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NEWSLETTER T&P N°41 ANNO IV

OTTOBRE 2010

NEWSLETTER
Trifirò & Partners Avvocati

Editoriale
Ci inoltriamo nell’autunno accompagnati dal “Collegato Lavoro 2010” che ha
ultimato l’iter parlamentare ed è stato definitivamente approvato. Si attende
ora la promulgazione e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, affinché il testo
diventi legge dello Stato. Il controverso ricorso all’arbitrato (come si ricorda il testo
originariamente approvato era stato rinviato dal Presidente della Repubblica alle
Camere per nuovo esame) non sembra aver fugato tutti i dubbi che erano stati
sollevati e si vedrà, in sede di applicazione, se effettivamente il ricorso a tale
strumento si porrà come valida alternativa al ricorso giudiziario. È lecito mantenere il
dubbio, considerando che l’arbitrato conclude la controversia in unico grado, senza
possibilità di riesame nel merito, con costi non inferiori a quelli della giustizia
ordinaria (oltre all’avvocato bisogna pagare Presidente e Arbitro).
Nell’Attualità del Diritto del Lavoro il partner fondatore Giacinto Favalli offre
una prima interessante illustrazione del contenuto del Collegato. Il testo
sarà oggetto di approfondimenti anche in convegni e il nostro Studio è impegnato
presso numerose sedi (ve ne diamo notizia negli Eventi).
La nostra newsletter prosegue mantenendo l’usuale schema ed espone nella
“Sentenza del mese” un importante caso deciso dalla Corte di Cassazione
in tema di assemblea: il limite massimo delle dieci ore annuali retribuite, in
SOMMARIO orario di lavoro, non vale solo per il lavoratore ma anche per i soggetti sindacali
che indicono le assemblee. Seguono, nelle “Altre sentenze”, casi decisi da
✦ EDITORIALE Giudici di merito in tema di contestazione disciplinare, di dimissioni per
giusta causa, di lavoro autonomo e subordinato. La sezione sul “Rapporto di
✦ DIRITTO DEL LAVORO agenzia” chiude la prima parte.

✦ ATTUALITÀ 2 Nell’Attualità di Diritto Civile si esamina una sentenza (a quanto consta, la


prima) in tema di modelli organizzativi e violazione delle norme sulla tutela
✦ LE NOSTRE SENTENZE 4 della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. Segue la sezione dedicata
alle “Assicurazioni” con sempre interessanti sentenze, compresa una ottenuta
✦ RAPPORTO DI AGENZIA 6 dal nostro Studio in tema di risarcimento del danno.
“Il Punto su…” tratta dei nuovi obblighi in materia di appalti contenuti nella
✦ CIVILE, COMMERCIALE, recente legge n. 136/2010 entrata in vigore il 7 settembre. Nella Rassegna
ASSICURATIVO Stampa abbiamo riportato un intervento del nostro fondatore, avv. Salvatore
Trifirò, in tema di riforma della giustizia. La grande esperienza e l’autorevolezza
✦ ATTUALITÀ 7 dell’avv. Trifirò consigliano una meditata lettura di questo intervento che, con
sintetica chiarezza, indica i rimedi per un miglior funzionamento del nostro sistema
✦ ASSICURAZIONI 8 giudiziario.
✦ IL PUNTO SU... 10 L’annuncio dell’assegnazione allo Studio Trifirò & Partners del Premio Global Law
Experts “2010 Italian - Labour and Employment Law Firm of the Year” chiude
✦ EVENTI 11 questo numero della newsletter.
Buona lettura!
✦ R. STAMPA 12
Stefano Beretta e il Comitato di Redazione composto da: Stefano Trifirò,
✦ CONTATTI 13 Marina Tona, Francesco Autelitano, Luca D’Arco, Teresa Cofano, Claudio
Ponari, Tommaso Targa e Diego Meucci

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Diritto del Lavoro


Attualità
IL COLLEGATO LAVORO È LEGGE: PRIME OSSERVAZIONI SUL
TESTO DEFINITIVO
A cura di Giacinto Favalli
Alla settima lettura, la quarta della Camera dei Deputati, lo scorso 19 ottobre il Collegato
Lavoro è stato approvato in via definitiva.
Per la sua entrata in vigore manca solo la promulgazione e la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale. 
Avevamo già dato conto - nella sezione Attualità della newsletter T&P n. 35 - di quanto sia stata
travagliata la “gestazione” di questo disegno di legge, contraddistinta tra l’altro da una battuta
d’arresto, rappresentata dal rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica.
Un primo esame del testo definitivo - che peraltro recepisce solo parzialmente i rilievi espressi
dal Quirinale - porta a dire che vi sono certamente aspetti innovativi che vengono incontro ad
alcune esigenze aziendali.
Su altri punti, la normativa soffre delle conseguenze negative - in termini di organicità,
comprensibilità e “facilità” applicativa - che discendono dalla configurazione estremamente
eterogenea dell’atto normativo in commento.
✦Tra gli aspetti da valutarsi con favore vi è innanzitutto la nuova disciplina delle impugnazioni dei
licenziamenti individuali, che prevede un primo termine di 60 giorni dalla ricezione della
comunicazione del recesso per impugnarlo anche stragiudizialmente, nonché un successivo
termine di ulteriori 270 giorni spirato il quale, se non viene promossa l’azione giudiziale,
l’impugnativa diviene inefficace ed il licenziamento, inoppugnabile. La novità di maggior rilievo
risiede nella estensione dei predetti termini di decadenza anche:
a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del
rapporto o alla legittimità del termine apposto al contratto; b) al recesso del committente nei rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto; c) al trasferimento ex art. 2103 c.c.;
d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 D.Lgs.
368/2001 (anche con riferimento ai rapporti a termine in corso di esecuzione o già conclusi al
momento di entrata in vigore della legge); e) alla cessione di contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. (per
trasferimento, cessione o affitto di azienda o ramo d’azienda); f) in ogni altro caso - tra cui la
somministrazione irregolare - in cui il lavoratore chieda la costituzione o l’accertamento di un
rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso da chi ne è formalmente titolare.
La ratio, condivisibile, è quella di delimitare in un congruo lasso di tempo lo stato di incertezza sulla
persistenza del rapporto di lavoro, così riducendo l’impatto che l’incognita correlata alla possibilità di
una riammissione in servizio per ordine del Giudice può esercitare sugli assetti organizzativi ed
economici dell’impresa.

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✦Vi è poi un’altra positiva novità, in materia di contratti a termine, sorretta dalla medesima ratio
di assicurare la certezza del diritto (e di evitare abusi nell’utilizzo degli strumenti processuali): il
comma 5 del citato art. 32 sostituisce la disciplina risarcitoria di diritto comune con una
speciale, incardinata sulla forfetizzazione del risarcimento, affidando la sua determinazione, tra
una somma minima ed una massima (rispettivamente pari a 2,5 e 12 mensilità), all’applicazione dei
criteri tratti dall’art. 8 l. 604/1966 (il numero di dipendenti occupati, l’anzianità di servizio del
lavoratore, il comportamento e le condizioni delle parti). Peraltro, il limite massimo del risarcimento
si riduce a sei mensilità nel caso in cui la contrattazione collettiva, a qualunque livello, preveda
l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine
nell’ambito di specifiche graduatorie.

Sotto altro punto di vista, il comma 5, pur prestandosi a diverse letture, recupera la scelta (già
intrapresa nel 2008 con l’introduzione dell’art. 4 bis D.Lgs. 368/2001) di sostituire la sanzione di
conversione del rapporto a termine in uno a tempo indeterminato, con una sanzione
esclusivamente economica. Una scelta legislativa condivisibile è quella di ribadire - rafforzando e
codificando ciò che aveva già detto la giurisprudenza - che il controllo giudiziale sul rispetto delle
“clausole generali” contenute nella disciplina legislativa in materia di lavoro debba limitarsi
esclusivamente al presupposto di legittimità, senza potersi estendere al sindacato di merito sulle
valutazioni tecniche, organizzative e produttive, le quali sono di esclusiva competenza del datore di
lavoro o del committente.

✦Passando ai punti più controversi del nuovo corpo normativo, partendo dall’arbitrato, non si
contesta in sé la scelta di implementare gli strumenti di Alternative Dispute Resolution, come
rimedio ai noti tempi della Giustizia italiana; si osserva però che, se l’arbitrato non è
“appetibile”, non aiuta in alcun modo a decongestionare le aule di giustizia e, se non è ben
strutturato e attorniato da idonee garanzie, finisce per sacrificare sull’altare della “celerità ad
ogni costo” interessi, anche di rango superiore, facenti capo ad entrambe le parti del rapporto
di lavoro.

Un primo elemento che crea indubbiamente confusione è la previsione di ben quattro diverse
modalità di accesso all’arbitrato: la prima (la cui procedura è dettagliatamente descritta nel
nuovo art. 412 c.p.c.) presso le Direzioni Provinciali del lavoro; la seconda dinanzi ad un Collegio
composto ad hoc, su istanza delle parti; la terza, presso le sedi e con le modalità eventualmente
individuate dalla contrattazione collettiva; la quarta ed ultima forma, presso le camere arbitrali
costituite dagli organi di certificazione. Forse sarebbe stato più opportuno replicare la scelta
compiuta all’inizio di quest’anno in ambito civile, attraverso l’introduzione ex lege 28/2010 di un
unico istituto (quello della mediazione) e la puntuale regolamentazione della sua procedura.

✦Altre perplessità - tralasciando l’argomento della clausola compromissoria, già trattato nel
richiamato articolo apparso nella newsletter T&P n. 35 - sorgono con riferimento alla domanda
se l’arbitrato costituisca effettivamente la giusta risposta alle esigenze di rapida definizione
delle controversie in materia di diritto del lavoro, tenuto conto della qualità delle parti coinvolte
e dell’esigenza, nell’ottica della certezza del diritto, di uniformità interpretativa, che il sistema
giudiziario nazionale tende ad assicurare.

Tali perplessità sono rafforzate dall’esperienza maturata in passato, che ha dimostrato come il
ricorso alle forme di arbitrato già esistenti abbia avuto scarsissimo successo. Infine, anche con
riguardo allo strumento della Certificazione, un rischio risiede nell’affidare una valutazione di
estrema rilevanza e delicatezza per entrambe le parti contrattuali - quella sulla qualificazione del
rapporto e sulle conseguenze da riconnettere all’eventuale recesso - ad organi che non
garantiscano uniformità interpretativa ed applicativa. Non va poi dimenticato che il ricorso alla
Certificazione non preclude, seppur nei limiti previsti dalla normativa in esame, il ricorso alla tutela
giudiziaria, rendendo dubbio il concreto impatto positivo dell’istituto in termini di deflazione del
contenzioso.

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Le Nostre Sentenze
LA SENTENZA DEL MESE
IL LIMITE MASSIMO DELLE DIECI ORE ANNUALI DI ASSEMBLEA (IN ORARIO DI LAVORO
E RETRIBUITE) VALE NON SOLO PER I LAVORATORI MA ANCHE PER I SOGGETTI
SINDACALI AI QUALI È RICONOSCIUTO IL DIRITTO DI INDIRE LE ASSEMBLEE
(Cassazione, 30 agosto 2010, n. 18838)

Tre sigle sindacali, all’interno di una azienda, avevano usufruito di un’ora ciascuna di assemblea
retribuita durante l’orario di lavoro; ciononostante, in epoca successiva, una delle tre sigle chiedeva di
indire un’altra assemblea. L’azienda respingeva la richiesta assumendo che erano esaurite le tre ore di
assemblea durante l’orario di lavoro spettanti alle organizzazioni sindacali.
Con il ricorso giudiziario il Sindacato ha lamentato la violazione dell’art. 20 dello Statuto dei Lavoratori e
dell’Accordo interconfederale 20 dicembre 1993, sostenendo che: i) le assemblee durante l’orario di
lavoro possono essere convocate da ciascun soggetto collettivo (RSA, RSU, associazioni firmatarie del
contratto collettivo) senza limiti predeterminati e in numero non predeterminabile sino a che nell’unità
produttiva vi siano lavoratori che nell’anno non hanno ancora consumato il monte ore individuale delle
dieci ore retribuite durante l’orario di lavoro; ii) l’art. 20 dello Statuto dei Lavoratori e l’art. 4 dell’Accordo
interconfederale sopra citato debbano essere interpretati nel senso che il diritto di indire assemblee,
riconosciuto alle organizzazioni sindacali per tre delle dieci ore di assemblea annuale, spetti non
all’insieme delle organizzazioni sindacali aderenti alle associazioni stipulanti il contratto collettivo
applicato all’unità produttiva, bensì a ciascuna di tali organizzazioni.
La Corte di Cassazione ha respinto tali tesi, precisando che l’art. 20 dello Statuto dei Lavoratori
distingue tra assemblee fuori dall’orario di lavoro (per le quali non vengono posti limiti temporali) ed
assemblee durante l’orario, con conservazione della retribuzione, per le quali viene posto il limite di dieci
ore annue. Il potere di indire le assemblee viene conferito dalla legge alle RSA costituite nell’unità
produttiva, che possono esercitarlo tanto congiuntamente che disgiuntamente. L’Accordo
interconfederale del 20 dicembre 1993 riconosce alle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali
stipulanti il contratto collettivo nazionale applicato nell’unità produttiva il “diritto ad indire, singolarmente
o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue
retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20 L. n. 300 del 1970”. Pertanto, l’Accordo
interconfederale conferisce “alle organizzazioni aderenti alle associazioni stipulanti il ccnl applicato
nell’unità produttiva” un diritto di indire le assemblee che lo Statuto dei Lavoratori riconosceva solo alle
rappresentanze sindacali aziendali e fissa il limite orario di tale potere indicandolo in tre delle dieci ore
retribuite. Fatta tale premessa, con riguardo al primo dei temi posti dal Sindacato (cfr. sub. i), la Corte di
Cassazione, in linea con le proprie precedenti pronunce, ha ribadito come sia più consono alla natura
dell’istituto dell’assemblea ritenere che il computo delle dieci ore venga operato “non avendo come
punto di riferimento i singoli lavoratori bensì un elemento che rappresenta la dimensione collettiva”.
Pertanto, le ore di assemblea retribuita durante l’orario di lavoro sono predeterminate e
complessivamente pari a dieci.
Quanto al secondo tema - che, in concreto, avrebbe quale conseguenza il fatto che il numero di ore
spettanti alle organizzazioni sindacali sarebbe, ad esempio, nove se queste ultime sono tre, dodici se
sono quattro, quindici se sono cinque e così via - la Corte di Cassazione ha respinto la tesi del
Sindacato partendo dall’esame del testo dell’Accordo interconfederale che riconosce “il diritto di indire,
singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore
annue retribuite” alle “organizzazioni aderenti alle associazioni stipulanti il ccnl applicato all’unità
produttiva”. Secondo la Corte, il riferimento alle “organizzazioni”, senza alcuna ulteriore specificazione,
porta a ritenere che laddove le parti dell’Accordo interconfederale avessero voluto concordare sulla tesi
assunta dal Sindacato ricorrente, ossia avessero voluto riconoscere tre ore di assemblea per ogni
associazione stipulante, lo avrebbero precisato con espressioni del tipo tre ore “per ciascuna”
associazione.

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Secondo i principi affermati dalla sentenza in commento, il sistema normativo in materia di assemblea
durante l’orario di lavoro prevede che il limite massimo di dieci ore annuali di assemblea in orario di
lavoro e con percezione della normale retribuzione vale anche per i soggetti sindacali ai quali è
riconosciuto il diritto di indire le assemblee. Alle associazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi
nazionali applicati nell’unità produttiva è conferito il diritto di indire una parte delle assemblee che lo
Statuto dei Lavoratori riservava alle rappresentanze sindacali aziendali; tale attribuzione riguarda tre
delle dieci ore spettanti alle RSA. Tale diritto, riconosciuto con l’Accordo, spetta alle organizzazioni
firmatarie, che possono esercitarlo disgiuntamente o congiuntamente, ma all’interno di un monte ore
complessivo; le altre sette ore sono di competenza delle rappresentanze sindacali aziendali. In caso di
più richieste, implicanti il superamento del monte ore, il datore di lavoro deve attenersi all’ordine di
precedenza.
(Causa curata da Damiana Lesce)

ALTRE SENTENZE

CONTESTAZIONE DISCIPLINARE E IMMEDIATEZZA


(Corte d’Appello di Roma, 28 giugno 2010)
Il requisito dell’immediatezza della contestazione, volto a garantire il diritto di difesa del lavoratore ed a
consentirgli un pronto allestimento del materiale difensivo, va inteso in un’accezione relativa, ossia tenendo
conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento dei fatti
contestati, soprattutto quando il comportamento del lavoratore consiste in una serie di fatti che, convergendo
a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione unitaria. Nel caso esaminato, la Corte d’Appello di
Roma ha ritenuto tempestiva la contestazione di due episodi rispetto ai quali la contestazione medesima era
successiva, rispettivamente, di quarantacinque e di quindici giorni. Ciò in base a due considerazioni: il decorso
del tempo non aveva impedito o reso sensibilmente più difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa, considerata
anche la linea difensiva prescelta dal lavoratore nel corso del procedimento disciplinare, volta sostanzialmente
a negare puramente e semplicemente i fatti ascritti e non a prospettare diverse e alternative ricostruzioni delle
loro dinamiche; il “ritardo” era tutt’altro che ingiustificato ed incompatibile con i canoni di correttezza e buona
fede, atteso che la società non poteva procedere in tempi più rapidi per l’esigenza di riservatezza sulle indagini
in corso da parte delle forze dell’ordine.
(Causa curata da Marina Olgiati)

DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA


(Tribunale di Milano, 22 settembre 2010)
La fattispecie esaminata dal Tribunale di Milano riguarda un lavoratore trasferito che, avendo richiesto al datore
i motivi del provvedimento, non aveva ottenuto risposta. A distanza di venti giorni dal ricevimento del
trasferimento, il lavoratore, assente per malattia, si era presentato presso la sede aziendale da cui era stato
trasferito; il suo superiore gli aveva immediatamente comunicato che, stante l’avvenuto trasferimento, egli
avrebbe dovuto riprendere servizio presso la nuova sede di lavoro. Il lavoratore si era dimesso per giusta
causa, sostenendo che la mancata comunicazione dei motivi del trasferimento avrebbe comportato
l’inefficacia del provvedimento aziendale; pertanto, egli aveva diritto, al termine della malattia, di riprendere la
propria attività lavorativa presso la sede originaria. Il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso con il quale il
lavoratore aveva chiesto il pagamento dell’indennità di preavviso contrattualmente prevista in caso di dimissioni
per giusta causa, affermando che è precluso al lavoratore, in mancanza di un provvedimento giudiziale che
accerti l’illegittimità del trasferimento o di una revoca del trasferimento medesimo, il rifiuto di rendere la
prestazione presso la sede ove egli è stato trasferito, tenuto conto, peraltro, che l’ordinamento riconosce
adeguate forme di tutela in favore del lavoratore illegittimamente trasferito, come la procedura d’urgenza ex
art. 700 c.p.c..
(Causa curata da Antonio Cazzella)

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AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE
(Tribunale di Milano, 19 ottobre 2010)
Nel caso in cui un lavoratore autonomo rivendichi la riqualificazione del rapporto di lavoro, la prova della
subordinazione deve essere rigorosa. Il giudice deve tenere in considerazione che il rapporto di lavoro è stato
formalizzato con un contratto d’opera intellettuale e successivamente si è svolto, per lungo tempo, senza
alcuna contestazione circa la natura autonoma dello stesso; tale circostanza assume rilevanza decisiva
soprattutto nel caso in cui il titolo di studio e la posizione professionale del lavoratore escludano la sussistenza
di un “metus” nei confronti del preteso datore di lavoro. Considerato il contenuto intellettuale della prestazione
lavorativa, la riqualificazione del rapporto richiede un esame attento degli “elementi accessori” della
subordinazione, poiché tale contenuto esclude che il lavoratore possa subire direttive nello svolgimento della
sua attività (nella fattispecie, il lavoratore era un medico e il giudice ha escluso che, considerati i connessi profili
deontologici, sia configurabile la soggezione al potere direttivo del primario nelle decisioni terapeutiche).
Anche qualora l’art. 2103 cod. civ. fosse applicabile per analogia al rapporto di lavoro parasubordinato, il
collaboratore pretesamente “demansionato” dovrebbe dimostrare di aver subito una modificazione qualitativa
del contenuto dell’attività svolta, nonché la sussistenza di un danno alla professionalità conseguente all’asserita
dequalificazione.
(Causa curata da Tommaso Targa)

Rapporto di agenzia
A cura di Luca Peron

INDENNITÀ DI CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI AGENZIA: ONERE DELL’AGENTE DI PROVARE


IN GIUDIZIO I REQUISITI DI CUI ALL’ART. 1751 C.C.
(Tribunale di Pinerolo, 21 maggio 2010)
Va progressivamente consolidandosi l’orientamento giurisprudenziale che subordina il riconoscimento
all’agente dell’indennità di cessazione del rapporto prevista dall’art. 1751 c.c. (c.d. “indennità europea”) alla
dimostrazione rigorosa da parte dell’agente cessato dei requisiti di legge: ovverosia che l’agente abbia
procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il
preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.
Nella sentenza in commento (la stessa da cui è stata tratta la massima che precede), il Tribunale, dopo aver
ricordato che in base ai principi generali in punto di ripartizione dell’onere probatorio la dimostrazione dei
predetti requisiti è a carico dell’agente cessato, ha ritenuto che non è a tal fine sufficiente la produzione in
giudizio da parte dell’agente delle certificazioni annuali dei compensi corrisposti dal preponente né, tanto
meno, è possibile ricorrere ad una CTU (Consulenza Tecnica d’ufficio) poiché, in assenza di altri elementi
probatori, essa finirebbe per assumere quel carattere “esplorativo” che la giurisprudenza prevalente le nega.
Pertanto, in mancanza di prove ritenute idonee, la domanda di pagamento dell’indennità di cessazione del
rapporto prevista dall’art. 1751 c.c. è stata respinta.
(Causa curata da Luca Peron)

RICHIESTA DI PAGAMENTO DI UN’INDENNITÀ SUPPLEMENTARE PER L’ATTIVITÀ DI INCASSO


SVOLTA DALL’AGENTE
(Tribunale di Pinerolo, 21 maggio 2010)
Nel caso in commento, pur avendo l’agente svolto attività di incasso, il Tribunale ha ritenuto che nulla gli
spettasse a titolo di indennità, poiché non era stata dimostrata in giudizio la ricorrenza di tutti i requisiti richiesti
dalla contrattazione collettiva (AEC): ovverosia il carattere continuativo della riscossione, che comunque non
deve riguardare il recupero degli insoluti, e la responsabilità per errore contabile dell’agente.
(Causa curata da Luca Peron)

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Civile, Commerciale,
Assicurativo
Attualità
MODELLO ORGANIZZATIVO DELLE SOCIETÀ AI SENSI DEL D.LGS. N.
23 1/20 01. LA PRIMA SENTENZA DI CONDANNA PER LA
VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA TUTELA DELLA SALUTE E
DELLA SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO
A cura di Francesco Autelitano

Una sentenza di merito (Trib. Trani, 11 gennaio 2010) pone nuovamente in evidenza il tema
della predisposizione, da parte delle Società, di modelli organizzativi idonei a prevenire la
commissione di reati da parte di propri dipendenti ed amministratori.
Tema che ha assunto specifica rilevanza normativa con il D.Lgs. n. 231 del 2001, il quale ha
introdotto la responsabilità “penale” delle persone giuridiche, quale conseguenza del reato
commesso da propri dipendenti ed amministratori nell’interesse o a vantaggio della Società.
Inizialmente le fattispecie di reato che potevano far scattare la responsabilità della Società,
accanto a quella del singolo autore della condotta, erano legate essenzialmente ai reati contro la
Pubblica Amministrazione ed ai reati societari. Nel tempo il catalogo dei reati rilevanti in questa
materia si è allargato sino a ricomprendere, fra l’altro, l’omicidio colposo e le lesioni personali
colpose conseguenti alla violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori.

La sentenza di merito sopra citata pronuncia, a quanto consta, per la prima volta una
condanna della persona giuridica come conseguenza dei reati da ultimo menzionati, in
relazione ad una drammatica, nota vicenda di intossicazione di alcuni lavoratori, avvenuta
nel corso dell’attività lavorativa, che ne ha causato il decesso.

Il Giudice penale ha ritenuto che vi fosse una responsabilità dei preposti per l’omissione di
cautele e di informative in merito ai rischi legati alle mansioni in questione, giudicando sussistenti
i presupposti per la responsabilità penale degli imputati.
Su questa base è stata esaminata la responsabilità della Società, derivante dalla mancata
adozione di un modello organizzativo specificamente finalizzato alla prevenzione dei reati.
Sul punto la sentenza ha sottolineato che non sono idonei ad evitare la responsabilità penale
della Società altri documenti organizzativi interni finalizzati alla prevenzione degli infortuni, né, in
particolare, i documenti di cui agli artt. 28 e 29 del Testo Unico sulla Sicurezza.

A tal fine è invece necessario che sia specificamente predisposto il modello organizzativo
conforme ai parametri previsti dal D.Lgs. n. 231/2001, il quale, fra l’altro, si caratterizza per
essere necessariamente corredato dall’introduzione di un puntuale sistema di controllo
presidiato dall’apposito Organismo di Vigilanza.

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Assicurazioni
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano

Il recesso per giusta causa previsto dall’art. 2119 c.c. si applica anche al contratto di
agenzia perché vi sia un’inadempienza imputabile all’agente la quale, per la sua
AGENTE DI
gravità, non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Non integra
ASSICURAZIONI -
detta inadempienza la sospensione dell’esecuzione della prestazione da parte
RECESSO PER GIUSTA
dell’agente che si trovi detenuto in carcere, non sussistendo, in tale ipotesi, il requisito
CAUSA
dell’imputabilità dell’inadempimento.
(Cassazione, 25 luglio 2008, n. 20497)

La prova liberatoria di cui all'art. 2054 c.c., nel caso di danni prodotti a persone o
cose dalla circolazione di un veicolo, non deve essere necessariamente data in modo
diretto, cioè dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e
perfettamente conforme alle regole del codice della strada, ma può risultare anche
dall'accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale
esclusivo dell'evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente,
CIRCOLAZIONE
attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di
STRADALE - PROVA
attuare una qualche idonea manovra di emergenza. Pertanto il pedone, il quale
LIBERATORIA -
attraversi la strada di corsa sia pure sulle apposite strisce pedonali immettendosi nel
COMPORTAMENTO
flusso dei veicoli marcianti alla velocità imposta dalla legge, pone in essere un
COLPOSO DEL
comportamento colposo che può costituire causa esclusiva del suo investimento da
PEDONE
parte di un veicolo, ove il conducente, sul quale grava la presunzione di responsabilità
di cui alla prima parte dell'art. 2054 c.c., dimostri che l'improvvisa ed imprevedibile
comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia ha reso inevitabile l'evento
dannoso, tenuto conto della breve distanza di avvistamento, insufficiente per operare
un'idonea manovra di emergenza.
(Cassazione,11 giugno 2010, n. 14064)

Tizio conveniva in giudizio la propria Compagnia di assicurazioni pretendendo il


risarcimento dei danni patrimoniali e morali a suo dire subiti a seguito della denuncia -
querela sporta dalla convenuta nei suoi confronti per truffa.
L’attore era stato, infatti, coinvolto in un sinistro stradale avvenuto in circostanze non
NOSTRE SENTENZE del tutto chiare (basti dire che i conducenti dei veicoli coinvolti, i quali avevano

RISARCIMENTO DEL sottoscritto i moduli di constatazione amichevole dell’incidente, successivamente


DANNO negavano di aver firmato i documenti in questione; i periti della Compagnia, incaricati
di verificare la sussistenza e l’entità dei danni denunciati, avevano rilevato che
l’incidente si era verificato in modo del tutto difforme da quanto denunciato dai
proprietari dei veicoli, etc.). Ciò aveva indotto la Compagnia - che pure aveva
indennizzato l’assicurato - a sporgere, appunto, denuncia querela nei suoi confronti.

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Costituitasi in giudizio, la Compagnia eccepiva: 1) che la proposizione della denuncia


- querela, essendo l’esercizio di un diritto da parte di chi si ritiene danneggiato da un
reato, non può rappresentare un fatto illecito produttivo di danno, ex art. 2043 c.c.; 2)
che la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio - quale la truffa - non è fonte di
responsabilità per danni, a carico del denunciante, neppure in caso di
proscioglimento del querelato, se non quando essa possa considerarsi calunniosa, in
quanto, in tal caso, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si
sovrappone all’iniziativa del denunciante, interrompendo il nesso di casualità tra la
denuncia ed il presunto danno; 3) infine, che la denuncia era priva di intento
persecutorio nei confronti dell’attore.
Il Tribunale adito ha respinto le domande formulate da Tizio, non ravvisando alcun
intento calunnioso nella denuncia sporta dalla Compagnia, e ritenendo non provata,
dall’attore, la consapevolezza, nel convenuto, della innocenza del soggetto
denunciato.
(Tribunale di S. Maria Capua Vetere, 28 luglio 2010)

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Il Punto su...
A cura di Vittorio Provera

NUOVI OBBLIGHI IN MATERIA DI APPALTI

Con la recente legge n. 136/2010, entrata in vigore il 7 settembre, sono state introdotte nuove
disposizioni per la trasparenza negli appalti e/o forniture con finanziamenti pubblici e per
l’identificazione dei lavoratori che operano nell’ambito di questo tipo di contratti (anche privati).

Partendo da questo secondo profilo, all’art. 5 della citata legge, è previsto che il tesserino di
riconoscimento - di cui sono obbligatoriamente muniti i lavoratori che operano in attività svolte in
appalto e subappalto (già introdotto dall’art. 18 comma 1° lettera u del D.Lgs. n. 81/2008 - Testo
Unico Sicurezza sul lavoro - TUSL) - debba obbligatoriamente contenere, oltre alle generalità del
dipendente, foto e identificativi del datore di lavoro, anche la data di assunzione e, in caso di
subappalto, la relativa autorizzazione.
È inoltre stabilito che, nell’ipotesi di lavoratore autonomo, le tessere di riconoscimento previste dall’art. 21
del TUSL da utilizzare nei luoghi in cui svolgono attività in appalto o subappalto, oltre alle generalità del
lavoratore autonomo, dovranno contenere anche l’indicazione del committente.

Queste prescrizioni si pongono come veri e propri obblighi sia per il datore di lavoro (che deve fornire le
tessere ai dipendenti), che per gli stessi lavoratori (i quali sono tenuti ad esporle).
La nuova disciplina ha determinato talune incertezze interpretative, nonché perplessità sulla reale utilità di
queste ulteriori informative.

✦In primo luogo, si è posto il problema di comprendere se il campo di applicazione sia limitato agli
appalti nel settore edile, ma - considerato che vi è un richiamo al Testo Unico di Sicurezza sul lavoro
- l’opinione prevalente è che si applichi a tutte le attività in regime di appalto o subappalto, purché
svolte nel medesimo luogo e, ovviamente, anche negli appalti di carattere privato.

A carico del datore di lavoro e dei dirigenti che non provvedono a dotare il personale della tessera di
riconoscimento è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da € 100,00 a € 500,00 per ciascun
lavoratore. I dipendenti che non espongono la tessera di riconoscimento sono soggetti a sanzioni
pecuniarie di importo da € 50,00 a € 300,00, sanzione prevista anche a carico del lavoratore autonomo
che non provvede a munirsi di tale elemento identificativo.

✦Come accennato, al fine di perseguire finalità di trasparenza e contrastare condotte illecite, la legge
n. 136/2010 ha previsto, per i pagamenti negli appalti, servizi, lavori e/o forniture con finanziamenti
pubblici, l’obbligo della tracciabilità dei flussi finanziari, usando conti correnti dedicati per
appoggiare i movimenti finanziari ed eseguire i pagamenti.

Tale obbligo coinvolge anche i subappaltatori, subcontraenti e qualsiasi interessato ai lavori. La previsione
dell’impegno di tracciare le risorse finanziarie deve essere inserito, a pena di nullità assoluta, nei contratti;
mentre il mancato rispetto della tracciabilità genera la risoluzione di diritto di qualsiasi tipo di contratto: sia
quello a monte (tra soggetto pubblico committente ed appaltatore), sia quello a valle (tra appaltatore e
subappaltatore o subcomittente).

✦Infine,
sono previste sanzioni pecuniarie di misura, variabili tra il 2% ed il 20% della transazione, in
caso di violazioni della norma.

✦Si tratta di disposizioni che vanno applicate sia a contratti già stipulati che a quelli da stipulare.

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Eventi
✦CONVEGNI AIDP Piemonte
Biella, 22 Novembre 2010, ore 16
“Costituzione e gestione del rapporto di lavoro” Relatore: Avv. Stefano Beretta

Vercelli, 24 Novembre 2010, ore 16


“Risoluzione del rapporto di lavoro. Licenziamenti individuali e collettivi”
Relatore: Avv. Giorgio Molteni

Verbania, 29 Novembre 2010, ore 16


“Costituzione e gestione del rapporto di lavoro” Relatore: Avv. Vittorio Provera

Novara, 1 Dicembre 2010, ore 16


“Risoluzione del rapporto di lavoro. Licenziamenti individuali e collettivi”
Relatore: Avv. Giacinto Favalli

Link: www.aidp.it

✦Roma, Grand Hotel St. Regis, 29-30 Novembre 2010


SEMINARIO Paradigma: “Le nuove regole sulla soluzione delle controversie di lavoro.
Conciliazione, Processo, Arbitrato”
29 Novembre 2010
Il nuovo regime dell’impugnazione dei licenziamenti individuali (art 32, co. 1 e 2)
• Il nuovo regime dei termini di impugnazione e le relative decadenze
• L’ambito di applicazione
• L’estensione a tutti i casi di invalidità del licenziamento
• Le problematiche aperte in tema di licenziamento orale
Relatore: Avv. Giorgio Molteni
30 Novembre 2010
Le ulteriori modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva (nuovo
art. 412-ter)
• Contenuti della disciplina
• Il ruolo della contrattazione collettiva
Relatore: Avv. Giacinto Favalli
Programma Seminario (PDF)
Link: www.paradigma.it

✦Milano, Starhotels Ritz, 14 Dicembre 2010


SEMINARIO Synergia: “Processo del Lavoro. Conciliazione, Arbitrato e Spese
processuali”
Le spese processuali
Relatore: Avv. Giacinto Favalli
Link: www.synergiaformazione.it

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RASSEGNA ✦C&P GIUSTIZIA - il Giornale: Ottobre 2010


STAMPA Una riforma necessaria
Intervista a Salvatore Trifirò

BLOG JOBtalk - JOB24 - Il Sole 24 Ore: 21/10/10


twitter 24job http://twitter.com/24job
Collegato e precariato: oltre l'arbitrato, ci sono le novità sui
contratti a termine
di Anna Maria Corna

Avvocati24 - Il Sole 24 Ore: 21/10/10


Professioni & Imprese24 – Il Sole 24 Ore: 21/10/10
24 Ore Avvocato – Il Sole 24 Ore: 21/10/10
Le controversie nel controverso collegato lavoro 2010
di Stefano Beretta

✦AIDP Newsletter: N°8 Ottobre 2010


Inapplicabilità dei requisiti numerici
di Giacinto Favalli

BLOG JOBtalk - JOB24 - Il Sole 24 Ore: 20/10/10


twitter 24job http://twitter.com/24job
Collegato lavoro 2010. Si attende l’avvio dell’arbitrato
di Stefano Beretta

✦Corriere della Sera: 16/10/10


Licenziare in tronco il manager? Non basta far cadere il consiglio

✦DOSSIER LIGURIA - il Giornale: 12/10/10


Riforma, Regole e Sanzioni sono indispensabili
di Salvatore Trifirò

GiocoNews.it: 09/10/10
Casinò Campione: mance non sono retribuzione

Avvocati24 - Il Sole 24 Ore: 04/10/10


✦ T&P su twitter Il certificato di malattia ora arriva per posta elettronica certificata
di Diego Meucci
✦ T&P su scribd
✦HR On Line - AIDP: N°17 Ottobre 2010
Licenziamento per giusta causa
✦ T&P su flickr di Giorgio Molteni

✦ilGiornale: 01/10/10
La parola ai grandi giuslavoristi

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Finanziario, Industriale e Sportivo.

Lo Studio, interlocutore delle più importanti aziende nazionali


e multinazionali, dispone di una rete di qualificati
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Emirati Arabi assicurando la presenza diretta dei propri
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