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CUBALIBRE
30 Luglio 2003. Si parte!

Roma - Grande Raccordo Anulare


Sedile posteriore di un taxi

Nessuno dei due ha preso l’orologio.


«Riscopriremo i ritmi biologici!» dice lui.
“Perderemo l’aereo!” penso io.

Fiumicino – Aeroporto Internazionale Leonardo Da Vinci


In fila al banco check in della Cubana De Aviacion

«Avete solo due bagagli?»


«Sì, sì!» rispondiamo tronfi. E’ da questi particolari che si riconosce il viaggiatore!
«Alora vi posso dare pure uno dei nostri che sono le cose dela bambina sennò ci fano pagare el
suplemento?»
«Ma certo!» rispondiamo delusi prendendo in carico una valigia rossa di 1m per 60cm di 47kg
(certificati dal nastro bagagli).
La valigia della bambina o quella con la bambina?
Comincia così la nostra avventura cubana: con un sapiente quanto innocente raggiro.

Imbarco
Pigiati nel bus. Temperatura 42° C

E’ dall’inizio che mi guardo intorno. Chi va a Cuba? Tante coppie come noi, cubani italianizzati
(soprattutto cubane), nostalgici in pellegrinaggio ideologico con maglietta e/o tatuaggio del Che in
base al grado di fanatismo. Da solo o in branco si aggira poi un altro strano animale: il turista del
sesso. Lo stereotipo affonda le sue radici nella realtà fatta di pance molli, teste calve - sudate e
gocciolanti – e catenine con crocifissi in scala reale 1:1. Italiani un po’ vistosi pronti a sedurre le
donne di Fidel.

A bordo – volo CU400

«Guarda! Guarda quella che culo!»


Il ritratto che all’imbarco aveva preso forma ora purtroppo prende pure voce dai sedili di fronte. Tiro
fuori il blocchetto e scarabocchio freneticamente appunti.
«Eh, ma tu adesso vedi solo quello! Tutte sorridenti, allegre … ma quella torna a casa co i sordi de
quarcuno che ha fatto piagne. Fidate: le donne cubane so’ bastarde … te fanno la telenovella che
c’hanno i genitori malati, il fratello piccolo da cresce e te se intortano. Ma so buciarde: c’hanno la
lacrima a comanno e poi te fanno piagne a te! ». La saggezza dei Romani.

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«E infatti io dall’anno pròssimo vado sòlo in Colòmbia … un mio amico che c’è stato mi ha ddètto
che sòno belle còme le cubbane però sòno più brave, più sincere!». E la Sicilia non era forse la
Magna Grecia?
«Comunque per me le più belle sono sempre le Italiane». Evviva la mamma!
«Ah pure pe mme, basta che nun te le sposi!».
Li guardo e li ascolto a lungo questi gentiluomini. E’ un simposio
Alla fine mi fanno pure un po’ di tenerezza: sono uomini bastonati dalla vita in generale e dalle
donne, in particolare. Per un paio di settimane l’anno provano a riacciuffare un’esistenza che gli
scorre addosso indifferente. Giocano a fare i Principi Azzurri, o magari cercano solo amore.
Banale tolleranza buonista la mia.

31 Luglio – 2 Agosto 2003. La Habana

“Cuba è L’Avana. Tutto il resto è paesaggio”. (Autore Ignoto)

Il controllo passaporti è estenuante. Minuti lunghissimi per ogni passeggero. L’ufficiale guarda
attentamente il mio documento, la filigrana in controluce, la foto. Poi guarda me. Mi sembra
perplesso. Cosa vuole? Neanche mia madre saprebbe riconoscermi dopo 14 ore di volo in
Economy! Alla fine timbra il visto e mi si apre, letteralmente, la porta dell’isola.
Sono più o meno le 23 ora locale. Il taxi ci porta in albergo passando per vicoli stretti e bui. Con la
luce del sole invece la città è bellissima, oltre le aspettative. Probabilmente questa percezione è
influenzata dal punto di partenza
della nostra visita. Il centro
storico, La Habana Vieja,
dichiarato patrimonio dell’umanità
dall’UNESCO, è infatti quasi
interamente ristrutturato ma basta
varcarne appena la soglia, difesa
da poliziotti ben armati, perché
L’Avana si sveli per quello che è:
una città del terzo mondo.
Avevo sentito dire che qui il
tempo si era fermato agli anni
’50, ma sarebbe più corretto dire che Cuba si è fermata negli anni ’50 mentre il tempo è andato
avanti, inesorabile, aggredendo tutto. Gran parte degli edifici signorili memori di antichi fasti sono
oggi a rischio di crollo così come il fascino delle mitiche auto d’epoca americane è intaccato da
ruggine e fumi di scarico da raffineria.

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E’ l’atteggiamento degli Habaneros nei confronti degli stranieri che più mi ricorda gli anni ’50 e quei
film di Totò in cui turisti americani, inglesi o tedeschi, facevano quasi sempre la stessa figura da
fessi.
Avevamo letto sulle guide di evitare i jineteros, giovani “procacciatori” che fanno da tramite tra
l’offerta dell’isola (pasti e pernottamenti presso case private, sigari, locali, donne …) e i dollari dei
turisti guadagnandoci corpose percentuali. Ovvio, talmente ovvio che quando ce ne capita uno non
ce ne accorgiamo. Adzàn ci dice che ha vissuto sei mesi a Roma (in seguito scopriremo che tutti i
Cubani hanno almeno un cugino che vive a Roma!) e che vuole stare con noi per praticare un po’
d’italiano. Saranno le 10 di mattina. Non fa che ripetere nel suo itagnolo “la primera cosa por mi
es la amicizia” e intanto si è già
fatto offrire un aperitivo. Ci
parla del figlio di 5 anni per il
quale sogna un futuro migliore
mentre mangia di gusto in un
ristorante clandestino di un suo
amico, dove proprio perché
siamo tra amici, spendiamo in
tre 68 dollari! Ovviamente
nostri. Considerando che 10
dollari al mese è il salario
medio, e 35 è il massimo che spetta ai militari, ci mettiamo poco a capire che ci hanno dato la sòla.
Poi ci porta a casa sua per piazzarci dei sigari che un suo amico dalla fabbrica fa scivolare nella
manica per venderli sottobanco. Per quanto romani e smaliziati solo a pomeriggio inoltrato
troviamo la forza e il modo legale per togliercelo di torno.
Questa città sembra Napoli all’ennesima potenza. La Napoli di Nanni Loy in stile “Pacco, doppio
pacco e contropaccotto”. Bisogna avere mille occhi perché c’è sempre qualcuno pronto a fregarti.
Comincio ad essere diffidente. Non so se mi da più fastidio che tutti capiscano al volo anche da
lontano che siamo italiani, che ci dicano ridendo “Italiani? Berlusconi!” o il fatto che si rivolgano a
noi sempre con un secondo fine. Dai sigari ai ristoranti privati, dal cambio dei dollari agli
affittacamere si possono fare buoni affari oppure prendere incredibili fregature e il confine per
quanto labile è estremamente determinante per le parti in causa.
Ci sono due realtà che sembrano scorrere parallelamente: quella degli abitanti dell’isola e quella
dei turisti. Realtà contrassegnate da quartieri diversi, locali diversi, prezzi diversi e addirittura da
monete differenti. Sono tre le valute che girano: il Pesos Cubano, altresì detto Moneda Nacional, il
Pesos Convertible, e il Dollaro. Per “facilità” le tre valute sono contrassegnate dallo stesso simbolo
$.

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Ci sono voluti 3 giorni e una cameriera onesta di un paesino fuori città per capire la differenza tra il
Pesos Cubano e quello Convertible. Il primo vale 1 venticiquensimo di dollaro, l’altro invece vale 1
dollaro ed è una moneta fittizia per fluidificare il flusso di verdoni che ormai ha invaso il paese.
Ovviamente laddove un cubano paga un
Pesos Cubano noi più di una volta abbiamo
pagato direttamente 1 Dollaro.
E ‘ la famosa arte di arrangiarsi. A Cuba nel
2003 non si muore forse di fame ma
sicuramente non si vive solo grazie allo Stato.
La situazione economica nell’ultimo decennio
senza l’appoggio dell’URSS è andata via via
peggiorando. Per compensare la perdita dei
In fila per uova e latte
sussidi sovietici sono state varate una serie di
misure – denominate Periodo Speciale – per cercare di superare (quantomeno contenere) la crisi.
Ad esempio è stato ridotto al minimo il consumo di energia che ha fatto sì che nelle campagne gli
animali abbiano sostituito i trattori e le bici Dove non esiste
importate dalla Cina, le macchine. La fila proprietà privata le
case non si vendono,
davanti alle bodegas per ritirare con la libreta si scambiano. 1
grande per 2 piccole.
– tessera – il cibo razionato ai limiti della
sussistenza è uno dei segni più avvilenti dello stato dell’economia.
Il colpo di grazia arriva nel 1993. La liberalizzazione del dollaro ha avuto un effetto devastante su
una società nata con principi egualitari. Oggi l’isola è essenzialmente divisa in due classi: quella
con e quella senza i dollari. I nuovi capitalisti sono i fautori del mercato nero perché chi ha i dollari
può trovare di tutto che si tratti di un buon taglio di manzo o di un profumo francese. I turisti
“generosi” e inclini al romanticismo contribuiscono al divario quasi quanto i cubani statunitensi che
mandano i dollari a casa (che sono più di quelli provenienti dalla somma dei due maggiori
business: turismo e zucchero) alimentando le
illusioni. Dagli esuli politici scappati dalla dittatura,
di Batista prima e di Castro poi, l’american dream
oggi è sempre meno “sogno di libertà” e sempre
più “sogno di consumismo” che esprime la
frustrazione di una gioventù che aspira ad una
vita più comoda.
Tre giorni qui e sono già in piena crisi ideologica.
Considerando l’estate scorsa in Russia comincio
quasi a ringraziare gli americani e il piano
Marshall.
Siamo pronti per mettere il naso fuori dall’Avana.
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3 – 13 Agosto 2003. Cuba on the road

Circa 90 minuti per uscire da l’Avana. Per


beccare lo svincolo giusto dell’autostrada non
serve la carta stradale ma una bussola
correlata di sfera di cristallo.
Quando domandiamo come facciano loro a
capirci qualcosa ci rispondono che basta
contare le uscite!
Abbiamo percorso così, in 11 giorni più di
3.000 chilometri attraversando l’isola da ovest
ad est, procedendo con sicurezza su strade
sbagliate, imboccando contro mano gli svincoli giusti, facendo inversioni a U sull’autostrada,
evitando cani, galline, carretti trainati da buoi e/o cavalli e imprecando contro i cartografi e
l’amministrazione cubana tutta.
Chiedere indicazioni non sempre è facile perché appena ti fermi provano a venderti qualcosa
come formaggio o corone d’aglio ma anche polli ancora da spiumare. Questo quando non ti
salgono direttamente in macchina in virtù di una forma più evoluta di autostop.
La prima destinazione è Viñales, a est dell’Avana. Sembra di essere nel film Jurassick Park (che
invece è girato in Costa Rica N.d.A.). I colori della vegetazione sono talmente brillanti da sembrare
ritoccati in post-produzione.
Meta prediletta dell’eco-turismo
attivo fatto di passeggiate,
escursioni a cavallo, e trekking
per sentieri di montagna, l’area
di Viñales offre mille cose da
fare e infatti noi ci fermiamo
solo 1 giorno. Geniali!
Ripassiamo per L’Avana perché
la strada è solo una e ci
mettiamo in marcia per Trinidad, perla coloniale dell’isola. Ma non possiamo non fare una
deviazione per Boca, Peninsula di Zapata, riserva per il ripopolamento dei coccodrilli. Ci porta via
4 ore la mia voglia di assaggiare la carne di coccodrillo come da segnalazione Lonely Planet. Se
andando a Cuba colti dalla stessa curiosità, vorrete risparmiare 4 ore, sappiate che somiglia ad un
pollo più cartilaginoso, forse.

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Trinidad è bellissima. Infiocchettata ad uso e consumo del turista, vera come può essere vera
Taormina, il centro Praga o Disneyland.

Trinidad

Visto che la visita richiede poche ore decidiamo di pernottare un po’ fuori città, sul mare di Playa
Ancon, in uno di quegli alberghi costruiti negli anni settanta ispirandosi all’architettura sovietica. Le
stanze di un metro quadrato che ospitavano i dirigenti di partito russi in vacanza premio possono
andar bene anche per noi. E poi la spiaggia è molto bella.
Percorrendo la Valle del los ingenios (degli zuccherifici) incontriamo una vecchia conoscenza
(perché il mondo è piccolo) che ci suggerisce di non perderci nei giorni seguenti il Carnevale di
Bayamo nell’omonima città. Frontiera vergine: non lo sa nessuno, nemmeno la Lonely!
Dunque Bayamo o morte! Trepidanti per l’emozione di partecipare ad un evento precluso
generalmente ai più dopo una rapida puntata nella bella Camagüey (nella foto) ci mettiamo in
viaggio verso Bayamo.
Essendo un evento esclusivo, il raggiungimento dell’agognata
cittadina deve essere necessariamente sofferto: percorriamo
e ripercorriamo le stesse strade, chilometri di asfalti sconnessi
e piste bianche che mettono a dura prova la Hyundai Elantra
e la sua coppa dell’olio. Pare che perdersi sia parte integrante
del viaggio stesso e allora ne approfittiamo per visitare
un’autentica fattoria cubana con tanto di fattore che si chiama
Rafael oppure Rodriguez, o entrambi, che ci ospita per
conoscere la moglie e per bere un caffè. Io ho bisogno di un
bagno, il mio compagno di viaggio del contatto con la gente

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vera e quindi siamo ben lieti di passare mezz’oretta con loro, capendo il 50% dei loro discorsi,
sperando almeno di aver riso a quelli giusti.
Il Carnevale di Bayamo è effettivamente un’esperienza speciale. Siamo gli unici turisti, soprattutto
siamo gli unici ad attraversare un fiume in piena di persone a bordo di un risciò. A metà strada tra
la sagra di paese a base di birra e porchetta e la sfilata di carri nel sambodromo di Rio, questa
insolita kermesse caraibica è una chicca da intenditori! La tappa successiva è Santiago che
lasciamo senza rimpianti perché gli abitanti sono più invadenti e maleducati che altrove e perché
onestamente ci sembra sopravvalutata. Un po’ di mare a Guardalavaca dove per una volta nella
vita, in spiaggia in mezzo ad inglesi e canadesi mi sono sentita mulatta!
E poi Remedios, altra cittadina coloniale dai colori pastello facile da fotografare prima di
percorrere di fila gli ultimi 400 km per fare ritorno all’Avana dove ci aspetta il volo per Cayo Largo.
Su queste strade siamo stati un po’ fuori dal tempo. Ci lasciamo distrarre dai cartelloni della
propaganda di regime che sostituiscono i
cartelloni con la pubblicità che qui non
esiste. Per contro, disseminati ovunque
messaggi del tipo “¡ Venceremos !” “¡Viva
Cuba Libre!” … a corredo delle
gigantografie degli eroi della Rivoluzione
del ’ 59. Tutto è un po’ anacronistico,
tranne il Che, bello come una star del cinema! Mito intramontabile anche per questo.
Nel 1953 affiancò Castro nell’attacco alla caserma Moncada di Santiago segnando l’inizio della
Rivoluzione. ¡ Viva la Revolution! 50 anni di Rivoluzione. Contraddizione nei termini. Una
rivoluzione non dura mezzo secolo. Fa piazza pulita per dare modo alla società di rigenerarsi. Pars
destruens e pars construens. Non può esserci una rivoluzione di governo. Castro vecchio,
caparbio, carismatico idealista. Forse senza l’embargo nordamericano l’economia della sua isola
navigherebbe in acque meno agitate ma non ci sono scuse per il suo fallimento sul piano dei diritti
umani. “La storia mi assolverà!” dichiarò cinque decenni fa. Staremo a vedere.
13-19 Agosto 2003. Cayo Largo

Su quest’isoletta immersa nel Caribe stenderei un velo


gioioso. Al di là di una serie di disguidi che ci hanno
dirottato su un albergo diverso da quello prenotato, al di
là di 3 giorni di pioggia su 7, al di là dei maledetti tafani e
delle zanzare, al di là della gita in catamarano che non
abbiamo fatto, al di là dei chili presi, al di là della
sconfitta a Scala40 inflittaci da 2 simpatici bolognesi, al
di là di tutto, questo posto è un vero paradiso dove il
mare, il cielo e la sabbia sono proprio come dovrebbero essere.

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20 Agosto 2003. Hasta pronto Cuba!

Se è difficile arrivare a Cuba senza avere la testa piena di pregiudizi e aspettative, è ancora più
difficile lasciarla senza portarsi dietro emozioni complesse.
E’ difficile pagare con la carta di credito, è difficile mangiare bene nei ristoranti statali, è difficile
che ci siano i tovaglioli in tavola, è difficile comprare fazzoletti di carta, è difficile telefonare, è
difficile collegarsi a Internet, è difficile passare inosservati, è difficile non comprare dei sigari
sottobanco, è difficile avere rapporti umani disinteressati, è difficile trovare le chiese aperte, è
difficile non finire per odiare la salsa, è difficile non rimanerne incantati quando la ballano, è difficile
rilassarsi, è difficile evitare questioni ideologiche, è difficile non fare confronti, è difficile superare i
cliché.
Le mille contraddizioni che agitano questo paese sono l’unica chiave di lettura possibile. E forse la
ragione del fascino che quest’isola continua a sprigionare. Nonostante tutto.

All'orizzonte di quell'oceano
ci sarebbe stata sempre un'altra isola,
per ripararsi durante un tifone,
o per riposarsi e amare
Quell'orizzonte aperto sarebbe stato
sempre lì, un invito ad andare

Hugo Pratt
Una ballata del mare salato

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