono pochi figli e un diverso modo di concepire il
matrimonio. Tutti questi sviluppi si stanno accompagnando anche una notevole diminuzione della
fertilità che spinge alla procreazione assistita.

Capitolo ottavo, l’economia internazionale tra fine ottocento e primi del novecento. Il ruolo del
gold standard e l’evoluzione della finanza.

Verranno trattati i mutamenti nelle relazioni economiche internazionali in merito a quattro temi:
l’enorme aumento nella mobilità dei beni e dei fattori (lavoro e capitale), l’evoluzione della
finanza, il primo tentativo di stabilire un regime monetario internazionale attraverso il gold
standard e il tema del capitalismo come impatto economico degli imperi coloniali sulle
madrepatrie.

Mobilità dei beni e dei fattori


L’industrializzazione ha prodotto un incredibile aumento del commercio internazionale. La Gran
Bretagna fu il primo paese cosicché nel 1913 era ancora la più grande esportatrice mondiale
tallonata però da vicino dalla Germania.
I due periodi migliori risultano essere il primo tra il 1820 e il 1870 dove prevalse un’apertura di
molti paesi al commercio internazionale e l’ultimo tra 1950 e 1992 quando si avviò un consistente
processo di liberalizzazione del commercio, mentre il periodo tra le guerre fu disastroso.
Ci fu un processo di multilateralizzazione del commercio, i paesi, cioè, non necessitavano di
bilanciare esportazioni e importazioni con ogni singolo partner commerciale permettendo in
questo modo maggiore flessibilità di uso delle risorse mondiali.
Il commercio internazionale è stato sempre visto fin dai tempi di Smith e Ricardo come un
importante estensione del principio della specializzazione del lavoro già applicato a livello
nazionale, inoltre, è veicolo di modernizzazione in quanto permette l’importazione di materie
prime strategiche e di macchinari avanzati e facilita l’esportazione di prodotti manifatturieri. La
prescrizione degli economisti è sempre stata quella di lasciare il commercio libero in modo che si
potesse dispiegare tutta la sua forza benefica, eppure nessun paese di una qualche dimensione si è
mai industrializzato in presenza di una totale libertà di commercio, nemmeno la Gran Bretagna,
che diventò liberista negli anni 40 dell’ottocento abrogando i Navigation act, Caligola act e le corn
laws quando la sua rivoluzione industriale era ormai terminata.
I paesi più grandi, Stati Uniti e Russia, erano anche più protezionisti mentre fra paesi piccoli il solo
Portogallo fa eccezione. In ogni caso non si trattò mai fino agli anni 30 di livelli protettivi tali da
avere un forte impatto negativo sul commercio internazionale.
Vantaggi e svantaggi del protezionismo sono ancora oggi uno degli argomenti più controversi ma
tutti concordano sul fatto che un protezionismo troppo elevato ha effetti solo che negativi.
Riguardo i trattati di commercio, il protezionismo portava i paesi ad avere interesse a negoziare
vantaggi reciproci dall’abbassamento di qualche selezionato dazio. Un esempio è la clausola della
nazione più favorita cioè se un paese X riceveva da un altro Y questa clausola, aveva
automaticamente diritto a vedersi applicato un trattamento di maggior favore negoziato da Y con
il terzo paese Z senza bisogno di riaprire i negoziati con Y.
Per quanto riguarda il lavoro, l’emigrazione era sempre esistita ma ci fu una sua esplosione nel
corso dell’800 e della prima decade del 900. La Francia ebbe emigrazioni irrilevanti e fu invece
metà di immigrazione mentre l’emigrazione di Spagna, Russia e soprattutto Italia prese vigore di
decennio in decennio per effetto della diffusione di informazioni che faceva ancor più esaltare il
divario delle loro zone arretrate. le mete erano in parte paesi europei avanzati ma anche l’America

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e l’Australia. Gli effetti sono stati una convergenza di salari e redditi tra paesi di emigrazione e
quelli di immigrazione.
Per quanto riguarda i movimenti di capitale, nell’ottocento molte economie diventarono più
dinamiche, le borse si allargarono, nacquero le prime multinazionali e flussi di capitale a lungo
termine aumentarono sostanzialmente. Il primo quadro mondiale disponibile descrive la
situazione alla vigilia della prima guerra mondiale dove la Gran Bretagna è di gran lunga il maggior
investitore mondiale seguita dalla Francia. Importanti sono alcuni paesi piccoli come Olanda,
Belgio, Svizzera e Svezia mentre gli Stati Uniti avevano ancora una proiezione esterna
modestissima. Quanto alle destinazioni è riportata solo quella europea che conta una piccola
frazione nel totale inglese la dovuta al notevole impegno economico della Gran Bretagna con le
sue colonie e i suoi domini (cioè la Gran Bretagna investiva poco capitale in Europa). In merito alla
suddivisione settoriale, oltre la metà è impiegato nello sviluppo di risorse naturali e venivano poi le
infrastrutture.
La bilancia dei pagamenti mette a confronto importazioni ed esportazioni, se la bilancia è in
pareggio il paese può continuare indisturbato nei suoi progetti di modernizzazione economica. Se
la bilancia è in avanzo è una situazione di squilibrio che tenderà a produrre aggiustamenti ma i
problemi sorgono se la bilancia dei pagamenti è in deficit perché il paese non riceve dall’estero
abbastanza valuta per effettuare pagamenti sull’estero.

Evoluzione dei sistemi finanziari


Tutti paesi che si modernizzavano crearono una banca centrale che divenne presidio di uno dei più
indiscussi beni pubblici e cioè la moneta. La prima fu la Banca di Svezia fondata nel 1667. La Banca
centrale aveva il monopolio dell’emissione di carta moneta e del mantenimento delle riserve
auree e di altre valute inoltre si occupava di fissare il tasso di sconto e cioè il tasso a cui le banche
possono acquisire liquidità dalla banca centrale, della supervisione del tasso di cambio, dei
rapporti col tesoro, della supervisione del sistema bancario e infine svolgeva la funzione di
prestatore di ultima istanza cioè quando vi era una crisi, bloccava il panico che si diffondeva se si
verificavano troppi fallimenti offrendo liquidità con larghezza a un tasso di interesse fisso.
Nella seconda metà del 700 si diffusero le casse di risparmio che erano le prime nuove banche a
essere create, si trattava di banche non profit create per raccogliere piccoli risparmi allo scopo di
abituare la gente dal modesto reddito al risparmio remunerato evitando nel contempo il
tesoreggiamento. Inoltre gli avanzi di gestione che queste banche realizzavano venivano destinati
a beneficenza e alla realizzazione di opere sociali.
In vari paesi, anche le poste istituirono delle casse di risparmio postali, vanno poi ricordati i monti
di pietà che si modernizzarono diventando simili alle casse di risparmio con la denominazione di
banche del Monte. Si diffusero nel medesimo periodo le società per azioni bancarie che assunsero
due configurazioni: o istituti di credito a breve termine (banche commerciali) o istituti di credito a
lungo termine (merchant Banks in Inghilterra).
alla metà dell’ottocento nacquero in Germania le banche cooperative secondo due versioni:
quella urbana sul modello stilato da Delitzsch (banche popolari) e quella rurale a responsabilità
limitata sul modello di Raiffeisen (casse rurali).
Si creò dunque un potente reticolo di riciclo finanziario di risparmio che eliminò il tesoreggiamento
e riuscì a coprire le più diverse esigenze di credito, cosicché l’usura, venne confinata in ristretti
limiti.
Per quanto riguarda le grandi imprese queste seguirono due sistemi finanziari alternativi: il primo
quello anglosassone orientato al mercato dove la borsa ha un primato assoluto e la banca svolge
un ruolo secondario (in questo sistema le grandi imprese rispondono singolarmente); il secondo

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quello tedesco orientato alla banca con la banca mista e una borsa di dimensioni più ristrette ( in
questo sistema c’è un’interconnessione fra le grandi imprese).

Il gold standard
Il gold standard è servito per la generalizzazione di un sistema monetario internazionale rendendo
possibile un’economia mondiale sempre pù complessa. Il GS è nato nel 1717 in Gran Bretagna
quando Isaac Newton, responsabile della zecca, fissò il prezzo dell’oro a 3 sterline, 17 scellini e
10,5 pence. La Gran Bretagna dunque scelse l’oro e quindi nella seconda metà dell’800 ci fu un
monometallismo aureo.
Una delle caratteristiche principali di questo sistema era il diritto di convertibilità della
cartamoneta in metallo prezioso a una parità prefissata e questo per impedire l’eccessiva
emissione di cartamoneta la quale non aveva valore intrinseco. Per aumentare la circolazione
cartacea occorreva acquisire più metallo prezioso e mentre invece quando il metallo diminuiva
occorreva restringere la circolazione cartacea. Questo era il meccanismo legato alle cosiddette
regole del gioco E, poiché era un sistema fiduciario, questo si reggeva sulla corretta applicazione
delle regole del gioco e quando questo non avveniva, la perdita di fiducia generava corse agli
sportelli delle banche per effettuare la conversione della carta moneta in oro e questo portava al
collasso del sistema e all’uscita dalla convertibilità. Questo regime ha prodotto un meccanismo
dell’aggiustamento internazionale degli squilibri nelle bilance dei pagamenti stabilendo ordine
nell’economia internazionale. I periodi più prosperi furono 1870-1914 e 1947-1973 che sono stati
anche i periodi in cui hanno prevalso cambi mantenuti fissi dal gold standard. Quando in un paese
emerge un deficit nella sua bilancia dei pagamenti il paese tenderà a offrire più unità di moneta
nazionale portando a svalutare la propria moneta, però, vige un regime di convertibilità e
chiunque debba essere pagato in quella moneta preferirà essere pagato direttamente in oro. Così
succede che un paese con un deficit nella bilancia dei pagamenti vedrà le sue riserve di oro
diminuire attraverso il deflusso di oro, a questo punto scattano le regole del gioco perché una
riserva diminuita comporta il diminuire della circolazione cartacea con una restrizione del credito e
un innalzamento del tasso di interesse. Queste manovre faranno restringere la domanda interna,
abbassare i prezzi, mentre i tassi di interesse più alti attireranno capitali esteri E tutto ciò porta a
riequilibrare la bilancia dei pagamenti.
Il meccanismo funziona anche in modo inverso portando alla condivisione dell’onere del
raggiustamento tra paesi in deficit e paesi in avanzo poiché a livello mondiale c’è perfetta
compensazione. Tuttavia i paesi in avanzo talora amavano aumentare le loro riserve senza
osservare le regole del gioco ed evitando di allargare la circolazione monetaria attraverso una
sterilizzazione dell’oro e creando maggiore difficoltà al paese deficitario che poteva anche essere
costretto ad uscire dal gold standard (ma in genere questo avveniva soltanto temporaneamente).
Il meccanismo di riaggiustamento è quindi automatico ma richiede che i paesi seguano le regole
del gioco, implicando dunque una volontà politica di voler restare all’interno del sistema.
Ma il gold standard non è stato sempre mantenuto perché occorre un’economia internazionale
non turbata da eventi troppo traumatici per permettere il corretto funzionamento del sistema.
Alcuni studiosi hanno finito col concludere che sono stati periodi di grande stabilità internazionale
e di sviluppo per mettere il gol standard, la questione resta ancora oggi aperta.
È inoltre noto che un sistema di cambi fissi lega tutti paesi che ne fanno parte a quello del suo
leader. Se e quando si trova un leader in grado di reggere bene il peso di questa leadership
dell’intero sistema monetario internazionale, le cose funzionano. Il gold standard classico viene
sostenuto dalla sterlina inglese ma nel 1944 ci fu una versione sostenuta dal dollaro statunitense e
venne chiamato gold exchange standard.

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L’oro ha un suo mercato come qualunque altro bene e inoltre le miniere di oro sono limitate
Quindi un sistema di gold standard non mantiene generalmente livelli dei prezzi fissi perché
quando c’è poco offerta di oro il livello di prezzi tende a diminuire, con una deflazione, mentre
quando c’è una forte immissione di oro il livello dei prezzi tende ad aumentare, attraverso
un’inflazione. Ma inflazione e deflazione si propagano internazionalmente nella stessa misura e
quindi cambi possono rimanere fissi.
Si arriva dunque a due conclusioni: La prima è che poiché la deflazione non è favorevole all’attività
economica, la scarsità di oro che il grande aumento dell’attività economiche rende inevitabile
viene vista come un inutile fattore limitante che interferiva negativamente le attività economiche,
la seconda è che c’è bisogno di una disciplina esterna per impedire l’eccessiva inflazione che venne
molto ridimensionata dalla maggior consapevolezza correttezza delle autorità monetarie dei paesi
che contavano cosicché si capì che era possibile mantenere condizioni di stabilità dei cambi anche
senza l’oro. Nel 1973, il gold standard venne definitivamente abbandonato e si passò a un regime
di cambi flessibili che produsse grande instabilità finanziaria a livello mondiale.

Gli effetti del colonialismo sui paesi d’origine


È importante chiarire innanzitutto che il colonialismo non è stato praticato da tutti paesi avanzati,
ad esempio gli Stati Uniti non sono stati una potenza coloniale.
Secondo la letteratura ispirata al leninismo i paesi coloniali avevano tratto grandi benefici dal
colonialismo mentre i paesi colonizzati non avevano avuto che effetti negativi, questa visione è
basata sull’idea che il gioco economico sia sempre a somma nulla (uno perde e uno vince). Il gioco
economico e invece molto più complicato ci possono essere risultati a somma positiva in cui
entrambe le parti guadagnano ma anche a somma negativa in cui tutti perdono. Va inoltre ribadito
che il giudizio storico dipende dall’orizzonte temporale considerato.
Il colonialismo è tipicamente analizzato nel lungo periodo, è un fenomeno che ha avuto molteplici
dimensioni: il desiderio di avere nuove terre d’insediamento, la spinta alla conversione religiosa di
nuove popolazioni, l’orgoglio di espandere la propria cultura, la necessità di controllare zone
militarmente strategiche, la necessità di competere con altre potenze e anche l’interesse
economico. Sulla base di queste premesse si può fare un’analisi comparativa basata sul
commercio.
La Gran Bretagna era l’unica nazione che già la vigilia della prima guerra mondiale aveva un forte
legame con le colonie e riguardo questo paese sono note analisi quantitative basate su uno
schema di costi e benefici. Poiché le colonie costavano per capire se ci furono dei benefici, questi
vanno calcolati al netto dei costi ed è quanto è stato fatto da Davis e Huttenback. Loro hanno
calcolati costi diretti (militari e amministrativi) e li hanno sottratti per ottenere un tasso di profitto
netto dei costi. Confrontando questo tasso di profitto netto con il tasso di profitto ottenuto dalle
imprese inglesi hanno concluso che ci furono dei vantaggi fino al decennio 1880, in seguito questa
condizione cambiò. Gli investitori guadagnavano il tasso di profitto nominale e quindi
continuarono a ritenere l’investimento profittevole, chi ci perdeva la Gran Bretagna come paese e
coloro che pagavano le tasse. Va notato che i costi considerati nel lavoro citato sono solo quelli
diretti. La cosa è rilevante soprattutto nel caso inglese, dato il forte coinvolgimento della struttura
economica della madrepatria nelle colonie, l’eccessiva insistenza dell’industria inglese
(overcommitment) in produzioni della prima rivoluzione industriale che causò il declino della
leadership inglese è da collegare con la disponibilità di mercati coloniali per questi prodotti.
E se aggiungiamo l’impatto negativo della decolonizzazione successiva alla seconda guerra
mondiale si può certamente concludere che l’Inghilterra non trasse benefici economici dall’impero
a differenza degli investitori.

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Capitolo nono, le conseguenze sociali ed economiche della prima guerra mondiale e gli anni 20
in Europa e Stati Uniti

Molte sono le ragioni che hanno scatenato la prima guerra mondiale ci limiteremo a parlare delle
motivazioni economiche. Il conflitto franco-tedesco sul possesso di Alsazia e Lorena aveva
un’importante risvolto economico: importanti miniere di ferro, di zinco e di carbone ivi localizzate;
il successo e l’espansionismo delle imprese tedesche; i contrasti economici nei Balcani; il dissenso
tra Germania e Russia, che all’epoca confinavano non esistendo la Polonia, sul protezionismo.
Va poi sottolineato il fatto che in Europa arrivava la convinzione dal periodo preindustriale, che la
guerra fosse uno strumento valido per far prevalere un’egemonia e per acquisire nuovi territori
arricchendo il vincitore. Ma la guerra diventava motivo di rallentamento dell’accumulazione,
attraverso la distruzione del capitale fisso e umano e lo scompiglio di mercati con notevoli perdite
economiche per tutti combattenti, un esempio di gioco a somma negativa.
La prima guerra mondiale fu lunga e distruttiva sia in capitale umano che fisico. Morirono 9 milioni
di soldati e 40 milioni di persone furono falciate tra il 1918 e il 1919 dall’epidemia di spagnola,
un’influenza letale che si diffuse a causa della guerra, poi vanno aggiunti i morti della guerra civile
in Russia. Alle perdite umane e di capitale vanno aggiunti la dissoluzione dell’impero
austroungarico, il dramma delle riparazioni tedesche e il rallentamento delle economie europee. A
livello finanziario le spese militari furono molto pesanti e i governi fecero ampio ricorso alla
stampa di carta moneta con un conseguente processo di inflazione.
L’Inflazione, il riaggiustamento dei conti pubblici, il ritorno al gold standard, il reinserimento dei
militari non deceduti in attività talora assunte dalle donne durante la guerra, la conversione delle
industrie dalle produzioni di guerra a quelle di pace, le riparazioni dei danni materiali furono tutti
problemi non facili che vinti e vincitori dovettero risolvere in assenza di un qualunque aiuto
internazionale.

Lo smembramento dell’impero asburgico e la riorganizzazione territoriale dell’Europa


Alla Germania fu tolto il 13% del suo territorio, restituendo l’Alsazia e la Lorena alla Francia e
accorpando le regioni polacche arresto della Polonia ristabilita come nazione. Poi vennero formate
10 nuove nazioni più 2 città libere (Fiume incorporata nello stato italiano nel 1924 e Danzica).
Le frontiere doganali furono aumentate, le monete in circolazione si moltiplicarono e con esse le
banche centrali ma motivo di ancor più instabilità furono le nuove nazioni che dovettero iniziare la
loro vita economica prive di qualunque aiuto internazionale. Ci fu un solo piccolo fondo privato
americano di aiuto, l’Ara, che durò da gennaio a luglio del 1919.
Oltre alle incertezze istituzionali e all’indebitamento estero, gli altri principali problemi che
dovettero affrontare i nuovi Stati furono:
- La riforma agraria, latifondi andavano ridimensionati e questo richiedeva riforme che erano
politicamente difficili ed economicamente travagliate;
- Il ridimensionamento del commercio, i legami commerciali di aree che facevano parte
precedentemente di compagini nazionali diverse dovevano essere riorganizzati in funzione
del mercato interno e diversificati in funzione del mercato estero, tutto questo processo
richiedeva molto tempo;
- Il ricompattamento e il ridimensionamento delle infrastrutture, le infrastrutture interne
erano appartenute a nazioni diverse e quindi avevano standard diversi oppure erano
costruite in funzioni di direzioni e di dimensioni diverse;
- La promozione dell’industria, solo Cecoslovacchia e Austria avevano una base industriale di
qualche importanza e quindi tutte le altre si trovarono a dover promuovere
l’industrializzazione, ci fu la tendenza ad aumentare i dazi chi venne poi rincarata con la

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crisi del 29. Solo la Cecoslovacchia ebbe buon tasso di crescita, a seguire vi è la Jugoslavia
mentre Polonia Bulgaria mostrano dei risultati veramente deludenti, la prima per effetti
particolarmente negativi della guerra e la seconda per una totale disorganizzazione del
paese.
In conclusione si può affermare che la riorganizzazione territoriale dell’est europeo avrebbe avuto
bisogno di un lungo periodo di prosperità internazionale e di pace per consolidarsi e devolvere ma
questo non avvenne: si scatenò la grande crisi e scoppiò la seconda guerra mondiale. la povertà è
la difficoltà dell’Europa orientale fu una facile preda delle convulsioni che attanagliarono l’Europa
occidentale.

Le riparazioni tedesche e l’economia della Germania negli anni 20


La nuova Repubblica di Weimar vedeva non solo perdite umane ma anche la perdita del 13% del
suo territorio. tutte le colonie erano state confiscate, pure la marina militare e tutto il materiale
bellico. La Germania fu costretta a invii in natura agli alleati di svariati prodotti in conto di
riparazioni fino al 1923. Nei 14 punti del presidente americano Wilson che costituirono la base
della pace di Versailles ce n’era uno che prevedeva che la Germania pagasse una somma
riparatrice per i danni subiti dagli alleati ma in questo punto non vi erano fissati dei parametri
quantitativi e perciò venne nominata una commissione per le riparazioni con sede a Berlino.
Anche in passato alla parte che perdeva era richiesto di pagare un’indennità, ma in generale si
trattava di una somma una tantum, alla fine della guerra franco tedesca del 1871 la Francia fu
richiesta di pagare una somma in oro alla Germania causando un episodio inflazionistico che non
giovò alle esportazioni tedesche. Emerge da questo episodio che il pagamento di un’indennità era
destabilizzante dell’equilibrio economico esistente.
Una mente fine come quella di Keynes aveva raccomandato prudenza con le richieste di
riparazioni e poiché le richieste tedesche erano anche collegate al pagamento dei debiti di guerra
da parte degli alleati, Keynes suggeriva che questi venissero cancellati perché riteneva che né le
riparazioni né i debiti di guerra sarebbero comunque stati pagati per più di qualche anno. Inoltre le
raccomandazioni di Keynes terminavano con un’esortazione agli Stati Uniti per la ricostruzione
europea. Ma nessuno di questi suggerimenti fu accolto e la realtà superò tutte le sue più tragiche
previsioni con il secondo grande conflitto mondiale. il fatto è che gli Stati Uniti furono inflessibili
nel richiedere il pagamento dei crediti e questo rese altrettanto rigidi paesi europei vincitori nel
pretendere che la Germania pagasse.
La prima proposta fu avanzate nel 1920 e prevedeva un pagamento di 269 miliardi di marchi-oro
(6 volte il Pil tedesco), i tedeschi non la accettarono e chiesero una revisione. Nel 1921 con la
conferenza di Parigi la somma venne abbassata a 226 miliardi con l’aggiunta di un prelievo del 12%
sulle esportazioni tedesche per 42 anni ma di nuovo la Germania non la ritenne una proposta
giusta. Nello stesso anno venne proposto l’ultimatum di Londra con la richiesta di 132 miliardi di
marchi-oro da pagare con un tasso di interesse del 6%.
La Germania chiese una moratoria (sospensione) dei pagamenti in denaro mentre continuavano
quelli natura e su questi si aprì un contenzioso che finì col portare all’invasione della Ruhr da parte
delle truppe francesi e belghe nel 1923. La situazione monetaria della Germania incominciò
peggiorare drasticamente. L’inflazione si tramutò in iperinflazione il sistema monetario tedesco
venne distrutto. Nel novembre 1923 venne introdotto un nuovo marco, il Renten Mark, E nel
dicembre dello stesso anno venne affidata ad una commissione presieduta da Charles Dawes il
compito di fissare un piano ragionevole di pagamento delle riparazioni. Il piano Dawes prevedeva
il pagamento di rate annuali che aumentavano con un indice di prosperità dell'economia tedesca
senza fissare un orizzonte temporale, inoltre, prevedeva un prestito di carattere commerciale da
piazzare sulla borsa di New York permettendo all'economia tedesca non solo di iniziare il

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pagamento ma anche di coprire qualche altro buco della bilancia dei pagamenti. Nell’agosto del
1924, in corrispondenza con l’applicazione del piano Dawes, la circolazione monetaria venne
stabilizzata ma dato l’afflusso di capitali stranieri, l’economia tedesca si trovò altamente
dipendente da tali capitali. Il piano fu un pilastro ma un pilastro che tuttavia poggiava su sabbie
mobili, la Germania poi doveva mantenere elevati i tassi d’interesse ma poiché questi capitali
venivano presi a prestito perlopiù dai comuni e dal settore agricolo non ci si poteva aspettare da
tali settori una profittabilità sufficiente la copertura di interessi così elevati. In questo modo
l’attrattiva del mercato tedesco per gli investitori stranieri diminuì, alla fine del 1927 si profilò un
raffreddamento della congiuntura tedesca e il ritiro di capitali americani divenne inevitabile
provocando una crisi. Il 1928 fu l’anno postbellico migliore per la Germania e l’anno seguente
venne stilato un nuovo piano, il piano Young. Con esso si abbassava la rata annuale e si fissava
l’orizzonte temporale del pagamento in 37 anni. In questo periodo però l’economia tedesca era già
in crisi mentre quella mondiale precipitò di lì a poco con la crisi americana (del ’29), il pagamento
di riparazioni venne sospeso nel 1931 e non venne più ripreso in seguito.
Le conseguenze della vicenda delle riparazioni resero la Germania uno dei poli della grande crisi,
un altro aspetto è la questione della rivalutazione. L’iperinflazione aveva azzerato tutti capitali
liquidi, oltre alla moneta corrente. Dopo la stabilizzazione ci fu una discussione sui possibili modi
per compensare almeno parzialmente tali perdite ma alla fine non si fece nulla aumentando la
disaffezione della classe media e spingendo tale classe verso partiti estremi.
In conclusione le riparazioni effettivamente pagate furono modeste accogliendo la stima delle
commissioni berlinesi che però escludevano gran parte di pagamenti in natura e del valore dei
beni tedeschi all’estero confiscati, che invece comparivano nella stima del governo tedesco. La
responsabilità di tale insipiente politica vanno equamente divise tra gli Stati Uniti che erano troppo
isolazionisti e la politica che ancora non aveva capito che occorreva abbandonare la logica
nazionalistica e della vendetta. Inoltre la vicenda delle riparazioni tedesche anche dal punto di
vista economico era mal congegnato in quanto gli Stati Uniti avrebbero dovuto avere una bilancia
di pagamenti in deficit per assorbire capitali dall’estero.

Gli anni 20 in Gran Bretagna, Francia e Italia


Gli anni 20 videro un’Europa incapace di dar vita ad un nuovo ciclo di sviluppo, la Gran Bretagna
presentò l’andamento più insoddisfacente mentre Francia e Italia ebbero risultati economici meno
negativi.

Gran Bretagna: primato della sterlina a qualunque costo


È stato sorprendente vedere che la Gran Bretagna si avvitò, negli anni 20, in una spirale negativa
con una disoccupazione tra il 7 e l’11% e le esportazioni che ristagnavano. La grande guerra aveva
indebolito la Gran Bretagna sia finanziariamente sia sul piano industriale e commerciale. Gli
impianti non erano stati rinnovati e le esportazioni tradizionali erano state soppiantate da altri
paesi, inoltre venne accumulato un debito di 4,7 miliardi di dollari nei confronti degli Stati Uniti.
L’inflazione era superiore a quella americana, rendendo inevitabile una svalutazione della sterlina
ma questo fu l’evento che si volle evitare a qualunque costo in quanto c’era la convinzione che i
problemi dell’economia inglese sarebbero stati risolti se si fossero ristabilite le condizioni
prebelliche. E infatti quando giro per ritornare una golden standard, seguendo i consigli/pressioni
del piano Dawes, la Gran Bretagna nel 1925 precise di ritornarvi con lo stesso tasso di cambio
rispetto al dollaro che vigeva prima della guerra. Questo successe perché gli inglesi erano ancora
fiduciosi di poter essere i leader e la decisione del Primo Ministro Churchill fu appoggiata sia dalla
City ma sorprendentemente persino dalla confederazione degli industriali. Fu soltanto Keynes ad
opporsi, senza essere ascoltato, a tali decisioni scagliandosi contro l’uso di una teoria obsoleta e

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anticipando che tale decisione avrebbe mantenuto l’economia inglese in una cronica posizione di
equilibrio spurio. Il governo dovette far uso di una politica monetaria restrittiva con alti tassi di
interesse che disincentivarono gli investimenti, mentre le esportazioni cadevano anche a seguito di
un lunghissimo sciopero dei minatori nel 1926. La bilancia dei pagamenti divenne negativa le
riserve si assottigliarono. Sono alla fine del decennio la situazione presa migliorare per invertirsi
però nuovamente a seguito della grande crisi.

Francia: una stabilizzazione monetaria realistica


Nell’economia francese degli anni 20 ci sono molti paradossi: il primo è che subì grosse perdite
dalla guerra e riteneva indispensabile ottenere mezzi per la ricostruzione attraverso le riparazioni
mentre in realtà finì con il ricostruirsi con i propri mezzi data la lentezza dei pagamenti. Il recupero
dell’Alsazia della Lorena, regioni ricche di materie prime e industrializzate, giocò un ruolo positivo,
come pure fu positivo l’allargamento della capacità produttiva dell’industria pesante che era stata
realizzata durante la guerra; il secondo paradosso fu la grande instabilità politica infatti tra il marzo
1924 e il luglio 1926 si susseguirono 11 diversi governi. Ci fu poi Raymond Poincarè capace di
stabilizzare il franco riportando ordine nella finanza pubblica e nella politica monetaria senza danni
per la democrazia francese; il terzo paradosso è legato al tipo di stabilizzazione che venne
effettuata infatti il franco venne stabilizzato al tasso corrente senza tentare improbabili recuperi
dei tassi di cambio prebellici. Il successo francese fu rovescio della medaglia dell’insuccesso
inglese.
L’Economia francese fu la migliore fra le tre qui analizzati anche se superata dall’Italia quanto a
produzione industriale. Particolarmente brillanti sono state le esportazioni aumentate di circa il
50%.

Italia: dalla democrazia alla dittatura


Le difficoltà dell’Italia furono drammatiche facendola scivolare in vent’anni di dittatura, i fattori
che hanno determinato ciò furono:
- Il difficile processo di riconversione dell’industria dalla produzione di guerra a quella di
pace con i conseguenti fallimenti di imprese e banche;
- Il conflitto sociale che portò all’occupazione delle terre e delle fabbriche nel biennio rosso
1919-20;
- Gli sviluppi politici che videro nel 1919 la fondazione del partito popolare e il cambiamento
del sistema elettorale maggioritario proporzionale con la sconfitta del partito liberale e la
vittoria di due partiti, il socialista e il popolare, nessuno dei quali con esperienza di
governo;
- La nascita nel 1919 del movimento fascista di Benito Mussolini;
- L’atteggiamento scarsamente garantista del re che non volle bloccare con l’esercito la
marcia su Roma dell’ottobre 1922 consegnando il potere a Mussolini.
Le condizioni alterate dalla guerra e la mancanza di qualsiasi aiuto internazionale per la
ricostruzione sono l’iniziale causa scatenante tutto il processo mentre la scarsa pratica di una
democrazia di massa è l’altro motivo di fondo.
Mussolini nominò Alberto De Stefani che continuò nel processo di riequilibrio della finanza
pubblica fino ad arrivare al pareggio di bilancio, gli scioperi vennero proibiti e l’economia si riprese
con un trend troppo inflazionistico il quale spinse Mussolini a sostituirlo nel 1924 come Giuseppe
Volpi. Volpi dovette affrontare il problema del pagamento di debiti a Gran Bretagna e Stati Uniti e
dovete effettuare la stabilizzazione della lira per rientrare nel Gold standard. la sua volontà era
quella di stabilizzare la lira al tasso di cambio di mercato, come fatto dai francesi, ma Mussolini si
impose con la “quota 90” sopravvalutando 90 lire per sterlina. Poi si consolidò il debito pubblico e

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si fece una riforma bancaria. Alcuni economisti preconizzarono una crisi dovuta alla caduta di
esportazioni e investimenti ma nel 1928 si vedeva già una ripresa e il governo si dedicò alla
“bonifica integrale” che doveva migliorare strutturalmente l’agricoltura italiana.
Nel complesso gli anni 20 furono abbastanza positivi, La produzione industriale aumentò
sensibilmente un po’ in tutti settori e particolarmente in quello chimico dove per la prima volta si
affacciarono imprese importanti come la Montecatini e la Snia Viscosa.

I ruggenti anni 20 negli Stati Uniti


Gli anni 20 videro una rapida crescita economica negli Stati Uniti con profondi cambiamenti
socioculturali basati sulla nascita della società dei consumi di massa.
I governi repubblicani diminuirono la tassazione sulle classi di popolazioni ferite E insieme a una
politica monetaria espansiva, crearono un clima favorevole agli investimenti mentre i consumi
vennero promossi da politica di salari crescenti dovuta al welfare capitalism inaugurata da Henry
Ford. Crescenti disuguaglianze si fecero strada negli Stati Uniti nonostante la diffusione di consumi
di base. Le produzioni di massa standardizzate si affermarono soprattutto con l’automobile, la
radio, il fonografo, il telefono, il cinema, l’elettricità, la chimica e il frigorifero. I nuovi prodotti
richiesero grandi investimenti infrastrutturali, largamente finanziati dallo Stato.
Sul piano sociale, l’estensione del voto alle donne nel 1920, l’eliminazione di alcuni leggi
discriminatorie e la grande domanda di lavoro delle corporations cambiarono il ruolo delle donne
che divennero più libere.
Furono gli anni del proibizionismo introdotto nel 1919 con il Volstead Act, cioè del divieto di
produzione, importazione, vendita negli ultimi anni anche di consumo dell’alcol che incentivò la
malavita.
Si affermò il jazz e si diffusero i giochi sportivi, tutto questo clima definì quell’American way of life
fatta di beni di consumo durevoli, di libertà di intrapresa e di rottura delle tradizioni.

Capitolo decimo, l’unione sovietica dalla creazione alla seconda guerra mondiale.

La rivoluzione d’ottobre
La Russia fu spinta a partecipare alla guerra dalla parte degli alleati sotto la pressione della Francia
e anche per affermare il suo ruolo di grande potenza ma sia l’economia che la società russe non
erano in grado di affrontare l’enorme dispendio di risorse di una guerra e nemmeno erano
preparate logisticamente per far fronte alla riorganizzazione e alla regolamentazione dei mercati
imposti dal conflitto. In particolare si rivelò difficile assicurare le forniture alimentari ai soldati e
alle città industriali che producevano per la guerra.
Si arrivò nel gennaio 1917 alla deposizione dello zar con una rivoluzione borghese che formò
nuovo governo guidato da Kerenskij il quale commise un grande errore, quello di voler continuare
la guerra. In tutto questo caos fu relativamente facile per Lenin e il suo partito bolscevico fare
breccia nel popolo che era organizzato in consigli rivoluzionari chiamati soviet i quali nell’ottobre
del 1917 lanciarono un attacco al governo borghese con la presa del palazzo d’inverno a San
Pietroburgo. Seguirono quattro anni di guerra civile con un regime di comunismo di guerra,
nonostante nel marzo del 1918 la Russia fosse uscita della prima guerra mondiale negoziando una
una pace separata con il trattato di Brest-Litovsk. La moneta era stata eliminata, il commercio
privato abolito, i lavoratori erano militarizzati e remunerati in natura a livello di sussistenza, la
produzione agricola requisita, le industrie nazionalizzate e i servizi essenziali forniti gratuitamente
in un ammontare minimo.

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Alcuni studiosi videro inevitabile il risultato di una guerra civile mentre altri la videro come una
tappa verso la realizzazione di una completa rivoluzione comunista. Sta di fatto che il partito
sovietico riuscì a vincere la guerra civile.

La Nep
Lenin decise nel 1921, di varare la Nuova Politica Economica (Nep) cercando di combinare il
mercato con elementi di socialismo: la moneta venne introdotta, commercio e industria vennero
liberalizzati per le piccole imprese ma fu soprattutto la sorprendente liberalizzazione
dell’agricoltura a denotare questo sistema di riforme. Lenin sperava di indurre gli agricoltori a
produrre di più. Delle grandi imprese solo quelle ritenute strategiche (industria militare, i trasporti,
la finanza e il commercio estero) venivano sottoposti a decisioni centralizzate mentre alle altre
veniva lasciato una certa autonomia anche nella formazione di gruppi (trust) e inoltre dovevano
pagare allo Stato imposte sul reddito e sul patrimonio.
La Nep è stato un primo esperimento di economia mista il quale anticipò l’esperimento nazista
degli anni 30 e quello francese degli anni 50-60.
Sul piano produttivo ci furono risultati positivi che permisero la ripresa dell’economia.
Ma la netta presentava alcuni difetti intrinseci: In primo luogo poiché i trust tenevano alti prezzi di
prodotti manifatturieri, si sviluppò una crisi delle forbici; in secondo luogo non veniva percepita
l’importanza del controllo macroeconomico che favoriva inflazione e disoccupazione; inoltre vi
erano una serie di favori concessi agli agricoltori e ai commercianti “nemici” del popolo; infine la
lentezza del sistema di mercato nel raggiungere le mete che assegnava il partito all’economia
avevano fatto aumentare il divario fra l’economia sovietica e quelle occidentali.
Sorsero quindi tre versioni alternative alla Nep:
- La visione dell’alla sinistra del partito, guidata da Preobrazhensky, che raccomandava un
grande balzo industriale accreditando un processo di crescita sbilanciato a danno
dell’agricoltura;
- La visione della destra estrema del partito, guidata da Shanin, voleva un ritorno alle
tradizioni agrarie della Russia, ciò avrebbe accresciuto i risparmi e mantenuti bassi i costi
dei prodotti alimentari permettendo all’industria di crescere;
- La visione della la destra del partito, sostenuta da Bukharin, che voleva la continuazione di
una crescita bilanciata sul tipo della Nep.
Stalin si limitò ad allinearsi con la posizione di Bukharin.
Nel 1927 le relazioni esterne dell’Urss peggiorarono e Stalin finì con l’adoperare misure sempre
più coercitive passando a una versione ancora più drastica della sinistra di una super
industrializzazione forzata a spese dell’agricoltura. A rafforzare il suo intendimento di abolire il
mercato e passare a un’economia di comando intervenne l’assicurazione da parte di illustri
matematici russi.

La pianificazione sovietica
Nell’ottobre del 1928 Stalin, dopo le purghe che avevano eliminato Trockij, varò il primo piano
quinquennale nel bel mezzo di un’altra crisi di raccolta di cereali. Nell’autunno del 1929 venne
dichiarata la collettivizzazione delle terre a cui seguirono proteste sia in campagna che in città.
Nel 1929 ha dunque inizio la pianificazione sovietica, l’organismo centrale di coordinamento
divenne il Gosplan dell’Urss (comitato statale di pianificazione) e gli obiettivi annuali che stabiliva
erano gli unici che andavano realizzati dall’economia. Dunque i piani operativi per ciascun settore
industriale erano elaborati in base a questi obiettivi prestabiliti configurando un meccanismo
dirigistico integrale (top-down). Le materie prime venivano distribuite con matrici input-output
costruite in termini fisici. I prezzi venivano stabiliti usando discriminazioni di prezzo e prezzi

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multipli e questo fece perdere ai prezzi in Urss il legame con i costi di produzione producendo i
tipici fenomeni di eccesso di offerta e di domanda (trattati col razionamento e le code invece che
col rialzo del prezzo).
I prezzi amministrativi non permettevano agli osservatori occidentali di valutare il reddito
nazionale dell’Urss perché in comparabile con quello degli altri paesi non essendo chiaro quali
prezzi utilizzare nell’operazione.
La rigidità della pianificazione quinquennale da uno dei problemi principali perché era impossibile
prevedere il futuro alla perfezione. I direttori di fabbrica erano costretti a servirsi di mercati
informali per liberarsi di prodotti in eccesso e di acquisire quelli in difetto allo scopo di raggiungere
gli obiettivi del piano ma spesso tali obiettivi risultavano essere del tutto irraggiungibili.
Un altro serio problema era quello legato alla tecnologia perché ci si limito a introdurre modelli
occidentali, per la maggior parte americani questo perché non ci fu la possibilità di produrre
tecnologia autoctona dato che la ricerca richiede spazi di libertà che in un contesto del genere
erano impensabili. Anche l’introduzione di tecnologia estera produceva a volte problemi in quanto
vi era un’impreparazione tecnica degli ingegneri sovietici e dei lavoratori.
Sia il primo piano quinquennale (1928-32) che il secondo (1933-37) raggiunsero il 70% degli
obiettivi prefissati.
Il reddito nazionale crebbe a passo sostenuto mentre l’agricoltura conobbe vicende drammatiche
con una crisi causata dalle requisizioni forzate. L’annata peggiore fu il 1932 con una carestia che
uccise da 6 a 8 milioni di persone. Per quanto riguarda il settore industriale fu prevalentemente
privilegiata l’industria pesante.
La pianificazione staliniana produsse un’industrializzazione forzata a beneficio della difesa e delle
infrastrutture del paese.

La storia della seconda guerra mondiale e le sue conseguenze


In merito a quanto detto emerge che il paese si trovò in condizioni migliori per far fronte alla
seconda guerra mondiale, la mobilitazione bellica fu molto più efficace e il completo controllo
dell’agricoltura evitò la disorganizzazione annonaria.
Inoltre intervenire altri due fattori di sostegno: il primo e la vastità del territorio e la numerosità
della popolazione; mentre il secondo fa parte dei paradossi della storia in quanto dopo la battaglia
di Stalingrado in cui i russi dimostrarono di essere allo stremo della loro capacità, gli americani
sostennero l’Urss con una spesa di circa 10 miliardi di dollari chiamo montava a circa il 10% del Pil
sovietico negli anni 43-44. Questo ruolo strategico giocato dagli americani permise alla Russia di
vincere la guerra a fianco degli alleati ma fu un paradosso della storia in quanto gli americani
contribuirono alla vittoria di quei russi che poi furono gli unici a contrastare la grande potenza
U.S.A. fino alla metà degli anni 80.

Capitolo undicesimo, La prima grande crisi internazionale

Richiami storici
Economisti e storici dell’economia hanno sempre osservato che il sistema capitalistico ha un
andamento ciclico. Esistono quattro scuole di pensiero al riguardo:
- La scuola dell’instabilità, che sostiene che il sistema capitalistico è intrinsecamente
instabile. Marx, riprendendo Malthus, parlava di contraddizioni interne del sistema dovute
all’anarchia del mercato e al sottoconsumo cronico che poteva portare anche
all’autodistruzione del capitalismo. Keynes formulò una teoria di intervento stabilizzatore
da parte dello Stato per contrastare i caduti della domanda effettiva;

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- La scuola della stabilità, secondo cui il mercato è in grado di sopportare shock di varia
natura riportando il sistema l’equilibrio. Tale teoria è sostenuta soprattutto dagli
economisti di matrice neoclassica;
- La scuola dei cicli, i maggiori esponenti sono Schumpeter e Kuznets, quest’ultimo con la
teoria sul ciclo delle infrastrutture. In relazione ai cicli lunghi di sviluppo emerge il tema
della saturazione dei mercati che può essere effetto di una completa diffusione del regime
tecnologico esistente tale da portare a una domanda legata solo sostituzione di beni
usurati. Ma ci può essere anche una saturazione spuria, dovuta alla crescita di
disuguaglianze perché se i ricchi diventano sempre più ricchi e poveri non aumentano i loro
redditi, ci saranno grandi disponibilità di risorse per gli investimenti anche se la domanda
effettiva non aumenterà (è ciò che è accaduto negli anni 20 negli Stati Uniti);
- La teoria finanziaria del ciclo che spiega come si creano le bolle finanziarie che producono
prima euforia e poi panico. Tale teoria si deve a Hymar Minsky.

Fatti e interpretazioni
La grande crisi è stata fatta incominciare dalla caduta della borsa di New York il 29 ottobre 1929
ma andamenti negativi erano iniziati già precedentemente negli USA, e anche in Germania già
dalla fine del 1928.
Infatti i paesi più colpiti furono proprio Stati Uniti e Germania (ma anche Austria) e si parla quindi
di un bipolarismo della crisi. Il Giappone fu in gran parte risparmiato dalla crisi mentre i paesi
europei che inizialmente sembrarono cavarsela ebbero poi conseguenze negative.
Gli effetti sociali furono dirompenti con lunghe code di disoccupati che cercavano aiuto.
Le cause della crisi emergono secondo 5 elementi esplicativi fondamentali:
- I mutamenti strutturali degli anni 20 avevano resto il mercato dei prodotti e dei fattori
meno flessibile;
- Il sistema monetario che aveva reintrodotto il gold standard lo aveva fatto in maniera
squilibrata e gli Stati Uniti erano passati dall’essere debitori netti a creditori netti senza
rispettare le regole del gioco, questo rendeva il sistema poco solido e malfunzionante;
- La caduta della borsa di NY è stata eccessivamente enfatizzata sia come motivo che come
causa della crisi;
- La politica monetaria statunitense molto restrittiva ha reso la crisi subito seria causando
panico finanziario, fallimenti a catena, deflazione. Tutto questo in assenza di un prestatore
di ultima istanza internazionale;
- La trasmissione della crisi è avvenuta tramite i meccanismi del gold standard, la mancanza
del coordinamento, la caduta dei prezzi, il crescente protezionismo.
C’è stata una sincronia generale che ha privato l’economia interna e internazionale di fattori di
compensazione. A completare il quadro vi era la deflazione che continuava ad abbassare i prezzi e
la mancanza, assoluta o relativa, di sostegno dei redditi dei disoccupati faceva crollare la domanda
effettiva.

Le ripercussioni bancarie
Quando la crisi fu degenerata, le banche non furono in grado di sostenere il peso dei troppi crediti
non restituiti. La situazione delle banche iniziò a peggiorare nella primavera 1931, la prima crisi ci
fu in Austria con il fallimento della Creditanstalt la quale negli anni 20 aveva acquisito il 60% delle
azioni delle spa austriache, il 50% delle sue azioni era in mani straniere e il 40% delle sue attività
erano all’estero. Poiché le richieste di aiuto non vennero accolte il governo austriaco intervenne,
ma troppo tardi, con la banca centrale.

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Le ripercussioni della crisi viennese colpirono le banche ungheresi e quelle tedesche, la Reichsbank
perse metà delle sue riserve auree e il 20 giungo Hoover accordò una moratoria nei pagamenti
delle riparazioni e debiti di guerra.
A luglio la crisi bancaria esplose e il governo chiuse banche e borsa per una settimana con un
aumento del tasso al 10% e un’iniezione di liquidità nelle banche miste. La Danat, una della più
importanti banche miste, fallì.
Le banche non subirono variazioni di funzionamento e tornarono private nel decennio 1930.
La crisi bancaria tedesca si diffuse in tutta Europa causando molta pressione nella Banca
d’Inghilterra e infatti il nuovo governo aumentò le imposte e diminuì le spese ma poi ci fu uno
sciopero della Marina di stanza a Invergorden che provocò nuove perdite nella B. d’Inghilterra.
Il 21 settembre la Gran Bretagna uscì dal gold standard.
La crisi giunse anche in Italia e Mussolini incaricò Beneduce (il dittatore economico degli anni 30)
che organizzò un salvataggio delle banche in due tempi fondando l’Imi (Istituto mobiliare italiano)
con il ruolo di finanziatore al posto delle banche miste e sollevando poi queste dalle loro
immobilizzazioni in azioni attrverso l’Iri (Istituto di ricostruzione industriale) che doveva gestire le
partecipazioni come una grande holding. Nel 1936 venne poi emanata una nuova legge bancaria la
quale aboliva le banche miste. Gli effetti della crisi in Italia furono strutturali e duraturi.
La crisi bancaria del 31 si ripercosse nel USA dove Hoover, vedendo le difficoltà della Federal
Reserve, spinse i banchieri a creare la National Credit Corporation per fermare i fallimenti bancari
ma ebbe scarso successo. Poi ristrutturò l’ente nella Recontruction Finance Corporation ma non fu
comunque in grado di risolvere la crisi bancaria. Si insediò poi Roosvelt che dovette chiudere le
banche per una settimana ed emanare un Emergency Act con cui le banche di deposito non
potevano fare più investimenti a lungo termine e le banche di investimento non potevano avere
depositi e potevano rischiare quindi solo i propri capitali. Venne anche introdotta l’assicurazione
sui depositi e venne vietato il pagamento di interessi sui depositi a vista e allargati i poteri della
Federal Reserve. Venne infine creata un’agenzia di controllo della borsa. Tale regolamentazione
restò in vigore fino agli anni 80.

Assenza di cooperazione internazionale e tardivo emergere di un pensiero alternativo


A livello internazionale gli aiuti furono del tutto inadeguati ma vanno comunque citati i più
importanti.
Il 20 gennaio 1930 venne fondata a Zurigo la Banca dei regolamenti internazionali per
supervisionare il pagamento delle riparazioni, funzione che divenne inutile dopo la moratoria di
Hoover diventando il luogo di incontro dei banchieri e anticipando alcune delle caratteristiche
della Bce (Banca centrale europea).
Nel giugno 1933 ci fu il congresso di Londra per studiare i modi per uscire dalla crisi ma non si
riuscì a discutere né per abbassare il protezionismo né per stabilizzare le monete o lanciare un
programma comune di spesa pubblica.
Infine, va citato l’accordo Tripartito tra Stati Uniti, Francia e Gran Bretangna del 1936 in cui tali
paesi si rendevano disponibili a sostenere reciprocamente il corso delle loro monete per 24 ore.
Gli accordi internazionali dopo la seconda guerra mondiale, a differenza dei sopracitati, furono
molto più sostanziosi.
L’assenza di una cooperazione internazionale rese la gold standard una camicia di forza
impedendo di mettere in funzione un prestatore di ultima istanza e, inoltre, le politiche interne
volte al pareggio di bilancio peggiorarono la situazione. L’economia mondiale diventò quindi
disarticolata e discriminatoria ed emersero blocchi economici, il risultato fu la seconda guerra
mondiale.

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Keynes trasse spunto dalla crisi per proporre una sistemazione teorica originale dei
comportamenti di politica interna alternativi partendo dal fatto che l’economia si può bloccare su
uno spurio equilibrio di basso livello e quindi raccomandando un intervento anticiclo della politica
economica con politiche monetarie e fiscali espansive. Tale pensiero ebbe profonda ripercussione
sulle economie industrializzate postbelliche.

Capitolo dodicesimo, Gli anni 30 e la seconda guerra mondiale

Andranno analizzati i passaggi cruciali che portarono la Germania alla dittatura hitleriana, l’Italia
alle avventure imperialistiche e poi all’alleanza con Hitler, la Francia alla totale impreparazione
bellica, mentre l’economia inglese fu l’unica che ebbe una ripresa “normale” ma che si rilevò
insufficiente per sostenere l’attacco tedesco senza il determinante aiuto americano.

Gran Bretagna: gli effetti dell’abbandono del gold standard


La Gran Bretagna uscì dal gold standard nel 1931. Nel corso del 1932 la sterlina si svalutò del 30%
rispetto al dollaro e al franco francese ma la svalutazione media considerando anche le altre
monete fu del 13% che scese al 9% l’anno successivo. L’uscita dal GS permise una politica
monetaria interna espansiva con bassi tassi d’interesse che incentivarono gli investimenti. Inoltre,
la produzione industriale e l’edilizia ebbero un notevole recupero.
La disoccupazione scese ma si mantenne agli alti livelli degli anni 20 e per alcuni ciò era dovuto alla
mancanza di una politica fiscale keynesiana mentre altri proponevano cause strutturali: gli
investimenti riguardarono la razionalizzazione e il compattamento delle imprese lasciando
scoperte le aree della tradizionale industria inglese.
A partire dal 1938 venne intrapresa una politica di riarmo basandosi però sul fatto che la G.
Bretagna poteva contare sul sostegno americano. La vittoria infatti ci fu, ma si verificò grazie agli
Stati Uniti e la G. Bretagna divenne definitivamente una potenza di secondo rango.
Ci furono importanti conseguenze dopo la guerra, alla fine del 31 la GB tornò al protezionismo
concedendo particolari condizioni a favore dei paesi del Commonwealth con il trattato di Ottawa.
La metà delle sue esportazioni erano inviate alle colonie da cui ricevevano il 40% delle
importazioni. Questo segnò le condizioni favorevoli alla decolonizzazione.
L’atteggiamento inglese era quindi di scarso interesse nell’integrazione europea.

Germania: la riflazione di Hitler e il riarmo


La situazione in Germania vedeva imposte aumentate e tassi di interessi altissimi, questi
provocarono una progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti della Rep. di Weimar. Con
l’aumentare della disoccupazione si allargavano i consensi ai partiti estremi e soprattutto per il
partito nazionalsocialista di Hitler.
Bruning (primo ministro) dovette affrontare una serie di difficoltà:
- dal 1928 non c’erano più afflussi di capitali stranieri per il pagamento delle riparazioni e
quindi andavano utilizzati gli avanzi della bilancia dei pagamenti;
- dato il collasso dell’economia tedesca ci poteva essere il cancellamento o la sospensione
delle riparazioni (che poi avvenne);
- date che le condizioni imposte dalla Conferenza di Versailles, il marco non poteva essere
svalutato e comunque una svalutazione avrebbe aumentato il peso reale del debito;
- i salari erano inflessibili e avrebbero impedito alle politiche fiscali la loro efficacia;
- non vi erano significative elaborazioni contemporanee di linee di politica economica
Bruning non aveva alternativa alla politica restrittiva che dovette seguire e se ci fossero state
alternative probabilmente avrebbero contrastato poi il nazismo.

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Mentre invece Hitler salì al potere nel 1933, operò per riavviare gli investimenti nel settore edilizio
e del trasporto restaurando la piena occupazione prima dell’inizio del riarmo su ampia scala.
Ci fu un notevole aumento della spesa pubblica reso possibile da un ingegnoso allargamento del
credito da parte del presidente della Reichsbank Schacht il quale emise dei “certificati di credito”
che potevano essere utilizzati solo da banche e imprese.
Il riarmo ebbe inizio su larga scala nel 1936 con una nuova versione di economia mista, con una
parte delle risorse sotto controllo diretto dello stato attraverso “mercati prioritari” e un’altra parte
lasciata al mercato. L’obbiettivo era quello di crearsi uno stock di armamenti che permettesse una
guerra lampo. Lo stock di armi impressionò le potenze alleate e le portò a sopravvalutare la
capacità produttiva della Germania.
Oltre alla pianificazione, altri strumenti utilizzati per mobilitare le risorse per il riarmo furono
l’autarchia (si utilizzò con successo l’industria chimica) e lo sfruttamento economico dei paesi
dell’Europa centro-meridionale (l’obbiettivo era quello di creare uno spazio vitale attraverso
un’egemonia sui paesi europei centro-meridionali e con l’annessione di Austria nel 1938 e
Cecoslovacchia nel 1939).
Il nazismo utilizzò l’arma economica per i suoi scopi militari attivando comunque una macchina da
guerra potente e tecnologicamente avanzata.

Italia: l’imperialismo straccione


Attraverso il salvataggio bancario diretto da Benaduce, lo stato italiano si trovò a possedere il
21,5% di tutto il capitale delle SPA italiane, ma a controllare ben il 42% di tale capitale. L’Iri
controllava la totalità della produzione di armi e parte di costruzioni navali, compagnie di
navigazione, telefoni ecc, oltre alle ex banche miste (Comit, Credit e Banco di Roma) che cercò di
rivendere ai privati. L’obbiettivo dell’Iri era di razionalizzare la gestione creando delle subholding.
Nel 1937 l’Iri fu dichiarato permanente e l’anno prima venne varata una riforma bancaria che
pubblicizzava la Banca d’Italia e aboliva la banca mista, venne inoltre abbandonato il gold standard
legando la lira all’oro. Il sistema bancario italiano veniva organizzato secondo banche a breve
termine e istituti di investimento a lungo termine, tutto in mano pubblica.
Il regime fascista non considerò la svalutazione della lira fino al 1936 e ciò rese la politica
monetaria inevitabilmente restrittiva. Vennero formulati due interventi: la Bonifica integrale e
l’introduzione delle Corporazioni che dovevano essere lo strumento di superamento del conflitto
tra capitale e lavoro. Inoltre, la Camera delle Corporazioni doveva essere il luogo di
rappresentanza degli interessi comuni ed era quindi un organo strategico per la realizzazione della
“terza via” tra liberismo e pianificazione. In realtà, tale Camera si limitò a supervisionare i cartelli,
le decisioni di investimento, i prezzi e i contratti di lavoro.
Nel 1934 l’economia italiana non dava ancora segnali di ripresa e Mussolini impresse un regime un
estremo regime con un’impronta di sinistra e guerrafondaia.
Nel 1934 Mussolini iniziò a progettare un intervento militare in Africa e nel 1936 conquistò
l’Etiopia e proclamò l’impero. Con questa conquista l’Italia andò contro un accordo internazionale
e fu infatti sanzionata economicamente dalla Lega delle Nazioni.
Iniziò dunque il riarmo, nel 1938 ci fu il Patto d’Acciaio con Hitler che preannunciò l’entrata nella
seconda guerra mondiale nel giugno 1940.
Mussolini, con risultati ancor meno soddisfacenti, cercò di imitare l’autarchia hitleriana e inoltre ci
un rilevante spostamento del commercio verso la Germania. La produzione di materiali alternativi,
tuttavia, attivò ricerche e impianti che si rivelarono significativi e utili nella ripresa postbellica.
A differenza della Germania, in cui la ripresa venne innescata sulla base di investimenti in campo
civile, la ripresa italiana fu basata sul riarmo anche se con risultati inadeguati rispetto alle
caratteristiche e alle modalità della seconda guerra mondiale.

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Francia: dalla crisi alla disfatta


Con la svalutazione della sterlina iniziò la caduta della Francia in cui, però, venne svalutato il franco
solo nel 1936 dopo una politica monetaria restrittiva e una spirale deflazionistica.
Dopo lo scoppio della crisi il primo tentativo di cambiamento ci fu con il governo di sinistra di Blum
insediatosi nel giungo 1936 con il consenso di socialisti e comunisti, tale governo aumentò i salari e
diminuì le ore di lavoro (accordi di Matignon). Di conseguenza, gli imprenditori, impauriti,
iniziarono ad esportare capitali facendo svalutare il franco e gravando sugli investimenti e sulla
ripresa economica.
Dal giugno 1937 all’aprile 1938 ci fu una paralisi politica con governi di breve durata, poi a maggio
salì al potere Daladier che diede il compito di governare l’economia a Reynaud il quale varò
incentivi agli investimenti, promosse la ricerca e la raccolta di statistiche e iniziò un massiccio
programma di riarmo. Ma comunque tutto ciò non bastò per farsi trovare pronti di fronte
all’attacco tedesco del 1940 in cui la Francia venne sconfitta.
Ci sono stati molti dibattiti in merito alla disfatta (dèbâcle) francese: il governo Blum fu un
esperimento fallimentare con consiglieri inadeguati e poco informati a livello economico, inoltre, si
era stati incapaci di concepire politiche di respiro e di coinvolgere la società.
Vi furono poi voci che all’epoca non vennero ascoltate come quella di Tardieu, primo ministro
negli anni 20, che aveva preparato un piano per modernizzare gli impianti industriali. Oppure un
gruppo di laureati del Politecnico parigino formarono il “club x” per studiare i modi per uscire dalla
crisi. Va infine, ricordato il governo Pètan ampiamente condannato per la collaborazione con i
tedeschi ma che ebbe aspetti positivi a livello economico adoperandosi a migliorare la produzione
dell’industria francese, Bichelonne era a capo del Ministero per la produzione che si strutturò in
comitati settoriali, modello ripreso poi dopo la guerra.

Il New Deal americano


Il New Deal modificò profondamente l’economia e la società americana attraverso l’aumento delle
spese federali.
I principali provvedimenti all’inizio costituirono interventi di emergenza e furono:
- Glass Steagall Act, in cui venne incorporato l’Emergency Act (vedi capitolo 11);
- Fera (Federal Emergency Relief Administration) che provvedeva ad offrire lavoro in opere
pubbliche e infrastrutturali;
- Aaa (Agricolture Adjustment Administration) che aumentò i prezzi dei prodotti agricoli i
quali erano caduti a livelli troppo bassi;
- Nra (National Recovery Administration) analogo al precedente ma nell’industria;
Il successo di Roosvelt con queste manovre fece conquistare ai democratici il Congresso nel 1935 e
iniziò dunque la seconda fase del New Deal in cui i provvedimenti della prima fase diventarono
permanenti nelle politiche macroeconomiche americane:
- Aaa divenne permanente e sotto la coordinazione del Soil Conservation and Domestic
Allotment Act del 36;
- Nra venne sostituita con tre diversi interventi:
∙Nlrb (National labour relations board) creato nel 35 con il Wagner Act garantì il
riconoscimento ufficiale dei sindacati (Labour Unions), il Fair Labour Standards Act del 38
stabilì il salario minimo, un orario massimo di lavoro e il compenso per gli straordinari
∙Per quanto riguarda l’area della sicurezza sociale venne varato nel 35 il Social Security Act
che riordinò il sistema pensionistico, le assicurazioni contro la disoccupazione
∙In merito all’area dei lavori pubblici venne varato il Public Works Administration (Pwa)
che si occupò di varie agenzie, la più famosa fu la Tva (Tennessee Valley Authority) che
bonificò, elettrficò e canalizzò l’acqua in una vasta zona.

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I benefici di questa nuova legislazione non furono immediati date le proporzioni della precedente
catastrofe e dal fatto che l’Europa stava scivolando in un nuovo conflitto e ciò fece indirizzare gli
investimenti nell’industria bellica.

La seconda guerra mondiale


In Europa la ripresa degli anni 30 variò di paese in paese fino al riarmo generale che si impose fino
alla fine del decennio. In Giappone in quel periodo ci fu una grande crescita del settore pesante
dovuto al prevalere di un élite militaristica che portò alla guerra contro la Cina con l’invasione della
Manciuria e sfociò poi con l’attacco agli Stati Uniti a Pearl Harbor nel 1941
La tabella offre una visione sintetica della performance dei sei principali paesi con le loro politiche
macroeconomiche. Germania e Giappone ebbero i risultati migliori, la Gran Bretagna li segue con
un livello intermedio mentre l’Italia ebbe una debole ripresa ed è forse questo il motivo del
tentativo di imperialismo guidato da Mussolini. Le peggiori performance sono di Francia (ripresa
debolissima) e Stati Uniti (crisi gravissima).
Le politiche più brillanti godettero di politiche monetarie espansionistiche, mentre quella tedesca
si avvantaggiò di politiche economiche efficaci sotto tutti i punti di vista. L’economia americana
venne rovinata da politiche inadeguate.

La seconda guerra mondiale consumò un’incredibile quantità di risorse. L’Italia, tuttavia, ebbe una
mobilitazione modesta forse perché il regime non credeva più di tanto nella guerra e inoltre c’era
una mancanza di materie prime per consentire una maggiore produzione.
Ci fu invece un’escalation molto evidente di Germania nel 42 (finanziata dai paesi occupati) e
Unione Sovietica nel 43 (finanziata da Stati Uniti).
Germania e Gran Bretagna elaborarono le loro proposte di riorganizzazione postbellica. In
Germania prevalse l’idea-base di un Nuovo Ordine che prevedeva:
- stato corporativo di stampo fascista;
- programmazione di un’economia mista con una forte presenza statale;
- autarchia;
- lo “spazio vitale”, ossia una sorta di egemonia tedesca dell’economia europea. Questo
venne interpretato attraverso l’annessione e l’occupazione di molti paesi a cui venivano poi
richiesti contributi per l’economia tedesca. Contribuirono in particolare: il governo francese
di Pètain, la Norvegia per le materie prime strategiche, l’Italia nel periodo dell’occupazione,
Belgio e Olanda per la loro capacità produttiva. Al contrario di quanto sperato dalla
Germania, dato il loro sottosviluppo, contribuirono poco i paesi dell’Est-europeo. La
Germania cercò di realizzare piani di produzione integrati ma dovette affrontare il
problema dell’organizzazione di una forza lavoro spesso ostinata. Fra i gerarchi nazisti,
Sauckel preferiva la soluzione dell’internamento forzato in Germania con problemi logistici
elevati, mentre Speer favoriva invece la soluzione di farli lavorare in patria con problemi
legati al sabotaggio.

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In Gran Bretagna principale problema era quello di trovare risorse per far fronte a una guerra
sempre più lunga, il Commonwealth si rivelò inadeguato e ci si dovette rivolgere agli Stati Uniti i
quali nell’estate del 1940 suggerirono di liquidare gli investimenti inglesi all’estero e l’anno dopo il
congresso americano approvò il Neutrality Act secondo il quale gli aiuti sarebbero stati forniti
senza contropartita allo scopo di eliminare una ripetizione di effetti dei debiti di guerra come dopo
la prima guerra mondiale. Nel 1941 la Gran Bretagna inviò una delegazione capeggiata da Keynes
con il compito di negoziare un piano di aiuti ma insorsero delle divergenze tra americani, i quali
volevano dei precisi impegni dopo la fine della guerra e la reintroduzione del gold standard, e
inglesi. Venne raggiunto un compromesso nell’agosto 1941 e venne varata la Carta Atlantica che
affermava il principio del multilateralismo invocando un assetto mondiale cooperativo per
espandere produzioni, occupazioni e scambi, eliminando pratiche discriminatorie e riducendo le
barriere al libero commercio. Vennero poi varati altri accordi che fecero affluire alla Gran Bretagna
30 miliardi di dollari di materiale bellico di cui 10 vennero distribuite la Russia.
In tutto questo negoziato emerge l’illusione da parte di Keynes che la Gran Bretagna potesse
ancora negoziare alla pari con gli Stati Uniti. Il punto di svolta della guerra fu la partecipazione
diretta degli Stati Uniti a partire dal 1942 e la successiva vittoria degli alleati. La guerra si chiuse
con un bilancio di 55 milioni di morti, vaste distruzioni e un secondo collasso della Germania.

Capitolo 13º, le conseguenze sociali ed economiche della seconda guerra mondiale e la


ricostruzione.

La presenza americana in Europa dopo la fine della guerra e il piano Marshall


Per gli americani era chiaro che dopo la guerra non avrebbero potuto fare ritorno al vecchio
isolazionismo, nel 1943 vararono un piano di aiuti per la popolazione civile (Unrra). Poi venne il
problema dell’amministrazione delle zone tedesche occupate dove l’economia non funzionava e il
sistema monetario era nuovamente andato distrutto. Ma il problema principale era la
ricostruzione dell’Europa con un piano che desse garanzie di continuità.
La Francia al cui seguito vi erano altri paesi europei, iniziarono di nuovo digitale problema delle
riparazioni.
Un altro problema incombente era l’espansionismo sovietico che faceva leva sui partiti comunisti
cercando di inglobare sotto la propria sfera di influenza maggior numero possibile di paesi.
Gli Stati Uniti si ritrovarono di fronte al dilemma: o lasciare che l’Europa si avvitasse nella sua
spirale perversa ma in questo caso si sarebbero trovati senza un partner commerciale, o
intervenire con uno piano di aiuti ma in questo caso si sarebbe dovuto includere anche la
Germania nei paesi beneficiari.
Il 5 giugno 1947 Marshall annunciò un piano pluriennale di sostegno alla ricostruzione di tutti i
paesi europei (Erp ma meglio conosciuto come piano Marshall), l’obiettivo era di coprire mediante
aiuti americani i disavanzi delle bilance dei pagamenti dei paesi europei riattivando così il processo
produttivo senza tensioni inflazionistiche o colpi di mano politici. Il modello era basato
sull’aumento della produttività l’organizzazione scientifica del lavoro. Inoltre gli americani
progettarono un meccanismo di distribuzione dei fondi basato su due elementi portanti: si
trasferivano direttamente degli richiesti; qualunque decisione doveva essere concordata con gli
americani. La composizione dei beni vedeva la predominanza di beni necessari per rimettere in
moto il processo produttivo: 33% di materie prime; 29% di prodotti alimentari e fertilizzanti; 16%
di prodotti energetici; 17% di macchinari mezzi di trasporto; 5% altri prodotti. Il valore dei beni era
di 12,5 miliardi di dollari mentre il totale del contributo di risorse ammontò a circa 100 miliardi di
dollari; il piano durò dal 1948 al 52 anno in cui la guerra in Corea lo trasformò in un piano di
carattere militare molto più limitato. Gran Bretagna Francia furono i paesi maggiormente

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beneficiari seguite alla pari da Germania e Italia e poi dagli altri. L’utilizzazione dei beni giocò ruoli
diversi in ciascuno dei paesi beneficiari.

Il piano Marshall e gli inizi del processo di integrazione europea


Il piano Marshall fu strategico anche perché fece da leva per far nascere una nuova convivenza in
Europa. Gran Bretagna e Francia vollero egemonizzare l’amministrazione del piano alleandosi e
mettendosi a capo del gruppo delle nazioni aderenti. Nel 1948 Venne ufficializzata l’organizzazione
per la cooperazione economica europea (Oece) per permettere a ciascun paese di formulare il
proprio piano e per rendere gli obiettivi di ciascun paese compatibili ma quest’organizzazione non
ebbe potere decisionale perché i paesi europei avevano ancora una forte individualità nazionale.
I francesi continuavano a richiedere un’Alta autorità che tenesse sotto controllo la Ruhr e la
possibile rinascita dell’industria pesante tedesca e il ministro degli esteri francese Schuman trovò
un accordo con i tedeschi per la costituzione di un organismo congiunto sovranazionale con pieno
potere decisionale, aperto all’adesione di altri paesi per il controllo dei settori del carbone e
dell’acciaio. Tale accordo ruppe la cooperazione anglo-francese; vi parteciparono Francia,
Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia e venne firmato nel 1951 sotto il nome di
comunità europea del carbone dell’acciaio (Ceca). La Ceca creò un mercato comune per il carbone
e l’acciaio, rimuovendo dazi e altre restrizioni e armonizzando tecnologia e salari. Si rivelò
strategica per aprire l’integrazione economica europea a cui la Gran Bretagna non volle
partecipare isolandosi fino agli anni 60.
Nel 1950 viene creata l’Unione Europea dei pagamenti (Uep) per finanziare temporanei deficit
delle bilance dei pagamenti allo scopo di non intralciare i flussi di importazioni ed esportazioni e fu
il primo esperimento di cooperazione monetaria.
In conclusione, il piano Marshall reintrodusse il multilateralismo, diede un impulso strategico al
processo di integrazione europea, avviò un’era di grande espansione economica mondiale, estese
le aree di negoziati internazionali, diffuse il modello americano di organizzazione economica in
Europa.

Creazione di organismi economici internazionali: Gatt, Fmi e Banca Mondiale


Nel 1946 venne formato all’interno delle Nazioni Unite in comitato per la costituzione di un
organismo deputato alla supervisione del commercio
internazionale, nel 1948 quando in funzione il Gatt
come una sorta di forum per negoziati commerciali i
cui criteri furono:
- l’applicazione generalizzata della clausola
della nazione più favorita (Npf) con qualche
eccezione come le clausole antidumping, le
unioni doganali e gli accordi del
Commonwealth;
- l’eliminazione delle restrizioni quantitative;
- la concessione delle stesse condizioni fra tutti
partner con eccezioni per i paesi più arretrati.
Sul fronte monetario vi furono due proposte
alternative (tabella):

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Il governo americano appoggiò il proprio progetto (White) con qualche emendamento ispirato alle
idee di Kaynes e nel 1944 a Bretton Woods Venne creato il Fondo monetario internazionale (Fmi) e
la Banca mondiale. Inoltre l’articolo 14º dello statuto della Banca mondiale le impediva di
occuparsi della ricostruzione europea per la quale gli americani avevano già lanciato il piano
Marshall. La Banca mondiale divenne una banca per lo sviluppo dei paesi arretrati mentre il Fmi si
occupò principalmente della supervisione del nuovo sistema di cambi fissi (La supervisione sul gold
exchange standard fu impeccabile creando le condizioni, insieme ad altri fattori, per un
abbandono del gold standard nel 1973 con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro. Da allora
in poi prevalse un sistema mondiale di cambi fluttuanti che non necessitava più di un fondo
intervento) e degli interventi di sostegno finanziario a paesi temporaneamente in difficoltà ( in
questo caso aveva limitato potere d’intervento date le scarse risorse di cui disponeva).
In conclusione, nel secondo dopoguerra ci fu un grande attivismo istituzionale a livello
internazionale sia a livello economico, sia a livello politico (l’Onu) e militare (Nato, 1945) per la
necessità di monitorare fin dal loro sorgere gli sviluppi degli inevitabili shock per cause naturali e
per conflitti generati da popoli e individui al fine di impedire tremende conseguenze. La creazione
di organismi internazionali contribuirono a multilaterizzare i negoziati.

La ricostruzione nei quattro principali paesi europei


La capacità produttiva di vari paesi era stata molto meno distrutta delle infrastrutture ad esempio
in Italia era stata persa non più del 10% della capacità produttiva industriale. Non era quindi la
capacità produttiva che mancava, ciò che mancava era un contesto internazionale favorevole alla
ripresa produttiva. I migliori risultati vennero ottenuti dalla Germania, quindi da Austria, Italia e
Francia, mentre tutti gli altri paesi si attestano su livelli di aumento tra il 10 e il 17%. I paesi con i
migliori risultati produttivi sono quelli che hanno utilizzato una maggior quantità di fondi di
contropartita per scopi produttivi.
∙La lentezza dell’economia inglese è collegata alla scarsa attenzione nell’aggiornare tecnologie e
anche probabilmente alla mancata partecipazione alla Ceca. Altri fattori notevoli furono: il
National Insurance Act che introduceva il servizio sanitario nazionale, il pagamento degli assegni
familiari e delle pensioni di vecchiaia; Le stesse nazionalizzazioni dei settori del carbone, acciaio,
elettricità eccetera. La presenza di un esteso settore nazionalizzato inglese non si combinò con una
forte politica industriale e ciò impedì l’utilizzazione espansiva delle imprese pubbliche.
∙In Germania sono da ricordare: la riforma monetaria del 48 che fece ritornare in funzione
l’economia di mercato e rimise in piena attività industria tedesca; l’adozione di un’economia
sociale di mercato ossia di un’economia mista attenta a correggere gli effetti distributivi più
inaccettabili; una cooperazione tra capitale e lavoro permessa dalla cogestione ossia dalla
presenza dei rappresentanti sindacali nel consiglio di supervisione delle imprese. L’insieme di
queste politiche permisero alla Germania una ripresa rapidissima e poi un miracolo economico.
∙In Francia il sistema produttivo fu rimesso in moto da De Gaulle nel 46 con la decisione di
affidarsi a un sistema di programmazione a cui seguì un consenso nazionale attorno ad obiettivi
produttivi di base e venne formulato il primo piano quinquennale. I risultati furono considerati così
positivi che la programmazione divenne uno strumento permanente in Francia fino alla fine degli
anni 70.
∙In Italia si dovette lavorare sulla restaurazione della democrazia con la presenza di un forte
partito comunista che, con l’alleanza con i socialisti, minacciava di vincere le elezioni. Nel 48 vinse
le elezioni il partito di Democrazia cristiana che amministrò il piano Marshall con una scelta
produttivistica ed europeista ed europeista entrando poi nella Nato. L’imprenditoria italiana fu in
grado di recepire quel tanto che serviva ad attrezzare le sue più grandi imprese, mentre mostrò

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capacità di riorganizzazione creativa del vasto mondo dell’artigianato e della piccola impresa,
lanciando il paese in un miracolo economico analogo a quello tedesco.
Capitolo 14º, dall’età dell’oro della crescita europea al ritorno dell’instabilità

L'Europa non aveva mai sperimentato una crescita simile a quella avvenuta la seconda metà del
20º secolo ma questo processo venne interrotto da eventi che ne abbassarono di molto la velocità
fino ad innescare effetti perversi che arrivarono a produrre una nuova grande crisi.

Miracoli economici: fatti e interpretazioni


Fino alla caduta dell’Unione sovietica parlando di Europa si intende l’Europa occidentale in quanto
la parte orientale ebbe vicende separate e fu chiusa in una cortina di ferro per isolarla dalla
contaminazione con il capitalismo occidentale. All’Europa orientale era stato imposto il modello
sovietico di eliminazione della proprietà privata e pianificazione centralizzata e i suoi rapporti
economici erano prevalentemente con l’Unione sovietica all’interno di un’organizzazione di
scambi nota come Comecon.
Per quanto riguarda invece l’Europa occidentale ci fu una grande espansione fino al 1973;
basandosi sul leader degli Stati Uniti si vede che c’è
stato un grande processo di catching up da parte
dell’Europa occidentale e ancora più del Giappone. I
paesi sono maggiormente cresciuti sono quelli con
livelli nati iniziano più bassi, va sottolineato il caso
della Gran Bretagna come paradigmatico dato che è
rimasta a livello di 72 rispetto agli Stati Uniti.
L’Italia ha avuto un tasso di crescita fra i più alti in
assoluto e pari quello della Germania. Mentre i tre
paesi mediterranei, Grecia, Portogallo, Spagna, che
partivano da livelli simili a quelli del Giappone sono
sì stati in grado di crescere ma ben al di sotto della
performance giapponese.
Su questi dati si basa l’espressione “età dell’oro” usata per indicare la robusta espansione
postbellica dell’Europa occidentale, i principali elementi interpretativi sono:
- Creazione di istituzioni nuove che si rivelarono particolarmente adatte a promuovere il
coordinamento delle politiche economiche. A queste va aggiunto il processo di
integrazione europea;
- Vasta riserva di forza lavoro disoccupata e pronta a riversarsi nell’industria senza pretese di
aumenti salariali che fece allargare il settore industriale realizzando un processo di capital
widening;
- I “vantaggi dell’arretratezza” che permisero all’Europa di imitare gli Stati Uniti
americanizzandosi;
- Liberalizzazione progressiva del commercio internazionale grazie al Gatt con una migliore
specializzazione del lavoro e un aumento della competizione;
- Bassa crescita dei prezzi delle materie prime;
- Bassi livelli di speculazione finanziaria dovuti ai tassi di cambio fissi (sistema Bretton
Woods);
- Politiche economiche interne espansive con un sostengo della domanda e politiche
industriali di qualificazione e sostegno dell’offerta.

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Inoltre l’introduzione e la diffusione del welfare state permise di contenere le disuguaglianze al


punto da generare l’idea che la crescita per sua matura è in grado di diffondere benessere su tutta
la popolazione.

Welfare State
Il principio di solidarietà è insita nella civiltà europea e ha origine nelle sue radici cristiane. Con
l’avvio della rivoluzione industriale la spinta solidaristica subì una forte crescita con una graduale
consacrazione istituzionale, sia nel fisco progressivo (tassazione più elevata nei ricchi) sia nella
copertura sempre più generalizzata e con sussidi pubblici. Dopo la seconda guerra mondiale si
andò alla ricerca di una società più equa e giusta. I principali campi di intervento furono: pubblica
istruzione, servizio sanitario nazionale, sussidi di disoccupazione o accertamento dello stato di
bisogno, pensioni, assistenza per particolari forme di svantaggio e altri aspetti correlati come la
cultura e la tutela dell’ambiente naturale.
I modelli europei di welfare sono due: quello tedesco e quello nordico.
Il modello tedesco è noto come economia sociale di mercato per il suo finanziamento a carico
principalmente dei datori di lavoro. Venne introdotto da Bismark nel decennio 1880 e
generalizzato dopo la seconda guerra mondiale con l’introduzione anche della cogestione
(Mitbestimmung 1952) che assicurava ai lavoratori una presenza di consigli di sorveglianza delle
grandi imprese.
Il modello svedese vede anch’esso l’impegno pubblico a tutela del cittadino come ampio e solido
ma ne differisce rispetto a quello tedesco nel fondamento infatti esso viene erogato come diritto
di cittadinanza e non come benefit legato al lavoro. Si è fatto leva sui diritti sociali di ogni cittadino
per innescare la crescita economica. Nel 1946 il governo socialdemocratico attuò una serie di
riforme a sostegno della costruzione dello stato sociale, le ricadute sul sistema produttivo furono
estremamente positive e l’elevata tassazione ricavata dall’aumento del reddito andò compensare
e ridurre il debito pubblico inizialmente sostenuto.
Gli Stati Uniti hanno a lungo criticato questi modelli di welfare e dopo la crisi del ’29 venne attuato
il Social Security Act con l’obbiettivo di ridurre al minimo l’impegno dello Stato lasciando i rischi
sociali a carico dei cittadini con l’eccezione di quelli caduti in povertà ed è solo con la presidenza di
Barack Obama che c’è stato un tentativo di aiutare anche quella fascia intermedia di cittadini.
L’impatto del welfare state ha avuto un’incidenza crescente dal 1980 al 2013
ad eccezione degli Stati Uniti che hanno la spesa
pubblica più bassa rispetto a tutti gli altri paesi.
L’Irlanda e la Gran Bretagna mostrano un’incidenza più
bassa rispetto agli altri paesi europei mentre i paesi con
l’incidenza maggiore sono Svezia, Belgio, Finlandia,
Danimarca e Svezia.
A partire dal 20° secolo il welfare state è entrato in crisi
dato l’invecchiamento della popolazione, l’aumento di
costi delle prestazioni e del sorgere di nuove povertà così
che si sta passando a un maggiore coinvolgimento della
società civile e cioè verso un welfare society.

I cambiamenti di regime degli anni Settanta


La dinamica salariale divenne vivace con le proteste sindacali tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli
anni 70 con tanti movimenti (es. autunno caldo italiano) che segnarono una discontinuità nel
campo della crescita.

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Il regime dei cambi fissi del gold exchange (il regime di Bretton Woods) venne abbandonato nel
1973 aprendo la strada ai cambi flessibili. Inoltre, i prezzi di alcune materie prime aumentarono
(soprattutto il petrolio) e, infine, si fece largo la terza rivoluzione industriale. Tutto questo causò
un arresto della crescita europea e il ritorno a un’economia mondiale instabile. L’Europa cercò di
far fronte a ciò attraverso la continuazione del processo di integrazione europea e tra il 1973 e il
1975 i tassi di crescita europei restarono comunque superiori a quello americano facendo
proseguire il processo di convergenza ma tale panorama è cambiato molto tra 1975 e 2007. Il
processo di convergenza sembra essersi arrestato prima di aver raggiunto la sua meta finale ossia
l’eguagliamento dei livelli di reddito europei e giapponesi con quello americano ma occorre
ricordare che il Pil è risultato di varie variabili e che ci sono notevoli differenze in queste variabili
tra paese e paese e soprattutto tra Europa e Stati Uniti che portano a concludere che la
convergenza si è realizzata prima della fine del 20º secolo ma ciò non emerge chiaramente dai
dati del Pil perché in Europa si lavora generalmente meno che negli Stati Uniti e i tassi di
occupazione sono spesso inferiori.
Il processo di imitazione della tecnologia americana è sostanzialmente giunta alla conclusione e
dunque l’Europa si deve attrezzare a diventare un’area innovativa.

La terza rivoluzione industriale e la globalizzazione


La terza rivoluzione industriale ha portato a un notevole cambiamento nel sistema produttivo, con
un progressivo abbandono di catene di montaggio rigide e l’introduzione della cosiddetta
produzione flessibile sia all’interno della fabbrica con l’introduzione di robot e di impianti
automatici sia nella localizzazione delle fabbriche stesse che ora si frammentano in tanti luoghi
diversi. Il commercio mondiale è costituito da prodotti in cui componenti provengono da diversi
paesi e vengono poi assemblati (made in the world). Le imprese sono spinte a delocalizzare e sono
organizzate a rete con legami che vanno oltre il mercato e che assumono varia natura
contrattuale. Questo ha generato nei paesi sviluppati la corsa a spostarsi su settori lavorazioni ad
alto valore aggiunto. Un’altra conseguenza della terza rivoluzione industriale è che il lavoro
d’ufficio è stato reso più efficiente con l’elaborazione di software dedicato e il mercato del lavoro
ha subito un cambiamento notevole assumendo una forma a clessidra in cui il lavoro generico è
ancora necessario mentre quello direzionale si è molto allargato, ma è il segmento intermedio a
essersi notevolmente ristretto assottigliando le cosiddette classi medie.
Inoltre il processo di imitazione avviene maniera più rapida dando origine a processi di crescita
miracolosi nei Brics e a una vera e propria corsa alle invenzioni nei paesi avanzati. Diventa quindi
necessario fornirsi di laboratori di ricerca e far parte di reti di ricerca a livello internazionale e
internazionalizzarsi.
Tutto questo ha portato l’attività produttiva ad essere molto più complessa e competitiva.

“Deregulation” e finanziarizzazione dell’economia


Convenzionalmente il 1963 è l’anno di nascita del mercato dell’eurodollaro E cioè quando per la
prima volta l’unione sovietica depositò dollari presso banche occidentali senza intenzione di
cambiarli in propria moneta. Da quel momento in poi le banche dell’Europa occidentale si
ritrovarono con consistenti depositi in dollari che pensarono di utilizzare per impieghi nella
medesima moneta. Durante gli anni 70 questo mercato ebbe un’impennata e fece apprezzare a
molte banche la mancanza di regolamentazione che permetteva guadagni maggiori anche se con
rischi più elevati. Così, durante i primi anni 80, iniziò una lunga catena di crisi finanziarie dovute a
eccessi di credito a paesi con scarsa possibilità di restituzione.
Dunque furono necessarie alcune innovazioni finanziarie, in primo luogo si fece una
cartolarizzazione (securitization) per poter vendere a sconto di crediti, recuperare liquidità ed

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effettuare con quella altre operazioni. Di lì in poi crebbe la presenza di una serie di titoli che
avevano lo scopo di permettere rendimenti maggiori cercando di bilanciare i rischi. Le banche si
tramutarono da aziende di servizio alla produzione e al consumo attraverso il credito in produttori
di profitti da ingegneria finanziaria. Tale impennata delle attività finanziarie a livello mondiale è
stata generata da un forte cambiamento avvenuto negli Stati Uniti. Infatti negli USA venne avviato
un processo di liberalizzazione del settore noto come deregulation, iniziato con Reagan nel 1980 e
che procedette senza sosta, eliminando le restrizioni dimensionali, favorendo fusioni e creazioni di
filiali fino ad arrivare nel 1999 all’abolizione del Glass Steagall Act e quindi permettendo alle
banche di investimento di utilizzare per le proprie attività anche depositi dei clienti. Le banche
americane però restarono comunque molto differenti da quelle del modello di banca universale
tedesco in quanto questo era abilitata all’uso dei depositi a scopi di investimento industriale
mentre la banca americana non aveva una tradizione all’investimento nell’industria e si occupò
degli investimenti in titoli al puro scopo di effettuare acquisti e vendite (trading) che generassero
profitti di breve periodo e quindi gli investimenti americani non erano un sostegno dell’attività
produttive o del risparmio privato.

Capitolo 15º, Il processo di integrazione europea

Il trattato di Roma e l’unione doganale


Dopo la Ceca, l’Europa prova a costruire una comunità europea di difesa (Ced) ma fu un clamoroso
insuccesso.
Nel giugno del 1955 si riunirono a Messina i ministri degli esteri dei sei paesi aderenti alla Ceca ed
emerse la proposta di creazione di un’unione doganale. La Gran Bretagna rifiutò l’invito. il 25
marzo 1957 vennero firmati a Roma due trattati: quello istitutivo della comunità economica
europea (Cee o Mec mercato comune europeo) e quello che creava la comunità europea
dell’energia atomica (Euratom). Il Cee/Mec fu d’importanza cruciale perché fece della comunità
europea un soggetto unitario di negoziati internazionali sul piano commerciale, l’abolizione delle
barriere doganali interne bene scaglionata sull’arco di 10 anni con la totale eliminazione dei dazi
nel 1968. Durante questo periodo il commercio dei sei paesi registrò un vero e proprio boom e
venne nettamente creato un nuovo commercio, almeno nei prodotti industriali.
Come risposta, i paesi dell’Europa occidentale che ne erano rimasti fuori formarono l’area europea
di libero scambio (Efta) che aboliva i dazi interni, ma lasciava libertà ai vari paesi aderenti di
negoziare dazi verso l’esterno.
L’Unione Europea UE, anche per la successiva adesione di altri paesi europei, divenne il più
importante soggetto di commercio internazionale e fece la sua parte nella progressiva
liberalizzazione del commercio mondiale, pur mantenendo un’agricoltura molto protetta e una
serie di particolari sussidi per settori in crisi (acciaio) o maturi (tessili) o considerati strategici
(aereoplani). Molti di questi interventi protezionistici sono stati criticati soprattutto dagli Stati Uniti
accreditando alll’Unione Europea il fatto di essersi chiusa in una fortezza, che non corrisponde al
vero, sia perché l’Unione Europea non era la sola area avanzata a praticare del protezionismo (ad
esempio il Giappone) sia perché, l’apertura dell’economia dell’Unione Europea al commercio
internazionale è superiore a quella degli Stati Uniti e del Giappone.
Un’altra caratteristica importante del commercio esterno europeo è che importazioni ed
esportazioni sono abbastanza bilanciate.
Nei confronti dei movimenti di capitali, i controlli rimasero estesi, fino alla liberalizzazione del
1990. Col trattato di Roma Venne istituita la banca europea degli investimenti (Bei) come agenzia
di finanziamento dello sviluppo. Mentre su pressione italiana, per il lavoro è stata introdotta la

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libertà di movimento dei lavoratori all’interno dell’Unione, con parità di trattamento e diritto
all’accumulazione dei benefici sociali maturati in paesi diversi.

Le successive adesioni
La Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca fecero domanda di adesione nell’agosto 1961 ma la
presenza di al potere di De Gaulle e l’atteggiamento sempre poco collaborativo degli inglesi
indusse i francesi a porre il veto nei confronti di tale domanda, che venne dunque accantonata. La
domanda venne poi rinegoziata e si aggiunse anche la Norvegia la quale poi però non ratificò
l’adesione che ci fu nel 1972. L’inclusione della Gran Bretagna non fu facile perché venne a
coincidere con gli anni travagliati dell’abolizione del sistema di cambi fissi noto come sistema di
Bretton Woods e con lo scoppio delle crisi petrolifere e dell’instabilità internazionale. Mentre per
Danimarca Irlanda il processo di integrazione economica avvenne in maniera più rapida e facile, e
soprattutto per l’Irlanda segnò l’inizio di un processo di sviluppo fenomenale.
Venne poi il turno della Grecia con una domanda di adesione nel 1975 dopo il ritorno della
democrazia; il trattato di adesione venne firmato nel 79, tale paese non riuscì a sviluppare
consistenti flussi di esportazioni nell’unione ma riuscì comunque a restare agganciato al resto
d’Europa come fanalino di coda. Nel 1977 anche la Spagna il Portogallo, liberatisi delle rispettive
dittature presentarono domanda di adesione che venne firmata nel 1985. A questo punto l’Efta
era ormai ridotta al lumicino gli ultimi paesi che facevano parte si risolsero fare domanda, venne
firmato il trattato per la creazione dello spazio economico europeo nel 1992 e poi nel 1994
vennero annessi tutti paesi ex Efta nell’Unione stessa ma solo tre aderirono ossia Austria, Finlandia
e Svezia mentre Norvegia e Svizzera non ratificarono restando nello spazio economico europeo.
Nell’Europa dell’est crollava l’egemonia sovietica dando luogo nel 1990 all’unificazione della
Germania, nello stesso anno l’unione europea creò la banca europea per la ricostruzione e lo
sviluppo (Bers) con un impegno considerevole che oltre agli aiuti materiali prevedeva un processo
di institution building per sostenere la transizione delle istituzioni di quei paesi dell’est Europa
verso un’economia di mercato.
Nel 2005 vennero accolti nell’unione 10 paesi (Cipro, Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica ceca,
Slovenia, Malta, Slovacchia, Lettonia, Lituania) mentre gli altri due (Romania e Bulgaria) lo furono
il 2007. Nel 2015 entrò la Croazia e tuttora è in corso la candidatura in stand-by della Turchia in
quanto uno dei requisiti per diventare membri dell’unione prevede una solida democrazia.
Per quanto riguarda il posizionamento dei vari paesi all’interno dell’Unione Europea si può dire
che si nota un marcato processo di convergenza del Pil pro capite a parità di potere acquisto verso
la media.

La politica agricola comune (Pac)


Nel trattato di Roma era prevista una omogeinizzazione all’interno del Mec degli interventi
protezionistici in vigore nei paesi membri. L’agricoltura contava molto sia in termini di addebiti che
di valore aggiunto e l’obbiettivo del protezionismo agricolo era di evitare all’Europa il destino
dell’Inghilterra quando questa aveva abrogato le Corn Laws nel 1846 con la successiva rapida
scomparsa del settore agricolo. Occorreva dunque sostenere i redditi degli agricoltori.
Dall’inizio degli anni 1960 si è delineata una Politica agricola comune (Pac) accordandosi su di un
protezionismo basato sul sostegno dei prezzi di prodotti strategici (cereali, carne, prodotti caseari)
e su dazi doganali fissati ad valorem ma in modo compensativo per neutralizzare la variabilità dei
prezzi mondiali. Ogni primavera dunque venivano accordati i prezzi di intervento da mantenere

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fissi durante il successivo anno, inoltre, venivano ritirati i prodotti in eccesso ai prezzi di intervento
e stoccandoli in magazzini comunitari. Tale sistema entrò in funzione nel 62 amministrato dal
Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (Feoga), fu uno schema abbastanza costoso
rispetto al modesto bilancio dell’Unione. Nei successivi anni tale sistema venne esteso ad altri
prodotti. Il costo di tale politica è ricaduto sui consumatori ma il suo effetto trasformò l’Europa da
area tradizionalmente importatrice di prodotti alimentari ad area esportatrice. Per non far
ingolfare il sistema, il Feoga decise di sussidiare le esportazioni coprendo la differenza tra prezzi
interni alla Comunità e prezzi mondiali così da potersi liberare di stock che sarebbero altrimenti
marciti.
La Ue ha avuto una performance molto più dinamica delle esportazioni e per un corrispettivo
contenimento delle importazioni rispetto a Stati Uniti e Giappone.
Il sistema affondò con una prima crisi con l’abolizione dei cambi fissi e le difficoltà durante gli anni
70 in merito all’amministrare i prezzi comuni. Vennero quindi introdotte le monete “verdi” dal
valore fissato ogni anno e la differenza tra il loro valore e quello delle varie monete era
determinato dal mercato dando luogo a “montanti monetari compensativi”.
La seconda crisi ci fu nella metà degli anni 80 per un’eccessiva prevalenza di interessi agrari sul
bilancio dell’Ue. Inoltre, durante l’ultimo round del Gatt, l’Uruguay Round, gli americani avevano
fatto pressione per diminuire il protezionismo agricolo europeo.
Si arrivò dunque alla riforma integrale della Pac nel 1992 come riforma MacSharry che prevedeva
una progressiva diminuzione dei prezzi di intervento, un passaggio a schemi di compensazione
diretta dei redditi degli agricoltori, l’imposizione di quote di produzione per i prodotti per i quali si
verifica una maggiore eccedenza, compensi per la conversione di aree coltivabili in aree
riforestate, incentivi alla coltivazione di prodotti per i quali non vi è eccedenza, per il
miglioramento della qualità e per il maggior rispetto dell’ambiente.
Con l’Uruguay Round nel 94 e l’entrata in vigore dell’Organizzazione mondiale del commercio Omc
nel 95 ci si accordò anche sulla traduzione in dazi delle varie forme di protezionismo agricolo per
semplificare i negoziati, eliminare progressivamente i sussidi alle esportazioni, introdurre quote
minime di importazioni e per offrire trattamenti preferenziali ai paesi in via di sviluppo.
Con l’apertura dei negoziati a Doha 01 l’obbiettivo principale era di abbassare il protezionismo in
agricoltura e l’Ue si rese conto che la riforma del 92 non era sufficiente perciò introdusse la
riforma Fischler nel 03 che prevedeva l’abbandono dell’approccio per sostenere i prezzi di mercato
a favore di un sostegno diretto ai redditi degli agricoltori.
Dal 2014 sono stati posti alla base dei pagamenti effettuati dall’Ue una serie di indicatori legati alla
gestione ambientale, alla biodiversità, al miglioramento delle tecnologie e alla salvaguardia del
paesaggio. Dopo decenni di protezionismo agricolo si può quindi pensare di diminuire i costi di tale
protezione puntando sulla qualità dei prodotti e dell’ambiente riaprendo i mercati agricoli della Ue
ai paesi in via di sviluppo.

Le politiche regionali e sociali


Nel 1974 venne creato il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) per evitare che le
difficoltà internazionali peggiorassero le condizioni delle regioni europee meno sviluppate. Nei
primi anni 80 vennero sperimentati interventi più compatti e completi con i Programmi integrati
mediterranei Pim con lo scopo di coordinare tutti gli interventi. In merito a ciò ci fu una prima
riforma nel 95 con la sostituzione delle quote fisse con indicatori quantitativi che stabilivano i
termini di allocazione per ciascun paese. La riforma vera e propria ci fu nel 98 con la
riorganizzazione dei fondi strutturali in un disegno unitario che fissava tutti gli obbiettivi (oltre allo
sviluppo di aree arretrate, la lotta alla disoccupazione, il sostegno alle aree in declino, la

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promozione di regioni a bassa intensità abitativa). L’aspetto più importante era che i fondi erano
allocati a livello regionale.
In campo sociale vennero introdotti i Programmi di azione sociale che si occuparono di migliorare
le condizioni di lavoro, realizzare la parità tra i vari soggetti lavorativi, incentivare il dialogo tra le
parti sociali, arrivare al mutuo riconoscimento dei titoli di studio fino a giungere nel 89 alla Carta
dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori.
Con il trattato di Maastricht aumentarono i fondi strutturali e venne attivato nel 93 il Fondo di
coesione per i paesi con un reddito pro capite nazionale inferiore al 90% della media europea. Poi
con l’entrata dei nuovi membri vennero attivati progetti transfrontalieri per unificare la Ue dal
punto di vista infrastrutturale e per modernizzarla con la promozione di nuove fonti di energia.
Da un’analisi dei dati è emerso che è avvenuto un processo di convergenza regionale continuo e
sostenuto pur essendo più marcato tra i paesi rispetto alle regioni. È emerso inoltre che le regioni
centrali di ciascun paese sono più dinamiche rispetto a quelle periferiche e un esempio lampante è
quello del Mezzogiorno italiano.

Il sistema monetario europeo


Nel marzo 1972 venne varato il “serpente” monetario che prevedeva una fluttuazione delle
monete comunitarie fra loro limitata a ±2,25 e un agganciamento al dollaro con una fluttuazione
di ±4,25%. Tale serpente durò solo 7 settimane.
L’asse franco-tedesco andò poi in crisi e dopo una serie di consultazioni venne varata una versione
più matura del serpente nel 1978 con il Sistema monetario europeo Sme basato sulla fissazione
della parità di ciascuna moneta con una moneta-paniere di riferimento, l’Ecu, il cui valore veniva
determinato come media ponderata delle monete della Comunità e quando una moneta aveva
una divergenza dalla parità del ±2,25% c’era l’obbligo di intervento con la possibilità di qualche
aiuto temporaneo che se non era sufficiente portava al riallineamento in maniera coordinata per
evitare svalutazioni competitive. Lo Sme ha riportato un notevole successo nell’accompagnare il
rientro dall’inflazione da parte di molti paesi europei e nell’aumentare la stabilità monetaria in
Europa. Tra estati 92 e 93 ci fu una grande tempesta speculativa che fece uscire lira e sterlina dallo
Sme consigliando di allargare a ±15% la banda di fluttuazione ma ormai l’esperienza dello Sme era
giunta al termine.

Politiche industriali e mercato unico


Il rallentamento della crescita durante dalla metà degli anni 70 portò a una serie di interventi in
campo industriale. In primo luogo vennero trattati gli interventi “difensivi”:
- il settore dell’acciaio dal 74 con la ristrutturazione o la chiusura di molti impianti
sussidiando la riconversione o il prepensionamento di molti lavoratori;
- settore delle fibre artificiali dal 78;
- cantieri navali con il dimezzamento della capacità produttiva e soffermandosi sulla qualità
- impese metalmeccaniche con l’incoraggiamento a realizzare accordi per razionalizzare la
produzione.
In secondo luogo, sorse l’idea di lanciare progetti di ricerca sostenuti dall’Ue un esempio è il
progetto Ensprit nel 1980 che riguardava l’elettronica, settore debole in Eu. Questo progetto ebbe
successo e seguirono una vasta serie di altri progetti di ricerca (Eureka, Race ecc). Dal 1987 l’Ue
stabilì con programmi-quadro i principali obbiettivi che si volevano raggiungere nei successivi 5
anni. Venne poi approvato il progetto Erasmus e l’importanza della ricerca portò alla creazione nel
2006 di un Consiglio europeo per la ricerca che seleziona le ricerche e concede borse di studio.
Per quanto riguarda il progetto di “mercato unico”, nel 1985 venne approvato l’Atto unico che
riguardava la sua realizzazione e conteneva anche l’elevazione a circa tre quarti delle decisioni che

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si potevano prendere a maggioranza invece che all’unanimità e l’inclusione di nuovi ambiti di


attività dell’Unione (politiche regionali, sociali, industriali, tecnologiche, ambientali, monetarie).
Per la realizzazione del mercato unico si vollero seguire due criteri guida:
- Armonizzazione della legislazione europea in tutti i campi di fondamentale importanza e
quindi vennero concordate circa 300 risoluzioni;
- Adozione del principio di “mutuo riconoscimento” per quanto riguarda gli ambiti che non
necessitavano di un’armonizzazione. A tale riguardo, prodotti e servizi potevano essere
confezionati secondo la legislazione in vigore in uno dei paesi dell’Unione per poi venire
offerti su tutti i mercati della Comunità, senza discriminazioni.
Vennero poi aboliti i controlli di frontiera e si poteva finalmente parlare di un mercanto “interno”
all’Europa. Sorsero, però, dibattiti in merito a un’efficace legislazione antitrust e si ritenne
indispensabile dotarsi di uno strumento per tutelare il mercato comunitario nei confronti delle
concentrazioni e acquisizioni attraverso il Merger Control Act n. 4064 del 90. In esso veniva
definita una dimensione comunitaria delle imprese che ricadevano sotto la giurisdizione della
legislazione europea.
Con grande sorpresa si riuscì entro il 92 a liberalizzare i mercati dei capitali, ad accelerare
l’armonizzazione in campo sociale, con l’adozione della Carta comunitaria si riuscì ad avviare
l’unificazione monetaria e a giungere ad un nuovo trattato in cui si parlava di Unione Europea.

Il trattato di Maastricht e la nascita dell’Unione Europea


Dal 88 iniziarono le discussioni in merito al progetto di unione monetaria e di cooperazione politica
e militare. Nel 1991 a Maastricht venne presentato un nuovo trattato (trattato di Maastricht) che
comprendeva 252 articoli nuovi o risultanti da modifiche dei trattati Ceca, Cee e Euratom oltre a
una riorganizzazione di tutta la precedente legislazione in campo economico e all’istituzione
dell’Ue incorporando le disposizioni:
- sulla realizzazione dell’unione monetaria Uem;
- su una politica estera e di sicurezza comune Pesc:
ci furono scarse novità sul piano politico mentre in merito alla sicurezza venne rilanciata
l’Unione dell’Europa Occidentale Ueo;
- sulla cooperazione di polizia e giustizia Aig:
venne rafforzata di molto la cooperazione di polizia, inoltre, in merito alla politica di
immigrazione si sono fatti passi avanti e su pesante sollecitazione italiana venne lanciata
nel 2014 l’operazione Triton per controllare il Mediterraneo.
L’aggiunta forse più significativa è quella riguardante la cittadinanza dell’Unione secondo cui è
cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro.
Su insistenza inglese venne inserita una clausola di “non coercizione” secondo la quale era
possibile da parte di qualche stato membro non aderire a singoli aspetti delle nuove decisioni.

L’unione monetaria, l’euro e l’unione bancaria


La principale innovazione del trattato di Maastricht è stata la creazione dell’Uem attraverso tre
stadi per la realizzazione della moneta unica:
1 stadio, fissazione di criteri di convergenza delle economie, da verificare nel 98
2 stadio, creazione dell’Istituto Monetario Europeo Ime nel 94 che è l’embrione della Banca
centrale europea Bce, passaggio dello statuto delle banche centrali dell’Uem verso forme di più
accentuata autonomia del Tesoro, costituzione di un Sistema europeo delle banche centrali Sebc
3 stadio, fissazione della parità irrevocabile delle monete dell’Uem e creazione della moneta
europea, l’euro, da mettere in circolazione dal 2002 iniziando con una parità col dollaro.

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L’adesione a tale programma ha visto l’impegno di 11 dei 15 paesi dell’Unione con l’esclusione di
Grecia, Svezia, Danimarca e Gran Bretagna.
L’Italia con Prodi ha preparato una spettacolare rincorsa per raggiungere i criteri di convergenza
evitando all’Italia una rottura del legame con l’Europa.
A partire dal 2002 l’euro si rivelò subito debole rispetto al dollaro poi si riprese per poi crollare con
la crisi internazionale del 2008. In tale crisi la speculazione colpì l’euro in vari modi: crisi in Grecia,
Irlanda, Portogallo, Spagna e infine il crollo del debito pubblico italiano. I problemi strutturali
dell’area dell’euro erano legati a politiche fiscali e di competitività troppo diverse tra i paesi che
facevano parte di tale area. L’euro rischiò di collassare ma il pericolo venne scongiurato con
importanti riforme attuate nel 2012:
- sistema di sorveglianza della finanza a livello dell’Unione rinforzato;
- creazione di un fondo di intervento antispeculazione consistente 1000 miliardi di euro;
- Fiscal Compact ossia un meccanismo di convergenza fiscale obbligatorio;
- l’Unione Bancaria
È ormai opinione comune che l’unione monetaria necessita di un federalismo fiscale che richiede
una centralizzazione delle entrate fiscali nazionali e delle relative decisioni di spesa anche se al
momento è tutto molto improbabile, mentre l’unificazione fiscale impedirebbe il perseguimento di
politiche fiscali incaute e quindi la destabilizzazione della valuta comune.
Sin dalla metà degli anni 70 i progetti comunitari sull’unificazione politica hanno riscontrato tutti la
stessa difficoltà nel coniugare le aspirazioni teoriche con la realtà del nazionalismo. Sarà
necessario in futuro ritrovare il senso di appartenenza all’Europa, l’integrazione europea ha
bisogno di nuovi obbiettivi e l’Europa federale è il principale obbiettivo odierno.
In conclusione, il processo di integrazione europea ha realizzato risultati sorprendenti. L’essenziale
è far si che ogni passo migliori lo stato dell’Europa e che non ci siano passi indietro perché solo
un’Europa Unita può essere in grado di affrontare i colossi continentali.

Capitolo sedicesimo, La scomparsa dell’Urss e l’ascesa dell’Asia

Il periodo successivo alla metà degli anni Settanta ha visto la fine dell’Unione Sovietica e l’apertura
del blocco orientale. Questi due eventi sono da considerare positivi perché hanno disinnescato
ogni possibilità di guerra generale in Europa. A livello mondiale, poi, la decolonizzazione e la
globalizzazione hanno fatto crescere le tigri asiatiche (Taiwan, Singapore, Hong Kong, Corea del
sud), i paesi dell’America Latina e la Cina, l’India e il Vietnam. La modernizzazione di queste aree
ha seguito un processo di imitazione del modello occidentale con rilevanti modifiche o “fattori
sostitutivi”. Il modello asiatico è stato quello di maggior successo, inaugurato dal Giappone, ha
privilegiato i piani di sviluppo industriale a lungo termine per rendere le imprese interne
competitive all’estero mentre le imprese estere sono state tenute a distanza. Il modello sovietico è
stato di stampo massimale con l’abolizione del mercato ed ha fallito sia nell’Unione Sovietica che
in Cina. Il modello latino-americano di import substitution ha invece avuto un limitato successo.

Il Giappone dal successo alla stagnazione


La ripresa economica giapponese fu aiutata dagli Stati Uniti i quali avevano bisogno di un partner
contro la Russia anche in Asia attraverso un piano simile al piano Marshall. I zaibatsu vennero
sostituiti dai cheiretsu in cui non c’era una predominanza familiare. Al centro del gruppo stavano
una banca e un’assicurazione. Mentre verso l’esterno operava una trading company comune che
provvedeva a una commercializzazione integrata della produzione dell’intero gruppo.
Il sistema economico giapponese vedeva un grosso dualismo tra grandi imprese esportatrici
efficienti e il resto dell’economia, organizzato localmente su piccola dimensione. Vige, inoltre,

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un’organizzazione dell’impresa che tende a favorire il lavoro rispetto al capitale e, infine, lo stato si
è ritagliato un ruolo di sostegno delle politiche industriali realizzate dai cheretsu attraverso
protezionismo, interventi infrastrutturali, sostegno diplomatico.
Tutto questo sistema ha generato la capacità di sostenere piani di investimento a lungo termine e
innovazioni organizzative importanti che hanno portato ad un continuo miglioramento della
qualità del prodotto(kaizen) e al just in time ossia alla progressiva eliminazione di sprechi di
magazzino.
A fine anni 80 ci furono gravi difficoltà ma il Giappone riuscì a mantenere la sua competitività a
livello internazioale. Lo yen venne lasciato svalutare con manovre volte ad allargare il mercato
interno. Tutto ciò fece aumentare la speculazione finanziaria con una bolla immobiliare. All’inizio
del 1990 avvenne un inevitabile tracollo con il fallimento di numerose banche che vennero salvate
e compattate con un grave esborso di denaro pubblico e il raggiungimento di un rapporto
debito/Pil di 250. Da allora il miracolo giapponese non ha saputo riproporsi.

Le tigri asiatiche
Le 4 aree asiatiche che decollarono subito dopo la fine della seconda guerra mondiale sono state
fortemente influenzate da Gran Bretagna (Hong Kong e Singapore) e dal Giappone (Taiwan e
Corea del sud).
Hong Kong ha registrato un forte sviluppo nel secondo dopoguerra con un economia
prevalentemente terziaria e un’importanza spiccata sulla finanza, ma la sua autonomia economica
e politica sta subendo forti limitazioni dal 1997 quando è rientrata all’interno della Cina.
Singapore divenne autonoma a metà degli anni 70 con una potente economia manifatturiera e
navale e con una notevole capacità di attrazione turistica.
In queste due città-stato prevale un sistema politico fortemente accentrato accompagnato da un
grande liberismo in campo economico.
Taiwan venne ceduta ai giapponesi nel 1894 e dopo la loro espulsione alla fine della 2 g.m.,
partecipò alla guerra civile con la sconfitta dei nazionalisti del Kuomintang i quali nel 49 si
rifugiarono nell’isola dove proclamarono la Repubblica di Cina e dato che le potenze internazionali
hanno riconosciuto tale repubblica come legittimamente rappresentato dall’Onu, Taiwan è rimasta
priva di un riconoscimento formale ma ha comunque sviluppato un’economia vivace con il
coinvolgimento di uno stato come supporto ai gruppi industriali privati che sono “orizzontali” ossia
formati da piccole-medie imprese. L’industria è altamente diversificata e sono forti i settori
dell’elettronica, del macchinario, della petrolchimica e dei tessili.
La Corea del Sud ha prodotto un miracolo dai risvolti internazionali, era diventata colonia del
Giappone nel 1910 e dopo la fine della 2 g.m. il paese venne diviso in due parti: il sud più popoloso
e agricolo protetto dagli Stati Uniti e il nord industrializzato controllato dai sovietici. Nel 1950
l’esercito nordcoreano invase il sud e l’Onu affidò agli Stati Uniti il compito di liberare tale zona.
Nel 1953 si raggiunse l’armistizio ma gli americani non lasciarono la Corea del sud e contribuirono
alla ricostruzione con imponenti aiuti. L’economia decollò solo negli anni 70 con un governo
militare guidato da Park Chung-hee il quale adottò un piano quinquennale che ebbe successo e al
quale seguirono investimenti su vari settori industriali che contribuirono all’affermazione di
industrie avanzate meccaniche ed elettroniche. L’organizzazione delle imprese era molto verticale
e a forte base familiare. I 5 grandi chaebol coreani sono Hyundai, Samsung, Daewoo, LG e SK. La
Corea ha anche imboccato una lenta democratizzazione. La più forte mancanza rimane un robusto
strato di medie e piccole imprese e un solido welfare state.

Dall’Urss alla Russia

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La vittoria dei russi nella 2 g.m. ebbe un notevole impatto sugli equilibri internazionali ma ebbe
anche effetti interni insospettabili:
- il potere dei militari rimane intatto fino alla fine degli anni 70;
- l’egemonia imperialistica conquistata sostenne l’inefficiente sistema economico russo;
- l’acquisizione di tecnologia occidentale venne mantenuta.
Solo al termine dei poteri militari (anni 70), crebbe il divario tecnologico e si incrinò l’egemonia
imperialistica con la caduta dei regimi comunisti dell’Europa orientale e quindi l’economia
sovietica rivelò la sua insostenibilità finendo col venire spazzata via.
Fino agli anni 80 ci fu una crescita vivace, con le prime difficoltà iniziarono i tentativi di riforma e
dopo la morte nel 82 di Breznev, ultimo generale vincitore della guerra, diventò segretario del
Pcus Gorbacev il quale tentò di uscire lentamente dalla pianificazione ritornando ad un’economia
mista simile a quella della Nep di Lenin. La sua politica grazie a fondamenti di “trasparenza e
cambiamento” portarono alla fine della guerra fredda. Nel 87 venne firmato un trattato sulla
eliminazione delle armi nucleari e l’anno successivo venne annunciata la fine della dottrina
Breznev che permise alle nazioni del blocco sovietico di tornare alla democrazia mentre nel
settembre Gorbacev assunse il ruolo di capo dello stato anche se lui non era ormai più in grado di
controllare la situazione interna con un’economia che si stava disintegrando. Salì dunque al potere
Eltsin che provocò una pesantissima recessione del sistema e solo nel 99 l’economia russa ha
ripreso a crescere.
Il posizionamento della Russia per reddito pro capite rispetto agli Stati Uniti nel 2010 non è
migliorato rispetto a quello alla morte di Stalin mentre la sua speranza di vita è notevolmente
inferiore a quella di tanti altri paesi e il suo tasso di crescita demografica è uno dei più bassi al
mondo.

Il risveglio di due colossi: Cina e India


Data la presenza della sua avanzata civiltà agricola, la Cina, non ha avuto incentivi a uscire dalla
sua configurazione politica legata a un governo imperiale di tipo autocratico. Poi vi era la presenza
della filosofia e dell’etica confuciane in cui lealtà, sottomissione e rispetto della gerarchia sociale
erano la base per una vita armoniosa. Istruzione e meritorietà (i mandarini) erano diffusi ma
l’attività economica dei mercanti era tenuta in periferia.
Il governo della dinastia Manciù (1644-1911) fu poco lungimirante e con la morte dell’ultimo
imperatore nel 1911 ci fu prima una rivolta delle province meridionali che nel 1912 proclamò la
Repubblica Cinese dai caratteri nazionalistici. Nel 1921 nacque il partito comunista capeggiato da
Mao Zedong che iniziò una guerra civile con le forze nazionaliste che vinse con il successivo
insediamento del Kuomintang (partito nazionalista) a Taiwan. La repubblica di Mao inizialmente
seguì il modello di pianificazione sovietico con un forte abbassamento della produzione agricola e
una prima grave carestia che portò Mao a sganciarsi dall’Unione Sovietica già a fine 1950. Ci fu
quindi una rivoluzione culturale (1966-1970) in cui Mao propose di eliminare le classi “borghesi”
con la chiusura delle università e il forzato rientro di tutti nella classe “operaia”.
Dopo la morte di Mao nel 1976 ci fu un riavvicinamento all’Occidente e un ridimensionamento
dell’economia cinese. La grande riforma del 1978 prevedeva la politica del figlio unico, poi
avvenne la liberalizzazione dell’agricoltura basata su cooperative agricole di territorio sul modello
giapponese. La Cina necessitava però di tecnologie importate e nacquero le Zone economiche
speciali Zes in cui erano possibili investimenti esteri e commercio con l’estero mentre si rese
possibile la creazione di imprese private. Di qui in poi fu tutto un crescendo di liberalizzazioni e
privatizzazioni ma ancora gran parte dell’economia cinese è sotto il controllo statale.
Nel 1922 la Cina era diventata una economia socialista di mercato in cui la pianificazione era stata
sostituita da un’economia in cui le imprese si misuravano con il mercato e con un pesante ruolo

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dello stato. Ci fu poi un processo di crescita economica dominato dall’alto secondo la millenaria
tradizione cinese. Profonda è stata poi la riforma della finanza con l’istituzionalizzazione della
Banca centrale nel 94 e la politica monetaria cinese è stata di grande stabilità.
Tutte queste imprese hanno portato a sviluppare un’importante industrializzazione con alti tassi di
crescita del Pil pro capite e un enorme quantità di prodotti rovesciati sul mercato internazionale,
soprattutto a basso costo. Uno dei fattori del successo cinese è la facilità con cui essa ha investito
nel capitale umano attraverso il miglioramento del personale docente e lo sviluppo di laboratori di
ricerca e università di eccellenza. Gli investimenti esteri sono stati utilizzati come strumento per il
trasferimento di tecnologie e molti parchi tecnologici sono stati creati.
L’India ha avuto una storia differente da quella della Cina avendo un’area molto meno coesa e
unificata con vicende complesse. A partire dal trattato di Kautilya del III sec. a.C. in India si era
sviluppata una prospera attività mercantile con scambi con l’Occidente. Ma l’incapacità di
costruire governi centralizzati da eserciti capaci di fermare invasioni fece sì però che varie parti
dell’India fossero conquistate da popoli stranieri. Nel corso del XIV e XV sec., l’India si divise in
sultanati e nel 1556 questi si unirono in un impero (impero Moghul) che durò fino al 1739
continuando la promozione della mercantilizzazione delle coste e lasciando all’arretratezza
l’interno. Con la morte dell’ultimo imperatore l’India tornò ai sultanati e venne poi conquistata
dalla East India Company la quale penetrò commercialmente e impose proprie esazioni fiscali. Il
commercio indiano iniziò a dipendere quindi dagli inglesi che nel 1858 unirono le Indie alla corona
inglese. Le campagne interne rimasero in deficit colpite poi da una lunga serie di carestie. La
dominazione inglese fece accumulare ricchezze agli imprenditori locali. Il governo inglese non
provò mai ad abolire le caste che vennero, solo formalmente, abolite dopo l’indipendenza
raggiunta nel 1947 con la campagna di protesta non violenta di Gandhi che unificò il territorio
sotto un governo unico a cui si distaccarono Pakistan nel 47 stesso e Bangladesh nel 71.
A livello economico si instaurò un sistema di pianificazione dall’alto con un forte intervento dello
stato. Non si tratta comunque di una pianificazione centralizzata. La vera svolta avvenne dopo il
1989 quando furono introdotte varie liberalizzazioni con una crescente apertura con l’estero che
permisero di accelerare il tasso di crescita che però non arrivarono mai ai livelli cinesi perché
l’andamento demografico non venne messo sotto controllo e perché non c’è stata una fortissima
industrializzazione e sia il terziario che l’agricoltura assorbono una vasta forza lavoro.
Nell’industria esistono alcune grandi imprese ma la gran parte della forza lavoro è occupata in
piccole-medie imprese. Va citato anche il settore cinematografico con Bollywood. Ma resta il
settore terziario quello più avanzato che offre servizi informatici e altri servizi alle imprese a basso
costo per l’intero mondo.
L’India ha gravi problemi riguardo il livello di diffusione dell’istruzione molto basso, una speranza
di vita attestata a 64 anni, la persistenza di una mentalità castale, la posizione infelice della donna
e un’enorme percentuale di poveri assoluti.
In conclusione, l’ascesa dell’Asia è basata sì su un processo di imitazione occidentale ma ha
trovato terreno fertile altrove.

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