Sei sulla pagina 1di 19

- Differenze tra diritto privato e amministrativo

il diritto amministrativo è la disciplina giuridica della pubblica amministrazione nella sua organizzazione, nei
beni e nell’attività ad essa peculiari e nei rapporti che si instaurano con gli altri soggetti dell’ordinamento.
Negli Stati a regime amministrativo, l’attività della pubblica amministrazione non si esaurisce nella sola
attività di diritto pubblico ma si assiste all’espansione dell’attività di diritto privato della pubblica
amministrazione stessa. Così l’attività amministrativa può essere esercitata dai soggetti pubblici tanto nelle
forme del diritto pubblico, quanto nelle forme del diritto privato.
L’art. 1-bis della legge 241/1990 dispone che la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non
autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
- Amministrazione Comunitaria diretta e indiretta
le organizzazione internazionali sono dotate di una propria struttura amministrativa e spesso intrattengono
relazioni con gli stati e con le amministrazioni nazionali.
Il diritto amministrativo comunitario in senso proprio è soltanto quello avente ad oggetto l’amministrazione
comunitaria, cioè l’insieme degli organismi e delle istituzioni dell’Unione europea cui è affidato il compito di
svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi.
L’esecuzione di molte decisioni spetta alla amministrazioni nazionali che a tale attività sono tenute in
ossequio all’art. 10 del Trattato CE; anche l’attuazione di regolamenti e direttive spetta agli Stati membri che
agiscono adottando atti legislativi e amministrativi.
Accanto a questo modello di esecuzione in via indiretta (che avviene avvalendosi della collaborazione degli
Stati membri) si è sviluppato quello dell’esecuzione in via diretta, caratterizzato da funzioni svolte
direttamente dalla Comunità, il che determina un conseguente aumento delle dimensioni organizzative
dell’apparato amministrativo che ad essa fa capo.
- i principi costituzionali della pubblica amministrazione
il principio di responsabilità, è enunciato dall’art. 28 Cost. e afferma che i funzionari e i dipendenti dello
Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative,
degli atti compiuti in violazione di diritti.
Il principio di legalità esprime l’esigenza che l’amministrazione sia assoggettata alla legge, anche se esso
è applicabile non soltanto all’amministrazione ma a qualsiasi potere pubblico.
Nel nostro ordinamento giuridico convivono più concezioni del principio di legalità: in primo luogo implica la
non contraddittorietà dell’atto amministrativo rispetto alla legge (preferenza della legge); il principio di legalità
può anche richiedere qualcosa di più rispetto alla non contraddittorietà, cioè l’esigenza che l’azione
amministrativa abbia uno specifico fondamento legislativo (principio di legalità inteso nella sua accezione di
conformità formale, nel senso che il rapporto tra legge e amministrazione è impostato non solo sul divieto di
quest’ultima di contraddire la legge, ma anche sul dovere della stessa di agire nelle ipotesi ed entro i limiti
fissati dalla legge che attribuisce il relativo potere); infine, per quanto riguarda i provvedimenti amministrativi,
al di là del principio di legalità inteso come conformità formale, esiste quello della conformità sostanziale (si
intende fare riferimento alla necessità che l’amministrazione agisca non solo entro i limiti di legge, ma altresì
in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa). La Costituzione può prevedere una
riserva di legge, che riguarda il rapporto tra Costituzione, legge ed amministrazione e, imponendo la
disciplina legislativa di una data materia, delimita l’esercizio del potere normativo spettante all’esecutivo (la
sua violazione, ad esempio ad opera di una legge che disciplini in maniera generica la materia, comporta
l’illegittimità costituzionale della legge stessa). Il principio di legalità in senso sostanziale ripropone la
difficoltà di contemperare due esigenze: da un lato, quella di garantire e di tutelare i privati, che richiede una
disciplina legislativa che penetri all’interno della sfera del potere amministrativo; dall’altro, quella di lasciare
spazi dazione adeguati all’amministrazione, evitando il rischio di un’eccessiva vincolatezza della sua attività
che rischierebbe altrimenti di non adattarsi alle diverse situazioni concrete, finendo così col danneggiare lo
stesso cittadino.
- Art. 97 Cost. principio di imparzialità e di buon andamento
comune ad entrambi è il problema teorico el loro campo di applicazione: la norma sembra riferirli
esclusivamente all’organizzazione amministrativa.
Il concetto di imparzialità esprime il dovere dell’amministrazione di non discriminare la posizione dei
soggetti coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura.
L’imparzialità impone che l’amministrazione sia strutturata in modo da assicurare una condizione oggettiva di
aparzialità.
Il principio deve essere riferito anche all’attività che deve essere trasparente. L’imparzialità si identifica nella
congruità delle valutazioni finali e delle modalità di azione prescelta.
Il principio di buon andamento impone che l’amministrazione agisca nel modo più adeguato e conveniente
possibile.
- criteri di efficacia, efficienza, economicità, pubblicità e trasparenza
il criterio di efficienza indica la necessità di misurare il rapporto tra il risultato dell’azione organizzativa e la
quantità di risorse impiegate per ottenere quel dato risultato, esso costituisce la capacità di

1
un’organizzazione complessa di raggiungere i propri obiettivi attraverso la combinazione ottimale dei fattori
produttivi.
Il criterio di efficacia è invece collegato al rapporto tra ciò che si è effettivamente realizzato e quanto si
sarebbe dovuto realizzare sulla base di un piano o programma.
I criteri di pubblicità e trasparenza possono essere riferiti sia all’attività sia all’organizzazione. I due
concetti costituiscono applicazione del principio di imparzialità.
- principio di finalizzazione
emerge dall’esame dell’art. 97 Cost. Il buon andamento significa congruità dell’azione in relazione
all’interesse pubblico; l’imparzialità, direttamente applicabile all’attività amministrativa, postula l’esistenza di
un soggetto parte, il quale è tale in quanto persegue finalità collettive che l’ordinamento generale ha
attribuito alla sua cura.
- legge-provvedimento
si tratta di una legge con contenuto concreto e puntuale alla stessa stregua dei provvedimenti amministrativi.
L’adozione di tali leggi determina l’impossibilità per il cittadino di ottenere la tutela giurisdizionale delle
proprie situazioni giuridiche davanti al giudice amministrativo ovvero al giudice ordinario, potendo la legge
provvedimento essere sindacata solo dalla Corte costituzionale, alla quale non è possibile proporre
direttamente ricorso da parte dei soggetti privati lesi.
A questo proposito emerge il problema della riserva di amministrazione: ci si deve cioè chiedere se esista
un ambito di attività riservato alla pubblica amministrazione. Di riserva di amministrazione si potrebbe in
primo luogo parlare nei confronti della funzione giurisdizionale (esiste un ambito sottratto al sindacato dei
giudici, ordinari e amministrativi, costituito dal merito. In taluni casi, però, l’ordinamento dispone il
superamento di tale riserva, prevedendo che il giudice amministrativo abbia giurisdizione di merito, la quale
consente di sindacare l’opportunità delle scelte amministrative); con riguardo alla funzione legislativa, l’idea
di una riserva di funzione amministrativa sembra configgere cin una serie di principi, tra cui il principio di
preferenza di legge e quello di giusto procedimento.
- decentramento amministrativo
il termine indica la dislocazione dei poteri tra soggetti e organi diversi; può assumere diverse forme. Il
decentramento burocratico in senso proprio, implicherebbe la responsabilità esclusiva degli organi locali
nelle materie di propria competenza e l’assenza di un rapporto di rigida subordinazione con il centro. Il
decentramento autarchico può essere previsto a favore di enti locali, consentendo così che la cura di
interessi locali sia affidata a enti esponenziali di collettività locali, ovvero a favore di altri enti.
- enti pubblici
i soggetti di diritto pubblico costituiscono nel loro complesso l’amministrazione in senso soggettivo, che si
articola nei vari enti pubblici che sono dotati di capacità giuridica e sono idonei ad essere titolari di poteri
amministrativi, perciò possono essere definiti come centri di potere.
L’art. 97 Cost. stabilisce il principio generale secondo cui “i pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge”. La questione dell’individuazione degli enti pubblici è stata risolta dalla giurisprudenza
utilizzando una serie di indici esteriori, nessuno dei quali è ritenuto di per sé sufficiente, ma se considerati
nel loro complesso sono considerati idonei: la costituzione dell’ente ad opera di un soggetto pubblico; la
nomina degli organi direttivi in tutto o in parte di competenza dello Stato o di altro ente pubblico; l’esistenza
di controlli o di finanziamenti pubblici; l’attribuzione di poteri autoritativi.
L’ente pubblico è quello che, anche al di là della definizione normativa, la giurisprudenza ritiene tale
superando la rigida lettera della legge.
La pubblicità della persona giuridica, piuttosto che sugli indici esteriori, va ricercata considerando la
particolare rilevanza pubblicistica dell’interesse perseguito dall’ente: l’interesse è pubblico in quanto la legge,
accertato che esso ha una dimensione collettiva, l’abbia imputato ad una persona giuridica.
L’indirizzo di denaro pubblico da parte dell’ente è un altro indicatore di pubblicità: la circostanza di impiegare
risorse provenienti dalla collettività rende responsabile il soggetto nei confronti della collettività stessa ed
impone che la sua attività sia svolta nel rispetto dei canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento.
Qualora venga meno la pubblicità dell’interesse perseguito, la legge può intervenire per estinguere l’ente o
per trasformarlo in soggetto privato.
L’ente pubblico entra a far parte dell’amministrazione pubblica, composta dai soggetti che necessariamente
perseguono finalità pubbliche e che possono essere considerati unitariamente, avendo il proprio vertice nel
governo.
Solo gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno efficacia sul piano dell’ordinamento
generale alla stessa stregua dei provvedimenti dello Stato, impugnabili davanti al giudice amministrativo.
Godono quindi di autonomia, intesa come possibilità di effettuare da sé le proprie scelte: autonomia di
indirizzo (possibilità di darsi obiettivi anche diversi da quelli statali), in particolare di indirizzo politico per la
regione; autonomia finanziaria (possibilità di decidere in ordine alle spese e di disporre di entrate autonome);
autonomia organizzativa (possibilità di darsi un assetto organizzativo diverso rispetto a modelli generali);
autonomia tributaria (possibilità di disporre di propri tributi) e autonomia contabile (potestà di derogare al
normale procedimento previsto per l’erogazione di spese e l’introito di entrate).

2
La possibilità di agire per il conseguimento dei propri fini mediante l‘esercizio di attività amministrativa che ha
la natura e gli effetti di quella della pubblica amministrazione viene ricondotta alla nozione di autarchia.
Solo agli enti pubblici è riconosciuta la potestà di autotutela, l’ordinamento attribuisce cioè agli enti la
possibilità di risolvere un conflitto attuale o potenziale di interessi e di sindacare la validità dei propri atti
producendo effetti incidenti su di essi. La legge n. 241/1990, disciplinandone i presupposti, riconosce oggi
carattere generale ai poteri amministrativi di revoca (art. 21-quinquies), di sospensione (art. 21-quater), di
annullamento e di convalida degli atti (art. 21-nonies). Essa chiarisce poi che il potere di imporre
coattivamente l’adempimento degli obblighi nei confronto delle amministrazioni deve essere previsto dalla
legge (l’esecutorietà art. 21-ter), così come il recesso unilaterale dai contratti è ammesso nei casi previsti
dalla legge o dal contratto (art. 21-sexies). Di norma, l’autotutela costituisce esercizio di un potere
discrezionale nel corso di un procedimento che inizia d’ufficio e non ad istanza di parte.
Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono assoggettate ad un particolare
regime di responsabilità penale, civile e amministrativa.
Gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni la cui intensità varia in ragione dell’autonomia
dell’ente: l’autodichia consiste nella possibilità, spettante ad alcuni organi costituzionali in ragione della loro
peculiare indipendenza, di sottrarsi alla giurisdizione degli organi giurisdizionali comuni, esercitando la
funzione giurisdizionale relativamente alle controversie con i propri dipendenti (è riconosciuta alla Camera, al
Senato e alla Corte Costituzionale); l’autogoverno indica invece la situazione che ricorre nell’ipotesi in cui gli
organi dello Stato siano designati dalla collettività di riferimento, anziché essere nominati o cooptati da parte
di autorità centrali.
In considerazione della finalità perseguita, si distinguono enti con compiti di disciplina di settori di attività, enti
con compiti di promozione, enti con compiti di produzione di beni e servizi, enti con compiti di erogazione di
servizi pubblici. In base al tipo di poteri attribuiti, si possono differenziare gli enti che posseggono potestà
normativa dagli enti che fruiscono di poteri amministrativi e da quelli che fanno uso della sola capacità di
diritto privato.
La costituzione degli enti pubblici può avvenire per legge o per atto amministrativo sulla base di una legge. Il
legislatore non è libero di rendere pubblica qualsiasi persona giuridica privata, esistono limiti costituzionali
che tutelano le formazioni sociali, la libertà di associazione e altre attività private.
Anche la loro estinzione può essere prodotta dalla legge o da un atto amministrativo basato sulla legge.
Quanto alle loro modificazioni, si possono ricordare il mutamento degli scopi, le modifiche del territorio degli
enti territoriali, le modificazioni delle attribuzioni e le variazioni della consistenza patrimoniale. Il legislatore
non può però modificare gli scopi originari, ma può trasformare un ente pubblico non economico in ente
pubblico economico (gli enti pubblici economici sono titolari di impresa ed agiscono con gli strumenti del
diritto comune; ultimamente c’è la tendenza a trasformarli in s.p.a., spesso essi rappresentano una tappa
intermedia in vista della privatizzazione delle aziende autonome le quali, prima della trasformazione in s.p.a.
vengono trasformate in enti pubblici economici); può privatizzarlo o compiere un riordino degli enti pubblici
(provocando l’estinzione degli stessi o la loro trasformazione in persone giuridiche private).
- la privatizzazione degli enti pubblici
prima di tutto l’ente pubblico viene trasformato in società per azioni (privatizzazione formale) con capitale
interamente posseduto dallo Stato, successivamente si procede alla dismissione della quota pubblica
(privatizzazione sostanziale) com’è disciplinato dal d.l. 332/1994 che fa riferimento a procedure trasparenti e
non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell’azionario tra il pubblico dei risparmiatori e degli
investitori istituzionali. La privatizzazione interessa soggetti che operano in tre settori principali: nella
gestione di partecipazioni azionarie (Iri, Eni), nei servizi di pubblica utilità (Enel, telecomunicazioni, gas,…) e
nel settore creditizio (istituti di credito di diritto pubblico).
- Vigilanza, direzione, avvallimento, sostituzione e delega di funzioni amministrative
La vigilanza è una figura organizzatoria caratterizzata da poteri di ingerenza, costituiti in particolare dal
controllo di legittimità di un soggetto sugli atti di un altro, distinguendosi in ciò dalla tutela, che attiene ai
controlli di merito. Il suo contenuto non si esaurisce nel mero controllo ma si estrinseca anche nell’adozione
di una serie di atti (approvazione dei bilanci e delle delibere particolarmente importanti dell’ente vigilato,
nomina di commissari straordinari, scioglimento degli organi di un ente, esercizio di poteri volti ad ottenere
informazioni, prefissione di indirizzi).
La direzione è caratterizzata da una situazione di sovraordinazione tra enti che implica il rispetto, da parte
dell’ente sovraordinato, di un ambito di autonomia dell’ente subordinato. Essa si estrinseca in una serie di
atti (direttive) che determinano l’indirizzo dell’ente, lasciando allo stesso la possibilità di scegliere le modalità
attraverso le quali conseguire gli obiettivi prefissati.
L’avvallimento, previsto dall’art. 118 Cost., vecchia formulazione, è caratterizzato dall’utilizzo da parte di
une ente degli uffici di un altro ente.
La sostituzione è un istituto mediante il quale un soggetto è legittimato a far valere un diritto, un obbligo o
un’attribuzione che rientrano nella sfera di competenza di un altro soggetto, operando in nome proprio e
sotto la propria responsabilità.

3
La delega di funzioni amministrative è una figura che ricorre nei rapporti tra Stato e regioni e tra regioni ed
enti locali. Con la legge costituzionale 3/2001 questa figura viene sostituita con l’istituto del conferimento di
funzioni amministrative ai vari livelli di governo locale sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione
ed adeguatezza.
- Federazioni e consorzi
Sono forme associative che danno luogo a soggetti distinti.
Le federazioni di enti svolgono attività di coordinamento e di indirizzo dell’attività degli enti federati, nonché
attività di rappresentanza degli stessi (ad es. ACI e CONI).
I consorzi costituiscono una struttura stabile volta alla realizzazione di finalità comuni a più soggetti.
Agiscono nel rispetto di alcuni limiti derivanti dall’esercizio del potere direttivo e di controllo spettante ai
consorziati. I consorzi spesso realizzano o gestiscono opere o servizi di interesse comune agli enti
consorziati, i quali restano comunque titolari delle opere o dei servizi.
I consorzi pubblici possono essere classificati in entificati (sono enti di tipo associativo) e non entificati,
obbligatori (quando un rilevante interesse pubblico ne imponga la necessaria presenza) e facoltativi;
esistono poi consorzi formati solo da enti pubblici ovvero anche da privati.
- Società a partecipazione pubblica
Sono soggette ad una disciplina particolare: l’art. 2449 c.c. prevede che, ove lo Stato, abbia partecipazioni
azionarie, l’atto costitutivo possa ad esso conferire la facoltà di nominare amministratori o sindaci, ovvero
componenti del consiglio di sorveglianza, nonché di revocarli.
Ci sono vari modelli: società a totale partecipazione pubblica regolate da leggi speciali e chiamate a svolgere
funzioni pubbliche, esse possono venire accostate alle società che risultano affidatarie di servizi in house (si
esclude che la disciplina sugli appalti trovi applicazione nei casi in cui tra amministrazione e imprese sussista
un legame tale per cui il soggetto non possa ritenersi distinto dal punto di vista decisionale) senza necessità
di una previa gara; società miste direttamente affidatarie di servizi pubblici locali (può trattarsi di società a
capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con
procedure ad evidenza pubblica, o di società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli
enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici
che la controllano nella logica della concorrenza del mercato) , di norma la scelta del socio privato avviene a
mezzo di gara; società derivanti dal processo di privatizzazione (in molti casi le società sono costituite ex
lege e non possono fallire).
- golden share
quando c’è la dismissione delle partecipazioni azionarie nelle società in cui sono stati trasformati gli enti
privatizzati, accanto a limiti al possesso azionario e al divieto della cessione della partecipazione, è
concesso allo Stato di mantenere poteri speciali, il Golden share (opposizione all’assunzione di
partecipazione che rappresentano almeno la ventesima parte del capitale sociale rappresentato da azioni
con diritto di voto nelle assemblee ordinarie o la percentuale minore fissata dal Ministro dell’economia e delle
finanze con proprio decreto), che sono esercitabili solo in caso di pericolo per interessi vitali dello Stato
stesso con riferimento alle società operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni,
delle fonti di energia e degli altri enti pubblici servizi, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri.
- organismi di diritto pubblico
la disciplina comunitaria in materia di appalti ricomprende tale figura tra le amministrazioni aggiudicatici,
assoggettandola alla specifica disciplina ispirata ai principi della concorrenza. Sono organismi istituiti per
soddisfare bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; aventi personalità
giuridica; la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di
diritto pubblico.
- le fondazioni
costituiscono un modello in via di diffusione nell’ambito dell’attività dell’amministrazione. Caratterizzate
dall’indisponibilità dello scopo, anche per l’assenza di scopo di lucro, svolgono spesso attività in settori
contigui a quelli delle amministrazioni.
- Rai-Tv
è una delle società ad interesse nazionale, regolate dall’art. 2461 c.c. , concessionaria del servizio pubblico,
la quale deve ritenersi una persona giuridica privata nonostante la partecipazione pubblica. La concessione,
almeno dal punto di vista giuridico, è temporanea e perciò non si potrebbe escludere una sopravvivenza
della società in modo indipendente dalla gestione del servizio.
- l’organo
attraverso l’organo la persona giuridica agisce e l’azione svolta dall’organo si considera posta in essere
dall’ente.
L’organo non è separato dall’ente, sicché la sua azione non è svolta in nome e per conto di altri, diventando
invece direttamente attività propria dell’ente. La capacità giuridica spetta dunque all’ente che è centro di
imputazione di effetti e fattispecie.

4
Posto che i poteri vengono attribuiti soltanto all’ente avente la soggettività giuridica e che esso si avvale di
più organi, ognuno di essi pur senza esserne titolare esercita una quota di quei poteri, detta competenza che
può essere ripartita per materia, per valore, per grado o per territorio.
Gli organi possono essere: esterni (gli organi competenti ad emanare provvedimenti o atti aventi rilevanza
esterna) o interni (gli organi competenti ad emanare atti aventi rilevanza endoprocedimentale); centrali (gli
organi che estendono la propria competenza all’intero spettro dell’attività dell’ente) o periferici (gli organi che
hanno competenza limitata ad un particolare ambito di attività); ordinari (gli organi previsti nel normale
disegno organizzativo dell’ente) o straordinari (gli organi che operano in sostituzione degli organi ordinari);
permanenti (gli organi stabili) o temporanei (gli organi che svolgono funzioni solo per un limitato periodo di
tempo); attivi (gli organi competenti a formare ed eseguire la volontà dell’amministrazione in vista del
conseguimento dei fini ad essa affidati), consultivi (gli organi che rendono pareri) o di controllo (gli organi che
sindacano l’attività posta in essere dagli organi attivi); rappresentativi (gli organi i cui componenti vengono
designati o eletti dalla collettività che costituisce il sostrato dell’ente) o non rappresentativi; con legale
rappresentanza (è un particolare tipo di organo esterno che conferisce procura alle liti per agire o resistere in
giudizio); con personalità giuridica (la personalità giuridica spetta solo all’ente, alcuni organi, tuttavia, per
espressa volontà di legge sono anche dotati di personalità giuridica profilandosi come titolari di poteri e come
strumenti di imputazione di fattispecie ad altro ente); monocratici (gli organi il cui titolare è una sola persona
fisica) o collegiali (gli organi in cui c’è con titolarità di più persone fisiche considerate nel loro insieme).
- relazioni tra organi e tra enti pubblici
l’organo è uno strumento di imputazione, cioè, l’elemento dell’ente che consente di riferire all’ente stesso atti
e attività; spesso l’organo permette all’ente di rapportarsi con altri soggetti giuridici o comunque di produrre
effetti giuridici preordinati all’emanazione di atti aventi rilevanza esterna.
Tra gli organi di una persona giuridica pubblica possono istaurarsi relazioni disciplinate dal diritto, le quali
hanno carattere di stabilità e riflettono la posizione reciproca di essi nell’ambito dell’organizzazione.
La gerarchia esprime la relazione di subordinazione tra organi diversi. In essa non sussiste una vera e
propria separazione di competenza tra gli organi interessati dalla relazione: l’organo subordinato non
dispone di una propria esclusiva sfera di competenza e l’organo superiore ha una competenza comprensiva
anche di quella del secondo.
La relazione gerarchica ha potere di ordine (che consente di vincolare l’organo subordinato ad un certo
comportamento nello svolgimento della propria attività), di direttiva (dove si indicano i fini e gli obbiettivi da
raggiungere) e di sorveglianza sull’attività degli organi subordinati, i quali possono essere sottoposti a
ispezioni e inchieste; potere di annullare d’ufficio e di revocare gli atti emanati dall’organo subordinato;
potere di risolvere i conflitti che insorgono tra organi subordinati; potere di avocazione indipendentemente
dall’inadempimento dell’organo inferiore e sostituzione a seguito dell’inerzia dell’organo inferiore.
Altro tipo di relazione interorganica è la direzione, caratterizzata dal fatto che, pur essendoci due organi
posti in posizione di disuguaglianza, sussiste una più o meno ampia sfera di autonomia in capo a quello
subordinato.
L’organo sovraordinato ha il potere di indicare gli scopi da perseguire, ma deve lasciare alla struttura
sottordinata la facoltà di scegliere le modalità e i tempi dell’azione volta a conseguire quei risultati. Rispetto
alla gerarchia, il potere ordinatorio è sostituito da quello di emanare direttive, da cui l’organo inferiore non è
completamente vincolato, il controllo, che nella gerarchia riguarda essenzialmente gli atti, si svolge in via
successiva ed investe l’attività.
Altra relazione interorganica è il coordinamento, riferendolo a organi in situazioni di equiordinazione
preposti ad attività che, pur dovendo restare distinte, sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno
unitario. Il coordinamento è definito dalla legge non come autonoma relazione, bensì come potere
esercitabile all’interno della direzione.
Si configura come il risultato dell’esercizio di poteri che attengono ad altre relazioni (ordini, direttive,
istruzioni). L’esigenza di coordinamento tra l’azione di più soggetti pubblici è soprattutto soddisfatta
attraverso l’utilizzo della conferenza di servizi, in grado tra l’altro di comportare anche una deroga al regime
ordinario delle competenze.
Un’ultima, importante,relazione interorganica è costituita dal controllo, un’attività di verifica, esame e
revisione dell’operato altrui, che costituisce nel diritto amministrativo un’autonoma funzione svolta da organi
peculiari. Consiste in un esame, da parte in genere di un apposito organo, di atti e attività imputabili ad un
altro organo controllato.
Il controllo si conclude con la formulazione di un giudizio, positivo o negativo, sulla base del quale viene
adottata una misura. Il controllo sugli organi degli enti territoriali è riservato allo Stato. Il controllo può essere
condotto alla luce di criteri di volta in volta differenti; le misure che possono essere adottate sono: repressive
(annullamento dell’atto), impeditive (le quali ostano a che l’atto produca efficacia), o sostitutive (alla
privazione della facoltà di agire in capo al controllato si accompagna l’esercizio di amministrazione attiva da
parte del sostituto).
Un particolare tipo di controllo è il controllo di ragioneria. Gli uffici centrali del bilancio a livello centrale e le
ragionerie provinciali a livello di organi decentrati delle amministrazioni statali provvedono alla registrazione

5
degli impegni di spesa risultanti dai provvedimenti assunti dalle amministrazioni statali. L’ufficio centrale o la
ragioneria provinciale possono inviare osservazioni sulla legalità della spesa entro il termine di 10 giorni dalla
registrazione. Controllo successivo esterno e costituzionalmente garantito è quello esercitato dalla Corte dei
conti, attraverso il meccanismo della registrazione e dell’apposizione del visto. I provvedimenti soggetti a
controllo preventivo divengono efficaci nelle ipotesi in cui il competente ufficio di controllo non abbia rimesso
l’esame dell’atto alla sezione di controllo entro 30 giorni dal ricevimento dell’atto ovvero se la sezione di
controllo non abbia dichiarato l’illegittimità dell’atto entro 30 giorni dalla data del deferimento de
provvedimento; per quanto attiene all’esito negativo del controllo in via preventiva, è da ritenere che il rifiuto
debba essere esternato altrimenti il silenzio equivarrebbe ad assenso e, dunque, a controllo positivo.
Dalle relazioni interorganiche devono essere tenuti distinti i rapporti che possono correre tra organi diversi,
rapporti in cui è assente il carattere di stabilità che connota le sole relazioni.
Nell’avocazione un organo esercita i compiti, spettanti ad altro organo in ordine a singoli affari, per motivi di
interesse pubblico e indipendentemente dall’inadempimento dell’organo istituzionalmente competente.
La sostituzione ha invece come presupposto l’inerzia dell’organo sostituito nell’emanazione di un atto cui è
tenuto per legge e consiste nell’adozione, previa diffida, da parte di un organo sostituto degli atti di
competenza di un altro organo.
La delegazione è la figura in forza della quale un organo investito in via primaria della competenza di una
data materia consente unilateralmente, mediante atto formale, ad un altro soggetto di esercitare la stessa
competenza. Dalla delegazione va distinta la delega di firma, che non comporta alcun spostamento di
competenza, che spetta sempre all’organo delegante mentre il delegato ha solo il compito di sottoscrivere
l’atto.
- gli uffici
all’interno degli enti e accanto agli organi esistono gli uffici, dei nuclei elementari dell’organizzazione che
svolgono attività non caratterizzata dal meccanismo di imputazione di fattispecie.
Sono costituiti da un insieme di mezzi materiali e personali e sono chiamati a svolgere uno specifico compito
che, in coordinamento con quello degli altri uffici e strumentalmente rispetto all’esercizio delle competenze,
concorre al raggiungimento di un certo obbiettivo.
All’interno dell’ufficio si distingue la figura del preposto che ne è il titolare, l’ufficio il cui titolare sia
temporaneamente assente o impedito viene affidato al supplente, mentre si ha la reggenza nell’ipotesi di
mancanza di titolare: tale soggetto dirige il lavoro dell’ufficio che si svolge nell’ufficio stesso e ne è
responsabile.
Gli addetti e il titolare che prestano il proprio servizio presso l’ente sono legati alla persona giuridica da un
particolare rapporto giuridico, detto dovere d’ufficio, che ha ad oggetto comportamenti che il dipendente deve
tenere sia nei confronti della pubblica amministrazione, sia nei confronti dei cittadini.
Il rapporto di servizio lega all’ente tutti i soggetti-persone fisiche che fanno parte dell’organizzazione e si
distingue nettamente dal rapporto organico, perché quest’ultimo corre soltanto tra il titolare dell’organo e
l’ente e viene in evidenza ai fini dell’imputazione di fattispecie.
- beni pubblici
tra i beni che appartengono agli enti pubblici rivestono una particolare importanza i beni pubblici, i quali sono
assoggettati ad una normativa differente rispetto a quella che si applica agli altri beni per ciò che riguarda i
profili dell’uso, della circolazione e della tutela.
Accanto ai beni appartenenti alle pubbliche amministrazioni (beni pubblici) sussistono anche beni
appartenenti ad enti pubblici soggetti alla normativa di carattere generale sulla proprietà privata, fatte salve
alcune disposizioni in tema di contabilità pubblica (patrimonio disponibile degli enti pubblici).
Il complesso dei beni pubblici appartiene alle pubbliche amministrazioni a titolo di proprietà pubblica. La
titolarità della proprietà dei beni pubblici appartenenti agli enti pubblici trova la sua fonte innanzitutto nella
legge. Così alcuni beni appartengono allo Stato o alla regione ex lege: si tratta di taluni beni del demanio
naturale (marittimo e idrico) e del patrimonio indisponibile (miniere), nonché di altri beni quali i beni di
interesse artistico, storico o archeologico esistenti o ritrovati nel sottosuolo, i relitti marittimi e di aeromobili,
…. La titolarità può anche derivare da: fatti acquisitivi (acquisto della proprietà di beni mediante occupazione,
accessione, usucapione, invenzione, unione,…); atti di diritto comune (contratti, testamenti, donazioni,
pagamenti); fatti basati sul diritto internazionale; atti pubblicistici che comportano l’ablazione di diritti reali su
beni di altri soggetti(confisca, espropriazione, requisizione in proprietà o in uso).
La disciplina che si applica ai beni pubblici è contenuta essenzialmente negli artt. 822 c.c. e successivi. I
beni demaniali sono tassativamente indicati dalla legge e comprendono i beni demaniali necessari e i beni
demaniali accidentali.
I beni del demanio necessario sono costituiti a loro volta dal demanio marittimo (lido del mare, spiagge, porti,
lagune, rade, foci dei fiumi e canali utilizzabili ad uso pubblico marino), demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi,
altre acque pubbliche e ghiacciai) e demanio militare (opere destinate alla difesa nazionale: fortezze,
piazzeforti, linee fortificate; nonché le opere destinate al servizio delle comunicazioni militari).
I beni del demanio necessario non possono non appartenere allo Stato, fatte salve le eccezioni costituite dai
beni demaniali regionali.

6
Il demanio necessario è costituito esclusivamente da beni immobili che paiono caratterizzati dalla scarsa
deperibilità.
I beni del demanio accidentale sono costituiti da strade, autostrade, aerodromi non militari, acquedotti,
immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico, raccolte dei musei, pinacoteche, archivi,
biblioteche e dagli altri beni che sono assoggettati al regime proprio del demanio. L’art. 824 c.c. assoggetta
allo stesso regime dei beni demaniali accidentali i cimiteri e i mercati comunali.
I beni del demanio accidentale possono appartenere a chiunque ma sono tali qualora appartengano ad un
ente pubblico territoriale. Essi non sono costituii esclusivamente da beni immobili. I beni del demanio
naturale acquistano la demanialità per il solo fatto di possedere i requisiti previsti dalla legge; i beni artificiali,
invece, diventano demaniali nel momento in cui l’opera sia realizzata, purché siano di proprietà di un ente
territoriale. La cessazione della qualità di bene demaniale deriva, oltre che dalla distruzione del bene, dal
fatto della perdita dei requisiti di bene demaniale e dalla cessazione della destinazione.
Il codice civile si occupa del passaggio dei beni dal demanio al patrimonio indisponibile.
La sdemanializzazione comporta la cessazione del diritto di uso del bene spettante a terzi e l’estinzione delle
eventuali limitazioni derivanti dalla natura demaniale del bene stesso.
I beni del patrimonio indisponibile sono indicati dall’art. 826 c.c. e dall’ art. 830 c.c.
Vi fanno parte le foreste, le miniere, le cave, le torbiere, le acque termali e minerali, le cose di interesse
storico, archeologico, paletnologico e artistico, i beni costituenti la dotazione della presidenza della
Repubblica, le caserme,gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra, gli edifici destinati a sede di
uffici pubblici con i loro arredi e gli altri beni destinati a pubblico servizio. I beni del patrimonio indisponibile
possono appartenere a qualsiasi ente pubblico e comprendono beni immobili e mobili.
I beni del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi
stabiliti dalle leggi che li riguardano.
L’amministrazione dei beni immobili dello Stato spetta in linea di massima al ministero dell’economia e delle
finanze, ad eccezione dei beni del demanio marittimo che sono amministrati dal ministero delle infrastrutture
e dei trasporti, e del demanio idrico che rientrano nella competenza del ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio.
- situazioni giuridiche dell’amministrazione
hanno un referente soggettivo e per quanto riguarda la pubblica amministrazione, titolari di doveri, obblighi,
poteri e diritti possono essere soltanto gli enti pubblici, mentre questa possibilità deve essere esclusa per gli
organi, singoli elementi della loro organizzazione.
Il potere è la potenzialità astratta di tenere un certo comportamento ed espressione della capacità del
soggetto e perciò da esso inseparabile. Il suo esercizio si collega alla capacità di agire. Nel diritto
amministrativo una particolare rilevanza hanno i poteri che il soggetto pubblico è in grado di esercitare
prescindendo dalla volontà del privato e producendo unilateralmente una vicenda giuridica relativa alla sfera
giuridica dello stesso.
Il diritto soggettivo è una situazione giuridica di vantaggio che si ha quando la legge attribuisce al titolare la
possibilità di realizzare il proprio interesse indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse pubblico
curato dall’amministrazione.
È tutelato in via assoluta in quanto è garantita al suo titolare la soddisfazione piena e non mediata
dell’interesse protetto dalla norma.
Può quindi essere definito come la situazione giuridica di immunità dal potere.
Il dovere è un vincolo giuridico a tenere un dato comportamento positivo (fare) o negativo (non fare). Anche
l’amministrazione è soggetta ai doveri propri di tutti i soggetti dell’ordinamento: dovere di buona fede e
correttezza e di rispettare i diritti altrui.
L’obbligo, infine, è il vincolo del comportamento del soggetto in vista di uno specifico interesse di chi è il
titolare della situazione di vantaggio.
- Legittimazione ad agire vs capacità di agire
la capacità di agire consiste nell’idoneità a gestire le vicende delle situazioni giuridiche di cui il soggetto è
titolare e che si acquista con il compimento della maggior età, salvo che la legge stabilisca un’età diversa.
La capacità di agire differisce dalla legittimazione ad agire, la quale si riferisce invece a situazioni
specifiche e concrete effettivamente sussistenti ed a singoli rapporti.
Ad esempio, il soggetto ha la capacità di agire in relazione al potere di intervento nei procedimenti
amministrativi, ma ha la legittimazione ad agire soltanto se in concreto sia pendente un procedimento che
coinvolga suoi interessi.
- interesse legittimo
l’ordinamento generale riconosce prevalenza agli interessi che possono entrare in conflitto tra di loro
attribuendo di volta in volta diritti (se prevale l’interesse del soggetto privato) ovvero poteri amministrativi (se
prevale l’interesse pubblico), questi ultimi consentono di produrre vicende giuridiche in ordine a situazioni dei
terzi.
Interesse pretensivo si ha quando il privato pretende qualcosa dall’amministrazione, sicché la soddisfazione
della propria aspirazione passa attraverso il comportamento attivo dell’amministrazione; l’interesse

7
oppositivo, invece, si ha quando il soggetto privato si oppone all’esercizio di un potere che potrebbe
cagionare una vicenda giuridica svantaggiosa, per cui egli vedrà soddisfatta la propria pretesa in quanto
l’amministrazione non eserciti il potere.
L’interesse legittimo può essere descritto come la situazione soggettiva di vantaggio, costituita dalla
protezione giuridica di interessi finali che si attua non direttamente ed autonomamente, ma attraverso la
protezione indissolubile ed immediata di un altro interesse del soggetto meramente strumentale alla
legittimità dell’atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale interesse strumentale.
Esso sorge solo quando la soddisfazione dell’interesse del soggetto dipende dall’esercizio di un potere,
perciò occorre una norma che tuteli la situazione del privato in modo non generico.
I poteri connessi all’interesse legittimo sono: i poteri di reazione, il cui esercizio si concretizza nei ricorsi
amministrativi e nei ricorsi giurisdizionali, volti ad ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo; i poteri di
partecipazione al procedimento amministrativo e il potere di accedere ai documenti della pubblica
amministrazione.
- interessi procedimentali
sono interessi, strumentali ad altre posizioni soggettive, che attengono a fatti procedimentali e che investono
comportamenti della amministrazione e soltanto indirettamente beni della vita.
Ha un campo d’azione assai più ampio di quello dell’interesse legittimo e risulta spesso sfornito di tutela
effettiva, non potendosi ricorrere al giudice per la sua violazione, a differenza di quanto accade nell’ipotesi di
titolarità di interesse legittimo.
- interessi diffusi e interessi collettivi (interessi superindividuali)
gli interessi diffusi si caratterizzano sotto un duplice profilo: dl punto di vista soggettivo appartengono ad
una pluralità di soggetti; dal punto di vista oggettivo attengono a beni non suscettibili di fruizione
differenziata. Essi riflettono la contraddizione di un interesse, che per essere tale dovrebbe costituire
l’aspirazione di un soggetto ad un bene.
I portatori di interessi diffusi sono costituiti in associazioni o comitati.
Gli interessi collettivi, viceversa, sono gli interessi che fanno capo ad un gruppo organizzato, onde il
carattere della personalità e della differenziazione potrebbe essere rinvenuto più facilmente sostituendo, al
tradizionale soggetto, il gruppo, soggetto al quale gli interessi sono comunque riferibili.
- Libera circolazione delle persone e dei capitali
il principio della libera circolazione delle persone implica l’abolizione delle discriminazioni tra i lavoratori degli
Stati membri fondate sulla nazionalità. (Trattato CE)
- Libertà di stabilimento
il Trattato disciplina anche la libertà di stabilimento, la quale comporta l’accesso alle attività non salariate ed
al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle medesime condizioni fissate
dall’ordinamento del paese di stabilimento per i propri cittadini.
- Libera prestazione di servizi
il servizio è definito come ogni prestazione fornita dietro remunerazione da un cittadino di uno Stato membro
stabilito in uno Stato membro a favore di una persona stabilita in uno Stato diverso.
- Libertà di concorrenza
è un’altra libertà garantita dal diritto comunitario che può però essere lesa a seguito della presenza di poteri
amministrativi che condizionino oltre una certa misura l’attività delle imprese.
La sua tutela osta alle discipline interne che attribuiscono poteri amministrativi il cui esercizio potrebbe
determinare effetti protezionistici, discriminazioni e limitazioni del principio della concorsualità tra le imprese.
- Libertà di circolazione dei beni
ovvero la libertà delle importazioni e delle esportazioni nella Comunità europea.
- i poteri delle PA
il potere è attribuito all’amministrazione dalla legge e soltanto dalla legge.
I principali poteri amministrativi sono costituiti da poteri autorizzatori, poteri concessori, poteri ablatori, poteri
sanzionatori, poteri di ordinanza, poteri di programmazione e di pianificazione, poteri di imposizione di vincoli
e poteri di controllo.
Il potere autorizzatorio ha l’effetto di rimuovere i limiti posti dalla legge all’esercizio di una preesistente
situazione di vantaggio, il suo svolgimento comporta la previa verifica della compatibilità di tale esercizio con
un interesse pubblico.
L’uso di tale potere perciò produce l’effetto giuridico di modificare una situazione soggettiva preesistente,
consentendone l’esplicazione (se potere) o l’esercizio (se diritto) in una direzione in precedenza preclusa.
L’autorizzazione è il documento che dimostra il permesso dato dall'autorità competente.
Fanno parte dei poteri autorizzatori: le abilitazioni (atti il cui rilascio è subordinato all’accertamento
dell’idoneità tecnica di soggetti a svolgere una certa attività), il nullaosta (atto endoprocedimentale
necessario, emanato da un’amministrazione diversa da quella procedente, con cui si dichiara che in
relazione ad un particolare interesse, non sussistono ostacoli all’adozione del provvedimento finale), la
dispensa (il provvedimento espressione del potere che l’ordinamento, pur vietando i imponendo in generale
un certo comportamento, attribuisce all’amministrazione consentendole in alcuni casi di derogare

8
all’osservanza del relativo divieto o obbligo), l’approvazione (provvedimento permissivo, avente ad oggetto
un atto rilasciato, a seguito di una valutazione di opportunità e convenienza dell’atto stesso), la licenza
(provvedimento che permette lo svolgimento di un’attività previa valutazione della sua corrispondenza ad
interessi pubblici).
I poteri concessori sono un’altra categoria il cui esercizio determina effetti favorevoli per i privati; infatti
produce l’effetto di attribuire al destinatario medesimo status e situazioni giuridiche che esulano dalla sua
sfera giuridica in quanto precedentemente egli non ne era titolare.
La concessione è detta traslativa quando il diritto preesiste in capo all’amministrazione, sicchè esso è
trasmesso al privato, che risulta così privilegiata rispetto ad altri consociati (i caratteri essenziali possono
riassumersi nell’attribuzione di una posizione di privilegio ad un soggetto terzo sulla base di un accordo e
nella sostituzione del concessionario nello svolgimento di un compito dell’amministrazione, assumendosene
il rischio); mentre è costitutiva nei casi in cui il diritto attribuito è totalmente nuovo, nel senso che
l’amministrazione non poteva averne la titolarità. Per quanto riguarda la concessione di opere pubbliche, la
legislazione mira ad equipararle all’appalto o a limitare la discrezionalità di cui gode l’amministrazione
chiamata a rilasciarle, al fine di evitare che, impiegando lo strumento concessorio, tradizionalmente
caratterizzato dalla possibilità di scegliere discrezionalmente il privato chiamato a sostituirsi
all’amministrazione in situazioni in ordine alle quali il soggetto pubblico non dispone di adeguata
organizzazione, l’amministrazione possa svincolarsi dalle regole poste a tutela della concorrenza.
Esiste poi la concessione di servizi pubblici, figura che ricorre allorché l’ordinamento intenda garantire ai
privati alcune prestazioni ed attività e consenta all’amministrazione di affidarne lo svolgimento a soggetti
privati appunto mediante un provvedimento concessorio.
In relazione ai servizi pubblici gestiti dalla pubblica amministrazione e rivolti ai singoli utenti che ne facciano
richiesta vi sono le ammissioni (atti che attribuiscono al singolo il diritto alla prestazione e quindi al
godimento del servizio)e le sovvenzioni (che attribuiscono al destinatario vantaggi economici).
I poteri ablatori incidono negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, essi hanno segno opposto
rispetto a quelli concessori, nel senso che impongono obblighi o sottraggono situazioni favorevoli in
precedenza pertinenti al privato, attribuendole all’amministrazione.
L’effetto ablatorio può incidere su diritti reali, diritti personali o su obblighi a rilevanza patrimoniale.
Vi figurano: l’espropriazione (provvedimento che ha l’effetto di costituire un diritto di proprietà o altro diritto
reale in capo ad un soggetto previa estinzione del diritto in capo ad altro soggetto al fine di consentire la
realizzazione di un’opera pubblica o per altri motivi di pubblico interesse), l’occupazione temporanea (può
essere disposta solo quando ciò sia necessario per la corretta esecuzione dei lavori prevedendo la relativa
indennità), le requisizioni (provvedimenti mediante i quali l’amministrazione dispone della proprietà o utilizza
un bene di un privato per soddisfare un interesse pubblico. Ci sono due tipi di requisizioni: le requisizioni in
proprietà che riguardano soltanto cose mobili e possono essere disposte, generalmente per esigenze
militari, dietro corresponsione di un’indennità; le requisizioni in uso che è un provvedimento che ha come
presupposto l’urgente necessità, riguarda beni sia mobili che immobili e comporta la possibilità di poter
utilizzare il bene per il tempo necessario e pagando un’indennità), la confisca (provvedimento a carattere
sanzionatorio ed è la misura conseguente alla commissione di un illecito amministrativo), il sequestro
(provvedimento di natura cautelare, mira in genere a salvaguardare la collettività dai rischi derivanti dalla
pericolosità del bene) e gli ordini ( che hanno l’effetto di imporre un comportamento al destinatario, si
distinguono in comandi e divieti).
I poteri sanzionatori corrispondono alle sanzioni amministrative, cioè alla misura afflittiva non consistente in
una pena criminale o in una sanzione civile.
È il risultato dell’esercizio di un potere amministrativo, il procedimento prende avvio dall’accertamento e
contestazione della violazione, prevede la possibilità per l’interessato di difendersi e si conclude con
l’irrogazione della sanzione.
L’efficacia dei provvedimenti sanzionatori è subordinata alla loro comunicazione al destinatario.
Le sanzioni amministrative si suddividono in: sanzioni ripristinatorie che colpiscono la res e mirano a
reintegrare l’interesse pubblico leso e sanzioni afflittive che si rivolgono direttamente all’autore dell’illecito. Le
sanzioni afflittive si distinguono ulteriormente in sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive (che incidono
sull’attività del soggetto colpito).
- Potere di ordinanza
è un potere caratterizzato dal fatto che la legge non predetermina in modo compiuto il contenuto della
statuizione in cui il potere può concretarsi, oppure ancora consente all’amministrazione stessa di esercitare
un potere tipico in presenza di situazioni diverse da quelle previste in via ordinaria o seguendo procedure
differenti.
L’esercizio del potere di ordinanza dà luogo all’emanazione delle ordinanze di necessità e urgenza, quindi
questo potere non rispetta il principio di tipicità dei poteri amministrativi che, in applicazione del principio di
legalità, impone la previa individuazione degli elementi necessari dei poteri a garanzia dei destinatari degli
stessi. Ma le ordinanze in esame, d’altronde, sono previste proprio per far fronte a situazioni che non
possono essere risolte rispettando il normale ordine delle competenze e i normali poteri.

9
Le ordinanze vanno distinte dai provvedimenti d’urgenza, atti tipici e nominati suscettibili di essere emanati
sul presupposto dell’urgenza ma che sono di contenuto predeterminato dal legislatore.
Ci sono poi i poteri di pianificazione e di programmazione da ricordare. La programmazione, a cui è
riconducibile la pianificazione, indica il complesso di atti mediante i quali l’amministrazione, previa
valutazione di una situazione nella sua globalità, individua le misure coordinate per intervenire in un dato
settore.
Al fine di conservare alcuni beni immobili che presentano peculiari caratteristiche storiche, ambientali,
urbanistiche…, la legge attribuisce all’amministrazione il potere di sottoporre gli stessi a vincolo
amministrativo, imposto mediante piano. Mediante tale vincolo, si produce una riduzione delle facoltà
spettanti ai proprietari: in genere si tratta dell’imposizione di obblighi di fare (conservare i beni, realizzare
interventi) o di non fare (modificare o alterare l’immobile). Il vincolo può essere assoluto, se impedisce di
utilizzare il bene, o relativo.
- Dichiarazione sostitutiva
quando l’amministrazione esercita un potere pone in essere atti che,non sono già provvedimentali ma
strumentali ad altri poteri. Questi sono detti atti dichiarativi.
L’efficacia di tali atti incide su una situazione giuridica preesistente rafforzandola, specificandone il contenuto
o affievolendola impedendo così la realizzazione della situazione in una certa direzione.
Ci sono poi gli atti di certazione, i quali producono certezze che valgono erga omnes, che hanno la funzione
di attribuire certezza legale ad un dato, precludendo ai consociati di assumere che il dato sia diverso da
come è raffigurato nell’atto.
La certezza può poi essere messa in circolazione mediante certificati, che sono atti con cui si riproduce una
certezza. Il certificato è dunque il documento tipico rilasciato da un’amministrazione, ha normalmente i
caratteri dell’atto pubblico e fa piena prova di ciò che in esso è dichiarato e della provenienza.
È poi da distinguere gli attestati, che sono atti amministrativi tipici ma in suscettibili di creare la medesima
certezza legale creata dalle certazioni e che, a differenza dei certificati, non mettono in circolazione una
certezza creata da un atto di certazione.
La dichiarazione sostitutiva è un atto del privato capace di sostituire una certificazione pubblica
producendone lo stesso effetto giuridico.
Si distingue dal certificato in quanto non proviene da un ente pubblico,è destinata a confluire solo in un
singolo rapporto tra cittadino ed amministrazione e non consiste in una trascrizione del contenuto di un
pubblico registro.
La mancata accettazione di una dichiarazione sostitutiva costituisce violazione dei doveri d’ufficio.
Vi sono due tipi di dichiarazioni sostitutive: la dichiarazione sostitutiva di certificazione, che è il documento
sottoscritto dall’interessato in sostituzione dei certificati (non devono più essere autenticate,
indipendentemente dalle modalità di presentazione); la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che il
cittadino può rendere al funzionario competente, ossia atti con cui il privato comprova, nel proprio interesse e
a titolo definitivo, tutti gli stati, fatti e qualità personali non compresi in pubblici registri, albi ed elenchi,
nonché stati, fatti e qualità personali relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza. Questo tipo
di dichiarazione da produrre a organi dell’amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono
sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto.
Il controllo delle dichiarazioni sostitutive deve sempre avvenire consultando direttamente gli archivi
dell’amministrazione certificante e richiedendole conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato.
Differenza tra dichiarazioni sostitutive di certificati e autocertificazioni sta nel fatto che le prime, sostituendo
un certificato, riguardano contenuti in pubblici registri, mentre le seconde attengono a situazioni non
consacrate in atti di certazione. In tal senso, le autocertificazioni paiono caratterizzarsi per un contenuto più
esteso.
- Atti amministrativi generali
sono gli atti amministrativi di un’amministrazione che può determinare effetti giuridici in relazione a tutti i
rapporti che abbiano le medesime caratteristiche.
Sono detti generali in quanto sono in grado di produrre effetti nei confronti di una generalità di soggetti,
titolari di quei rapporti, pur se risultano privi di forza precettiva.
Tali atti sono ricollegabili allo schema norma-potere-effetto: la legge non produce direttamente l’effetto in
quanto attribuisce il relativo potere all’amministrazione.
Spesso la categoria degli atti amministrativi generali non è facilmente differenziabile da quella degli atti
normativi, i quali sarebbero caratterizzati dall’astrattezza (indefinita ripetibilità dei precetti). Alcuni ritengono
che la distinzione sia che solo gli atti normativi sono sottoposti ad un particolare iter procedimentale.
Qualora ricorra lo schema norma-potere-effetto, gli atti amministrativi generali e gli atti normativi presentano
le seguenti differenze: solo gli atti normativi sono astratti e sono espressione di un potere diverso da quello
amministrativo (essi non costituiscono esercizio di azione dell’amministrazione ma ne disciplinano il futuro
svolgimento).
I bandi militari sono atti normativi emanati dalle autorità militari in tempo di guerra, aventi per espressa scelta
legislativa forza di legge.

10
- Norme di azione e norme di relazione
le norme di azione sono le norme giuridiche che hanno ad oggetto l’azione dell’amministrazione e non
l’individuazione di assetti intersoggettivi. Esse si distinguono dalle norme di relazione anche per un altro
aspetto e cioè che possono provenire non soltanto dalla legge ma dall’amministrazione stessa, la quale
dispone di potere normativo.
Le norme di relazione proteggono in particolare i diritti soggettivi. Alla violazione di una norma di relazione
consegue la lesione di un diritto soggettivo e il giudice che tutela i diritti soggettivi è il giudice ordinario. L’atto
amministrativo emanato in assenza di potere è da qualificare come nullo ed è sindacabile dal giudice
ordinario.
- Discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica
la discrezionalità amministrativa pura è lo spazio di scelta che residua allorché la normativa di azione non
predetermini in modo completo tutti i comportamenti dell’amministrazione. La discrezionalità tecnica, invece,
è la possibilità di scelta che spetta all’amministrazione allorché sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di
varia valutazione, e si riduce ad un’attività di giudizio a contenuto scientifico. La scelta discrezionale pura
può attenere a vari profili dell’azione amministrativa, quali il contenuto del provvedimento, la stessa
decisione relativa al “se” e al “quando” rilasciarlo, oppure a più profili congiunti e deve essere effettuata alla
stregua dell’interesse pubblico che informa l’azione amministrativa, recando il minor pregiudizio agli altri
interessi coinvolti.
- Carenza di potere in concreto
le situazioni in cui nella realtà il problema del contrasto con una norma di relazione si pone con maggior
frequenza attengono a contesti differenti, in cui si versa nella situazione di carenza di potere in concreto.
Il potere non esiste e l’effetto non si produce quando l’amministrazione agisce violando una norma attributiva
del potere. La mancanza di potere, ossia la carenza di potere, può presentarsi sia come carenza in astratto e
allora l’affermazione è esatta nel senso che non si ha alcuna degradazione, sia come carenza di potere in
concreto e in tal caso il potere non manca totalmente (sia pur ridotto, esiste, perché in astratto esso c’è, in
quanto le norme attributive del potere sono state osservate).
La carenza di potere in concreto riguarda i casi in cui l’atto, pur emanato in violazione di una categoria
peculiare di norme di relazione, produce alcuni effetti: tali norme non attribuiscono il potere in astratto, già
conferito da altre norme e quindi esistente, ma lo definiscono in concrete fattispecie in capo ad un
determinato soggetto pubblico, sicché è consentita l’esplicazione di alcuni effetti e il provvedimento è
qualificato come illecito.
- regolamenti e direttive
i regolamenti comunitari sono atti di portata generale, obbligatori e direttamente applicabili nei rapporti
verticali tra pubblici poteri e cittadini, essi devono essere applicati dal giudice interno anche disapplicando la
legge nazionale incompatibile; le direttive comunitarie sono vincolanti per lo Stato membro in ordine al
risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi
per conseguire quel risultato.
I regolamenti sono emanati da organi amministrativi titolari del potere normativo, consistente nella
possibilità di emanare norme generali e astratte. Esercitando il potere normativo, l’amministrazione può
dettare parte della disciplina che essa stessa dovrà applicare nell’esercizio dei propri poteri amministrativi.
L’attività normativa dell’amministrazione è soggetta non solo al principio di preferenza della legge ma anche
a quello di legalità il quale impone che ogni manifestazione di attività normativa trovi il proprio fondamento in
una legge generale, che indichi l’organo competente e le materie in ordine alle quali esso può esercitarla.
Sotto il profilo del soggetto e dell’organo da cui provengono, i regolamenti si distinguono in regolamenti
governativi (per la loro emanazione, la legge richiede la deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il
parere del Consiglio di Stato. Emanati con decreto del Presidente della Repubblica e sottoposti al visto e alla
registrazione della Corte dei conti, sono poi pubblicati nella Gazzetta ufficiale e devono essere
espressamene denominati regolamenti), regolamenti ministeriali e regolamenti interministeriali (allorché
siano adottati con decreti interministeriali in quanto attinenti a materie di competenza di più ministri) e
regolamenti degli enti pubblici (alla legge spetta dettare le linee fondamentali dell’organizzazione dell’ente,
lasciando alle scelte autonome la possibilità di arricchire ed integrare tale disegno. Lo statuto dell’ente locale
stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo e le garanzie delle
minoranze e le forme di partecipazione popolare).
Le direttive sono atti che determinano l’indirizzo dell’ente, lasciando allo stesso la possibilità di scegliere le
modalità attraverso le quali conseguire gli obiettivi prefissati.
- Regolamenti governativi
la loro disciplina è fissata dalla legge 400/1988. per la loro emanazione, la legge richiede la deliberazione del
Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Emanati con decreto del Presidente della
Repubblica e sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti, essi sono pubblicati nella Gazzetta
ufficiale e debbono essere espressamente denominati regolamenti.
Ci sono diversi tipi di regolamenti governativi: regolamenti esecutivi che rappresentano le fonti governative
mediante le quali sono poste norme di dettaglio rispetto alla legge; regolamenti attuativi e integrativi rispetto

11
a leggi che pongono norme di principio, possono essere adottati al di fuori delle materie riservate alla
competenza regionale; regolamenti indipendenti emanati per disciplinare le materie in cui ancora manchi la
disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge; regolamenti di organizzazione; regolamenti di
delegificazione che possono essere adottati solo a seguito di una specifica previsione di legge e regolamenti
ministeriali e interministeriali.
- procedimento amministrativo
rappresenta la forma esteriore con la quali si manifesta il farsi dell’azione amministrativa.
L’art. 1 della legge 241/1990 afferma che l’azione amministrativa deve essere retta da criteri di economicità,
cioè il conseguimento degli obiettivi deve avvenire con il minor impiego possibile di mezzi personali,
finanziari e procedimentali (l’economicità si traduce nell’esigenza del non aggravamento del procedimento se
non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria); efficacia, il rapporto tra
obiettivi prefissati ed obiettivi conseguiti; pubblicità, un carattere che costituisce conseguenza diretta della
natura pubblica dell’amministrazione, da un lato implica la necessaria preordinazione della sua attività alla
soddisfazione di interessi pubblici e dall’altro richiede la trasparenza dell’amministrazione stessa e della sua
azione agli occhi del pubblico.
All’art. 3 bis della stessa legge emerge il concetto di efficienza, cioè il rapporto tra mezzi impiegati ed
obiettivi conseguiti.
Il procedimento deve seguire un particolare ordine nella successione degli atti e delle operazioni che lo
compongono.
Innanzitutto vi è la fase preparatoria in cui sono presenti atti che assolvono ad una funzione preparatoria
rispetto all’emanazione del provvedimento finale; segue la fase decisoria in cui viene emanato l’atto o gli atti
con efficacia costitutiva e si chiude con quegli atti che confluiscono nella fase integrativa dell’efficacia che
è eventuale, in quanto in alcuni casi la legge non la prevede, con la conseguenza che il provvedimento
produrrà comunque la sua efficacia dopo la fase decisoria.
Tra l’iniziativa e l’integrazione dell’efficacia trovano posto gli atti endoprocedimentali, destinati a produrre
effetti rilevanti nell’ambito del procedimento stesso. L’illegittimità di uno degli atti del procedimento determina
in via derivata l’illegittimità del provvedimento finale.
Il procedimento si apre con l’iniziativa che può essere ad istanza di parte o d’ufficio.
L’iniziativa ad istanza di parte è caratterizzata dal fatto che il dovere di procedere sorge a seguito dell’atto
di impulso proveniente da un soggetto privato oppure da un soggetto pubblico diverso dall’amministrazione
cui è attribuito il potere, o da un organo differente da quello competente a provvedere. In caso di formazione
del silenzio inadempimento il privato può nuovamente riproporre l’istanza. La proposta è l’atto di iniziativa,
con cui si suggerisce l’esplicazione di una certa attività; se è vincolante comporta il dovere
dell’amministrazione procedente di conformarsi alla stessa e di far proprio il contenuto dell’atto proposto, se
non è vincolante si ritiene sussistente la possibilità dell’amministrazione di valutare l’opportunità di esercitare
il potere o di non seguirla.
La richiesta è l’atto di iniziativa, consistente in una manifestazione di volontà, mediante il quale un’autorità
sollecita ad altro soggetto pubblico l’emanazione di un determinato atto amministrativo.
L’istanza proviene dal solo cittadino ed è espressione della sua autonomia privata.
A fronte dell’istanza, l’amministrazione deve dar corso al procedimento ma può anche rilevarne l’erroneità o
l’incompletezza; in tal caso, prima di rigettare l’istanza, deve procedere alla richiesta della rettifica che
introduce il principio della sanabilità delle istanze dei privati .
La richiesta e la proposta, provenienti da un’amministrazione pubblica, conseguono all’esplicazione di un
potere pubblico e mirano alla cura di interessi pubblici, mentre l’istanza è posta in essere in funzione di
interessi particolari.
L’iniziativa d’ufficio è prevista dall’ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di interessi pubblici affidati alla cura
di un’amministrazione esiga che si attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti,
indipendentemente dalla sollecitazione proveniente da soggetti esterni. Le segnalazioni devono essere
soggette ad una verifica, la quale in ogni caso attiene alla sufficienza del fatto rappresentato ai fini
dell’attivazione del procedimento.
L’individuazione del momento in cui il procedimento ha inizio è importante in quanto solo con riferimento ad
esso è possibile stabilire il termine entro il quale il procedimento stesso deve essere concluso.
L’art. 2 della legge 241/1990 stabilisce che tale termine decorre dall’inizio di ufficio del procedimento o dal
ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte.
Il procedimento si conclude con l’emanazione dell’ultimo atto della serie procedimentale, che non coincide
necessariamente con il provvedimento. Finché non si perfeziona la fase integrativa dell’efficacia, il
provvedimento non produce effetti e il procedimento non può dirsi concluso.
Il termine si intende rispettato quando l’amministrazione emana il provvedimento finale entro 90 giorni.
L’art. 20 ammette la possibilità che il procedimento sia definito mediante silenzio-assenso, il quale può
essere impedito emanando un provvedimento di diniego. L’amministrazione ha il dovere di provvedere in
modo espresso soltanto ove intenda rifiutare il provvedimento richiesto dal privato, potendo altrimenti restare
inerte. Posto che l’art. 20 prevede un ulteriore strumento per evitare il formarsi del silenzio (indizione di una

12
conferenza di servizi), può osservarsi che l’amministrazione ha il dovere di attivarsi qualora ritenga che la
situazione che si realizzerebbe a seguito della formazione del silenzio-assenso risulti in contrasto con
l’interesse pubblico. A fronte dell’inutile decorso del tempo senza che l’amministrazione abbia emanato un
provvedimento si forma il silenzio inadempimento, che non produce effetti equipollenti a quelli di un
provvedimento.
I termini possono essere interrotti o sospesi, prima della formale adozione di un provvedimento negativo,
l’amministrazione comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda
e questa comunicazione interrompe i termini che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di
presentazione delle osservazioni o dalla scadenza del termine di 10 giorni dal ricevimento della
comunicazione attribuito agli istanti per presentare per iscritto le loro osservazioni corredate da documenti.
I termini sono sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo non superiore a 90
giorni, qualora leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni
tecniche di organi o enti appositi.
Il procedimento può concludersi con l’emanazione del provvedimento ma anche con atti differenti, ovvero
con un mero fatto: il silenzio.
La fase integrativa dell’efficacia, cioè l’attitudine ad essere fonte di vicende giuridiche e a qualificare
situazioni e rapporti, del provvedimento conclusivo del procedimento è spesso subordinata al compimento di
determinate operazioni, al verificarsi di certi fatti o all’emanazione di ulteriori atti.
I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito
dalla legge o dal provvedimento stesso.
- il responsabile del procedimento
la sua figura è disciplinata dalla legge 241/1990. Il responsabile del procedimento è un soggetto che svolge
importanti compiti sia in relazione alla fase di avvio dell’azione amministrativa sia allo svolgimento del
procedimento nel suo complesso.
Le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento l’unità
organizzativa responsabile dell’istruttoria nonché dell’adozione del provvedimento finale.
Adempiuto l’obbligo, segue l’individuazione, all’interno di ciascuna unità organizzativa, del responsabile del
procedimento, persona fisica che agirà in concreto.
Esso deve valutare le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano
rilevanti per l’emanazione del provvedimento; svolge anche funzioni propriamente istruttorie sia ponendole
direttamente in essere che dirigendo questa fase procedimentale; ha compiti di impulso del procedimento e
può indire le conferenze di servizi; inoltre, ove non abbia la competenza ad emanare l’atto finale, trasmette
gli atti all’organo competente per l’adozione, altrimenti emana egli stesso tale provvedimento.
È il soggetto che instaura il dialogo con i soggetti interessati al procedimento mediante la comunicazione
dell’avvio del procedimento, lo prosegue nella fase della partecipazione e anche dopo l’emanazione del
provvedimento finale, mediante la comunicazione, la pubblicazione e le notificazioni previste
dall’ordinamento.
- comunicazione dell’avvio del procedimento
l’avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti, a quelli che per legge devono intervenirvi e ai soggetti, diversi dai diretti
destinatari, che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa loro derivare un
pregiudizio.
La comunicazione dell’avvio è un compito del responsabile del procedimento, deve essere fatta mediante
comunicazione personale e deve contenere: l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento,
l’ufficio e la persona del responsabile del procedimento, la data entro la quale deve concludersi il
procedimento, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. L’omissione della comunicazione configura
un’ipotesi di illegittimità che può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è
prevista.
- Art 7 e art 9
l’art. 7 tratta della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo: “…l'avvio del procedimento
stesso è comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti
diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento
predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse
modalità, notizia dell'inizio del procedimento.”
L’art. 9, invece, tratta dell’intervento del procedimento: “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o
privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un
pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento.”

- istruttoria procedimentale

13
è la fase del procedimento funzionalmente volta all’accertamento dei fatti e dei presupposti del
provvedimento ed alla acquisizione e valutazione degli interessi implicati dall’esercizio del potere. È condotta
dal responsabile del procedimento che è chiamato ad accertare i fatti, compiendo gli atti necessari, molto
spesso il responsabile utilizza uffici o servizi tecnici di altre amministrazioni. L’organo competente per
l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi
dalle risultanze dell’istruttoria se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.
L’istruttoria serve per acquisire interessi (aspirazioni a beni della vita) e verificare i fatti (eventi o situazioni)
mediante una serie di operazioni. L’attività conoscitiva in senso proprio, volta ad acquisire la conoscenza
della realtà di fatto, si svolge mediante una serie di operazioni i cui risultati vengono attestati da dichiarazioni
di scienza, acquisite al procedimento. Essi sono spesso attestati da documenti, certificazioni o dichiarazioni
presentati o esibiti all’amministrazione o da questa direttamente formati.
Gli interessi rilevanti sono acquisiti al procedimento sia attraverso l’iniziativa dell’amministrazione procedente
sia a seguito dell’iniziativa dei soggetti titolari degli interessi stessi. L’amministrazione procedente può
richiedere all’amministrazione cui è imputato l’interesse pubblico da acquisire di esprimere la propria
determinazione, ovvero può indire una conferenza di servizi per l’esame contestuale dei vari interessi
pubblici coinvolti nel procedimento, oppure l’amministrazione portatrice dell’interesse pubblico secondario
può partecipare al procedimento.
Una volta acquisiti tutti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti rilevanti, l’amministrazione
deve procedere ad una valutazione di siffatto materiale istruttorio.
Completata l’istruttoria il procedimento è maturo per addivenire all’emanazione dell’atto.
- la partecipazione al procedimento
è uno degli strumenti più importanti previsti dalla legge 241/1990 per introdurre interessi pubblici e privati nel
procedimento.
Sono legittimati all’intervento nel procedimento i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti, i soggetti che per la legge debbano intervenire e i soggetti che possono
subire un pregiudizio dal provvedimento, i portatori di interessi pubblici o privati e di interessi diffusi costituiti
in associazioni o comitati.
Le norme contenute nel capo sulla partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano
all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione.
La partecipazione consiste nel diritto di prendere visione dei relativi atti e nella presentazione di memorie
scritte e documenti che l’amministrazione ha il dovere di valutare.
- Concerto e intesa
il concerto è un istituto che si riscontra di norma nelle relazioni tra organi dello stesso ente: l’autorità
concertante elabora uno schema di provvedimento e lo trasmette all’autorità concertata, che si trova in
posizione di parità rispetto alla prima. Il consenso delle autorità concertate condiziona l’emanazione del
provvedimento.
L’intesa viene di norma raggiunta tra enti differenti ai quali tutti si imputa l’effetto. Un’amministrazione deve
chiedere l’intesa ad altra autorità, il cui consenso condiziona l’atto finale.
- conferenza di servizi
è indetta dal responsabile del procedimento e consiste in una riunione di persone fisiche in rappresentanza
delle rispettive amministrazioni, ciascuna delle quali esprime il punto di vista dell’amministrazione
rappresentata che confluisce poi in una determinazione conclusiva che sostituisce l’insieme delle
manifestazioni dei vari interessi pubblici coinvolti che le amministrazioni potrebbero introdurre utilizzando lo
strumento della partecipazione.
Il modello di conferenza di servizi introdotto dall’art. 14 della legge 241/1990 differisce dalla conferenza
istruttoria anche se la disciplina è in alcune parti identica: si tratta di una conferenza decisoria.
Il legislatore la circoscrive ai casi in cui sia necessario acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi
comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e ricorrano due evidenze: avendo formalmente
richiesto questi atti, l’amministrazione non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della relativa richiesta
(l’indizione è obbligatoria), o nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni
interpellate (l’indizione è facoltativa).
La conferenza di servizi tende ad un accordo tra amministrazioni, il quale non elimina la necessità
dell’emanazione del successivo provvedimento.
Ai sensi dell’art. 14-ter, anche in caso di dissenso espresso da un soggetto convocato alla conferenza, sulla
base delle risultanze della conferenza, l’amministrazione procedente adotta i provvedimento finale. La
conferenza tende all’accordo solo in prima battuta, ma consente di giungere alla determinazione finale pure
in sua assenza, anche in contrasto con gli avvisi espressi dai rappresentanti degli enti competenti in via
ordinaria.
Alla determinazione conclusiva della conferenza decisoria si può conformare il provvedimento finale, così
sostituendo ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso comunque denominato di
competenza delle amministrazioni partecipanti.

14
La conferenza decisoria (indetta quando, avendo formalmente richiesto gli atti di assenso, l’amministrazione
non li abbia ottenuti entro 15 giorni dall’inizio del procedimento, ovvero abbia riscontrato un dissenso di una
o più amministrazioni interpellate) può essere definita interna. La legge disciplina anche un modello di
conferenza di servizi decisoria esterna, la quale può essere convocata dall’amministrazione competente per
l’adozione del provvedimento finale quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso di
competenza di più amministrazioni pubbliche.
La conferenza istruttoria, invece, può essere convocata per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più
procedimenti connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. Su richiesta di una qualsiasi delle
amministrazioni coinvolte, essa è indetta dall’amministrazione o da una delle amministrazioni che curano
l’interesse pubblico prevalente.
- silenzio
il silenzio è l’inerzia dell’amministrazione a seguito di ricorso presentato dal privato, il nostro ordinamento
riconosce diverse forme di silenzio: silenzio rigetto, silenzio significativo, silenzio inadempimento e silenzio
devolutivo. Sulla carta, la regola da applicare quando l’amministrazione rimane inerte, è quella del silenzio
assenso, che è una delle tipologie del silenzio significativo.
Nell’ipotesi del silenzio significativo, l’ordinamento collega al decorso del termine la produzione di un
effetto equipollente all’emanazione di un provvedimento favorevole (silenzio assenso) o di diniego (silenzio
diniego) a seguito di istanza del privato titolare di un interesse pretensivo.
Pochi sono i casi di silenzio diniego che vanno espressamente previsti dalla legge (un’ipotesi è quella
prevista dall’art. 25 della legge 241/1990 in materia di accesso ai documenti amministrativi); più rilevante è il
campo di applicazione del silenzio assenso che costituisce la regola nel nostro ordinamento per i
procedimenti ad istanza di parte, pur se temperata da una serie di importanti eccezioni. Il suo presupposto è
quello secondo cui la legge effettua una preliminare valutazione astratta della compatibilità dell’attività
privata con l’interesse pubblico. L’art. 20 dispone che nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di
provvedimenti amministrativi, fatta salva l’applicazione dell’art. 19 che attiene alla DIA, il silenzio
dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità
di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, entro il termine,
un provvedimento di diniego. Al fine di evitare la formazione del silenzio, l’amministrazione competente può
operare in tre modi: può provvedere espressamente, atteso che rimane fermo il principio in forza del quale
l’amministrazione ha il potere/dovere di provvedere con atto espresso; può comunicare all’interessato il
provvedimento di diniego (ai sensi dell’art. 20 c.1) entro il termine previsto; può indire, entro 30 giorni dalla
presentazione dell’istanza, una conferenza di servizi.
La circostanza che l’amministrazione disponga di un potere amministrativo, ancorché non lo eserciti
emanando un provvedimento, ha come conseguenza che il privato, autorizzato a svolgere una certa attività
a seguito del formarsi del silenzio, trova il titolo legittimante dell’attività stessa non già direttamente nella
legge, bensì negli effetti collegati al silenzio.
Il silenzio inadempimento è un mero fatto. Il suo campo di applicazione è quello in cui operano le eccezioni
al silenzio assenso e concerne le ipotesi in cui l’amministrazione ometta di provvedere a conclusione di
procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica
sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, nei casi in cui la normativa comunitaria impone
l’adozione di provvedimenti amministrativi formali nonché in relazione ai procedimenti individuati con uno o
più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per la funzione pubblica, di
concerto con i ministri competenti. La disciplina dell’istituto si ricava dall’art. 2 della legge 241/1990:
trascorso il termine fissato per la conclusione del procedimento, il silenzio può ritenersi formato.
Il silenzio rigetto si forma nei casi in cui l’amministrazione, alla quale sia stato indirizzato un ricorso
amministrativo, rimanga inerte. Il ricorso si ritiene respinto trascorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso
gerarchico.
Il silenzio devolutivo concerne l’inutile decorso del termine, che consente al soggetto pubblico di
completare il procedimento pur in assenza di un parere obbligatorio, ovvero di rivolgersi ad un’altra
amministrazione al fine di ottenere una valutazione tecnica non resa dall’amministrazione alla quale è stata
inizialmente richiesta.
- il provvedimento
è l’atto amministrativo che, in quanto efficace sul piano dell’ordinamento generale, produce vicende
giuridiche in ordine alle situazione giuridiche di soggetti terzi.
L’atto amministrativo è definito come qualsiasi manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o conoscenza
proveniente da una pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa. Nell’ambito degli
atti amministrativi riveste peculiare importanza il provvedimento, atto con cui si chiude il procedimento
amministrativo. Il provvedimento è emanato dall’organo competente ed è dotato di effetti sul piano
dell’ordinamento generale. L’atto in sé è composto di norma da un’intestazione (nella quale è indicata
l’autorità emanante), da un preambolo (in cui sono enunciate le circostanze di fatto e quelle di diritto,
delineando così il quadro normativo e fattuale ne cui contesto l’atto è emanato), dalla motivazione (la quale
indica le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto del provvedere) e dal dispositivo (il quale rappresenta la

15
parte precettiva del provvedimento e contiene la concreta statuizione posta in essere dall’amministrazione).
Il provvedimento è poi datato e sottoscritto, indicando anche il luogo della sua emanazione.
Componente fondamentale del provvedimento è la volontà, intesa come volontà procedimentale; è un atto di
disposizione in ordine all’interesse pubblico che l’amministrazione deve perseguire e che si correla con
l’incisione di altrui situazioni soggettive. Un’altra caratteristica del provvedimento è l’autoritatività, cioè la
connotazione del potere comunque rivolto alla cura dei pubblici interessi e preordinato alla produzione di
effetti giuridici in capo ai terzi.
Il provvedimento è sempre caratterizzato dal perseguimento unilaterale di interessi pubblici e della
produzione unilaterale di vicende giuridiche sul piano dell’ordinamento generale in ordine a situazioni
giuridiche dei privati.
Ai sensi dell’ art. 21-septies della legge 241/1990, è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli
elementi essenziali. L’articolo dice che esistono elementi essenziali del provvedimento ma non si dà cura di
definirli: si tratta di quegli elementi la cui assenza impedisce al provvedimento di venire in vita e sono il
soggetto (il potere è conferito ad un soggetto pubblico dotato di personalità giuridica), il contenuto dispositivo
(il potere consiste nella possibilità di produrre una determinata vicenda giuridica. Il contenuto può essere
necessario, consistente nella vicenda giuridica tipizzata dalla legge; accidentale, ovvero le clausole
accessorie: condizioni: è possibile subordinare la produzione – condizione sospensiva - o la cessazione
dell’effetto – condizione risolutiva - al verificarsi di un avvenimento futuro e incerto; termine e modo, che la
volontà dell’amministrazione può introdurre nell’atto in aggiunta a quelle che ne costituiscono il contenuto
necessario; implicito, costituito dalle disposizioni operanti in virtù della legge, pur se non richiamate nel
provvedimento, l’oggetto: il termine passivo della vicenda che verrà a prodursi a seguito dell’azione
amministrativa, deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile, le finalità, ossia la causa del
potere e la forma, a pena di nullità può essere prevista, di norma è la forma scritta).
L’emanazione del provvedimento finale è di norma preceduta da un insieme di atti, fatti ed attività
caratterizzati dallo scopo comune e unitario confluiscono nel procedimento amministrativo.
L’amministrazione conclude il procedimento emanando una decisione; la fase decisoria può essere costituita
da una serie di atti, da un atto proveniente da un unico organo, da un fatto (il silenzio) o da un accordo.
Allorché la fase decisoria consista nell’emanazione di atti (monocratici) o deliberazioni (collegiali) preliminari
determinativi del contenuto del provvedimento finale, si assiste all’adozione da parte di un organo di un atto
che, per produrre effetti, deve essere esternato ad opera di un altro organo. L’atto del primo organo è
determinativo del contenuto del provvedimento finale, ma non costitutivo degli effetti.
Esistono numerosi casi in cui la legge dà evidenza a momenti endoprocedimentali che sono intimamente
collegati con la decisione finale, influenzandola quanto meno sotto il profilo del dovere di motivazione.
L’art. 11 della legge 241/1990 prevede che gli accordi che l’amministrazione conclude con i privati siano
preceduti da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.
L’art. 10-bis, invece, nel caso di procedimento ad istanza di parte, impone di comunicare agli istanti i motivi
che ostano all’accoglimento della domanda. L’art. 6 stabilisce che l’organo che emana il provvedimento
finale, se diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria se
non indicandone le motivazioni nel provvedimento finale. Ai sensi dell’art. 14-ter, infine, la conferenza dei
servizi si conclude con una determinazione motivata dall’amministrazione procedente cui segue il
provvedimento finale.
- nullità e illiceità del provvedimento amministrativo (vizi di legittimità)
il provvedimento emanato in violazione delle norme attributive del potere è nullo. La prima categoria di
nullità è quella strutturale: è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, il
potere non esiste e l’effetto non si produce quando l’amministrazione agisce violando una norma attributiva
del potere.
Una seconda ipotesi di nullità fa riferimento al provvedimento adottato in violazione o elusione del giudizio;
sono poi nulli gli altri casi stabiliti espressamente dalla legge.
L’atto emanato nel rispetto delle norme attributive del potere ma in difformità di quelle di azione è in linea di
principio affetto da illegittimità ed è sottoposto al regime dell’annullabilità.
L’atto annullabile (art. 21 octies) rispetta le norme che riconoscono la possibilità di produrre effetti e per
questa ragione produce gli stessi effetti dell’atto legittimo; tuttavia questi effetti sono precari e l’ordinamento
prevede strumenti giurisdizionali per eliminarli, contestualmente all’atto che li pone in essere. L’atto
illegittimo è inoltre annullabile da parte della stessa amministrazione in via di autotutela ovvero in sede di
controllo o di decisione di ricorsi amministrativi. Il regime dell’atto annullabile si ricava dall’art. 21-octies,
legge 241/1990, ai sensi del quale è “annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di
legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.
L’illegittimità può essere di quattro tipi: originaria che si determina con riferimento alla normativa in vigore al
momento della perfezione dell’atto, in caso di accoglimento di un ricorso l’amministrazione è tenuta ad
applicare la normativa vigente al momento in cui la decisione è stata notificata; sopravvenuta
successivamente all’emanazione del provvedimento in generale non incide sulla validità dello stesso (un
caso certo di illegittimità sopravvenuta si riscontra nelle rare ipotesi in cui una legge retroattiva incida su atti

16
già emanati e originariamente conformi al paradigma normativo, ma risultanti in contrasto con la nuova
normativa); derivata quando si ha annullamento dell’atto che costituisce il presupposto di un altro atto;
parziale allorché solo una parte del contenuto sia illegittimo, sicchè solo essa sarà oggetto di annullamento,
la restante parte resta in vigore, determinando comunque un cambiamento del contenuto originario dell’atto
(modificazione).
Il provvedimento difforme dal paradigma normativo non è in taluni casi annullabile.
Ciò accade quando esso sia adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ma, per
la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo no avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato.
Il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento
qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento no avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato.
I vizi di legittimità degli atti amministrativi, e cioè le concrete cause dell’illegittimità degli stessi sono
l’incompetenza (il vizio che consegue alla violazione della norma di azione che definisce la competenza
dell’organo), la violazione di legge (sussiste allorché si violi una qualsiasi altra norma di azione generale e
astratta che non attenga alla competenza) e l’eccesso di potere (è il risvolto patologico della discrezionalità e
sussiste quando la facoltà di scelta spettante all’amministrazione non è correttamente esercitata).
L’incompetenza può essere relativa (il vizio che consegue alla violazione della norma di azione che definisce
la competenza dell’organo, a tale vizio non si applica l’art. 21-octies) o assoluta (non dà luogo al vizio di
incompetenza la violazione di una norma di relazione attinente all’elemento soggettivo, in questo caso l’atto
sarà addirittura nullo per carenza di potere). L’incompetenza può aversi per materia, per valore, per grado o
per territorio (ricorre soltanto allorché un organo eserciti una competenza di un altro organo dello stesso ente
che disponga però di diversa competenza territoriale).
Eccesso di potere non significa straripamento di potere, che darebbe luogo a nullità dell’atto.
L’eccesso di potere è predicabile soltanto con riferimento agli atti discrezionali.
Classica forma dell’eccesso di potere è lo sviamento, che ricorre allorché l’amministrazione persegua un fine
differente da quello per il quale il potere le è stato conferito.
La giurisprudenza ha poi elaborato una serie di figure, dette figure sintomatiche, le quali sono il sintomo
del non corretto esercizio del potere in vista del suo fine. Esse agevolano il compito dell’interprete perché
forniscono una sorta di catalogo delle situazioni in cui l’atto può risultare viziato per eccesso di potere. Esse
sono: violazione della prassi, manifesta ingiustizia (sproporzione tra sanzione e illecito), contraddittorietà tra
più parti dello stesso atto o tra più atti, disparità di trattamento tra situazioni simili, travisamento dei fatti,
incompletezza e difetto dell’istruttoria, inosservanza dei limiti dei parametri di riferimento e dei criteri
prefissati per lo svolgimento futuro dell’azione.
Ricorre eccesso di potere allorché la motivazione sia insufficiente (perché non considera alcune
circostanze), incongrua (in quanto dà peso indebito ad alcuni profili), contraddittoria, apodittica, dubbiosa,
illogica e perplessa. In tali casi di parla di difetto di motivazione.
L’assenza di motivazione oggi dà luogo a vizio di violazione di legge.
- Motivazione per relazionem (tra atti)
un importante requisito di validità è la motivazione, che deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. Essa
dovrebbe esprimere l’interesse pubblico che ha guidato l’azione dell’amministrazione e non limitarsi a
indicare formalmente norme e fatti.
Il dovere di motivare è soddisfatto se il provvedimento richiama altro atto che contenga esplicita motivazione
e questo sia reso disponibile. È sufficiente che il documento, richiamato, sia reso disponibile e , cioè, che sia
suscettibile di essere acquisito utilizzando l’istituto dell’accesso.
La motivazione, oltre che esistente, deve risultare sufficiente per sottrarsi alle censure di eccesso di potere,
chiarendo i fatti che giustificano la decisione amministrativa adottata.
- Vizi di merito
il merito amministrativo è l’insieme delle soluzioni compatibili con il canone di congruità-logicità che regola
l’azione discrezionale. L’illegittimità per vizi di merito si verifica nei casi in cui la scelta discrezionale configge
con criteri non giuridici.
Normalmente l’inopportunità del provvedimento è irrilevante, nel senso che la legge si limita a richiedere che
la scelta discrezionale sia legittima alla stregua del canone di congruità-logicità, ossia non risulti viziata per
eccesso di potere; talora invece assume rilevanza perché l’ordinamento prevede la sua sindacabilità e la
sostituzione della valutazione di un terzo a quella compiuta dall’amministrazione. Il regime dell’atto viziato
per vizi di merito è tradizionalmente considerato l’annullabilità.
Il provvedimento che viene adottato allorché l’amministrazione verifichi l’insussistenza di vizi nell’atto
sottoposto a riesame viene definito come atto confermativo.
L’annullamento d’ufficio è il provvedimento mediante il quale si elimina un atto invalido e vengono rimossi
ex tunc gli effetti prodotti. Ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241/1990 il provvedimento amministrativo

17
illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine
ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
L’eccessivo decorso del tempo può causare l’illegittimità del relativo atto, in questa ipotesi ricorre la figura
della convalescenza dell’atto per decorso del tempo, la quale impedisce l’annullamento d’ufficio di atti
illegittimi qualora essi abbiano prodotto i loro effetti per un periodo adeguatamente lungo. Il potere di
annullamento spetta all’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Ove la parte annullata sia sostituita da altro contenuto, si ha la figura della riforma, avente efficacia ex nunc
(riforma sostitutiva), esiste anche la riforma aggiuntiva che consiste nell’introduzione di ulteriori contenuti a
quello originario.
La convalida è un provvedimento di riesame a contenuto conservativo: ai sensi dell’art. 21-nonies della
legge 241/1990, l’amministrazione ha possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone
le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
L’amministrazione rimuove il vizio che inficia il provvedimento di primo grado e pone in essere una
dichiarazione che espressamente riconosce il vizio ed esprime la volontà di eliminarlo. Gli effetti della
convalida retroagiscono al momento dell’emanazione dell’atto convalidato.
Dalla convalida si distingue la sanatoria che ricorre allorché il vizio dipende dalla mancanza, nel corso del
procedimento, di un atto endoprocedimentale la cui adozione spetta a soggetto diverso dall’amministrazione
competente ad emanare il provvedimento finale.
La conversione è l’istituto che riguarda gli atti nulli: in luogo dell’atto nullo è da considerare esistente un
differente atto, purché sussistano tutti i requisiti di questo e risulti che l’agente avrebbe voluto il secondo atto
ove fosse stato a conoscenza del mancato venire in essere del primo. Essa opera ex tunc, in base al
principio della conservazione dei valori giuridici, quindi agisce fin dall'inizio rimuovendo retroattivamente gli
effetti dell’atto anteriore come se non fosse mai esistito.
L’inoppugnabilità è la condizione in cui l’atto viene a trovarsi ove siano decorsi i termini per impugnarlo.
L’atto inoppugnabile va distinto da quello convalidato, in quanto è sempre annullabile d’ufficio e
disapplicabile dal giudice ordinario.
L’acquiescenza è l’accettazione spontanea e volontaria, da parte di chi potrebbe impugnarlo, delle
conseguenze dell’atto e della situazione da esso determinata. Il comportamento acquiescente deve
desumersi da fatti univoci, chiari e concordanti. A differenza della convalida, non produce effetti erga omnes.
L’acquiescenza opera sul piano processuale, pur derivando da comportamenti posti in essere prima del
processo, e si differenzia dalla rinuncia in quanto richiede un comportamento attivo incompatibile con la
proposizione del ricorso.
La ratifica ricorre allorché sussista una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare a titolo
provvisorio e in una situazione di urgenza un provvedimento che rientra nella competenza di un altro organo,
il quale, ratificando,fa proprio quel provvedimento originariamente legittimo.
La rettifica non riguarda provvedimenti viziati, ma atti irregolari, e consiste nell’emanazione dell’errore.
Differente dalla convalida è poi la rinnovazione del provvedimento annullato, che consiste nell’emanazione
di un nuovo atto, avente dunque effetto ex nunc (agisce da quel momento, in contrapposizione al principio
della retroattività).
- Revoca e Autotutela
l’autotutela amministrativa è propria degli enti pubblici e consiste nella possibilità di risolvere un conflitto
attuale o potenziale di interessi e, in particolare, di sindacare la validità dei propri atti producendo effetti
incidenti su di essi.
La legge 241/1990, disciplinandone i presupposti, riconosce carattere generale ai poteri amministrativi di
revoca (art. 21-quinquies), di sospensione (art. 21-quater), di annullamento e di convalida degli atti (art. 21-
nonies).
L’autotutela costituisce di norma esercizio di funzione di amministrazione attiva, onde essa deve obbedire
alle regole generali di siffatta funzione; costituisce esercizio di un potere discrezionale nel corso di un
procedimento che inizia d’ufficio e non ad istanza di parte.
La revoca è il provvedimento che fa venire meno la vigenza degli atti ad efficacia durevole, a conclusione di
un procedimento volto a verificare se i risultati cui si è pervenuti attraverso il procedente provvedimento
meritino di essere conservati. Può infatti accadere che siano sopravvenuti motivi di interesse pubblico o
siano mutate le circostanze di fatto esistenti al momento dell’adozione del provvedimento di primo grado,
sicchè non appare conforme all’interesse pubblico il perdurare della sua vigenza (revoca per
sopravvenienza), ovvero che l’amministrazione valuti nuovamente la stesa situazione già oggetto di
ponderazione al momento dell’adozione dell’atto di primo grado (revoca basata sullo ius poenitendi).
- Revoca e differenza tra revoca e recesso
è il provvedimento che fa venire meno la vigenza degli atti ad efficacia durevole, a conclusione di un
procedimento volto a verificare se i risultati cui si è pervenuti attraverso il precedente provvedimento meritino
di essere conservati. Alla radice della revoca possono presentarsi più situazioni: può accadere che siano
sopravvenuti motivi di interesse pubblico o siano mutate le circostanze di fatto esistenti al momento
dell’adozione del provvedimento di primo grado, sicchè non appare conforme all’interesse pubblico il

18
perdurare della sua vigenza (revoca per sopravvenienza), ovvero che l’amministrazione valuti nuovamente la
stessa situazione già oggetto di ponderazione al momento dell’adozione dell’atto di primo grado (revoca
basata sullo ius poenitendi).
La revoca agisce sull’efficacia dell’atto e non sull’atto.
La competenza a disporre la revoca spetta all’organo che ha emanato l’atto, ovvero ad altro previsto dalla
legge.
All’art. 21-sexties della legge 241/1990 si trova la figura del recesso unilaterale dai contratti della pubblica
amministrazione, che è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto: in questo caso non rilevano i
motivi di interesse pubblico e si rinvia ai casi tipizzati dalla legge o dall’autonomia delle parti.
- Esecutività e esecutorietà
l’idoneità del provvedimento, legittimo o illegittimo, a produrre automaticamente ed immediatamente i propri
effetti allorché l’atto sia divenuto efficace è detta esecutività.
Con il termine esecutorietà del provvedimento si indica, invece, la possibilità che l’esecuzione sia compiuta
in quanto espressione di autotutela, direttamente e coattivamente dalla pubblica amministrazione senza
dover ricorrere previamente ad un giudice.
L’art. 21-ter della legge 241/1990, dispone che il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le
modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato.
- Art 11 accordi integrativi e sostitutivi
sono i due tipi di accordi tra amministrazione e privati. Le differenze essenziali sono: mentre l’accordo
sostitutivo tiene luogo del provvedimento, l’accordo integrativo del contenuto non elimina la necessità del
provvedimento nel quale confluisce, sicchè il procedimento si conclude con un classico provvedimento
unilaterale produttivo di effetti, onde l’accordo ha effetti solo interinali; inoltre, solo gli accordi sostitutivi sono
soggetti ai medesimi controlli previsti per i provvedimenti.
L’accordo integrativo è un accordo endoprocedimentale destinato a riversarsi nel provvedimento finale,
esso fa sorgere un vincolo tra le parti: l’amministrazione è tenuta ad emanare un provvedimento
corrispondente al tenore dell’accordo; in caso contrario, il giudice amministrativo, potrà dichiarare l’obbligo di
provvedere.
L’accordo sostitutivo è soggetto ai medesimi controlli previsti per il provvedimento.
- Contratto di programma e accordo tra amministrazioni
il termine di contratto di programma può essere impiegato per indicare gli atti mediante i quali soggetti
pubblici e privati raggiungono intese mirate al conseguimento di obiettivi comuni. In questo senso il contratto
di programma si contrappone all’accordo di programma che, essendo una tipologia di accordi tra
amministrazioni, coinvolge soltanto soggetti pubblici.
Gli accordi tra amministrazioni sono particolari tipi di accordi tra amministrazioni, destinati ad essere
approvati da un provvedimento amministrativo formale. Da questi accordi derivano obblighi reciproci alle
parti interessate e coinvolte nella realizzazione di complessi interventi. Essi si caratterizzano per il carattere
fortemente discrezionale che li permea e per il loro contenuto di regolamentazione dell’esercizio dei poteri
delle amministrazioni interessate. Particolari accorsi tra amministrazioni, destinati ad essere approvati da un
provvedimento amministrativo formale, sono gli accordi di programma, dai quali derivano obblighi reciproci
alle parti interessate e coinvolte nella realizzazione di complessi interventi. Rispetto alla norma base
costituita dall’art. 15 della legge 241/1990, gli accordi di programma si caratterizzano per la specificità
dell’oggetto per il carattere fortemente discrezionale che li permea e per il loro contenuto di
regolamentazione dell’esercizio dei poteri delle amministrazioni interessate, nonché per un notevole grado di
dettaglio della disciplina cui sono assoggettati.
- sussidiarietà orizzontale e verticale
il principio di sussidiarietà è inteso nel senso di attribuzione di funzioni al livello superiore di governo
esercitabili soltanto nell’ipotesi in cui il livello inferiore non riesca a curare gli interessi ad esso affidati.
Gioca un ruolo fondamentale soprattutto nel quadro dei rapporti regioni-enti locali, infatti è annoverato tra i
principi e i criteri direttivi cui deve attenersi la regione nel conferimento a province, comuni ed enti locali delle
funzioni che non richiedano l’unitario esercizio a livello regionale.
Sussidiarietà verticale è quella relativa alla distribuzione delle competenze tra centro e periferia, mentre
sussidiarietà orizzontale è quella relativa ai rapporti tra poteri pubblici e organizzazioni della società.
- Atto complesso
nell’ipotesi dell’atto complesso le manifestazioni di volontà, di pari dignità, tutte attinenti alla fase decisoria e
convergenti verso un unico fine, si fondono in un medesimo atto.
L’interdipendenza tra le parti dell’atto complesso comporta che sia sufficiente l’illegittimità di una di esse per
determinarne l’annullabilità.
- Servizi pubblici
sono servizi posti a beneficio di tutta la collettività e possono essere assunti soltanto da enti territoriali.

19

Potrebbero piacerti anche