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SOCIOLOGIA DELLE RELAZIONI INTERCULTURALI

Bozza

La nostra ricerca è iniziata dall'incontro tra i componenti del gruppo e dalla


discussione relativa ai concetti di:
– tipizzazione
– dato per scontato
– categorizzazione e
– senso comune
DA QUI INIZIA IL POWER POINT

Con il termine TIPIZZARE intendiamo un'astrazione a classificare e rappresentare la


realtà per renderla più semplice.
Si impara a tipizzare durante i processi di socializzazione.
Il DARE per scontato è il ruolo della tipizzazione.
La CATEGORIZZAZIONE è un processo attraverso il quale, sulla base
dell'applicazione di criteri differenti, ciascuno stimolo viene collocato in una classe che,
mentre lo definisce intrinsecamente, lo differenzia dai componenti delle altre classi.
Questo processo porta inevitabilmente alla formazione di stereotipi e pregiudizi.
Quando ci troviamo a definire il SENSO COMUNE, abbiamo qualche problema in più
perchè non c'è una definizione univoca...
Infatti, inteso come sinonimo di "buon senso" (ossia come innata disposizione
"pratica" a comportarsi ragionevolmente nelle circostanze ordinarie della vita) esso
viene di solito apprezzato positivamente. Se gli si attribuisce un significato conoscitivo
(intendendolo come un bagaglio di conoscenze, giudizi, convinzioni e principi
largamente condivisi anche da chi non ha particolari competenze) può essere valutato
in modi opposti. In questa accezione è infatti facilmente inteso come atteggiamento
superficiale, acritico e molto spesso fallace.
Per verificare i casi più frequenti di tipizzazione e costruizione di uno stereotipo e/o
pregiudizio, ci siamo concentrati su un particolare aspetto della vita quotidiana: un
atto di acquisto e abbiamo analizzato il rapporto tra commessa e clienti.
Partendo dal concetto di pregiudizio che, come suggerisce la parola, è una forma di
valutazione che si manifesta prima che noi abbiamo, o riusciamo ad avere a
nostra disposizione, tutte le conoscenze necessarie per formulare una vera
opinione. Un pregiudizio dovrebbe essere una sorta di prima approssimazione che,
successivamente, dovrebbe portare alla formulazione di un giudizio vero e proprio.
Pero' questo avviene raramente perché l'essere umano non è in grado di memorizzare
dati infiniti e spesso non riceve né dispone di tutte le informazioni necessarie a
sviluppare un'idea vera e propria. Questo può succedere perché:
1) le informazioni semplicemente non sono disponibili;
2) perché altre situazioni impediscono, limitano o confondono la diffusione delle
conoscenze;
3) perché non tutti sono in grado di elaborare messaggi magari complessi ed
astratti o
4) perché la questione suscita particolari emozioni, ecc.

Abbiamo voluto vedere, attraverso una ricerca etnografica (che prevede cioé si parta
dai singoli individui e della relazioni tra essi) quanto operasse il pregiudizio appunto
nel rapporto commessa e clienti quando questi ultimi si presentino con una forte
connotazione “fenomenologica”.
Abbiamo cercato di capire se ha un fondamento la saggezza popolare dedicato al tema
e che contiene proclami contraddittori:
– l'abito non fa il monaco
– mangia a gusto tuo e vesti a gusto degli altri
Abbiamo quindi calcato un po' la caratterizzazione dei nostri attori a cui siamo stati
costretti a ricorrere per motivi sostanzialmente temporali per cui non abbiamo potuto
limitarci a verificare la situazione ma ne abbiamo dovuto prendere parte, dopo averla
generata.
Questo ha permesso, da un lato, il verificarsi di fattori scatenanti la rottura degli
schemi e quindi l'esplicitazione del dato per scontato, e, dall'altro, la possibiltà di
esperire in prima persona (anche se per mezzo di un personaggio esso stesso creato
sulla base di un modello, quindi tipizzato sul nascere) la discriminazione e gli effetti
che la stessa crea nel discriminato.
Quindi, due comparse:
– una studentessa, un po' grunge carina e spigliata, accompagnata da un'amica e
– una coppia di 40 enni elegantemente vestiti

E' stato scelto un negozi del quadrilatero della moda che ci sembrava (nostro
pregiudizio) potesse essere più sensibile all'abbigliamento.
I nostri attori sono entrati, in due momenti separati da Gucci: dapprima le due
“giovani” amiche con la scusa dell'acquisto di una borsa per il 50mo anno della
mamma.
Le amiche vengono inizialmente ignorate dai commessi finchè non riescono a parlare
con una commessa orientale che le tratta educatamente ma con distacco e un po' di
diffidenza.
A questo punto entra in scena la coppia elegante e, dopo un rapido giro del negozio, si
rivolge, con l'intento di interromperla, alla stessa commessa orientale, che, molto
professionalmente, risponde a monosillabi e fa aspettare la coppia elegante. Intanto le
alte complici continuano a chiedere di poter visionare ulteriori borse e eventuali
accessori... Dopo arriva una ragazza straniera che chiede il prezzo della borsa che
maneggia la nostra attrice giovane! E senza problemi la commessa le dice il prezzo,
molto cortesemente. Alla richiesta di altri modelli la commessa si aggira per cercarle
(o solo finge?!) intanto le attese ( e le pretese!) aumentano... finchè non viene
richiesta una borsa di coccodrillo da 12.000 euro... (mentre dichiara il prezzo la
commessa evidenzia con lo sguardo e il tono di voce l'inadeguatezza della cliente
rispetto all'oggetto del desiderio) che, di fatto, si rivela non disponibile nel negozio in
questione.
In sintesi, l'atteggiamento della commessa è stato educato ma molto distaccato.
Interviene ancora la coppia elegante e la commessa si dedica a loro. Le complici
quindi se ne vanno indispettite.
La commessa è molto disponibile, mostra i modelli richiesti, cerca i colori desiderati e
si lancia in una conversazione amichevole sul tempo. Quindi, entra nella sfera un po'
più personale con la coppia matura. E quando le chiediamo la borsa in coccodrillo, ce
la mostra.

Analizziamo il rapporto a tre che si è creato nel negozio di alta moda.


Nel rapporto con la ragazza giovane e la sua amica, la commessa si limita allo
stretto necessario. Il contegno, molto formale, è giustificato da motivi professionali.
Non dà confidenza, sembra quasi che provi un disagio. Vuole tenere le distanze. Ma, al
di fuori del lavoro, qual è l'ambito delle sue frequentazioni? Probabilmente coincide
con quello della coppia di amiche, quindi la mancanza di confidenza può essere indotta
dall'esigenza di NON confondersi.
Nel rapporto con la coppia chic, la commessa si abbandona a dialoghi confidenziali.
Probabilmente aspira a sentirsi come loro. Le piacerebbe appartenere alla classe
sociale con cui entra quotidianamente in contatto, per motivi di lavoro di lavoro.
La coppia chic percepisce come invadente l'atteggiamento della commessa che non si
limita al suo lavoro!
La coppia chic, nel momento in cui si rivolge alla commessa che sta “servendo” le
giovani amiche, si scusa educatamente con loro per l'interruzione. Non c'è motivo di
creare distanza tra loro perchè è evidente che appartengono a culture e strati sociali
diversi e non c'è pericolo di confondersi.
Riprendendo la suddivisione proposta da hannerz secondo cui gran parte del processo
culturale può essere racchiuso in cornici organizzative, noi incaselliamo questa realtà
nella cornice del mercato. Infatti ogni bene trasporta un significato, in parte culturale.
Il bene di lusso induce a credere che il proprietario sia un uomo ricco o quantomeno
benestante. Quindi non è tanto un significato di “BELLO esteriore”... è il valore
intrinseco associato al benessere economico e/o a un particolare status sociale.
Questo, tra l'altro, spiega la diffusione della contraffazione. Compro una borsa
contraffatta al mercato perchè voglio essere assimilata a uno status a cui ambisco e
che abitualmente è associato all'uso di marchi famosi.
Secondo noi poi anche la cornice dello stato è pertinente... Infatti, lo stato ha
interesse a modellare differenze tra le persone. Queste differenze sono infatti
funzionali a collocare categorie di individui in posizioni diverse nella struttura
economica. In questa enfasi della diversità, si inserisce anche la differenziazione di
status sociale, a cui, come abbiamo visto, contribuisce il prodotto griffato.
Non possiamo, infine, omettere la cornice FORMA DI VITA, che riguarda le attività di
produzione e le attività che si svolgono sul posto di lavoro e nell'ambito domestico. In
questo contesto, una caratteristica del processo culturale è che le stesse azioni si
ripetono più volte: il lavoro della commessa è senza dubbio ripetitivo, possiamo
definirlo un lavoro di routines che, finchè si ripete senza interruzione, è NON
PROBLEMATICO. Possiamo percepire l'incontro delle giovani amiche come qualcosa
che rompe la routine della commessa e la obbliga a un cmbiamento del suo
atteggiamento abituale.

STO IN CRISI CON LA ROTTURA DEL NOSTRO DATO PER SCONTATO... deve essere
riferito a quell'episodio o è quello che segue?

Poi, approfittando della presenza di ragazze che sono cresciute in paese diversa dal
nostro, abbiamo fatto delle interviste tra noi per far emergere i contrasti tra
riferimenti simbolici condivisi...
Tra le esperienza raccontate, vorremmo focalizzarci su un costume che, evidenziato
dalla nostra compagna moldava, ha evocato in noi ricordi di stili di vita diversi.
Partiamo dalla trascrizione dell'intervista della nostra compagna
D: E arrivando qua in Italia hai incontrato delle difficoltà inizialmente? O
semplicemente delle diversità o somiglianze rispetto alle tue abitudini in Moldavia
soprattutto nell’ambito della vita familiare e nell’utilizzo dello spazio abitativo?
R: Sì. Cioè, la prima cosa è che…mi è sembrato molto, cioè, proprio strano…è stanto
quando il proprietario della casa è entrato in casa e non si è tolto le scarpe. Per me
era un’offesa! (ride) Perché da noi, prima di entrare in casa, si tolgono le scarpe…cioè,
non prima, nel senso: entri in casa, ti togli le scarpe e poi entri. Perché ci sono i
tappeti, ci sono…non è che cambia moltissimo…però per me era una cosa normale.
Quindi pensavo che anche in Italia fosse così, invece no! Poi, mi sono abituata al
modo di fare in Italia e, una volta tornata in Moldavia per le vacanze, mi sono
scordata di togliermi le scarpe, quando entravo nella casa.

Abbiamo raccolto diversi episodi sul tema delle scarpe, partendo dalle nostre abitudini,
cioè dal nsotro dato per scontato e mutuandoli dai nostri viaggi.
In Italia, ci si tolgono le scarpe nelle propria casa. E' un gesto di intimità e
appartenenza.
In marocco, si tolgono le scarpe, non appena si entra in casa. Anche lì ci sono tanti
tappeti e l'uso delle scarpe rischia di rovinarli.
In Giappone, non ci sono tappeti ma i pavimenti sono così lustri che a nessuno
verrebbe in mente di pestarli con le scarpe che sono state usate all'aperto.
Curiosamente, in Turchia (parte asiatica) i piedi invece non devono essere mostrati
per questione di pudore... (vi dico la verità... Temo che non possano essere mostrati
in pubblico ma che in casa gi giri scalzi... Il prof non ci arriverà mai... Non andiamo
troppo per il sottile!!)
Ci siamo quindi rese conto di come nella cultura esistano, non tanto delle regole ma
delle regolarità e come il dato per scontato sia appannaggio delle singole culture
nazionali...

Concludiamo il nostro lavoro con una raccolta mediatica che abbiamo cercato di
rendere il più divertente possibile. Attiene all'uso dei pregiudizi che abbiamo ricercato
a 360°, senza pregiudizio alcuno!

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