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Esponete la teoria del commercio internazionale basata sulle economie di scala interne alle

imprese. (10 punti)


Quali implicazioni emergono dall’assunzione di eterogeneità tra le imprese? (6 punti)

Iniziamo col ricordare cos’è un’economia di scala interna: indica un aumento della scala di
produzione e una diminuzione del costo unitario del prodotto dovuti alle dimensioni della singola
impresa, non a quelle del settore nel suo complesso; oppure, la struttura del mercato è in
concorrenza imperfetta e, quindi, le imprese di grandi dimensioni hanno un vantaggio di costo sulle
piccole imprese.
Le economie di scala interne possono scaturire (o generare) da situazioni di concorrenza imperfetta:
quando ci sono pochi produttori di quel particolare bene (oligopolio) o quando ciascuna impresa
produce un bene differenziato da quello delle imprese concorrenti (concorrenza monopolistica);
sostanzialmente, quando l’impresa può determinare il prezzo dei propri prodotti.
Con l’apertura al commercio internazionale, aumenta la concorrenza, quindi i profitti delle imprese
meno efficienti diminuiscono e queste usciranno dal mercato; le imprese più efficienti riusciranno,
invece, a esportare nel mercato estero. È probabile che il commercio provochi una diminuzione del
numero totale di imprese, quindi ciascuna impresa restante produrrà di più e i prezzi saranno più
bassi. È altresì probabile che il numero totale di imprese ora esistente sul mercato internazionale sia
superiore a quello di ciascun paese prima del commercio, quindi c’è più varietà del prodotto.
L’eterogeneità delle imprese introduce un effetto selezione che accompagna l’apertura al
commercio internazionale: imprese poco produttive escono dal mercato, imprese sufficientemente
produttive subiscono la concorrenza estera e vedono i propri profitti diminuire, imprese molto
produttive guadagnano di più.

Se arriva nuovo lavoro dall’estero i nostri capitalisti staranno peggio mentre i nostri lavoratori
vedranno migliorare il proprio benessere. Dite se questa affermazione è vera o falsa
argomentando la vostra risposta con opportuni riferimenti teorici e grafici.

Paese 1 Paese 2
F J
Valore del Valore del
prodotto prodotto
marginale M marginale
H del lavoro
del lavoro
nel paese 1 nel paese 1

N E T

C
G
VMPL2 VMPL1
O O’
B A
Offerta totale di lavoro dei paesi 1 e 2
Questa affermazione è falsa. Con un’offerta di lavoro pari a OA, il Paese 1 ha un saggio di salario reale pari a OC e un
prodotto totale pari a OFGA. Con un’offerta di lavoro pari a O’A, il Paese 2 ha un saggio di salario reale pari a O’H e
un prodotto totale pari a O’JMA. Se una quantità di lavoro AB migra dal Paese 1 al Paese 2, i saggi di salario reale si
pareggiano nei due paesi al valore BE. Quindi i salari aumentano nel Paese 1 e diminuiscono nel Paese 2. Viceversa, il
prodotto totale nel Paese 1 scende a OFEB mentre nel Paese 2 sale a O’JEB. I capitalisti stanno meglio dopo
l’immigrazione di forza lavoro, i lavoratori stanno peggio.
Cosa si intende per economia di scala esterne ed interne? (10 punti)
Qual è la relazione tra le economie di scala esterne e il commercio internazionale? (6 punti)

Un’economia di scala è una relazione tra aumento della scala di produzione e diminuzione del costo
unitario del prodotto. Si dicono esterne quando il fenomeno è attribuibile all’aumentare della
dimensione del settore in cui opera l’impresa; interne quando i costi unitari dipendono dalle
dimensioni dell’impresa stessa. Un settore dove vi sono solo economie esterne sarà caratterizzato da
molte piccole imprese in concorrenza perfetta; le economie di scala interne, viceversa, danno alle
grandi imprese un vantaggio e generano un mercato di concorrenza imperfetta. Per finire, le
economie di scala interne tendono a offrire maggiori vantaggi competitivi rispetto alle economie di
scala esterne.
Concentrare la produzione di un settore in una zona può ridurre i costi di produzione per i seguenti
motivi:
1) si attirano fornitori specializzati.
2) si genera un bacino di lavoratori con qualifiche adeguate.
3) si promuovono condivisioni di conoscenza.
In assenza di commercio internazionale, il prezzo e la produzione di equilibrio di ogni paese
saranno nel punto di intersezione fra la curva di offerta e quella di domanda; con economie esterne,
tuttavia, l’effetto del commercio internazionale è quello di ridurre i prezzi in tutti i paesi. Inoltre,
sono spesso contingenze storiche a determinare i vantaggi delle economie esterne, quindi un paese
che ha stabilito un vantaggio in un settore potrebbe mantenerlo anche se altri paesi potrebbero
potenzialmente produrre i beni in modo più economico.

Esponete e confrontate le esperienze di industrializzazione basate sulla sostituzione delle


importazioni con quelle basate sulla promozione delle esportazioni. (14 punti)
Cosa si può dire in merito alla relazione tra crescita e commercio internazionale? (2 punti)

L’industrializzazione basata sulla sostituzione delle importazioni ha generalmente ottenuto scarso


successo o è addirittura fallita: furono frequenti tassi di protezione effettiva molto alti e, alla lunga,
dannosi per il settore. Ciò causò fenomeni di inefficienza per molte industrie interne e fece
registrare prezzi molto elevati per i consumatori nazionali. Alta protezione e sussidi all’industria
portarono a un’eccessiva intensità di capitale e a un impiego relativamente scarso della forza lavoro,
causando un rapido esaurimento dei fondi per gli investimenti e solo un minimo aumento di posti di
lavoro; per cui, la maggior parte dell’incremento annuo della forza lavoro dovette essere assorbita
dal settore agricolo e da quello dei servizi tradizionali. Inoltre, la speranza di trovare lavori meglio
retribuiti nei centri urbani spinse verso le città più persone di quanto potesse richiederne il mercato
del lavoro. La priorità dei fondi fu data alla costruzione di nuove fabbriche e all’acquisto di nuovi
macchinari, con il risultato di una diffusa capacità inutilizzata degli impianti a causa della scarsità di
fondi per importare le necessarie materie prime o il carburante. Il processo ha, inoltre, portato a
trascurare il settore agricolo e altri settori primari, con il risultato che molti paesi in via di sviluppo
hanno sperimentato una riduzione delle entrate provenienti dalle esportazioni tradizionali e
peggiorato le condizioni della bilancia dei pagamenti.
L’industrializzazione basata sulla promozione delle esportazioni, invece, è stata promossa a partire
dagli anni Ottanta, con una serie di riforme che hanno comportato una drastica riduzione e
semplificazione delle aliquote tariffarie medie e delle restrizioni di tipo quantitativo sulle
importazioni. Queste riforme hanno dato origine a un grado di apertura molto più elevato, a un
ampio incremento del rapporto tra beni industriali ed esportazioni totali e ad alti tassi di crescita
delle economie che avevano optato per la liberalizzazione.
Descrivete i pro e i contro del libero scambio. (10 punti)
Come si formano le politiche commerciali? (6 punti)

In caso di vantaggi comparati, entrambi i paesi trarranno beneficio dal commercio internazionale,
potendosi specializzare nella produzione in cui il costo-opportunità è minore.
Altri vantaggi del libero scambio sono: costi decrescenti per eventuali economie di scala,
differenziazione del prodotto e della domanda, aumento della concorrenza; ci sono, poi, altri pro di
natura non economica che possono essere creati dall’interazione con paesi e culture differenti.
Gli svantaggi del libero scambio sono il possibile pericolo per industrie appena nate, variazioni nei
vantaggi comparati, il dumping o la formazione di un monopolio straniero, eventuali esternalità o la
protezione di industrie in declino; per finire, anche in questo caso esistono ragioni non economiche
come l’autarchia, motivazioni politiche, la preservazione della tradizione, ecc.

Cosa si intende per politica commerciale protezionistica? (2 punti)


A cosa fanno riferimento i sostenitori del libero scambio quando affermano che esso contribuisce
ad eliminare le inefficienze associate al protezionismo? (6 punti)
In che cosa consiste l’argomentazione a favore del protezionismo basata sull’esistenza di
economie di scala esterne? (8 punti)

Per politica commerciale protezionistica si intende una politica economica che tende a proteggere le
attività produttive nazionali mediante interventi economici statali, anche ostacolando o impedendo
la libera concorrenza di stati esteri.
La tesi dei sostenitori del libero scambio è che questo, se applicato, porta a una riduzione dei costi
di produzione e a una differenziazione del prodotto ancor più marcata; una maggior concorrenza,
scaturente dall’esistenza dei rivali commerciali, fa inoltre sì che le aziende del paese si mantengano
competitive e siano spronate a migliorarsi. Altro punto sostenuto dai favorevoli al liberismo è che
una politica protezionista non sempre riduce la disoccupazione nazionale né il disavanzo nella
bilancia dei pagamenti: una politica beggar-thy-neighbor può dare inizio a comportamenti ritorsivi
da parte di altri paesi, con il risultato che tutte le nazioni coinvolte ne risultano danneggiate.
Il protezionismo, tutelando l’industria interna, può dare origine a fenomeni di economie di scala
esterne: tutelando la propria industria, concentrando geograficamente i settori a cui si è interessati,
attraendo le attività sul proprio territorio, uno Stato può creare economie di scala esterne tramite il
Learning-by-Doing, sviluppando un accumulo di conoscenze ed esperienze dovute alla ripetizione
del processo produttivo nel tempo.
A cosa fanno riferimento i sostenitori del libero scambio quando affermano che esso contribuisce
ad eliminare le inefficienze associate al protezionismo? (5 punti)
Fornire alcuni esempi di politica commerciale come second best in presenza di fallimenti di
mercato (3 punti)
In particolare che cosa consiste l’argomentazione a favore del protezionismo basata sulla tesi
dell’industria nascente? (4 punti)
Quali sono le critiche alla tesi dell’industria nascente? (4 punti)

La tesi dei sostenitori del libero scambio è che questo, se applicato, porta a una riduzione dei costi
di produzione e a una differenziazione del prodotto ancor più marcata; una maggior concorrenza,
scaturente dall’esistenza dei rivali commerciali, fa inoltre sì che le aziende del paese si mantengano
competitive e siano spronate a migliorarsi. Altro punto sostenuto dai favorevoli al liberismo è che
una politica protezionista non sempre riduce la disoccupazione nazionale né il disavanzo nella
bilancia dei pagamenti: una politica beggar-thy-neighbor può dare inizio a comportamenti ritorsivi
da parte di altri paesi, con il risultato che tutte le nazioni coinvolte ne risultano danneggiate.

Descrivere il modello di concorrenza monopolistica e commercio internazionale. (10 punti)


Descrivere le conseguenze del commercio internazionale se esistono differenze di performance
tra imprese dentro un settore. (6 punti)

Una forma di mercato in cui molte imprese vendono un prodotto differenziato e l’entrata e l’uscita
dall’industria sono agevoli è detta concorrenza monopolistica. A seconda del numero di imprese nel
mercato, le aziende hanno un incentivo a entrare nel settore (prezzo>costo medio) o a uscirne
(prezzo<costo medio). Il commercio internazionale aumenta la dimensione del mercato e questo
riduce i costi medi; di conseguenza, il prezzo di ciascuna varietà si riduce – con beneficio per i
consumatori – e permette anche una maggiore varietà di scelta per gli acquirenti. Il numero di
imprese nel nuovo mercato internazionale aumenta, mentre si riduce quello delle aziende presenti
sul mercato nazionale. Le imprese rimanenti, tuttavia, diventano più efficienti e possono sviluppare
maggiori economie di scala.
Se esistono differenze di performance all’interno del settore, la maggiore concorrenza danneggerà
più duramente le imprese con prestazioni meno efficaci e che, dunque, saranno costrette ad
abbandonare il mercato; le imprese con le migliori performance, invece, ottengono vantaggi
maggiori dall’apertura dei mercati, espandendosi maggiormente con un miglioramento
dell’andamento generale del settore.
Ipotizzate un mondo costituito da 2 Paesi, USA e Messico, che producono computer (C) e
maglie (M), impiegando due fattori produttivi, lavoro (L) e capitale (C). La produzione di
maglie è intensiva in lavoro, mentre la produzione di computer è intensiva in capitale. Inoltre
mentre il Messico è relativamente abbondante di lavoro, gli USA sono relativamente
abbondanti di capitale. Secondo il modello Heckscher-Ohlin è corretto ritenere che i
lavoratori negli USA saranno svantaggiati dal passaggio dall'autarchia al libero scambio?
Perché? Si argomenti la risposta con gli opportuni riferimenti teorici. Cosa si può dire del
benessere dei capitalisti in Messico? (16 punti)

Il commercio internazionale conduce all’eguaglianza delle remunerazioni relative e assolute dei


fattori omogenei tra i paesi → il commercio estero accresce il prezzo del fattore che nel paese è
relativamente abbondante e meno costoso e riduce il prezzo del fattore scarso e costoso. Dato che si
ipotizza che lavoro e capitale rimangano pienamente occupati sia prima che dopo l’apertura degli
scambi internazionali, il reddito reale del lavoro e il reddito reale del capitale variano nella stessa
direzione dei prezzi dei fattori. In Messico, paese dove il lavoro è abbondante e poco costoso,
l’apertura degli scambi internazionali comporterà una specializzazione nella produzione di maglie,
bene intensivo in lavoro, con una crescita del reddito reale del lavoro e la caduta del reddito reale
dei possessori di capitale. Negli USA, paese dove è il capitale a essere abbondante e costoso,
l’apertura determinerà una specializzazione nella produzione di computer, capital-intensive, con una
caduta del reddito reale del lavoro e la crescita del reddito reale dei possessori di capitale.

Illustrare l’evoluzione del sistema del commercio mondiale fino alla istituzione
dell’OMC(WTO). Avendo cura di enucleare la motivazione per l’esistenza di un sistema
cooperativo di regole e i principi cardine del sistema (12 punti)
Qual è l’attuale stato delle negoziazioni? (4 punti)

L’adozione di politiche protezionistiche, da un punto di vista collettivo, danneggia tutti i paesi,


come si può osservare dalla teoria dei giochi – col dilemma del prigioniero – e dal fallimento delle
politiche di dumping o beggar-thy-neighbor che danno origine a comportamenti di tipo ritorsivo.
C’è quindi esigenza di coordinamento delle politiche commerciali dei vari Paesi. Con gli Accordi di
Bretton Woods si era prevista la costituzione dell’ITO (International Trade Organization), organo
mai creato. Nel 1947, alla Conferenza di Ginevra, 23 paesi aderiscono al GATT (General
Agreement on Tariffs and Trade), un accordo che incorpora un insieme di regole di condotta in
materia di politiche commerciali. È rimasto senza un’istituzione formale fino al 1994. I principi
fondamentali del GATT sono:
1. Non discriminazione; 2. Reciprocità; 3. Garanzia dell’accesso al mercato; 4. Competizione leale
Dal 1947 hanno avuto luogo nove round commerciali. Durante l’ottavo, l’Uruguay Round, dopo
sette anni di contrattazioni, stabilì provvedimenti sulla riduzione dei dazi, liberalizzazione
dell’agricoltura e dell’abbigliamento e, infine, la creazione di una nuova istituzione: il WTO.
Al momento, dopo la conferenza di Doha nel 2001, permangono problemi nella liberalizzazione del
settore agricolo (i paesi ricchi non vogliono danneggiare i propri agricoltori); il mondo è diviso in
tre blocchi: Unione Europea, NAFTA e blocco asiatico, la ricerca di una definizione di standard
ambientali e lavorativi comuni.

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