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Bumblebee, quello che a tutti gli effetti è il primo spin-off della saga cinematografica curata da Steven

Spielberg e Michael Bay, è un prodotto da approcciare con una certa, inaspettata, delicatezza.
Il rischio è infatti quello di cadere in una vera e propria trappola. Con Bumblebee si rischia, in buona
sostanza, di scambiare il sistema costruttivo per il suo contenuto, dunque di “leggere” l’ultima fatica
di Travis Knight come un romanzo di formazione per ragazzini, più o meno degno erede di progetti
quali E.T. o Il Gigante Di Ferro, dando quindi per scontato che lo stile da commedia action per ragazzi
anni ’80 che trasuda dalla pellicola coinvolga anche l’apparato tematico su cui si organizza. Non
potrebbe esistere, tuttavia, supposizione più errata di questa e ciò diventa un bel problema nel
momento in cui Bumblebee, di fatto, prova simbolicamente a smarcarsi dalla serie maggiore e a
trovare la sua essenza e ragion d’essere all’interno di un mercato, prima ancora che di un genere.
Ma ci arriveremo.
Proviamo a partire da lontano, riconoscendo al team creativo alle spalle di Bumblebee, prima di
qualsiasi altra cosa la volontà di creare un prodotto che ragionasse su un sistema di regole e influenze
del tutto indipendente da quanto organizzato da Spielberg (prima) e Bay (poi) nei dieci e più anni in
cui il franchise principale è stato sviluppato. C’è Travis Knight, alle spalle di Bumblebee, lo stesso
Travis Knight che un paio d’anni fa sviluppò quel Kubo And The Two Strings che, di fatto, rappresenta
uno dei punti più alti raggiunti dal racconto di formazione per adolescenti all’interno del cinema
contemporaneo per messa in scena, tematiche attorno a cui si organizza e approccio al racconto.
Con Bumblebee dunque gli stilemi classici della saga cinematografica dei robot soldati di Cybertron
vengono filtrati dall’occhio e dallo stile di Knight, a cui viene evidentemente lasciata carta bianca
affinché sviluppi un prodotto che cammini sulle sue gambe al di là di tutto ciò che visivamente c’è
stato in precedenza. Il ritmo della narrazione rallenta, il montaggio si fa dunque meno serrato, il
racconto diventa più schematizzato e si punta maggiormente a sviluppare alcune situazioni
chiaroscurali che nella serie maggiore vengono lasciate da parte a vantaggio del Bayhem, come la
dimensione introspettiva dei personaggi e il rapporto tra autobot custodi e umani.
Per certi versi (ed è qui che Bumblebee vince) si torna dunque ad una versione aggiornata delle origini
del franchise, in cui a farla da padrone era, prima di qualsiasi altra cosa, quel sense of wonder, quella
ricerca del meraviglioso, dell’inconsueto che è uno dei più importanti “lasciti” che la saga ha rimesso
in circolo dallo stile di Spielberg e, subito dopo, il rapporto tra l’adolescente e l’extraterrestre di turno,
le cui peripezie per nascondere l’autobot di turno alle autorità (siano esse i genitori o gli agenti
governativi del Settore 7) costituivano, di fatto, una vera e propria sottotrama per la pellicola.
Con pochi, semplici, accorgimenti, Bumblebee riesce dunque ad essere un ottimo film per bambini e
adolescenti, soprattutto perché, dalla sua, ha la volontà di non bluffare, di presentare ai giovani
spettatori un racconto semplice, di facile presa, ma che non risparmia o addolcisce nulla loro in
termini di messa in scena o tematiche. In Bumblebee nessuno priva i giovani spettatori della loro dose
di esplosioni e violenza, nessuno censura le morti a schermo, il team creativo alle sue spalle, in
sostanza, sa che si sta lavorando ad un prodotto che, pur parlando ad un pubblico di giovanissimi (e
anzi, semmai proprio per questo) non può prescindere di far confrontare loro con tematiche quali la
perdita, la violenza, la morte, la sconfitta.
L’unico problema di un progetto del genere (apparentemente lucidissimo e luminoso) è che non
sembra voler affondare il colpo fino in fondo.
Pur volendo, di fatto, rifarsi a quella tradizione che potremmo definire come “romanzo di formazione
per adolescenti” al cinema che ha costituito la spina dorsale di certo cinema di genere anni ’80, pur
utilizzando, consapevolmente, quel cinema per ragazzi anni ’80 come vero e proprio materiale
costruttivo (organizzando intere sequenze che strizzano l’occhio non solo a E.T. ma anche a Incontri
Ravvicinati Del Terzo Tipo, a Wargames, al Gigante Di Ferro, a certo cinema di Richard Donner
passando per Herbie Il Maggiolino Tutto Matto) a Bumblebee manca la spinta che lo porti a riflettere
proprio attorno a quella crescita, a quell’evoluzione che coinvolgeva i protagonisti di certo cinema
durante ogni singola narrazione e che, al contempo, replicava, di fatto, quella ben più concreta dei
giovanissimi adulti che di quei film erano spettatori, manca, in sostanza, a Bumblebee l’elemento
formativo, la morale, che lo porti ad essere una rilettura consapevole e profonda di un certo modo di
fare cinema degli anni ’80 applicato al presente.
Malgrado venga venduto come tale, Bumblebee non è un racconto di formazione e, al di là delle
apparenze, non dobbiamo mai lasciarci convincere del contrario. Bumblebee è un guerriero
assolutamente e pienamente formato fin dall’inizio del film. È vero, perde la memoria quasi subito,
ma l’amnesia non sembra corrispondere ad un vero e proprio smarrimento della sua identità o delle
sue mansioni tale da giustificare un percorso di maturazione che possa far corrispondere il ritorno dei
suoi ricordi con una maggiore consapevolezza del sé, del suo compito, della sua identità di eroe.
Anche la goffezza, l’immaturità del personaggio, sembrano tutte componenti di un fiacco discorso di
alleggerimento, legato alla linea comica del film, piuttosto che strutture utili a organizzare un discorso
formativo. Stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda l’evoluzione di Charlie, di fatto una
non evoluzione dato che il confronto con Bumblebee, alla fine, non sembra cambiarla di una virgola
rispetto alla sua caratterizzazione a inizio film (malgrado, cosa strana, le numerose parentesi
introspettive che riguardano lei, il suo passato, l’elaborazione del lutto del padre).
I personaggi di Bumblebee cambiano non cambiando mai rispetto al loro punto di partenza, una
staticità, uno stallo, che per certi versi è poca cosa, per il film in sé, che appunto rimane un
godibilissimo film per bambini e adolescenti adatto al periodo festivo ma che a ben guardare finisce
per impedire al progetto di Knight di compiere quel salto qualitativo necessario a dargli credibilità e
farlo emergere in questo mare di Retromania e fascinazione per certo cinema del passato che molto
spesso (anche in questo caso) si limita ad essere vuota riproposizione di stilemi di cui si ha la certezza
dell’efficacia piuttosto che consapevole spunto per un discorso ampio e maturo.

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