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Social networks e modelli di business

Carlo Alberto Carnevale-Maffè


Università Bocconi

Se vi aspettate che questo capitolo spieghi come fare un sacco di soldi con i social networks su
Internet, passate pure subito a quello successivo. Prima di far comprare alla vostra azienda un’isola
su SecondLife o diventare seeker su InnoCentive per i vostri progetti di ricerca e sviluppo, però, è
opportuno comprendere alcuni fondamentali principi economici
I social networks su piattaforme digitali non sono mercati, né gerarchie, bensì ecosistemi: i business
model che vi fanno riferimento, quindi, non possono limitarsi alle tradizionali logiche di scambio
economico di beni e servizi tra domanda e offerta, ma richiedono articolazioni più complesse, che
spesso trascendono il comportamento basato su principi di razionalità economica e di
massimizzazione dell’utilità individuale.
Un business model che tenga conto di quella straordinaria lezione di economia aperta chiamata web
2.0 deve essere più evoluzionistico che ingegneristico, più emergente che preordinato. Insomma
molto più Charles Darwin e Henry Mintzberg di Igor Ansoff e Michael Porter. In sintesi, è un
processo di apprendimento contestualizzato, non una formula universale da applicare.

Dapprima vedremo che i membri dei social networks non sono riducibili al mero ruolo di “clienti”
ai quali cercar di vendere qualcosa, ma sono detentori di interessi (“stakeholders”) articolati, che
possono svolgere molteplici funzioni economiche, non per questo meno utili o interessanti, per
esempio a ridurre i costi di progettazione, produzione e marketing di prodotti e servizi.
Quindi capiremo come i social networks su piattaforme digitali siano molto efficaci nei processi di
creazione e condivisione del valore economico, basati su principi di tipo collaborativo, ma possono
sfuggire ai tradizionali processi di cattura e appropriazione del valore, che richiedono
comportamenti di tipo competitivo.

Social networks come ecosistemi economici

Secondo i canoni comunemente accettati, un business model descrive il modo in cui


un’organizzazione aziendale, fondata sul principio della gerarchia, interagisce con gli altri attori in
un mercato concorrenziale, basato sul meccanismo regolatore del prezzo, per riuscire a produrre e
soprattutto a catturare valore economico.
I social networks su piattaforme digitali, tuttavia, non sono facilmente riconducibili né alla
categoria delle organizzazioni né alla struttura di un mercato.

In primo luogo, per quanto un’impresa sia assimilabile ad una forma di social network, non è vero il
contrario. I social networks non sono riducibili ad organizzazioni economiche, specialmente a
quelle fondate su principi gerarchici. Per le imprese, grazie alle piattaforme digitali, si abbassano i
costi amministrativi e di controllo, ovvero i costi di gestione interni ad un’organizzazione, ma anche
i costi di inclusione di nuovi membri, grazie alla logica dei legami deboli. I principi collaborativi
tipici dei social networks su piattaforme digitali, inoltre, rappresentano una possibile soluzione al
classico problema del coordinamento (far funzionare insieme diversi membri e sottogruppi) grazie a
meccanismi distribuiti e alla maggiore visibilità di azioni ed informazioni. Rimane tuttavia
largamente irrisolto l’altro problema classico delle organizzazioni aziendali, quello degli incentivi,
ovvero dell’allineamento dei comportamenti degli individui rispetto alle finalità implicite o
dichiarate dell’organizzazione stessa.
In secondo luogo, i social networks non sono mercati, perché viene meno la distinzione dei ruoli tra
domanda e offerta, tra chi produce e chi acquista, e spesso manca il meccanismo regolatore del
prezzo oppure non è di immediato accesso e universale accettazione il relativo sistema di
pagamento. I social networks sono contesto non riducibile a mero scambio di beni e servizi, dove si
intrecciano processi economici di diverso tipo, quali ad esempio:

• transazionale: eBay, Zopa


• comunicativo/relazionale: Skype,YouTube, piattaforme di instant messaging
• referenziale: LinkedIn, Facebook
• produzione collaborativa: Wikipedia, Flickr
• identitario: ASmallWorld, SecondLife, MySpace, Match.com

Dal punto di vista della strategia di business, i social networks sono più comprensibili con modelli
di ecosistemi caratterizzati da logiche evolutive, regolate da meccanismi di feedback e risposta, e
descrivibili da processi di tipo stocastico, dove peraltro non esiste uno stato di “equilibrio naturale”,
invece che come sistemi deterministici di comportamenti razionali ispirati alla massimizzazione
dell’utilità dei singoli attori che vi partecipano.
La compresenza di motivazioni individualistiche ed altruistiche, di leadership attiva e di
identificazione e fruizione passiva, rende spesso inefficaci le proposizioni di valore suggerite dal
marketing convenzionale. Abituati a costruire i nostri modelli di business sulla rassicurante
concezione di un mercato con i ruoli chiaramente suddivisi tra fornitori e clienti, competitors e
autorità di regolamentazione, possibili nuovi entranti e proponenti di soluzioni alternative,
rischiamo di essere confusi dalla sovrapposizione di ruoli caratteristica dei social networks.

Stakeholders, non clienti

Per definire un business model profittevole e sostenibile è necessario identificare con chiarezza la
natura delle varie attività di creazione e appropriazione del valore e i ruoli svolti dai diversi attori:
per esempio il ruolo di cliente, o quello di fornitore, o ancora il ruolo del concorrente e quello di chi
propone servizi complementari.
Ciò non è affatto semplice nel caso dei social networks su piattaforme digitali. E’ per esempio
riduttivo modellare i membri di un social network sul ruolo dei “clienti”, in quanto le caratteristiche
del loro comportamento vanno ben al di là delle mere funzioni di acquisto e consumo.
I membri di un social network non possono essere confinati alla fine di una presunta “catena del
valore” totalmente centrata sul sistema d’offerta, come vorrebbe la modellistica strategica di
ispirazione porteriana. Sono semmai attori a pieno titolo di diverse attività entro un sistema di
processi di creazione, appropriazione e talvolta anche distruzione di valore economico. Una “rete
del valore” e non una catena, dove i nodi sono costituiti non da attori, ma da attività, collegate tra
loro appunto da processi. Ciascun attore può svolgere diverse attività e impersonare differenti ruoli,
compresi quelli tradizionalmente riservati alle imprese, come appunta la ricerca e sviluppo, la
produzione, la distribuzione, il marketing, l’assistenza e la manutenzione.
I social networks possono interpretare molteplici ruoli nel sistema del valore, svolgere diverse
attività, e infine sono in grado di creare e distruggere valore (per esempio nello spazio competitivo
di un concorrente), catturarlo o condividerlo.
Un social network non è necessariamente un insieme di clienti a cui vendere qualcosa, ma può
svolgere il ruolo di fornitore di servizi, spesso a costo basso o addirittura nullo: si veda la cessione
dei diritti d’autore su MySpace. Oppure svolgere il ruolo di co-produttore, come nella scrittura di
recensioni su Amazon, o di complementor di un prodotto/servizio proprietario: gli stilisti e gli studi
di architettura su SecondLife.
A volte può diventare il principale competitor o sostituto: si chieda a Microsoft per la rete di
sviluppatori Linux, o alle major musicali per gli utenti dei siti di scambio di file musicali.
Infine può assumere un ruolo istituzionale, diventare il soggetto istituzionale di attestati di fiducia e
referenza, come nei referral networks alla LinkedIn, la fonte di autoregolamentazione o la base per
la definizione di uno standard de facto, sul modello di Skype.

Come ben spiega la teoria economica delle esternalità positive sul lato della domanda, invece di
tentare di vendere qualcosa “al” social network, è spesso il caso di vendere “il” social network a
terzi, siano essi produttori di beni complementari oppure aziende interessate ad acquisire accesso
allo stock di attenzione umana, con una base di membri possibilmente ampia, stabile e ben profilata,
per farsi conoscere tramite pubblicità o promozione.
Ciò implica che possano essere proposti prezzi di penetrazione anche pari a zero per prodotti e
servizi che puntino a massimizzare l’adozione da parte di uno specifico social network. Spesso non
basta che il servizio sia gratuito, esso deve anche presentare un valore tale da sostituire altre forme
di spesa o di costo per i membri del social network. Il caso più esplicito è quello di Skype, dove non
solo il servizio VoIP tra due utenti internet è gratuito, ma consente egregiamente di sostituire
costose telefonate a lunga distanza, aggiungendo inoltre il valore di servizi quali la lista di presenza,
la conferenza multipla e lo scambio di files durante la sessione di lavoro.

I social networks non sono dunque mercati frequentati da clienti, bensì ecosistemi popolati di
stakeholders, ovvero detentori di interessi di varia natura, con prerogative di potere e influenza, che
sono regolati da un complesso e dinamico equilibrio di contributi e ricompense.
A seconda del ruolo che svolge, uno stakeholder può essere direttamente o indirettamente coinvolto
in processi economici, ma dal punto di vista della strategia di business va sempre ingaggiato e
coinvolto avendo come guida il sistema di ricompense da riconoscere a fronte dei contributi attesi.
Ciò è particolarmente vero nel caso dei social networks su piattaforme digitali, dove non sempre i
processi hanno come conseguenza una transazione monetaria diretta tra cliente e fornitore, ma
spesso coinvolgono diversi stakeholders in differenti ruoli. Ad esempio: se per il ruolo dello
stakeholder-utilizzatore di MySpace la ricompensa è la fruizione gratuita e personalizzata di un
servizio di condivisione dei propri contenuti, il contributo è la cessione all’azienda di alcuni diritti
di sfruttamento dei contenuti stessi. Lo stakeholder-complementor, poniamo un editore musicale o
televisivo, può ottenere la ricompensa di capire in anticipo i trend di mercato, e offrire come
contributo contratti di sfruttamento dei contenuti o opportunità di visibilità sui propri canali
distributivi.

Social networks e prospettiva reddituale, patrimoniale e finanziaria

Se un social network non è assimilabile ad un insieme di clienti, nemmeno il relativo business


model è riducibile al semplice modello dei ricavi, bensì abbraccia tutte le dimensioni economiche di
un’azienda: quella reddituale legata al conto economico, inteso come differenza tra ricavi e costi,
quella dello stato patrimoniale, costituito dal rapporto tra attività e passività, e quella dei flussi
finanziari, basata sul costo del capitale e su fonti e impieghi di cassa derivanti da transazioni di
incasso/disinvestimento e pagamento/investimento.

Per poter sperare di creare e catturare valore in relazione ad un social network, un business model
deve essere il risultato di un’articolata combinazione di queste tre prospettive. Skype ha
privilegiato gli aspetti patrimoniali e finanziari su quelli reddituali, offrendo il proprio software in
forma gratuita per massimizzarne l’adozione, ma nel contempo creando asset patrimoniali costituiti
da un’ampia base di utenti legati da lock-in e dalla proprietà intellettuale di un brand e di una
tecnologia software che sta rapidamente diventando uno standard de facto sul mercato globale.
L’appropriazione del valore per i fondatori, invece che basarsi sulla redditività derivante da ricavi
attesi a lungo termine, è stata accelerata dalla cessione dell’intera azienda ad eBay, con una elevata
plusvalenza. A sua volta eBay, più che attendersi valore dai ricavi diretti dei servizi di Skype, in
larga parte ancora gratuiti, ne ha valutato con interesse gli aspetti di tipo patrimoniale e finanziario,
usandone la tecnologia tra l’altro per proporre alla propria base di merchant un servizio di “numero
verde” VoIP in grado di semplificare e velocizzare il contatto tra acquirente e venditore e quindi di
migliorare il tasso di conversione delle offerte di acquisto, con impatti positivi in termini di ricavi
da commissioni di intermediazione.

Nella Tabella 1 è possibile trovare un’esemplificazione dello schema di contributi e ricompense,


articolati nelle prospettive reddituale, patrimoniale e finanziaria, per diversi ruoli svolti dagli
stakeholders di un social network. Si tratta di una illustrazione, peraltro non esaustiva, di come
possano essere disegnate le “regole di ingaggio” con i diversi ruoli svolti dagli stakeholders. Va
peraltro ricordato che i membri di un social network possono in realtà svolgere
contemporaneamente più ruoli, come quelli di cliente e di fornitore, e quindi va mantenuta una
congruenza di fondo nei criteri di definizione del sistema di contributi e ricompense.

Prospettiva Reddituale Patrimoniale Finanziaria

Ruolo degli
stakeholders
“Cliente” Ricompensa: Contributo:
utilizzo del servizio referenza e profilatura

“Fornitore” Ricompensa: Contributo:


visibilità sul ritorno riduzione del circolante
dell’investimento
“Complementor” Ricompensa: Contributo:
cross-selling riduzione degli investimenti
in asset specifici
“Concorrente” Ricompensa: Contributo:
evitare la guerra sui consolidare l’oligopolio
prezzi tramite barriere all’ingresso

“Regolatore” Ricompensa: Contributo:


mantenere un livello stabilizzare i flussi di cassa
elevato di investimenti in con un quadro regolatorio
innovazione certo

Tabella 1: Schema di contributi e ricompense economiche, patrimoniali e finanziarie per i


diversi ruoli svolti dagli stakeholders

Vediamo come lo schema proposto si possa esemplificare, applicandolo al modello di business di


SecondLife: i membri dei social networks che la popolano (i”residents”) svolgono allo stesso tempo
il ruolo di clienti, fornitori e complementors. Come clienti hanno la ricompensa dell’intrattenimento
a fronte del contributo di sottoscrizione dell’abbonamento e dell’acquisto di servizi o di territorio
virtuale; come fornitori esprimono preferenze e opinioni utili alle imprese, che li ricompensano con
promozioni o sconti, utilizzandoli come focus group globali e attori per test di mercato interattivi,
immediati e a basso costo, e contribuendo a loro volta con l’acquisto di territorio virtuale e di
servizi; come complementor propongono servizi accessori (eventi, abiti e decorazioni, consulenze)
ad altri membri e ne vengono ricompensati con la moneta convenzionale, i Linden Dollars,
convertibile in moneta reale. Questo articolato e ben progettato sistema di contributi e ricompense
ha effetti che riguardano tutte le dimensioni di un modello di business: quella reddituale, ad
esempio con l’acquisto di servizi o le commissioni sul cambio tra moneta reale e Linden Dollars;
quella patrimoniale, come la profilatura dei “residents”; quella finanziaria: l’abbonamento, che
genera flussi di cassa anticipati e stabili.

Social networks e processi di creazione e appropriazione di valore

Per alimentare un business model profittevole e sostenibile, tuttavia, non è sufficiente articolare il
sistema di contributi e ricompense verso gli stakeholders: è necessario anche gestire strategicamente
i processi di creazione (o distruzione) e di cattura e appropriazione (o condivisione) di valore
economico. In entrambi i casi sono da prevedere attività sia di tipo collaborativo, come per la
creazione e la condivisione di valore, sia di tipo competitivo, come per la distruzione mirata di
valore in mercati dei concorrenti o semplicemente per la cattura e l’appropriazione di valore a
scapito di clienti, fornitori, competitor e complementor.

Creazione e appropriazione di valore possono essere articolate rispetto sia ai fattori di input sia ai
fattori di output di un’impresa.
Vediamo dapprima come i business model possono estrarre valore sul fronte dei fattori di input,
quali il lavoro e lo stock di conoscenza, sfruttando modalità non tradizionalmente razionali di
prestazione economica quali l’apporto di idee o di lavoro volontario, la realizzazione di test di
validità o di accettazione come i panel o i focus group impliciti nei forum o nei blog.
Per i fattori di input i social networks digitali possono ridurre il costo-opportunità (creazione di
valore) tramite l’interoperabilità delle tecnologie utilizzate (il client Skype che funziona sia su PC
sia su cellulare) o le economie di scopo (i diversi servizi di Amazon o di eBay che condividono uno
stesso sistema di profilazione, rating e pagamento, come PayPal). In alternativa, possono attivare
meccanismi di isolamento dall’imitazione e quindi di appropriazione del valore, per esempio
garantendo accesso esclusivo a risorse specifiche, come nei social networks ad iscrizione
contingentata (ASmallWorld) o comunque referenziata (LinkedIn), o di deterrenza verso possibili
concorrenti e ambiguità causale delle diverse fonti di vantaggio competitivo, come nell’acquisizione
di YouTube da parte di Google.

Prendendo a prestito la fortunata metafora di Chris Anderson, teorico della “coda lunga”, ovvero
dell’ampia dispersione della curva di distribuzione statistica di prodotti digitali proposti tramite
internet: la “long tail” può essere applicata non solo ai fattori di output (“selling less of more”) ma
anche a quelli di input (“getting less from more”). Invece di assumere e retribuire in maniera stabile
un nucleo permanente e quindi forzatamente limitato di risorse, le imprese possono ricorrere alla
parcellizzazione e suddivisione di processi produttivi tra i membri di un social network affiliato, in
particolare del lavoro intellettuale effettuabile tramite piattaforme digitali che non richieda
contiguità spaziale o stretto coordinamento organizzativo.

Per un’impresa, un modo particolarmente efficace dal punto di vista economico per utilizzare i
social networks è quello di “scaricare” buona parte della struttura di costi associati al lavoro
intellettuale sui membri, meglio ancora se stakeholders con il duplice ruolo di clienti e fornitori, in
cambio di benefici derivanti dall’appartenenza al network stesso. I social networks su piattaforme
digitali consentono efficientissime forme di mobilitazione di risorse intellettuali a basso costo. Si
veda ad esempio, oltre alle note esperienze di sviluppo di soluzioni open source come Linux o
Apache supportate da IBM, la soluzione di InnoCentive, un social network digitale lanciato da Eli
Lilly presso il quale le aziende possono proporre in forma anonima problemi connessi alla propria
attività di ricerca e sviluppo in cambio di una ricompensa il cui valore è spesso solo una frazione del
costo che sarebbe richiesto per svolgere lo stesso progetto internamente.

Utilizzando i social networks digitali le imprese non risparmiano solo in salari e stipendi, ma anche
in costi di ricerca del personale, negoziazione dei contratti di lavoro e controllo dei risultati dello
stesso. Uno dei meccanismi più noti ed utilizzati è quello dell’autoselezione dei membri, come per
Wikipedia o Linux: essa è il risultato della riduzione delle asimmetrie informative sull’allocazione
di risorse scarse come quelle di tipo intellettuale, con forme di controllo diffuso a base statistica
sufficientemente ampia.
Uno degli esempi di autoselezione e riduzione dei costi di transazione utilizzabili ai fini di un
business model è quello dei costi di rating, classificazione e standardizzazione semantica di
contenuti digitali. Numerosi sono gli esempi: le raccomandazioni di Amazon e i links di Del.icio.us,
i giudizi dei compratori su eBay e sui portali di prenotazione turistica come eDreams o Expedia, i
servizi di raccomandazione di ristoranti come DueSpaghi, i processi di rating professionale per
aziende o esercizi pubblici.
Si prenda a riferimento un processo caratteristico del web 2.0: il “tagging”, ovvero l’etichettamento
di contenuti realizzato dagli utenti. In esso, il passaggio dalla tassonomia, centralizzata
nell’organizzazione aziendale e gestita da un costoso team di specialisti interni, alla “demonomia”
(“folksonomy”) decentrata e autogestita dagli utenti, produce grandi riduzioni di costi, sia di
produzione/estensione, sia di ricerca, sia di manutenzione/aggiornamento. Uno dei primi esempi di
utilizzo su larga scala di un’organizzazione basata sul “tagging” è stata Flickr, piattaforme di
pubblicazione e condivisione di fotografie digitali.

Veniamo ora ai fattori di output. Un’impresa può usare i social networks per aumentare la domanda
potenziale diretta (marketing virale o referenza spontanea, come nel caso di MySpace) o indiretta
(tramite prodotti complementari, come i servizi offerti su SecondLife da residenti o imprese) oppure
farli diventare uno standard de facto aperto (condivisione) come Wikipedia o proprietario
(appropriazione del valore), come Skype.
Alcuni business model efficaci, anche se meno evidenti, sono basati su fenomeni di “value shifting”
ovvero di spostamento/trasferimento del valore dal processo primario a processi complementari: il
modello più semplice è quello dell’advertising, dove il processo primario di fruizione dei contenuti
è spesso gratuito e l’estrazione del valore avviene sul processo complementare di sfruttamento
dell’attenzione umana tramite la vendita di strumenti di advertising. Il modello di SecondLife, come
descritto precedentemente, è particolarmente complesso: vi catturano valore sia il processo primario
(sottoscrizione delle membership) sia quelli complementari: l’acquisizione di una property,
l’emissione di “moneta” (Linden Dollars) e relativa estrazione di rendite da intermediazione e
signoraggio (“seniorage”) tipiche delle banche centrali.
Altri fenomeni di “value shifting” sono, invece che assoluti, relativi: si manifestano per esempio
generando erosione nello spazio competitivo di un concorrente (IBM con il social network di
sviluppatori che supporta Linux e l’open source rispetto all’offerta proprietaria di Sun e Microsoft)
e spostando la propensione di spesa del cliente e quindi il valore altrove, per esempio su servizi di
consulenza e system integration.

Quanto vale un social network digitale?

Sia che un social network digitale si usi sul fronte dei fattori di input, sia che lo si veda come
sbocco per i fattori di output, per progettare un business model sostenibile è necessario stimare il
valore potenziale associato ai suoi membri.
Un possibile approccio è quindi quello di costruire un indicatore composto per misurare l’intensità e
il valore economico dell’appartenenza di un membro ad un social network1. L’appartenenza degli
individui ai social networks, oltre ad essere molteplice, non è infatti semplificabile con una logica
binaria, basata su stati discreti: sì, no; essa è meglio approssimata da una logica “fuzzy”, basata su
una funzione continua: dall’assolutamente vero all’assolutamente falso, passando per infiniti gradi
di verità. La funzione di appartenenza, che ci dice quanto intensamente un membro possa essere
considerato parte di un social network digitale, è riconducibile ad una serie ponderata di indicatori
quantitativi, normalmente misurate dai log di connessione internet, quali: frequenza, durata e
profondità delle visite; tipologia, valore e livello di partecipazione attiva delle transazioni effettuate;
luogo e momento della giornata o della settimana nel quale viene effettuata la connessione;
caratteristiche degli indirizzi di provenienza e destinazione della visita, eccetera. Più intensa
risulterà essere la funzione di appartenenza dei membri di un social network, più alta sarà la
probabilità di estrarre valore tramite un adeguato modello di business. A funzioni di appartenenza
meno intense e maggiormente caratterizzate da comportamenti opportunistici (frequenza
occasionale, fruizione breve e passiva, indirizzi di provenienza e destinazione erratici)
corrispondono solitamente modelli di ricavi basati sulla pubblicità (Friendster, MySpace),
eventualmente integrati da una modalità di abbonamento per il gruppo di membri con funzione di
appartenenza più elevata, come i siti di dating (Match.com) o di musica (LostFm), i network
professionali (LinkedIn) o i mondi virtuali come SecondLife. Per premiare i membri con intensità di
appartenenza più elevata sono stati sperimentati modelli basati su “shared advertising”,
retrocessioni di ricavi pubblicitari ai contributori di contenuti che generano maggiore traffico o che
vengono acquistati da altri utilizzatori: è l’esperienza, peraltro controversa, del servizio InVideo su
cellulari di terza generazione fatta dell’operatore di telefonia mobile 3 Italia, nonché quella del sito
iStockPhoto, che retrocede agli autori parte del ricavato della vendita delle fotografie. E’ anche la
direzione annunciata da YouTube per chi pubblichi i filmati che risultino più popolari, a condizione
che detenga i diritti di proprietà intellettuale del contenuto stesso.

I modelli di social networks caratterizzati da elevata funzione di appartenenza ma anche da forte


ideologia collaborativa, come le community di sviluppatori Linux, o quelli legati da effetti di lock-
in, come Skype o le piattaforme di instant messaging, sono solitamente associati a modelli “free to
use – pay for related service”, che sfruttano le possibilità offerte dal “versioning” digitale. La
versione base del servizio o del prodotto software, spesso sviluppata da una community di
sviluppatori volontari, viene distribuita gratuitamente a chiunque, ma sono a pagamento le attività
correlate, come personalizzazioni e consulenze, oppure i servizi avanzati, come le telefonate di
Skype con terminazione su telefoni cellulari.

In conclusione: dal punto di vista delle aziende i social networks digitali rappresentano senza
dubbio una potenziale minaccia, in quanto sottendono forme strutturali di trasferimento di potere
contrattuale e riduzione di asimmetria informativa a favore dei consumatori, e poiché lasciano
emergere tendenze, talvolta extralegali come nel caso della pirateria sui contenuti musicali e video,
ad erodere le tradizionali rendite economiche basate sui diritti di proprietà intellettuale.
Sono tuttavia un’importante fonte di efficienza e riduzione di costi, occasione di mobilitazione di
preziose risorse intellettuali e di sistematica educazione della domanda; in ultima analisi sono
motore di uno sviluppo di tipo inclusivo e partecipativo, e quindi di ricchezza collettiva.

In particolare in Europa e in Italia, le strategie aziendali hanno l’opportunità di disporre di una


specifica piattaforma digitale, pervasiva e ubiqua, come la telefonia mobile di terza generazione.
Diversamente dal web tradizionale, essa è già dotata di efficienti soluzioni per l’autenticazione e il
billing di microtransazioni, e attraversa potenzialmente tutte le fasce di popolazione e tutte le
1
Un interessante tentativo in tal senso è quello di Rossetti L. Capturing Value of Social Networks: A Model for
Analysing Business Models, working paper, Univ. Bocconi - Luglio 2007
finestre temporali. Queste caratteristiche strutturali, in una fase di mercato che vede la progressiva
apertura dei vecchi “giardini recintati” degli operatori mobili, offrono agli imprenditori ulteriori
possibilità per l’estrazione di valore e l’articolazione di business model sostenibili e quindi posso
costituire un grande vantaggio per far leva sulle logiche tipiche dei social networks.

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