Sei sulla pagina 1di 113

Università degli Studi del Molise

DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICO-SOCIALI E DELL’AMMINISTRAZIONE

Giovanni Di Giandomenico

Dispense di diritto privato

CAMPOBASSO
Giovanni DI GIANDOMENICO
Dispense di diritto privato
Edizione a cura di Giovanni Cirelli
Campobasso: Dipartimento S.G.S.A., 2002
______________________________________________
INDICE

1. Il codice civile p. 1
2. Le situazioni giuridiche soggettive p. 11
3. Il rapporto giuridico ed il rapporto contrattuale p. 40
4. Soggettività, capacità, legittimazione p. 52
5. L’attività giuridica p. 62
6. L’oggetto del negozio giuridico p. 78
7. Rilevanza, efficacia, validità giuridica p. 84
8. Diritti della personalità e tutela giuridica della persona umana
p. 92
CAPITOLO PRIMO

Il codice civile

SOMMARIO: 1. Il codice civile del 1942. - 2. Il code civil. - 3. La diffusione del code civil.
La scuola dell’esegesi e gli sviluppi successivi. - 4. La scuola storica. La
pandettistica ed il B.G.B. - 5. Il codice civile del 1865, il codice del 1942, la
Costituzione e l’età della decodificazione. L’analisi economica del diritto - 6. La
nuova centralità del codice civile e la ripatrimonializzazione del diritto privato.

1. Il codice civile del 1942.

Con r.d. 16 marzo 1942, n. 262 veniva approvato il codice civile


tuttora vigente in Italia. Nonostante il regime politico nel cui vigore
esso fu emanato, il testo si inseriva nel solco della tradizione culturale
giuridica dell’Europa continentale, assumendo i tratti prevalenti del
sistema di codificazione francese - «il codice civile italiano è un codice
francese» (R. Sacco) - non privo, tuttavia, di influssi provenienti
dall’area tedesca, almeno limitatamente ad alcuni settori e nozioni.
Lo studio delle premesse ideologiche e culturali, nonché
dell’evoluzione storica del movimento della codificazione, diventa
indispensabile per la comprensione del carattere e dell’importanza
del codice civile italiano e del suo ruolo nel contesto dell’intero
ordinamento giuridico.
I due maggiori codici che hanno preceduto quello italiano sono
espressione di due differenti «approcci» in ordine alla forma, al
contenuto ed alla tecnica della legislazione, nonché per quello che
riguarda la funzione svolta dalla dottrina ai fini della codificazione e
dopo la stessa: in particolare, il code civil francese (1804) costituisce
il punto di partenza di una corrente di pensiero e metodologica
(quella c.d. «dell’esegesi»); il Bürgerliches Gesetzbuch tedesco (1896)
rappresenta, al contrario, il «risultato» di una metodologia e di una
scuola dottrinale (la «Pandettistica»), il frutto di una elaborazione
prevalentemente teorica.
2 Dispense di diritto privato

2. Il code civil.

In Francia - Paese in cui il movimento della «Codification» assurse


al rango che ancora oggi gli viene riconosciuto nell’esperienza
giuridica - il codice civile segnò il trionfo di una legge civile comune
sulla variegata congerie di consuetudini che regolavano - in modo
disordinato, disorganico e geograficamente contraddittorio - i rapporti
privatistici. Dal punto di vista politico, il code costituì il complemento
giuridico della costruzione dello Stato unitario (contro la
frammentazione ereditata dal feudalesimo) ed indipendente
(dall’Impero romano-germanico). Sotto il profilo giuridico ciò
comportava la sopravvivenza dello studio del diritto romano nelle
università, mentre nella realtà si affermavano i particolarismi delle
differenti fonti normative e delle differenti autorità deputate alla loro
applicazione (signori, vescovi conti ecc.). Emergeva così una
contrapposizione tra ciò che si insegnava - il diritto romano - e ciò che
effettivamente era il diritto applicato, ossia il diritto coutumier.
L’unificazione era, complessivamente, ostacolata dal dualismo di
potere (re e parlamenti locali, ai quali si aggiungevano le autorità
ecclesiastiche), che aveva il suo pendant nel mondo giuridico dalla
contrapposizione tra droit écrit - vigente al Sud della Francia e
insegnato nelle università - e droit coutumier, diffuso nelle regioni
settentrionali.
Una spinta ideologica all’unificazione ed alla codificazione venne
dal movimento c.d. «razionalista», la cui ispirazione di fondo
consisteva nella rivalutazione della parte razionale dell’uomo e,
pertanto, privilegiava un metodo classificatorio e ordinatorio.
L’avversione ai particolarismi, insita nell’idea razionalista, condusse a
sceverare dalle innumerevoli e spesso contraddittorie leggi
giustinianee - ossia il diritto romano come inteso all’epoca - quelle
regole più convincenti dal punto di vista della giustificazione
razionale, in modo da avere un punto di riferimento sicuro. Il tentativo
di razionalizzazione portò con sé la tendenza all’astrazione ed
all’elaborazione di principi generali.
La codificazione, infine, si realizzò grazie all’esistenza di un forte
potere capace di superare tutte le resistenze alla precisa scelta di
politica legislativa centralizzante, potere che delegò il compito di
procedere all’opera di unificazione alla dottrina, l’unica in quel
contesto capace di elaborare le regole d’insieme che costituiscono
l’idea stessa di codice. E la Francia aveva avuto gli studi e le opere di
studiosi come Donello, Argon, Molineo e, soprattutto, di Domat e
Il codice civile 3

Pothier, giuristi le cui opinioni e soluzioni configurarono la struttura ed


i contenuti del code civil.
Ci si preoccupa, anzi, di evitare accuratamente ogni forma di
intrpretazione soggettiva della legge che possa fare il giudice,
tornando così ad essere la fonte creatrice concreta del diritto: il
giudice non può essere, invece, che la «bouche de la loi», la bocca
della legge: e perché tutto ciò avvenga imparzialmente e con
uniformità in tutto il territorio dello Stato, viene creata già nel 1790,
con un decreto dell’Assemblea, la Cour de Cassation. I principi
illuministici della divisione dei poteri si traducono, quindi, in una
organizzazione giudiziaria ben prima dello stesso Code Napoléon del
1804.
Il code rappresenta il tributo della scienza giuridica alle istanze
razionalistiche. È ossequioso del principio della divisione dei poteri e
pertanto riduce al minimo l’intervento discrezionale del giudice, al
quale è riservato il mero compito di «dichiarare» se un diritto vantato
dal privato esiste.
Il code è, inoltre, un codice borghese, ossia un codice che traduce
in pratica le istanze della borghesia uscita vittoriosa dalla rivoluzione
francese e desiderosa di consolidare le proprie conquiste: è un codice
fondato sul diritto di proprietà e sui mezzi per conservarla, trasferirla,
garantirla. Ed i diritti reali sono gli unici diritti soggettivi
organicamente individuati e disciplinati. L’autonomia contrattuale è
pressoché incondizionata e non legata a particolari esigenze di forma.
In conclusione, si tratta di un codice ispirato all’ideologia liberale.

3. La diffusione del code civil. La scuola dell’esegesi e gli


sviluppi successivi.

Il code civil si diffuse immediatamente e rapidamente in buona


parte dell’Europa, favorito dalle guerre napoleoniche le quali,
assecondando il disegno egemone francese dal punto di vista politico-
militare, costituirono il veicolo di più incisiva propagazione delle idee
e pertanto anche dei modelli giuridici della Francia.
D’altra parte, la matrice razionalista e l’ispirazione liberale ben si
prestavano alla tutela delle esigenze maggiormente avvertite
all’epoca nell’Europa più progredita, anche se spesso gli stessi
contemporanei esagerarono nel reputare rinvenibili nelle disposizioni
del code nient’altro che il diritto naturale codificato, ossia la
concretizzazione dell’idea giusnaturalistica.
4 Dispense di diritto privato

Proprio questa convinzione, ossia che l’introduzione del code


rappresentasse l’approdo concreto e definitivo del razionalismo e del
giusnaturalismo (quello dell’età moderna, svincolato dalla rivelazione
cristiana e da ogni fede religiosa, insomma quello, più laico, di
Portalis: Falzea), provocò l’abdicazione da parte della dottrina ad uno
dei compiti che la tradizione le aveva riservato: contribuire alla
creazione del diritto. Infatti, la «scuola dell’esegesi» - «esegesi» è una
parola greca che significa spiegazione, interpretazione di un testo -
nacque dal convincimento che, avendo ormai il diritto civile positivo
raggiunto il completamento mediante il code, alla dottrina non
restasse che il compito di interpretare, analizzare, studiare le
disposizioni codicistiche, nel tentativo di rendere chiaro quanto
comunque già era contenuto - seppure in maniera inespressa - in
esse. Inoltre, in ossequio al principio della divisione dei poteri, anche
la creazione giurisprudenziale del diritto fu ripudiata, sottraendo al
giudice ogni potere normativo.
D’altra parte, l’idea di fondo era che nelle pieghe del code si
sarebbe potuta trovare la soluzione per ogni questione, bastava
cercarla attraverso l’attività di mera interpretazione, l’esegesi
appunto. Esponenti illustri di questo orientamento metodologico -
convenzionalmente compreso tra il 1806 ed il 1880 - furono Toullier,
Delvincourt, Duranton, Troplong, Marcadé, Demante, le cui opere
manualistiche non a caso erano intitolate «Code civil» con preferenza
rispetto a «Droit civil», per rimarcarne il carattere esegetico e la
struttura in forma di commentario.
Il lato negativo della medaglia fu una sorta di pigrizia intellettuale
che si impadronì della dottrina francese e degli altri stati in cui il
relativo modello di codice civile si impose: «l’interprete francese
dell’epoca non concettualizza, non sistema, non elabora giudizi di
valore» (R. Sacco). Si limita a studiare ed esaminare le regole, in vista
di una loro applicazione.
In tale contesto, non poteva non acquistare - nel tempo - un rilievo
centrale la giurisprudenza, ossia le decisioni dei giudici ed, in
particolare, della Cour de Cassation.
Di fronte, tuttavia, alla lacunosità del code - vieppiù emergente
coll’invecchiamento dello stesso - si avvertì l’esigenza di superare il
metodo esegetico - che, in fondo, non era altro che una spiegazione
del codice articolo per articolo - e, andando oltre la sua divisione in
libri, tentare di operare un collegamento sistematico tra le sue varie
parti. Si riscoprì la necessità dell’ordine, del metodo e delle
generalizzazioni. In modo paradossale - ma soltanto in apparenza
poiché si tratta di un professore di diritto badese e cioè di diritto
Il codice civile 5

francese - l’operazione fu compiuta dal tedesco Zachariae la cui


opera (del 1827) fu tradotta in Francia da Aubry et Rau (1837).
Si deve, infine, a Gény - fondatore della scuola scientifica -
l’affrancazione definitiva dello studioso francese dalla pura esegesi,
attraverso la presa di coscienza che le lacune del diritto positivo
devono essere colmate con l’intervento diretto del giudice, dietro i
suggerimenti della dottrina, meno vincolata dal diritto positivo.

4. La scuola storica. La pandettistica ed il B.G.B.

In Germania, il Bürgerliches Gesetzbuch (B.G.B.) rappresentò lo


stadio conclusivo di un’operazione studiata a tavolino, in cui il
momento metodologico venne davvero prima del diritto positivo. Le
condizioni che avevano consentito la codificazione unitaria in Francia
mancavano in Germania, soprattutto perché mancava uno stato
tedesco unitario e quindi un’autorità che potesse imporre
l’unificazione del diritto. I singoli stati conservavano gelosamente la
propria autonomia anche sotto il profilo giuridico.
Tuttavia, la dignità e la profondità del diritto romano erano
generalmente avvertite e costituirono la base per il movimento che -
al termine - condusse alla codificazione. Anche se gli inizi furono
decisamente contrari. Nel diritto romano o, meglio, nel diritto
comune, cioè il diritto delle Pandette riletto in chiave moderna, si
trovò il cemento del diritto tedesco.
La scuola storica - di cui von Savigny fu il fondatore - rinnegò la
cristallizzazione del diritto in codici e sostenne la validità del diritto
consuetudinario - in quanto diritto effettivamente praticato e creato
dal popolo - e del diritto dotto, ossia della dottrina. Ma il ruolo della
dottrina non è tanto quello di produrre disposizioni normative quanto
quello di apprestare gli strumenti per la conoscenza del diritto, ossia i
concetti giuridici.
Utile a questi fini apparve il diritto romano, il suo uso rinnovato
(usus modernus Pandectarum). Il movimento della pandettistica - o
«scuola dogmatica» - si basa su un’opzione di fondo a cui corrisponde
il metodo prescelto: il Jurist equivale al professore di diritto, il metodo
del quale è concettuale, dogmatico, sistematico.
Concettuale: i concetti vengono prima del diritto positivo e sono
delle categorie giuridiche utilizzabili indipendentemente dal contesto
ordinamentale e dalle singole questioni concrete. I concetti si
traducono in definizioni.
6 Dispense di diritto privato

Dogmatico: i concetti, in quanto astratti, sono creazione della


mente e, per questo, dotati di generalità e precisione e non
ammettono eccezioni. Il giurista, per i pandettisti, opera come un
matematico alla ricerca di definizioni precise, insuscettibili di
contraddizione: i dogmi (il termine «dogma» significa, appunto, verità
incontestabile).
Sistematico: in presenza di più definizioni (id est, concetti) si reputa
valido quello coerente con l’intero corpo di concetti giuridici, quello
che non si pone in rottura con il sistema.
La regola non ha più la pole position nel mondo del diritto: i
concetti vengono prima ed il compito di elaborarli e ricondurli a
sistema spetta alla scienza giuridica. Da quest’opera continua di
astrazione vengono fuori categorie generali, capaci di ricomprendere
molteplici profili di diritto positivo. È il periodo in cui si afferma la
priorità di una «parte generale» (allgemeiner Teil) del diritto civile,
comprensiva dei «concetti» di «soggetto», «rapporto giuridico»,
«prestazione», «vicenda del rapporto», «fattispecie» e «metodo
giuridico».
«Il metodo di lavoro del giurista tedesco implica quindi: una prima
fonte del diritto, lacunosa ed oscura ch’essa sia, consistente nel
Corpus Juris giustinianeo; un’opera di razionalizzazione ed
esplicazione dei concetti insiti nel Corpus, affidata alla scienza;
un’opera di deduzione di regole pratiche applicative, ricavate dai
concetti ad opera della scienza e della pratica» (R. Sacco). Tra i
giuristi della scuola dogmatica vanno ricordati, senza pretesa di
completezza, Puchta - il fondatore - Arndt, Crome e, soprattutto,
Windscheid.
L’approccio al diritto positivo anziché essere del tipo analitico-
esegetico delle mere esposizioni ragionate e dei pur elaborati
commentari, venne acquistando carattere sistematico-dogmatico. La
realtà storica di un ordinamento giuridico positivo venne ricondotta a
concetti generali e sistemata in categorie e istituti i cui nessi
rispecchiarono il fitto intreccio dei rapporti che collegano in vario
modo la realtà del diritto. La scienza giuridica assunse il compito di
fondare un impianto concettuale in grado di dominare la vasta e
complessa materia giuridica e un sistema di categorie in cui ogni
parte, piccola o grande, della materia trovi la sua appropriata
collocazione (Falzea).
Tuttavia, ciò non tolse che altri indirizzi metodologici si
sviluppassero in Germania, seppure in posizione minoritaria. Von
Jhering sostenne la prevalenza degli interessi protetti dagli istituti
giuridici sull’aspetto formale degli stessi. La «scuola del diritto libero»
Il codice civile 7

rivendicò una maggiore libertà del giudice. Venne così contrapposta


una «giurisprudenza degli interessi» a quella «dei concetti».
L’esito più importante della dogmatica fu il B.G.B. Il codice civile
tedesco, promulgato nel 1896 ed entrato in vigore nel 1900, sin dalla
struttura, oltre che nei contenuti, rispecchiava le tesi della
pandettistica. Esso comprende - primo nella storia - un’accurata parte
generale che funge da premessa indispensabile per il restante corpo
normativo, chiarendo i «concetti» di soggetto, rapporto giuridico ecc.
Ma il B.G.B. non fu soltanto un’elegante opera dottrinale: fu,
soprattutto, un testo di diritto positivo e, come tale, fu sentito dalla
dottrina tedesca che avviò immediatamente un lavoro di
interpretazione e concettualizzazione sulla base delle norme da esso
espresse, creando nuove categorie ed affinando - spesso fino
all’inverosimile - il metodo dell’astrazione.
La metodologia dei Pandettisti è stata designata con l’espressione
«formalismo giuridico» (Wieacker, Kantorowicz) o, anche,
«formalismo scientifico», per il deciso taglio concettuale (Bobbio).
Non meno critica è l’ulteriore definizione di «giurisprudenza
concettuale» (Begriffsjurisprudenz). Le varie etichette sono, tuttavia,
postume ed indicano il largo uso che in quel periodo è stato fatto dei
metodi e dei canoni della logica formale, piuttosto che un ipotetico
ruolo preminente del momento formale del diritto (Falzea).

5. Il codice civile del 1865, il codice del 1942, la Costituzione e


l’età della decodificazione. L’analisi economica del diritto.

Il codice civile dell’Italia unita (1865) seguì il modello francese - del


quale in alcuni punti è pedissequa traduzione - ma gli studiosi italiani
accusarono un forte fascino per le costruzioni teoriche tedesche e,
pur seguendo il metodo esegetico, incominciarono ad impratichirsi
con i modelli concettuali della pandettistica, sovrapponendoli agli
istituti giuridici positivi. La concettualizzazione ed il ragionamento
deduttivo divennero il normale bagaglio del giurista italiano, che fu
essenzialmente dogmatico (si pensi a Nicola Coviello, Leonardo
Coviello, Polacco, Pacchioni).
Il codice civile del 1942, tuttavia, non risentì troppo degli influssi
della scuola dogmatica: restò - lo si è già ricordato - legato alla
tradizione francese. Rimase, soprattutto, l’elemento centrale del
sistema di diritto privato, almeno fino all’entrata in vigore della
Costituzione repubblicana (1948) che - per i valori di giustizia, non
soltanto formale ma sostanziale, di solidarietà umana e sociale, di
8 Dispense di diritto privato

garanzia del pieno e libero sviluppo della persona, espressi


nell’esigenza unitaria del rispetto della sua dignità - costituiva una tra
le più avanzate normative costituzionali.
Non soltanto per il rango superiore assunto nella gerarchia delle
fonti, la Costituzione scalza il codice civile dalla sua posizione di
preminenza, anche soltanto teorica, per l’importanza ed il numero di
nuovi principi introdotti. In uno con l’evolversi dei costumi delle
relazioni sociali e politiche e con l’accentuata prevalenza della
persona umana rispetto ad altri valori, pure costituzionalmente
protetti, si assiste al proliferare di leggi c.dd. «speciali» od
«integrative», così definite per la loro estraneità e complementarietà
al codice civile. Si pensi allo Statuto dei lavoratori, alla legge sulla
casa, alle leggi sull’adozione e sull’affidamento, sulla capacità di
agire, al divorzio ed al nuovo diritto di famiglia, alla legge sul regime
dei suoli, alla legge sull’equo canone, alla nuova regolamentazione
dei rapporti agrari, alla legge in materia di informazione e
telecomunicazioni ecc. Alla segmentazione della realtà socio-
economica corrisponde la frammentazione della legislazione
civilistica, tanto da far ritenere giunta, icasticamente, l’«età della
decodificazione» (N. Irti).
Il codice perde la sua centralità nel sistema, nel quale il ruolo
unificante viene assunto dalla Costituzione che, per i contenuti
esaltanti la persona umana come valore cardine dell’intero
ordinamento, suggerisce l’avvento di un diritto privato
«depatrimonializzato», così qualificato non tanto perché abbia
abbandonato la cura dei tradizionali interessi di natura patrimoniale
(proprietà, obbligazioni, contratti ecc.), quanto perché li subordina al
conseguimento di altre finalità legate alla cura di interessi
«esistenziali»: salute, identità, libertà sessuale ecc.
In tale contesto, l’attività volta alla ricostruzione del sistema,
mediante l’interpretazione, si è fatta sempre più difficile per la
mutabilità e la contraddittorietà delle scelte di politica del diritto e la
variabilità dei contenuti delle discipline degli istituti giuridici, per un
uso poco accorto delle tecniche legislative, tanto delle macrotecniche
attinenti al tipo di accorpamento degli enunciati (codice e novelle,
leggi organiche e pluralità di testi, testi unici), quanto delle
microtecniche concernenti l’uso dei principi, delle clausole generali o
delle previsioni di tipo casistico e regolamentare (P. Perlingieri).
La dottrina ha reagito con una nuova scuola dell’esegesi
(«neoesegesi»), procedendo all’esame ed all’interpretazione delle
singole leggi speciali, prevalentemente considerandole avulse
dall’intero sistema normativo. Sono diventati diffusissimi i
Il codice civile 9

commentari alle leggi, spesso corredati dalle decisioni


giurisprudenziali di merito e di legittimità, in cui l’attività del
commentatore risulta scevra da pretese dogmatiche e sistematiche.
Si è abbandonata, perché inutile, la tecnica della concettualizzazione
ed il metodo deduttivo a favore del particolarismo e del metodo
casistico, ossia il ragionamento basato sul diritto applicato
concretamente. Dal sistema si è passati ai microsistemi (N. Irti).
Un’altra scuola ha trovato proseliti tra gli studiosi italiani
(Trimarchi, Rodotà, Pardolesi, Mattei), quella dell’«analisi economica
del diritto». Nata negli Stati Uniti negli anni trenta, essa consisteva
nel metodo di misurare empiricamente gli effetti economici delle
scelte giuridiche per valutare la scelta migliore, ossia il contenuto
della disciplina o l’interpretazione della norma da applicare
concretamente al caso specifico.
La «nuova analisi economica del diritto», negli anni sessanta, da un
lato prosegue nell’utilizzo dell’analisi dei costi e dei benefici indotti
dalle scelte giuridiche; dall’altro, analizza i concetti propri della
scienza giuridica con lo strumentario concettuale di quella economica,
utilizzando in particolare le categorie della microeconomia classica.
L’assunto è che i soggetti sono persone dotate di razionalità, che
utilizzano nelle loro scelte, le quali dipendono da incentivi e
disincentivi creati dalle norme giuridiche.
La scuola si articola in due filoni facenti capo ai due capiscuola:
Posner e Calabresi. Il primo ha come obbiettivo quello dell’efficienza e
del benessere e sostiene che le norme propongono soluzioni che
tendono all’efficienza e che tale traguardo viene raggiunto nel lungo
periodo attraverso l’elaborazione dell’interprete. Il secondo filone ha
come finalità lo svolgimento di politiche di giustizia sociale, di
redistribuzione delle perdite e della ricchezza.

6. La nuova centralità del codice civile e la


ripatrimonializzazione del diritto privato.

La crisi dei valori costituzionali a cui oggi si assiste ha fatto,


tuttavia, ritenere che il codice civile possa ritornare il perno attorno al
quale il diritto privato possa ruotare e mantenersi unito in un sistema
(N. Irti).
In realtà, il terrificante numero di leggi in vigore (soltanto
‘stimabile’ in 150.000, ma da nessuno appurabile con certezza), la
loro rapida obsolescenza - dovuta alla complessità della società
tecnologica, all’accelerazione delle relazioni sociali ed al loro rapido
10 Dispense di diritto privato

esaurimento, alla mondializzazione della civiltà e, quindi, della cultura


anche giuridica - conduce inevitabilmente ad un ripensamento non
tanto della «centralità» del codice civile, quanto al peso ed all’utilità
che tale posizione ha nell’ordinamento giuridico.
La prevalenza della cultura dominante, di matrice anglosassone ed
americana, e la mondializzazione dell’economia secondo quegli
schemi culturali hanno portato l’interprete a confrontarsi
quotidianamente con istituti giuridici di altra provenienza. Si assiste al
fenomeno della destatalizzazione del diritto: si naviga ormai in
contesti nei quali la fonte statale del diritto è soltanto sussidiaria e le
relazioni sociali ed economiche sono autoregolamentate dai soggetti
interessati (si pensi ai contratti stipulati tra grandi multinazionali, i
quali costituiscono il vero «diritto vivente» del mondo internazionale
degli affari) ovvero, sull’altro versante, regolate da organismi
sovranazionali (si pensi ai trattati internazionali in settori di
importanza vitale quale, ad esempio, il trattato di Montego Bay del
1982 sul diritto del mare che, formalmente recepito, mediante i
classici strumenti dell’adesione e della ratifica da moltissimi Stati
sovrani, è stato in realtà codificato dall’O.N.U. e poi imposto alla
Comunità mondiale, cominciando dagli stessi Stati Uniti che pure vi si
erano praticamente opposti).
Le stesse norme promananti dagli organi dell’Unione europea e la
tendenza a ritenerle comunque immediatamente efficaci e vincolanti
all’interno degli ordinamenti statali confermano la sensazione di
svalutazione del tradizionale sistema di relazioni tra le varie fonti
dell’ordinamento giuridico interno e di quello internazionale.
In questo quadro, il codice civile può costituire lo strumento più
adeguato - rispetto alla stessa Costituzione - a rappresentare il nucleo
centrale dell’ordinamento privatistico, a condizione che se ne compia
un continuo aggiornamento. In questa direzione si muovono le novelle
al codice, le ultime delle quali sono relative alla disciplina dei contratti
conclusi dal «consumatore» (l. n. 52 del 1996) ed alla trascrizione del
contratto preliminare (d.l. n. 669 del 1996).
Ed il codice civile mostra al riguardo una duttilità enorme,
testimoniata tra l’altro dalla sua maggiore aderenza, rispetto alla
Costituzione, alle linee dell’Unione europea per quanto concerne la
libertà di iniziativa economica, la libertà dei mercati, la concorrenza
ecc. Ciò è essenzialmente dovuto al fatto che i trattati istitutivi della
Comunità europea, prima, e dell’Unione europea, ora, hanno alla base
esigenze di politica economica, piuttosto che la tutela della persona
umana in quanto tale, in tal modo professando una ratio analoga a
quella che giustificava gran parte delle disposizioni del codice civile
Il codice civile 11

italiano all’atto della sua ideazione (liberismo economico e massima


produttività nazionale). Si potrebbe parlare di
«ripatrimonializzazione» del diritto privato.
La realtà può apparire sconsolante al dogmatico: l’introduzione e la
rapida abrogazione di disposizioni, la loro accelerata senescenza non
consentono alla dottrina di procedere ad individuare i concetti e le
categorie attraverso cui operare la «sistemazione» delle norme, ai fini
di un’applicazione coerente coll’intero complesso normativo. E ciò,
quantomeno, per mancanza di tempo. L’unico metodo adottabile
appare quello dell’esegesi, senza pretese dogmatiche.
Il risultato è che la giurisprudenza - intesa questa volta,
nell’accezione romanistica, quale attività di elaborazione delle norme
- da scienza decade a tecnica: attenta al dettaglio ma incapace di uno
sforzo sistematico; idonea a risolvere le singole questioni ma senza la
certezza di soluzioni univoche per assenza di visione unitaria.
Ma è, questa, soltanto un’impressione di primo approccio:
viceversa, proprio la caoticità, l’eterogeneità ed il numero vieppiù
crescente di norme e di leggi richiedono oggi, forse più che nel
passato, un’opera - forse immane, ma certamente faticosa - di
razionalizzazione e di sistemazione. Insomma, oggi più di ieri si
richiede all’interprete di sceverare «il troppo e il vano», ricercando
una visione unificante attraverso i concetti e le categorie giuridiche:
nel che consiste proprio l’opera del giurista.
CAPITOLO SECONDO

Le situazioni giuridiche soggettive

SOMMARIO: SEZIONE PRIMA. Ordinamento e soggetti: 1. L’individuo come destinatario della


norma giuridica. - 2. Interessi e attività. - 3. La valutazione degli interessi e delle
attività. - 4. Le situazioni giuridiche. - SEZIONE SECONDA. Le situazioni giuridiche
soggettive attive: 5. Il diritto soggettivo. - 6. segue: I diritti assoluti. - 7. segue: I
diritti relativi. - 8. segue: I diritti personali di godimento. - 9. L’interesse legittimo. -
10. La potestà. - 11. L’aspettativa. - 12. Il possesso. - 13. Gli status. - SEZIONE TERZA. Le
situazioni giuridiche soggettive passive: 14. Nozione. - 15. L’onere. - 16. Il dovere
giuridico. - 17. La soggezione.

SEZIONE PRIMA
Ordinamento e soggetti

1. L’individuo come destinatario della norma giuridica.

L’ordinamento giuridico si presenta come un insieme di regole di


condotta con cui una determinata comunità di persone organizza la
propria convivenza, disciplinando i rapporti tra coloro che ne fanno
parte. Il diritto (come sinonimo di ordinamento) costituisce una realtà
immanente ad ogni aggregato sociale (ubi societas ibi ius), dal
momento che la vita associata richiede, in termini di necessità, che
vengano fissate delle regole che siano in grado di disciplinare i
rapporti (spesso conflittuali) tra i membri del gruppo. Possiamo dire
che il diritto trasforma un aggregato di persone in una organizzazione
con una propria razionale struttura interna1. Il termine stesso
«ordinamento» tende, d’altra parte, a porre subito in luce la finalità
del fenomeno giuridico che è quella, appunto, di «ordinare» la realtà
sociale, di fare cioè in modo che questa si svolga in conformità ad un
dato «ordine»2.

1
«Il segno di distinzione di ogni comunità organizzata è il diritto. Con il termine
diritto si fa riferimento al modo ed alle forme in cui ciascuna società si organizza, si
ordina: di qui l’altra espressione ordinamento giuridico»: RESCIGNO, Manuale del
diritto privato italiano, Napoli, 1985, 15.
Le situazioni giuridiche soggettive 13

La norma giuridica ha come destinatario la persona umana.


Talvolta, però, il destinatario si presenta come una entità soggettiva
complessa, nel senso che la norma si indirizza non già al singolo,
bensì ad un gruppo di individui3: in questo secondo caso, può rilevarsi
l’evenienza che il gruppo - mediante una particolare
regolamentazione dei rapporti interni - assuma una propria
autonomia rispetto ai singoli membri, diventando esso stesso il
termine di riferimento soggettivo per l’attribuzione di diritti e di
obblighi (basti pensare alle varie associazioni o alle società).

2. Interessi e attività.

Premessa, dunque, la nozione di individuo come destinatario della


norma giuridica, dobbiamo, adesso, analizzare l’oggetto della
disciplina dettata dalla norma stessa.
L’uomo avverte dei bisogni, intesi come stati soggettivi di
insoddisfazione dai quali lo stesso tende ad uscire. Come è stato
scritto, il bisogno «è il desiderio di disporre di un mezzo reputato atto
a far cessare una sensazione dolorosa o a provocarla o a conservare
una sensazione piacevole o a provocarla»4. È un stato di tensione fra
la volontà che ambisce alla soddisfazione di un fine e l’ambiente che
ne ostacola l’immediato soddisfacimento. L’uomo agisce per
eliminare ogni suo stato di insoddisfazione, procurandosi i mezzi
congrui ai suoi fini. I bisogni, allora, come espressione dei fini
individuali, sono il movente dell’attività umana che va alla ricerca di
beni, ossia entità oggettive (cose materiali e servizi umani) ritenute
idonee ad eliminare lo stato di insoddisfazione. Questa tensione (o
aspirazione) dell’individuo verso i beni prende il nome di interesse e
costituisce la molla che poi induce l’uomo ad agire. E sono proprio gli
interessi e le conseguenti attività umane ad essere oggetto della
regolamentazione predisposta dall’ordinamento.
L’interesse può far capo ad un singolo individuo, come può
appuntarsi in capo ad una collettività di persone: si parla, in questo
secondo caso, di interessi superindividuali5 ed entrano qui in gioco le
discusse categorie degli interessi collettivi e degli interessi diffusi.

2
Ricordiamo la nota definizione di Kant per il quale il diritto è «l’insieme delle
condizioni che consentono all’arbitrio di ciascuno di coesistere con l’arbitrio degli
altri, secondo un principio generale di libertà».
3
Cfr. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, Torino, (s.d.), 229 ss.: «Il destinatario-
soggetto di un norma giuridica può presentarsi in forma universale o in forma
singola».
4
Pantaleoni citato da DI NARDI, Economia dello scambio, Napoli, 1982, 44.
5
Sul punto cfr. GALLI, Diritto amministrativo, Padova, 1994, 109.
14 Dispense di diritto privato

In via preliminare, però, è necessaria una precisazione. Si parla di


interesse pubblico generale per indicare l’interesse della collettività
indifferenziata, la cui cura è attribuita dalla legge alla Pubblica
Amministrazione. L’interesse alla manutenzione delle strade,
all’illuminazione pubblica, ecc. fanno capo alla generalità degli
individui che formano una collettività e si presentano - come si dice -
allo stato di indifferenziazione, nel senso che essi si distribuiscono in
maniera identica tra i membri della collettività, senza che sia possibile
individuare un interesse particolare e differenziato facente capo ad
uno dei soggetti.
Diversa connotazione assume l’interesse collettivo che è l’interesse
facente capo ad un gruppo il quale, però, si unifica in un ente (c.d.
esponenziale) il quale diventa titolare dell’interesse del gruppo
stesso. Si pensi, ad esempio, alla figura del sindacato, il quale si
presenta come un ente che si fa portatore degli interessi della
categoria dei lavoratori. In tal modo, l’ente diventa titolare
dell’interesse sostanziale, il quale, per un verso, è ancora
astrattamente riferibile a ciascuno degli individui facenti parte del
gruppo sociale, ma, per un altro verso, risulta sottratto alla
disponibilità dei singoli, radicandosi esclusivamente in capo all’ente
esponenziale.
L’interesse collettivo si distingue dall’interesse diffuso. Si è pur
sempre in presenza di un interesse facente capo ad una collettività di
individui, solo che tale collettività si presenta come insieme
indeterminato di soggetti che non costituiscono una categoria o un
gruppo omogeneo. In secondo luogo, nel caso dell’interesse diffuso
mancherebbe un ente esponenziale intorno al quale la collettività si
raccoglie, rimanendo - come si dice - l’interesse stesso allo stato
diffuso tra gli individui e, in quanto tale, privo di titolare (c.d.
interesse adesposta): in altre parole, non si assiste qui al fenomeno
della personalizzazione dell’interesse mediante l’attribuzione di
titolarità ad un ente. Infine, questo interesse facente capo alla
collettività ha ad oggetto un bene di uso collettivo, dal quale il gruppo
trae una particolarità utilità: si pensi, ad esempio, all’interesse
facente capo alla collettività stanziata in un certo territorio ed avente
ad oggetto la salubrità dell’ambiente, minacciato dalla presenza di
una fabbrica inquinante. Come si vede da questo esempio, tale
interesse fa capo ad una collettività più o meno circoscritta di
individui (ed in ciò è la differenza con l’interesse pubblico generale)
che, però, non si raccoglie intorno ad un ente finalizzato alla sua
tutela, ma si distribuisce all’interno del gruppo in maniera seriale, nel
Le situazioni giuridiche soggettive 15

senso che lo stesso interesse si ripete in maniera identica tante volte


quanti sono i soggetti che formano la collettività.

3. La valutazione degli interessi e delle attività.

L’ordinamento giuridico può assumere nei confronti di un certo


interesse, anzitutto, una posizione di indifferenza6: il che si verifica
quando esso lo considera estraneo alla propria sfera di intervento e
ritiene opportuno che rimanga localizzato sul piano dei rapporti sociali
e affidato a regole (non giuridiche) della morale o del costume
sociale. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi in cui Tizio inviti a cena
Caio e costui accetti: l’interesse di Tizio (corrispondente all’esigenza
di avere a cena l’amico) non assume rilevanza per l’ordinamento, dal
momento che, se poi Caio non viene a cena, nessuno strumento
prospetta il diritto per conseguire la realizzazione di quell’interesse. Vi
potranno essere conseguenze sul piano dell’amicizia, dei rapporti di
cortesia, ma, in ogni caso, la vicenda si svolge in un ambito di
irrilevanza giuridica.
Laddove, invece, l’interesse venga preso in considerazione
dall’ordinamento (assume cioè rilevanza giuridica) è possibile
individuare due ulteriori possibili atteggiamenti. In primo luogo, la
valutazione può esprimersi in senso positivo, nel senso che il
legislatore non solo ritiene quel certo interesse conforme alle proprie
direttive, ma lo considera, altresì, meritevole di realizzazione.
L’interesse, allora, diviene oggetto di protezione da parte
dell’ordinamento, il quale mette a disposizione del suo titolare una
serie di strumenti (vedremo quali) idonei a consentirne l’attuazione. E
così, l’interesse del soggetto a godere di un bene è reputato dal
legislatore come meritevole di protezione e, a tal fine, esso prevede
azioni volte a scongiurare la possibilità che terzi interferiscano nel
pacifico godimento.
L’ipotesi opposta è quella in cui l’ordinamento ritiene che
l’interesse sia in contrasto con interessi superiori di cui è portatore: in
tal caso, esso è oggetto di una valutazione negativa da parte del
legislatore che appresta gli strumenti idonei ad impedirne la
realizzazione.
La doppia valutazione (in senso positivo o negativo) conferisce
all’interesse una sua rilevanza giuridica, anche se poi diverse saranno le
conseguenze, in dipendenza del diverso risultato del giudizio.

6
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1962, 11 ss.
16 Dispense di diritto privato

Discorso analogo può farsi con riguardo alle attività umane volte
alla realizzazione dell’interesse. Anche in questo caso, il diritto può
assumere un atteggiamento di indifferenza, laddove l’attività umana
venga considerata sì lecita, ma del tutto irrilevante sul piano delle
valutazioni giuridiche. Significativo è l’esempio di colui che si impegni
a salutare quotidianamente un’altra persona: in questo caso,
l’impegno assunto dal soggetto rimane estraneo all’ordinamento, il
quale non appresta mezzi di protezione per l’ipotesi in cui l’attività
promessa non venga eseguita. Siamo nell’ambito di quell’ampia sfera
di attività che solitamente vengono raggruppate sotto l’espressione
«prestazioni di cortesia», le quali, per la loro natura, si situano al di
fuori di ogni coazione normativa, ripugnando al comune sentire il
ricorso a mezzi risarcitori o ad esecuzioni forzate per garantirne lo
svolgimento.
Quando, invece, l’ordinamento si interessa di talune attività umane
(cioè attribuisce loro rilevanza giuridica), l’atteggiamento - ancora una
volta - può essere duplice: può considerare l’attività in contrasto con le
proprie direttive e, allora, essa è contrastata (c.dd. attività illecite);
oppure può considerarla lecita e altresì meritevole di protezione,
apprestando, a tal fine, gli strumenti giuridici per garantire il realizzarsi
del risultato cui il soggetto tende.
Resta, peraltro, da stabilire quali siano i criteri in base ai quali il
legislatore valuta gli interessi e le attività. Storicamente, alla base di
ogni giudizio normativo si pone l’esigenza di risolvere un conflitto tra
libertà ed autorità: da un lato, vi è l’aspirazione costante di ciascun
individuo di guadagnare margini di autonomia rispetto alla legge e,
dall’altro, vi è la tendenza dell’ordinamento a limitare quella libertà in
vista della composizione armonica di interessi confliggenti. È un
conflitto antico, coevo alla stessa idea di diritto quale strumento di
limitazione della libertà individuale per garantire la pacifica
coesistenza di soggetti che potenzialmente tendono ad affermare in
toto la proprio individualità. E il conflitto viene risolto dal legislatore,
di volta in volta, tenendo conto delle concezioni sociali, dei valori e
delle ideologie che, in un certo momento storico, la società civile
esprime. E così, ad esempio, in un contesto politico caratterizzato da
una ideologia liberale-capitalistica, l’ordinamento potrà dare
prevalenza ad interessi che, latamente, assumono valenza
individuale, laddove, in una società di stampo socialista, si attribuirà
prevalenza ad interessi che tengono conto non tanto del singolo
quanto di istanze collettive o, comunque, sociali.
Tutto ciò ci fa capire come i parametri assunti dall’ordinamento nel
processo di valutazione degli interessi e delle attività umane siano
Le situazioni giuridiche soggettive 17

storicamente relativi: essi cioè non hanno carattere immutabile (come


se dovessero rispondere ad un utopistico ideale di logica e giustizia
astratta), ma sono il portato dei valori e delle ideologie che, di volta in
volta, sono prevalenti in un determinato contesto storico-sociale.
Interessi che, un tempo erano considerati estranei alla sfera di
intervento del legislatore, oggi, possono ritenersi fondamentali in una
società civile (si pensi, ad esempio, alla sanità), così come interessi
che in taluni ordinamenti sono considerati leciti e protetti, potranno,
in altri sistemi giuridici, essere considerati illeciti (si pensi all’ampia
problematica sottesa all’eutanasia).

4. Le situazioni giuridiche.

Si è detto che, quando un certo interesse o una certa attività


umana sono presi in considerazione dall’ordinamento giuridico, essi,
per ciò stesso, assumono rilevanza giuridica. Si tratta, adesso, di
esaminare più da vicino tale concetto. A tal fine, può essere utile
ricordare che un certo interesse oppure una certa entità materiale (ad
es. un corso d’acqua) sono di per sé entità «amorfe» sotto il profilo
giuridico fino a quando essi non vengano presi in considerazione dal
legislatore: ciò accade quando, ad esempio, il diritto prevede degli
strumenti per la realizzazione di quel certo interesse oppure quando
un certo corso d’acqua riceve la qualifica di bene demaniale per
essere poi sottratto alla libera disponibilità dei privati. In sostanza, la
considerazione da parte dell’ordinamento contribuisce a porre quella
certa entità in una particolare situazione giuridica nei confronti
dell’ordinamento stesso, di modo che essa, da quel momento, cessa
di essere un quid amorfo per diventare parte di una più fitta trama di
relazioni disciplinate da diritto.
Laddove, poi, tale entità consista in un bene, la rilevanza giuridica
si risolve nell’attribuzione allo stesso di una qualità7. Si pensi, ad
esempio, alla norma dell’art. 812, comma 1, c.c. per la quale sono
beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, [...].
Questa norma può risolversi nella seguente formula: se vi è un suolo,
una sorgente, un corso d’acqua, un albero, allora, ciascuno di essi
riceve la qualità di bene immobile. Lo stesso discorso è applicabile
all’art. 817, comma 1, c.c.: se taluno destina una cosa in modo
durevole a servizio o ornamento di un’altra, allora quella cosa riceve
la qualifica di pertinenza. Ma si pensi, ancora, alla norma dell’art. 822
che elenca i beni facenti parte del demanio pubblico. Emerge, da

7
IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, 25 ss.
18 Dispense di diritto privato

questi esempi, che la previsione normativa di certi beni serve a porli


in una particolare situazione giuridica che costituisce, poi, a sua volta,
il presupposto della disciplina applicabile ai rapporti facenti capo ad
essi. Considerando, allora, l’oggetto della rilevanza giuridica, sarà
possibile parlare (in termini meramente descrittivi), in questi casi, di
situazione giuridica oggettiva, per sottolineare che il termine di
riferimento della valutazione normativa è costituito da un bene8.
Viceversa, quando l’ordinamento prende in considerazione un
interesse di un soggetto e - ricordando il triplice atteggiamento che
esso può assumere verso un dato interesse - lo considera meritevole
di realizzazione, tale considerazione si esprime nell’attribuzione al
titolare dell’interesse di strumenti finalizzati al suo soddisfacimento.
In questo caso, sarà possibile parlare di situazione giuridica
soggettiva per evidenziare che il termine di riferimento della
valutazione normativa è costituita da un soggetto che è destinatario
degli strumenti operativi concreti messi a disposizione dalla norma
giuridica9. Questa rilevanza, in altri termini, si tramuta in concetti e
strumenti dell’ordinamento giuridico.
Il rilievo che viene dato all’interesse porta alla costruzione della
teoria delle situazioni giuridiche soggettive, sia attive che passive:
diritti soggettivi, interessi legittimi, status, ecc.; e poi, doveri,
obblighi, soggezioni. Con la conseguenziale costruzione del rapporto
giuridico, che viene visto oggi soprattutto come relazione tra due o
più situazioni soggettive.
Il rilievo che, invece, viene dato all’attività dà luogo alla teoria
dell’attività giuridica; composta da fatti, atti e negozi.
C’è in più da aggiungere che l’interesse, e quindi lo strumento dato
dall’ordinamento per la sua realizzazione, si pone nel mondo dei
concetti giuridici come mondo meramente ideale (il “noumeno”
kantiano); l’attività, e quindi i fatti giuridicamente rilevanti, si pone sul
piano del mondo reale (il “fenomeno” di Kant). Un fatto del mondo
empirico è o non è: può essere considerato dal diritto. Da esso deriva
l’effetto giuridico, che è una creazione meramente ideale, e che si
traduce in situazioni giuridiche ed in rapporti giuridici.
Prendendo ora in considerazione la prima categoria di concetti, e
cioè gli interessi umani, dobbiamo dire che, laddove essi vengono
valutati positivamente, ricevono dall’ordinamento una tutela che può

Giova precisare che il bene costituisce pur sempre un termine di riferimento


8

mediato, rimanendo, come già detto, il soggetto il punto di riferimento diretto della
norma.
9
In questo caso, il riferimento all’interesse e la sua conseguente valutazione in
termini di liceità-illecità non sortisce di per sé conseguenze giuridiche, dal momento
che quella valutazione è solo il presupposto per il conseguente riconoscimento, a
favore del titolare, degli strumenti funzionalizzati alla sua realizzazione.
Le situazioni giuridiche soggettive 19

essere più o meno intensa. Essa si traduce in una serie di strumenti


forniti al soggetto per la realizzazione dell’interesse.
Gli strumenti che l’ordinamento fornisce sono appunto le situazioni
giuridiche soggettive. Esse non si confondono con l’interesse ma,
come dice il nome, sono mezzi per la realizzazione dell’interesse.
Dunque, interesse protetto e strumenti per realizzarlo rimangono
concetti ben distinti.
Questi strumenti possono consistere in due grandi ordini di
concetti. Il primo è il potere, e cioè la forza e la possibilità giuridica
che l’ordinamento fornisce ad un soggetto: siamo in quelle che
chiamiamo le situazioni giuridiche attive.
Il secondo, viceversa, è la necessità, una privazione od uno
svantaggio che l’ordinamento impone ad un altro soggetto: siamo in
quelle che chiamiamo le situazioni giuridiche passive.
In genere, le situazioni attive consistono in un potere fornito per la
realizzazione di un interesse proprio: diritto soggettivo, interesse
legittimo, ecc. In genere, non sempre. Qualche volta, infatti, un
potere, e cioè una situazione attiva, viene concesso per la
realizzazione di un interesse altrui: è il caso delle potestà.
Le situazioni passive sono invece necessità, strumenti per la
realizzazione, in genere, di un interesse altrui: dovere, obbligo,
soggezione. In genere, non sempre. Così l’onere è una situazione
passiva strumento per la realizzazione di un interesse proprio.
In definitiva, la situazione giuridica soggettiva si risolve in un
interesse che fa capo ad un soggetto o ad un gruppo che viene
valutato favorevolmente dall’ordinamento il quale attribuisce al
titolare una serie di strumenti giuridici che gli consentono la
realizzazione.
L’interesse, peraltro, può assumere due diverse connotazioni10:
a) l’individuo può voler conseguire un bene che non ha (e in tal caso si
configura una situazione dinamica di appropriazione) oppure
b) conservare un bene che già ha (nel qual caso si configura una
situazione statica che mira a mantenere integro il patrimonio al fine di
godere).
Considerando, però, che l’interesse materiale riceve tutela
dall’ordinamento secondo modalità e intensità diverse, in relazione al
grado di idoneità degli strumenti attribuiti al soggetto in vista del
soddisfacimento di quell’interesse, possiamo dire che le situazioni
giuridiche soggettive si distribuiscono secondo un sistema gerarchico,
graduato, appunto, in relazione alla diversa idoneità delle stesse a
garantire la soddisfazione dell’interesse materiale.

10
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 19 ss.
20 Dispense di diritto privato

L’attribuzione di strumenti giuridici comporta il riconoscimento al


soggetto di una situazione di vantaggio o, come pure si denomina,
attiva, in quanto capace di assicurare il conseguimento di un risultato
favorevole. La realizzazione dell’interesse materiale consegue,
ordinariamente, attraverso l’imposizione in capo ad un soggetto
diverso di situazioni di svantaggio (o passive): ad esso si impone di
tenere un certo comportamento oppure di subire le conseguenze che
la norma ricollega direttamente al verificarsi di taluni accadimenti. La
situazione giuridica passiva si pone, allora, in rapporto di
strumentalità rispetto a quella attiva, in quanto mezzo necessario per
consentire la realizzazione dell’altrui interesse.
Si instaura, in tal modo, un nesso tra situazioni attive e passive,
termini (contrapposti) di una medesima vicenda che trae origine -
ripetiamo - dalla positiva valutazione espressa dall’ordinamento nei
riguardi di un certo interesse.
Le situazioni giuridiche soggettive 21

SEZIONE SECONDA
Le situazioni giuridiche soggettive attive

5. Il diritto soggettivo.

Si è detto che la situazione giuridica soggettiva si risolve


nell’attribuzione ad un soggetto di strumenti giuridici finalizzati alla
realizzazione di un interesse a lui facente capo che può consistere
nell’interesse a conservare un bene che già si ha oppure
nell’interesse a conseguire un bene che non si possiede. Si è anche
detto che le situazioni giuridiche soggettive sono tante e diverse a
seconda della maggiore o minore idoneità degli strumenti attribuiti al
soggetto a realizzare l’interesse. Al vertice di questa scala troviamo la
figura del diritto soggettivo. Il diritto soggettivo conobbe, per così
dire, il suo massimo splendore con il giusnaturalismo, corrente di
pensiero filosofica di stampo individualistico che - in reazione allo
strapotere dell’assolutismo monarchico - ipotizzò la sussistenza di
diritti naturali, cioè diritti che l’ordinamento trova in rerum natura e
che l’ordinamento deve limitarsi a riconoscere e tutelare. In tale
ottica, vengono collocati sullo stesso piano non solo i diritti attinenti
alla personalità dell’individuo, ma la stessa proprietà che finisce con
l’essere il paradigma di tutti i diritti soggettivi.
Il mutamento delle condizioni storico-economiche determinarono -
come conseguenza dell’affermazione della ideologia liberale del XIX
secolo - una concezione nuova del diritto soggettivo, caratterizzata
dalla tendenza a subordinare, in ogni caso, il diritto individuale
all’ordinamento giuridico. In tale contesto, si afferma la nota teoria di
Windscheid, il quale configurava il diritto soggettivo come signoria (o
potere) della volontà tutelata dall’ordinamento giuridico. Questa
teoria, però, rivelò ben presto i suoi limiti: costruito il diritto
soggettivo come potere della volontà, risultava problematica
l’attribuzione di diritti soggettivi ad individui sprovvisti di una volontà
giuridicamente rilevante e, dunque, agli incapaci, i quali, alla luce
dell’ordinamento giuridico, pur sono titolari di situazioni giuridiche
attive11.
L’ulteriore evolversi dei tempi e l’ulteriore progressiva rivalutazione
del diritto oggettivo costituirono la molla per una nuova definizione
del diritto soggettivo. Nel pensiero di Jhering, il diritto soggettivo si
presenta come interesse giuridicamente protetto: scomparso ogni
riferimento alla volontà ed insieme anche la considerazione del
11
BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, I, 1, Norme, soggetti e
rapporto giuridico, Torino, 1987, 284; GALLI, Diritto amministrativo, cit., 57.
22 Dispense di diritto privato

soggetto, l’essenza del diritto soggettivo viene individuata nella mera


protezione accordata dall’ordinamento all’interesse di un soggetto o
di un gruppo. Tuttavia la genericità della formulazione ne segnò i
limiti: se il diritto soggettivo fosse soltanto interesse protetto, si
dovrebbe concludere che qualunque interesse, in quanto protetto, sia
diritto soggettivo, ma ciò non è vero, dal momento che esiste tutta
una serie di interessi giuridicamente rilevanti e non per questo
qualificabili come diritto soggettivo12.
L’insoddisfazione della dottrina di fronte a soluzioni per così dire
unilaterali, perché tendenti a mettere in luce solo l’uno o l’altro
(volontà o interesse) degli elementi ritenuti indispensabili per una
corretta definizione della figura in questione, portò successivamente
alla proliferazione di teorie c.d. combinatorie, perché incentrate su
una complessiva valutazione di tali elementi13.
Nell’ambito di tali teorie emerse quella che faceva capo a Jellinek il
quale scoprì il legame inscindibile che sussisteva tra volontà ed
interesse: l’interesse era il fine tutelato dalla norma, mentre la
volontà era il mezzo con cui quel fine poteva essere perseguito e
soddisfatto. In tal prospettiva, il diritto soggettivo si qualificava come
potere della volontà di agire per il soddisfacimento di un interesse
materiale, riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico.
La nuova impostazione, peraltro, non era in grado di fugare i dubbi,
anzi, sotto certi aspetti, essa riproponeva antiche obiezioni:
continuando essa ad identificare il diritto soggettivo con il potere
della volontà (sia pure volto a realizzare l’interesse sostanziale),
riproponeva il problema della titolarità giuridica del diritto soggettivo
in capo ai soggetti incapaci.
La figura, invece, assume contorni ben definiti laddove si tenga
presente la stessa nozione di situazione giuridica soggettiva: se
questa si sostanzia nell’attribuzione al soggetto titolare di un
interesse di strumenti giuridici idonei a consentire la realizzazione del
suo interesse, il diritto soggettivo si caratterizza per il fatto che in
esso l’attribuzione dei suddetti mezzi giuridici consente al soggetto di
realizzare in modo pieno e sicuro il suo interesse. Ecco che allora la
nozione di diritto soggettivo si sostanzia nella configurazione di un
mero agere licere, cioè in una mera facoltà di agire per la
soddisfazione dell’interesse individuale, con una inevitabile
pretermissione del riferimento alla volontà che rappresenta solo un
elemento esterno capace di mettere in moto gli strumenti attribuiti al
soggetto. E ciò consente, fra l’altro, di giustificare l’attribuzione di
diritti soggettivi anche a soggetti incapaci: se infatti la volontà
12
BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI E NATOLI, o.l.c.
13
BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI E NATOLI, o.l.u.c.
Le situazioni giuridiche soggettive 23

rappresenta solo un elemento esterno al diritto soggettivo, che rileva


solo nel momento dell’attuazione e dell’esercizio di esso, è ben
possibile che il diritto soggettivo possa far capo anche ad un soggetto
incapace, con la sola precisazione che, al momento dell’esercizio,
l’incapace necessita di un soggetto diverso che sia legittimato ad
agire in nome e per conto di lui (c.d. rappresentante legale).
Approfondendo meglio la nozione, la dottrina 14 individua nel diritto
soggettivo la sintesi di una posizione di forza e di una posizione di
libertà: il soggetto è infatti libero di decidere se avvalersi o meno del
potere conferitogli (ed in ciò è la libertà), ma, una volta esercitato, il
diritto è in grado di realizzare pienamente l’interesse sostanziale (ed
in ciò è la forza).
Possiamo, allora, dire che il diritto soggettivo si risolve
nell’attribuzione al soggetto di una serie di poteri mediante i quali egli
può conseguire la realizzazione diretta ed immediata di un proprio
interesse. Il suo contenuto è rappresentato da facoltà, ossia da una
serie di possibilità di comportamenti diretti alla soddisfazione
dell’interesse stesso. Tenendo presente ciò, può ancora accogliersi
l’opinione tradizionale15 per la quale le facoltà non hanno una propria
autonomia rispetto al diritto soggettivo costituendo esse il nucleo
essenziale di tale ultima figura, con la conseguenza che esse non si
estinguono se non si estingue il diritto (in facultativis non datur
praescriptio).

6. segue: I diritti assoluti.

Analizzando, adesso, più da vicino il contenuto del diritto


soggettivo, con riferimento all’ipotesi in cui l’interesse materiale si
profila come interesse a conservare un bene che già si ha, viene in
considerazione la figura dei c.dd. diritti assoluti i quali si
caratterizzano per il fatto di dare vita ad una relazione immediata tra
il soggetto ed il bene. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi del
proprietario: costui gode del bene senza che vi sia bisogno dell’altrui
materiale cooperazione, dal momento che quel godimento si
sostanzia nella facoltà di abitare, ad esempio, la casa, di darla in
affitto o, addirittura, di distruggerla. I terzi, al più, possono impedire il
godimento (ad esempio, sottraendo il bene) e in tal caso
l’ordinamento, al fine di permettere al titolare del diritto soggettivo la
realizzazione dell’interesse, pone a carico degli altri soggetti un

NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 18.


14
15
Espressa nella manualistica corrente: cfr., ad esempio, TORRENTE e SCHLESINGER,
Manuale di diritto privato, Milano, 1995, 65.
24 Dispense di diritto privato

dovere giuridico in senso stretto (infra) che si risolve nell’imposizione


di un dovere di astensione dal tenere qualsivoglia comportamento
idoneo ad impedire o turbare l’interesse a conservare. E così, di
fronte al proprietario di un bene si pone il dovere in capo alla
generalità dei consociati di non interferire nel godimento del bene
stesso da parte del proprietario.
La prima caratteristica, dunque, del diritto (soggettivo) assoluto è
la c.d. immediatezza, cioè questo rapporto diretto tra il soggetto e il
bene il cui contenuto prescinde totalmente da un profilo di
cooperazione degli altri soggetti, sui quali, come detto, grava un
divieto generalizzato di interferenza.
Nel diritto assoluto, dunque, il soggetto realizza l’interesse (a
conservare e godere il bene) col suo solo comportamento e, in tal
senso, esso si presenta quale situazione finale16 in quanto attua in sé
stesso il fine del soggetto, senza che vi sia bisogno della
intermediazione di terzi (a differenza, come vedremo, del diritto
relativo).
La categoria dei diritti assoluti, peraltro, presenta al suo interno
tipologie diverse, in relazione alla diversità dell’oggetto che il titolare
tende a conservare. Sono individuabili le seguenti figure:
a) Diritti reali.
La figura dei diritti reali abbraccia quei diritti assoluti nei quali
l’interesse a conservare è riferito a beni che hanno una consistenza
materiale e percepibile dai sensi. La stessa terminologia - diritto reale
- evidenzia la caratteristica per la quale si è in presenza di un diritto
su di una cosa. È quanto, del resto, mette in evidenza l’art. 810 c.c.
che, nell’aprire il terzo libro dedicato alla proprietà, stabilisce - con
specifico riferimento ai diritti in questo disciplinati - che «sono beni le
cose che possono formare oggetto di diritti» (si intende reali)17.
In tal ambito, peraltro, il soggetto può avere interesse a conservare
un bene che gli appartiene a titolo di proprietà, ma altresì un bene
che è di proprietà di un altro soggetto e sul quale egli vanta un
semplice diritto diverso dalla proprietà. Emerge, così, nella categoria
dei diritti reali, una partizione ulteriore: da un lato, la figura dei diritti
reali su cosa propria, che si identifica con il diritto di proprietà e,
dall’altro, la figura dei diritti reali su cosa altrui, caratterizzata dal
fatto che un terzo esercita un potere su di un bene che è di proprietà
di un terzo.
Nella categoria dei diritti reali su cosa altrui, il diritto del soggetto
non proprietario può trarre giustificazioni giuridiche differenti che si
riflettono - sul piano dogmatico - nella nota partizione (nell’ambito,
16
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 23; GAZZONI, Manuale, cit., 65.
17
BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, cit., 305.
Le situazioni giuridiche soggettive 25

questa volta, dei diritti reali su cosa altrui) tra diritti reali di
godimento e diritti reali di garanzia. Laddove, infatti, il diritto su cosa
altrui è volto a consentire al titolare il godimento della cosa altrui, si
parla di diritti reali di godimento i quali presuppongono, perciò, una
scissione di facoltà nell’ambito del diritto di proprietà, nel senso che
talune di esse sono, per così dire, compresse (con il consenso o anche
talvolta contro la volontà del proprietario) così da permettere ad un
terzo di esercitare un diritto che ha come contenuto proprio queste
facoltà18. In tal modo, l’usufruttuario gode del bene, laddove il
proprietario vede compressa la relativa facoltà.
Viceversa, nell’ipotesi in cui il soggetto non proprietario vanta un
diritto su cosa altrui allo scopo di poter esercitare - in caso di
inadempimento di un’obbligazione - il diritto di soddisfarsi sul bene
medesimo con prelazione rispetto agli altri creditori, il diritto su cosa
altrui assume una finalità di garanzia che dà luogo alla figura dei
diritti reali (su cosa altrui) di garanzia. Si pensi, ad esempio, al caso in
cui il debitore costituisca in pegno una cosa propria mobile
consegnandola al creditore come garanzia del suo adempimento: il
creditore, in caso di inadempimento, potrà far vendere il bene
pignorato al fine di rivalersi sul prezzo conseguito fino a concorrenza
del proprio credito e con preferenza rispetto ad altri eventuali
creditori.
b) Diritti della personalità.
A fianco ai diritti reali, si situano i diritti della personalità, i quali
hanno ad oggetto beni immateriali e, se vogliano, privi di una
consistenza patrimoniale-economica. Si pensi, ad esempio, al diritto
all’onore o al diritto alla identità personale. Trattasi di una categoria
che - sul piano della configurazione dogmatica e della tutela - è di
recente emersione, ma la cui importanza trova riscontro nella comune
affermazione della loro inscindibilità rispetto alla persona umana, al
punto da non potersi concepire l’essere umano, almeno in termini
moderni, a prescindere dal godimento di questi diritti19.
c) Diritti su beni immateriali.
La terza tipologia di diritti assoluti è quella che investe diritti aventi
ad oggetto beni che - al pari dei diritti della personalità - sono privi di
una consistenza materiale, ma che, al contrario, presentano profili
patrimoniali. Si pensi, ad esempio, al diritto d’autore, cioè al diritto di
un soggetti a vedersi riconosciuta la paternità di un’opera
intellettuale. Orbene in questo caso, se l’oggetto del diritto non è
suscettibile di una percezione sensoriale, tuttavia non è assente un
profilo patrimoniale, se si tiene presente, ad esempio, la possibilità di
18
GAZZONI, Manuale, cit., 243.
19
GAZZONI, Manuale, cit., 17.
26 Dispense di diritto privato

sfruttamento commerciale del romanzo o della composizione


musicale.

7. segue: I diritti relativi.

Quando il soggetto ha interesse a conseguire un bene che non ha,


la relativa situazione giuridica soggettiva attiva assume le
connotazioni del diritto relativo. In questo caso, il soggetto non può
realizzare l’interesse senza la cooperazione altrui (cioè del soggetto
che ha il bene e che perciò è in condizione di farlo conseguire) e
perciò deve ottenere la cooperazione dell’altro soggetto, la cui sfera
giuridica subirà inevitabilmente una modificazione. In tal senso, si
parla di diritto relativo, proprio perché - in contrapposizione al diritto
assoluto - l’interesse del soggetto non può prescindere da una
qualche forma di altrui collaborazione.
Nell’ambito del diritto relativo occorre procedere ad una ulteriore
partizione:
a) Diritti di credito.
La figura del diritto di credito viene in considerazione nell’ipotesi in
cui la realizzazione del diritto a conseguire comporta una
modificazione materiale della sfera giuridica di un altro soggetto.
Orbene, in casi del genere, la suddetta modifica materiale necessita
della collaborazione dell’altro soggetto, collaborazione che si realizza
mediante la imposizione a sua carico di un obbligo, cioè a dire di un
dovere di comportamento finalizzato a far conseguire al soggetto il
bene cui aspira. Colui sul quale grava l’obbligo è detto debitore,
mentre il titolare dell’interesse da realizzare prende il nome di
creditore. Si instaura, così, una relazione giuridica tra due individui,
formata da posizioni attive e passive che nel loro complesso danno
vita alla figura del c.d. rapporto giuridico.
b) Diritti potestativi.
La figura del diritto potestativo viene in considerazione quando
l’interesse del soggetto a conseguire un bene non si realizza
attraverso una modificazione materiale della realtà, ma attraverso
una modificazione puramente ideale, che non è percettibile coi sensi,
operando direttamente sul piano giuridico20. Si pensi, ad esempio,
all’ipotesi in cui il proprietario di un fondo voglia acquistare la
comproprietà di muro divisorio altrui: in questo caso, la realizzazione
dell’interesse (che avviene mediante l’acquisto della comproprietà)
importa una modifica della sfera giuridica dell’altro comproprietario

20
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 33 ss.
Le situazioni giuridiche soggettive 27

che, però, è solo giuridica, dal momento che, sul piano materiale,
nulla è mutato.
Nel caso dei diritti potestativi, essendo la modificazione non
materiale ma solo giuridica, la cooperazione attiva di un altro
soggetto non è necessaria, essendo sufficiente l’esercizio del diritto
da parte del titolare e cioè la sola manifestazione di volontà diretta a
produrre la modificazione stessa. In tal caso, allora, l’altro soggetto
deve limitarsi a subire l’iniziativa altrui e in tal condizione si ravvisa la
situazione giuridica soggettiva passiva della soggezione (infra).
Questo aspetto della irrilevanza della cooperazione altrui per la
soddisfazione dell’interesse protetto potrebbe assimilare la figura del
diritto potestativo a quella del diritto assoluto. Ma resta, tuttavia, un
dato prevalente: il soggetto passivo nel cui patrimonio inciderà la
modificazione è pur sempre individuato e in tal senso il diritto
potestativo è pur sempre un diritto relativo e non un diritto assoluto21.
Nell’ambito della categoria dei diritti potestativi si distinguono, poi,
due diverse situazioni, a seconda che - ai fini della suddetta
modificazione - sia o meno necessaria la mediazione di una sentenza
del giudice:
1) in alcuni casi, infatti, la modifica (ideale) dell’altrui sfera giuridica
si realizza mediante il comportamento volontario del soggetto titolare
del diritto. Si pensi, ad esempio, all’acquisto della comproprietà del
muro divisorio o ancora al diritto di recesso dal contratto;
2) in altri casi, invece, la suddetta modificazione pretende la
intermediazione di una sentenza del giudice affinché, accertata
l’esistenza del potere in capo al soggetto e la regolarità del suo
esercizio, si realizzi la modificazione voluta. Si pensi, ad esempio, alla
fattispecie di cui all’art. 1051, laddove l’acquisto della servitù coattiva
di passaggio consegue ad una sentenza costitutiva, che crea cioè
essa stessa il diritto a transitare. In questi casi - è bene precisare - il
diritto potestativo ha come contenuto non propriamente la
modificazione della realtà, quanto piuttosto la facoltà di chiedere ed
ottenere una pronuncia giudiziale che, accertando quel diritto, lo
realizza.

8. segue: I diritti personali di godimento.

Il diritto assoluto e il diritto relativo non esauriscono la categoria del


diritto soggettivo. Esiste un’altra categoria di diritti che presenta i
caratteri dell’uno e dell’altro: i diritti personali di godimento22.
21
GAZZONI, Manuale, cit., 67 ss.
22
GAZZONI, o.c., 70.
28 Dispense di diritto privato

Si è qui in presenza, di una figura complessa in quanto, da un lato,


vi è una situazione di carattere relativo, un tipico rapporto giuridico
obbligatorio (diritto di credito dal lato attivo e obbligo dal lato
passivo), ma, dall’altro, vi è un dovere generale di astensione a carico
dei consociati identico a quello corrispondente al diritto assoluto e
che si sostanzia nel divieto di interferenza nel godimento di un bene
che il titolare ha conseguito sulla base del rapporto di credito.
Si consideri, ad esempio, il diritto del locatario. Costui è legato, da
un lato, da un rapporto obbligatorio con il proprietario, cui deve
versare il canone e da cui riceve la cosa in godimento (così
realizzando l’interesse a conseguire) e, dall’altro, è tutelato nel
godimento della cosa (e dunque nell’interesse a conservare) erga
omnes, nei confronti cioè dell’intera collettività, ivi compreso il
locatore stesso, il quale non potrebbe violare tale situazione di
godimento, ad esempio, riappropriandosi violentemente della cosa
locata23.
Si assiste, dunque, nei diritti personali di godimento, a due distinte
fasi24: una prima, caratterizzata da una pretesa creditoria che l’avente
diritto al godimento (esempio, locatario) vanta nei confronti del
concedente, obbligato - per effetto del contratto (esempio, di
locazione) - alla consegna della cosa oggetto del diritto; una seconda
- che segue all’adempimento dell’obbligo - da un diritto, avente a
contenuto la facoltà di godimento e che si esplica immediatamente
sul bene, indipendentemente cioè dal concorso di un altro soggetto
(concedente) e ciò specificamente tenuto.
Per concludere, sul diritto soggettivo. Esso è, sinteticamente
definibile come un potere - dato dall’ordinamento - per la
realizzazione diretta di un interesse proprio.

9. L’interesse legittimo.

Abbiamo detto, dunque, che il diritto soggettivo si risolve


nell’attribuzione ad un soggetto di una serie di strumenti giuridici
(c.dd. poteri) che consentono allo stesso di realizzare in modo diretto
ed immediato un proprio interesse. Accanto al diritto soggettivo si
situa la figura del c.d. interesse legittimo il quale consiste
nell’attribuzione ad un soggetto di una serie di strumenti che gli
consentono di realizzare il proprio interesse ma in modo solo indiretto
e mediato. La figura dell’interesse legittimo, infatti, si individua in
quei casi in cui la realizzazione dell’interesse avviene mediante
23
GAZZONI, o.l.u.c.
24
BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, cit., 319.
Le situazioni giuridiche soggettive 29

l’esercizio di un potere attribuito ad un altro soggetto: l’ordinamento


non attribuisce al titolare dell’interesse il potere di realizzarlo
direttamente mediante la messa a disposizione di una serie di poteri,
ma ne assicura la realizzazione attraverso la condotta di un altro
soggetto25. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un concorso per
l’assunzione nel pubblico impiego. I partecipanti hanno interesse a
vincere il concorso, ma tale interesse non riceve tutela di per sé
dall’ordinamento, poiché questo non attribuisce ai partecipanti
strumenti per la sicura realizzazione dell’interesse. L’ordinamento,
infatti, si preoccupa di individuare i soggetti che abbiano le qualità e
la preparazione richiesta e, a tal fine, appresta una rigorosa
procedura di selezione. Ecco che, allora, viene alla ribalta un diverso
interesse dei partecipanti: l’interesse a che il concorso si svolga
secondo criteri di imparzialità. Ed è questo interesse che viene preso
in considerazione dalla legge. Solo che la realizzazione di tale
interesse avviene attraverso un comportamento di quegli organi dello
Stato che presiedono allo svolgimento del concorso e ai partecipanti
si attribuiscono poteri (ad esempio, l’azione giudiziale per
l’annullamento) volti a garantire la correttezza del procedimento di
concorso. Come si vede, allora, l’interesse alla vincita del concorso si
realizza in modo indiretto, mediante la correttezza della condotta di
un altro soggetto e gli strumenti attribuiti ai partecipanti sono
finalizzati a controllare la condotta del soggetto stesso.
Nell’interesse legittimo, dunque, la realizzazione dell’interesse
dipende dalla condotta di un altro individuo che, solitamente, si
identifica con un organo della Pubblica Amministrazione. Tale
soggetto è titolare di una potestà, figura sulla quale avremo modo di
ritornare subito. Tuttavia, non si deve pensare che l’interesse
legittimo trovi ambito applicativo solo nel diritto pubblico. La dottrina
più moderna, infatti, ha individuato delle ipotesi di interesse legittimo
anche nell’ambito del diritto privato. E così, ad esempio, il debitore ha
interesse a liberarsi dall’obbligo che a lui fa capo: orbene, tale
interesse si realizza attraverso la condotta del creditore che, ad
esempio, dovrà consentire al debitore di accedere alla sua casa per
poter riparare una condotta dell’acqua.
In ogni caso, il soggetto da cui dipende la realizzazione
dell’interesse altrui non è mai gravato da un obbligo, ma, al contrario,
è titolare di un potere (c.d. potere-dovere), in quanto egli, a sua volta,
ha a disposizione una serie di strumenti che gli consentono in modo
diretto ed immediato la realizzazione di un proprio interessi (si pensi
all’interesse della Pubblica Amministrazione ad avere personale

25
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 55.
30 Dispense di diritto privato

qualificato). Questo potere, però, trova un limite nella necessità di


tenere conto del contrapposto interesse dell’altro soggetto, situazione
questa che, come vedremo, realizza la figura della potestà (o potere
discrezionale).
Ricordiamo che l’opinione tradizionale distingue, nella categoria degli
interessi legittimi, i c.dd. diritti affievoliti, cioè situazioni giuridiche
soggettive che hanno la consistenza di veri e propri diritti, ma che sono
suscettibili di essere degradati ad interesse legittimo ad opera di un atto
della Pubblica Amministrazione. Tipico esempio è il diritto di proprietà,
che è un diritto soggettivo perfetto, ma che può essere sottratto al
titolare, a seguito di un provvedimento di espropriazione della Pubblica
Amministrazione, nell’ipotesi in cui il bene debba essere utilizzato per la
realizzazione di un’opera pubblica (ad es. un’autostrada). In questo caso,
l’interesse del proprietario a conservare la cosa non è protetto ed, anzi,
deve cedere di fronte all’interesse pubblico, ma in capo al proprietario
nasce un interesse legittimo che ha come contenuto - anche questa
volta - l’interesse al corretto esercizio del potere da parte della Pubblica
Amministrazione, con la conseguenza che se il procedimento di
espropriazione è viziato, il soggetto potrà ottenere dal giudice
amministrativo l’annullamento del provvedimento, con la conseguenza
che il diritto di proprietà riacquista l’originaria ampiezza.
Per concludere, l’interesse legittimo è definibile come il potere di
realizzare indirettamente l’interesse proprio.

10. La potestà.

Non sempre vi è coincidenza tra il titolare del diritto tutelato dalla


norma e il titolare degli strumenti giuridici finalizzati a quella tutela. Si
consideri, ad esempio, l’ipotesi dei genitori che amministrano beni
lasciati ai figli minorenni. Ma si consideri, altresì, il potere attribuito al
rappresentante nella cura di interessi che fanno capo al
rappresentato. Con riferimento a tali ipotesi, si parla di potestà, figura
che presenta un doppio volto, in quanto, da un lato, essa prospetta
l’attribuzione di un potere in vista della realizzazione di un interesse,
ma, dall’altro, determina un vincolo per il titolare del potere, poiché
egli dovrà agire avendo come costante punto di riferimento proprio la
cura dell’interesse alieno. La differenza con il diritto soggettivo è
chiara: la cura dell’interesse altrui vincola l’agire del soggetto,
cosicché quel profilo di libertà che - unitamente alla forza -
caratterizza la struttura del diritto soggettivo si presenta attenuato,
sebbene non del tutto eliminato (altrimenti si configurerebbe una
Le situazioni giuridiche soggettive 31

mera situazione passiva). Si prospetta, dunque, la sussistenza di un


potere vincolato, ossia un potere nel quale la scelta del titolare deve
necessariamente tenere conto di alcuni presupposti che, come tali,
condizionano il suo agire (potere-dovere). Si tratta di una situazione
analoga a quella che ricorre in diritto amministrativo26 con riguardo ai
poteri attribuiti alla Pubblica Amministrazione la quale nel suo agire
incontra - quali elementi limitanti la sua azione - la cura dell’interesse
pubblico e la c.d. causa attributiva del potere, ossia la realizzazione
dello scopo particolare in forza del quale le è attribuito il potere. E in
questo potere-dovere si esaurisce la c.d. discrezionalità della Pubblica
Amministrazione (titolare anch’essa di potestà pubbliche) da cui, per
derivazione, la qualificazione delle potestà privatistiche come poteri
discrezionali ampiamente utilizzata dalla dottrina civilistica.
La limitazione del potere del titolare della potestà trae, dunque,
origine dalla necessità di curare l’interesse altrui senza che ciò possa
interferire con un interesse personale del soggetto agente: interesse
che, peraltro, può anche sussistere, ma senza assumere un ruolo
prevalente rispetto all’interesse altrui. Si consideri, ad esempio, la
situazione nella quale vengono a trovarsi i genitori che amministrano
beni dei figli minori: essi possono anche avere un interesse personale
nella cura dei beni (in relazione ai possibili benefici che può trarne la
famiglia: si pensi alle rendite derivanti da terreni), ma il parametro di
riferimento costante è pur sempre rappresentato dall’interesse dei
figli che, un domani, si troveranno a gestire personalmente quei beni.
Ma si consideri, altresì, la situazione giuridica del rappresentante:
costui deve agire nell’interesse del rappresentato, senza che ciò
escluda la possibile sussistenza di un suo interesse personale che,
però, non potrà mai assumere un ruolo dominante. Paradigmatica è,
in tal senso, la disciplina dettata dall’art. 1395 con riguardo al
contratto che il rappresentante stipula con se stesso. Si pensi, ad
esempio, all’ipotesi in cui Tizio abbia conferito a Caio il potere di
vendere una sua casa e Tizio provvede ad acquistarla personalmente.
In un caso del genere, la legge presume che il rappresentante
subordini l’interesse del rappresentato a quello suo personale (ad
esempio, nella fissazione del prezzo) e attribuisce, pertanto, a
quest’ultimo il potere di ottenere dal giudice l’annullamento del
contratto. Tuttavia, essa consente di mantenere in vita l’atto quando
il rappresentato sia stato espressamente autorizzato a stipulare con
se stesso o quando il contenuto dell’atto sia stato determinato in
modo tale da escludere ogni possibilità di conflitto di interessi. Nel
caso, ad esempio, in cui Tizio conferisca a Caio il potere di vendere

26
Sul punto cfr. tra gli altri VIRGA, Diritto amministrativo, II, Milano, 1987, 6 ss.
32 Dispense di diritto privato

una casa al prezzo di 100 e la stessa viene acquistata direttamente


da Caio al prezzo di 100 è da escludere ogni possibilità di pregiudizio
per il rappresentato, dal momento che la stipulazione è avvenuta
secondo le condizioni prefissate. Tale ultima evenienza dimostra
come il legislatore non esclude che l’interesse del titolare della
potestà possa convivere con l’interesse altrui, a condizione, però, che
esso non assuma carattere di prevalenza a scapito dell’altro.
I poteri che competono al titolare della potestà possono derivare
dalla legge (si pensi, ad esempio, ai poteri attribuiti ai genitori in vista
della tutela degli interessi patrimoniali dei figli minori), ma anche da
una decisione dello stesso titolare dell’interesse protetto, come
accade nel caso della rappresentanza, dove un soggetto
(rappresentato) attribuisce ad un altro soggetto (rappresentante) il
potere di curare i propri interessi in un caso specifico. Come già si è
avuto modo di dire la posizione giuridica del titolare dell’interesse
protetto assume le connotazioni dell’interesse legittimo.
Per concludere, la potestà è definibile come il potere attribuito ad
un soggetto di realizzare direttamente un interesse altrui.

11. L’aspettativa.

Nel linguaggio comune il termine «aspettativa» sta ad indicare la


situazione psicologica di chi attende il verificarsi di un evento
favorevole che, alla stregua delle circostanze fino allora maturate,
può ritenersi abbastanza probabile27. Nell’ambito del diritto,
l’aspettativa si ricollega alla figura della c.d. fattispecie a formazione
progressiva. Premesso che il concetto di fattispecie si sostanzia
nell’astratta previsione da parte della legge degli elementi al cui
concreto verificarsi la stessa norma ricollega il prodursi di un certo
effetto giuridico (ad esempio, la fattispecie dell’art. 2043 si sostanzia
nella previsione di taluni accadimenti al verificarsi dei quali la norma
ricollega la nascita dell’obbligo di risarcire il danno prodotto), accade,
talvolta, che la fattispecie consta di fatti i quali vengono ad esistenza
entro uno spazio temporale più o meno lungo: allora, solo al
verificarsi del fatto finale sorge il diritto soggettivo. Concentrando
l’attenzione al momento in cui taluni accadimenti previsti dalla norma
si sono verificati, ma altri debbono ancora venire ad esistenza, si
prospetta la sussistenza di un interesse di un soggetto ad evitare che
terzi possano impedire il verificarsi degli ulteriori elementi
perfezionativi della fattispecie ovvero che, nel tempo in cui la

27
SCOGNAMIGLIO, Aspettativa, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 226.
Le situazioni giuridiche soggettive 33

fattispecie è ancora in formazione, possano pregiudicarsi le ragioni


del soggetto volte a conseguire il bene, una volta perfezionatasi al
fattispecie. Questo interesse è preso in considerazione
dall’ordinamento, il quale attribuisce al soggetto stesso una serie di
strumenti giuridici idonei, appunto, ad impedire che venga frustrata la
sua situazione di attesa: in questa attribuzione di mezzi protettivi si
risolve la figura dell’aspettativa, espressione con la quale si intende
sottolineare proprio la situazione di attesa nella quale viene a trovarsi
un certo soggetto in vista della nascita di un diritto soggettivo.
La tutela dell’interesse iniziale si presenta, dunque, di carattere
provvisorio e strumentale, in quanto finalizzata solo ad assicurare la
permanenza delle condizioni da cui dipende la nascita del diritto e
destinata, come tale, ad esaurirsi nel momento in cui sarà completata
la situazione di fatto che darà luogo alla nascita del diritto
soggettivo28.
Il carattere della provvisorietà e della strumentalità emergono, tra
l’altro, dalla natura stessa dei poteri attribuiti al soggetto i quali
hanno natura meramente conservativa o cautelare della situazione in
atto. Si consideri, ad esempio, la tutela riconosciuta dalla legge a
favore del nascituro. Posto che l’esistenza del soggetto è elemento
essenziale alla nascita del diritto soggettivo, può verificarsi l’ipotesi
che il soggetto non ancora esista, ma si può, con una certa
fondatezza, prevedere che verrà ad esistenza (ad es. nascituro già
concepito). In tal caso, gli interessi che a lui potrebbero far capo non
possono essere considerati come aventi una esistenza attuale, ma
vengono ugualmente tutelati dal legislatore (in vista della futura
nascita) mediante la previsione di una serie di strumenti diretti a
conservare al nascituro la possibilità di acquistare il diritto.
Si consideri, altresì, l’ipotesi dei c.d. diritti condizionati Due
soggetti, nel dare vita ad un rapporto di debito-credito, subordinano
la nascita dello stesso al verificarsi di un evento futuro ed incerto. È
evidente che, fino a quando l’evento non si sarà verificato, non può
dirsi attuale il diritto del creditore ad ottenere la prestazione dal
debitore. Si avrà, in questo caso, una mera situazione di pendenza
alla quale corrisponde l’interesse di una delle parti ad evitare che
terzi possano impedire il normale corso degli eventi e così frustrare
l’attesa del conseguimento del futuro vantaggio. Ancora un volta, il
legislatore interviene con una serie di strumenti giuridici di natura
conservativa e cautelare (previsti dagli artt. 1356-1359 c.c.)
finalizzati, per l’appunto, ad evitare che possa essere pregiudicata la
situazione di fatto da cui dipende la successiva nascita del diritto.

28
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 45.
34 Dispense di diritto privato

Con riferimento a tali ipotesi si parla di aspettativa di diritto (o


legittima) per distinguerla dalla aspettativa di fatto dove la
differenziazione tra le due figure risiede, ancora una volta, nella
valutazione operata dall’ordinamento dell’interesse del soggetto al
conseguimento di futuri vantaggi. Invero, non sempre la legge tutela
l’interesse del soggetto che si pone in una situazione di attesa, ritenendo
quell’interesse non meritevole di protezione anticipata. Si consideri, ad
esempio, l’interesse che i figli hanno nei confronti della eventuale eredità
dei propri genitori. Costoro acquisteranno il diritto alla eredità solo nel
momento in cui si aprirà la successione (che coincide temporalmente
con la morte dei genitori). Prima di questo momento, benché sussista un
interesse al conseguimento della eredità, l’ordinamento non interviene
per proteggere questa situazione di aspettativa, la quale, pertanto, si
risolve in una aspirazione di fatto, non giuridicamente tutelata.
Ora, se analizziamo più da vicino il fenomeno dell’aspettativa (con
riferimento, in particolare, al negozio sottoposto a condizione
sospensiva), possiamo comprendere la nota distinzione prospettata dalla
dottrina29 tra effetti preliminari (o negoziali) ed effetti finali del negozio.
La stipulazione di un contratto condizionato produce, di per se, una serie
di effetti, corrispondenti all’esigenza di garantire e preparare l’avverarsi
della situazione finale. Questi effetti, detti per l’appunto preliminari, si
sostanziano nella irrevocabilità del consenso prestato al momento della
conclusione, nell’obbligo di comportarsi secondo buona fede, nel potere
di compiere atti conservativi, ecc. Gli effetti preliminari, in sostanza, si
riconducono, in parte, a quei poteri che costituiscono la struttura stessa
dell’aspettativa e si distinguono dagli effetti c.d. finali che si identificano
con gli effetti che il negozio - una volta avveratasi la condizione - sarà in
grado di produrre e che rappresentano il vero punto di mira delle parti e
la stessa giustificazione giuridica dell’operazione economica. Vi è per
altro da chiedersi se la presenza degli effetti preliminari possa costituire
la base per la costruzione di un vero e proprio diritto di aspettativa,
intesa come autonoma situazione giuridica. La questione è controversa.
Una parte della dottrina30, infatti, fa notare che l’impegno derivante dalla
stipulazione di un negozio non può essere considerato un effetto di
carattere preliminare, ma un effetto finale: se Tizio e Caio stipulano, ad
esempio, un contratto di lavoro subordinato, essi mirano proprio a
costituire tra loro un vincolo, la cui nascita, pertanto, deve considerarsi
effetto finale e non meramente preliminare.
A sostegno, poi, della sussistenza di un autonomo diritto di
aspettativa, si invoca la norma dell’art. 1357 che consente di disporre il
diritto derivante da un negozio sottoposto a condizione sospensiva o
29
SCOGNAMIGLIO, Aspettativa, cit., 230.
30
SCOGNAMIGLIO, o.l.u.c.
Le situazioni giuridiche soggettive 35

risolutiva, prima che questa si avveri: dal momento che, prima del
verificarsi della condizione (soprattutto, quella sospensiva), non può dirsi
ancora nato il diritto derivante dal negozio concluso, il soggetto, in
realtà, disporrebbe solo di un diritto di aspettativa. In contrario, però, si
fa notare che la norma prevede solo la possibilità di disposizione di un
diritto futuro (che sortirà a seguito del verificarsi dell’evento
condizionante) e non già un equivoco diritto di aspettativa.

12. Il possesso.

La nascita di una situazione giuridica soggettiva può trarre origine


anche dal fatto materiale per cui un certo bene si trova nella
disponibilità di un soggetto che ha interesse a conservarlo e a
difenderlo contro le aggressioni altrui. La situazione per cui un
soggetto esercita il potere di fatto su di una cosa prende il nome di
possesso. Possessore può essere il proprietario (si pensi, ad esempio,
al proprietario della casa in cui abita), ma può essere anche un
soggetto diverso dal proprietario che, per i motivi più diversi, si trova
ad esercitare, di fatto, il potere su di una cosa di proprietà di altri. Si
pensi, ad esempio, al ladro: costui, pur non essendo proprietario, di
fatto ha un potere di godimento e disposizione della cosa furtiva.
Nel possesso, dunque, sono ravvisabili due elementi: a) un
elemento oggettivo (c.d. corpus), consistente nel potere di fatto su di
una cosa; b) un elemento soggettivo (c.d. animus possidendi),
rappresentato dall’intenzione del soggetto tenere la cosa come
propria, senza riconoscere un altrui diritto sulla stessa (si pensi, ad
esempio, al ladro). Diversa è, invece, la detenzione che consiste - al
pari del possesso - in un potere di fatto sulla cosa, cui, però, non si
accompagna l’animus possidendi, poiché il detentore riconosce che
un altro soggetto è titolare di un diritto sulla stessa e,
conseguentemente, non si comporta come se la cosa fosse propria. Si
pensi, ad esempio, alla situazione di colui che abita un in una casa
altrui in base ad un contratto di locazione: egli, pur avendo una
relazione diretta con il bene, non si comporta verso di esso come se
fosse proprietario, dal momento che, ad esempio, pagando il canone
di locazione, dimostra di voler rispettare la posizione del concedente
e di non far propria la cosa.
La legge tutela l’interesse del possessore a godere della cosa,
attribuendogli delle azioni giudiziarie con cui egli può ottenere la
restituzione della cosa che gli sia stata sottratta (c.d. azione di
reintegrazione) o può far cessare atti di molestia che disturbano quel
36 Dispense di diritto privato

godimento (c.d. azione di manutenzione). Le ragioni per le quali


l’ordinamento tutela il possesso sono diverse. Anzitutto, occorre
tutelare il possessore contro appropriazioni violente da parte di colui
che pretende di avere un diritto sulla cosa: la pacifica convivenza
sarebbe compromessa se, ad esempio, il proprietario potesse
sottrarre con la forza il bene al ladro, dovendo egli, invece, rivolgersi
al giudice per ottenere la restituzione. Ma vi è di più. Come si è detto,
il possesso è una relazione di fatto che, in quanto tale, è accertabile
concretamente in maniera molto più facile e rapida rispetto al diritto
di proprietà. Dal momento che, di regola, il proprietario è anche
possessore, si comprende facilmente come, mediante la tutela
possessoria, si ottiene, spesso, una tutela rapida, in definitiva, dello
stesso diritto di proprietà.
Come si vede, allora, il possesso costituisce un’autonoma
situazione giuridica soggettiva, essendo ravvisabile in esso sia
l’interesse al bene e sia la presenza di strumenti finalizzati alla
realizzazione di quell’interesse. È solo da notare che la tutela
riconosciuta al possessore viene in rilievo nel momento in cui taluno
interferisce nel godimento del bene: nessuno strumento è previsto
per il tempo anteriore.
Il contenuto della tutela presenta, poi, un duplice carattere: a) essa
è incondizionata, cioè è ammessa verso ogni atto di privazione o di
molestia nel possesso; b) ed è provvisoria, in quanto alla fine è
destinata a cedere di fronte alla pretesa del titolare del diritto (cioè
del proprietario) che intende riappropriarsi (nei modi di legge) del
bene stesso.

13. Gli status.

Vi è una particolare situazione giuridica soggettiva nella quale


manca assolutamente ogni riferimento oggettivo, nel senso che essa
non esprime una certa posizione del soggetto di fronte ad un bene,
ma una posizione del soggetto nei confronti di altri soggetti, non
considerati, però, come singoli individui, bensì come collettività più o
meno organizzata31. Tale situazione giuridica soggettiva prende il
nome di status, espressione con la quale si indica la posizione che un
soggetto assume nei confronti di altri soggetti, nell’ambito di una
collettività organizzata. Si pensi, ad esempio, allo status di cittadino o
allo status di coniuge o di figlio che indicano la posizione che un

31
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 65.
Le situazioni giuridiche soggettive 37

individuo assume, rispettivamente, verso lo la comunità statale o


verso la famiglia.
Lo status è una situazione giuridica soggettiva autonoma, tutelata
in quanto tale. Essa, però, è anche fonte di altre situazione giuridiche
soggettive attive e passive. Per esemplificare, la legge tutela lo status
di cittadino, cioè attribuisce al soggetto una serie di strumenti per
ottenere l’acquisto e il riconoscimento di quella certa posizione verso
lo Stato. Ma la stessa legge, ricollega alla titolarità di quello status
una serie di diritti (ad es. diritto di votare) e di obblighi (ad es.
prestare il servizio militare).
Naturalmente, non basta individuare una collettività perché la
posizione di un singolo membro di questa abbia il carattere dello
status. Occorre che l’ordinamento giuridico prenda in considerazione
questa posizione del soggetto e ne faccia oggetto di autonoma
protezione.
Gli esempi tradizionali di status sono derivati dal diritto romano: si
pensi allo status civitatis e allo status familiae che, rispettivamente,
rappresentano la posizione che l’individuo assume nell’ambito della
comunità sociale organizzata nello Stato e nell’ambito della famiglia.
Lo status civitatis si acquista nel momento in cui si instaura (nei
modi di legge) il rapporto di cittadinanza ed è fonte di una serie di
effetti giuridici (diritti, obblighi, ecc.) che attengono principalmente al
diritto pubblico. Lo status familiae, invece, attiene, senz’altro, al
diritto privato, malgrado la rilevante importanza sociale dell’istituto
della famiglia. E nell’ambito della famiglia possono individuarsi due
ipotesi: lo status di coniuge e lo status di figlio. Questi status non si
acquistano automaticamente, ma attraverso determinati
procedimenti di carattere pubblico (atto di nascita, atto di
matrimonio, ecc.), anche se è opportuno ricordare che, qualora
esistano le condizioni per l’acquisto dello status e questo non risulta,
al soggetto è dato lo strumento per acquistarlo (si pensi all’azione di
reclamo della legittimità o all’azione volta ad ottenere il
riconoscimento giudiziale di paternità o maternità).
Nello status, dunque, si riscontra un elemento materiale, costituito
dalla posizione del soggetto nell’ambito della collettività organizzata
ed un elemento formale costituito dalla relativa tutela accordata
dall’ordinamento giuridico.
Talvolta, però, benché assente una collettività organizzata (e,
dunque, sia inconfigurabile l’elemento materiale) sussiste,
nondimeno, l’elemento formale, costituito dalla autonoma tutela di
una posizione soggettiva32. Si parla, in questi casi, di qualità giuridica,

32
NICOLÒ, o.c., 71; GAZZONI, Manuale, cit., 78.
38 Dispense di diritto privato

e un esempio è costituito dalla qualità di erede: costui, infatti, non si


limita ad acquistare semplici diritti ed obblighi già facenti capo al de
cuius, ma subentra nella complessiva situazione che prima faceva
capo alla persona deceduta. Tanto vero che se il de cuius era
possessore in buona fede, l’erede continuerà ad essere considerato
tale, anche se in mala fede. Ma si pensi, ancora, all’azione di petizione
ereditaria: quando l’erede intende ottenere da altri la restituzione di
un bene ereditario, dovrà rivolgersi al giudice per ottenere, in prima
battuta, proprio il riconoscimento della sua qualità di erede, sia pure
come strumento per conseguire, in via mediata, la restituzione del
bene.
Le situazioni giuridiche soggettive 39

SEZIONE TERZA
Le situazioni giuridiche soggettive passive

14. Nozione.

Sono, come già visto, strumenti pure esse per la realizzazione di un


interesse, generalmente altrui. Si traducono in uno svantaggio per il
loro titolare che deve sacrificare un proprio interesse per la
soddisfazione di un interesse altrui. Si sostanziano nella necessità che
avvenga alcunché.
La necessità può essere assoluta, cioè avvenire ineluttabilmente e
quasi meccanicamente. È il caso della soggezione situazione giuridica
passiva in cui, date alcune premesse (l’esercizio di un diritto
potestativo) ne consegue automaticamente un effetto giuridico
sfavorevole in capo ad un altro soggetto.
Può però essere anche relativa quando si sostanzia in una necessità
di un comportamento. Il soggetto tenuto ad esso è, infatti, sempre in
una situazione di libertà morale (non giuridica): il debitore può anche
decidere di non adempiere, sottoponendosi ovviamente alle
conseguenze relative.
La necessità, in questo caso, si traduce non in un mero effetto
giuridico, ma in un comportamento, e dunque in un’attività.
Nel primo caso, allora, avremo una modificazione soltanto ideale
che avviene nel mondo giuridico, e che, sacrificando un interesse del
titolare, soddisfa un interesse altrui, cioè del titolare del potere, senza
bisogno di alcuna cooperazione; nel secondo caso avremo una
modificazione materiale del mondo esterno, un’attività che diventa
giuridicamente rilevante, che il titolare della situazione passiva deve
tenere per soddisfare l’interesse altrui, o anche il proprio nel caso
dell’onere.
La norma si risolve in un comando ipotetico33: verificatasi
concretamente la situazione prevista in astratto, essa dispone che un
certo soggetto debba tenere un determinato comportamento oppure
dispone che a suo carico si producano date conseguenze, a
prescindere da una sua condotta34. In entrambi i casi, il destinatario
della norma viene a trovarsi in una situazione passiva, la quale,
peraltro, potrà assumere diversi aspetti, a seconda che la norma
33
«La norma giuridica, al pari delle norme di altro tipo (religiose, etiche,
grammaticali, ecc.), si presenta [...] come un giudizio ipotetico, che ricollega dati
effetti all’accadere di un fatto. Lo schema logico, in cui si risolve ogni specie di
norma, suona: se A, allora, B»: IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato,
Padova, 1990, 8-9.
34
NICOLÒ, Istituzioni di diritto privato, cit., 3 ss.
40 Dispense di diritto privato

imponga una determinata condotta oppure disponga, sic et


simpliciter, produzione di certe conseguenze nella sfera giuridica del
soggetto.
Nell’ipotesi in cui la legge comanda al soggetto di tenere un certo
comportamento, la posizione nella quale viene costui viene a trovarsi
è denominata dovere giuridico. Tale imposizione è analoga a quella
conseguente ad una norma di carattere morale o religioso, con la sola
differenza, però, che in caso di inosservanza del precetto,
l’ordinamento predispone una serie di strumenti volti - nei limiti del
possibile - ad assicurare la realizzazione effettiva del comportamento
imposto. In tal senso, la differenza tra il dovere giuridico e il dovere
morale (o religioso) si risolve nelle diverse conseguenze riconducibili
alla sua inosservanza: il dovere giuridico è sorretto da un apparato
coattivo che consente la sua osservanza anche contro la volontà del
destinatario.
Laddove la norma non comanda un comportamento del soggetto
che ne è destinatario, ma dispone immediatamente e direttamente
che una certa conseguenza per lui sfavorevole si produca nella sua
sfera giuridica, la situazione passiva del soggetto prende il nome di
soggezione: in questo caso, all’individuo non si impone di tenere un
certo comportamento, ma gli si impone di subire una conseguenza
per lui sfavorevole, trovandosi così in una situazione di pati che
presenta per il lui il carattere della inevitabilità.
Dovere e soggezione pongono, dunque, il soggetto in una
condizione di svantaggio. Tale condizione, però, deve essere
giustificata, altrimenti non si spiegherebbe la ragione per cui in capo
ad un soggetto debbano prodursi conseguenze negative per la sua
sfera giuridica. Orbene, la ratio delle situazioni giuridiche soggettive
passive risiede nel fatto che esse si pongono come strumenti
necessari per la realizzazione di un interesse facente capo ad un altro
soggetto, interesse che l’ordinamento ritiene meritevole di
protezione, attribuendo al titolare quell’insieme di strumenti nel quale
si risolve la nozione di situazione giuridica soggettiva attiva. In altre
parole, nel momento in cui l’ordinamento conferisce tutela ad un
certo interesse, prevede la nascita in capo ad un diverso individuo di
una situazione passiva, funzionalmente rivolta alla concreta
realizzazione dell’altrui interesse. In tal senso, le situazioni passive
assumono il carattere della strumentalità: esse non vivono di per sé,
ma ricevono giustificazione sempre in rapporto ad un interesse alieno
da realizzare.
Le situazioni giuridiche soggettive 41

15. L’onere.

Caratteri peculiari - rispetto a tali considerazioni - presenta, invece,


la figura dell’onere che viene ad esistenza nel momento in cui la
norma impone ad un soggetto di tenere un certo comportamento per
la realizzazione non già di un interesse altrui (altrimenti vi sarebbe
dovere), ma interesse proprio, con la conseguenza che se la prevista
condotta in concreto non è tenuta si produrranno ripercussioni
negative nella sfera giuridica del medesimo soggetto. L’esempio
tipico è il c.d. onere della prova che vige nel processo civile. L’art.
2697 c.c. impone, a chi vuol far valere un diritto in giudizio, di provare
i fatti che ne costituiscono il fondamento: la norma lascia libero il
soggetto di comportarsi come meglio crede, ma la mancata prova di
quei fatti si rifletterà sull’esito del giudizio, poiché, in mancanza di
prova, il giudice rigetterà la domanda, considerando il diritto vantato
come inesistente.
L’onere, dunque, impone sì al soggetto di tenere un certo
comportamento (e in tal senso potrebbe presentarsi come situazione
passiva), ma (a differenza del dovere) tale comportamento non è
finalizzato alla realizzazione di un interesse altrui, bensì di un
interesse proprio del titolare, il cui mancato assolvimento non
prospetterà forme di responsabilità, ma solo la mancata realizzazione
dell’interesse del soggetto interessato (e in tal senso potrebbe
parlarsi di situazione attiva).
Da ultimo, conviene avvertire che non bisogna confondere questo
onere - situazione giuridica passiva - con l’onere (o modo), elemento
accidentale del negozio giuridico.

16. Il dovere giuridico.

a) Il dovere in senso stretto.


Si è detto che il dovere giuridico nasce quando la norma impone ad
un soggetto di tenere un determinato comportamento. Ricordando
quanto detto sopra in ordine alla correlazione tra situazione passiva e
realizzazione di un interesse altrui, possiamo cominciare ad osservare
che quando l’interesse alieno consiste nell’interesse a conservare un
bene che già si possiede, il suo soddisfacimento avviene mediante
l’imposizione in capo ad altri soggetti del divieto di interferenze
nell’altrui godimento del bene. Si prospetta, dunque, l’imposizione di
un comportamento negativo (astensione) che, peraltro, fa capo non
già ad un singolo individuo, bensì a tutti gli appartenenti alla
42 Dispense di diritto privato

comunità. Ecco che, allora, nell’ambito della generica figura del


dovere giuridico, si individua una prima specie che, tecnicamente,
assume la denominazione di dovere in senso stretto, i cui caratteri
fondamentali sono:
1) la correlazione con un interesse a conservare;
2) il carattere negativo del suo contenuto;
3) il far capo ad una generalità di individui non determinabili a
priori.

b) L’obbligo.
Laddove, invece, l’interesse tutelato dalla norma assume le
connotazioni dell’interesse a conseguire un bene che non si possiede,
la sua realizzazione richiede la collaborazione del soggetto nel cui
patrimonio si trova il bene desiderato, in quanto quella realizzazione
comporta, in definitiva, un mutamento della sua sfera giuridico-
patrimoniale. E così, ad esempio, l’interesse a conseguire una somma
di denaro si realizzerà a seguito della consegna da parte del soggetto
che si era impegnato in tal senso (c.d. debitore). Come si vede, allora,
la realizzazione dell’interesse alieno avviene, in questo caso,
mediante l’imposizione di un comportamento che avrà contenuto
essenzialmente positivo e farà capo ad uno specifico soggetto. Si
individua, così, nell’ambito della medesima categoria del dovere
giuridico, una seconda tipologia che è denominata tecnicamente
obbligo e che presenta caratteri diametralmente opposti a quelli del
dovere giuridico in senso stretto e ciò in quanto:
a) si tratta di un dovere strettamente connesso ad un interesse a
conseguire;
b) è un dovere a contenuto positivo, in quanto dovere di un
determinato comportamento (che può essere a sua volta positivo o
negativo), ma che comunque importa il sacrificio di un particolare
interesse35;
c) si tratta di un dovere specifico, perché imposto ad uno o più
soggetti determinati (o determinabili) a priori e non alla generalità. È
evidente, poi, che nel momento in cui un simile dovere viene ad
Talvolta l’obbligo consiste in un non facere come, ad esempio, nel non
35

edificare, ma anche in questi casi, sebbene consistente in un comportamento


omissivo, l’obbligo ha pur sempre carattere positivo e ciò in quanto comunque
viene operata una modificazione del patrimonio dell’obbligato a vantaggio del
creditore, dal momento che il primo vede venire meno una facoltà (nell’esempio,
quella di edificare) del suo patrimonio e il secondo si arricchisce di ulteriori utilità
(nell’esempio, il godimento del panorama) Ben diverso è invece il caso del dovere di
astensione: in tal caso non si sottrae alcuna utilità al patrimonio dei terzi «perché di
certo non costituisce una facoltà riconosciuta e lecita quella ad esempio di
disturbare il godimento del legittimo proprietario».
Le situazioni giuridiche soggettive 43

esistenza, verrà ad instaurarsi tra il soggetto passivo e il titolare


dell’interesse una relazione giuridica che tecnicamente prende il
nome di rapporto giuridico.

17. La soggezione.

La seconda posizione nella quale può trovarsi il destinatario di una


norma giuridica è quella che nasce quando la norma non comanda un
comportamento del soggetto, ma dispone immediatamente e
direttamente che una certa conseguenza per lui sfavorevole si
produca nella sua sfera giuridica. Si è detto che questa situazione
passiva assume il nome di soggezione. La figura si ricollega anch’essa
ad un interesse a conseguire un bene che non si possiede, ma, questa
volta, la realizzazione dell’interesse avviene mediante una modifica
non già materiale, ma ideale (o, se vogliano, giuridica) della sfera del
soggetto nel cui patrimonio il bene desiderato esiste. Si pensi, ad
esempio, all’ipotesi in cui il proprietario di un fondo voglia acquistare
la comproprietà di muro divisorio altrui: in questo caso, la
realizzazione dell’interesse (che avviene mediante l’acquisto della
comproprietà) importa una modifica della sfera giuridica dell’altro
comproprietario che, però, è solo giuridica, dal momento che, sul
piano materiale, nulla è mutato. Orbene, la condizione giuridica di
colui che subisce la modifica ideale prende, appunto, il nome di
soggezione, in quanto costui deve limitarsi a subire sic et simpliciter
una conseguenza per lui sfavorevole prevista direttamente dalla
legge. Si parla, al riguardo, di necessità assoluta, per sottolineare
come al soggetto non si impone più di tenere un certo
comportamento (come accadeva nel dovere giuridico), ma gli si
impone solo di subire le conseguenze derivate dall’altrui agire.
CAPITOLO TERZO

Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale

SOMMARIO: 1. Genesi storica del concetto. - 2. La teoria della relazione tra soggetto e
cosa. - 3. La teoria della relazione tra soggetto e ordinamento giuridico. - 4. La
teoria onnicomprensiva. - 5. La teoria classica: relazione tra soggetti. - 6. Inserzione
dei concetti di «potere» e «dovere» nella teoria classica. - 7. La teoria prevalente: il
rapporto giuridico come relazione tra situazioni giuridiche soggettive. - 7 bis.
Vicende delle situazioni soggettive e del rapporto. - 8. Ipotesi di rapporti giuridici. -
9. Rapporto obbligatorio e rapporto contrattuale.

1. Genesi storica del concetto.

Il rapporto giuridico viene definito come relazione tra situazioni


giuridiche soggettive. Per comprendere come la dottrina più recente
sia giunta a questa definizione è necessario un breve excursus della
storia di questo importantissimo concetto.
Esso è stato elaborato inizialmente dalla pandettistica tedesca, la
quale lo ritenne la vera chiave di volta di tutta la dogmatica
civilistica36. Se, infatti, i pandettisti posero al centro della loro analisi il
concetto di negozio giuridico e quello di diritto soggettivo, non minore
importanza ebbe la costruzione teorica della nozione di rapporto
giuridico.
La storia di tale concetto seguì due trends. Da una parte, si cercò di
estendere il concetto dal diritto privato ad altri rami del diritto, anche
se con risultati non sempre convincenti; dall’altra, la stessa
evoluzione civilistica seguì orientamenti alquanto contrastanti tra di
loro.
Tralasciando per ovvi motivi il primo filone d’indagine, è opportuno
approfondire il secondo.
Anche all’interno della stessa pandettistica il rapporto giuridico non
ebbe lo stesso significato per tutti gli autori. Infatti, se nella prima
elaborazione esso consisteva in una relazione tra più persone

36
LAZZARO, Rapporto giuridico, in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1967, 788.
Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 45

determinata da una regola di diritto37, invece per altri autori , tra cui
principalmente il Dernburg, si sostanziava in una relazione giuridica
efficace di una persona verso un’altra persona o verso un bene
reale38.
Anche rispetto al significato da dare al concetto di relazione non
mancavano le divergenze perché se per il Savigny essa era un
fenomeno essenzialmente complesso, dal quale solo per astrazione
potrebbero distinguersi le singole situazioni giuridiche soggettive,
soprattutto diritti (ad es. dalla compravendita intesa come rapporto
scaturirebbero vari diritti soggettivi, come il diritto del venditore ad
ottenere il prezzo della cosa venduta), invece per altra dottrina la
relazione intercorreva semplicemente tra due soggetti (ad es. una
relazione tra singole posizioni correlative di debito e credito), così
pure per il Bierling, per cui la relazione esisteva tra persona e persona
e veniva più particolarmente definita come relazione tra diritto e
dovere39.
Già dal suo sorgere, come si è visto, il concetto di rapporto
giuridico fu tutt’altro che pacifico, anche se si capì subito che, al di là
delle soluzioni prospettabili, esso consiste essenzialmente in una
«relazione». Si può addirittura ritenere che l’evoluzione della nozione
di rapporto giuridico sia stata tutta nel senso di qualificare e
specificare il concetto di relazione che esso sottende.

2. La teoria della relazione tra soggetto e cosa.

Un primo tentativo «tecnico» di attribuzione di significato identificò


il rapporto giuridico nella relazione tra un soggetto e una cosa o,
analogamente, tra una persona e un bene della vita40.
Tale concezione, di chiaro stampo romanistico, non appare
convincente per due ordini di ragioni. In primo luogo perché - come
ha rilevato la migliore dottrina - è da evitare il parallelismo tra
elementi tra loro eterogenei (tanto è vero che nel legame tra
soggetto e cosa c’è una «subordinazione» e non «relazione»), ma
soprattutto perché tale teoria non spiega i rapporti intercorrenti tra
entità diverse dalle cose, in primis quelli obbligatori. Tale concezione
appare ancor di più superata ove si consideri che negli ordinamenti
moderni la maggior parte dei rapporti giuridici prescinde

37
SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. a cura di Scialoja, I, Torino,
1986, 337.
38
LAZZARO, Rapporto giuridico, cit., 788.
39
LAZZARO, o.l.c.
40
PALAZZOLO, Rapporto giuridico, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 292 ss.
46 Dispense di diritto privato

completamente da una relazione tra un soggetto e una cosa (oltre


alla materia delle obbligazioni si pensi ad esempio al diritto di
famiglia, al diritto del lavoro, ai diritti della personalità, etc.), a meno
di ricondurre anche i rapporti intersubiettivi nel concetto di res,
degradando la persona al ruolo di bene economico41.

3. La teoria della relazione tra soggetto e ordinamento


giuridico.

La dottrina pura del diritto, che deriva da Hans Kelsen, ha


impostato il problema in termini radicalmente diversi ed ha definito il
rapporto giuridico come la relazione tra un dato soggetto e
l’ordinamento giuridico, per il tramite di una norma42.
Così, si è detto che «tutte le volte che l’individuo, volontariamente
o non, entrerà in una delle condizioni previste dall’ordinamento
giuridico, esisterà un rapporto giuridico»43. Tale ordine di idee
riecheggia anche nel pensiero di chi ritiene che «[...] il rapporto non è
la mera relazione materiale o psicologica tra soggetti (un contatto, un
conflitto, un affetto), ma a dir così, fa capo con la norma, questa
essendo la fonte ideale di ogni rapporto giuridico dalla quale i
comportamenti dei soggetti, attingendo la loro qualifica, desumono
per ciò stesso la loro disciplina»44, mentre il fatto giuridico sarebbe
solo la mera fonte empirica del rapporto, poiché gli elementi empirici,
di fatto o materiali del rapporto sono ciò che la norma assume e
qualifica nel rapporto giuridico.
Così tra un soggetto ed un altro intercorrerebbe una relazione
meramente fattuale che assumerebbe giuridicità solo in virtù di una
norma che la considera rilevante e la qualifica giuridicamente. Perciò,
anche in un rapporto giuridico tra persone non vi sarebbe una
relazione diretta ed immediata tra di esse, ma la relazione
avverrebbe sempre per il tramite della norma.
La teoria dell’àgere lìcere è pervenuta ad una ricostruzione quasi
geometrica: dal vertice N, costituito dalla norma, discendono i termini
interindividuali A e B che, sotto il profilo del rapporto giuridico, si

PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1988, 520.


41

BARBERO, Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, 57.


42

43
CICALA, Il rapporto giuridico, Firenze, 1935, 15. L’influenza kelseniana è
determinante nella trasposizione italiana della dottrina pura del diritto.
44
LEVI, Teoria generale del diritto, Padova, 1950, 8. Per tale a., la relazionalità
sarebbe l’essenza stessa del diritto: il diritto non è, come in Kelsen, norma
(relazionale), ma è rapporto intersoggettivo. Perciò il pensiero del Levi viene
indicato: teoria del diritto come relazione.
Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 47

ignorano. Si viene a configurare un angolo in cui A e B sono punti che


si trovano sulle semirette partenti dal vertice N45.
Il punto debole di tale prospettiva teorica si coglie nello scarso
rilievo della realtà sociale che sarebbe niente altro che un mero
strumento di applicazione della norma: il che appare decisamente
opinabile.

4. La teoria onnicomprensiva.

Maggiore fortuna ebbe una concezione più ampia del rapporto


giuridico, onnicomprensiva di tutte le relazioni desumibili
dall’ordinamento giuridico che si potrebbero porre non soltanto tra le
persone, ma anche tra le persone e le cose o addirittura tra cose e
cose.
Si avrebbe, per esempio, un rapporto giuridico tra cose nel
rapporto di pertinenza, che, pur attenendo al regime della
circolazione dei beni tra soggetti, potrebbe essere intesa come una
relazione oggettiva tra cose.
Vi sarebbe un rapporto giuridico tra persona e cosa nei diritti reali.
È evidente l’influenza del diritto romano, partendo dall’idea che
anche l’actio in rem presupporrebbe un rapporto intersoggettivo46. È
opinione diffusa che nell’antico processo romano delle legis actiones,
l’azione reale avesse per oggetto essenzialmente la cosa (non il
diritto), dirigendosi verso di essa. Il convenuto (soggetto passivo) era
un elemento meno importante, potendo essere chiunque si
intromettesse tra il titolare del diritto reale e la cosa. Significativo al
riguardo era lo svolgimento del processo: se oggetto di controversia
era una cosa mobile, essa veniva fatta portare in tribunale - se non
fosse stata trasportabile, se ne prendeva una parte simbolica - e le
parti, toccandola con un bastoncino, ne affermavano entrambe la
proprietà.
Tutte queste possibili relazioni non ci aiutano a cogliere appieno il
concetto di rapporto giuridico, risolvendosi esso sostanzialmente in
una categoria inutile: se infatti vi fosse un rapporto giuridico tutte le
volte che l’ordinamento individua una correlazione tra due elementi,
tale nozione sarebbe meramente descrittiva, non specificando il tipo
di relazione intercorrente magari tra elementi sostanzialmente
eterogenei o comunque atecnici.

45
PALAZZOLO, Rapporto giuridico, cit., 295.
46
MAIORCA, Vicende giuridiche, in Noviss. dig. it., XX, Torino, 1975, 697.
48 Dispense di diritto privato

5. La teoria classica: relazione tra soggetti.

Per larga parte della dottrina il rapporto giuridico consiste


tradizionalmente in una relazione tra soggetti, escludendosi perciò la
relazione tra soggetti e cose e quella intercorrente tra cose.
Il rapporto giuridico sarebbe quindi una relazione tra soggetti
regolata da norme giuridiche, cioè dall’ordinamento giuridico47.
Tale impostazione risolve molti dei problemi posti dalle ricostruzioni
precedenti perché, se da un lato stabilisce una relazione tra termini
omogenei (soggetto e soggetto), da un altro ha il pregio di
considerare giuridicamente rilevante i collegamenti o i conflitti di
interessi esistenti nella realtà sociale senza degradarli a mero
presupposto fattuale di applicazione della norma.
Tale nozione, però, è sembrata troppo semplicistica o comunque
riduttiva, perché non è atta a spiegare alcune ipotesi in cui esiste una
relazione giuridicamente rilevante tra centri di interesse anche se, sia
pure eccezionalmente, non esistono due soggetti ma, nonostante ciò,
il rapporto giuridico si costituisce e rimane in vita anche con un solo
soggetto: si pensi in ambito successorio all’accettazione dell’eredità
con beneficio d’inventario, artt. 484 e 490 c.c; alla separazione del
patrimonio del defunto da quello dell’erede, ad istanza dei creditori,
artt. 512 e ss. c.c.; al prelegato, art. 661 c.c; in materia di
obbligazioni alla promessa al pubblico, art. 1989 c.c.; in materia
cambiaria, art 15, comma 3, R.D. 4 dicembre 1933, n. 1669, nel caso
in cui il titolo ritorna all’emittente; in ambito societario alle ipotesi di
cui all’art. 2272, n. 4 c.c.48 (la s.p.a. con un unico azionista) e all’art.
2475 bis (la c.d. «s.r.l. unipersonale»). Basta questo per evidenziare
che la dualità dei soggetti non è essenziale nel concetto di rapporto
giuridico, perché in queste ipotesi c’è un solo soggetto che risulta
titolare delle situazioni soggettive collegate o contrapposte.
Qualcuno, per spiegare il fenomeno, ha parlato di rapporto
unisoggettivo, in cui c’è un solo soggetto; ma questo sembra un
espediente valido solo sotto l’aspetto empirico, senza che si risolva il
vero problema concettuale, che rimane il seguente: se il rapporto è
una relazione tra due termini, ed i termini sono le persone, per
continuarsi a parlare di relazione occorrono sempre due persone.
Parlare di rapporto unisoggettivo equivarrebbe a parlare di rapporto
con se stesso. Il che è assurdo, essendo contraddittorio il concetto di

ALLARA, Le nozioni fondamentali del diritto civile, I, Torino, 1958, 244 ss.;
47

TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 36a ed., 1995, 50 ss.; TRIMARCHI, Istituzioni
di diritto privato, Milano, IX a ed., 1991, 23 ss.
48
PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 522 e STANZIONE,
Rapporto giuridico (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 5.
Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 49

relazione e di diritto (che è intersoggettivo) con quello di una persona


unica.
Analoghi problemi pongono poi tutta una serie di ipotesi in cui il
soggetto non è ancora venuto ad esistenza, (ad es., donazione al
nascituro o al non concepito, ecc.) oppure è venuto meno ( ad es.,
eredità giacente).
Soprattutto, grossi problemi pongono anche le ipotesi in cui uno dei
soggetti sia indeterminato: così, in materia di diritti reali non è
determinabile a priori il soggetto passivo del rapporto, potendo
essere tale chiunque determini una illecita lesione o ingerenza nel
diritto reale: si sarebbe perciò costretti ad indicare quale soggetto
passivo la collettività, mentre una individuazione vera e propria -
secondo una certa tendenza dottrinaria - si determinerebbe solo in
virtù della nascita dell’obbligo risarcitorio49.
A ben vedere, se si parte da questa impostazione, è la stessa
materia dei diritti assoluti a risultare di difficile inquadramento nel
concetto di rapporto giuridico.
Il dovere generale e generico di non recare danno ad altri
(neminem laedere) è imposto dall’ordinamento a tutti i consociati
perciò, fino al momento in cui qualcuno non commette un fatto
illecito, il soggetto passivo del rapporto rimarrebbe sostanzialmente
indeterminato. Ma in quel momento, sorgerebbe sì un rapporto
determinato, che però sarebbe completamente nuovo rispetto al
precedente. Si tratterebbe, infatti, di un rapporto obbligatorio che
consegue ad una posizione di debito di risarcimento, dovuto per
violazione del diritto assoluto.

6. Inserzione dei concetti di «potere» e «dovere» nella teoria


classica.

Di fronte a questa serie di problemi, nel solco dell’impostazione


tracciata dalla dottrina tradizionale, si è avanzata l’idea che, anche se
il rapporto intercorre tra soggetti, è necessario però commisurare le
loro posizioni di potere e di dovere, stabilite dall’ordinamento a tutela
di un interesse50. Il rapporto giuridico viene configurato come una
relazione fra due soggetti dell’ordinamento giuridico, uno dei quali è
investito di potere sull’altro o contro l’altro. In altri termini, per effetto
del rapporto giuridico e dell’attribuzione di un potere che
l’ordinamento conferisce al soggetto attivo del rapporto, l’interesse
del soggetto passivo viene subordinato all’altrui interesse. La
49
PALAZZOLO, Rapporto giuridico, cit., 304 ss.
50
F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, 69 ss.
50 Dispense di diritto privato

posizione attiva del rapporto giuridico viene designata genericamente


col termine di potere, quella passiva col termine correlativo di dovere,
meglio di necessità (qui per dovere si intende in genere una posizione
passiva, non il mero dovere generico di astensione che ricorrerebbe
nei diritti reali; e potere non vuol dire potestà ma posizione attiva).
Questa ricostruzione indubbiamente ha il pregio di inserire nel
dibattito dottrinale il tema fondamentale degli interessi, che
costituisce un momento centrale dell’esperienza giuridica moderna.
Questa tesi, però, riconducendo il rapporto giuridico essenzialmente
ad una relazione tra potere e necessità, non dà il giusto risalto alle
molteplici tipologie delle situazioni giuridiche soggettive. Anche se si
può condividere l’assunto per cui nel rapporto giuridico vi è una
interconnessione tra una posizione attiva ed una passiva, questa
formula appare alquanto generica perché rimane pur sempre insoluto
il problema della loro natura, cioè di quali situazioni giuridiche
soggettive si tratti. Inoltre, rapporti giuridici, come vedremo oltre,
possono configurarsi anche fra poteri fra loro, e non esclusivamente
fra potere e necessità.

7. La teoria prevalente: il rapporto giuridico come relazione


tra situazioni giuridiche soggettive.

Un grande passo in avanti è stato fatto nel momento in cui si è


detto che il rapporto giuridico è la relazione tra le situazioni giuridiche
soggettive che lo compongono.
Se si accetta questa visione, il termine rapporto giuridico deve,
rigorosamente, indicare soltanto il legame tra specifiche situazioni
giuridiche soggettive51.
Il soggetto non è il termine del rapporto giuridico, ma un elemento
esterno ad esso. Il soggetto ha un ruolo diverso: egli è il titolare della
situazione giuridica soggettiva. Il soggetto, perciò, in quanto titolare,
è un elemento esterno e distinto sia dal rapporto giuridico che dalla
situazione giuridica soggettiva.
Ciò che è sempre presente nel rapporto giuridico è, invece, la
relazione tra un interesse e un altro, o meglio tra situazioni giuridiche
soggettive.
Tale ricostruzione si giova dei risultati raggiunti nell’elaborazione e
nel perfezionamento dogmatico in materia di situazioni giuridiche
soggettive: l’assunto è che nel nostro sistema ogni situazione
giuridica soggettiva, per assolvere la propria funzione e per essere
PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 281 ss. e STANZIONE,
51

Rapporto giuridico, cit., 4 ss.


Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 51

perciò meritevole di tutela, non sia considerabile isolatamente ma si


ricolleghi sempre ad altri centri di interesse. Le situazioni giuridiche
soggettive non sarebbero, per dirla con Leibniz, «monadi senza porte
e senza finestre», ma presuppongono necessariamente la loro
interrelazione reciproca.
La dottrina ha poi evidenziato che la relazione tra situazioni
giuridiche soggettive non è sempre di mera contrapposizione52, ma
può essere anche di collegamento, di cooperazione, secondo il
concreto assetto di interessi che la legge o l’iniziativa dei privati ha
inteso disciplinare.
Tale ricostruzione consente di spiegare anche le ipotesi sopra
menzionate in cui il rapporto giuridico si costituisce e rimane in vita
anche con un solo soggetto: in tali casi è ininfluente il fatto che due o
più situazioni giuridiche soggettive siano imputabili ad un medesimo
soggetto, perché il rapporto giuridico tra di esse non si estingue ma
rimane in vita continuando a produrre i suoi effetti.
Rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive sono nozioni
indissolubilmente legate: l’uno non può esistere senza le altre di cui
costituisce la correlazione; le situazioni giuridiche soggettive, invece,
anche se in genere sono concepite all’interno di un rapporto giuridico
nel quale trovano la loro funzione di relazionalità, possono anche
prescinderne, come nel caso dei diritti assoluti, ove a fronte di
situazioni giuridiche soggettive attive non si rinvengono situazioni
giuridiche soggettive passive specifiche.
Se il rapporto giuridico è una relazione tra situazioni giuridiche
soggettive, contrapposte o correlate, il soggetto allora può anche
mancare, come fra l’altro può anche succedere per la stessa
situazione giuridica soggettiva: pertanto, sarebbe più corretto parlare
di centro di interesse che non di soggetto.
Nel diritto positivo, infatti, vi sono delle fattispecie in cui alcune
situazioni giuridiche soggettive - e conseguentemente alcuni rapporti
giuridici - sono temporaneamente prive di soggetti o perché questi
ancora non sono venuti ad esistenza o perché non sono determinati
oppure perché, anche se esistenti in un primo momento,
successivamente sono venuti a mancare: si pensi, ad esempio, alle
ipotesi denominate dalla dottrina «patrimoni autonomi o separati»53
(in tema di nascituri, concepiti e non, art. 462 c.c.; rispetto all’eredità
giacente, artt. 528 e ss. c.c.; con riferimento alle disposizioni in favore
di enti non riconosciuti, art 600 c.c.; relativamente alle donazioni a
favore di nascituri ed enti non riconosciuti, artt. 784 e 786 c.c.) «per
52
PERLINGIERI, o.u.l.c.; STANZIONE, o.l.u.c.
53
BIGLIAZZI GERI, Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982,
280.
52 Dispense di diritto privato

indicare il distacco di una massa patrimoniale (complesso di rapporti


attivi e passivi, secondo un’opinione, ovvero soltanto beni, secondo
un’altra) da un patrimonio o da diversi patrimoni di «provenienza», in
modo da dar luogo ad un’unità particolare avente una propria
destinazione (da qui, la qualificazione in termini di patrimoni di
destinazione) ed una sorte giuridica più o meno indipendente e
strettamente connessa con tale destinazione»54. Si pensi anche al
caso, già ricordato, di promessa al pubblico di cui all’art. 1989 c.c., in
cui il destinatario è indeterminato (si tratta però di un istituto la cui
natura giuridica è molto discussa).
Per evitare possibili equivoci è opportuno non confondere la
nozione di titolarità, con quella di situazione giuridica soggettiva.
Anche se, come si è detto, quest’ultima deve essere imputata ad un
centro di interessi, la titolarità è un elemento diverso ed esterno, che
va a sostanziarsi in un legame tra la situazione giuridica soggettiva
ed il soggetto.
Perciò, se è vero che il soggetto è elemento essenziale della
titolarità, non lo è invece della situazione giuridica soggettiva. Come
infatti si è detto, vi sono delle ipotesi in cui, anche se la situazione
giuridica soggettiva esiste, tuttavia provvisoriamente essa non
appartiene ancora ad alcun soggetto, come per esempio avviene nel
caso dei nascituri.
Anche questa teoria però riesce difficilmente a ricomprendere nel
concetto di rapporto giuridico la materia dei diritti assoluti, a meno di
non scindere la nozione di titolarità in attuale e potenziale (parlando
di «appartenenza» quando il legame che unisce il soggetto alla
situazione giuridica soggettiva è attuale e permanente, di
«spettanza» qualora, pur esistendo un titolo valido all’acquisto della
situazione giuridica soggettiva, ciò avverrà in un secondo momento).
Se infatti il concetto di «spettanza» è idoneo a spiegare i casi in cui
l’acquisto della situazione giuridica soggettiva è in «fieri», non
altrettanto si può dire nel caso dei diritti assoluti, in cui, come si è
detto, a fronte del dovere generico di astensione un rapporto
giuridico però si concretizza solo con il sorgere dell’obbligo di
risarcimento del danno55. Il c.d. dovere di astensione del singolo è
solo un’astrazione teorica che sta indicare che il soggetto che va a
ledere ingiustamente la sfera altrui è chiamato a risponderne; in altri
termini occorre che il «fatto» sia «ingiusto» e per questo
accertamento riferirsi ad un dovere generico di neminem laedere non
è di alcuna utilità.

54
BIGLIAZZI GERI, o.c., 281.
55
STANZIONE, Rapporto giuridico, cit., 8.
Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 53

Il rapporto giuridico entra in crisi in materia di diritti assoluti,


perché è difficilmente sostenibile che esista una relazione paritetica e
parallela di diritti e doveri56 precedentemente alla nascita dell’obbligo
risarcitorio.
Oggi il rapporto giuridico non sta più al centro del sistema poiché è
venuta meno l’idea che ogni situazione giuridica soggettiva sia
necessariamente correlativa ad un’altra. È indubbio che nel diritto
possono esservi delle correlazioni tra situazioni giuridiche soggettive,
però non è affatto scontato. Ciò è evidente proprio nei diritti reali, che
sono situazioni giuridiche soggettive attive a cui non corrispondono
specifiche situazioni giuridiche soggettive passive. Se, però anziché
guardare al profilo esterno dei diritti reali, prestiamo attenzione a
quello interno, notiamo che un rapporto giuridico vero e proprio può
ben esistere ed è quello intercorrente tra diritto di proprietà e diritti
reali parziari di godimento o di garanzia, ove, in presenza dei secondi,
il primo si «comprimerà» in maniera speculare e proporzionale,
facendo nascere diritti ed obblighi reciproci.
Per vedere se sia ipotizzabile un rapporto giuridico perciò, non
basta che vi sia una situazione giuridica soggettiva, bisogna piuttosto
vedere se la disciplina dettata dalla legge o il regolamento frutto
dell’autonomia privata delle parti stabiliscano tale correlazione.

7 bis. Vicende delle situazioni soggettive e del rapporto.

La definizione di rapporto giuridico come relazione tra due (o più)


situazioni giuridiche soggettive, e non tra due (o anche più) soggetti,
oltre a spiegare in termini razionali i casi anzidetti di rapporti c.d.
“unipersonali” o con destinatari incerti o ignoti, presenta l’ulteriore
vantaggio di spiegare come talvolta, nei casi in cui ad un soggetto
subentra un altro, il rapporto resti sempre il medesimo, e non si abbia
l’estinzione del primo e la nascita di un secondo rapporto.
Questo perché nella “successione” nei diritti o nei doveri non c’è
estinzione di una situazione giuridica e nascita di una nuova ma,
quando la trasmissione è a titolo derivativo, c’è solo il cambiamento
della titolarità da un soggetto ad un altro.
Naturalmente il discorso vale nell’ambito della trasmissione delle
situazioni giuridiche a titolo c.d. “derivativo”. La situazione soggettiva
passa da un titolare ad un altro conservandosi sempre la stessa, con
le caratteristiche ed, anche, con gli eventuali vizi di prima.

56
MAIORCA, Vicende giuridiche, cit., 698.
54 Dispense di diritto privato

A questa stregua si spiegano anche le due regolette che la


tradizione ci ha tramandato: la prima, per cui “nemo plus juris
transferre potest quam ipse habet” e cioè che nessuno può
trasmettere un diritto, un potere migliore, o anche un dovere di
quantità maggiore di quello di cui egli è titolare; la seconda, per cui
“resoluto jure dantis resolvitur et jus accipiendi”, cioè che se viene
meno il potere dell’alienante, viene meno anche quello trasferito
all’acquirente.

8. Ipotesi di rapporti giuridici.

Il rapporto giuridico si caratterizza nella contrapposizione delle


situazioni giuridiche soggettive nel caso del diritto soggettivo relativo,
cui corrisponde perfettamente, come l’altra faccia della stessa
medaglia, la posizione passiva di obbligo.
Analogo fenomeno si verifica nel diritto potestativo, cui corrisponde
diametralmente la situazione giuridica soggettiva passiva di
soggezione. In questa ipotesi il soggetto titolare della situazione
giuridica passiva di soggezione si trova necessariamente esposto
all’esercizio del diritto potestativo.
Poiché la situazione giuridica di soggezione può derivare anche dal
verificarsi di un evento esterno prefigurato dalle parti, essa sussiste
anche nei contratti sospensivamente condizionati e nei contratti
aleatori. In questi casi, in attesa del verificarsi dell’evento esterno
(verificarsi della condizione o dell’evento aleatorio) da cui dipende
l’individuazione della prestazione o del soggetto favorito, ci si trova in
una situazione interinale di pendenza, tutelata cautelativamente: da
una parte vi sarà colui che attende l’evento che lo favorirà, e si
troverà dunque in una situazione di aspettativa legittima; dall’altra vi
sarà colui sul quale eventualmente cadrà la prestazione e che, non
potendo né dovendo a questo fine compiere alcunché, si troverà in
una situazione di mera soggezione: avremo allora una relazione, un
rapporto giuridico, tra una situazione attiva di aspettativa ed una
passiva di soggezione57.
Nei diritto soggettivo assoluto, come si è già avuto modo di dire,
non c’è alcun rapporto giuridico con il c.d. «dovere generico» facente
capo alla collettività. Un vero rapporto giuridico è presente solo
limitatamente alla materia dei diritti reali, nella correlazione tra la
proprietà e i diritti reali parziari di godimento o di garanzia.

57
DI GIANDOMENICO, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, 102 ss.
Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 55

Non si può parlare di contrapposizione, ma di correlazione in senso


stretto nel rapporto giuridico intercorrente tra potestà ed interesse
legittimo, poiché entrambe sono situazioni giuridiche soggettive
attive.

DIRITTO RELATIVO OBBLIGO


DIRITTO POTESTATIVO SOGGEZIONE
ASPETTATIVA SOGGEZIONE
PROPRIETÀ DIRITTI REALI PARZIARI
(di godimento o di
garanzia)
POTESTÀ INTERESSE LEGITTIMO

9. Rapporto obbligatorio e rapporto contrattuale.

La definizione generale del concetto di rapporto giuridico a livello di


teoria generale pone il problema della specificazione tra rapporto
obbligatorio e rapporto contrattuale, la cui rilevanza è pacifica sia
sotto il profilo positivo, sia sotto quello ricostruttivo.
Non bisogna infatti confondere due concetti diversi: l’obbligazione
indica in generale il vincolo per cui una prestazione è dovuta da un
soggetto ad un altro soggetto, mentre il rapporto contrattuale indica
il complesso unitario delle relazioni fra le posizioni scaturenti dal
contratto. Il complessivo rapporto contrattuale, allora può
comprendere in sé anche una pluralità di rapporti obbligatori
semplici. Esso nasce, in origine, dal contratto, che rientra nella
categoria dei fatti giuridici (il rapporto, invece, rientra nella categoria
non reale, ma ideale degli effetti).
Ovviamente, nel rapporto contrattuale possono confluire, oltre a
rapporti obbligatori semplici, anche altri tipi di rapporti giuridici:
potestà - interesse legittimo, diritto potestativo - soggezione,
aspettativa - soggezione.
Ora, l’obbligazione contrattuale deriva, come detto, da un
contratto; ciò su cui però bisogna soffermare l’attenzione è che
questo, nella maggioranza dei casi, non solo genera una pluralità di
rapporti obbligatori, ma ha anche una sua efficacia (per lo meno
potenziale) che non è limitata al profilo obbligatorio (effetti reali,
estintivi, diritto potestativo di recesso, ecc.).
Per il primo fenomeno, il riferimento alla categoria dei contratti a
prestazioni corrispettive sembra illuminante. In questo caso non vi è
un unico rapporto obbligatorio, ma ve ne è una pluralità, in cui il
56 Dispense di diritto privato

soggetto che è creditore in un’obbligazione, sarà a sua volta debitore


in un’altra. Così nella locazione, ad esempio, il locatore, il quale vanta
un diritto di credito verso il conduttore relativamente ai canoni di
locazione, sarà a sua volta obbligato verso quest’ultimo del
godimento della cosa.
Per il secondo, si può portare ad esempio la categoria dei contratti
ad effetti reali. In tale ipotesi, a parte le controverse «vendite
obbligatorie» - vendita di cosa altrui, di cosa generica, di cosa futura,
ecc. (ma talvolta sarebbe forse più appropriato parlare di vendite con
effetti reali differiti) - l’effetto principale non è la nascita
dell’obbligazione: per il principio del consenso traslativo, la proprietà
(o altro diritto) viene trasferita alla conclusione del contratto.
Avendo ben presente la nozione di diritto relativo e di obbligo, il
concetto di rapporto obbligatorio è centrale nel sistema del Codice
Civile, poiché il legislatore detta una disciplina generale, applicabile
qualunque sia la fonte del vincolo.
Bisogna, però, stare attenti alle parole, perché il termine
obbligazione assume due significati: da un lato, indica solo la
posizione debitoria dell’obbligato (in questo senso, mentre «obbligo»
sta a significare genericamente la situazione giuridica soggettiva
passiva del rapporto, «obbligazione» indica una particolare categoria
di obblighi, quelli a contenuto patrimoniale) ma, da un altro più
generale, designa il rapporto che intercorre tra debitore e creditore58;
in questo secondo significato il termine obbligazione è sinonimo di
rapporto obbligatorio.
Anche se l’obbligazione è una figura unitaria, che ha una sua
autonoma rilevanza indipendentemente dalla fonte da cui si origina, è
anche vero che, però, essa non può essere vista avulsa da questa.
La fonte, infatti, è imprescindibile per determinare il contenuto e la
disciplina dell’obbligazione che da essa deriva.
Il regime dell’obbligazione non si ricava solo dalla disciplina
specifica dettata dal Codice Civile su di essa, ma deve essere
integrata con quella sui contratti in generale e con quella del
contratto tipico da cui deriva.
Infatti, le due discipline si integrano ed interagiscono. Occorre,
allora, studiare l’atto (la fonte), per capire l’effetto (l’obbligazione). Il
contratto è la figura posta al centro del sistema: esso è un’entità
reale, del mondo empirico, qualificato dall’ordinamento (è un atto
umano, per di più negoziale), l’obbligazione invece è solo un
concetto, un rapporto giuridico, la cui fonte può essere anche non
contrattuale (art. 1173 c.c.).

58
BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993, 2.
Il rapporto giuridico e il rapporto contrattuale 57

Anche se è vero che il contratto (o più in generale il negozio) non è


l’unica fonte dell’obbligazione, è pur vero che quando ciò accade,
essa costituisce il momento esecutivo del primo.
In questo caso l’obbligazione rappresenta il rapporto attraverso cui
si realizza il programma contrattuale e, conseguentemente,
l’adempimento, realizzando a sua volta il rapporto obbligatorio,
rappresenta il momento terminale del regolamento d’interessi
prefissato dalle parti. Come l’adempimento di un’obbligazione
contrattuale comporta l’esecuzione del contratto da cui scaturisce, di
converso, l’inadempimento o l’inesatto adempimento della medesima
determinano la mancata attuazione del programma contrattuale che
l’obbligazione doveva realizzare, con conseguente responsabilità
contrattuale della parte (debitore) colposamente inadempiente.
CAPITOLO QUARTO

Soggettività, capacità, legittimazione

SOMMARIO: 1. Soggettività giuridica. - 2. Capacità giuridica. - 3. Capacità d’agire. - 4.


Gli enti. - 5. Personalità giuridica. - 6. Incapacità giuridiche speciali. - 7.
Legittimazione.

1. Soggettività giuridica.

Secondo l’insegnamento tradizionale, l’attitudine del soggetto-


persona fisica ad essere titolare di diritti e di obblighi, e quindi - per
ciò stesso - protagonista dell’ordinamento giuridico, si definisce
«capacità giuridica» (art. 1 c.c.).
Per «capacità d’agire», invece, si intende la idoneità del soggetto a
compiere validamente atti e negozi giuridici.
L’attitudine, viceversa, degli enti non persone fisiche ad essere
soggetti di diritto si chiamava con il termine «personalità giuridica».
L’ente è dotato di tale qualità in quanto riconosciuto «persona
giuridica» dall’ordinamento. Gli enti non riconosciuti tali venivano
designati come «enti di fatto», dotati non di personalità giuridica ma,
si diceva, di una limitata «autonomia patrimoniale». Si discuteva, poi,
se per tali enti, e soprattutto per le persone giuridiche, si potessero
adoperare le stesse nozioni di capacità giuridica e di capacità di agire
usati per le persone fisiche.
Tutti questi concetti sono stati rivisti negli ultimi decenni dalla
dottrina e dalla giurisprudenza e - marginalmente - dallo stesso
legislatore, sì che ora è possibile costruire in materia delle categorie
giuridiche più rigorose. Si parla, innanzitutto, di soggettività giuridica,
della qualità, cioè, di una entità (persona fisica, aggregato sociale,
anche talvolta un insieme di beni) di essere soggetto di diritto, inteso
sia come soggetto al diritto (oggettivo), e cioè soggetto
dell’ordinamento, sia come soggetto di diritti (soggettivi) o meglio di
situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, e dunque parti di un
rapporto giuridico.
Soggettività, capacità, legittimazione 59

Per le persone fisiche, questa soggettività giuridica continua ad


identificarsi - per la gran parte degli autori - nella capacità giuridica
generale.

2. Capacità giuridica.

Acquistare la capacità giuridica significa divenire soggetti di diritto,


cioè, in sostanza, destinatari delle norme elaborate dall'ordinamento
in funzione essenzialmente protettiva1.
La storia ci mostra diversi casi in cui alcuni ordinamenti hanno
provveduto a creare differenti categorie di soggetti collocati in una
diversa posizione relativamente all'acquisto della capacità giuridica
(liberi e schiavi - aristocratici e plebei - cittadini e stranieri). In verità,
posticipare o escludere l'acquisto della capacità giuridica rispetto al
momento della nascita significa non attribuire ad un determinato
individuo quella protezione normativa che l'ordinamento prevede a
favore di coloro che rivestono la posizione di soggetti di diritto.
La capacità giuridica, dunque, non può atteggiarsi come
un’attribuzione effettuata da parte dell'ordinamento, ma è una qualità
propria di ogni individuo che si acquista automaticamente al
momento della nascita allo scopo di evitare che esistano degli
intervalli, più o meno lunghi, nei quali l'individuo possa trovarsi privo
di protezione da parte dell'ordinamento giuridico2.
La regola di cui all'art. 1 c.c. non può essere derogata neanche da
parte della legge e, tanto meno, per motivazioni di ordine politico3.
Con l'acquisto della capacità giuridica, in definitiva, l'individuo può
divenire titolare di situazioni giuridiche soggettive, sia attive che

1
In tal senso, cfr. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1993, 119.
2
Nel nostro ordinamento la Costituzione repubblicana del 1948 contiene, tra le
altre, alcune norme di grande importanza ai fini delle garanzie offerte ai soggetti.
Infatti l'art. 2 cost., affermando che la Repubblica riconosce e garantisce i diritto
inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove egli svolge la
sua personalità, fa senza dubbio intendere che tutta una categoria di diritti, i diritti
inviolabili appunto, non sono frutto di un'attribuzione da parte dell'ordinamento,
bensì sono da quest'ultimo riconosciuti come già esistenti. Va rilevato, inoltre, che
se la capacità giuridica non può essere posticipata rispetto al momento della
nascita la legge può, tuttavia, per alcuni limitati effetti, prendere in considerazione il
concepito e, addirittura il nascituro non concepito, i quali possono succedere mortis
causa e ricevere donazioni (cfr. artt. 462, 642, 784 c.c.). In questi casi però tali
diritti sono sempre subordinati all'evento della nascita. Per quanto riguarda tali
problematiche, v. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., 121 ss.; TORRENTE e
SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1994, 69 ss.; TRABUCCHI, Istituzionii di
diritto civile, Padova, 1994, 72 ss.
3
L'art. 22 cost. chiarisce, infatti, che nessuno può essere privato della capacità
giuridica per motivi politici ed è importante anche perché accosta la capacità
giuridica al nome ed alla cittadinanza, anche essi caratteri distintivi dell'individuo.
60 Dispense di diritto privato

passive e, conseguentemente, dei relativi rapporti giuridici e può,


altresì, godere della protezione giuridica che l'ordinamento stabilisce
per tali posizioni.
Pertanto, la capacità giuridica viene definita come l’attitudine del
soggetto al rapporto, o, meglio ancora, alla titolarità delle relative
situazioni giuridiche soggettive.
Non si rinviene, infine, una norma che stabilisca il momento in cui
termina la capacità giuridica di un soggetto. Tuttavia, così come
questa si acquista automaticamente al momento della nascita, allo
stesso modo essa deve intendersi terminata al momento della morte.
La capacità giuridica, come si è detto, si identifica - secondo la
tradizione - con la soggettività giuridica.
Assumendo, viceversa, questo concetto come categoria autonoma
ed unificante anche della rilevanza degli enti non persone fisiche, la
capacità giuridica si trasforma in un concetto quantitativo ed
articolato. Ogni persona, in altri termini, ha, in quanto tale,
soggettività nell’ordinamento; tuttavia questa soggettività si
trasforma in una serie più o meno estesa di idoneità ad essere titolare
di situazioni giuridiche soggettive, a seconda dei casi e delle
situazioni.
Il principio è che la capacità giuridica riguarda tutte le situazioni e
tutti i rapporti; per alcuni di essi, invece, la capacità viene esclusa. La
regola, cioè, è la capacità: l’incapacità e l’eccezione. In questo senso
si parla di incapacità giuridiche speciali, per designare la inidoneità
del soggetto ad essere titolare di quelle date situazioni e,
conseguentemente, di quel dato rapporto.
Normalmente anche per la c.d. capacità giuridica speciale vale la
predetta regola della non limitabilità anche se, in alcuni casi, esistono
delle restrizioni che trovano la propria ratio giustificativa in
motivazioni legate alla realtà naturale, morale o sociale.

3. Capacità d’agire.

Si è detto, in linea di principio, che in seguito all'acquisto della


capacità giuridica al momento della nascita l'individuo è idoneo ad
essere titolare di diritti e di doveri. Tuttavia, per evidente esperienza,
l'individuo non è immediatamente in grado di compiere, in assenza di
una sufficiente maturità psico-fisica, atti giuridici idonei ad incidere
sulla propria sfera, personale e patrimoniale.
Alla luce di questo dato, si rende necessario fissare un momento in
cui è ritenuto normalmente sussistere in capo all'individuo un
Soggettività, capacità, legittimazione 61

adeguato grado di maturità che gli consenta di esercitare


consapevolmente i diritti di cui risulta titolare. Nel nostro ordinamento
tale maturità è ritenuta sussistere al compimento della maggiore età
ed è fissata al diciottesimo anno. È questo il momento in cui, secondo
l'art. 2 c.c., si acquista la cd. capacità generale d'agire, cioè la
capacità di compiere tutti quegli atti per i quali non sia dalla legge
stabilita un'età diversa4.
La capacità d'agire, quindi, è la idoneità del soggetto a compiere
atti e negozi giuridici. La mancanza o la limitazione della capacità
d'agire non si ripercuote sulla capacità giuridica poiché il soggetto
rimane pur sempre capace di essere titolare di rapporti giuridici.
Quello che difetta all'incapace di agire è solamente l'idoneità a gestire
con atti e negozi direttamente e autonomamente la propria sfera
giuridica, personale o patrimoniale. Pertanto, al soggetto incapace
d'agire, per la gestione dei predetti rapporti, occorre l'ausilio di un
rappresentante legale o di un curatore che compia, in sua vece, atti e
negozi.
Dunque, la carenza della capacità d'agire appare rimediabile
tramite la rappresentanza legale o la curatela mentre, al contrario,
alla mancanza della capacità giuridica non è possibile ovviare.

4. Gli enti.

La titolarità delle posizioni giuridiche può fissarsi, oltre che in capo


alle persone fisiche, anche in capo ad entità metaindividuali (c.dd.
enti) create da più individui allo scopo di perseguire specifiche finalità
e risultati, pur sempre realizzabili dai singoli, ma a condizioni più
gravose.
In termini diversi, nel nostro ordinamento, infatti, l’attributo di
«persona» è riconosciuto non soltanto all’uomo, ma anche alle
organizzazioni collettive (ad es.: gli enti pubblici, le associazioni, le
fondazioni, le società e i consorzi), le quali si atteggiano come
autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive,
attive e passive, che conseguono, per un verso, all’esercizio di diritti e

4
Esiste, dunque, la presunzione che al compimento del diciottesimo anno
l'individuo abbia raggiunto una sufficiente maturità e sia pienamente capace di
intendere e di volere. Tuttavia può verificarsi che la capacità sia sufficientemente
acquisita rispetto a taluni atti anche prima del raggiungimento della maggiore età o,
al contrario, che essa si perda o si riduca, temporaneamente o definitivamente,
dopo il raggiungimento della maggiore età. A tal riguardo la legge disciplina le
ipotesi dell'incapacità assoluta (minore d'età, interdizione giudiziale, interdizione
legale), dell'incapacità relativa (minore emancipato, inabilitato), dell'incapacità
naturale e prevede adeguati istituti per la protezione degli incapaci.
62 Dispense di diritto privato

di doveri da parte dell’ordinamento giuridico, per un altro,


all’esercizio di tali diritti in vista della realizzazione di uno scopo
comune.
La problematica principale è quella di riuscire a definire quando,
secondo quali modalità ed a quali condizioni l'ente si distacca dai suoi
membri o dal suo fondatore, fino a costituire un soggetto di diritto a
sé stante, perfettamente distinto dagli individui che lo compongono e
che lo hanno costituito.
Nel nostro ordinamento a tutti gli enti, siano essi riconosciuti o privi
di riconoscimento, è attribuita una propria soggettività giuridica
distinta da quella dei propri componenti. Tali enti, dunque, sono centri
di imputazione autonoma di diritti e di doveri ed hanno una propria
capacità giuridica e un propria capacità d'agire del tutto autonoma e
distinta rispetto a quelle degli individui che ne costituiscono il
substrato e si atteggiano, in definitiva, come autonomi e distinti
soggetti di diritto.
Non va sottaciuto, però, che al momento della emanazione del
codice civile era opinione comune che gli «enti di fatto», cioè quei
complessi organizzati di soggetti e di beni diretti alla realizzazione di
uno scopo - economico o meno -, non godendo della «riconoscimento
statale», non fossero «soggetti», e non potessero, quindi, essere
direttamente titolari di situazioni giuridiche soggettive, attive e
passive. Viceversa, oggigiorno, dottrina e giurisprudenza
comunemente riconoscono che, oltre gli enti che hanno ottenuto il
«riconoscimento» dallo Stato - ai quali si applica una particolare
disciplina -, anche agli enti «di fatto» vada riconosciuta la
«soggettività», ovvero l’attitudine ad acquistare diritti e ad essere
tenuti all’adempimento di doveri, anche se con regole non sempre
eguali a quelle applicabili agli enti dotati di «riconoscimento».

5. Personalità giuridica.

Diverso dal concetto di soggettività giuridica è quello di personalità


giuridica.
La personalità giuridica, della quale possono godere, a certe
condizioni, talune categorie di enti, si acquista in seguito ad un
procedimento più o meno complesso e variabile a seconda della
natura e delle finalità degli enti stessi.
La personalità giuridica, quindi, va tenuta nettamente distinta dalla
soggettività giuridica, in quanto essa opera nei confronti del diverso
modo di atteggiarsi dell'autonomia patrimoniale di cui l'ente gode
Soggettività, capacità, legittimazione 63

rispetto ai patrimoni dei suoi componenti, autonomia che in alcuni


enti si definisce perfetta mentre in altri si definisce imperfetta.
In altri termini, il privilegio di cui godono le persone giuridiche si
esprime nella limitazione del rischio. Si separa il patrimonio della
persona giuridica da quello personale dei suoi membri; questa
separazione si denomina «autonomia»: riferendosi al patrimonio, si
qualifica come «patrimoniale». L’autonomia patrimoniale, nel caso di
enti dotati di personalità giuridica, si dice «perfetta»: vi è insensibilità
completa del patrimonio della persona giuridica nei confronti dei
creditori dei singoli membri, ugualmente, insensibilità del patrimonio
personale dei singoli membri per i debiti contratti dalla persona
giuridica.
Viceversa, per gli altri enti (non riconosciuti) è prevista una
autonomia patrimoniale imperfetta; i creditori dei singoli membri non
possono aggredire i beni imputati all’ente (possono talvolta limitarsi a
chiedere lo scioglimento della comunione, la liquidazione della quota
e così via); di contro, i creditori dell’ente possono talvolta aggredire il
patrimonio dei singoli membri soddisfacendo su di esso il proprio
credito.
La personalità giuridica, quindi, determina, nell'ambito delle entità
organizzate che ne godono, il fenomeno della netta separazione del
patrimonio dell'ente rispetto a quello personale dei suoi componenti,
con il risultato della conseguente assoluta indifferenza reciproca delle
ripercussioni di carattere negativo che possono eventualmente
colpire il patrimonio comune o il patrimonio individuale di uno o più
dei suoi componenti.
Appare evidente, allora, che ai fini della soggettività giuridica sia
irrilevante che l'ente abbia ottenuto o meno il riconoscimento della
personalità giuridica, in quanto una cosa è godere della capacità
giuridica e della capacità d'agire, altra cosa è il riconoscimento della
personalità giuridica, che è effettuato essenzialmente in vista del
risultato dell'autonomia patrimoniale perfetta.
Molti equivoci a questo proposito sono nati dal fatto che il codice
parla di «riconoscimento» della personalità giuridica e di «associazioni
non riconosciute». Quest’ultima locuzione negativa, soprattutto,
farebbe pensare ad entità che, pure esistendo di fatto (clubs,
associazioni ricreative, culturali, partiti politici), siano ignorate dal
diritto, cioè dall’ordinamento.
Non è così. «Non riconosciute» non significa «non riconosciute
dall’ordinamento», e quindi sconosciute dal diritto: significa,
semplicemente, che non sono riconosciute come «persone
giuridiche»; ma il diritto le conosce, e come: ad esse dedica tre
64 Dispense di diritto privato

articoli del codice civile (36-38) e attribuisce perfino la idoneità ad


essere titolari e intestatarie di beni immobili (legge 27 febbraio 1985,
n. 52).
In conclusione, persona giuridica è quella entità che, oltre ad avere
soggettività giuridica, gode di altri privilegi e ulteriori condizioni (vedi
art. 39 cost. per i sindacati, a seconda che siano riconosciuti come
persone giuridiche o no). E dunque gli enti sono tutti soggetti di
diritto. Alcuni hanno uno «status» più pregnante, c’è la «persona».
Si presenta, a questo punto, nella dottrina classica, il problema se
anche per gli enti possa parlarsi di capacità giuridica e di capacità
d’agire.
Gli enti – si dice – hanno una capacità giuridica ridotta rispetto a
quella della persona fisica. Comunemente si ripete che gli enti non
possono concludere negozi di contenuto familiare; infatti gli stessi
non possono di certo sposarsi, avere figli, avere diritto agli alimenti e
così via. Gli enti, tuttavia, possono essere titolari di alcuni diritti
personalissimi (diritto al nome, alla integrità morale e possono,
addirittura, in particolari casi, essere nominati tutori).
In verità, però, l’affermazione generale non sempre è esatta.
Esistono infatti dei casi in cui la capacità giuridica viene attribuita
solo ad alcune persone giuridiche, e non invece alle persone fisiche.
Così l’attività bancaria può essere esercitata solo da alcune s.p.a. di
una certa dimensione; così l’attività fiduciaria di gestione dei
patrimoni può essere esercitata solo dalle SIM (Società di
Intermediazione Mobiliare) con un capitale minimo di 500 milioni; così
la stessa attività assicurativa, ecc. C’è dunque una tendenza
dell’ordinamento giuridico, non solo a livello nazionale, di riservare le
attività economiche più rilevanti solo alle grandi corporations che
danno affidamento finanziario di una certa tranquillità. Tutto ciò per la
sicurezza dei mercati e degli stessi consumatori.
In altri settori, l’attività è riservata ad associazioni “non profit”,
senza scopo di lucro, con o senza personalità giuridica.
Può ben dirsi, allora, che le capacità giuridiche delle persone fisiche
e degli enti disegnino delle sfere solo parzialmente coincidenti.
Accanto ad una zona centrale comune, ce n’è un’altra riservata solo
alle persone fisiche, ed un’altra ancora solo a certi tipi di enti o di
persone giuridiche.
Non c’è, invece, differenza negli enti tra capacità giuridica e
capacità d’agire: parlare di incapacità di essi - assoluta o relativa - è
un evidente non senso, al contrario delle persone fisiche, in quanto
non può parlarsi di una loro immaturità psico-fisica dipendente da
minore età e da stati patologici. Se sono idonei al rapporto, sono
Soggettività, capacità, legittimazione 65

evidentemente idonei pure all’atto. La loro capacità di agire viene,


oltretutto, attuata all’esterno dagli organi competenti, così come per
la formazione della volontà rilevano gli organi interni.

6. Incapacità giuridiche speciali.

Come già detto, il concetto di capacità sta ad indicare l'attitudine o


l'idoneità di un soggetto ad essere titolare di diritti e di obblighi. Di
conseguenza, il concetto di incapacità viene comunemente utilizzato
per indicare una serie di rapporti in relazione ai quali il soggetto
incapace non può divenire titolare di taluni rapporti giuridici5.
La capacità giuridica di un individuo può risentire di alcune
limitazioni dovute a taluni fattori quali l'età, il sesso, la salute, l'onore.
La capacità giuridica, in tali evenienze, subisce delle limitazioni al suo
espandersi in alcune direzioni ed al riguardo in dottrina si parla di
incapacità giuridiche speciali.
Queste incapacità possono essere assolute o relative, possono
sussistere cioè, nei confronti di chiunque o soltanto di determinate
persone. Si ha, in quest'ultimo caso, la cd. incapacità giuridica
relativa, la quale ricorre nei casi in cui una persona, per la particolare
posizione in cui si trova di fronte ad un'altra persona, non può porre in
essere un rapporto giuridico con quest'ultima.
La materia delle incapacità speciali non trova tuttavia sempre una
soluzione univoca in dottrina, in quanto in certi casi gli autori
propendono a ricomprendere alcune delle sopracitate cause limitatrici
ora nel novero della limitazioni alla capacità giuridica, ora in quello
delle limitazioni alla capacità di agire6.
Per quanto concerne l'età, ad esempio, non si riscontra uniformità
di pensiero in dottrina in quanto, secondo alcuni, quest'ultima va
ricondotta nell'elenco delle limitazioni della capacità giuridica7,
secondo altri, invece, va annoverata nell'ambito delle limitazioni della
capacità d'agire8. La prima opinione appare predominante in dottrina.
Bisogna allora distinguere.
L'età influisce sulla capacità dell'individuo ad essere parte di un
rapporto di lavoro. Infatti, la legge 17 ottobre 1967, n. 977,

5
In tal senso cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli,
1966, 26.
6
Sull'argomento, cfr. PERLINGIERI, Commentario al Codice civile, Delle persone e
della famiglia, cit., 247, ivi ampi riferimenti.
7
Cfr. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957, 219 ss.; F.
SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., 24 ss.; RESCIGNO, Capacità
giuridica, in Noviss. dig. it., 875.
8
Cfr. GANGI, Persone fisiche e persone giuridiche, Milano, 1948, 79.
66 Dispense di diritto privato

concernente la tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti, fissa


l'età minima per intraprendere un’attività lavorativa, e quindi per
poter essere parte di un rapporto giuridico di lavoro, al compimento
del quindicesimo anno di età, con l'eccezione dei lavori agricoli,
familiari e leggeri non industriali per i quali l'età è fissata al
quattordicesimo anno. Viceversa, l’età necessaria per la stipula del
contratto di lavoro è quella della maggiore età e cioè gli anni diciotto.
Si vede allora, molto chiaramente, che prima degli anni quindici (o
quattordici) manca la capacità giuridica: il bambino o il ragazzo non
può essere parte in un rapporto di lavoro subordinato. Oltre quell’età
e fino a diciotto, questo può avvenire, ma il contratto è stipulato dal
legale rappresentante. Manca cioè da quindici a diciotto anni, la
capacità di agire. Con la maggiore età si acquista la capacità piena.
L'età influisce, inoltre, sulla possibilità riconosciuta all'individuo di
contrarre matrimonio, poiché la legge richiede, per il compimento di
tale atto, il raggiungimento del sedicesimo anno di età (art. 84 c.c.).
Quindi siamo nella incapacità giuridica. Infatti, il c.d. matrimonio per
procura non esprime una forma di rappresentanza di volontà, ma solo
una figura di nuncius.
Per quanto concerne il sesso, nonostante le forti pressioni dirette
ad escludere ogni limitazione ricollegabile a tale situazione, anche
alla luce del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 cost., non è
possibile negare la sua influenza sulla capacità giuridica9.
Il sesso, per esempio, incide sulla capacità lavorativa della donna,
la quale rimane esclusa dai lavori sotterranei e, se minorenne, dai
lavori pericolosi ed insalubri; o anche dell’uomo, per le attività, ad es.,
negli asili nido.
In relazione alla salute, poi, vengono in discussione soprattutto gli
istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, tradizionalmente
ricondotti nell'ambito della capacità d'agire. Tuttavia, l'esclusione
degli interdetti e degli inabilitati da determinate funzioni quali l'ufficio
tutelare (art. 350, n. 1, c.c.) o la facoltà ad essi concessa di chiedere
dispensa dall'esercizio della tutela (art. 352, n. 8, c.c.) spinge ampia
parte della dottrina a configurare la salute anche come una
limitazione della capacità giuridica. Inoltre, l'interdetto per infermità
di mente non può contrarre matrimonio (art. 85 c.c.): ed anche qui
siamo nell’incapacità giuridica speciale.
Infine, anche determinate situazioni riconducibili al concetto di
onore sembrano dispiegare i propri effetti sulla capacità giuridica.
Infatti, la perdita dell'onore, operando riduttivamente sulla capacità
giuridica, priva la persona colpita della titolarità di determinati uffici,
Sul punto, cfr. BARBERO, Il sistema del diritto privato, nuova ed. a cura di Liserre e
9

Floridia, Torino, 1988, 151.


Soggettività, capacità, legittimazione 67

sia operando sotto la forma della revoca (art. 306 ss. c.c.), sia sotto la
forma della decadenza (art. 330 c.c.), sia sotto la forma della
rimozione (art. 384 c.c.), oppure impedendo addirittura il
conferimento di taluni uffici (art. 348 c.c.).
Alla luce di quanto precede appare possibile affermare che le
limitazioni alla capacità giuridica non possono essere confuse con
quelle pertinenti alla capacità d'agire. Occorre ribadire ancora che,
nelle ipotesi di limitazione della capacità giuridica, il soggetto non
viene privato solo della idoneità a gestire in concreto un determinato
rapporto specificamente individuato, ma gli viene sottratta addirittura
la stessa attitudine ad acquistare il ruolo di parte del rapporto
giuridico stesso o, meglio ancora, di titolare delle relative situazioni
giuridiche soggettive.

7. Legittimazione.

La capacità non va confusa, infine, con il concetto di legittimazione,


intesa quale competenza del soggetto a disporre o ad esercitare un
diritto o a esercitare una determinata situazione giuridica. La dottrina
privatistica ha sviluppato, nell’ambito della teoria generale, una
nozione proveniente dal diritto processuale: quella, appunto, della
legittimazione.
La legittimazione rappresenta, quindi, «L’idoneità giuridica
dell’agente ad essere soggetto del rapporto che si costituisce con il
compimento dell’atto» (Torrente). Essa spetta a chi ha il potere di
disposizione rispetto ad un determinato diritto o ha veste per
esercitarlo.
Solitamente ciò che legittima un soggetto ad essere parte formale
in un atto è il suo esserne anche parte in senso sostanziale; ossia la
sua titolarità in relazione alle situazioni giuridiche soggettive su cui
l’atto è destinato ad incidere. Pertanto legittimato è colui che ha il
potere di manifestare la propria volontà con effetti relativamente ad
una data situazione giuridica.
In altre parole, un soggetto, pur capace di agire, può non essere
legittimato a compiere determinati atti se non si trova in una
situazione giuridica richiesta dalla legge (es.: per vendere un bene il
soggetto deve essere proprietario del bene stesso).
La legittimazione, spetta, di regola, al titolare del diritto e consente,
normalmente, di disporre del diritto medesimo al solo titolare oppure
al soggetto dotato di un apposito potere al riguardo (p. es. potere di
rappresentanza); quindi, attribuire ad un soggetto questo diverso
68 Dispense di diritto privato

titolo di legittimazione significa, in buona sostanza, riconoscergli un


potere di rappresentanza (o sostituzione), attribuitogli dall’interessato
o dalla legge.
Legittimazione e capacità esprimono criteri ben distinti, anche se
ovviamente non sono privi di reciproci collegamenti. La legittimazione
indica la competenza del soggetto a disporre o ad esercitare un diritto
(intesa come potere di disposizione riconosciuto al soggetto su un
bene o su un diritto), mentre la capacità indica solo l’attitudine a
compiere una certa categoria di atti o essere parte in determinati
rapporti giuridici.
In linea di principio, la mancanza di legittimazione nell’autore di un
atto determina l’inefficacia dell’atto stesso, in virtù del fatto che
nessuno può incidere sulla sfera giuridica altrui.
In ultima analisi, mentre il difetto di legittimazione indica che il
soggetto non è «qualificato» all'esercizio di un diritto, l'incapacità
giuridica speciale sta ad indicare la «preclusione» del soggetto
rispetto ad alcuni rapporti giuridici.
CAPITOLO QUINTO

L’attività giuridica

SOMMARIO: 1. Fatto e fattispecie. - 2. Fatto e atto giuridico. - 3. Il negozio giuridico. - 4.


I presupposti del negozio. - 5. Gli elementi costitutivi del negozio. - 6. segue: Il
negozio giuridico nella realtà attuale.

1. Fatto e fattispecie.

L’ordinamento giuridico, come si è già detto59, può assumere nei


confronti di un accadimento (naturale o materiale) una duplice
posizione: può considerarlo estraneo alla propria sfera di interesse
oppure ritenerlo giuridicamente rilevante: in questo secondo caso,
viene in rilievo la figura del fatto giuridico cioè un accadimento al
quale l’ordinamento ricollega conseguenze rilevanti per il diritto.
Fatto giuridico può essere un accadimento naturale, del tutto
indipendente dall’opera dell’uomo. Se un fiume, ad esempio, modifica
il proprio corso abbandonando l’alveo originario e formando un nuovo
letto, i proprietari confinanti con le opposte rive dell’alveo
abbandonato ne diventano proprietari per la metà che è dalla loro
parte: qui i nuovi diritti di proprietà si sono costituiti come
conseguenza di un semplice evento naturale, al di fuori di ogni
concorso dell’opera dell’uomo60. Ma fatto giuridico può essere anche
un fatto umano: il pescatore diventa proprietario, ad esempio, del
pesce che cattura.
Un fatto (umano o naturale) assume rilievo nel mondo del diritto
quando una norma ricollega al suo concreto verificarsi delle
conseguenze giuridiche. Se analizziamo, ora, più da vicino la struttura
della norma, osserviamo che essa prevede un certo accadimento in
astratto (es. la compravendita: art. 1470 c.c.) e - sia pure, talvolta,
implicitamente - dispone che, ove quell’accadimento dovesse
verificarsi nella realtà, debbano prodursi determinati effetti giuridici

59
Vedi il capitolo dedicato all’esame delle situazioni giuridiche soggettive.
60
GALGANO, Diritto privato, Padova, 1990, 24.
70 Dispense di diritto privato

(Tizio diventa proprietario di un bene a seguito della stipulazione di


un contratto di compravendita con Caio).
Utilizzando una terminologia risalente alla dottrina tedesca del
secolo scorso61, si parla di «fattispecie» (Tatbestand) per indicare
l’astratta previsione legislativa dei fatti e delle condizioni in presenza
delle quali la concreta realizzazione del fatto ipotizzato dà luogo alla
nascita di effetti giuridici.
La fattispecie può essere articolata nella previsione di un unico
fatto produttivo dell’effetto (si pensi, appunto, alla morte di una
persona) e si tratterà di una fattispecie semplice, ma potrà articolarsi
nella previsione di una molteplicità di fatti e si tratterà allora di
fattispecie complessa. Si consideri, ad esempio, la vendita di una cosa
futura, nella quale il trasferimento della proprietà richiede, oltre al
contratto, anche la venuta ad esistenza del bene (art. 1472 c.c.).
A volte, poi, la fattispecie, più che complessa, è a formazione
progressiva: è tale quella fattispecie che necessariamente consta di
fatti che devono venire ad esistenza in uno spazio temporale più o
meno lungo e legati tra loro da un nesso di causa-effetto, nel senso
che ad uno di essi non può che seguire l’altro. Ne consegue che, al
verificarsi solo di alcuni di essi, l’effetto finale non potrà ancora
prodursi, derivandone una «fase preliminare di gestazione» alla quale
si ricollegano taluni effetti prodromici che concretizzano la nozione di
«aspettativa».
Analizzando, poi, le conseguenze che la norma riconduce al
verificarsi del fatto da essa ipotizzato (cioè gli effetti giuridici),
ricordiamo che, in un primo momento, tali conseguenze furono
ravvisate nella «nascita, modificazione o estinzione dei diritti
soggettivi», concezione questa che fu poi sostituita dal riferimento
alla «nascita, modificazione ed estinzione di situazioni giuridiche
soggettive»62. In tal senso, allora, può dirsi che le situazioni giuridiche
soggettive nascono, si modificano e si estinguono in dipendenza
dell’avverarsi di un evento che la norma giuridica seleziona e
qualifica, isolandolo dalla più ampia sfera dei fenomeni naturali o
sociali. Si comprende, allora, come la teoria del fatto giuridico si
ponga, in un certo senso, al centro della stessa parte generale del
diritto civile e non a caso essa si sviluppò in Germania proprio in
concomitanza con lo sviluppo di quella «giurisprudenza dei concetti»
che si fece portatrice dell’esigenza di dare vita a costruzioni generali

THOL, Einleitung in das deutsche Privatrech, Gottingen, 1851, 9. Per la verità,


61

l’espressione fu utilizzata, in origine, per indicare l’insieme degli elementi materiali


del reato e solo successivamente nel significato riportato nel testo: cfr. MAIORCA,
Fatto giuridico. Fattispecie, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1961, 111-113.
62
Cfr. MAIORCA, o.l.c.
L’attività giuridica 71

del diritto civile che, poi, costituirono la premessa per la più ampia
nozione di «negozio giuridico».

2. Fatto e atto giuridico.

L’espressione «fatto giuridico» esprime una nozione di genere,


nella quale è si individuano tipologie diverse. In tale ambito, si
distingue tra fatto giuridico in senso stretto ed atto giuridico e il
criterio distintivo è ravvisato nella partecipazione dell’uomo alla
causazione dell’evento: se l’uomo ne è causa, si tratterebbe di un atto
giuridico, mentre se ne è estraneo si tratterebbe di un fatto giuridico
in senso stretto.
Questo criterio, però, è valido in prima approssimazione63 (in
quanto, di regola, i fatti giuridici in senso stretto sono riferibili ad
eventi naturali), ma non in assoluto, poiché - ricordando il ruolo
fondamentale che assume la norma nel processo di giuridicizzazione
del fatto - occorre tenere conto della rilevanza o meno che assume,
per l’ordinamento, la volontà del soggetto nella causazione del fatto64:
se detta volontà è presa in considerazione ai fini della produzione i
effetti, si tratterà di un atto giuridico, mentre, se essa rimane del
tutto irrilevante, si tratterà di fatti giuridici in senso stretto. Alla
stregua di tale impostazione, allora, gli eventi naturali (quali il
fulmine, l’alluvione, il terremoto, la morte) sono, senza dubbio, dei
fatti giuridici, mentre, con riguardo agli eventi umani, occorrerà
stabilire se, per l’ordinamento, la volontà costituisca o meno
presupposto necessario per la nascita di certi effetti. Si consideri, ad
esempio, la piantagione, la costruzione o l’opera fatta dall’uomo sul
suolo altrui: in questi casi, nonostante si tratti di fatti umani, la legge
ricollega ad essi determinate conseguenze giuridiche, a prescindere
da’un indagine sulla volontarietà e consapevolezza in ordine alla loro
realizzazione: si è qui in presenza, perciò, di fatti giuridici in senso
stretto. Viceversa, il contratto o il fatto illecito devono considerarsi
atti giuridici.
La categoria degli atti giuridici, peraltro, richiede non solo la
volontarietà, ma anche la capacità del soggetto che li compie,
precisandosi, però, che, ai nostri fini, ciò che rileva non è tanto e solo
la capacità legale di agire (art. 2 c.c.), quanto, soprattutto, la c.d.
63
GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1987, 87.
64
«L’unica fenomenologia che il pensiero giuridico moderno abbia utilizzato con
larghezza é la fenomenologia della volontà»: FALZEA, Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI,
Milano, 1965, 948.
72 Dispense di diritto privato

capacità di intendere e volere, ossia l’attitudine dell’individuo di


rendersi conto della portata dell’atto che compie e delle conseguenze
che ne derivano. Sotto tale ultimo aspetto è necessario distinguere
tra atti leciti ed atti illeciti65. I primi producono, a carico dell’autore,
l’obbligazione di risarcire il danno causato nell’altrui sfera giuridica,
ma, a tal fine, occorre che l’atto lesivo sia volontario (doloso o
colposo, come si esprime l’art. 2043) e che il soggetto, al momento
della causazione, sia capace di intendere e volere (art. 2046).
Diversi, invece, sono i requisiti di capacità e volontarietà necessari
per il compimento degli atti leciti: oltre alla capacità di intendere e di
volere (art. 428), la legge chiede la capacità legale di agire, che si
acquista con il compimento della maggiore età.
Aspetti particolari, invece, presenta - sempre con riguardo agli atti
leciti - il profilo della volontarietà, in quanto - sulla scorta di una
elaborazione dottrinale risalente al secolo scorso - occorre distinguere
tra atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici (o atti negoziali).
Nel caso, infatti, di atti giuridici in senso stretto, l’ordinamento
richiede la volontarietà del mero comportamento tenuto, irrilevante
restando invece la volontarietà degli effetti prodotti, i quali sono
sempre fissati dalla legge e ricollegati alla condotta in modo
automatico. Viceversa, nel negozio giuridico, la volontarietà investe
altresì gli effetti che conseguono all’atto, nel senso che essi non si
producono se non voluti dal soggetto.
Per comprendere, si prendano due atti umani apparentemente
simili: una richiesta scritta di pagamento che un creditore rivolge ad
un debitore (art. 1219) e una diffida scritta che un contraente rivolge
ad un altro contraente in un contratto a prestazioni corrispettive (art.
1454).
Nel primo caso, gli effetti giuridici (interessi di mora, rimborsi,
risarcimento dei danni) seguono, automaticamente, anche se essi non
siano previsti e voluti dal soggetto; nel secondo caso, invece, gli
effetti giuridici (risoluzione del contratto) seguono soltanto se il
soggetto li abbia previsti e voluti, per cui, se l’intento della soluzione
non sussiste, l’effetto che seguirà sarà solo quello della costituzione in
mora66.
Negli atti giuridici in senso stretto, dunque, l’ordinamento si limita
ad assumere l’atto volontario come il presupposto cui ricollegare
effetti giuridici, con la conseguenza che essi sono tutti tipici, cioè
sono tutti previsti dalla legge. Diversamente è a dirsi per la categoria
degli atti negoziali, caratterizzati - lo ripetiamo - da ciò che la
Cfr. RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1985, 286.
65

BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, I, 2, Fatti e atti giuridici,
66

Torino, 1987, 449.


L’attività giuridica 73

volontarietà e consapevolezza non è limitata al comportamento, ma


si estende agli effetti che sono, pertanto, anch’essi voluti dal
soggetto.

3. Il negozio giuridico.

La nozione di negozio giuridico ha poco più di due secoli, se è vero


che il primo ad adoperare il termine negotium juridicum fu Nettelbladt
nel 174967, ma la formulazione compiuta ed armonica si è avuta un
secolo dopo, con la elaborazione di Savigny nella sua massima opera,
il Sistema del diritto romano attuale68.
Il negozio, sin dal suo nascere, è stato oggetto di un complesso
dibattito che scandisce, storicamente, le tappe della sua evoluzione.
a) La figura nacque in un contesto storico caratterizzato da una
ideologia di fondo: l’esaltazione della libertà dell’individuo e della sua
capacità creativa, idea che aveva condotto, in altri campi,
all’affermazione dei principi propri della borghesia, successivamente
alla Rivoluzione francese. In tale ambito, la Pandettistica tedesca -
rielaborando principi ed istituti del diritto romano - perseguì l’obiettivo
di costruire l’intero sistema giuridico quale estrinsecazione della
volontà umana e, in tal opera di teorizzazione, giunse alla
individuazione di una categoria dogmatica unitaria di atti (inter vivos
e mortis causa, unilaterali e bilaterali) che si fondava su di un comune
denominatore, rappresentato dalla loro derivazione dalla volontà del
privato. Il negozio giuridico, dunque, era una nozione di genere
capace di assorbire tutte quelle manifestazioni di volontà attraverso
le quali uno o più soggetti perseguivano interessi individuali69.
La figura trovò consensi da parte della dottrina italiana e si impose,
storicamente, come strumento didattico nell’insegnamento del diritto
privato. La manualistica tradizionale - secondo uno schema
consolidato - premette, ancora oggi, alla trattazione del contratto,
delle obbligazioni, delle successioni, del diritto di famiglia e dei diritti
reali, un’analisi del «negozio giuridico», nell’ambito della quale
vengono studiati i profili comuni alle diverse partizioni adottate dal
codice civile, quali, ad esempio, il concetto di manifestazione di

67
NETTELBLADT, Systema elementare universae jurisprudentiae positivae, indicato da
MIRABELLI, Negozio giuridico, in Enc. dir, XXVIII, Milano, 1978, 1.
68
SAVIGNY, System des heutigen romischen Rechts, II, 2, trad. a cura di V. Scialoja,
III, Torino, 1900.
69
Scrive GALGANO, Il negozio giuridico, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da Cicu e
Messineo, continuato da Mengoni, III, 1, 1988, 17: «L’obiettivo è di realizzare un
diritto uguale per tutti i cittadini, senza distinzione di classe; un diritto pensato in
funzione di una unità del soggetto giuridico».
74 Dispense di diritto privato

volontà, di causa, d’invalidità, ecc. In tal modo si persegue l’obiettivo


di sintetizzare e classificare istituti diversi che presentano, come
matrice comune, la medesima derivazione dalla volontà
dell’individuo. Uno schema che - sia pure con i necessari adattamenti
- si ricollega proprio a quella idea pandettistica dell’individuo quale
centro motore del sistema giuridico e della sua volontà creatrice.
L’originaria concezione considerava il negozio giuridico -
nell’ambito della categoria dei atti giuridici - come dichiarazione di
volontà che non solo costituiva un atto libero, ma nella quale la
volontà dell’autore era direttamente finalizzata alla costituzione o allo
scioglimento di un rapporto giuridico. Si dichiarava di volere la
produzione di un certo effetto giuridico e l’ordinamento giuridico
apprestava gli strumenti affinché quell’effetto potesse trovare
attuazione.
Quella concezione fu poi ripresa, in Italia, sul finire del XIX secolo,
da Vittorio Scialoja per il quale il negozio giuridico era dichiarazione di
volontà privata diretta a produrre effetti che l’ordinamento giuridico
riconosceva e tutelava. Definizione che evidenziava il ruolo decisivo
svolto dalla volontà nel processo di costruzione della figura e che
conduceva, inevitabilmente, a ritenere invalido il negozio, laddove ciò
che il soggetto manifestava al’esterno non corrispondeva al suo
intimo volere (c.d. teoria della volontà).
b) Quella nozione, però, ben presto si rivelò insoddisfacente. Il
superamento di una economia fondata sul mercato ristretto, la diffusa
frequenza di contratti conclusi a distanza e tra soggetti di diversa
forza evidenziarono come70 una eccessiva preoccupazione della
salvaguardia della interna volontà individuale si ponesse in contrasto
con le esigenze di certezza del traffico giuridico che, al contrario,
dovevano necessariamente fondarsi su ciò che il soggetto aveva
manifestato all’esterno e su ciò che il destinatario della dichiarazione
era in grado di recepire e comprendere. Alla teoria della volontà si
sostituì la teoria della dichiarazione, per la quale il soggetto rimaneva
vincolato a ciò aveva dichiarato all’esterno, con una inevitabile
pretermissione della ricerca della effettiva volontà e a tutto vantaggio
della tutela della buona fede dei terzi. In sostanza, l’evoluzione ora
accennata si svolge lungo una linea che tende a «richiamare l’autore
del negozio alla responsabilità - più esattamente
all’autoresponsabilità - per il compimento del negozio, ed anzi per il
solo fatto della partecipazione al commercio giuridico» 71,
evidenziandosi, soprattutto, la necessità di tutela dell’affidamento

70
RESCIGNO, Manuale, cit., 292.
71
RESCIGNO, o.u.c.
L’attività giuridica 75

suscitato nei rapporti negoziali, cioè a dire la tutela dei destinatari


della dichiarazione.
Le suddette impostazioni sogliono essere inserite nell’ambito delle
c.dd. teorie soggettive sul negozio giuridico72, contrapposte alle teorie
c.dd. oggettive, che traggono origine da una problematica di fondo:
quella dei rapporti tra la volontà negoziale e gli effetti. Le teorie
soggettive - sia pure con sfumature diverse - avevano ricondotto alla
volontà la produzione degli effetti giuridici, laddove, invece, le
successive prospettazioni tendevano a spostare il tema degli effetti
dalla volontà privata all’ordinamento giuridico. In tale ottica, il
negozio giuridico altro non era se non il presupposto al quale poi lo
stesso ordinamento ricollegava talune conseguenze giuridiche. Esso
era «un comando che l’ordinamento giuridico autorizza il privato a
porre in essere»73 e, dunque, poneva un precetto, una regola
attraverso la quale i soggetti provvedevano alla regolamentazione
giuridica dei propri interessi. Illuminante, in proposito, è
l’affermazione di Betti74 per il quale nel negozio «a differenza che
altrove, la fattispecie cui la norma ricollega l’effetto giuridico,
contiene già, essa stessa, l’enunciazione o l’attuazione di un precetto
da osservare nell’interferenza tra sfere di interessi: precetto che
l’ordine giuridico valuta secondo il suo sovrano apprezzamento e
traduce in rapporto giuridico, con le restrizioni e le modificazioni che
stima opportune. Col negozio giuridico, infatti, i privati dispongono
per l’avvenire un regolamento impegnativo di propri interessi nei loro
rapporti». In altre parole, il negozio contiene la fissazione di una
regola volta alla regolamentazione di interessi, regola che viene, per
così dire, giuridicizzata, dall’ordinamento.
c) Sviluppando queste premesse teoriche, l’evoluzione dottrinale
successiva configura il negozio giuridico quale «autoregolamento
impegnativo», espressione con la quale si intende, per l’appunto,
sottolineare come il negozio costituisce lo strumento mediante il
quale il soggetto persegue i propri interessi e ciò attraverso la
fissazione di una regola che diventa per lui impegnativa.
Consideriamo, ad esempio, la compravendita. Quando due soggetti si
accordano nel senso di scambiarsi un bene contro un prezzo, pongono
in essere una regola che, se da un lato costituisce mezzo per
autoregolamentare certi interessi individuali, dall’altro è impegnativa
per gli autori del contratto, dal momento che essi, d’ora in poi,
saranno vincolati a quel certo accordo, senza possibilità di sottrarsene
in via unilaterale. L’autoregolamentazione degli interessi, peraltro, è
72
G.B. FERRI, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1987, 33 ss.
73
G.B. FERRI, Il negozio giuridico tra libertà e norma, cit., 38.
74
BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, 49.
76 Dispense di diritto privato

particolarmente limitata nei negozi costitutivi di rapporti familiari


come il matrimonio o l’adozione dove sono in gioco prioritariamente
interessi che attengono alla personalità etico-sociale dell’individuo75.
Essa, invece, assume il suo massimo vigore nell’ambito della
regolamentazione di interessi patrimoniali che avviene,
ordinariamente, mediante lo strumento del contratto.
Il carattere vincolante del negozio assume rilievo, poi, anche sotto
un altro profilo. Per comprendere, poniamo che Tizio, ritenendo per
errore che un certo oggetto sia d’argento, propone la stipula di un
contratto di compravendita a Caio che accetta, senza rendersi conto
dell’errore altrui. In una ipotesi del genere, può ritenersi quel negozio
vincolante per Tizio? In linea di principio, la risposta dovrebbe essere
negativa, dal momento che Tizio si è indotto alla stipulazione sulla
base di una falsa rappresentazione della realtà. Tuttavia, un’analoga
esigenza di tutela sussiste anche per Caio che, non potendosi rendere
conto dell’errore, ha il diritto di mantenere in vita il negozio da quale
consegue comunque un beneficio. Nell’Ottocento - quando dominava
la teoria della volontà - si preferiva tutelare, in ogni caso, il
dichiarante, essendo inconcepibile la permanenza in vita di un
negozio che non corrispondesse all’intimo volere del soggetto. Col
tempo, però, ci si è resi conto - come detto - che una eccessiva
attenzione alla volontà interna era in contrasto con le esigenze di
certezza dei traffici giuridici e, soprattutto, di tutela dell’affidamento
del destinatario della dichiarazione. La prospettiva, così, è cambiata:
il negozio rimane vincolante per il soggetto quando - pur non essendo
conforme all’interno volere - si sia creato un affidamento in capo ad
altri individui. Ovviamente, tale protezione trova un limite costituito
dal carattere incolpevole dell’affidamento: se il soggetto era, ad
esempio, in grado di rendersi conto dell’altrui errore, viene meno ogni
giustificazione che consenta di mantenere in vita il negozio, dal
momento che, concretamente, non può dirsi esistente alcun
affidamento da tutelare. Anzi, ammettendo, in questo caso, la
vincolatività del negozio, si legittimerebbe un odioso privilegio a
favore di una parte che, invece, non merita alcuna protezione, avendo
essa, in sostanza, abusato dell’altrui condizione di errore.

4. I presupposti del negozio.

La storia del negozio giuridico non può dirsi conclusa: la figura deve
fare i conti, oggi, con quel diffuso atteggiamento critico che ne

75
MAJELLO, in Istituzioni di diritto privato, a cura di Bessone, Torino, 1996, 72.
L’attività giuridica 77

contesta la validità sul piano concettuale e normativo. Prima, però, di


esaminare questo ulteriore profilo, sembra opportuno individuare gli
elementi strutturali della stessa, così come proposti dalla dottrina
tradizionale76.
Il negozio - quale manifestazione di volontà con cui un soggetto
autoregolamenta i propri interessi - presuppone, ovviamente
l’esistenza di uno o più soggetti che lo pongono in essere e di un
oggetto. Sono questi i c.dd. presupposti del negozio, cioè elementi
che - pur se necessari per la sussistenza del negozio - non fanno parte
della sua struttura, ponendosi, invece, come dati ad essa esterni, dai
quali comunque dipende.
Tanto i soggetti che l’oggetto, per essere presupposti del negozio,
debbono presentare determinati requisiti.
Con riferimento ai soggetti, si parla di requisiti soggettivi e tali
sono:
a) La capacità giuridica.
Come è noto, la capacità giuridica si identifica con l’idoneità del
soggetto ad essere titolare di diritti e di obblighi e, più in generale, di
situazioni giuridiche soggettive. Essa si acquista con la nascita e può
subire solo eccezionali limitazioni, essendo inammissibile una
incapacità giuridica assoluta che renderebbe un soggetto privo di ogni
suo diritto. Limitazioni alla capacità giuridica si ravvisano, ad
esempio, nel diritto del lavoro: il minore di anni quindici non può
essere titolare di diritti e di obblighi connessi ad un rapporto di lavoro
subordinato. Ricordiamo che le limitazioni alla capacità giuridica
danno luogo alle c.dd. incapacità speciali;

b) La capacità di agire.
Affinché il negozio sia valido ed efficace, occorre che esso sia posto
in essere da chi abbia la capacità di agire, capacità che, come è noto,
si acquista con il raggiungimento della maggiore età, salva l’ipotesi
della interdizione della persona maggiorenne e salva, altresì, l’ipotesi
della emancipazione del minore;
c) La legittimazione.
La legittimazione (o potere di agire) è il potere di un soggetto di
disporre di un diritto mediante un negozio giuridico Tale potere, in
linea di principio, è attribuito al titolare del diritto stesso: posso
vendere una casa solo se ne sono proprietario. Nel caso manchi la
legittimazione, il negozio di per sé è valido, perché la legittimazione
non è un elemento costitutivo dell’atto: esso, però, è inefficace, cioè
76
Faremo riferimento, in particolare, alla ricostruzione operata da F. SANTORO
PASSARELLI in Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1985, 129 ss.
78 Dispense di diritto privato

non è in grado di produrre l’effetto perseguito dal soggetto. Se vendo


un bene altrui, la proprietà non può trasferirsi al compratore.
Eccezionalmente, la legittimazione può essere attribuita ad un
soggetto diverso dal titolare del diritto. Tale attribuzione può derivare
dalla legge, quando il soggetto titolare del diritto non è in grado di
provvedere in modo adeguato ai propri interessi: si pensi, ad
esempio, al potere attribuito ai genitori in relazione ai diritti
appartenenti ai figli minori. Altre volte, invece, l’attribuzione può
derivare da un atto di volontà dello stesso soggetto titolare del diritto:
è quanto accade nella rappresentanza dove un soggetto (c.d.
rappresentato) attribuisce ad altro (c.d. rappresentante) il potere di
concludere negozi che poi produrranno effetti nella sfera giuridica del
primo. In entrambe le ipotesi, il soggetto è titolare di una potestà che,
come si ricorderà, è il potere attribuito ad un soggetto per la
realizzazione diretta di un interesse altrui.
Con riferimento, invece, all’oggetto del negozio, si parla di requisiti
oggettivi per indicare quelle particolari caratteristiche che l’oggetto
deve presentare, secondo quanto dispongono gli artt. 1346 ss. c.c.
Requisiti oggettivi sono:
a) La possibilità.
Possibilità dell’oggetto vuol dire che la cosa o il comportamento si
presta, per sua natura, ad essere oggetto del negozio o di un certo
negozio: così può costituire oggetto della locazione solo un bene
improduttivo e oggetto del contratto di affitto solo un bene
produttivo. Del pari, oggetto del mutuo può essere solo un bene
fungibile e del comodato solo un bene infungibile.
b) La liceità.
Liceità vuol dire che la cosa o il comportamento debbono prestarsi,
per volontà della legge, ad essere oggetto del negozio o di un certo
negozio. E così, ad esempio, non possono costituire oggetto lecito del
negozio i beni demaniali oppure le parti del proprio corpo (oltre i limiti
fissati dall’art. 5). Un limite speciale stabilisce la legge per le cose
future: esse possono essere, in generale, oggetto del negozio (art.
1348), ma diventano oggetto illecito con riguardo a determinati
negozi, come ad esempio, la donazione, che, per l’art. 771, non può
avere ad oggetto beni futuri.
c) Determinatezza o determinabilità.
Determinatezza o determinabilità dell’oggetto vuol dire che, per la
validità del negozio, è necessario che esso sia esattamente definito o,
quanto meno, siano fissati i criteri per la sua definizione. Ricordiamo,
però, che la legge riconosce alle parti la facoltà di attribuire ad un
terzo il compito di determinare l’oggetto del negozio.
L’attività giuridica 79

Mentre i requisiti soggettivi debbono esistere al momento della


conclusione del negozio, quelli oggettivi debbono sussistere al
momento in cui il negozio comincia a produrre effetti. Ciò si desume,
ad esempio, dalla norma dell’art. 1347 per la quale, se al momento
della conclusione di un negozio sottoposto a condizione sospensiva o
a termine la prestazione era impossibile, il negozio è pur sempre
valido se, al momento del verificarsi della condizione o alla scadenza
del termine (momento a partire dal quale il negozio produce effetto),
la prestazione è divenuta possibile.

5. Gli elementi costitutivi del negozio.

Diversi dai presupposti, sono gli elementi del negozio, cioè quegli
elementi da cui dipende l’esistenza stessa del negozio. Se i
presupposti sono fattori estranei, gli elementi sono, per così dire, i
mattoni che compongono la struttura stessa del negozio, in mancanza
dei quali questo non viene ad esistenza. Si distinguono,
tradizionalmente, gli elementi essenziali cioè quelli che debbono
necessariamente sussistere per la sussistenza del negozio, dagli
elementi accidentali, cioè quelli elementi che gli autori del negozio
sono liberi di apporre o meno, precisandosi, però, che una volta
apposti, essi diventano essenziali, cioè diventano parte integrante
della struttura dell’atto. Un esempio di elemento accidentale è la
condizione.
Elementi essenziali sono:
a) La volontà (il contenuto).
Quando si parla di volontà, occorre distinguere due profili. Può
venire in considerazione, anzitutto, la facoltà umana di voler
concludere un negozio (c.d. volontà volente), che rimane,
ovviamente, un dato esterno alla struttura dello stesso, quale mero
atteggiamento psicologico del soggetto. Quando, invece, il soggetto
conclude il negozio, quella generica intenzione trova la sua concreta
attuazione, traducendosi nell’insieme di clausole che costituiscono il
c.d. contenuto del negozio (c.d. volontà voluta). È questa la volontà
che assume la connotazione di elemento costitutivo del negozio, dal
momento che essa cessa di essere un atteggiamento interno al
soggetto per divenire il nucleo essenziale del negozio, cioè l’insieme
delle pattuizioni poste in essere dalle parti. E così, ad esempio, nel
caso della compravendita, la volontà (come elemento essenziale) è
quella che si è tradotta nelle clausole con cui compratore e venditore
hanno trasferito la proprietà di un bene dietro il pagamento di una
80 Dispense di diritto privato

somma di denaro. La volontà tradottasi nelle clausole del negozio, più


correttamente, è definita come contenuto del negozio. La volontà,
invece, come facoltà psicologica assume, a rigore, rilievo nel caso dei
c.d. vizi della volontà (errore, dolo e violenza): queste sono delle
circostanze che incidono negativamente sul processo di formazione
della volontà che si traduce, conseguentemente, in un contenuto non
corrispondente alle effettive intenzioni del soggetto. Se, ad esempio,
Tizio per errore ritiene che un certo oggetto sia d’oro, ma in realtà
esso è di plastica, l’errore è una circostanza che interviene nel
momento in cui il soggetto decide di stipulare il contratto di
compravendita (incide, cioè, sulla volontà volente), inducendolo così a
contrarre in maniera difforme dalle sue reali intenzioni.
b) La forma.
La forma sta ad indicare il modo in cui la volontà si manifesta
all’esterno, diventando così percettibile da altri. Il concetto di forma è
strettamente connesso a quello di volontà, poiché essa costituisce il
veicolo mediante il quale la volontà interna ad un soggetto trova
estrinsecazione nella realtà. Essa può essere scritta o orale: vige, al
riguardo, il principio di libertà della forma (cioè i soggetti possono
scegliere la forma di manifestazione della volontà che ritengono
opportuno), ma talvolta, la legge richiede, ai fini della stessa
esistenza del negozio, la forma scritta (c.d. forma scritta ad
substantiam).
c) La causa.
La causa è l’elemento essenziale più controverso nella teoria
generale del negozio giuridico.
L’ordinamento non attribuisce protezione ad ogni negozio posto in
essere dai privati, ma solo a quegli atti finalizzati a realizzare un
risultato che renda l’atto stesso meritevole di tutela. Per compiere
tale valutazione, allora, l’ordinamento richiede che ciascun negozio
evidenzi la ragione per cui è stato posto in essere: tale ragione
giustificatrice dell’atto prende il nome di «causa» e la sua mancanza
determina la nullità dell’atto (art. 1418), cioè, in definitiva, il suo
disconoscimento da parte del legislatore.
Esaminando, adesso, più da vicino il concetto di causa, ricordiamo
che secondo la teoria tradizionale - che va sotto il nome di teoria
oggettiva - la causa si identifica, in particolare, con la funzione che il
negozio assolve sul piano economico-sociale. In altre parole, la causa
sarebbe la finalità che il tipo astratto di negozio persegue così come si
desume oggettivamente dall’atto posto in essere dai soggetti. Ad
esempio, la causa del contratto di compravendita è lo scambio di un
bene contro un prezzo, quella del contratto di appalto è l’esecuzione
L’attività giuridica 81

di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo, ecc.: le funzioni


assolte dai vari negozi costituiscono la ragione che giustificano il
compimento dell’atto e la protezione da parte dell’ordinamento.
Questa impostazione, però, ha creato qualche problema:
1) L’ordinamento giuridico disciplina, in astratto, dei modelli di
contratto ai quali i soggetti possono fare riferimento, nel momento in
cui decidono di porre in essere un certo negozio. Il codice, così,
disciplina il contratto di compravendita, di mandato, di appalto, di
assicurazione, ecc., prevedendo, come si dice, dei «tipi contrattuali».
Al tempo stesso, però, il legislatore riconosce ai privati anche la
facoltà di dar vita a negozi che non rientrino tra i tipi legali,
consentendo loro di «inventare» nuove tipologie di negozi (più
precisamente, di contratti) a condizione che - dice l’art. 1322, comma
2 - essi siano finalizzati a realizzare interessi meritevoli di tutela (c.dd.
contratti atipici). Orbene, se la causa costituisce la funzione oggettiva
che contrassegna quel singolo negozio, essa tende - nei contratti tipici
- ad identificarsi con il tipo negoziale. Per rendersene conto, basta
pensare all’art. 1470 che definisce il contratto di compravendita come
lo scambio di un bene contro un prezzo, scambio che è al tempo
stesso anche la causa del negozio. Come si vede, i due profili - causa
e tipo - tendono a sovrapporsi e ciò spiega perché - soprattutto nel
dopoguerra - una parte della dottrina ha negato ogni rilevanza al
concetto di causa che finirebbe per confondersi con lo stesso
contenuto del negozio (nell’esempio fatto, lo scambio è, al tempo
stesso, la causa e il contenuto dell’accordo delle parti).
2) Ma vi è di più. L’art. 1343 prevede la nullità del contratto quando
la causa sia contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico e al
buon costume. Orbene, se la causa è la funzione oggettiva cui assolve
il negozio, essa, per gli atti previsti e disciplinati dal legislatore, non
può mai - per definizione - essere illecita. Una parte della dottrina ha,
allora, sostenuto che l’art. 1343 trovi applicazione solo con riguardo ai
negozi atipici (cioè quelli inventati dalle parti), ma una tale limitazione
è del tutto arbitraria, non trovando essa alcun conforto nel codice.
Posta di fronte a questi problemi, una più moderna teoria - c.d.
teoria soggettiva - propone di individuare un nuovo concetto di causa
che tenga conto non tanto della funzione che il negozio è in grado di
realizzare astrattamente, quanto, soprattutto, della finalità concreta
che attraverso esso le parti intendono conseguire: si parla, al
riguardo, di «ragione concreta del negozio». In tale prospettiva, la
causa sarebbe lo scopo che le parti del negozio vogliono conseguire,
scopo che può anche essere diverso da quello che, in astratto, il
82 Dispense di diritto privato

negozio è di per se in grado di realizzare. Tale impostazione ha risvolti


pratici notevoli.
1) Anzitutto, può accadere che l’atto posto in essere dalle parti -
pur avendo in astratto una sua giustificazione - sia concretamente
privo di causa. Per comprendere, si pensi all’ipotesi in cui un soggetto
vende un bene che è già di proprietà del compratore: in questo caso,
le parti hanno posto in essere un negozio che - astrattamente - ha
una sua giustificazione, ma che, in termini pratici si rivela privo di
utilità, dal momento che esso non può realizzare alcun risultato utile.
2) Tenendo poi conto dello scopo concretamente perseguito dalle
parti, sarà possibile affermare l’illiceità della causa anche quando le
parti utilizzino un modello delineato dal legislatore. Si pensi, ad
esempio, al caso in cui due soggetti pongono in essere un contratto di
compravendita, dove il venditore è debitore del compratore e
stabiliscono che il trasferimento della proprietà debba avere luogo nel
momento in cui il debitore si renda inadempiente. In un caso del
genere, pur utilizzando un tipo contrattuale previsto e disciplinato dal
legislatore, le parti intendono raggirare il divieto posto dall’art. 2744:
lo scopo concretamente perseguito (cioè la causa in senso concreto) è
illecito, con conseguente applicabilità dell’art. 1343 anche al negozio
tipico (compravendita).
La contrapposizione tra teoria oggettiva e teoria soggettiva, però,
può essere riconsiderata77. Il codice, infatti, pur seguendo una
concezione oggettiva della causa (come emerge dalla Relazione),
offre spunti per una considerazione in senso concreto della causa. Si
pensi, ad esempio, alla norma dell’art. 1895 che prevede la nullità del
contratto di assicurazione nell’ipotesi in cui il rischio sia venuto meno
prima della stipulazione (ad esempio, Tizio assicura contro i furti una
collezione di quadri che, però, prima della stipulazione del contratto, è
già stata rubata). La nullità prevista dalla norma consegue ad una
valutazione di sostanziale inutilità del contratto che non può
realizzare la finalità pratica perseguita dalle parti: ciò significa, allora,
riferimento alla causa concreta dell’operazione economica che, nel
caso di specie, può ritenersi insussistente anche laddove le parti
abbiano utilizzato un contratto tipico78. Possiamo, allora, dire che nel
codice, il concetto di causa assume, per così dire, un doppio volto:

Cfr. BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, cit., 701.
77

Alla stessa conclusione può pervenirsi con riferimento all’art. 1234 che prevede
78

l’inefficacia del contratto di novazione qualora non esista una obbligazione da


estinguere: inefficacia che consegue alla constatazione per la quale, nel caso
concreto, il contratto non rivela alcuna utilità pratica. E lo stesso è adirsi per l’art.
1876 il quale dichiara nullo il contratto costitutivo di rendita vitalizia a favore di una
persona già morta al momento della stipulazione: anche qui la nullità deriva dalla
mancanza di una giustificazione concreta dell’atto.
L’attività giuridica 83

riferita al tipo contrattuale astratto, la causa si presenta ancora come


oggettiva funzione economico-sociale che contrassegna quel
determinato tipo, ma scendendo ad esaminare la concreta operazione
posta in essere dai soggetti, essa assume una valenza squisitamente
soggettiva divenendo la ragione concreta che deve giustificare l’atto
di autonomia delle parti79.

6. segue: Il negozio giuridico nella realtà attuale.

La vicenda, qui brevemente accennata, del negozio giuridico


conferma la storicità e la relatività di un concetto80 che, peraltro, deve
fare i conti con la concreta realtà normativa e con quel diffuso
atteggiamento di ostilità nei suoi confronti, tendente, da più parti, ad
evidenziarne la inutilità o, peggio, la dannosità.
L’idea del negozio era estranea al codice civile italiano del 1865
che - riflettendo l’impostazione del codice Napoleonico - appariva
lontano dagli esiti che la letteratura civilistica tedesca aveva acquisito
e che furono trasfusi nel codice tedesco del 1900. Recependo i
risultati della raffinata astrazione concettuale della Pandettistica, il
legislatore tedesco adottò una «parte generale» destinata alla
enunciazione degli istituti fondamentali, tra i quali spicca il negozio
giuridico. In coerenza con tale spirito sistematico, la prima sezione è
intitolata alle «persone», la seconda alle «cose» e la terza ai «negozi
giuridici», questi, a loro volta, suddivisi nella categoria generale ed
astratta delle dichiarazioni di volontà all’interno della quale è
ricompreso il contratto. Questo assetto rivela una idea di fondo (cara
alla Pandettistica): data la unitarietà del soggetto di diritto, si
raccolgono in un contesto unico le libere e volontarie attività
giuridiche dei privati: dalle dichiarazioni di volontà unilaterali (es.
rinuncia al diritto), agli accordi, dagli atti di ultima volontà agli atti tra
vivi. Il negozio giuridico, in altre parole, è una categoria nella quale
far rientrare ogni attività dell’individuo volta a produrre effetti
incidenti sulla sua sfera giuridica. L’opera così realizzata serve, poi, a
fissare alcune regole di carattere generale destinate, tra l’altro, a
colmare le lacune nella disciplina di singoli istituti.
Quarant’anni dopo la codificazione tedesca, si pose, per gli artefici
del nuovo codice civile italiano, il problema se includere tra le
categorie del diritto privato quella del negozio giuridico, elevandola a
categoria di genere nella quale poi far rientrare, come figure di
specie, il contratto, il matrimonio, il testamento e gli atti unilaterali. Si
79
Sul punto cfr. G.B. FERRI, Il negozio giuridico tra libertà e norma, cit., 115.
80
RESCIGNO, Manuale, cit., 293.
84 Dispense di diritto privato

decise di non accogliere esplicitamente la figura e, rovesciando il


sistema adottato dal codice tedesco, si fece del contratto la figura
centrale la cui disciplina - per il tramite della norma dell’art. 1324 -
venne estesa (in quanto compatibile) agli atti unilaterali. Il rifiuto del
negozio, secondo autorevole dottrina81, era stato suggerito dalla
necessità di forgiare figure giuridiche che corrispondessero ai
fenomeni economici regolati dal diritto, rifuggendo così da concetti
astratti e privi di riscontro concreto.
A questa scelta della nostra codificazione civile si ribellò, però, una
cospicua parte della dottrina italiana che reintrodusse, nella
manualistica, l’antica figura del negozio giuridico, collocandola nella
«parte generale» del sistema e relegando poi il contratto fra le «parti
speciali» del diritto civile, accanto al matrimonio e al testamento. In
tale opera di sistemazione dogmatica, una parte della normativa dei
contratti (quella che si presenta più facilmente riconducibile alla
tradizionale figura del negozio giuridico quale dichiarazione di
volontà) viene astratta dal contesto suo proprio per diventare, sic et
sempliciter, la regolamentazione del negozio giuridico come figura di
genere.
Questa operazione, però, non ha ricevuto consensi unanimi e il
negozio giuridico rimane ancora oggi al centro di un dibattito tra
coloro che ne sostengono l’utilità e coloro che, al contrario, ne
contestano la validità, ritenendolo addirittura dannoso.
Sul piano squisitamente ideologico è da segnalare l’opinione di chi82
ricollega, storicamente, la nascita del negozio giuridico ad un preciso
contesto politico-economico nel quale la figura costituiva lo strumento
di affermazione della nascente classe borghese e che, in quanto tale,
è lontano dall’attuale realtà sociale ed economica.
Sul versante, invece, normativo, l’assenza - anche lessicale - del
negozio giuridico nel nostro codice è vista come il più significativo
indice del ripudio della figura da parte del legislatore del 1942.
Posizione questa che, però, è contrastata da chi ritiene che «la teoria
del negozio non solo non fosse estranea alle idee del legislatore, ma
che anzi su di esse abbia avuto una incidenza e una influenza
decisive»83 . A dimostrazione dell’assunto, si nota come nella stessa
Relazione al codice, il legislatore - nel motivare la scelta a favore di
una disciplina del contratto, piuttosto che di quella del negozio -
assume un atteggiamento tutt’altro che ostile o di rifiuto nei confronti
GALGANO, Il negozio giuridico, cit., 25.
81

GALGANO, o.l.u.c.: «La volontà creatrice, che la filosofia del negozio giuridico
82

esalta, è la volontà della classe sociale che dirige il processo storico: l’esaltazione
della volontà, come sola causa efficiente del mutamento giuridico, asseconda la
borghesia mercantile nel suo disegno di appropriazione delle risorse».
83
G.B. FERRI, Il negozio giuridico tra libertà e norma, cit., 69.
L’attività giuridica 85

della categoria concettuale. Si legge, infatti, nella Relazione (n. 604)


che «nella redazione del nuovo codice, in conformità della nostra
tradizione giuridica, non si sono dettate norme per disciplinare il
negozio giuridico; invece si è regolato quel negozio giuridico, centro
della vita degli affari, che si chiama contratto e, con una disposizione
generale (art. 1324), si sono dichiarate applicabili le norme dettate
per i contratti agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto
patrimoniale» cosa che «non esclude la possibilità di una estensione
analogica delle norme applicate, anche ad atti unilaterali di natura
non patrimoniale». Sulla scorta di simili affermazioni, questa
impostazione dottrinale ritiene che la capacità espansiva della
disciplina del contratto agli atti unilaterali tra vivi a contenuto sia
patrimoniale che non patrimoniale, fa di esso una sorta di sinonimo di
negozio giuridico. Come si vede, dunque, l’idea del negozio - come
categoria generale - è tutt’altro che estranea alle concezioni del
legislatore del 1942.
Sul piano metodologico, invece, la figura mostra inevitabili
cedimenti. Si rileva come «solo la pretesa di dare vita ad una teoria
generale del negozio giuridico spiega il tentativo di accomunare
manifestazioni di volontà dei privati del tutto eterogenee dal punto di
vista della ragion d’essere e della funzione svolta. Disporre delle
proprie sostanze per il tempo successivo alla propria morte è attività
giuridica ben diversa dal vendere o dal donare un bene, così come
costituire una società o una comunione non ha nulla a che vedere con
il contrarre matrimonio»84. In tale opera di demolizione della figura,
poi, si rileva come appaia poco corretto «individuare l’elemento
unificante di negozi strutturalmente diversi nella volontà degli effetti,
poiché la volontà non è requisito strutturale dell’atto negoziale:
semmai un suo presupposto, da cui la legge fa dipendere, entro certi
limiti e nel rispetto dell’affidamento del suo destinatario, l’efficacia
dell’atto»85.
Se, però, la figura del negozio giuridico sembra destinata
inevitabilmente a perdere quel carattere di centralità che essa
mostrava nelle costruzioni tradizionali della Pandettistica, tuttavia non
può negarsi una sua esistenza, per così dire, «di fatto». La circostanza
che essa sia ancora oggetto di attenzione - anche se pure per finalità
confliggenti - da parte della dottrina, rivela una sua permanente
vitalità, quanto meno da un punto di vista culturale e scientifico. Ed
infatti, a più di un secolo dalla sua nascita, il negozio giuridico
continua ad essere un capitolo importante della storia giuridica
italiana, nonché un passaggio obbligato per la formazione del giurista
84
GAZZONI, Manuale, cit., 326.
85
MAJELLO, in Istituzioni di diritto privato a cura di Bessone, cit., 72-73.
86 Dispense di diritto privato

che, prima o poi, dovrà confrontarsi con esso, per esaltarlo o, al


contrario, per denigrarlo. Sul versante della ricerca scientifica, invece,
la circostanza che una cospicua parte della dottrina italiana ancora
faccia riferimento ad esso evidenzia come questa figura - se «debole»
sul piano normativo e pratico - comunque, conserva in se le
potenzialità per una sua perdurante vitalità.
CAPITOLO SESTO

L’oggetto del negozio giuridico

SOMMARIO: 1. Breve «excursus» storico del concetto. - 2. La nozione di oggetto del


contratto nel codice civile. - 3. I caratteri dell’oggetto del contratto.

1. Breve «excursus» storico del concetto.

Al di là delle questioni meramente teoriche che hanno interessato


la nostra dottrina sin dai primi anni del secolo, va notato come
l’indagine speculativa relativa alle nozioni di «oggetto» e di «causa»
del contratto segnino una delle vicende concettuali più interessanti
della teoria negoziale86 i cui echi, allo stato attuale, non risultano
ancora completamente spenti87.
86
Si occupano del tema dell’oggetto del negozio, in primis, le trattazioni dedicate
al negozio o al contratto in generale, tra cui v. BETTI, Teoria generale del negozio
giuridico, in Tratt. di dir. civ. diretto da F. Vassalli, Torino, 1960, 79; F. SANTORO
PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962, 128 ss.; CARIOTA FERRARA, Il
negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., 607 ss.; MESSINEO, Il
contratto in genere, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, I,
Milano, 1968, 135 ss.; SACCO, Il contratto, in Tratt. di dir. civ. diretto da F. Vassalli,
Torino, 1975, 473 ss.; BIANCA, Diritto civile, 3, Milano, 1987, 311 ss.; MIRABELLI, Dei
contratti in generale, in Comm. del cod. civ., IV, Torino, 1961, 125 ss.; GALGANO, Il
negozio giuridico, in Trattato di dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, Milano,
1988. Tra gli scritti specifici dedicati all’argomento, si segnalano: CANNATA, Oggetto
del contratto, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 827 ss.; ALPA, Oggetto del negozio, in
Enc. giur. Treccani, Roma,1988; Id., in Vita not. 1981, 809; CATAUDELLA, Sul contenuto
del contratto, Milano, 1966; IRTI, Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., XI,
799; CARRESI, Il contenuto del contratto, in Riv. dir. civ., 1963, I, 365; GORLA, La teoria
dell’oggetto del contratto nel diritto continentale (Civil law) (Saggio di critica
mediante il metodo comparativo), in Jus, 1953, 290. Di notevole interesse si
rivelano, altresì, gli studi di: IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio
altrui, Milano, 1967, 128 ss.; FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico,
Milano, 1941, 300 ss.; OPPO, Note sull’istituzione dei non concepiti, in Riv. trim. dir.
proc. civ. 1948, 83 ss. Relativamente al dibattito dottrinale svoltosi sotto l’impero
del codice abrogato, v. GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano,
III, Firenze, 1907, 606 ss.; PACCHIONI, Dei contratti in generale, Padova, 1939, 73 ss.
87
Cfr. G.B. FERRI, Capacità e oggetto nel negozio giuridico: due temi meritevoli di
ulteriori riflessioni, in Quadrimestre, 1989, 9; DE NOVA, L’oggetto del contratto.
Considerazioni di metodo, in I contratti di informatica, a cura di Alpa e Zeno
Zencovich, Milano, 1987, 22 ss.
88 Dispense di diritto privato

Per di più, a rinfocolare il dibattito già di per sé molto acceso, ha


contribuito parte della dottrina che, agli inizi del nostro secolo, aveva
sussunto nella figura giuridica dell’oggetto alcuni profili propri del
concetto di causa, aumentando, così, i molti dubbi ed incertezze
interpretative che mettevano in crisi notevolmente il valore operativo
del concetto di oggetto del negozio.
In tale direzione, giova ricordare, a titolo esemplificativo, la
posizione assunta dal Giorgi88, secondo il quale ciò che viene definito
oggetto, quando viene assunto come un quid facti «dotato di
sussistenza obbiettiva fuori dell’animo dei contraenti», diventa la
causa del contratto, ove essa venga considerata soggettivamente,
quale «motivo determinante della volontà di obbligarsi».
In tal modo, in tutta evidenza, la figura giuridica della causa veniva
sovrapposta a quella dell’oggetto, considerato non nel senso di cosa -
porzione del mondo reale, ma nella più ampia accezione di
«contenuto» del contratto.
Corollario di siffatta impostazione diveniva, così, la diretta
applicazione della disciplina codicistica della causa (artt. 1119, 1120,
1122 c.c. del 1865) indifferentemente a tale elemento o all’oggetto
del negozio.
La teoria, così impostata, non poteva che prestare il fianco a
numerose e severe critiche da parte della maggior parte degli studiosi
che, manifestando le proprie riserve di fronte ad un impianto
concettuale traballante ed ambiguo, non faceva altro che dimostrare
come una piana esposizione del concetto non si rivelasse, di per sé,
opera di tutto riposo.
Per riprendere, dunque, le fila della faticosa analisi dommatica del
concetto di oggetto del negozio giuridico non si può prescindere dal
considerare che la prima elaborazione compiuta di esso compariva,
nel 1761, nel Traité des obligations del Pothier il quale, nella prima
parte di quest’opera, all’article V del Chap. I, Sect. I, trattava «de ce
qui peut être l’objet des contracts», e indicava, seppur in modo un po’
nebuloso, l’oggetto nel modo seguente: «Les contracts ont pour objet,
ou des choses que l’une des parties contractantes stipule qu’on lui
donnera, et que l’autre partie promet de lui donner; ou quelque chose
que l’une des parties contractantes stipule que l’on fera ou qu’on ne
fera pas, et que l’autre partie promet de faire ou de pas faire»89.
Dal contesto dell’opera si evinceva che l’accezione in cui veniva
assunto il termine «objet du contract» riguardava, in tutta evidenza, il
complesso dei vincoli obbligatori che legavano le parti senza aver
alcun effetto per i terzi cosicché la costruzione dogmatica del Pothier
88
CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico, cit., 606 ss.
89
POTHIER, Traité des obligations, Paris, 1761, Chap. I, sect. I, art. 5, n. 53.
L’oggetto del negozio giuridico 89

relativamente all’oggetto del contratto, può essere sintetizzata nella


identificazione dell’oggetto dello stesso con l’oggetto
dell’obbligazione.
Ciò scaturiva, principaliter, dalla impostazione teorica secondo cui,
all’epoca, il contratto era ancora una fonte pura di obbligazioni, dal
che fondato risulta, invece, alla luce del sistema legislativo vigente
che riconosce anche efficacia reale allo strumento contrattuale, il
dubbio che tale nozione possa essere ancora valida90.
Successivamente, il codice civile francese del 1804, che conteneva
la prima previsione legislativa dell’effetto reale del contratto (art.
1138 c.c.; cfr. artt. 938, 1583, 1703 c.c.) e che, per di più, adottava
per il contratto una collocazione sistematica tra i modi di acquisto
della proprietà (nel libro III), conservava, tuttavia, la nozione di
oggetto proposta dal Pothier91, ricollegando l’effetto reale del
contratto all’effetto dell’obbligazione contrattuale (art. 711) di
consegnare la cosa, anticipando, in tal modo, l’effetto della traditio al
momento del sorgere dell’obbligazione del tradere 92.
Ciò rispondeva palesemente, come è stato autorevolmente
notato93, all’idea di matrice ideologica secondo cui «Nul ne peut être
contraint de ceder sa propriété», alla quale, anche col temperamento
legislativo (art. 545 c.c.: «[...] si ce n’est pour cause d’utilité publique,
et moyennant une juste et préalable indennité»), ripugnava un
obbligo del proprietario di alienare la sua cosa.
In seguito, nel codice civile del 1865, si riproponevano le medesime
formulazioni e, dunque, le medesime questioni interpretative del code
civil. Difatti, gli artt. 1116, 1117, 1118 c.c. non rappresentavano altro
che la traduzione letterale degli artt. 1128, 1129 e 1130 code civil e,
conseguentemente, veniva anche in questa sede operata una
«confusione completa»94 tra oggetto del contratto, oggetto
dell’obbligazione e oggetto della prestazione.

2. La nozione di oggetto del contratto nel codice civile.

Il codice civile italiano del 1942 - il quale, malgrado certe aperture


verso i risultati della Pandettistica e agli atteggiamenti della
codificazione tedesca del 1900, è rimasto un codice di stile francese -
ha dato all’oggetto del contratto una funzione dommatica ed una
90
Così SACCO, Il contratto, cit., 472.
91
Art. 1126 code civ.: «Tout contrat a pour objet une chose qu’une partie s’oblige
à donner, ou qu’une partie s’oblige à faire ou a ne pas faire».
92
Cfr., CANNATA, Oggetto del contratto, cit., 828.
93
CANNATA, o.c., 828.
94
GIORGI, Teoria delle obbligazioni, IV, Firenze, 1879, 379.
90 Dispense di diritto privato

posizione sistematica precisa nell’art. 1325 c.c. ed ha dedicato alle


norme sull’oggetto, sintetizzabili nella regola che un contratto è nullo
se l’oggetto è impossibile, illecito o indeterminabile95, un‘intera
sezione (artt. 1346-1349 c.c.)96.
Essa reca una serie di disposizioni che fanno riferimento, in buona
sostanza, all’«oggetto della prestazione» ed assai singolare risulta
essere il raffronto tra le rubriche degli articoli, in particolare gli artt.
1347 e 1349, ove si parla di oggetto del contratto, ed il testo
corrispondente ove si parla di oggetto della prestazione97 .
Parte della dottrina ritiene, di conseguenza, che le norme citate
disciplinino esclusivamente l’oggetto dell’obbligazione, cioè la
prestazione dedotta in contratto98.
Parallelamente, il bene che costituisce l’oggetto dell’operazione
economica intrapresa dalle parti, è stato considerato da altra parte
della dottrina99, sotto due diversi profili: come oggetto del negozio e
come oggetto del rapporto; nel primo caso, la determinazione
dell’oggetto agisce in funzione degli effetti del negozio; soltanto
quando l’oggetto del negozio è determinato può sorgere il rapporto
giuridico relativo.
Allo stato attuale, va detto che, tuttavia, ancora non vi è concordia
in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza sulla nozione in esame.
Secondo alcuni autori, infatti, esso andrebbe ancora identificato
con la prestazione100 in quanto la nozione stessa di prestazione,
propria dei rapporti obbligatori, può, tuttavia, essere estesa a
comprendere non solo ciò che il soggetto si obbliga a fare o a dare ,
ma anche ogni modificazione della situazione materiale che derivi
dall’impegno assunto dalle parti nello stringere il vincolo contrattuale.
In tale ottica, dunque, l’oggetto del contratto sarebbe, in buona
sostanza, rappresentato dai comportamenti cui le parti si impegnano,
considerati singolarmente e non nel loro collegamento teleologico101.
A siffatta impostazione si contrappone, tuttavia, altro ordine di idee
che fornisce una nozione di oggetto del contratto quale oggetto della

95
Cfr. l’art. 20 OR svizzero del 1911.
96
Cfr. art. 1126-1130 code civ. di contenuto in parte diversi, ma con posizione
sistematica identica.
97
Così ALPA, Oggetto del negozio, cit., 2.
98
Così GIORGIANNI, L’obbligazione, I, Milano, 1968, 213 e Id., Obbligazione (dir.
priv.), in Noviss. dig. it., Torino, 1965, 603; CARRESI, Il contenuto del contratto, cit.,
365 ss.; DE NOVA, L’oggetto del contratto, cit., 22 ss. In senso critico v., però, BIONDI,
Reminiscenze ed esperienze romanistiche in tema di contratto moderno, in Studi in
onore di F. Messineo, I, Milano, 1959, 37 ss.; MENGONI, L’oggetto dell’obbligazione, in
Jus, 1952, 156.
99
FALZEA, La condizione, cit., 300 ss.
100
Così GALGANO, Il negozio giuridico, cit., 199.
101
MIRABELLI, Dei contratti in generale, cit., 175.
L’oggetto del negozio giuridico 91

volontà delle parti e, dunque, quale contenuto dell’accordo e


autoregolamento adottato dalle parti stesse102.
In questo senso il contratto esprimerebbe l’aspetto obiettivo
dell’intero contratto e si porrebbe in una posizione strumentale e
intermedia, realizzando la trasformazione della situazione giuridica
iniziale in quella finale103.
Altri studiosi, infine, ribadendo che oggetto del contratto è il bene
(o la cosa) che mediante il contratto stesso diventa materia di
trasferimento o di godimento, aggiungono che, così inteso, l’oggetto
si distinguerebbe dalla (e contrapporrebbe alla) prestazione che,
essendo riferita esclusivamente al contenuto al rapporto obbligatorio,
costituisce il comportamento al quale il soggetto debitore è tenuto104.
Alla luce di tale imponente e fecondo dibattito dottrinale e
giurisprudenziale, preferiamo, tuttavia, in ultima analisi, ai fini della
determinazione dell’oggetto del negozio, operare un collegamento tra
quest’ultimo e l’oggetto dei diritti per affermare come, in tutta
evidenza, l’oggetto in parola coincida, nonostante tutte le incertezze
terminologiche del codice, con la prestazione qualora si abbia
riguardo ai diritti relativi che originano dal predetto atto mentre, per
converso, esso si identifichi nel bene (o cosa), nel caso in cui si
prendano in considerazione i diritti assoluti derivanti dallo strumento
negoziale de quo.
Va, inoltre, rilevato che, ad onta del dettato legislativo che
annovera, come ricordavamo, tra gli elementi essenziali del negozio,
l’oggetto in parola, riteniamo opportuno in questa sede concordare
con la migliore dottrina105 che, in tema negoziale, precisa come, in
realtà, così come avviene per il rapporto giuridico, il negozio giuridico
interceda tra soggetti e abbia un oggetto.
Così intesi, soggetti e oggetto non diventano, a rigore, elementi del
negozio e tanto meno requisiti del medesimo, «ma restano
semplicemente i termini fra i quali il negozio si forma: sebbene
necessari per l’esistenza del negozio sono non dentro ma fuori del
negozio medesimo»106.
Tanto i soggetti che l’oggetto, però, debbono essere pur sempre
idonei ad assolvere questa funzione e, dunque, solo in questo senso
può parlarsi correttamente di requisiti soggettivi ed oggettivi
dell’oggetto ex art. 1346 c.c.
102
SACCO, Il contratto, cit., 476.
103
SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. del cod. civ. a cura di Scialoja e
Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, art. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, 352.
104
BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, I, 2, Fatti e atti giuridici,
Torino, 1986, 689 ss.
105
F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., 129.
106
F. SANTORO PASSARELLI, o.l.u.c.
92 Dispense di diritto privato

3. I caratteri dell’oggetto del contratto.

Come già accennato, per l’oggetto del contratto si prescrivono nel


nostro codice civile i caratteri della liceità, possibilità, determinatezza
e determinabilità.
Ad eccezione di quest’ultimo, i primi due sono comuni a quelli
previsti per la causa e per la condizione. Pertanto, si ritiene
pacificamente in dottrina ed in giurisprudenza che quando già la
causa sia reputata illecita o impossibile sia del tutto superfluo
appurare i caratteri dell’oggetto e viceversa107.
Tuttavia, i più numerosi problemi interpretativi sono scaturiti
proprio relativamente alla ricorrenza del carattere dell’illiceità
dell’oggetto, che ha raccolto intorno a sé il maggior contenzioso.
A tal proposito, è stato precisato in sede dottrinale108 che il
requisito della liceità o della illiceità non va riferito al bene in sé per
sé, ma alla prestazione, cioè all’attività dei soggetti e, dunque, al
contenuto degli atti di autonomia che i privati pongono in essere.
In quest’ottica è stato, pertanto, in giurisprudenza, ritenuto nullo il
contratto di appalto relativo alla costruzione di un immobile in
assenza di concessione edilizia per contrasto con le norme imperative
vigenti in materia urbanistica, che subordinano l’esercizio dell’attività
di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio al preventivo
rilascio di apposita concessione del sindaco109.
Analogamente, è stata considerata nulla la clausola statutaria di
una cooperativa che preveda l’esclusione del socio che fomenti
discordie e dissidi nella compagine sociale110.
Relativamente, poi, all’impossibilità dell’oggetto, è stato rilevato
che essa, contemplata quale causa di nullità del negozio ad opera
degli artt. 1346 e 1418 c.c., non può essere fatta derivare da una
semplice difficoltà della prestazione, ma solo dalla sua impossibilità
materiale e giuridica, di carattere obiettivo e non meramente
soggettivo111.

MIRABELLI, Dei contratti in generale, cit., 177.


107

BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, cit., 837.


108

109
Trib. Cagliari, 18 novembre 1988, in Riv. giur. sarda, 1990, 443.
110
App. Milano, 14 ottobre 1988, in Giur. it., 1989, I, 2, 204.
111
Così Cass., 15 febbraio 1971, n. 369, in Mass. Giust. civ., 1971, 209, riferita
alla pretesa impossibilità dell’oggetto del contratto con cui era stato alienato ad un
terzo il diritto di sopraelevazione di un edificio. In tal caso, l’impossibilità è stata
esclusa in quanto l’OPPOsizione degli altri condòmini era giuridicamente superabile in
base alle pattuizioni accettate nei singoli atti di acquisto, nei quali essi si erano
obbligati ad acconsentire a tutte le opere di rafforzamento per eventuali
sopraelevazioni.
L’oggetto del negozio giuridico 93

Più delicato diviene, però, il compito di delimitare la nozione di


impossibilità quando si debba stabilire se trattasi di oggetto non
suscettibile di commercio ovvero di oggetto privo delle qualità
essenziali o affetto da vizi, per le diverse conseguenze che dall’atto di
valutazione discendono: nel primo caso, infatti, il negozio deve essere
dichiarato nullo; nel secondo, il rimedio è la risoluzione per
inadempimento112.

112
MIRABELLI, Dei contratti in generale, cit., 178.
CAPITOLO SETTIMO

Rilevanza, efficacia, validità giuridica

SOMMARIO: 1. L’effetto giuridico. - 2. Efficacia e perfezione. - 3. Validità, invalidità e


inefficacia.

1. L’effetto giuridico.

L’ordinamento ricollega determinate conseguenze giuridiche al


verificarsi di certi accadimenti. Se Tizio, ad esempio, danneggia
l’automobile di Caio, la legge ricollega a tale comportamento, come
conseguenza giuridica, l’obbligo di Tizio di risarcire il danno a Caio.
Ancora. Se Tizio conclude un contratto con Caio con il quale vende a
costui la propria casa (dietro il pagamento di un prezzo), la legge
ricollega a tale atto il trasferimento della proprietà dal venditore al
compratore. L’evento al quale la legge ricollega conseguenze
giuridiche prende il nome di fatto giuridico.
I termini di questo meccanismo sono, allora, due: da un lato, un
evento che ha una sua consistenza materiale (cioè che è percepibile
dai sensi) e, dall’altro, l’effetto giuridico, cioè una entità che non è
percepibile dai sensi e che nasce e vive solo nel mondo del diritto. E
così, mentre il contratto di compravendita è un quid reale, concreto,
l’effetto che da esso deriva (cioè il trasferimento della proprietà)
costituisce un fenomeno che ha consistenza solo ideale,
impercettibile: è, come si dice, una creazione del diritto. Ad una entità
reale consegue una entità ideale:
a) l’accadimento materiale, come si è detto, prende il nome di fatto
giuridico e può essere rappresentato da un evento naturale (ad
esempio, l’abbandono da parte di un fiume del suo alveo produce,
come conseguenza giuridica, l’acquisto della proprietà dell’alveo
stesso da parte dei proprietari dei fondi limitrofi) o da un evento
umano (è il caso, ad esempio, del danneggiamento dell’automobile o
della stipula di un contratto). Nell’ambito dei fatti giuridici umani si
distinguono poi, i c.dd. atti giuridici, cioè comportamenti ai quali la
Rilevanza, efficacia, validità giuridica 95

legge ricollega effetti giuridici nella misura in cui essi siano stati posti
in essere con coscienza e volontarietà. Nell’ambito degli atti giuridici,
poi, si distinguono i negozi giuridici e gli atti giuridici in senso stretto.
La distinzione attiene proprio al meccanismo attraverso il quale
l’ordinamento ricollega al comportamento effetti giuridici. Nei negozi
giuridici, infatti, la legge ricollega all’atto quegli effetti che le parti
volevano conseguire mediante il compimento dell’atto stesso. Ad
esempio, nel caso della compravendita, l’effetto che si produce è
quello del trasferimento della proprietà, effetto che le parti
intendevano conseguire con la stipula del negozio. Viceversa, nel
caso dei c.dd. atti giuridici in senso stretto l’ordinamento ricollega
conseguenze predeterminate, prescindendo dalla specifica intenzione
del soggetto autore dell’atto. E così, ad esempio, nel caso della
confessione, la legge prevede la produzione di certi effetti, anche se
questi non erano voluti dal dichiarante;
b) l’effetto giuridico (che, ripetiamo, è solo una entità ideale,
astratta, priva di una consistenza materiale) può, di volta in volta,
assumere connotazioni diverse. Può trattarsi della nascita di un
obbligo, dell’acquisto o dell’estinzione di un diritto (si pensi alla
vicenda che si origina a seguito della morte di un soggetto) o della
costituzione di un diritto reale di godimento. Per esprimere,
sinteticamente, l’insieme degli effetti giuridici riconnessi al verificarsi
di un accadimento, si dice che la legge ricollega ai diversi eventi la
nascita o la modifica o l’estinzione di situazioni giuridiche soggettive.
Nell’ambito degli effetti giuridici, particolare rilievo assume, poi,
l’effetto consistente nella nascita di una obbligazione, cioè nel dovere
imposto ad un soggetto (c.d. debitore) di tenere un certo
comportamento (di fare o dare o non fare) per realizzare l’interesse di
un altro soggetto (c.d. creditore). L’art. 1173 ricollega la nascita di
obbligazioni a tre categorie di eventi: il contratto, il fatto illecito e ogni
altro atto o fatto considerato idoneo ad essere causa di
un’obbligazione. Queste categorie di eventi prendono il nome di fonti
delle obbligazioni e il rapporto che intercorre, ad esempio, tra un
contratto ed un’obbligazione è un rapporto di causa-effetto: il
contratto è l’accadimento al verificarsi del quale la legge ricollega,
come conseguenza, la nascita dell’obbligazione. In altre parole, il
contratto è la fonte da cui scaturisce l’obbligazione. Ma analogo
discorso vale per il fatto illecito: il danneggiamento di un’altrui
automobile rappresenta l’accadimento al quale la legge ricollega la
nascita di un obbligo di risarcimento: ancora una volta, il rapporto è di
causa-effetto.
96 Dispense di diritto privato

Resta da precisare un profilo. Il concetto di efficacia deve essere


distinto da quello di rilevanza. Come si è detto altrove113, un certo
accadimento (naturale o umano) assume rilevanza giuridica quando
viene preso in considerazione dall’ordinamento che ricollega ad esso
effetti giuridici. Occorre, adesso, precisare, che può sussistere
rilevanza giuridica anche nell’ipotesi in cui l’ordinamento non
ricolleghi immediatamente effetti giuridici ad un certo accadimento,
ma lo consideri idoneo a produrre tali effetti nel futuro (c.d.
potenzialità degli effetti)114. Facciamo un esempio. Prima della morte
del de cuius, il testamento non produce effetti: possiamo, però, dire
che esso è giuridicamente irrilevante? La risposta sembra essere
negativa. La legge, infatti, consente al testatore, prima della morte, di
revocare il negozio testamentario così presupponendo un atto che -
sebbene inefficace - ha già una sua rilevanza giuridica, essendo in
grado di produrre effetti nel futuro. La revoca, infatti, come atto
destinato a cancellare un precedente atto, intanto ha un senso se si
ammette che il testamento ante mortem, pur essendo inefficace, ha
rilevanza per il diritto. L’esempio dimostra come possono esservi,
allora, atti inefficaci, ma giuridicamente rilevanti, in considerazione
della loro idoneità ad essere considerati, nel futuro, come
presupposto per l’attribuzione di effetti giuridici.

2. Efficacia e perfezione.

Se, adesso, focalizziamo l’attenzione su quel particolare fatto


giuridico che è il negozio, possiamo dire che con il termine efficacia si
intende l’idoneità del negozio a produrre gli effetti voluti dalle parti. In
termini diversi, possiamo dire che l’efficacia del negozio è la
conseguenza che l’ordinamento ricollega all’atto posto in essere dai
privati ritenuto idoneo ad essere fonte degli effetti voluti dalle parti.
Alla efficacia si contrappone l’inefficacia del negozio espressione
con la quale si indica la condizione del negozio che non può produrre
effetti o per cause che sono già presenti al momento della sua nascita
o per fattori sopravvenuti. In entrambi i casi, l’inefficacia consegue ad
un giudizio di inidoneità dell’atto (operato dall’ordinamento) ad
essere fonte degli effetti perseguiti dalle parti.
Tanto l’efficacia quanto l’inefficacia sono nozioni distinte rispetto al
concetto di perfezione. Invero, la legge richiede - ai fini della
produzione di certi effetti - che l’atto presenti dei requisiti di struttura
Vedi il capitolo dedicato all’esame delle situazioni giuridiche soggettive.
113

Sul punto cfr. DI GIANDOMENICO, Il testamento a bordo di nave o di aeromobile:


114

una rarità interessante, in Riv. not., 1996, I, 357 ss.


Rilevanza, efficacia, validità giuridica 97

minimi: quando questi requisiti sono venuti ad esistenza, si dice che


l’atto è perfetto. Ad esempio, il contratto di compravendita è perfetto
quando è stato raggiunto l’accordo sul bene da trasferire e sul prezzo.
Nella generalità dei casi, poi, l’atto perfetto è anche efficace. Non
mancano, però, ipotesi in cui l’atto perfetto è inefficace: si pensi, ad
esempio, al negozio sottoposto a condizione sospensiva. In questo
caso, al momento della conclusione del negozio l’atto è perfetto (cioè,
presenta tutti i requisiti di struttura richiesti dalla legge), solo che le
parti hanno subordinato la produzione degli effetti al verificarsi di un
evento futuro ed incerto, con la conseguenza che fino a quando tale
evento non si verifica, il negozio (benché perfetto) non sarà in grado
di produrre effetti.
Con riguardo al momento della perfezione, tradizionalmente, si
distinguono due tipologie di negozi.

a) negozi consensuali.
Si dicono consensuali quei negozi per la cui perfezione basta il
semplice accordo delle parti, manifestato nei modi previsti dalla
legge. In altre parole, il negozio è giuridicamente esistente fin dal
momento in cui le parti si sono accordate in ordine ad una certa
vicenda. E così, ad esempio, il contratto di compravendita è un
negozio consensuale perché, ai fini della sua giuridica esistenza, non
occorre altro che l’incontro dei consensi delle parti autrici del negozio:
quando questi si sono accordate sul bene e sul prezzo,
automaticamente la proprietà del bene si trasferisce al compratore.
b) negozi reali.
Diversa è la categoria del negozio reale: in questo caso, il negozio
può dirsi perfezionato solo quando è stata effettuata la consegna di
una cosa da un soggetto ad un altro. Prima di questo momento non
esiste giuridicamente alcun negozio e, di conseguenza non potrà
prodursi alcun effetto. Su pensi, ad esempio al mutuo: solo quando il
mutuante consegna al mutuatario la somma di denaro, può dirsi che il
contratto è venuto ad esistenza e scatta l’obbligo per il mutuatario di
restituzione. Ma si pensi, altresì, al comodato: solo quando avviene la
consegna della cosa dal comodante al comodatario può dirsi esistente
il negozio.
Con riguardo, invece, agli effetti che la legge ricollega al
compimento di un negozio giuridico, possiamo distinguere altre due
tipologie di negozi.
a) negozi ad effetti reali.
98 Dispense di diritto privato

La categoria del negozio ad effetti reali abbraccia tutti quei negozi


che producono, come effetto, il trasferimento della proprietà di una
cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale
ovvero il trasferimento di un altro diritto115: si pensi, ad esempio, alla
compravendita oppure alla costituzione o al trasferimento del diritto
di usufrutto o, ancora, alla cessione di un credito. È bene, tra
l’altro, sottolineare che l’espressione contratto ad effetti reali non
deve indurre in errore, facendo ritenere che oggetto di questi
contratti possa essere solo la costituzione o il trasferimento di diritti
reali. Anche la cessione di un diritto di credito o di un diritto personale
di godimento, infatti, rientra in questa categoria, che abbraccia così
un amplissimo ventaglio di ipotesi116.
b) negozi ad effetti obbligatori.
La categoria del negozio ad effetti obbligatori comprende tutte le
ipotesi in cui il negozio si pone quale fonte per la nascita di un vincolo
obbligatorio, creando - e non trasferendo - diritti relativi: si pensi, ad
esempio, al contratto preliminare, il quale obbliga le parti a
concludere un (successivo) contratto definitivo ovvero al contratto di
lavoro che obbliga ad una determinata prestazione dietro il
corrispettivo. Il negozio ad effetti obbligatori costituisce, in definitiva,
una fonte delle obbligazioni.
La distinzione tra negozio ad effetti reali e negozio ad effetti
obbligatori non deve essere confusa con quella tra negozio
consensuale e negozio reale: invero, come detto, la prima distinzione
attiene agli effetti che derivano dal negozio, mentre la seconda
attiene al momento in cui il negozio può dirsi perfezionato e in grado
di produrre effetti. E le due distinzioni possono intrecciarsi, nel senso
che:
a) il negozio consensuale può essere, in taluni casi, ad effetti reali
(es. compravendita, permuta) e, in altri, ad effetti obbligatori (es.
contratto preliminare, contratto di lavoro)
b) così come il negozio reale può essere, talvolta, ad effetti reali
(es. art. 1548 in caso di riporto) e, talvolta, ad effetti obbligatori (vedi,
ad esempio, l’art. 1766 in caso di deposito regolare che, a differenza
del deposito irregolare contemplato dall’art. 1782, non prevede il
trasferimento della proprietà della cosa depositata ma solo l’obbligo
di custodirla e poi restituirla in natura)117 .

3. Validità, invalidità e inefficacia.


115
GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1987, 96.
116
GAZZONI, o.c., 97.
117
GAZZONI, o.l.u.c.
Rilevanza, efficacia, validità giuridica 99

La categoria della inefficacia si ricollega, come detto, alla inidoneità


dell’atto di autonomia negoziale a produrre effetti giuridici. Trattasi di
una nozione ampia che deve essere precisata.
Cominciamo col dire che l’efficacia è una nozione distinta rispetto a
quella di validità118 che indica la corrispondenza dell’atto posto in
essere dalle parti al modello astratto delineato dal legislatore: in altri
termini, il negozio contiene tutti gli elementi costitutivi e questi non
sono viziati o illeciti. L’efficacia, invece, attiene alla produzione degli
effetti dell’atto.
Da questa diversità di nozioni consegue che l’invalidità non
comporta sempre l’inefficacia del negozio. L’invalidità (intesa come
difformità dell’atto dal modello astratto), infatti può consistere nella
nullità, quando il negozio è privo di uno dei requisiti essenziali previsti
dal codice o nella annullabilità, quando il negozio (strutturalmente
perfetto) è posto in essere da un soggetto incapace o la cui volontà
sia viziata da errore, dolo o violenza.
Nel caso di nullità, il negozio non produce effetti. E così la vendita
di un immobile realizzata oralmente è nulla ed è inidonea a trasferire
la proprietà dal venditore al compratore. Nel caso, invece, del negozio
annullabile (si pensi, ad esempio, al negozio concluso da un soggetto
in errore), l’atto produce effetti, anche se, poi, questi - a seguito di
una pronuncia del giudice - vengono meno sin dal giorno della
conclusione. Come si vede, nel caso dell’annullabilità, si è in presenza
di un negozio invalido, ma efficace, ciò che conferma l’autonomia
delle due nozioni.
Il negozio nullo e quello successivamente annullato dal giudice non
producono effetti, sono, cioè, inefficaci. Si parla, al riguardo, di
inefficacia in senso lato, figura che, però, ha un valore solo
descrittivo: essa, più che una categoria autonoma, rappresenta un
modo di essere del negozio invalido che, nella sua genericità,
accomuna ipotesi disparate.
Autonoma, invece, si presenta la categoria dell’inefficacia in senso
stretto, la quale indica la situazione del negozio (valido) che è
incapace di produrre effetti per cause già esistenti al momento alla
sua nascita o per fattori sopravvenuti. Così intesa, l’inefficacia in
senso stretto rappresenta un genus entro il quale sono poi ravvisabili
ipotesi diverse.
a)Inefficacia originaria.
Si parla di inefficacia originaria per indicare quelle ipotesi in cui il
negozio non produce effetti sin dal momento della sua conclusione, a

118
Sul punto, BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, 496 ss.
100 Dispense di diritto privato

causa della sussistenza di fattori impeditivi facenti parte della sua


struttura. Si consideri, ad esempio, il negozio sottoposto a condizione
sospensiva: in questo caso, l’atto (di per sé valido) è incapace di
produrre effetti a causa della presenza di un elemento (la condizione)
che è coevo alla sua nascita e che si pone quale fattore che
impedisce la produzione di effetti. Nell’esempio, l’inefficacia consegue
ad una precisa volontà delle parti, ma talvolta essa può dipendere
dalla stessa legge che attribuisce ad un evento futuro ed incerto
l’attitudine ad eliminare un impedimento, per la tutela di altri
interessi che sovrastano quelli particolari degli autori del negozio. Si
consideri, ad esempio, le ipotesi in cui la legge richiede
un’autorizzazione amministrativa per la stipula di un negozio: se le
parti concludono il negozio, questo non produrrà effetti fino a quando
non sarà acquisito l’atto amministrativo. Si tratta di casi che la
dottrina ricomprende sotto la categoria della condicio iuris.
b) Inefficacia sopravvenuta.
Si parla di inefficacia sopravvenuta per indicare le ipotesi in cui il
negozio - originariamente efficace - perde i suoi effetti a causa del
sopravvenire di talune circostanze. Nella inefficacia sopravvenuta,
dunque, si assiste ad una vicenda complessa: il negozio nasce valido
e produttivo di effetti, ma, in un momento successivo, si verifica un
fatto in grado di eliminare gli effetti già prodotti e di impedire la loro
produzione per il futuro. Le ipotesi più frequenti sono quelle
riconducibili al verificarsi della condizione risolutiva, alla scadenza del
termine finale, alla risoluzione, alla rescissione, alla revoca dell’atto di
disposizione o alla riduzione della donazione lesiva di legittima. E così,
ad esempio, nell’ipotesi in cui un legittimario sia stato escluso dalla
successione di un suo congiunto, potrà agire per ottenere la riduzione
delle disposizioni testamentarie e delle donazioni, così facendo venir
meno alle stesse quella efficacia loro attribuita al momento
dell’apertura del testamento. Ricordiamo, peraltro, che la causa
sopravvenuta può essere rappresentata sia da un mero
comportamento materiale (es. l’inadempimento, nel caso della
risoluzione) che da un negozio giuridico: si pensi, ad esempio, al caso
in cui le parti di un negozio, con un nuovo accordo, decidono di far
venire meno il rapporto che si era costituito sulla base del primo atto.
È importante, però, una precisazione. Nell’inefficacia sopravvenuta
ciò che viene meno sono gli effetti e non l’atto da cui essi
scaturiscono e ciò a differenza, ad esempio, della annullabilità dove
viene meno direttamente l’atto e, consequenzialmente, gli effetti. Per
comprendere: quando si verifica la riduzione delle disposizioni
testamentarie, ciò che viene meno sono gli effetti (cioè l’attribuzione
Rilevanza, efficacia, validità giuridica 101

dei diritti successori) e non il negozio testamentario che rimane in


vita continuando, eventualmente, ad essere fonte delle disposizioni
non ridotte. Viceversa, nel caso di annullamento, viene meno
totalmente l’atto testamentario e, con esso, ogni effetto.
L’inefficacia sopravvenuta può realizzarsi, poi, in forme diverse a
seconda dei fatti che ad essa danno luogo. Possiamo, al riguardo,
distinguere le seguenti ipotesi:
b.1) la caducazione degli effetti può avvenire, anzitutto, in modo
automatico: ciò si verifica nei casi in cui la legge attribuisce ad un
fatto sopravvenuto un valore caducatorio immediato. Si pensi, ad
esempio, alla c.d. revoca legale del testamento per la sopravvenienza
di figlio o al verificarsi della condizione risolutiva;
b.2) la caducazione degli effetti, invece, in altri casi, richiede
l’intermediazione della sentenza del giudice, come nel caso, ad
esempio, della risoluzione giudiziale. Qui, la legge richiede un
controllo dell’organo giudiziario per verificare la sussistenza dei
presupposti ai quali l’ordinamento ricollega la caducazione degli
effetti.
c) Inefficacia assoluta e inefficacia relativa.
Una distinzione importante è, poi, quella che attiene ai soggetti nei
cui confronti si produce il fenomeno della inefficacia. Vi sono, infatti,
delle ipotesi in cui l’atto si presenta inefficace solo rispetto a
determinati soggetti ed efficace rispetto ad altri. Facciamo un
esempio. Sappiamo che, quando un soggetto contrae
un’obbligazione, i creditori, in caso di inadempimento, possono
aggredire il suo patrimonio e, mediante una complessa procedura,
vendere i suoi beni e soddisfarsi sul ricavato. Può accadere, però, che
il debitore, prima dell’inadempimento, ceda un suo bene ad un terzo,
con la conseguenza che, poi, in caso di inadempimento, i creditori si
troveranno di fronte ad un patrimonio insufficiente a soddisfare le
proprie ragioni. Per scongiurare questo pericolo, la legge consente a
costoro di rivolgersi al giudice mediante la c.d. azione revocatoria ed
ottenere una dichiarazione di inefficacia dell’atto dispositivo, con la
conseguenza che il bene si considera come mai uscito dal patrimonio
del debitore e, perciò, suscettibile di essere aggredito dai creditori.
Nell’ipotesi, però, che ad agire con l’azione revocatoria sia solo uno
dei creditori, la dichiarazione di inefficacia gioverà solo a costui, nel
senso che, rispetto agli altri, l’atto di disposizione si considera efficace
e costoro non potranno aggredirlo. Questa ipotesi esemplifica bene il
concetto di inefficacia relativa: l’accoglimento dell’azione revocatoria
(proposta solo da alcuni creditori) crea la delicata situazione per cui
uno stesso atto (quello di disposizione) si presenta inefficace per
102 Dispense di diritto privato

taluni soggetti ed efficace per altri. Per converso, l’inefficacia assoluta


è quella in cui l’atto si presenta inefficace nei confronti di tutti o,
come si dice, erga omnes. Il negozio sottoposto a condizione
sospensiva, prima del verificarsi di questa, è inefficace verso
chiunque.
CAPITOLO OTTAVO

Diritti della personalità


e tutela giuridica della persona umana

Il problema del riconoscimento e della tutela dei diritti della


persona umana o diritti della personalità1 va affrontato e risolto a
livello politico, sociale e giuridico. Prescindendo dai primi due aspetti
valutativi, limiteremo in questa sede il piano dell'indagine
esclusivamente all'aspetto giuridico.
Prodromico all'argomento della tutela e, in particolare, all'esame
dei mezzi di tutela, civili e penali, preventivi e risarcitori, consentiti
dall'ordinamento, appare affrontare le problematiche relative
all'inquadramento concettuale di tali diritti, all'individuazione dei loro
caratteri essenziali, all'aspetto della ricostruzione teorica della
categoria in termini unitari o pluralistici ed, infine, all'individuazione
delle singole figure a cui l'ordinamento assicura protezione.
In passato, per lungo tempo, risultò piuttosto difficile inquadrare a
livello concettuale una categoria di diritti da assoggettare a tutela
giuridica che non risultasse, al contempo, suscettibile di valutazione
economica ed altresì suscettibile di apprensione materiale. Nei diritti
della personalità, invece, l'interesse da proteggere si atteggia in
modo diverso da quanto accade nei diritti reali e nei diritti di credito. I
beni che l'individuo mira a proteggere non si trovano collocati
all'esterno della propria persona bensì ineriscono alla sua individualità
fisica o morale2. I diritti della personalità si configurano, quindi, come
diritti a carattere non patrimoniale e relativi a beni immateriali ed
immanenti all'essere umano, secondo quella che, in termini moderni,

1
Tale terminologia si suole far risalire a Otto Gierke, il quale, sul finire del XIX
secolo, dedica notevole attenzione alla categoria dei Personlichkeitsrechte nel suo
Deutsches Privatrecht, Leipzing, 1895. L'impostazione data da Gierke appare
fondamentale per i futuri sviluppi del dibattito a livello europeo anche perché
l'autore coglie il duplice aspetto inerente la personalità dell'individuo: uno
strettamente morale ed uno a carattere patrimoniale.
2
Il carattere dell'estraneità alla persona del bene tutelato non è più considerato
un elemento indispensabile del diritto protetto. La stessa evoluzione del sistema
giuridico porta ad accogliere quelle opinioni che ammettono una tendenza
normativa che appare espressione di una concezione della persona umana non più
relegata al tradizionale campo dell'avere ma proiettata verso il campo dell'essere
dell'individuo.
104 Dispense di diritto privato

è la concezione della persona umana comunemente diffusa nelle


legislazioni dei paesi più evoluti3.
Al contrario di quanto avviene per i diritti a contenuto patrimoniale,
che sono (generalmente) oggetto di libera disposizione da parte dei
privati, i quali possono trasferirli, rinunziarvi ed anche perderli per
non uso protratto per il tempo stabilito dalla legge o quando un terzo
li usucapisca (sempre nell'ambito dei limiti di operatività degli istituti
della prescrizione estintiva e dell'usucapione), ai diritti della
personalità, in via di principio, a causa dei caratteri fondamentali che
contraddistinguono la categoria, non si estende questa disciplina.
Tuttavia oggigiorno si assiste ad una larga utilizzazione
«economica» dei diritti della personalità che potrebbe ingenerare, in
un quadro normativo carente ed incerto, una facile confusione,
superabile solo ove si consideri che gli attributi della personalità
possono presentare una duplicità di interessi: sia patrimoniali, sia non
patrimoniali. Solo questi ultimi sono ricompresi nella categoria dei
diritti della personalità.
Le caratteristiche tradizionali dei diritti della personalità sono:
l'assolutezza, l'inviolabilità, l'indisponibilità, l'irrinunciabilità,
l'intrasmissibilità, l'imprescrittibilità.
Il carattere dell'assolutezza garantisce una tutela esercitabile erga
omnes, cioè nei confronti di qualsiasi altro membro della collettività.
Conseguenziale alla loro inviolabilità è l'aspetto dell'indisponibilità che
non consente di disporne liberamente. Infine, ulteriore aspetto
caratterizzante tale categoria di diritti è l'imprescrittibilità dell'azione
diretta a far valere il diritto contro ogni fatto lesivo.
A ben guardare, tuttavia, secondo una parte della dottrina, si
rintraccerebbero delle ipotesi normative di disponibilità, rinunciabilità
e trasmissibilità. Si fa riferimento, per esempio, al principio del
consenso dell'avente diritto, nonché alle numerose disposizioni che
conferiscono a talune categorie di soggetti la possibilità di agire in
giudizio a tutela di alcuni aspetti della personalità del defunto o
consentono di fare valere in ogni tempo dopo la morte dell'autore il
diritto morale all'integrità dell'opera4.
Per quanto riguarda poi l'imprescrittibilità bisogna chiarire che
secondo una parte della dottrina è senz'altro vero che il soggetto non
può perdere la titolarità dei diritti in questione, mentre altra cosa è la
3
Infatti le origini della categoria dei diritti della personalità vanno rintracciate
nelle esigenze di tutela degli aspetti morali dell'essere umano in relazione ad
interessi che non rivestono natura patrimoniale, bensì costituiscono estrinsecazione
di profili immateriali dell'individuo.
4
Queste ipotesi, riconducibili nell'ambito del fenomeno successorio, vengono
definite come fattispecie di successione ex lege, nelle quali la volontà del de cuius
assume ben poca rilevanza.
Diritti della personalità e tutela giuridica della persona umana 105

prescrittibilità dell'azione risarcitoria (ove sia proponibile) per i fatti


illeciti commessi contro la personalità dell'individuo. In pratica, una
parte della dottrina mette in guardia dai rischi derivanti da un'illusoria
imprescrittibilità del diritto, quando poi sono quasi sempre
prescrittibili le azioni poste a sua tutela5.
Tornando alla ricostruzione dogmatica della categoria, in dottrina si
è discusso a lungo circa l'esistenza di un unico e generale diritto della
personalità ovvero sull'esistenza di una pluralità di (singoli) diritti
della personalità, quanti la legge ne contempla o il giudice ne
individua nella complessa vastità dell'ordinamento giuridico vigente.
La prima concezione (cd. monistica) trova il suo spunto in un ideale
parallelo con il diritto di proprietà, diritto a carattere assoluto,
esercitabile erga omnes, che, seppur nella sua essenziale unitarietà,
si esplica, dal punto di vista contenutistico, in una indefinita pluralità
di facoltà. All'accoglimento di tale concezione appare conseguenziale
un inquadramento riduttivo della tutela della persona umana che,
invece, alla luce dell'evoluzione storico-sociale, richiede una
protezione sempre più intensa.
E' per queste ragioni che nell'ambito del sistema attualmente in
vigore la tutela dei diritti della personalità trova terreno fertile
nell'avvicinamento al contesto normativo dei c.dd. fatti illeciti. Infatti,
il principio dell'atipicità dell'illecito, ricavabile dall'art. 2043 c.c.,
consente, proprio in virtù della clausola generale di responsabilità
extracontrattuale, di tutelare in maniera sempre più ampia le
espressioni della personalità dell'uomo. La concezione c.d. pluralistica
si atteggia, quindi, in una dimensione espansionistica, consentendo in
una visione in prospettiva un sempre possibile ampliamento della
sfera di protezione che circonda l'individuo, permettendo di
estenderla alla luce delle sopravvenute esigenze e di adeguarla alle
continue modificazioni tipiche della società moderna, che crea
sempre nuove insidie a pregiudizio dei diritti della personalità
dell'individuo.
La tutela apprestata dall'ordinamento si sviluppa a vari livelli. A
livello civile il legislatore ha disciplinato gli atti di disposizione del
proprio corpo (art. 5 c.c.), il diritto al nome (art. 6 c.c.), il diritto
all'immagine (art. 10 c.c.), oltre alla protezione accordata in generale
(ex art. 2043 c.c.) contro le attività effettuate in violazione del
fondamentale principio di convivenza del neminem laedere. A livello
penale il legislatore tutela, tra gli altri, il diritto alla vita, alla
incolumità fisica, alla libertà personale, all'onore e alla reputazione. Al
5
Riguardo alle azioni a tutela del nome appare possibile affermare la loro
imprescrittibilità per gli evidenti risvolti in ordine alla esatta identificazione degli
individui.
106 Dispense di diritto privato

riguardo si pensi alle norme del codice penale che puniscono le varie
ipotesi di omicidio (artt. 575, 579, 584, 589 c. p.), le lesioni (art. 582
c. p.), le percosse (art. 581 c. p.), il sequestro di persona (artt. 606,
639 c. p.), l'ingiuria (art. 594 c. p.), la diffamazione (art. 595 c. p.). A
livello costituzionale, l'art. 2 dichiara in modo espresso che la
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'essere
umano, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove egli esplica
la sua personalità, tutelando in tal modo con questa formula aperta
ogni espressione ed ogni interesse collegato alla realizzazione della
personalità dell'uomo. Oltre al citato art. 2 va ricordata l'importanza
fondamentale dell'art. 3 che esprime il principio dell'uguaglianza
formale (comma 1) e sostanziale (comma 2) tra i cittadini, degli artt.
13 e seguenti concernenti le libertà fondamentali, in particolare l'art.
14 sulla inviolabilità del domicilio e l'art. 15 sulla segretezza della
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, dell'art. 32 in
materia di salute dei cittadini e dell'art. 41 nella parte in cui vieta
l'iniziativa economica che rechi danno alla libertà ed alla dignità
umana. A livello internazionale, infine, possiamo ricordare la
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni
Unite nel 1948 e La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo del
1950.
Quanto alle singole figure, positivamente disciplinate o individuate
dalla giurisprudenza nell'ambito dell'ordinamento vigente, va
menzionato in primis il diritto alla vita6. L'art. 5 c.c. vieta gli atti di
disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione
permanente dell'integrità fisica o quando siano contrari alla legge,
all'ordine pubblico ed al buon costume (si consideri tuttavia
l'eccezione legislativa costituita dalla donazione del rene).
Riceve tutela, anche a livello costituzionale (art. 22), il diritto al
nome (art. 6 c.c.)7. L'art. 7 c.c. appresta una duplice protezione
esperibile, sia in caso di contestazione del diritto all'uso del proprio
nome (c.d. azione di reclamo), sia in caso di uso indebito che altri ne
faccia con pregiudizio dell'effettivo titolare (cd. azione di
usurpazione), tramite richiesta giudiziale di cessazione del fatto lesivo
e sempre salvo il risarcimento dei danni. Il successivo art. 8 legittima
all'esercizio dell'azione di reclamo e dell'azione di usurpazione anche
colui che, pur non portando il nome oggetto di contestazione o di uso
indebito, abbia tuttavia alla tutela del nome un interesse fondato su
6
La tutela civilistica del diritto alla vita appare senz'altro inadeguata.
Sull'argomento v. CAPIZZANO, Vita ed integrità fisica, in Noviss. dig. it., XX, Torino,
1975; CHERUBINI, Tutela della salute e cd. atti di disposizione del corpo, in Tutela della
salute e diritto privato, Milano, 1978, 71.
7
Sul diritto al nome v. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali diritto civile, Napoli,
1966, 50; N. COVIELLO, Il nome della persona, in Dir. fam., 1986, 278.
Diritti della personalità e tutela giuridica della persona umana 107

ragioni familiari degne di essere protette. L'art. 9 c.c., infine,


rinviando a quanto disposto dall'art. 7, tutela lo pseudonimo8 quando
quest'ultimo è usato da una persona in modo tale da acquistare
l'importanza del nome.
L'art. 10 c.c., contemplando il diritto all'immagine9, chiude il breve
catalogo dei diritti positivamente previsti. Tale norma stabilisce che
nel caso in cui l'immagine di una persona, dei genitori, del coniuge o
dei figli sia esposta o pubblicata al di fuori dei casi in cui l'esposizione
o la pubblicazione è consentita dalla legge, oppure con pregiudizio al
decoro o alla reputazione delle persone indicate, l'autorità giudiziaria,
su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il
risarcimento dei danni.
Oltre a queste figure positivamente contemplate dal codice civile è
possibile rinvenire altri diritti della personalità considerati meritevoli
di tutela. Così avviene per il diritto all'onore, al decoro ed alla
reputazione10, per il diritto alla riservatezza11, cioè all'intimità della
vita privata (cd. privacy), per il diritto alla identità personale12, cioè il
diritto ad essere se stessi, per il diritto alla salute13 , per il diritto alla
integrità fisio-psichica14 .
Spostando l'attenzione sugli strumenti di tutela apprestati dal
nostro ordinamento a protezione dei diritti della personalità, deve
ammettersi che essi non appaiono molto efficaci15 in quanto non

8
Cfr. PIAZZA, Pseudonimo, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 893.
9
In dottrina si segnala C. SCOGNAMIGLIO, Il diritto di utilizzazione economica del
nome e dell'immagine delle persone celebri, in Dir. inf., 1988, 1. In giurisprudenza
v. Cass., 10 novembre 1979, n. 5790, in Giur. it., 1980, I, 1, 432.
10
Sul diritto all'immagine v. ZENO ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del
diritto civile, Napoli, 1985; RICCIUTO, La valutazione del danno alla reputazione ed i
criteri di determinazione del quantum nei recenti orientamenti giurisprudenziali, in
Dir. inf., 1988, 321.
11
V. GIORGIANNI, La tutela della riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 13; P.
RESCIGNO, Il diritto all'intimità della vita privata, in Studi in onore di F. Santoro
Passarelli, IV, Napoli, 1973, 119.
12
Sull'argomento v. ALPA, BESSONE e BONESCHI, Il diritto all'identità personale, Padova,
1981.
13
In tema di diritto alla salute v. Corte cost., 7 maggio 1991, n. 341 e 18 luglio
1991, n. 356. Sul danno «biologico» v. Corte cost., 30 giugno 1986, n. 184. In
dottrina v. DOGLIOTTI, Danno biologico e diritto alla salute tra Corte Costituzionale e
Cassazione, in Giur. it., 1982, I, 1, 920; ALPA, Danno «biologico» e diritto alla salute.
Una ipotesi di applicazione diretta dell'art. 32 Cost., in Giur. it., 1976, I, 2, 433;
BUSNELLI e GARBAGNA, La valutazione del danno alla salute, Padova, 1988.
14
La problematica è sorta soprattutto in relazione al fenomeno del cd.
transessualismo. In dottrina v. M. MANTOVANI, Legge 14 aprile 1982 n. 164: norme in
materia di rettificazione di attribuzione di sesso, in Nuova giur. civ. comm., 1985, II,
1; PATTI, Mutamento di sesso e tutela della persona, Padova, 1986.
15
In altri ordinamenti sono previsti mezzi di tutela diversi. Ad esempio il sistema
francese conosce il rimedio delle astreintes consistente nel pagamento di una
somma di denaro che aumenta progressivamente parallelamente al protrarsi del
fatto lesivo.
108 Dispense di diritto privato

sempre consentono: a) di prevenire la lesione del diritto; b) il


risarcimento in forma specifica; c) la globale riparazione dei pregiudizi
subiti.
Questa situazione dipende principalmente da due ordini di ragioni:
innanzitutto dalla natura stessa di tali diritti, che ha reso difficile
l'applicazione degli schemi tradizionali e, in secondo luogo, dalla
diffusa convinzione che trattandosi di aspetti «inestimabili»
dell'essere umano, compensarne la lesione con una somma di denaro
equivarrebbe a svilirne il contenuto.
L'ordinamento consente, innanzitutto, al soggetto leso la possibilità
di rivolgersi al giudice per chiedere la cessazione del comportamento
lesivo. Tuttavia la sentenza inibitoria del giudice non sempre serve
concretamente ad impedire che il predetto comportamento continui.
Esiste poi la possibilità di pubblicare su uno o più giornali la
sentenza per ordine del giudice, oppure la c.d. rettifica cui ha diritto il
soggetto che si sia visto attribuire la paternità di comportamenti o di
espressioni non rispondenti al vero. La rettifica si atteggia come una
sorta di risarcimento in forma specifica e deve avere la stessa
diffusione che ha avuto la notizia falsa che essa mira a correggere.
Esiste, altresì, la possibilità di agire per il risarcimento del danno ex
art. 2043 c.c., con la possibilità di risarcimento in forma specifica ex
art. 2058 c.c. Rimane fermo, tuttavia, il limite della patrimonialità del
danno da risarcire, essendo il danno non patrimoniale risarcibile solo
nei casi previsti dalla legge (art. 2059 c.c.), in particolare in caso di
reato (art. 185 c.p.)16 .
Un ulteriore aspetto che merita attenzione è quello concernente la
tempestività dell'intervento che l'ordinamento consente a tutela dei
diritti della personalità. Molto spesso, infatti, solo la cessazione
immediata del comportamento lesivo è in grado di eliminare o
arginare il pregiudizio. In tale contesto si inserisce la possibilità
dell'intervento del giudice con un provvedimento d'urgenza ex art.
700 c.p.c.17 . Infatti, il soggetto interessato può rivolgersi al giudice
16
La problematica del danno non patrimoniale è oggetto di vivace e sempre
attuale dibattito. In dottrina si è cercato di superare la lettura restrittiva dell'art.
2059 c.c. operata dalla giurisprudenza. In tal senso cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Il danno
morale, in Riv. dir. civ., 1957, I, 277; RAVAZZONI, La riparazione del danno non
patrimoniale, Milano, 1962; BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983; BONILINI,
CENDON, PARADISO, SALVI e TOMMASINI, Danno patrimoniale e non patrimoniale: una
distinzione ancora valida?, in Dir. inf., 1986, 769.
17
Le prospettate notevoli difficoltà che caratterizzano un'adeguata tutela
risarcitoria hanno portato frequentemente al ricorso al provvedimento di natura
cautelare previsto dall'art. 700 c.p.c. Tuttavia, anche questo percorso solleva
notevoli dubbi, in relazione alla funzione tipica dello strumento cautelare.
Sull'argomento v. ARIETA, I provvedimenti d'urgenza, Padova, 1982; CHIEFFI, Tutela
cautelare e diritti di rilievo costituzionale (aspetti problematici), in Giur. cost., 1986,
I, 2577.
Diritti della personalità e tutela giuridica della persona umana 109

chiedendo un provvedimento provvisorio (che la legge non individua


specificamente lasciandone la scelta al prudente apprezzamento del
giudice), idoneo ad evitare che, durante il tempo occorrente per il
giudizio in via ordinaria, il diritto sia leso da un pregiudizio imminente
ed irreparabile. In tal modo, è possibile assicurare provvisoriamente,
nelle more del giudizio, gli effetti della decisione sul merito.
Stampato nel mese di ottobre 2002

Potrebbero piacerti anche