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LEZIONI DI FISICA DELLO STATO SOLIDO

Pasquale Carelli,
Università di L’Aquila.

September 28, 2006


Premessa alle dispense
del Corso di Fisica dello Stato Solido
AA 2006-2007
P. Carelli
Queste dispense rappresentano un ausilio agli studenti che stanno frequentando il corso
di Fisica dello Stato Solido durante l’AA 2006-2007. Queste dispense sono in gran parte
eguali a quelle dell’anno precedente. Le dispense non sono assolutamente considerabili un
libro di testo. Infatti per coloro che o non potessero seguire completamente il corso o lo
seguissero in parte consiglio vivamente lo studio in uno dei tanti libri o in inglese o più rari
in italiani che abbia un titolo del tipo Introduzione alla Fisica dello stato Solido, alcuni di
questi libri sono elencati alla fine di questa pagina . In alcune parti le dispense sono una
semplice traduzione di libri di testo in inglese.
Si invitano i lettori di queste dispense di mandarmi anche via e-mail (pasquale.carelli@gmail.it)
qualsiasi suggerimento che potrebbe essere utile per migliorare la comprensione dei fenomeni
o suggerire un maggiore approfondimento su alcuni argomenti.
La Fisica dello Stato solido ha fatto negli ultimi decenni progressi enormi. Il corso che
qui viene fatto principalmente a studenti del III anno della laurea di primo livello in Ingegne-
ria Elettronica rappresenta una breve introduzione assolutamente parziale e non esaustiva,
infatti vengono affrontate solo poche problematiche e per carenza di spazio non vengono
descritti fenomeni ed effetti più moderni.
Un migliore approfondimento sui temi affrontati in questo corso si possono trovare nei
seguenti testi (l’elenco è parziale):
F. Bassani U. Grassano, Fisica dello Stato Solido, Boringhieri (2000).
H. T. Stokes, Solid State Physics, Allyn and Bacon,(1987).
C. Kittel, Introduction to Solid State Physics, Wiley (1995).
J. S. Blakemore, Solid State Physics, Cambridge Univ. Press, (1985).
N. W. Ashcroft, N. D. Mermin, Solid State Physics, Holt-Sanders (1976).
S. M. Sze, Semiconductor Devices, Physics and Technology, Wiley (2003).

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Capitolo 1

Lo Stato Solido

1.1 Introduzione di atomistica


Tutta la materia è fatta di atomi, che sono costituiti da un nucleo centrale carico positi-
vamente composto da protoni (carichi positivamente) e neutroni (neutri), ed una nuvola
esterna di elettroni: la carica del nucleo e quella della nuvola elettronica sono eguali ed
opposte in maniera che ogni atomo nella sua globalità è neutro. I 92 elementi presenti in
natura si differenziano per il numero di elettroni: andando dall’idrogeno che ha un solo elet-
trone (simbolo H) fino all’Uranio (simbolo U ) che ha 92 elettroni. Praticamente tutta la
massa di un atomo è nel nucleo centrale in quanto i protoni ed i neutroni che hanno una
massa simile, hanno una massa che è circa 1800 volte quella di un elettrone. Per uno stesso
elemento si possono avere atomi con stesso numero di elettroni (protoni), ma con differente
numero di neutroni: tali atomi molto simili tranne che per la massa hanno proprietà chimiche
praticamente indistinguibili e vengono chiamati isotopi.
Gli elementi sono classificati in base alla tavola periodica degli Elementi dovuta a
Mendeleiev, in tale tavola atomi che stanno nella stessa colonna hanno proprietà chimiche
simili, ad esempio i gas Nobili Elio, Neon, Argon, Kripton Xeno sono molto simili. La massa
dei vari elementi si esprime in unità di massa atomica: mu = 1.66 · 10−27 kg che è definita
come 1/12 della massa dell’isotopo del Carbonio di numero atomico A = 12: il carbonio 12 C
ha infatti 6 elettroni, 6 protoni e 6 neutroni.

Tabella I: Gas Nobili


Ele. Z Configurazione Di. est. (nm) Peso at. (mu ), A
2
He (Elio) 2 1s 0.256 4
Ne (Neon) 10 1s 2s 2p6
2 2
0.316 20.18
Ar (Argon) 18 1s 2s 2p6 3s2 3p6
2 2
0.376 40
Kr (Kripton) 36 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 0.4 83.8

Una classificazione meno qualitativa degli elementi si ottiene dalla disposizione degli elet-
troni che li compongono. La meccanica quantistica applicata agli elettroni di ogni elemento
permette di calcolare i possibili livelli energetici degli elettroni in ogni atomo. Poichè per
ogni livello energetico posso disporre due soli elettroni (principio di esclusione di Pauli che
vedremo nel seguito) segue che via via che aumento il numero di elettroni debbo popolare i
livelli energetici più alti. I livelli energetici sono caratterizzati da un numero principale (n)

2
che può avere valore 1, 2, 3 eccetera e da un numero quantico orbitale a cui viene attributo
una lettera per simbolo s, p, d, f. Il numero principale determina in prima approssimazione
l’energia di legame dell’elettrone che è in tale stato, il numero quantico orbitale determina la
forma dell’orbitale: s simmetria sferica, p due lobi, d 4 lobi eccetera. Gli atomi simili della
tabella di Mendeleiev sono quelli che hanno simile l’ultimo orbitale esterno occupato.
Gli atomi che hanno un numero di elettroni che completa gli orbitali del livello energetico
principale sono i gas Nobili. Nella Tabella I sono riassunte le proprietà dei gas nobili. La
II colonna è il cosiddetto numero atomico Z il numero totale di elettroni o protoni, nella
III colonna, detta configurazione, sono indicati i livelli energetici occupati dagli elettroni, IV
colonna vi è il diametro esterno dell’atomo ed infine nell’ultima colonna il peso atomico. La
chiave di lettura è la seguente, consideriamo ad esempio il Neon (N e che ha 10 elettroni 2
stanno nel livello 1s, 2 nel livello 2s e 6 nel livello 2p. Il peso atomico dipende dal numero di
protoni e neutroni dei vari isotopi. Ad esempio il Neon che ha numero che ha peso atomico
20.18: ha un isotopo principale (90%) con 10 protoni (lo stesso numero degli elettroni) e 10
neutroni per cui ha un peso atomico di circa 20. Ma esiste anche un isotopo del Neon che
ha massa 22 con una abbondanza del 10%.
Osservati da un punto di vista microscopico gli atomi dei gas Nobili sono delle sfere
perfette con i livelli energetici completi. Tali atomi sono gli unici che non formano allo
stato gassoso molecole (insieme di atomi), in quanto sono già nella configurazione elettronica
ideale. Notare che pur non formando molecole vi sia una debole forza di attrazione tra gli
atomi dei gas nobili che determina lo stato liquido. L’entità della forza di attrazione tra
atomi di uno stesso elemento è in qualche maniera legata alla temperatura di liquefazione.
Un elemento molto semplice è l’idrogeno. Che è nello stato gassoso a temperatura
ambiente, le sue proprietà sono riassunte nella tabella II. L’idrogeno allo stato atomico è
instabile, e forma una molecola biatomica cioè costituita da due atomi, come quasi tutti gli
elementi. L’instabilità dell’idrogeno atomico è conseguenza dell’avere un’elettrone spaiato
nell’unico stato disponibile: con i vari elementi forma composti in cui o perde l’unico elettrone
a disposizione o guadagna l’elettrone mancante.
Tabella II: Idrogeno
Elemento n. elettroni(Z) Configurazione Diam. est. (nm)
H (Idrogeno) 1 1s1 0.26
Si chiamano metalli alcalini quegli elementi che hanno un elettrone in eccesso rispetto
ai gas nobili, corrispondenti ad esempio il Litio (Li) ha un elettrone in più dell’Elio cosı̀ il
Sodio (Na) ha un elettrone in più del Neon. In Tabella III sono riassunte le proprietà dei
principali metalli alcalini.
Tabella III: Metalli alcalini
Elemento n. elettroni(Z) Configurazione Diam. est. (nm)
Li (Litio) 3 1s2 2s1 0.302
Na (Sodio) 11 1s 2s 2p6 3s1
2 2
0.36
K (Potassio) 19 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s1 0.45
Rb (Rubidio) 37 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 5s1 0.48
I metalli alcalini hanno una forte tendenza a perdere l’elettrone di troppo e cederlo ad altri
elementi. Il contrario avviene per gli alogeni che hanno un elettrone in meno rispetto alla
configurazione completa. Alcuni degli alogeni sono indicati nella tabella IV.

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Tabella IV: Alogeni
Elemento n. elettroni(Z) Configurazione Diam. est. (nm)
F (Fluoro) 9 1s2 2s2 2p5 0.144
Cl (Cloro) 17 1s 2s 2p6 3s2 3p5
2 2
0.202
Br (Bromo) 35 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p5 0.27
I (Iodio) 53 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 4d10 5s2 5p5 0.354

Gli elementi che sono alla base dei semiconduttori hanno una configurazione elettronica
intermedia con 4 elettroni nello strato più esterno e sono il Carbonio, il Silicio e il Germanio.
A differenza degli altri elementi finora considerati che hanno una forma sferica (gas nobili,
metalli alcalini, alogeni) la maggior parte degli altri elementi hanno una forma non sferica,
in particolare per gli elementi semiconduttori l’atomo ha una forma con 4 lobi con una
simmetria ottaedrica.
Tabella IV: Elementi semiconduttori
Elemento N. elettroni(Z) Configurazione
C (Carbonio) 6 1s2 2s2 2p2
Si (Silicio) 14 1s2 2s2 2p6 3s2 3p2
Ge (Germanio) 32 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p2

A livello microscopico le forze che si esercitano tra gli atomi sono spiegabili mediante la
semplice interazione elettrostatica, ma applicando le regole della meccanica quantistica.

1.2 Classificazione dei solidi


1
, 2 Si intende per solido una sostanza nella quale vi è una definita posizione media per
ogni atomo, in contrasto con i fluidi nei quali le posizioni reciproche degli atomi cambiano
continuamente nel tempo. La posizione è media in quanto a causa della agitazione termica
ogni atomo descrive un moto armonico intorno alla posizione di equilibrio, anche a tempe-
ratura zero, a causa della cosiddetta agitazione di punto zero. Quindi pur essendo una
astrazione la descrizione di un solido come una sostanza con definita posizione degli atomi
descrive con sufficiente precisione la maggior parte delle sostanze solide reali.
Si possomo classificare i solidi in due forme:

Cristalli: Gli atomi o le molecole sono disposti in maniera regolare, in maniera tale che la
stessa struttura si ripete regolarmente nello spazio

Amorfi: Gli atomi o le molecole sono disposti irregolarmente come nei liquidi. Gli amorfi
sono in realtà dei liquidi congelati. Si ottengono gli amorfi congelando molto rapida-
mente i liquidi.

Il mondo reale è diverso da quello ideale con molta difficoltà si riesce a fare un cristallo
perfetto, in quanto spesso l’ordine a lungo range viene perso e quindi in natura sono molto più
frequenti i policristalli cioè sistemi di piccoli monocristalli fusi insieme il cui aspetto esterno
non è cristallino. Al diminuire delle dimensioni dei cristalli che compongono un materiale
1
H. T. Stokes, Solid State Physics, Allyn and Bacon, (1986)
2
C. Kittel, Introduction to Solid State Physics, Wiley (1995)

4
policristallino il solido tende alla struttura amorfa. Lo studio dei solidi amorfi, che hanno
incominciato ad avere un interesse notevole, anche applicativo, negli ultimi decenni, presenta
notevoli difficoltà teoriche, attualmente è un campo di ricerca molto avanzato; per questo in
queste lezioni di stato solido a livello elementare ci limiteremo allo studio delle sole sostanze
cristalline, le cui proprietà sono ben note da almeno mezzo secolo. La classificazione generale
pecca di generalità in quanto vi sono sostanze che non rientrano nella classificazione data ad
esempio le leghe o i cristalli liquidi.
I cristalli ed i materiali policristallini sono trattati in genere nella stessa maniera, in
quanto dato che la distanza interatomica nei solidi è dell’ordine di frazioni di nm (le dimen-
sioni atomiche), anche grani (come vengono chiamati i cristalli elementari di un solido poli-
cristallino) di dimensioni di frazioni di µm contengono un numero enorme di atomi (≈ 109 ).
Nella fisica dei solidi come unità di misura della distanza si usa spesso l’ = 0.1 nm. In prima
approssimazione gli effetti delle superfici che delimitano un grano sono trascurabili. Bisogna
aggiungere che con la miniaturizzazione sempre più piccola dei dispositivi della microelet-
tronica le proprietà superficiali hanno assunto importanza sempre maggiore. La fisica delle
superfici è un capitolo a parte della fisica dello stato solido e per il suo studio sono necessarie
competenze di fisica dei cristalli e delle sostanze amorfe: anche questo argomento non verrà
trattato in questo corso.
Un solido amorfo ha un ordine a corto range nei legami con i primi vicini, ma non ha
l’ordine a lungo range di un reticolo periodico: esempio di amorfo sono i vetri, il nero fumo
ed il silicio amorfo.

1.2.1 Cristalli perfetti


Nella teoria di base dello stato solido è pratica comune partire dallo studio di un cristallo
perfetto di dimensioni finite. Gli effetti di atomi di impurità, difetti, superfici e bordi di grani
sono aggiunti come piccole perturbazione su tale struttura di base. Tale astrazione si rivela
una buona descrizione dei cristalli reali se l’ordine a lungo range si estende su dimensioni
grandi rispetto alla spaziatura interatomica. I cristalli macroscopici sono noti da sempre nella
civiltà umana in quanto tutte le gemme preziose sono cristalli singoli più o meno perfetti.
La cristallografia si occupa degli aspetti macroscopici dei cristalli, mentre noi descriveremo
essenzialmente le proprietà microscopiche.
Allo scopo di studiare una struttura cristallina si è creato un linguaggio formale che
permette di studiare qualsiasi struttura cristallina. Tale linguaggio permette di razionalizzare
il problema ma richiede nello studio di sostanze complesse una notevole specializzazione.
Un cristallo ideale è costituito dalla infinita e regolare ripetizione di unità strutturali.
Dovendo le unità strutturali ricoprire tutto il solido alcune forme geometriche permettono
tale ricopertura: parallelipedi e cilindri a base triangolare o esagonale. Nei cristalli semplici
le unità strutturali sono costituite da un singolo atomo, ad esempio i cristalli di metalli nobili
(Au, Pd etc..) ed alcalini (Li, Na, K etc..). Ma vi sono anche cristalli inorganici in cui le
unità strutturali sono costituite da ben 1192 elementi questo è il caso del NaCd. In genere
i cristalli organici a causa del numero estremamente elevato degli elementi che compongono
le strutture elementari (le molecole) possono avere anche più di vari miliardi di atomi per
elemento strutturale.

5
Un solido in genere si dispone in un reticolo
cristallino regolare perché questa è la confi-
gurazione a cui corrisponde l’energia potenziale
minima: ma ovviamente se le unità strutturali
di cui si compone sono di notevole complessità
la formazione di cristalli perfetti richiede dif-
ficili tecniche di preparazione. Vedremo come
la struttura cristallina possa essere determinata
mediante tecniche molto potenti.
Figura 1.1: Ripetizione di un’unità strut-
Dal punto di vista della simmetria un
turale fatta da tre elementi nel piano, con un
solido cristallino gode sempre di simmetria
reticolo quadrato. A destra viene separato il
traslazionale, cioè la struttura si ripete iden-
reticolo dalla base
ticamente nello spazio. Cioè se sommiamo a
tutti i punti del reticolo degli opportuni vettori
la struttura ritorna eguale a se stessa.
Nella figura 1.1 è mostrata una stessa unità strutturale (detta pure base) ripetuta nel piano
con un reticolo quadrato.
Nella figura 1.2 la stessa unità strutturale è
ripetuta con un reticolo rettangolare a corpo
centrale. Il reticolo di base in quanto la simme-
tria è quella di un rettangolo. Cioè la struttura
diventa eguale a se stessa per una rotazione di
180o . Da questi due esempi nel caso bidimen-
sionale è chiaro che si può separare il reticolo di Figura 1.2: Ripetizione di un’unità strut-
punti dalla unità strutturale o base. turale fatta da tre elementi nel piano, con un
reticolo quadrato a corpo centrale . A destra
viene separato il reticolo dalla base

1.2.2 Reticolo di Bravais


Il reticolo di Bravais è essenziale per descrivere un solido cristallino occupandosi solo dei
possibili reticoli di punti ed ignorando le basi. Esistono due modi che si può dimostrare
essere equivalenti per definire un reticolo di Bravais.
A: Un reticolo di Bravais è un insieme infinito di punti geometrici con una disposizione
geometrica tale che ogni punto è indistinguibile dagli altri

B: Un reticolo di Bravais tridimensionale è costituito da punti tali che il vettore posizione


~ sia descrivibile da:
R
R~ = n1 a~1 + n2 a~2 + n3 a~3 (1.1)
Dove a~1 . a~2 e a~3 sono tre vettori non complanari ed n1 , n2 ed n3 sono dei numeri interi
qualsiasi (negativi, positivi o nulli)
Si può dimostrare che entrambe le definizioni sono equivalenti.
L’ultima definizione nel caso bidimensionale diviene:
~ = n1 a~1 + n2 a~2
R (1.2)

6
con a~1 e a~2 non paralleli e nel caso monodimensionale diviene:
~ = n1 a~1
R (1.3)

Nel caso unidimensionale esiste un solo reticolo di Bravais che è rappresentato in figura:

Figura 1.3: Reticolo di Bravais in una dimensione

Nel caso bidimensionale vi sono cinque reticoli di Bravais e di questi ne vengono mostrati
due nella figura 1.4:

Figura 1.4: Due reticoli di Bravais in due dimensioni

Il reticolo di punti mostrato nella figura 1.5 non


è un reticolo di Bravais, infatti se ci si mette
sul punto A o B il reticolo di punti non appare
lo stesso, ed in ogni caso non esiste un set di
vettori a~1 e a~2 che genera il reticolo.
Data una struttura periodica nello spazio esiste
sempre un reticolo di Bravais che lo descrive,
ad esempio per ottenere l’insieme di punti di
figura1.5 bisogna definire una unità strutturale
fatta di due elementi: quindi il reticolo di Bra-
vais è esagonale con una base di due punti come Figura 1.5: Reticolo di punti bidimensionale
appare graficamente dalla figura 1.6. che non è un reticolo di Bravais

I vettori che compaiono nelle equazioni 1.1,1.2 e 1.3 sono detti vettori primitivi e generano
il reticolo cristallino.

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Figura 1.6: Reticoli di Bravais esagonale con una base di due punti

La scelta dei vettori primitivi non è univoca.


Consideriamo ad esempio il reticolo quadrato
possiamo scegliere i seguenti vettori primitivi,
come si vede in figura 1.7,:

~a1 = a~i ~a2 = a~j

~a1 = a~i ~a2 = a~i + a~j


~a1 = a~i ~a2 = a~i − a~j
~a1 = −a~i ~a2 = a~j Figura 1.7: Reticolo quadrato con 4 coppie
di possibili vettori primitivi

Tutte queste coppie di vettori costituiscono vettori primitivi, infatti la loro combinazione
lineare con numeri interi riempie tutto lo spazio. Lo studio dei reticoli bidimensionali ha
interesse nella fisica delle superfici e in genere per scopi didattici, infatti i solidi reali hanno
una struttura tridimensionale.
L’insieme delle operazioni di simmetria che determinano i vari possibili reticoli di Bravais
e le possibili basi sono oggetto della teoria dei gruppi, che è alla base dello studio delle
strutture simmetriche. Lo studio di tale teoria è al di là degli scopi di questo corso. La
teoria dei gruppi permette una classificazione rigorosa delle varie operazioni di simmetria
e la classificazione delle classi di reticoli di Bravais. I possibili reticoli di Bravais nel caso
tridimensionale sono 14. Tra questi particolare importanza hanno i reticoli cubici; cioè quei
reticoli che si riportano su se stessi per rotazioni di 90o .
Sebbene la definizione che abbiamo dato per il reticolo di Bravais si riferisca ad un
insieme di punti materiali, possiamo estendere la definizione ai vettori che uniscono i punti.
Essendo tali vettori parte di un reticolo di Bravais, tale inseme non dipende dalla scelta
dell’origine. Poiché inoltre ogni vettore R ~ determina una traslazione nello spazio di tutto il
solido, con il reticolo di Bravais si indica l’insieme delle operazioni di traslazione oltre che i
vettori stessi. Da questo punto di vista si può dire che l’insieme dei vettori di Bravais nel
caso tridimensionale è un insieme discreto di vettori, non tutti sullo stesso piano, chiuso nelle
operazioni di somma e sottrazione. Cioè se sommo o sottraggo due vettori di Bravais ottengo
un vettore di Bravais.

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Reticolo cubico semplice
Il più semplice reticolo tridimensionale è il reti-
colo cubico semplice (abbreviato come sc). I cui
punti del reticolo stanno sugli spigoli di un cubo
di lato a i cui più semplici vettori primitivi sono:

~a1 = a~i ~a2 = a~j ~a3 = a~k

In figura1.8 è mostrata una porzione del reticolo


cubico semplice con i vettori primitivi. Figura 1.8: Reticolo cubico semplice
Tra gli elementi solo il plutonio, un elemento artificiale, cristallizza seguendo tale reticolo,
infatti dato un sistema di biglie, una buona approssimazione degli atomi, la disposizione sc
non permette il massimo impacchettamento, quindi non è stabile.

Reticolo cubico a corpo centrato


Il reticolo che si ottiene aggiungendo un punto
addizionale al centro della cella unitaria del reti-
colo cubico si chiama reticolo cubico a corpo
centrato con abbreviazione bcc dall’inglese body
centered cubic. Tale reticolo è un reticolo di
Bravais; la scelta simmetrica dei vettori primi-
tivi è:
a
~a1 = (~j + ~k − ~i)
2
a
~a2 = (~k + ~i − ~j)
2
a~ ~ ~
~a2 = (i + j − k) Figura 1.9: Reticolo cubico a corpo centrato
2
Il set di vettori che generano il reticolo sc non genera tutti i punti del reticolo bcc, in
particolare non è possibile trovare nessuna terna n1 , n2 , n3 tale che possano essere generati
i punti che si trovano al centro del reticolo cubico. La dimensione a si dice passo reticolare.
Molti elementi in natura cristallizzano con tale struttura con un solo atomo di base. La
tabella seguente ne elenca un campione.
Tabella V: Alcuni elementi con struttura bcc
Elemento Peso atomico (u.a.) Passo reticolare (nm)
Li 6.9 0.349
Na 23 0.423
K 39 0.523
Cr 52 0.288
Fe 56 0.287
Nb 93 0.33
Mo 96 0.315
Ba 137 0.502
W 184 0.316

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Si definisce unità atomica (u.a.) come 1/12 della massa dell’isotopo principale del Carbonio
(C 12 ) tale unità di misura della massa corrisponde a circa 1.66 · 10−27 kg.
Esempio di calcolo di densità
Dai dati in tabella ricaviamo la densità prevista del Ferro. In una cella cubica di lato
a = 0.287 · 10−9 m di un reticolo cubico bcc sono contenuti due atomi di ferro (uno al centro
ed un ottavo per ciascuno degli otto spigoli) la massa dei due atomi è:

2mF e = 2 · 56 · 1.66 · 10−27 = 1.86 · 10−25 kg

Mentre il volume della cella unitaria vale:

V = a3 = (0.287 · 10−9 )3 = 2.36 · 10−29 m3

Quindi la densità prevista vale:


2mF e
ρ= = 7881 kg/m3
V
Tale valore con la densità ben facilmente misurabile del ferro. Questo esempio mostra come
la struttura cristallina microscopica riflette le proprietà macroscopiche dei solidi.

Reticolo cubico a facce centrate


Il terzo ed ultimo reticolo cubico è quello che si
ottiene piazzando sulle sei facce della cella ele-
mentare di un cubico semplice altrettanti punti
di reticolo. Il reticolo risultante si chiama f cc
dall’inglese f ace centered cubic.
La scelta simmetrica dei reticoli primitivi è:
a
~a1 = (~j + ~k)
2
a
~a2 = (~k + ~i)
2
a
~a2 = (~i + ~j)
2 Figura 1.10: Reticolo cubico a facce centrate

Anche in questo caso è facile verificare come i vettori primitivi del sc non generino tutti
i punti del f cc. Il passo reticolare anche in questo caso vale a.
La struttura f cc è la più compatta in natura ed in genere gli elementi a più elevata densità
cristallizzano secondo tale struttura. I metalli che hanno elevata conducibilità elettrica e tutti
metalli nobili, in particolare, cristallizzano con tale struttura.

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Tabella VI: Alcuni elementi con struttura fcc
Elemento Peso atomico (u.a.) Passo reticolare (nm)
Ar 40 0.526
Kr 84 0.572
Al 27 0.405
Ca 40 0.558
Cu 64 0.361
Pd 107 0.389
Ag 96 0.409
Pt 195 0.392
Au 197 0.408

Numero di coordinazione
Si chiamano primi vicini i punti del reticolo più vicini ad un dato punto del reticolo stesso. A
causa della natura periodica del reticolo di Bravais ogni punto ha lo stesso numero di primi
vicini. Si chiama numero di coordinazione il numero di primi vicini, tale grandezza è una
proprietà fondamentale del reticolo. In tabella VII sono dati i numeri di coordinazione dei
tre reticoli cubici assieme ad altre proprietà di tale reticoli.
Tabella VII
Reticolo N. coordinazione Distanza primi vicini elementi per cella conv.
sc 6 √a 1
bcc 8 a √3/2 2
fcc 12 a/
√ 2 4
diamante 4 a 3/4 8

Cella unitaria primitiva e convenzionale


Si definisce cella primitiva unitaria di un reticolo un volume di spazio che traslata attraverso
tutti i vettori di un reticolo di Bravais, riempe completamente il reticolo senza sovrapposizioni
e senza lasciare spazi vuoti.
Vi sono molte scelte possibili nella scelta delle celle primitive consideriamo ad esempio il
reticolo piano quadrato a corpo centrato in tale reticolo sono mostrate alcune delle tante celle
possibili. Una cella primitiva in ogni caso contiene un punto del reticolo. Quindi nel caso
tridimensionale conoscendo il volume (eguale per tutte le celle primitive) posso facilmente
determinare la densità del solido:
m
n=
v
Dove m è la massa della base. Da un punto di vista geometrico si dimostra che detti ~a1 , ~a2 ,
~a3 i vettori primitivi il volume della cella unitaria sia:

v = a~1 · a~2 × a~3 = a~2 · a~3 × a~1 = a~3 · a~1 × a~2 (1.4)

Nel caso tridimensionale per un reticolo sc la scelta più banale è quella di un cubo di lato a.

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Tutto lo spazio di un reticolo può essere riem-
pito con celle unitarie non primitive, dette sem-
plicemente convenzionali. Tali celle riempono
tutto lo spazio senza sovrapposizioni quando
viene traslato attraverso un sottoinsieme dei
vettori del reticolo di Bravais. Tali celle sono
scelte in maniera da avere la stessa simmetria
del reticolo. Ad esempio la figura 1.9 rappre-
senta la cella unitaria convenzionale del reticolo
bcc che ha un volume doppio rispetto alla cella
primitiva; mentre la figura 1.10 è la cella con- Figura 1.11: Alcune scelte possibili di celle
venzionale dell’f cc che ha un volume quadruplo unitarie primitive per un reticolo piano
della cella unitaria primitiva. In questo caso con quadrato a corpo centrale
questa scelta lo stesso passo reticolare a identi-
fica sia la struttura sia sc sia bcc e f cc.

Cella primitiva di Wigner-Seitz


La cella di Wigner-Seitz attorno ad un punto
di un reticolo di Bravais è la regione di spazio
più vicina a quel punto che ad ogni altro del
reticolo. In due dimensioni basta tracciare
le congiungente con i primi vicini e tracciare
le bisettrici. Come si vede in figura1.12 nel
caso del reticolo piano esagonale. La cella di
Wigner-Seitz ha un numero di lati pari al nu-
mero dei primi vicini: è quindi un esagono. Figura 1.12: Costruzione della cella di
La cella di Wigner-Seitz ha le stessa simme- Wigner-Seitz per un reticolo di Bravais bidi-
tria del reticolo. mensionale
L’estensione al caso tridimensionale è presto fatta: si congiungono i primi vicini, alle
bisettrici si sostituiscono dei piani bisecanti e la loro intersezione genera un solido che rappre-
senta la cella primitiva di Wigner-Seitz con numero di facce pari al numero di coordinazione
del solido. Nel caso di un cubo tale cella è un cubo, Per un bcc è un ottaedro tronco, mentre
per un fcc è un rombo dodecaedro.

1.2.3 Struttura cristallina: reticolo con una base


Un cristallo fisico può essere descritto dall’insieme di un reticolo di Bravais più la base
(composta in genere da molti atomi). Spesso il termine reticolo con base viene usato per
descrivere anche un reticolo di punti che non costituisce reticolo di Bravais, come il reticolo
bidimensionale a sinistra di figura 1.5.
Bisogna aggiungere che in alcuni casi si può anche descrivere un reticolo di Bravais come
se fosse un reticolo più elementare con una base. Ad esempio un reticolo bcc può essere
descritto come un reticolo cubico semplice con vettori primitivi ~a1 = a~i, ~a2 = a~j e ~a3 = a~k

12
Figura 1.13: Celle di Wigner-Seitz per reticoli sc (cubo), bcc (ottaedro tronco) e per l’fcc
(rombo dodecaedro)

con una base con due elementi:


a~ ~ ~
(0, 0, 0) e (i + j + k)
2

La struttura del cloruro di sodio

Il comune sale da cucina ha la struttura


mostrata in figura1.14. Il sodio (N a) ed il
cloro (Cl) occupano i punti reticolari di un
reticolo sc. Ma poichè alcuni siti sono occu-
pati da N a e ad altri da Cl, i punti reticolari
non sono equivalenti, non è quindi un reticolo
di Bravais. La cella convenzionale è quella di
un reticolo f cc con una base fatta da due Figura 1.14: Reticolo del cloruro di sodio e
atomi diversi. di molti alogenuri alcalini

La struttura della Zincoblenda


Molti semiconduttori del III-V e II-VI gruppo
della tavola di Mendeleiev cristallizzano secondo
questa struttura vedi figura1.15 detta della Zin-
coblenda dal ZnS. La grande importanza di
questa struttura è per i semiconduttori, in-
fatti molte di queste strutture corrispondono
a materiali semiconduttori, tra cui il più noto
è l’Arseniuro di Gallio, un materiale semicon-
duttore di notevole importanza per applicazioni Figura 1.15: Reticolo della Zincoblenda: ad
non convenzionali. Le sfere grandi possono rap- esempio le sfere grosse sono atomi di Ga men-
presentare il Gallio, mentre l’Arsenico è rappre- tre le piccole atomi di As
sentato dalle sfere piccole.

13
Gli atomi di Ga sono in una struttura f cc di lato a.Se immaginiamo la cella divisa in otto
cubi eguali, gli atomi di As stanno al centro di quattro di tali cubi. Quindi il reticolo è un
reticolo f cc con due atomi di base l’uno nel punto (0, 0, 0), l’altro nel punto (a/4, a/4, a/4).

La struttura del diamante


La struttura del diamante è simile a quella
della zincoblenda ma qui non vi è differenza
tra atomi che occupano siti di questo genere.
Il reticolo del diamante (formato dagli atomi
di carbone nel cristallo del diamante) è un
reticolo cubico a facce centrate di lato a con
due vettori di base:
a
(0, 0, 0) , (~i + ~j + ~k) Figura 1.16: Reticolo del diamante
4
Il numero di coordinazione è 4 come la valenza degli atomi. Notare che il reticolo non è
di Bravais. La struttura ha un ruolo centrale in quanto la maggior parte dei più comuni
semiconduttori, il silicio e il germanio, cristallizzano secondo tale struttura.

1.2.4 I 14 reticoli di Bravais tridimensionali


Come si dimostra mediante la teoria dei gruppi vi sono 14 possibili reticoli di Bravais tridi-
mensionali. Finora abbiamo descritto solo le strutture cubiche.

Reticoli cubici. La struttura cubica


ha i tre assi eguali e gli angoli sono
tutti retti. Le strutture possibili sono
quelle dette cubico semplice sc, cubico
a corpo centrato bcc ed cubico a facce
centrate f cc. La struttura cubica rapp-
resenta l’80% delle strutture cristalline
in natura.

14
Reticoli tetragonali. Vi sono due struttu-
re tetragonali. Tutti e tre i vettori primitivi
sono perpendicolari tra di loro. La caratter-
istica dei tetragonali è simile a un cubico al-
lungato infatti la struttura di base è un paral-
lelepipedo retto con due lati eguali (lati a)ed
uno diverso il lato c. A causa della differenza
delle facce non si ha la struttura equivalente
all’f cc.

Reticoli ortorombici. Nella struttura or-


torombica tutti e tre i vettori primitivi
sono ortogonali ma di tre diverse lunghezze.
Quindi ha una minore simmetria rispetto al
reticolo tetragonale. Vi sono quattro strut-
ture diversi riconducibili a questa geometria
come si vede nella figura accanto.

Altri due gruppi di ancora minore simmetria:

Reticolo monoclino. Tutti i vettori di base


sono diversi, ma in più un asse solo è ortog-
onale al piano formato dal parallelogramma
non rettangolare formato dagli altri due vet-
tori primitivi. Esistono come si vedono due
forme.

15
Reticolo triclino. Questo è il reticolo con la
minore simmetria derivati dai reticoli cubici.
Tutti i vettori di base sono non eguali e non
sono mutuamente perpendicolari. Esiste un
solo tipo di reticolo di questo tipo.

Infine due gruppi a sè:

Esagonale. La struttura esagonale ha i due


vettori di base eguale lunghezza. Ma l’angolo
tra tali vettori è di 120o ed il piano su cui
giacciono è ortogonale al terzo vettore, vi è
una sola struttura di questo tipo. La figura
mostra uno spicchio dell’esagono di base, il
tratteggio mostra l’esagono. E’ una struttura
con forti analogie con il reticolo f cc e spesso
è caratteristica di reticoli con notevole grado
di impacchettamento.

Trigonale
Trigonale. In questo caso i lati hanno stessa
lunghezza a ma le facce, sono dei rombi per
cui tutti gli angoli sono di misura diversa da
90o .

1.2.5 Difetti cristallini


In un cristallo perfetto (o ideale) tutti gli atomi occuperebbero le corrette posizioni reticolari
nella struttura cristallina. Un tale cristallo perfetto potrebbe esistere, ipoteticamente, solo
allo zero assoluto (0 K) da un punto di vista classico. Notiamo che tale ipotesi classica non
è reale, in quanto come si vedrà nel seguito anche allo zero assoluto le cosiddette oscillazioni
di punto zero. Al di sopra di tale temperatura tutti i cristalli risultano imperfetti. Le stesse
vibrazioni atomiche attorno alle posizioni di equilibrio costituiscono già una sorta di difetto,
ma soprattutto esistono inevitabilmente numerosi atomi che occupano posizioni non corrette

16
o che sono vacanti nei siti reticolari che dovrebbero occupare. In alcuni cristalli il numero
di difetti può essere molto piccolo, una frazione molto piccola del totale, questo è il caso del
Silicio usato in microelettronica. Altri solidi cristallini possono presentare cosı̀ tanti difetti
che essi rappresentano una parte fondamentale della struttura piuttosto che una imperfezione
del cristallo.
I tipi di difetti che si osservano nei solidi ricadono nelle seguenti categorie: difetti pun-
tuali, difetti lineari, e difetti di planari e di volume. Ometterò qualsiasi commento su questi
ultimi due casi.

Difetti puntuali
I difetti puntuali derivano in generale da assenza di atomi (o ioni) in posizioni reticolari,
presenza di atomi in posizioni interstiziali, presenza di atomi in posizioni non corrette (non
possibile nei solidi ionici), presenza di atomi alieni. La presenza di difetti puntuali crea
una polarizzazione nell’intorno cristallino del difetto, provocando piccoli spostamenti degli
atomi o ioni più vicini. Per esempio una vacanza anionica (ione positivo) in un solido
ionico provoca un’allontanamento dei cationi (ioni negativi) vicini. L’energia necessaria a
formare un difetto puntuale dipende essenzialmente dai primi vicini, in quanto l’interazione
diminuisce rapidamente con la distanza.

Tali difetti influenzano in maniera apprezzabili


le proprietà di trasporto elettrico nei materiali
conduttori. Un esempio di tale difetto è la cosid-
detta vacanza cioè l’assenza di un atomo da una
posizione reticolare, quale quella mostrata nella
figura a fianco. Solo se il numero dei difetti è
molto piccolo si riesce a correlare le proprietà di Figura 1.17: Schematizzazione di una va-
trasporto ed i difetti stessi. canza
Una vacanza viene chiamata difetto di Schottky.

Nei solidi con una struttura abbastanza vuota


come il silicio o il diamante (ma anche il cloruro
di Argento) è possibile un altro tipo difetto pun-
tuale il difetto interstiziale. Tali difetti sono
mostrati schematicamente a fianco. Qui vi è un
atomo in eccesso rispetto alla configurazione del
reticolo perfetto. Figura 1.18: Schematizzazione di un difetto
interstiziale

Termodinamica dei difetti cristallini


Tutti i cristalli ad una certa temperatura in equilibrio termodinamico, ad una certa temper-
atura e pressione hanno un numero di difetti naturalmente. Un sistema aperto in equilibrio
ad una certa temperatura e pressione raggiunge l’equilibrio quanti l’energia libera di Gibbs
è massima. L’energia libera di Gibbs si compone di due termini:

G = H − TS (1.5)

17
Dove H è l’entalpia del solido, L’entalpia non differisce sostanzialemente dall’energia interna,
in quanto nei solidi non vi è differenza tra volume e pressione costante. Infatti i solidi sono
praticamente incompressibili. S è l’entropia del solido, una misura del suo disordine. Un
solido in cui alcuni atomi non occupano i loro siti reticolari possiede entropia superiore a
quella di un cristallo perfetto, di conseguenza all’aumentare dei difetti a causa dell’aumento
dell’entropia diminuisce l’energia di Gibbs. D’altro canto creare un difetto costa energia, cioè
H aumenta all’aumetare dei difetti. In poche parole S ed H sono due funzioni crescenti (in
maniera diversa) con il numero dei difetti. L’equilibrio si raggiunge quanto G ha un minimo.
All’aumentare della temperatura il prodotto T S diventa in valore assoluto più grande, mentre
H rimane sostanzialmente invariato.
Ogni cristallo ha una diversa funzione di G in funzione della temperatura e numero di
difetti di un certo tipo. Il difetto che predomina in un certo cristallo è quello che ha la
maggiore facilità di formarsi, cioè quello con la massima variazione di G. Ad esempio per
il N aCl risulta più facile la formazione di vacanze, mentre nel AgCl prevalgono i difetti
interstiziali.
In definitiva tutti i solidi all’equilibrio termodinamico presentano un certo numero di
difetti puntuali che dipende in maniera esponenziale con la temperatura:

nd = N exp(−Ed /kB T )

Dove N é il numero di atomi del solido, Ed l’energia di formazione di un difetto (qualche


eV ), T la temperatura assoluta e kB la costante di Boltzmann.
Vi è da aggiungere che il raggiungimento dell’equilibrio termodinamico viene ottenuto
mediante processi di diffusione. La velocità di diffusione nei solidi dipende esponenzialmente
dalla temperatura per cui facilmente a temperatura ambiente in molti solidi il raggiungimento
dell’equilibrio termodinamico richiederebbe tempi di attesa maggiori dell’età dell’universo.
Ma alzando la temperatura (in alcuni casi anche un migliaio di gradi K) il processo diffusione
dei solidi diventa molto veloce (secondi o minuti). Per questo trattamenti termici a tem-
peratura elevata con congelamento rapido a bassa temperatura possono servire a rimuovere
difetti puntuali non termodinamici portandoli alla situazione di equilibrio della temperatura
elevata del trattamento. Mantenere a temperatura elevata un solido e portarlo rapidamente a
temperatura ambiente comporta un congelamento dei difetti puntuali presenti a quella tem-
peratura. Nella crescita dei cristalli grande cura viene posta nell’abbassare gradualmente la
temperatura in maniera da partire da una condizione di difetti congelati che corrispondono
alla temperatura più bassa in cui la diffusione ha un effetto benefico.
Il colore di molti solidi ionici dipende da tale tipo di difetto. L’energia tipica necessaria
per creare un tale difetto va da frazioni di eV (per i materiali a bassa temperatura di fusione)
fino ad una decina di eV per i materiali refrattari.
Si chiamano difetti di Frenkel la combinazione di un sito con una vacanza con un difetto
interstiziale dello stesso tipo che garantisce sia la neutralità elettrica che la stechiometria
(cioè il numero di atomi per unità di volume è eguale a quelli del solido perfetto).
Bombardare un solido con particelle ionizzanti, operazione comune in molti processi della
microelettronica comporta in genere l’insorgere di tale tipo di difetti che vengono rimossi con
opportuni trattamenti termici.
Solidi composti da atomi diversi come ad esempio il GaAs possono avere un altro tipo
di difetto detto stechiometrico. Cioè il componente più volatile del composto (nell’esempio

18
il Ga) a temperatura elevata fuoriesce facilmente dal solido impoverendolo di tale specie,
diminuendo cosı̀ il numero di atomi per unità di volume di Ga e quindi cambiando la ste-
chiometria del composto. Trattamenti termici ad elevata temperatura in atmosfera ricca
della specie deficitaria correggono tale tipo di difetto.

Dislocazioni
Mentre un difetto di punto riguarda solo le immediate vicinanze di un atomo, una dislocazione
è una linea sorgente di imperfezioni. Una dislocazione può seguire una qualsiasi tracciato
curvo dentro il cristallo. Le dslocazioni sono spesso visibili a livello di microscopio ottico in
quanto la presenza di tali difetti si estende modificandolo fino alla superficie del solido.
Una dislocazione di tipo a taglio è
mostrata nella figura a fianco. In cui la
mancanza improvvisa degli atomi di un
piano reticolare crea una specie di lama
che distorce in una vasta zona il reticolo
cristallino. Lo spostamento del reticolo
ovviamente é perpendicolare alla direzione
della dislocazione. Figura 1.19: Dislocazione a taglio
Vi sono molti altri tipi di dislocazioni ad
esempio uno spostamento relativo di una
parte di un cristallo rispetto al resto.
La densità di dislocazioni è una quantità che ha le dimensioni di una lunghezza−2 è una
misura della perfezione di un cristallo. Per un cristallo di silicio o germanio cresciuto con
cura è possibile avere meno di 106 dislocazioni per m2 . Se il cristallo è preparato con minore
cura tali tipi di cristalli possono avere anche 108 dislocazioni per m2 . Notare che nel caso
dei metalli difficilmente il numero delle dislocazioni è inferiore a 1011 per m2 .
L’equilibrio termico non richiede la presenza di tale tipo di difetti, infatti il creare tali
difetti ha un costo energetico troppo elevato rispetto alla energia termica kB T inoltre il con-
tributo all’aumento di entropia del sistema è trascurabile (al contrario dei difetti puntuali).
Le dislocazioni si creano durante la fase di solidificazione e si riproducono con una reazione
di moltiplicazione. Sforzi meccanici troppo intensi, che determinano la plasticità dei solidi,
ingrandiscono e possono moltiplicare le dislocazioni presenti iniziali.

1.3 Il reticolo reciproco


Lo studio delle strutture periodiche spaziali si effettua con maggiore facilità introducendo il
concetto di spazio reciproco. Vi è una stretta analogia con i fenomeni periodici nel tempo,
in cui l’introduzione del concetto di pulsazione ω permette di studiare agevolmente mediante
l’analisi di Fourier il comportamento delle varie componenti armoniche.
Ogni fenomeno dipendente dallo spazio e dal tempo, può essere descritto da una combi-
nazione opportuna di onde piane:
~
A = Ao ei(ωt+k·~r)

Dove ~k è il vettore d’onda ed ω.

19
La relazione tra il periodo T cioè il tempo in cui l’onda piana ritorna eguale se stessa (a
meno di 2π) e la pulsazione:
Ao ei[ω(t+T )] = Ao ei(ωt)
ωT = n2π

ω=
T
Cioè dato un qualsiasi fenomeno periodico nel tempo con periodo T può scomporsi come una
combinazione lineare di onde piane con pulsazioni multiple (dette le armoniche caratterizzate
dall’indice n) di una pulsazione elementare ω. Vi è quindi una stretta correlazione tra il
tempo e le pulsazioni.
Per quanto riguarda la parte spaziale si può fare un ragionamento analogo. Consideriamo
inizialmente un caso unidimensionale ed un semplice reticolo unidimensionale caratterizzato
dal passo reticolare a. Il generico elemento del reticolo di Bravais sarà:
~ = naı̂
R

Tale reticolo rappresenta una struttura periodica nello spazio. In questo caso l’operazione
~ = ~k tali che:
analoga alla trasformazione di Fourier nel tempo è trovare quei G
~ ·R
G ~ = n2π

~ che soddisfano tale condizione:


Si chiamano vettori del reticolo reciproco i G

~ = 2π ı̂
G
a

Notiamo quindi che la dimensione dei vettori G ~ è una lunghezza−1 , e più piccolo è il passo
reticolare più grande è la dimensione elementare di G.~ E’ possibile mostrare come i vettori
~ costituiscono anche essi un reticolo di Bravais.
G
I reticoli hanno una struttura tridimensionale e l’estensione al caso tridimensionale è
semplicemente dato un reticolo di Bravais, caratterizzato dai vettori primitivi ~a1 , ~a2 e ~a3 , e
quindi con il generico vettore del reticolo diretto dato da:
~ = n1~a1 + n2~a2 + n3~a3
R

Definiamo come reticolo reciproco il reticolo nello spazio k che soddisfa alla seguente re-
lazione.
~ ·R
G ~ = n2π

Il reticolo reciproco è legato in maniera univoca ala reticolo di Bravais di partenza. Il reticolo
di Bravais di partenza è chiamato spesso reticolo diretto, quando è considerato insieme al
suo reciproco.
L’insieme dei vettori G ~ del reticolo reciproco è chiuso per le operazione di somma e
sottrazione e costituisce anche esso un reticolo di Bravais (nello spazio k).
Esiste un algoritmo che permette di trovare i vettori primitivi del del reticolo reciproco
(detti ~b1 , ~b2 , ~b3 ) a partire dalla conoscenza dei vettori primitivi nello spazio diretto (~a1 , ~a2 ,

20
~a3 ):

~b1 = 2π~a2 × ~a3


~a1 · (~a2 × ~a3 )
~b2 2π~a3 × ~a1
= (1.6)
~a1 · (~a2 × ~a3 )
~b3 2π~a1 × ~a2
=
~a1 · (~a2 × ~a3 )

Che tale algoritmo generi dei vettori del reticolo reciproco si vede facilmente a posteriori
consideriamo due generici vettori del reticolo diretto e reciproco:
~ = n1~a1 + n2~a2 + n3~a3
R
~ = m1~b1 + m2~b2 + m3~b3
G
Il loro prodotto scalare vale:
 
~ ~ ~a2 × ~a3 ~a3 × ~a1
G · R = 2π n1~a1 · m1 + n2~a2 · m2 =
~a1 · (~a2 × ~a3 ) ~a1 · (~a2 × ~a3 )

= 2π(n1 m1 + n2 m2 + n3 m3 )
~ è un generico vettore
Essendo n1 m1 +n2 m2 +n3 m3 un intero qualsiasi viene dimostrato che G
del reticolo reciproco

Esempi di reticoli reciproci


Cubico semplice
Se scelgo come vettori primitivi dello spazio diretto

~a1 = a~i ~a2 = a~j ~a3 = a~k

allora essendo:
V = ~a1 · (~a2 × ~a3 ) = a3
i vettori primitivi dello spazio reciproco sono:

~b1 = 2π~i ~b2 = 2π ~j ~b3 = 2π ~k


a a a
Cioè il reticolo reciproco è cubico semplice come il reticolo dello spazio diretto, ma con passo
reticolare 2π/a

Reticolo cubico a corpo centrato


Se scelgo come vettori primitivi dello spazio diretto
a
~a1 = (~j + ~k − ~i)
2

21
a
~a2 = (~k + ~i − ~j)
2
a~ ~ ~
~a3 = (i + j − k)
2
in questo caso i vettori primitivi del reticolo reciproco saranno:

~b1 = 2π (~j + ~k)


a

~b2 = 2π (~k + ~i)


a
~b3 = 2π (~i + ~j)
a
Cioè il reticolo reciproco è fcc con passo reticolare 4π/a.

Reticolo cubico a facce centrate


Se scelgo come vettori primitivi dello spazio diretto
a
~a1 = (~j + ~k)
2
a
~a2 = (~k + ~i)
2
a
~a3 = (~i + ~j)
2
in questo caso i vettori primitivi del reticolo reciproco saranno:

~b1 = 2π (~j + ~k − ~i)


a

~b2 = 2π (~k + ~i − ~j)


a
~b3 = 2π (~i + ~j − ~k)
a
Cioé il reticolo reciproco è bcc con passo reticolare 4π/a.
Analogamente si dimostra come il passaggio dal reticolo diretto a quello reciproco non
comporti un cambiamento di simmetria generale dei due reticoli: cioè un reticolo diretto
esagonale diviene un reticolo reciproco, ruotato con dimensioni diverse, ma sempre esagonale.

1.3.1 Prima zona di Brilluoin


Il reticolo reciproco di un reticolo di Bravais è ancora un reticolo di Bravais. Per esso valgono
le considerazioni fatte per il reticolo diretto: numeri di primi vicini, distanza tra primi vicini
etc.
In particolare assume particolare interesse l’equivalente della cella di Wigner-Seitz che
nel reticolo reciproco assume il nome di I zona di Brilluoin. Sebbene le due definizioni cella di
Wigner-Seitz e I zona d Brilluoin si riferiscono a costruzioni geometriche identiche, in pratica
la ultima definizione si applica solo alle celle primitive dello spazio k. Se cioè ci si riferisce

22
alla I zona di Brilluoin di un particolare reticolo dello spazio r (associato ad una struttura
cristallina) si intende la cella di Wigner-Seitz del reticolo diretto associato.
La I zona di Brilluoin di un reticolo bcc è un dodecaedro rombo (12 faccie come im primi
vicini nello spazio k) essendo il reticolo reciproco un f cc.
L’importanza della definizione di I zona di Brillouin sarà più evidente quando parleremo
di vibrazioni reticolari ed elettroni nei solidi.

1.3.2 Piani reticolari


Un piano reticolare è un piano contenente
almeno tre punti non collineari del reticolo
di Bravais. A causa della dimensione in-
finita del cristallo automaticamente ognuno
di tali piani contiene infiniti punti del reticolo
tridimensionale e costituisce un reticolo di
Bravais bidimensionale. Si definisce famiglia
di piani reticolari un insieme di piani reti-
colari paralleli ed egualmente spaziati, che
contenga quindi tutti i punti del reticolo di
Bravais tridimensionale. In figura 1.20 viene Figura 1.20: Famiglia di piani reticolari.
schematicamente mostrata una famiglia di
piani reticolari.

Una famiglia di piani reticolari è caratterizzata dalla distanza tra i piani d e dal versore
normale n̂ al generico piano cioè il vettore:

~kd = 2π n̂
d
é un vettore del reticolo reciproco che quindi identifica in maniera univoca una famiglia di
piani.
Tale affermazione si dimostra facilmente. Scegliamo un sistema di coordinate cartesiane
tale che l’origine sia su un punto del reticolo. Esisterà sempre un piano reticolare 1 tale che
il generico vettore r~1 che congiunge un punto del piano reticolare all’origine è tale che:
~kd · r~1 = 0

Ma un generico altro punto dello spazio, appartenente alla famiglia, ed ubicato sul piano che
dista sd dal primo piano (dove s è un intero positivo o negativo) dista dall’origine:

r~2 = r~1 + sdn̂

Il prodotto scalare di tale vettore con ~kd vale:


~kd · (~
r1 + sdn̂) = s2π

Quindi:
~
eikd ·r~2 = 1

23
Essendo ~r2 un generico vettore del reticolo di Bravais tale condizione è proprio la definizione
di vettore del reticolo reciproco. Notare come i vettori r~2 ricoprano tutto il reticolo diretto.
Ovviamente si può ragionare in maniera duale e partire da un generico vettore del reticolo
reciproco G ~ e dire che ad esso è associata una famiglia di piani ad esso perpendicolari di
distanza pari a d = (2π)/|K|.
Notare che va considerato il vettore del reticolo reciproco più corto in una certa direzione,
infatti se ho un vettore G ~ d del reticolo reciproco il più corto in una certa direzione uno G ~l
m volte più grande sarà:
~ l = mG
G ~d

con m intero. Avendo mostrato che la famiglia di piani associata il vettore G ~ d ricopre tutto
lo spazio con una famiglia di piani di spaziatura d = (2π)/|K|. La famiglia di piani associato
aG ~ l ha una spaziatura d/m e quindi descrive un reticolo con più punti di quello reale.
Consideriamo un generico vettore G ~ d (il più corto nella sua direzione) sarà tale che:

~ d = h~b1 + k~b2 + l~b3


G

Si definisce la famiglia di piani, mediante i cosid-


detti indici di Miller, le coordinate del vet-
tore del reticolo reciproco associato (in parentesi
tonda):
(h, k, l)
Per esemplificare in figura 1.21 è mostrato il Figura 1.21: La famiglia di piani (1,1,1) di
piano (1,1,1) di un reticolo cubico. Per in- un reticolo cubico.
terpretare i simboli bisogna ovviamente speci-
ficare gli assi primitivi, per i reticolo cubici si
preferiscono usare gli assi primitivi del reticolo
semplice. Quindi sia l’ f cc che il bcc si consid-
erano reticoli cubici semplici con una base.
Gli indici di Miller, da sempre usati dagli studiosi di cristallografia, identificano anche le
~ è un generico punto del
intercette con gli assi primitivi di un piano della famiglia. Infatti se R
piano passante per l’origine e G ~ è il vettore del reticolo reciproco che identifica la famiglia, i
punti del piano distante m2π/|K| hanno coordinate:

~ + s 2π
~r = R
|G|
~ = h~b1 +k~b2 +l~b3 . Il prodotto scalare
Essendo: G
vale:
~ · ~r = m|K|2 = s2π
G
La costante s identifica il piano della famiglia.
Consideriamo i vettori ~r lungo gli assi prim-
itivi cioè: ~r = x1~a1 (oppure x2~a2 , x3~a3 ). Figura 1.22: Assi primitivi nel reticolo di-
Dall’algoritmo (1.6) che abbiamo trovato per ri- retto ed intercette con una famiglia di piani.
cavare i vettori del reticolo reciproco si ha che:
~b1 · ~a1 = 2π mentre ~b2 · ~a1 = 0 e ~b3 · ~a1 = 0.

24
Quindi, nel caso di s = 1:

(h~b1 + k~b2 + l~b3 ) · x1~a1 = 2π

x1 2πh = 2π
La intercetta con l’asse primitivo ~a1 quindi:
1
x1 =
h
Analogamente;
1
x2 =
k
1
x3 =
l
Quindi gli indici di Miller sono pari all’inverso delle intercette con gli assi primitivi della
famiglia di piani.

1.4 Legami atomici


Vi sono diverse forze che agiscono sugli insiemi di atomi o molecole. Queste forze, sia
attrattive che repulsive, sono dipendenti dalla relativa distanza tra i vari atomi. Nei cristalli,
nei quali gli elettroni sono trasferiti tra atomi, vi è, ovviamente, la forza a relativamente
lunga distanza di Coulomb, che è in genere attrattiva. Questa forza deriva dallo scambio di
elettroni da un atomo al suo vicino, in tale caso è una forza attrattiva di tipo ionico. La
attrazione ionica è solo una della possibili forze agenti sui vari atomi. Vorrei nel seguito
entrare meglio nel dettaglio.
Ci si potrebbe aspettare che la forza attrattiva agente sugli atomi dovrebbe spingerli
insieme fino a farli collassare. Invece esiste, sempre a distanza breve una forza repulsiva che
agisce tra gli elettroni dei singoli atomi. Tale forza viene spiegata a livello microscopico medi-
ante il principio di esclusione di Pauli. Come risultato, vi è sempre una distanza di equilibrio
alla quale queste due forze si bilanciano esattamente. A questa distanza di equilibrio, la
forza attrattiva, sia Coulombiana o di altra natura, viene bilanciata esattamente dalla forza
repulsiva tra i due atomi. Se gli atomi si allontanano, allora la forza repulsiva è minore della
forza attrattiva, che tende ad avvicinarli. Se invece si avvicinano ad una distanza minore di
quella di equilibrio, la forza repulsiva diventa dominante, e quindi la forza risultante tende
ad allontanarli. Poiché le forze tendono sempre a fare ritornare gli atomi nella posizione di
equilibrio, questa posizione è un equilibrio stabile. Poiché l’equilibrio è stabile, deve avvenire
al minimo dell’energia potenziale. Possiamo immaginare che queste forze derivino da energie
potenziali. Si ricorda che la forza è legata al potenziale come F~ = −∇E ~ o più semplicemente
nel caso unidimensionale, come quello che stiamo trattando, F = −∂E/∂x.
La figura 1.23 aiuta a chiarire quanto detto. La forza attrattiva è nell’esempio la forza
di Coulomb, mentre la forza repulsiva è la forza a corta distanza che impedisce agli elettroni
dei due atomi di fondersi insieme. Notare come vi sia un punto in cui la forza totale è nulla;
cioè per annullarsi la forza attrattiva e quella repulsiva debbono compensarsi esattamente.
Questa distanza corrisponde alla distanza atomica ao . L’insieme di tutti gli atomi risiedono

25
Figura 1.23: Relazione tra forze atomiche ed energia potenziale per due atomi isolati. La
posizione di equilibrio è quella per cui la forza netta è nulla e per cui la corrispondente
energia potenziale ha un minimo.

in una serie di buche di potenziale, descritte dalla totalità delle forze tra i singoli atomi. Data
una piccola perturbazione attorno alla posizione di equilibrio ao , gli atomi tendono a tornare
a quella posizione. Gli atomi come vedremo in seguito possono ancora vibrare attorno alla
posizione di equilibrio a causa della agitazione termica.
Dalla figura 1.23, si possono identificare due parametri che permettono di identificare
alcune proprietà dei solidi. La prima proprietà è la distanza atomica di equilibrio ao , che
nel caso di reticoli senza base coincide con la distanza tra primi vicini. Questo è l’estensione
tridimensionale della posizione di equilibrio tra due atomi. La seconda quantità è l’energia di
legame El (notare che viene definita positiva). Come implica il nome, l’energia di legame è
l’energia necessaria per separare ogni atomo del reticolo e di conseguenza l’energia necessaria
a distruggere il solido. L’energia di legame è, ovviamente, una misura della robustezza del
solido, e varia da appena 0.02 eV per i cristalli di Elio (legame di van der Waals), fino a più
di 10 eV per il LiF (legame ionico). L’energia di legame come mostrato nella figura 1.23 è
il minimo (cambiato di segno) della curva della energia potenziale totale.
Come messo in evidenza, i vari tipi di legame che intervengono in natura possono essere
distinti da differenti gradi di robustezza. Brevemente accenno ad alcuni di tali legami.

1.4.1 Legame dipolare


Ricordiamo che due cariche eguali ed opposte poste ad una certa distanza costituiscono
un dipolo elettrico che viene caratterizzato dal cosidetto momento di dipolo p~. Quando la
distribuzione elettronica di un atomo è spostata di poco rispetto al nucleo, si forma un dipolo
elettrico. Il momento di dipolo di un largo numero di tali atomi, in cui gli elettroni sono stati
spostati rispetto agli ioni, può interagire in maniera tale che gli atomi si attraggono gli uni con
gli altri. Lo spostamento della carica elettronica, relativamente alla carica ionica, determina
il dipolo stesso. Quando, un dipolo può interagire con un altro, ogni carica elettronica è
attratta dalla carica opposta ionica. Mentre le cariche elettroniche e ioniche si respingono a
vicenda. Nel complesso tra dipoli allineati eguali agiscono forze attrattive che diminuiscono
con la quarta potenza della distanza.
In generale questa forza tra dipoli è molto debole, specialmente in materiali che non

26
hanno un momento di dipolo permanente. Ad esempio tutti i gas nobili come l’Argon non
hanno nessun momento di dipolo permanente. Ma causa delle fluttuazioni quantistiche della
distribuzione di carica intorno al singolo nucleo si formano dipoli istantanei. Tali dipoli
inducono negli atomi vicini dipoli che quindi si attraggono: sommando l’effetto di induzione
e la forza attrattiva tra dipoli viene fuori che la forza attrattiva dipende dalla settima potenza
della distanza. Questo tipo di legame di poco interesse nella tecnologia prende il nome di
legame di van der Waals. Vi sono altri solidi ad esempio il ghiaccio, ma anche molte sostanze
organiche, in cui le molecole che lo compongono sono invece dotate di un momento elettrico
permanente. Il legame che tiene unito le molecole di acqua nel ghiaccio si spiega mediante
tale tipo di legame che viene spesso chiamato legame idrogeno.
La dipendenza della energia potenziale nei solidi di van der Waals ha dato luogo a una
descrizione standard che spesso è usata per una varietà di altri tipi di legame. Si dice
spesso che l’energia potenziale della forza attrattiva varia come r−n mentre quella della forza
repulsiva varia con r−m , con la condizione che m > n per evitare che il solido collassi. Un
potenziale comune è quello per cui n = 6 ed m = 12 che si abbrevia in 6 − 12. In tale caso
la energia potenziale totale può scriversi analiticamente come:
A B
E(r) = 12
− 6 (1.7)
r r
Trovando il minimo dell’eq. 1.7 si trova come la distanza di equilibrio valga:
 1/6
2A
ao =
B

mentre l’energia di legame sia:


B2
El =
4A
Quindi A e B sono determinati dalla conoscenza di ao ed El .

Legame ionico
Nel legame ionico uno dei costituenti atomici fornisce uno o più atomi esterni all’altro atomo,
producendo un insieme di ioni positivi e negativi che si attraggono l’un l’altro mediante la
attrazione di Coulomb. Per esempio, nella molecola di N aCl, un singolo elettrone viene
trasferito dal N a al Cl, e noi otteniamo la seguente espressione per la forza attrattiva:

e2
Fa =
4πo r2
Nella posizione di equilibrio si ha r = ao . Questa equazione vale solo per una molecola isolata
di N aCl e giustifica la distanza dell’N aCl a livello molecolare. In un solido cristallino, la
forza proviene dall’interazione con tutti i vicini dell’atomo considerato. I primi vicini sono di
segno opposto, i secondi di segno eguale e cosı̀ via. Per effettuare il conto bisogna calcolare
una serie, detta di Madelung, che converge lentamente: ma con gli strumenti di calcolo
attuale la serie si riesce a calcolare in frazioni di secondo.

27
1.4.2 Legame covalente
Nel legame covalente, gli elettroni sono messi in comune tra due o più atomi vicini. Per
esempio, la forma atomica dell’idrogeno può avere due elettroni nel suo orbitale esterno, ma
l’atomo singolo ha un solo elettrone. Perciò, due atomi di idrogeno formano una molecola in
cui mettono in comune i due elettroni: da un punto di vista energetico l’energia potenziale
della molecola é 4.5 eV . Tutti gli elementi, tranne i gas nobili, formano molecole covalenti in
quanto l’energia di legame è positiva. Questo tipo di legame è caratteristico di quasi tutti i
semiconduttori. Nella grafite (C), nel Germanio come nel Silicio, che hanno quattro elettroni
di valenza (mentre su tale livello ne sono possibili otto), ogni atomo è tenuto ai suoi quattro
primi vicini mediante legami covalenti. I quattro elettroni di ogni atomo sono condivisi con i
quattro primi vicini, cosı̀ che il legame tra qualsiasi due atomi ha nella media due elettroni.
Questi legami per ragioni di simmetria formano un tetraedo.

1.4.3 Legame metallico


Questo tipo di legame é molto simile al legame covalente, eccetto il fatto che gli elettroni di
valenza sono condivisi con un gran numero di atomi.
Nei metalli, gli elettroni di valenza sono pratica-
mente elettroni liberi si muovono attraverso tutto
il metallo; non sono quindi ristretti alla posizione
del forte legame covalente. Come risultato gli elet-
troni sono condivisi da tutti gli atomi del metallo.
Questo tipo di legame non è direzionale, e gli elet-
troni liberi rendono conto della alta conduttività
Figura 1.24: Rappresentazione schematica
del metallo. Forse l’analogo macroscopico più sem-
del legame metallico
plice è l’uva (ioni) nel panettone (elettroni). La
figura a fianco mostra come apparirebbe un met-
allo a livello microscopico.

1.5 Diffrazione
1.5.1 Onde e particelle
Ricordiamo come una onda sia caratterizzata dalla lunghezza d’onda ed essa sia associato
un vettore d’onda ~k tale che:

λ=
|k|
Inoltre si ha la frequenza che è pari all’inverso del periodo, ma anche legata alla pulsazione
ω:
1 ω
ν= =
T 2π
La forma più semplice di onda è l’onda piana la cui espressione esponenziale è:
~
Aei(k·~r−ωt) (1.8)

28
Notiamo come per un onda piana l’energia trasportata vada secondo A2 . Per tutte le onde
vale la relazione:
λν = v (1.9)
Come conseguenza la relazione, detta di dispersione, tra |k| e ω si scrive
ω = v|k| (1.10)
dove v è la velocità di propagazione dell’onda nel mezzo. Nel caso delle onde e.m. nel vuoto
v = c.
Quanto detto vale secondo la meccanica classica. La meccanica quantistica, necessaria a
descrivere compiutamente tutti i fenomeni che discuteremo nel seguito, stabilisce, lasciando
immutato quanto detto, un qualcosa in più un limite all’energia trasportabile da un onda.
Tale energia minima, un quanto, è legata alla frequenza dell’onda considerata e vale:
E = hν (1.11)
Dove h = 6.66 · 10−34 Js detta costante di Planck è una costante fondamentale della natura.
In particolare un quanto di energia e.m. si chiama fotone. I fotoni non hanno massa, ma
hanno energia cinetica data dall’equazione 1.11 ed quantità di moto pari a:

p~ = h̄~k = n̂
c
Dove h̄ = h/2π e n̂ è il versore di propagazione dell’onda. Quindi le onde non si distinguono
dalle particelle.
In maniera analoga alle particelle libere e dotate di massa m (elettroni, protoni, neutroni,
etc.) per le quali da un punto di vista classico si ha la semplice relazione tra energia e quantità
di moto:
p2
E= (1.12)
2m
A tali particelle possiamo associare una onda piana di frequenza:
E
ν=
h
ed una lunghezza d’onda pari a:
h
λ=
|p|
ed un vettore d’onda pari a:
~k = 1 p~

Quindi anche una particella libera dotata di massa è descrivibile mediante una onda piana:
~
Aei(k·~r−ωt)
Vi è una differenza tra onde fatte da particelle senza massa e particelle dotate di massa
essendo diverse le relazioni di partenza (1.9) da (1.12) segue che per le particelle dotate di
massa la relazione di dispersione vale:
h̄ 2
ω= k (1.13)
2m
La differenza è ben evidente con la eq.(1.10).

29
1.5.2 Interferenza

Il fenomeno dell’interferenza è caratteristico di


tutto ciò che è dotato di lunghezza d’onda (le
onde classiche, ma anche elettroni, neutroni etc.).
Un esempio di interferenza è facilmente verifica- Figura 1.25: Interferenza costruttiva tra due
bile con il suono immaginiamo di avere un oscil- altoparlanti in fase.
latore di una frequenza acustica (es. ν = 340 Hz,
quindi per il suono λ = 1 m).
Connettiamolo a due altoparlanti (per semplicità di trattazione facciamo in modo che
l’intensità emessa sia la stessa), se disponiamo gli altoparlanti come in figura 1.25, cioé sulla
stessa linea. La onda risultante avrà nei punti di massimo una ampiezza doppia e quindi in
tali punti l’energia dell’onda sarà quattro volte maggiore. Si ha in questo caso l’inteferenza
costruttiva. Se le ampiezze che interferiscono sono diverse la casistica è maggiore, ma la
sostanza del fenomeno rimane rimane la stessa.
Spostiamo ora l’altoparlante di sopra di mezza lunghezza d’onda (0,5 metri) come mostrato
nella figura 1.26. Si vede facilmente che quando un’onda è su, l’altra è giù, e viceversa. La
somma algebrica delle onde ha zero ampiezza.
Le due onde si cancellano l’una con l’altra e
non sentiremo nessun suono. Questa si chiama
interferenza distruttiva. L’interferenza per il
suono è nota da moltissimo tempo. Per osser- Figura 1.26: Interferenza distruttiva tra
vare l’interferenza occorre avere sorgenti coerenti due altoparlanti in opposizione di fase.
e spostare o controllare la distanza degli oggetti
con distanze paragonabili alla lunghezza d’onda.
In ottica in cui le lunghezze d’onda sono di frazioni di µm, è stato possibile trovare
l’interferenza della luce solo all’inizio dell’ottocento. Con le onde radio invece che facilmente
hanno lunghezze dell”ordine dei metri i fenomeni di interferenza sono facilmente messi in
luce e sono tenuti in conto nella trasmissione e nella ricezione dei segnali.

1.5.3 Diffrazione

Un fenomeno simile all’interferenza che è sempre


legato alla lunghezza d’onda è la diffrazione. Il
nome generico identifica molti fenomeni in cui un
onda incontra un ostacolo. Il caso particolare che Figura 1.27: Scattering tra un’onda piana
a noi interessa è l’interazione di onde e.m (raggi ed un cristallo.
x), elettroni o neutroni con i reticoli cristallini.
Ogni atomo del cristallo (in realtà gli elettroni degli atomi giocano il ruolo preminente)
riemettono le onde nello spazio, se punti vicini sono a distanza tale che le onde emesse
differiscono per un numero intero di lunghezze d’onda si ha una interferenza costruttiva.
L’interferenza dei raggi x sui reticoli cristallini è stata da subito usata come tecnica
investigativa della struttura cristallina. I raggi x sono stati per la diffrazione su cristalli già

30
nel 1912, cioè pochi anni dopo la loro scoperta. Tuttora è molto utilizzata tale tecnica in
forme più o meno sofisticate per studiare i solidi a livello atomico.
Un esempio di diffrazione su oggetti dei nostri giorni può chiarire cosa sia la diffrazione.
I CD sono realizzati mediante regolari tracce metalliche (pit) presenti o meno larghe 0.5 µm,
su cerchi concentrici a distanza regolare di 1.6 µm (la lunghezza della traccia di qualche µm)
non interessa per il discorso che andiamo a fare.
Visualizzare con un buon microscopio ottico le
traccie di un CD non è cosa semplice, infatti lo
spesso stato protettivo di plastica impedisce di
usare il massimo ingrandimento (1000x) di un co-
mune microscopio. Siamo invece in grado di mis-
urare esattamente la distanza tra i pit mediante
la diffrazione. Se illuminiamo con luce rossa pi-
ana (un semplice puntatore laser): λ = 0.67 µm Figura 1.28: Diffrazione tra un fascio laser
con un angolo di incidenza θ1 si dimostra geomet- coerente ed un reticolo di pit incisi su un
ricamente che per un angolo di diffrazione θ2 si ha comune CD.
interferenza costruttiva per:

d sin θ2 − d sin θ1 = mλ
da cui:
λ
sin θ2 = sin θ1 + m (1.14)
d
dove m è un intero (negativo, positivo o nullo), detto ordine della diffrazione.
Il fatto che il valore del seno sia limitato tra −1 e 1 fa sı̀ che le direzioni di diffrazione
siano limitate, nell’esempio fatto per θ1 = 45o si hanno solo cinque possibilità:
λ = 0.67 µm, θ1 = 45, d = 1.6 µm
Ordine θ2
0 45o
1 16o
2 −7.5o
3 −33o
4 −75o (non si vede quasi)

Che sono le cinque macchie di luce (spot) che si vedono sullo schermo posto davanti al CD.
La macchia più intensa corrisponde ad m = 0 e corrisponde alla situazione che l’angolo
di incidenza è eguale a quello di riflessione: tale condizione si ha nella riflessione da una
superficie continua, nella cosidetta ottica geometrica. Se infatti illumino il CD con luce non
monocromatica avrò una sola macchia, la presenza di molte macchie sullo schermo si ha solo
con un fascio monocromatico. La lunghezza d’onda ha un ruolo essenziale all’aumentare di λ
diminuiscono il numero di spot fino ad averne uno solo, mentre al diminuire della lunghezza
d’onda il numero degli spot aumenta.
Il numero N dei punti del reticolo di pit determina la larghezza dello spot, che diviene
puntiforme per N − > ∞. La forma dello spot dipende dalla forma del pit. La ripetizione
simmetrica dei punti (reticolo spaziale unidimensionale) permette il fenomeno.

31
La stessa cosa si può studiare mediante il reticolo reciproco e applicando le regole dell’urto
elastico ad i fotoni che incidono sul reticolo di punti. Essendo il reticolo reciproco undimen-
sionale il vettore primitivo che genera il reticolo ha intensità

|~a1 | =
d
Un generico vettore del reticolo reciproco sarà G ~ = m~a1 . Imponendo la conservazione della
quantità di moto dei fotoni lungo l’asse del reticolo mediante cessione/assorbimento di quan-
tità di moto al reticolo. La quantità di moto di un fotone incidente vale h~k/2π, di quello
diffratto h~k 0 /2π e del reticolo hG/2π.
~ Notiamo che essendo l’urto elastico |k| = |k 0 |:

h̄~k = h̄~k 0 + h̄G


~

~k = ~k 0 + G
~
Proiettando nella direzione di G:
2π 2π 2π
sin θ1 = sin θ1 + m
λ λ d
da cui viene:
λ
sin θ2 = sin θ1 + m
d
che è la stessa relazione (1.14) ricavata in maniera geometrica.
Fatta questa introduzione apparirà più chiaro il
metodo usato da Laue per spiegare la diffrazione
dei raggi x dai cristalli regolari. Il fatto speri-
mentale è che se vengono fatti incidere raggi x,
quindi con lunghezza d’onda paragonabile alla
distanza tra gli atomi di un cristallo, per alcune
direzioni di incidenza si trovano raggi x diffratti
(cioè non nella direzione iniziale di propagazione)
con notevole intensità. Gli atomi che fanno parte
del reticolo hanno contribuito allo diffrazione dei
raggi x in maniera analoga a quanto abbiamo
visto nel caso unidimensionale. Figura 1.29: Costruzione di Laue per de-
terminare la condizione di diffrazione.

In questo caso la differenza di cammino ottico vale

d cos θ + d cos θ0 = d~ · (~n − ~n0 )

essendo: ~k = 2π~n/λ e ~k 0 = 2π~n0 /λ. Per avere interferenza costruttiva deve aversi che:

d~ · (~k − ~k 0 ) = 2πm

Ma d~ è un vettore del reticolo diretto e quindi per aversi interferenza costruttiva deve aversi
che la differenza tra vettore d’onda incidente e diffratto sia pari a un vettore del reticolo
reciproco:
~k − ~k 0 = G
~

32
Notare che in realtà nella pratica per avere un segnale diffratto misurabile debbono essere
coinvolti numeri notevoli di atomi (spesso molti milioni) per molte migliaia di piani reticolari.
Quasi contemporaneamente a Laue, che fu in-
signito del premio Nobel per lo studio della
diffrazione ai Raggi X nel 1914, Bragg, padre
e figlio, diedero un’altra spiegazione per la
diffrazione dei raggi X (anche loro furono insigniti
del premio Nobel un anno dopo). Il loro ragion-
amento si basava sui piani reticolari. Immagini-
amo che un’onda piana venga riflessa specular-
mente da una famiglia di piani cristallini come
in figura. Riflessione speculare vuole dire che
l’angolo di incidenza coincide con quello di ri-
flessione (come avviene nella riflessione da uno
specchio). Ogni piano della famiglia riflette una
porzione piccolissima della radiazione incidente.
Notare che gli angoli θ sono diversi da quelli Figura 1.30: Costruzione di Bragg per de-
definiti per la spiegazione di Laue. I raggi diffratti terminare la condizione di diffrazione.
si trovano quando le riflessioni da piani paralleli
interferiscono costruttivamente cioè quando:

2d sin θ = nλ (1.15)
Tale espressione va sotto il nome di legge di Bragg.
La lunghezza d’onda è essenziale per osservare la diffrazione dai cristalli, ma l’uso dei
fotoni (raggi X) non è indispensabile. Gli stessi fenomeni qualche decina di anni dopo,
all’inizio degli anni ’30, dopo sono stati osservati con gli elettroni. In questo caso l’energia
degli elettroni tale che la lunghezza d’onda sia 0.1 nm deve essere di 150 eV. Gli elettroni
di questa energia a differenza dei fotoni sono fortemente assorbiti dai piani reticolari per cui
pochi piani atomici sono sufficienti per assorbire gli elettroni, la tecnica viene diffusamente
usata per studiare le superfici. La diffrazione di elettroni di maggiore energia, quali quelle
in uso nei TEM (maggiori di 100 KeV ) sono usate per studiare la diffrazione di campioni
relativamente spessi (decine di nm). Nelle proprietà di trasporto degli elettroni nei metalli e
nei semiconduttori la condizione di riflessione alla Bragg interviene in vari fenomeni che non
potremo studiare in dettaglio per carenza di tempo.
Negli anni ’50 i neutroni di lunghezza d’onda di frazioni di nm, energie di centesimi di
eV, sono stati utilizzati per osservare la diffrazione. In questo caso il nucleo atomico gioca
un ruolo essenziale, al contrario che nella diffrazione da raggi X e da elettroni. Lo studio
delle proprietà dei materiali ferromagnetici e lo sviluppo di nuovi materiali ferromagnetici
è stato possibile grazie a tale tecnica. I neutroni come i raggi X interferiscono poco con
gli atomi singoli e quindi possono essere usati per campioni spessi (bulk), ma differenza dei
fotoni hanno un momento magnetico e quindi interagiscono con l’ordine ferromagnetico del
cristallo rivelando la struttura a livello atomico. I neutroni prodotti nei reattori nucleari, i
cosidetti neutroni termici, hanno la lunghezza d’onda adatta per essere usati in misure di
diffrazione.
La lunghezza d’onda gioca un ruolo essenziale nei fenomeni di diffrazione, se è troppo
grande rispetto al passo reticolare, non si osserva nessuna diffrazione, se è troppo piccola i

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picchi di diffrazione (l’equivalente degli spot del laser) sono troppo numerosi e si ha enorme
confusione. La spiegazione di Laue e di Bragg in realtà coincidono infatti se partiamo dalla
formula di Laue:
~k − ~k 0 = G
~

che possiamo anche mettere in forma grafica come


~ identifica
si vede nel disegno a fianco. Il vettore G
anche i piani della famiglia (essendo perpendico-
lare ad essa). Essendo i vettori ~k e ~k 0 eguali in
modulo si ha che:

G = 2k cos θ Figura 1.31: Costruzione di Bragg e di


Laue insieme per evidenziare l’equivalenza
Notare che θ è il complementare dell’angolo usato dei due metodi.
da Bragg, per cui il coseno dell’uno corrisponde
al seno dell’altro. Questa equazione è equivalente
alla equazione di Bragg: l’ordine della diffrazione
è incorporato nel vettore reciproco che può as-
sumere anche valori multipli della misura min-
ima in una certa direzione purchè ovviamente
| sin θ| ≤ 1.
Consideriamo un cristallo di Niobio (Nb). Il reticolo diretto di Bravais nello spazio reale
è bbc con passo reticolare a = 0.33 nm. Il reticolo reciproco è f cc con passo reticolare
di 4π/a = 38 nm−1 . Se usiamo raggi x di lunghezza d’onda di 0.3 nm che corrisponde a
k = 2π/λ = 21 nm−1 . Le soluzioni possibili sono quelle per cui sin θ ≤ 1. Deve essere quindi:
G ≤ 2k = 42 nm−1 . La tabella riassume le due uniche possibilità:
Riflessioni alla Bragg dal Niobio con raggi x di lunghezza d’onda di 0.3nm
~
G G θ piano
−1 o
(4π/a)1/2(ı̂ + ĵmath) 28 nm 42 (110)
−1 o
(4π/a)ı̂ 38 nm 64 (100)

Viene messo anche il tabella il modulo di G, l’angolo di Bragg di eq.(1.30) e il piano di


riflessione perpendicolare al vettore G. ~ L’esempio ha solo carattere didattico, infatti in
genere si preferiscono utilizzare delle frequenze che corrispondono a delle frequenze atomiche
caratteristiche di emissione dell’elemento usato come target per produrre raggi x.
Se si usa un cristallo, le riflessioni di Bragg si possono osservare solo orientando in maniera
opportuna il cristallo rispetto alla radiazione incidente. Per osservare altre riflessioni di Bragg
occorre orientare il cristallo in maniera opportuna.
Per completezza enumero e brevemente descrivo alcune delle tecniche usate nella diffra-
zone a raggi x.

Metodo di Laue.
In tale metodo viene usata una radiazione incidente di ben precisa direzione, ma non
monocromatica.

34
Figura 1.32: Schematizzazione del metodo detto di Laue. Il Fascio di raggi X arriva da destra
entra attraverso il collimatore nella camera al cui centro è posto il cristallo da studiare e due
lastre fotografiche sono poste sul cammino del fascio una anteriore ed una posteriore. A
sinistra si vede il tipico risultato sulla lastra fotografica, la posizione dei picchi fornisce oltre
ai dati quantitativi l’informazione sul tipo di simmetria del cristallo.

Nella figura 1.32 è mostrato schematicamente il metodo. Immaginiamo cioè di illu-


minare il campione con una radiazione di lunghezza d’onda compresa tra due lunghezze
d’onda:λo e λ1 . Essendo il fascio composto di varie lunghezze d’onda per ogni lunghezza
d’onda che soddisfi la condizione di Bragg emerge un raggio diffratto. Le due lastre
fotografiche poste una anteriormente e l’altra posteriormente possono essere piazzate
in maniera da rimanere impressionate da una serie di macchie come quelle mostrate
nella pagina precedente in basso.

L’insieme di macchie che appaiono può essere molto confuso quando la struttura del
cristallo non è nota, in quanto diverse lunghezze d’onda, che corrispondono a ordini
diversi dello stessa famiglia di piani possono essere diffratti nello stesso punto. Tale
indagine viene usata per indagini di routine su cristalli ben noti.

Metodo del cristallo rotante

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In tale metodo mediante la diffrazione
su un cristallo di alta qualità viene reso
monocromatico un fascio di raggi x pri-
mario. Il fascio monocromatico viene ben
collimato (il collimatore non è mostrato
nella figura). A questo punto il fascio
viene fatto incidere sul cristallo campione
da studiare con un angolo noto. Il cristallo Figura 1.33: Metodo del cristallo rotante.
campione può essere ruotato in maniera Il fascio primario incide su un cristallo
precisa e controllabile attorno a due di- orientato opportunamente che seleziona la
rezioni perpendicolari tra di loro. Infine lunghezza d’onda dei raggi X, che diven-
il raggio uscente dal cristallo viene rive- tano cosı̀ un raggio monocromatico che in-
lato con elevata sensibilità. La larghezza cide sul cristallo che viene fatto ruotare men-
del picco come l’angolo a cui si trova il tre si analizzano a vari angoli di dffrazione
picco può essere misurata con grande pre- l’intensità dei raggi X diffratti.
cisione come anche la dimensione angolare
del picco stesso.

Tale metodo permette di caratterizzare con estrema precisione i reticoli cristallini, come
l’eventuale presenza di difetti.

Metodo delle polveri.


In tale metodo il cristallo viene polverizzato in parti piccole in maniera che vi siano
cristalli disposti casualmente nello spazio. Viene usata una sorgente monocromatica di
raggi x collimata che incide sul campione. Sullo schermo posto al di là del campione
compaiono una famiglia di cerchi che sono disposti secondo gli angoli di Bragg del
campione. Tale tecnica è usata per studiare campioni incogniti, l’ordine dei cerchi
rivela la simmetria del cristallo oltre a dare una stima del passo reticolare.

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