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Francesco Carotta

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Conferenza tenuta ad Offnadingen


sabato 22 gennaio, ore 17
(circolo chiuso)

“SULL’ORIGINE GIULIANA DEL CRISTIANESIMO”

Chi, non conoscendo l’autore, si fosse aspettato di udire soltanto riferire


sui ben noti influssi giuliani sul Cristianesimo sarebbe rimasto sorpreso.
Non vi fu infatti questione soltanto del calendario giuliano, intro-
dotto notoriamente da Giulio Cesare – da cui il nome – e mantenuto dai
Cristiani, in vigore fino ad oggi nelle Chiese Ortodosse, ed in Occidente
rinominato gregoriano per la piccola modifica introdottavi da Papa
Gregorio VII alfine di correggervi gli eccessivi anni bisestili.
Vi si apprese anche che l’anno di nascita di Gesù venne fissato nel 6º
secolo dal monaco Dionisio Esiguo in modo tale che Giulio Cesare ri-
sultò essere nato esattamente 100 anni prima – senza curarsi di Erode,
che risultava così essere morto 4 anni prima che nascesse quel Cristo, la
notizia della cui nascita lo avrebbe dovuto indurre a perpetrare il mas-
sacro degli innocenti. Apparentemente a quel monaco trace ed ai sui
commissionari, papa e patriarchi, l’ancoraggio a tutto tondo della nuo-
va datazione dalla nascita di Cristo a quella dalla nascita di Giulio Ce-
sare era più importante che la sua attendibilità storica.
A riprova che Giulio Cesare aveva già contato gli anni a partire dalla
sua nascita, vennero mostrate monete da lui coniate dopo la battaglia
di Farsalo, in cui egli aveva indicato, dietro il capo di Venere, la dea ma-
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dre dei Giulii, nel luogo dove abitualmente si vede Amor, la sua età: LII
(52).

Idem si osserva per quanto riguarda la data di morte. Come punto


di riferimento per le sue tabelle che permettevano di stabilire universal-
mente per tutti i cristiani la festa pasquale, la pasqua storica venne fis-
sata dallo stesso monaco nell’anno 31, cioè un ciclo pasquale di 76 anni
dopo l’introduzione del calendario giuliano nell’anno 46/45 a.C.
(Per chi praticasse l’internet vedasi per esempio questa pagina:
http://hbar.phys.msu.su/gorm/chrono/paschata.htm )
Anche questo ciclo di 76 anni è tondo perché composto da 4 cicli me-
tonici (da Metone, un greco che scoprì che le fasi lunari ricorrono tutti
i 19 anni), il che permette nel calendario giuliano con una sola tabella
di 76 anni di predire la Pasqua per tutti gli anni a venire.
La Pasqua come si sa va colla luna, ed è una festa mobile perché nel
calendario giuliano i mesi non corrispondono più alle lune, ma sono un
12º circa dell’anno solare (sinodico), più lungo di 12 lune.
E’ noto che Gesù morì secondo il vangelo il 15 del mese di nizan,
mentre Giulio Cesare fu ucciso notoriamente alle idi, cioè il 15, di mar-
zo. Ora nizan e marzo si corrispondono essendo rispettivamente il pri-
mo mese di primavera nel calendario babilonico ed in quello giuliano.
Una strana coincidenza.
Si sa che ad inferire il colpo mortale a Cesare fu Cassio Longino,
mentre un omonimo Longino colpì Gesù sulla croce colla lancia al co-
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 3
stato. Questo Longino fu poi fatto santo, e la sua festa cade guarda caso
proprio il 15 marzo: le idi di marzo!
Ma Giulio Cesare e Gesù Cristo non hanno soltanto il loro Longino
in comune, ma per esempio anche il loro Paolo. Perché se fu Paolo a co-
struire la Chiesa di Gesù, fu un altro Paolo, Paolo Emilio Lepido, che
costruì la prima basilica sul foro romano, per conto di Cesare.

Ed anche quel Paolo era stato prima un Saulo, avendo dapprima per-
seguitato i cesariani come Saulo i cristiani, passando poi a Cesare quan-
do questi gli offrì i fondi per costruire la sua basilica. Ora si sa che la
parola ‘chiesa’ in tutte le lingue significa al contempo l’edificio e l’istitu-
zione – come dovette imparare anche San Francesco, che dapprima non
capì cosa intendesse il crocifisso di San Damiano che gli diceva di rico-
struire la sua chiesa: la chiesa o la Chiesa?
Comunque quella prima basilica di Paolo Emilio Lepido servì da
modello per tutte le basiliche successive, in particolare per quelle cristia-
ne: anche le cattedrali furono costruite su quello schema. La ricostruzio-
ne degli interni approntata dall’università di Caen mostra che l’ambien-
4 Sunto

te interno era già quello a noi familiare: ci si sente a Santa Maria Mag-
giore.

A questo punto si ebbe la sorpresa della serata: venne mostrata la


scena centrale del funerale di Cesare, ricostruita da Pol di Closeau a
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 5
partire dalle fonti (latina: Svetonio, Jul. 84; e greca: Appiano, BC 2.146-
147).

Il disegnatore belga che vive ad Utrecht ha colto il momento il cui


Antonio scopre con una lancia l’effige in cera di Cesare morto, fissata
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ad un tropeo cruciforme eretto a capo della bara in forma del tempio di


Venere Genitrice, mostrandone al popolo inorridito le ferite inferte dai
pugnali degli assassini su tutto il corpo, ed in particolare quella mortale
al costato. Era infatti usanza presso i romani approntare una statua in
cera del defunto da esporre durante un funerale per farlo vedere come
era stato durante la vita. Ora Antonio, non potendo mostrare Cesare
nella veste rossa regale, colla corona aurea etrusca in testa, come sareb-
be convenuto al dittatore a vita, perché proprio per questo i congiurati
l’avevano ucciso: perché, dicevano, aveva voluto farsi re (come Gesù!),
fece approntare una statua in cera che ne mostrasse il corpo martoriato,
come egli era caduto sotto i colpi di pugnale. Ora distesa sui rostra, cioè
sulla piattaforma da cui parlavano gli oratori nel foro romano, quell’ef-
fige in cera non sarebbe stata visibile. Antonio la fece dunque fissare su
un tropeo cruciforme, reso girevole da una meccanica perché tutti la ve-
dessero. Dapprima rimase ricoperta dalla veste insanguinata nella quale
Cesare era stato ucciso, finché Antonio, ad un dato momento del suo di-
scorso funebre la sollevò con una lancia, rivelandone il corpo. A quella
vista insopportabile il popolo fu preso da furore, bruciò il corpo nel
foro romano stesso, e diede la caccia agli assassini che fuggirono da Ro-
ma.
Confrontando questa ricostruzione dell’esposizione della particolare
croce di Cesare al suo funerale coi crocifissi cristiani, si scopre che Cri-
sto sulla croce comincia a pendere solo a partire dal rinascimento: pri-
ma, per tutto il primo millennio della nostra era, mai pende – proprio
come l’immagine di cera di Cesare.

Italico
420/430
A. D.
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 7

Carolingio – 9º sec. 10º sec.

San Damiano – 12º sec. Giotto – ca. 1305

Rubens – 1620 Papa – 21º sec.

Si scopre altresì che il crocifisso è fissato fin dall’inizio da chiodi sulle


mani, cosa impossibile per una persona in carne ed ossa, che per la forza
peso dovrebbe essere legata ai polsi; che nei primi cinque secoli i croci-
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fissi non hanno suppedaneo, cioè stanno eretti senza avere dove posare
i piedi – cosa possibile e logica invece se si tratta di una figura in cera,
che essendo foggiata attorno ad una struttura in legno, viene logicamen-
te fissata con chiodi alle estremità, là dove sono modellate le mani, e non
ha bisogno di suppedaneo.
Risultato coerente con il fatto risaputo che i padri della Chiesa nei
primi secoli non parlano di crocifissione, nè di Ponzio Pilato, assenti an-
che nella prima stesura del simbolo al concilio di Nicea nel 325:

http://www.ccel.org/s/schaff/creeds2/htm/ii.xii.ii.iii.htm
Anche il Corano afferma che Gesù non è stato crocifisso, ma che fu solo
‘mostrato loro’ (sura 4.157).
Questo fu il punto di partenza per un discorso coerente che passando
in rassegna monete, statuaria e mosaici romani, giustapponendoli sinot-
ticamente all’iconografia cristiana—risurrezione di Cesare su una mo-
neta di Buca > figure del Venerdì santo; ascensione del Divo Giulio su
un altare di Augusto > ascensione di Cristo-Helios al mausoleo dei Giu-
lii sotto San Pietro; la Pietà: senza corrispondenza nel Vangelo, ma ri-
producente Calpurnia che nell’ultima notte della di lui vita sognò di te-
nere in grembo il corpo di Cesare grondante di sangue; ecc.—evidenziò
come l’intero immaginario cristiano ci provenga in linea diretta dal cul-
to del Divus Iulius, quale la storia ce lo ha tramandato.
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 9
10 Sunto

A proposito “pietà”: vi è un volto di Cesare dall’espressione molto


particolare, che si suppone essere appartenuto alla statua che Antonio
fece erigere sui rostra dopo le idi di marzo, portante l’iscrizione Parenti
Optime Merito, “al genitore ottimamente meritevole”, collo scopo di
suscitare negli osservatori pietà e desiderio di vendetta al contempo. Ci-
cerone ne fu molto impressionato, poiché quell’iscrizione bollava colo-
ro che si reputavano tirannicidi come parricidi. E poiché la “Pietà” è
considerata tipica di Gesù ma non di Cesare, questo volto sconvolge gli
schemi correnti.

Essa portava la corona di quercia del “salvatore”, del sôtêr, avendo


Cesare salvato non solo i romani dall’atavico pericolo gallico, ma i suoi
nemici in guerra, sia nella battaglia che dalle vendette dopo la battaglia.
Con la detta corona in testa, messa in una chiesa, le nonnine si fa-
rebbero il segno della croce passandole davanti.
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Questa senzazione di trovarsi davanti alla rappresnetazione di un
uomo-dio, e non di uno qualunque, ma di uno a noi ben noto, si ha an-
che contemplando altri ritratti di Cesare, per esempio su questa moneta
di Buca con la dicitura Dictator Perpetuo, e considerato il ritratto più
autentico di Cesare.
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Ci è rimasto conservato anche il ritratto di Bruto, Marco Giunio


Bruto, il sicario, il Barabba del Vangelo. Si fece infatti ritrarre su monete
d’oro dove sul retro, ostentando due pugnali con la dicitura Eid(ibus)
Mar(tiis) affiancanti il pilleus libertatis, il berretto della libertà, Bruto
si esalta insieme a Cassio per il “tirannicidio” che si immaginavano di
aver compiuto.

Ponendo il pilleus libertatis sul capo di Bruto, si ottiene il suo ritratto


autentico, se non autografo:

Si noti che il pilleus cornutus, che nel medio evo la chiesa impose ai giu-
dei di portare, doveva indicare che essi erano deicidi. Non lo erano,
come abbiamo mostrato più su – erano giudei e non Giunii – ma l’idea
che il pilleus era il marchio dei deicidi, la chiesa non se l’era inventata,
ma l’aveva ripresa dall’assassino di Cesare, che ne aveva fatto il suo at-
tributo emblematico.
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 13
A questo punto si passò ai manoscritti.
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Sul bilingue greco-latino Bezae Cantabrigiensis si poterono osserva-


re le occasioni di errori di trascrizione, inevitabili in un’epoca in cui si
scriveva tutto in maiuscole, senza interspazi ed usando abbreviazioni
per i nomi sacri. Cosicchè l’abbreviazione IS che è scontata stare per Ie-
suS, dandone secondo l’uso greco la prima e l'ultima lettera, risulta es-
sere identica all’abbreviazione di IuliuS, che comincia anch’essa con una
“i” e termina ugualmente con una “s”.

Sono noti gli errori di separazione che si possono fare in tedesco, con
quei lunghi termini composti, e ancor più se ne farebbero se scrivessimo
ancora tutto in maiuscole come nei primi secoli della nostra era: Blu-
mentopferde può essere erroneamente analizzata in Blumento-Pferde
invece che correttamente in Blumen-Topf-Erde. Allo stesso modo i co-
pisti del vangelo poterono separare DIVVS in Div us, che in greco suo-
na “figlio di Zeus”, “figlio di Dio” o “figlio di David” a seconda del co-
pista; e similmente GAIVS in Gai us, “figlio di Gaio” o rispettivamente
“figlio dell’uomo”.
Ed è noto che la stessa parola in una lingua può significare un’altra
cosa, od anche il contrario, in un altra. Così l’italiano caldo non va con-
fuso con il tedesco kalt. Ora si da il caso che la parola cremo significhi
in latino “cremare, bruciare, incenerire un corpo”, mentre l’omofono
greco kremô significa “appendere”, “crocifiggere”. Fu questa l’origine
prima che fece pensare all’esposizione dell’effige in cera di Cesare, in re-
altà cremato sul foro, come se fosse stata la sua crocifissione? Se è vero
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 15
quel che la tradizione cristiana ha sempre mantenuto, e cioè che il primo
vangelo in ordine cronologico, quello di Marco, fu scritto in latino a
Roma, allora una tale confusione di una parola latina presa per greca fu
possibile al momento della sua trascrizione in greco. Soprattutto se si
considera quale fu l’ambiente in cui tale processo avvenne: quello dei
veterani dedotti nelle colonie cesariane in tutto l’impero, in particolare
in Asia Minore, dove il cristianesimo primamente si espanse, e dove an-
che la posteriore predicazione di Paolo ebbe più successo. Sacrae Scrip-
turae sermo humilis – “il linguaggio della Sacra Scrittura è umile”, come
suol dirsi. E gli umili non solo parlano umilmente, ma si divertono an-
che ad ogni sorta di giochi parole, cosa che possiamo notare nei discorsi
dalla “botte” (Bütt) che vengono fatti in questi tempi di carnevale.
Ora i veterani di Cesare si divertivano a prendere in giro i loro nemi-
ci giurati, che portavano tipici nomi romani, i quali usavano evidenziare
particolarità o difformità fisiche, quali i Cecilii, cioè i “Ciechi”, o i
Claudii, cioè i “Claudicanti”, gli “Zoppi” – che Cesare sconfisse: i Cie-
chi dovettero aprire gli occhi, e gli Zoppi se ne scapparono a gambe le-
vate. E guarda caso Gesù guarisce i ciechi e gli zoppi. Le miracolose vit-
torie di Cesare si ritrovano ad essere i vittoriosi miracoli di Gesù.
Tali parallelismi non sono dati a caso, ma si svolgono secondo se-
quenze cronologiche, e si ripetono coerentemente.
Cesare all’inizio della guerra civile si trova in un paese al nord, in
Gallia; anche Gesù all’inizio della sua vita attiva si trova in un paese al
nord, in Galilea:
GALLIA > GALILAEA.
Entrambi attraversano un fiume di confine, ed entrano in una città:
Corfinio e Cafarnao rispettivamente:
CORFINIVM > CAFARNAVM.
A Corfinio Cesare trova la città occupata dal nemico, e la prende
d’assedio scacciandone il pompeiano. A Cafarnao Gesù trova uno pos-
seduto dal demonio, che lui scaccia. Ora “occupato” o rispettivamente
“assediato” e “posseduto” si dicono in latino colla stessa parola: obses-
sus.
Per verificare se questi parallelismi siano dovuti al caso o se seguano
una logica, basta guardare se al prossimo assedio operato da Cesare
corrisponda di nuovo un ossesso nel vangelo. Ed infatti così è: Cesare
prende d’assedio Pompeo e tutte le sue legioni. Ma non riesce a vincerlo
perché questo si tiene nelle sue fortificazioni. Gesù si imbatte in un altro
posseduto dal demonio, che dice di chiamarsi “Legione”, che non si rie-
sce a legare perché si tiene nei monumenti (Mc 5:1-11). Ora queste due
parole, “fortificazioni” e “monumenti” si dicono in latino con due pa-
role molto simili:
16 Sunto

MVNIMENTA > MONVMENTA


E così di seguito per tutto il vangelo, che si rivela essere una storia
mutata della guerra civile romana, dal Rubicone fino all’assassinio ed al
funerale di Cesare, cioè dal Giordano fino alla cattura ed alla crocifis-
sione di Gesù.

Anche i due traditori si corrispondono: Bruto e Giuda.


E qui uno potrà obiettare: sì, ma i nomi questa volta non corrispon-
dono!
A prima vista, no: ma a guardarci bene si scopre che Bruto il tradi-
tore si chiamava col suo nome completo Decimus Iunius Brutus. Ora
Iunius in greco diventa Iunas, come p.e. Lucius divenne Lukas. Da con-
frontare abbiamo Iunas e Iudas, che in greco hanno una grafia quasi
identica:
IOUNAS > IOUDAS
La differenza è minima e sta soltanto nella diversa direzione dell’ul-
tima asta di N e D, rispettivamente verso l’alto e verso sinistra.
Da notare che neanche il prenome Decimus è andato perduto: esso
significa in latino “decimo”, mentre corrispondentemente di Giuda vie-
ne detto essere egli “uno dei dodici” – cosa che il decimo indubitabil-
mente è.

Un’altra particolarità dell’oriente, allora come oggi, è la compresenza di


alfabeti letti da destra verso sinistra o da sinistra verso destra. Oggi
quello latino (turco, inglese) e l’arabo o l’ebraico, allora il greco e l’ara-
maico. A confusione prestava particolarmente il fatto che all’epoca l’al-
fabeto greco era praticamente identico a quello aramaico, dal quale pro-
veniva, differenziandosi solo per la specularità. Per di più il greco stesso
anticamente si scriveva indifferentemente da destra verso sinistra o vi-
ceversa, a seconda dei casi, addirittura a volte bustrophedon, cioè “co-
me voltano i buoi (quando arano)”: andando in un senso ed al ritorno
nell’altro. Ciò indusse lettori pratici dell’aramaico a legger eventual-
mente come tali nomi latini, e quindi strani in greco, quando questi ca-
sualmente risultavano familiari in aramaico se letti specularmente. Que-
sto è il caso per Antonio che si ritrova come Simon, che stranamente ap-
pare preferibilmente all’accusativo, cioè con la “a” finale: Simona (così
in Mc 1:16: eiden Simona, “vide Simone”). Antonius infatti, letto da de-
stra verso sinistra, dà facilmente Simona:
ANTONIVS <|> SVINOTNA > SUINWTNA > SIMWNA
Altri esempi di questa stessa lettura inversa di nomi sono: Pisone, che
divenne Giuseppe. Ma come? Semplice:
PISO > OSIP > IOSIP > IOSEPH
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 17
Od ancora Ravenna, che in inversione sillabica divenne Nazara, più
nota come Nazareth:
RaVeNa > NaVeRa > NaZeRa > Nazara > Nazareth

Ma vi sono anche nomi che sono stati ripresi pari pari, senza nessuna
modifica: così quello di Longino che abbiamo visto, oquello della ma-
dre, Maria, che corrisponde a quello della zia di Cesare, Giulia, la sua
“madre” politica, la quale essendo stata la moglie di Mario, passava per
Maria. Questo spiega anche la sovrabbondanza di Marie nel Vangelo:
sono le diverse Giulie, nate od acquisite, fra le quali spicca Maria Mad-
dalena, che si rivela essere Cleopatra (il nome derivante dalla torre,
“magdala” in cui si asserragliò nel vano tentativo di sfuggire ad Otta-
viano). Anche personaggi minori si ritrovano, per esempio Nicomede di
Bitinia, che si ritrova nel Vangelo come Nicodemo di Betania. Ecc.

A questo punto la conferenza fu interrotta per non affaticare gli ascol-


tatori, e cominciò la discussione.
La prima domanda era ovviamente scontata: Come è possibile che la
storia di Giulio Cesare sia diventata il Vangelo, o addirittura che Cesare
sia diventato Gesù?
La risposta fu che non fu Cesare a diventare Gesù, ma Divo Giulio,
Divus Iulius. Una differenza fondamentale: mentre infatti un uomo na-
sce, vive e muore, coi suoi pregi e difetti, il dio al quale egli postumo vie-
ne innalzato, è, fu, e sarà, in eterno: perfettissimo. Questo era molto
chiaro agli antichi. Il precedente Romolo infatti, anch’egli trucidato dai
senatori e poi fatto dio, venne chiamato Quirino: Romolo come uomo,
ma Quirino come dio. Idem per Cesare, che come Dio ebbe un nome
proprio: Divus Iulius, il Divo Giulio. Per usare un’immagine: fra i due
vi è lo stesso rapporto che c’è fra il bruco e la farfalla: la farfalla provie-
ne dal bruco, ma non è un bruco, e ripugna pensare che lo sia stata. O
come fra un missile ed un satellite: fu il missile a spingere su il satellite,
ma il satellite ha la sua vita ed identità propria, e dopo duemila anni, e
diversi equipaggi che abitarono la stazione spaziale, sarà facile preten-
dere che non furono i russi a metterla in orbita.
La seconda fu altrettanto inevitabile: Ma sono due personaggi com-
pletamente diversi, l’uno un condottiero armato, che faceva sempre
guerre, l’altro un profeta scalzo, che predicava l’amore del prossimo.
In luogo di risposta fu chiesto al pubblico di dire chi avesse detto:
“Non sono venuto a portare la pace, ma la spada!” Non sempre infatti
si sa che quella frase è di Gesù (che si preferirebbe attribuire a Maomet-
to se non a Cesare). E viceversa, chi disse: Haec nova sit ratio vincendi,
ut misericordia et liberalitate nos muniamus – “questa sia il nuovo
18 Sunto

modo di vincere: munendoci di misericordia e di liberalità”? Chi imma-


gina che tale “ratio” sia di Cesare? Chi ha ancora presente la famosa
clementia Caesaris, la proverbiale clemenza di Cesare, quella che lo por-
tò a perdonare ai suoi nemici, anzi ad innalzarli alle più alte cariche del-
lo stato – i quali per ringraziarlo lo uccisero? Chi sa che il nuovo coman-
damento – ama i tuoi nemici – fu praticato da Cesare, e fino alla morte,
molto prima che venisse messo in bocca a Gesù?
Venne chiesto poi quale fosse il messaggio che si voleva comunicare.
Il conferenziere ribadì ciò che aveva detto in esordio: essere sua in-
tenzione presentare soltanto dei fatti, da cui poi ognuno poteva trarre
le conclusioni che voleva. Da questi fatti si poteva però dedurre logica-
mente, che per esempio i giudei non sono stati deicidi, perché Cesare
non fu ucciso dai giudei ma dai Giunii (Bruti), non dai IVDAEI ma dai
IVNII – gli uni essendo stati confusi cogli altri nel corso della guerra
giudaica, quando nell’abituale processo di demonizzazione del nemico,
i ribelli giudei furono uguagliati ai Giunii, assassini di Cesare. All’inver-
so però se ne poteva dedurre anche che Gesù non era un giudeo – come
del resto l’iconografia cristiana sempre ha voluto, che non lo raffigura
mai come giudeo, ma nei tratti di un dio ellenistico, ed inizialmente sen-
za barba (v.s). Cosicchè le crociate, passate e presenti, in quanto furono
fatte per liberare il Santo Sepolcro, ce le si sarebbe potute risparmiare,
poichè il sepolcro del “Gesù” storico fu a Roma, e mai a Gerusalemme.
Il risultato più macroscopico però rimaneva che ora l’esistenza sto-
rica di Gesù veniva finalmente provata, poiché se l’esistenza di un pro-
feta scalzo in Galilea poteva essere messa in dubbio – come venne messa
in dubbio nel corso dei secoli, da Voltaire, passando per Renan, Strauß,
Wrede, Bruno Bauer e compagnia bella – l’esistenza di Cesare è indubi-
tabile, poiché nessuno fra i mortali e gli immortali ha mai lasciato nella
storia e nella civiltà un’impronta più indelebile. A qualcuno dispiacerà,
e farà fatica ad accettare che Gesù sia in realtà Divus Iulius, Pontefice
Massimo, figlio di dio, e lui stesso dio. Ma si perde veramente al cam-
bio?
Senza dubbio ciò salva la Pasqua. Che significato avrebbe infatti fe-
steggiare la resurrezione dell’uomo-dio, del Dio incarnato, se egli non
fosse mai esistito? Che significato avrebbe infatti un sepolcro vuoto, se
colui che doveva esservi sepolto non fosse mai nato?
Cosicchè questa ricerca, che potrebbe presentarsi a prima vista come
dissacrante, si rivela paradossalmente come un’ancora di salvezza per la
dottrina cristiana. Il cardinale Ratzinger, che deprecò ultimamente la
difficoltà a rendere plausibile all’uomo moderno l’esistenza di Gesù, do-
vrebbe logicamente essere felice della scoperta. Sempre che le reazioni
in questo campo tabuizzato possano essere razionali.
Sull’ Origine Giuliana del Cristianesimo 19
Un’ultima domanda riguardò le genealogie di Gesù presenti nel Van-
gelo, che ne fanno un discendente della stirpe di David.
La risposta fu che come è noto soltanto due vangeli su quattro con-
tengono una genealogia di Gesù: assente in Marco, il più antico dei van-
geli, e assente in Giovanni, l’altro importante vangelo non sinottico. E
in coloro che la riportano, i sinottici Matteo e Luca, che seguono Marco
apportandovi dei complementi, esse sono completamente diverse: i
nomi che avanza Luca essendo diversissimi da quelli di Matteo, con ul-
teriori notevoli variazioni da manoscritto a manoscritto, quasi che
ognuno si sia scritta la propria. Più interessante ancora è che nella ge-
nealogia di Matteo fra tutti quei nomi di patriarchi, l’uno generante l’al-
tro, si intercalano quattro nomi di donna di dubbia virtù, Tamara,
Rahab, Ruth e la donna di Uria. Quasi che l’intenzione prima di Matteo
non fosse quella di dare una genealogia di Gesù, ma di presentare un mi-
drash, cioè di mostrare ai giudei, suoi primitivi correligionari, che anche
nelle loro scritture vi erano donne che avevano concepito figli non dal
loro marito, giustificando così l’immacolata concezione di Maria, con-
siderata adultera non essendo Gesù figlio di Giuseppe.
L’ultimo intervento dal pubblico riportò il famoso dilemma in cui si
sarebbero trovati i primi cristiani, che fra Cesare e Cristo, dissero no a
Cesare e scelsero Cristo.
Il conferenziere fece notare che in quel detto la parola “Cesare” non
indicava Giulio Cesare ma i “Cesari” che lo seguirono, cioè gli impera-
tori che a lui si richiamarono e di cui ripresero il nome. Ma rifiutare il
Cesare attuale, opponendogli il “chrêstos”, cioè il “buon” Cesare, il Ce-
sare “buon’anima”, il “fu” Cesare, rinfacciandolo al “Cesare” attuale
che magari ne usurpava il nome facendo tutto il contrario di quel che
quello aveva fatto, era proprio tipico dei veterani di Cesare, che conser-
vavano la memoria di quel che egli aveva fatto: togliere le terre ai lati-
fondisti per distribuirle ai coloni. La loro lettura delle beatitudini era e
rimane quella di Luca 6:20 e 24-25: “beati voi poveri: perché vostro è
il regno di Dio; … e guai a voi i sazi: perché patirete la fame”.
E questo spiega perché siano proprio i contadini a conservare la re-
ligione cristiana, la religione del pane e del vino: essi sono la discenden-
za di quei primi contadini che Cesare dedusse nelle sue colonie, ai quali
egli diede le terre tolte ai latifondisti dell’epoca. Venerano ancora oggi
il figlio di Dio, lui stesso Dio, che primo gliela diede quella loro zolla, e
dai cui atti—che non furono cassati malgrado fosse stato ucciso—essi
traggono la loro legittimità ultima. Per questo ne festeggiano ogni anno
caparbiamente la resurrezione: perché sia garante in cielo dell’ordine
che ha (o per lo meno avrebbe) da regnare sulla terra.
20 Sunto

[ Sulle pagine di seguito si vedano le carte dei confini dell’impero


all’epoca di Augusto, il figlio adottivo di Cesare, e quella dell’espansio-
ne del Cristianesimo fino all’ 600: esso si sviluppa a partire dall’oriente,
ma seguendo le linee delle colonie cesaree ed all’interno dei confini
dell’impero ].

Note corsive stese il 1º febbraio 2005

Francesco Carotta
Pre-Caesarian colonies
Caesarian colonies
Caesarian municipia
Augustan colonies / legion camps
Augustan municipia
Herod’s new foundations
Herod’s cities
Further places of operation of Caesar / the triumviri
Mission centers
Christian communities till 325
Councils
Page above: historical borders of the Empire
This page: christianized territories till 600

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