Sei sulla pagina 1di 17

Introduzione

Il conflitto può essere definito come la presenza di assetti


motivazionali contrastanti rispetto alla meta ed è in stretto legame con
la frustrazione poiché i desideri, i bisogni e le esigenze spesso
continuano a sussistere anche se sono tra loro apparentemente
inconciliabili o comunque opposti come avviene, ad esempio, tra la
voglia d'indipendenza e la necessità di protezione nell'adolescente.
Va anche distinto un confitto interiore (nella mente della singola
persona detto anche conflitto intrapersonale) da un conflitto sociale o
interpersonale (che si sviluppa invece tra due o più persone o gruppi)
tenendo anche conto delle varie sfumature del concetto di conflitto.

Il ruolo e i meccanismi di difesa nel conflitto


Allargando il campo di osservazione alla vita quotidiana dell’uomo
si può osservare che spesso a suscitare il conflitto non è un oggetto o
un’attività particolare, quanto un modello di comportamento, un
complesso di atteggiamenti e valori che si possono sintetizzare nel
concetto di ruolo. L’appartenenza a diverse categorie impone, di volta in
volta, regole di comportamento diverse che a volte sono incompatibili.
Ma i conflitti possono anche derivare dal fatto che l’evoluzione
dell’individuo dall’infanzia alla vecchiaia esige l’abbandono progressivo
di certi ruoli e l’assunzione di nuovi. Questo trapasso può essere
caratterizzato da fasi di incertezza, ambiguità, conflitto tra vecchio e
nuovo.
L’individuo si smarrirebbe se non avesse a sua disposizione dei
meccanismi adeguati. Questi meccanismi di difesa possono essere
istituzionalizzati, cioè messi in atto dalla società, oppure operanti a
livello individuale.
Tra i meccanismi istituzionalizzati per limitare le situazioni di conflitto vi
sono la separazione nel tempo, una gerarchizzazione dei gradi di
obbligatorietà dei ruoli e la loro separazione.
I principali meccanismi individuali sono:
• la separazione attraverso la quale i due ruoli in conflitto vengono
distinti sia nel tempo che nello spazio;
1
• il compromesso col quale rimandare l’azione, ristrutturare il ruolo o
usarne uno contro l’altro:
• la fuga, il soggetto esce dai ruoli e se ne distacca.
Il conflitto pone la persona di fronte a due alternative almeno, ma
la maggior parte delle scelte che dobbiamo compiere ogni giorno sono
di gran lunga più complesse. Spesso presentano non solo due ma più
alternative, che differiscono tra loro per molti aspetti. È comprensibile
quindi che le persone adottino tecniche di decisione che sono più al
servizio della riduzione dello sforzo che della visione razionale del
problema.

Gestire i problemi

Nell’approccio positivo ai problemi e conflitti, c’è un “soggetto”


che va sempre e comunque accettato, compreso, accolto: la persona
con la sua storia, la sua esperienza, il futuro. D’altro canto c’è un
“oggetto” che può anche non essere sempre accettato: il
comportamento. E come tale può anche essere modificato. È importante
chiarire cosa non si accetta nel comportamento dell’altro precisamente
che effetti ha su di me quel comportamento, quali fastidi, difficoltà o
danni mi causa, e che sentimenti mi provoca quel comportamento. La
risposta a queste domande rappresenta la gestione della dimensione
interiore del problema. Il passo successivo è riformulare il problema in
termini di bisogni.

In psicologia il bisogno identifica la interdipendenza tra gli organismi


viventi e l'ambiente. Il bisogno è uno stato di carenza che spinge
l'organismo a rapportarsi con il suo ambiente al fine di colmarlo.

Questa spinta non è necessariamente una motivazione sufficiente per


agire, d'altro canto esistono pulsioni ad agire che non trovano la loro
origine in uno stato di carenza. Il bisogno in senso psicologico non è
sovrapponibile sempre a quello psicofisiologico.

Maslow ha costruito la piramide dei bisogni:

2
Piramide di Maslow

Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più


elementari (necessari alla sopravvivenza dell'individuo) ai più complessi
(di carattere sociale). L'individuo si realizza passando per i vari stadi, i
quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. I livelli di bisogno
concepiti sono:

1. Bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.)


2. Bisogni di salvezza, sicurezza e protezione
3. Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione)
4. Bisogni di stima, di prestigio, di successo
5. Bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le
proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo
sociale).
3
Il vantaggio di questa teoria è quello di fornirci un fondamento logico
per guardare le persone non come cattive o pericolose ma come
persone con bisogni insoddisfatti.

Integrazione di Conflitti

L'Integrazione di Conflitti fa riferimento a quella operazione di PNL nella


quale risposte contraddittorie o incompatibili, "parti" o processi cognitivi
sono classificati, separati e risolti. L'Integrazione di Conflitti costituisce
uno degli interventi di base della PNL ed è essenziale alla risoluzione di
molti problemi mentali, fisici ed interpersonali.
Uno dei componenti chiave del processo di Integrazione dei Conflitti
aggiunto sin dal secondo volume de La Struttura della Magia è
l'identificazione ed il riconoscimento delle intenzioni positive di
entrambe le parti in gioco.
Grandissima parte del processo di integrazione dei conflitti in PNL
comporta la divisione delle esperienze nei loro livelli più appropriati, allo
scopo di evitare confusione e problemi inutili. Un approccio tipico a tale
risoluzione in PNL consiste nel portare il conflitto ad un livello superiore
al fine di trovare un consenso riguardo alle intenzioni positive del "livello
più alto" (tecnica del chunk-up). Un altro modo di procedere prevede di
portare il conflitto ad un livello inferiore. A questo "livello più basso" è
possibile trovare "risorse complementari" delle parti del sistema che
sono in conflitto (chunk-down).

4
La PNL fornisce molte risorse e numerosi strumenti per l'individuazione
e la risoluzione dei conflitti interiori ed interpersonali. Ne sono esempi le
tecniche di ristrutturazione, di integrazione di conflitti, lo spostamento di
posizioni percettive e molti strumenti comunicativi come la calibrazione,
il meta-model e la comunicazione non verbale.

Il processo di integrazione di conflitti in PNL era inizialmente rivolto ai


conflitti interiori individuali, diventando poi la base per i modelli PNLstici
di negoziazione. Quella che segue è una rassegna generale degli
approcci base di PNL per i conflitti:

1. Identificare chiaramente i punti chiave coinvolti nel conflitto, espressi


in opposti o polarità. Determinare a quale livello logico il conflitto si
concentra maggiormente. Ad esempio, spendere denaro anziché
risparmiarlo costituisce un livello comportamentale in conflitto

2. Stabilire una meta-posizione priva di condizionamenti chiaramente


distinta dalle parti in conflitto

3. Trovare l'intenzione positiva dietro le ragioni di ogni parte. Tali


intenzioni saranno necessariamente situate ad un livello più alto di
quella che crea il conflitto ("non si può risolvere un problema allo stesso
5
livello di pensiero che lo ha creato"). Le intenzioni positive non saranno
tipicamente fra loro opposte o polari. Molto spesso sono in posizione di
complementarità e ricevono un beneficio vicendevole, al contrario di
quelle in opposizione. Ad esempio: spendere denaro = crescita;
risparmiare denaro = sicurezza.

4. Assicurarsi che ogni parte riconosca l'intento positivo dell'altra. Ciò


non significa che ognuna delle parti debba accettare il metodo con il
quale l'altra sta tentando di soddisfare l'intenzione positiva, e neanche
che ogni parte debba compromettere la propria posizione.

5. Dalla "meta-posizione", continuare con la tecnica del "chunk up" fin


quando non si identificherà per entrambe le parti un'intenzione comune
ad un livello più alto. Ad esempio, ottimizzare le risorse.

6. Esplorare altre alternative per il raggiungimento dell'obbiettivo


comune al di là delle due parti in conflitto. Ciò può includere un
mescolamento delle due scelte esistenti, ma dovrebbe anche contenere
almeno una alternativa completamente distinta e separata dalle due in
conflitto (ad esempio, investire denaro ma anche risparmiarlo, prenderlo
a prestito, creare una fonte di reddito alternativa, investire in società
con qualcuno, ridurre le spese per investire il denaro in altri settori ecc.)

7. Identificare quale scelta o combinazione di scelte soddisfi meglio ed


ecologicamente le intenzioni comuni e quelle positive individuali con il
maggior impatto sistemico positivo possibile. Il conflitto può evolversi in:

• Sviluppo: non termina ma porta ad una escalation;


• Stand off: intrappolamento;
• Trasformazione: finisce ma non si risolve;
• Terminazione: finisce e si risolve.

Il conflitto nella coppia

In genere nel conflitto c’è una rottura delle regole, una situazione di
disorganizzazione che aumenta con il dilagare del conflitto in campi
6
sempre più vasti, riguardanti la relazione. Tentare di evitare o risolvere
il conflitto aumentando le regole o rendendole più rigide è vana
speranza, in quanto, in questo modo, si accentua la chiusura del sistema
di relazione e si sollecitano conflitti più violenti, come è sempre
avvenuto nei sistemi autoritari.

Oggi le dinamiche che agiscono all’interno della coppia sono molto


complesse, sia per le numerose trasformazioni sociali che hanno
modificato il legame tra i partner, sia per il loro diverso percorso
individuale.

Il grande cambiamento di prospettiva riguardo il conflitto si ha con


l’elaborazione del modello genetico in alternativa al modello funzionale.
Il modello funzionale considera la realtà sociale come un dato di fatto, di
individui come dipendenti dal gruppo e i fenomeni dal punto di vista
dell’equilibrio; il modello genetico invece rivaluta l’interdipendenza degli
individui e studia i fenomeni con attenzione ai processi di
trasformazione e di conflitto. In quest’ottica il conflitto inizia ad essere
considerato una “sana” forma di interazione sociale, un processo non
necessariamente distruttivo, il più delle volte, in grado di creare nuovi e
più funzionali equilibri sociali. Si parla quindi di due tipi di conflitto:

• Il conflitto associativo: in presenza di una divergenza i soggetti


ricercano una soluzione, una nuova forma di relazione che li
avvicini.
• Il conflitto dissociativo: in presenza di una divergenza uno o
entrambi i soggetti ritengono necessario impedire o neutralizzare
l’azione dell’altro infliggendo un danno anche a costo di spese
elevate.

Nel tempo è stato sempre più considerato il conflitto associativo,


definito anche costruttivo o cooperativo e sono state analizzate le
componenti del conflitto e gli elementi che possono condurre alla
collaborazione tra le controparti. Nel conflitto competitivo c’è
un’opposizione tra le parti e si cerca di arrivare ad un vincitore e ad
7
un perdente. Nel conflitto cooperativo invece si attiva il pensiero
creativo, la flessibilità ad accettare e a gestire la differenza e la
capacità di utilizzare tutte le risorse disponibili per giungere ad un
accordo.

Le coppie stabili elaborano nel tempo propri modelli di interazione,


uno stile di vita di coppia e una propria modalità nella risoluzione dei
conflitti. In genere il conflitto di coppia nasce quando le regole, gli
accordi elaborati insieme, anche inconsciamente, vengono rotti nel
tentativo di imporne altri.

Quando si attiva la strategia di evitamento (negazione del conflitto,


la sua svalutazione, l’attenzione ad altre situazioni) riduce la
possibilità di crescita della coppia e impedisce la possibilità di una
relazione stabile e soddisfacente.

La separazione è uno dei possibili esiti dei conflitti interni alla coppia
ed è un processo lungo e doloroso. Ciascuno dei due partner deve
riuscire a ritirare le numerose aspettative sull’altro e sulla relazione
affrontando sentimenti di collera, colpa, dolore e delusione.

Spesso accade che esplode la rabbia e la svalutazione dell’ex partner


e, se ci sono dei figli, anch’essi verranno coinvolti nella lotta tra i
genitori, saranno costretti a schierarsi l’uno contro l’altro, divenendo
essi stessi oggetto di discordia o strumento di punizione; bambini,
scaraventati nelle guerre tra adulti, prima ancora di crescere, vittime
di un conflitto non accolto.

La mediazione familiare

La definitiva rottura del legame di coppia è l'epilogo di un lungo


cammino di allontanamento dei coniugi da quel punto di equilibrio che
era costituito dall'idillio iniziale.
Senza cadere in luoghi comuni, questa distanza che aumenta è spesso
8
la diretta misura del conflitto che viene a generarsi: è la misura della
difficoltà dei partner (a volte l'impossibilità) di riorganizzare la propria
relazione e la propria vita in una nuova e diversa prospettiva. In questo
contesto, con una frequenza elevatissima, la prole (quando presente) si
trasforma in strumento della contesa, si trasforma in strumento di
pressione più o meno indiretta per dimostrare "l'inadeguatezza" , "la
colpa", "la cattiveria" del proprio "ex": in nome del "benessere dei figli"
gli ex-coniugi (dimentichi di essere in primo luogo ancora genitori)
disperdono le loro energie in lunghe contese giudiziarie il cui esito,
difatto, non determina un "vincitore" tantomeno un "vinto".
In questo senso, ci si può rendere conto come il mandato conferito
all'avvocato assuma anche il significato di ottenere una "vittoria" da
esibire, una ragione pubblica che sottragga la persona ad un ipotetico
giudizio... quasi che la "sentenza" possa essere attesa come un
"diploma di meritevolezza e di non colpa" rispetto al fallimento della
relazione coniugale.
Vero è che, purtroppo, esistono contesti di reale disagio in cui la
separazione o il divorzio (ed il conflitto) vengono ad inserirsi in quadri di
vero e proprio degrado delle relazioni interpersonali; contesti all'interno
dei quali la rilevanza dei vissuti si trasforma spesso in fattispecie
penalmente rilevanti (es. violenze o altri reati ma, nella maggioranza dei
casi il conflitto all'interno della coppia coniugale è frutto di un sentire
sociale errato e condizionato.
Rispetto a queste ed altre osservazioni, trova spazio la mediazione
familiare (peraltro pienamente riconosciuta a livello legislativo) come
valido strumento di aiuto alla coppia in via di separazione o già
separata, che - all'interno di una situazione di conflitto - si ponga nella
prospettiva di costruzione di un nuovo programma relazionale.
La mediazione familiare non è uno strumento di prevenzione della
separazione! Al contrario è uno strumento atto a favorire il processo
(percorso) di separazione dei coniugi. Lo scopo del percorso di
mediazione familiare è, infatti, destinato alla creazione ed al
mantenimento di un contesto in cui siano gli stessi coniugi a costruire
l'accordo di separazione in modo che, in presenza di prole, il passaggio
9
da coppia coniugale a coppia esclusivamente genitoriale avvenga senza
conflitto (o che se presente venga eliminato o ridotto).

Gli obiettivi della mediazione familiare

Sicuramente molteplici sotto il profilo pratico (raggiungimento


dell'accordo di separazione, determinazione del contenuto e via
dicendo) ma, in buona sostanza, lo scopo di un percorso di mediazione
familiare è quello di ottenere una stabile rinegoziazione del rapporto
coniugale in vista della separazione. Il percorso di mediazione, infatti,
deve essere considerato come il luogo in cui avviene il transito da
coppia coniugale a coppia genitoriale nonché il luogo in cui i soggetti
partecipi imparano autonomamente a rinegoziare la relazione di coppia
mantenendo inalterato (in alcuni casi creando ex novo o migliorando) il
rapporto genitoriale. Consapevoli del percorso di separazione i soggetti,
guidati dalla figura del mediatore familiare, giungono a relazionarsi in
modo nuovo: costruiscono insieme un nuovo rapporto basato tanto sul
benessere individuale tanto sulla consapevolezza e coscienza del
mantenimento del ruolo genitoriale.

Il percorso della mediazione familiare

Attraverso una serie predeterminata di incontri ed in un lasso di tempo


relativamente breve, il mediatore familiare crea le condizioni affinché i
coniugi identifichino le criticità che impediscono il raggiungimento
dell'accordo si separazione e fornisce gli strumenti affinché gli stessi
giungano a costruire autonomamente accordi (contenuti) sostenibili e
soddisfacenti. Tutto questo sia sotto il profilo relazionale che
patrimoniale. Ovviamente qualunque accordo raggiunto dovrà essere
compatibile con le disposizioni di legge e soggetto a giudizio di
omologazione da parte del giudice.
Le vie di accesso alla mediazione familiare sono molteplici ed il percorso
di mediazione familiare può essere intrapreso in qualsiasi momento
(anche in pendenza di una separazione giudiziale) rivolgendosi ad un
10
centro di mediazione o anche in sede di consulenza presso un legale
(tecniche di mediazione). E' bene tenere presente che l'accordo di
separazione raggiunto nel contesto di un percorso di mediazione
familiare non è la separazione! In ogni caso tale accordo deve essere
proposto nella forma del ricorso innanzi il giudice competente al fine di
ottenerne l'omologazione oppure proposto come deflattivo di una
separazione giudiziale al fine di trasformarla in consensuale. Lo stesso
vale nel caso del giudizio per la cessazione degli effetti civili del
matrimonio o nel caso di necessità di modifica di precedenti accordi di
separazione.

La figura del mediatore


La mediazione è un processo attraverso cui due parti richiedono
l’aiuto di un terzo neutrale ed esperto, che è apppunto il mediatore, per
ristabilire un livello di comunicazione e un accordo di reciproco
vantaggio nel rispetto di se e dei propri figli.
I fini della mediazione sono:
• Gestire e ridurre i conflitti e i suoi effetti;
• Riorganizzare le relazioni in modo soddisfacente per tutti.
L’azione del mediatore o del conciliatore, così com’è stata appena
delineata, incontra però un enorme ostacolo di ordine pratico. Lo scoglio
da superare è quella sorta di automatismo insito nell’animo umano, che
spinge ciascuna parte a credere che il problema sia esclusivamente
originato dalle cattive intenzioni dell’altra.
Homo homini lupus, recita il noto aforisma. Si tratta però di una falsa
credenza, che il più delle volte finisce per creare dinamiche pericolose
della serie: “lo scontro col mio nemico mi prova che io sono nel giusto e
lui invece ha torto, quindi io sono autorizzato a comportarmi male, anzi
devo necessariamente essere a mia volta scorretto per poter
contrastare le cattive intenzioni del mio nemico”. Simili dinamiche, per
di più, rendono tanto più difficile il tornare a gestire positivamente la
relazione interpersonale tra le parti, quanto più a lungo e aspramente le
persone sono rimaste in lite.

11
E’ innegabile, infatti, che le situazioni di esasperata ostilità mettono le
parti coinvolte in condizione di perdere la capacità di leggere la realtà in
modo obbiettivo e valido. Per questo, si comprende perché la più
preziosa abilità del “problem solver” stia nella capacità di scardinare
progressivamente la falsa credenza che acceca le parti.
Il conflitto può essere condotto su piani di migliore gestibilità: occorre
solo che in esso entri un soggetto capace di portare a livello di
consapevolezza la responsabilità delle persone che ne sono coinvolte,
agendo contro la spontanea tendenza di ogni essere umano a proiettare
le proprie colpe sugli altri.
Per riuscire a orientare i litiganti in questo senso, il conciliatore deve
saper esplorare le intenzioni e le reazioni personali di ciascuno, per
esempio ponendo domande come le seguenti: “Cosa pensa veramente
di quello che è accaduto? Come si sente veramente in relazione a
questo conflitto? Come potrebbe aver contribuito lei personalmente al
problema? Vuole impegnarsi in una guerra ad oltranza, costi quello che
costi, oppure vuole impegnarsi per la propria pace, per il proprio
benessere?”.
Il primo passo che un “problem solver” deve saper svolgere, quindi, è
quello di guidare le parti verso un percorso personale di autocoscienza.
Un altro indispensabile strumento per la realizzazione dell’obiettivo è la
tecnica di gestione dell’emotività delle parti, che consente di far
abbassare il livello di collera; in conciliazione e in mediazione a tale
scopo si presta attenzione alla gestione dello spazio (setting della
scena), così come alla comunicazione non verbale.
Il conciliatore, per esempio, sa che può far capire ai suoi clienti che è
concentrato ad ascoltarli anche senza doverlo dichiarare
espressamente: può farlo attraverso cenni sonori di incoraggiamento e
di assenso, oppure mediante il contatto visivo e la posizione del suo
corpo, ponendo delle domande di approfondimento, parafrasando
quanto ha appena sentito e lasciando che chi parla esaurisca il proprio
pensiero.
Una delle fasi principali che consentono di far scendere il livello di
collera delle parti passa proprio attraverso l’ascolto che il terzo
12
imparziale fornisce ai litiganti, perché se chi parla capisce di essere
ascoltato e di avere l’attenzione dei suoi interlocutori, tende
normalmente a perdere la propria carica di aggressività. Così pure
accade quando il conciliatore riesce a far sentire a ciascun litigante che
ognuno ha diritto ad avere la propria opinione.
Volendo sintetizzare, le strategie di problem solving si fondano su sei
principi applicabili: definire il problema, decidere di discuterlo, formulare
delle soluzioni alternative, scegliere fra queste la migliore, stabilire un
piano d’azione comune e infine rivedere la decisione per valutarla
congiuntamente. Lavorando su queste linee guida, l’esperienza delle
A.D.R. insegna che l’ottenimento di risultati di tipo “win-win” non è
utopia, ma realtà.
La presenza di un terzo imparziale che orienti la gestione del conflitto
secondo le linee guida appena descritte è però essenziale. Si tratta di un
compito tanto arduo, da convincere Howard Raiffa ad enumerare le
(numerose) caratteristiche irrinunciabili di un conciliatore:

1. la pazienza di Giobbe;
2. la sincerità e l’ostinazione di un inglese;
3. lo spirito di un irlandese;
4. la resistenza fisica di un maratoneta;
5. l’abilità di gioco di un mediano su un campo di football;
6. l’astuzia di Machiavelli;
7. la capacità di analisi psicologica di un bravo psichiatra;
8. la capacità di mantenere i segreti di un muto;
9. il dorso di un rinoceronte;
10. la saggezza di Salomone;
11. provata integrità e imparzialità;

12.fondamentali conoscenze dei processi di negoziato e fiducia negli stessi;

13.fiducia nella buona volontà e non nell’imposizione;

14. profonda credenza nei valori umani e nel loro potenziale, temperata
dalla capacità di valutare le debolezze personali;
13
15. capacità di analizzare il possibile, in rapporto al desiderabile;

17.sufficiente personalità, temperata dalla disponibilità a non apparire

La logica “Win-Win” nella mediazione


Come descritto nei precedenti paragrafi, un buon mediatore è
consapevole del fatto che il conflitto è una componente naturale e
potenzialmente produttiva nell’ambito delle relazioni interpersonali.
Infatti, il conflitto stimola il pensiero e le persone a comprendere meglio
i fattori chiave in merito alla decisione da prendere.
L’obiettivo della mediazione è quello di far ottenere alle parti una
nuova alleanza e un cambiamento soddisfacente attraverso la libera
responsabilità e autonomia di ciascuno attraverso la negoziazione.
Sono due i modelli di negoziazione:
Il primo modello, denominato generalmente negoziazione
ripartitiva, considera il processo negoziale come la modalità di
distribuire fra le parti una quota fissa di risorse: quello che una parte
vince, l’altro perde. E’ la logica della gestione del conflitto a “somma
zero”, in quanto la somma fra –1 e + 1 fa zero. Le capacità del buon
negoziatore si risolvono nell’ottenere il massimo possibile con il minimo
danno, all’interno di uno scenario di lotta, in quanto il progetto di una
parte annulla quello delle altre parti.
Il secondo modello è denominato negoziazione integrativa o
generativa. Esso si basa sull’attività di problem solving focalizzata sul
reciproco beneficio, in quanto il processo negoziale viene visto come
modalità di creazione, e non di semplice partizione equa, di risorse per
entrambe le parti: la gestione del conflitto è a “somma variabile”,
diversa da zero ed in aumento. Così, + 1 sommato a + 1 fa + 2, ma
anche + 3, nella logica dello scambio e della collaborazione che ci
induce a pensare che si può vincere di più se si vince insieme all’altro.
Infatti, ci sono delle cose che interessano più parti e che si possono
ottenere “giocando insieme” perché nessuno potrebbe ottenerle
giocando da solo o contro gli altri.

14
La soluzione soddisfacente a un problema condiviso segue quindi la
logica del “win-win”.
I tre principi su cui si basa questa logica sono:
1. passare dall’antagonismo alla cooperazione:
a. riconoscere l’ostilità altrui senza raccoglierla;
b. concentrarsi sul problema e non sulle persone;
c. sentirsi soci e mai avversari;
d. invece di pensare a vincere la partita, capire la posizione
dell’altro ed “entrare nella sua mappa”.
2. Creare un clima fondato sulla fiducia
a. Ascoltare il 70% e parlare il 30% del tempo;
b. Approfondire con domande mirate;
c. Contraddire l’interlocutore in negativo, è indispensabile usare
sempre la coniugazione “e” al posto del “no”;
d. Far capire che si comprende ed essere assertivi.
3. Creare alternative vantaggiose per entrambi
a. Concentrarsi sul problema da risolvere andando oltre
l’apparenza delle cose;
b. Cercare assieme le soluzioni possibili;
c. Sviluppare la creatività, rimandare metafore e parole chiave;
d. Dividere il percorso decisionale in piccoli obiettivi;
e. Costruire l’accordo per gradi considerando quanto suggerisce
la comunicazione non verbale.
la logica del win-win porta le persone ad esprimere liberamente i propri
punti di vista e i propri bisogni partecipando attivamente e
costruttivamente alle discussioni. Cogliere il punto di vista degli altri offre
una maggiore gamma di possibili opzioni, potenzia la capacità di
inventare altre possibilità di scelta e fornisce l’opportunità per risolvere i
conflitti rasserenando così il clima relazionale.

Conclusioni

15
In una situazione di conflitto l’accesso all’esperienza è limitato alla
struttura superficiale, non a quella profonda. Il conflitto impedisce
quindi, l’accesso alle risorse e i due livelli di comunicazione (razionale
ed analogico) sono confusi. Pertanto i fraintendimenti fra le parti sono
dovuti alle violazioni continue del meta modello e alla conferma delle
credenze limitanti. Per gestire il conflitto è fondamentale confrontare i
meta modelli per accedere all’esperienza profonda e quindi alle risorse,
e separare i due livelli di comunicazione.

Bibliografia

• La Struttura della Magia, Grinder & Bandler, 1976. (ediz. Italiana Astrolabio)
Programmazione Neurolinguistica, Dilts, R., Grinder, J., Bandler, R. &
DeLozier, J., Astrolabio 1980.
La Ristrutturazione, Bandler & Grinder, Astrolabio1982.
Changing Belief Systems with NLP, Dilts, 1990.
Convinzioni, Dilts, Hallbom, T. & Smith, S., Astrolabio 1990.
Strategies of Genius Volume II, Dilts, R., Capitola, CA, 1994.

16
• Umberto Galimberti, Conflitto psichico (pp. 456-458), Psicologia sociale (pp. 230-
239) in Dizionario di psicologia, 1a ed. Novara, Istituto Geografico De Agostini
S.p.A., 2006. .
• Sigmund Freud, L'interpretazione dei sogni (1899) in Opere di Sigmund Freud, 1a
ed. Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
• Sigmund Freud, Cinque conferenze sulla psicoanalisi (1909) in Opere di Sigmund
Freud, 1a ed. Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
• Erik Erikson, Infanzia e società (1950), Roma, Armando, 1976.
• Massimo Fagioli, Istinto di morte e conoscenza, 11a ed. Roma, N.E.R. (Nuove
Edizioni Romane), aprile 2005.
• Elliot Aronson; Timothy D. Wilson; Robin M. Akert, Psicologia sociale, Bologna, il
Mulino, 1999.
• Elliot Aronson, Elementi di psicologia sociale, 8a ed. Milano, Franco Angeli, 1991.
• Leon Festinger, Teoria della dissonanza cognitiva, 3a ed. Milano, Franco Angeli,
1998.
• (EN) Glen O. Gabbard, Psychodynamic Psychiatry in Clinical Practice, Washington,
DC, American Psychiatric Press, 1990.
• Renzo Canestrari, Manuale di psicologia, Bologna, CLUEB, 1994.

17

Potrebbero piacerti anche