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© GIULIO TAMPALINI

CORSO DI TEORIA E SOLFEGGIO

- LEZIONE 16 -

SOLFEGGIO PARLATO E SOLFEGGIO CANTATO

Come avrete notato, nell’eseguire i solfeggi scritti, abbiamo sempre pronunciato a voce le
note, senza però intonarle.

Questa caratteristica riguarda il solfeggio parlato che si distingue dal solfeggio cantato, in
cui, oltre alle difficoltà ritmiche e di lettura, si aggiunge il compito di cantare ogni nota nel
modo corretto.

Più avanti imparerete anche il solfeggio cantato, una volta raggiunta una buona sicurezza sugli
argomenti finora affrontati.

I MOVIMENTI DEL SOLFEGGIO

Tutti vediamo i direttori d’orchestra rivolgersi con ampi gesti ai propri musicisti e siamo
interessati alla loro gestualità. Ciò che essi fanno deriva direttamente dai movimenti del solfeggio,
che in questo caso hanno il compito di mettere d’accordo tutti gli orchestrali con precisi riferimenti
sul momento in cui entrare con il loro strumento, sul tempo d’attesa ecc.

I movimenti del solfeggio nascono da un modo di scandire l’unità di tempo (che abbiamo
considerato come il quarto, per chiarezza) non più battendo pulsazioni identiche su un tavolo, ma
dando ad ogni pulsazione (per esempio la prima, la seconda, la terza, la quarta) una propria
collocazione e quindi una propria posizione nello spazio.

A cosa servono i movimenti del solfeggio?

A noi innanzitutto, per avere un riferimento visivo sul punto della battuta in cui ci troviamo e, in
secondo luogo, ai gruppi di musicisti che suonano insieme, i quali, dovendo seguire la guida di
un direttore, possono spostare l’occhio continuamente dal foglio al direttore senza perdere il
riferimento della battuta.

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