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3 Equazioni di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.1 Principio del d’Alembert e relazione simbolica della Dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.2 Equazioni differenziali del moto di un sistema olonomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.3 Funzione Lagrangiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
3.4 Coordinate cicliche e Lagrangiana ridotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
3.5 Esempio: problema di Keplero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
3.6 Integrazione per quadrature del giroscopio pesante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
A Complementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
A.1 Cinematica dei sistemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
A.1.1 Sistemi olonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
A.1.2 Sistemi anolonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141
A.1.3 Spostamenti infinitesimi reali e virtuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
A.1.4 Sistemi a legami unilaterali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
A.2 Momento di inerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146
A.2.1 Ellissoide d’inerzia e assi principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148
A.2.2 Matrice d’inerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
A.3 Energia Cinetica e quantitá di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
A.3.1 Energia cinetica o forza viva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
A.3.2 Quantità di moto e momento della quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
A.3.3 Quantità di moto e momento delle quantità di moto di un corpo rigido . . . . . . . . . 158
La dinamica di un punto P si fonda sull’equazione che deve essere soddisfatta durante il moto
ma = F + φ (1.1)
dove m è la massa del punto, F è la risultante di tutte le forze attive agenti sul punto e φ la risultante
di tutte le reazioni vincolari.
Supponendo nota la traiettoria γ del punto P soggetto alla (1.1) allora per caratterizzare il moto
non rimane che da determinare la legge oraria. Più precisamente, se s (ascissa curvilea di P ) è la
lunghezza dell’arco γ fra una arbitraria origine e P , misurata positivamente in un prefissato verso,
la (1.1) proiettata, in ciascun punto della γ, sulla rispettiva tangente, orientata nel verso delle s
crescenti, diventa:
ms̈ = Ft + Φt (1.2)
dove la componente tangenziale Φt di Φ è, per lo più, incognita. Tuttavia vi sono dei casi in cui la
Φt è preventivamente assegnabile. In particolare: un punto vincolato a restare su di una curva
priva di attrito si muove su di essa come se fosse esclusivamente soggetto all’azione della
forza attiva (tangenziale), cioé Φt = 0. In tal caso la (1.2) prende la forma
ms̈ = Ft (1.3)
dove la componente tangenziale Ft della forza totale è una funzione f (ṡ, s; t) nota, quindi la (1.3)
assumerà la forma
e, nell’ipotesi di limitatezza, continuità e derivabilità nei tre argomenti della f , la (1.4) ammette una,
ed una sola, soluzione (nel dominio considerato) soddisfacente alle condizioni iniziali assegnate. La
(1.3) (più precisamente nella forma (1.4)) prende il nome di equazione differenziale del moto ed è
sufficiente per caratterizzare univocamente il moto di un punto vincolato a percorrere una traiettoria
assegnata in assenza di attrito.
2 1 Dinamica del punto
Fra le forze posizionali meritano speciale attenzione le cosiddette forze di richiamo, verso un’assegnata
posizione O della curva γ. La proprietà caratteristica di tali forze è di annullarsi in O, detta po-
sizione di richiamo, e di esplicarsi, in ogni altro punto della γ, come attrazioni (tangenziali) verso
O, crescenti quanto più ci si allontana da O lungo la curva. In particolare si ha che sf (s) < 0,
supponendo che O abbia ascissa curvilinea s = 0 e dove f (s) = Ft (s). È questo il comportamento
tipico delle forze elastiche. Una espressione tipica di una forza elastica di richiamo è data da:
f (s) = −λs (1.10)
dove λ è una assegnata costante positiva.
Le forze viscose dipendono, invece, dalla velocità del punto e tendono, sempre, ad opporsi al
moto del punto. La più semplice espressione di una forza viscosa ha la forma
F = −bv
dove v è la velocità del punto e b è una assegnata costante positiva.
Si usa designare con questo nome un sistema meccanico costituito da un punto materiale di massa
m soggetto ad una forza elastica e ad una forza viscosa. L’equazione differenziale del moto prende
la forma
ms̈ + bṡ + λs = 0.
q
b λ
Ponendo poi h = 2m
eω= m
allora questa si scrive
s̈ + 2hṡ + ω 2 s = 0, (1.11)
che è una equazione differenziale del II ordine, lineare, a coefficienti costanti e omogenea. La soluzione
generale è, tranne un caso particolare (in cui z1 = z2 ), data da
s(t) = C1 ez1 t + C2 ez2 t
dove
√
z1,2 = −h ± h2 − ω 2
sono le soluzioni, reali o complesse, della equazione di secondo grado
z 2 + 2hz + ω 2 = 0.
Ai fini della discussione che segue conviene porre la soluzione generale nella forma
s(t) = C1 e−β1 t + C2 e−β2 t , dove β1,2 = −z1,2 . (1.12)
Nota. Mettiamo in luce la seguente proprietà: qualunque siano h e ω 2 , purché sia h > 0, allora
4 1 Dinamica del punto
z1 + z2 = −2h e z1 z2 = ω 2 . (1.14)
Se z1,2 sono numeri reali allora, dalla seconda condizione (1.14), essi hanno segno concorde e questo,
dalla prima condizione (1.14), è negativo. Se, invece, z1,2 sono numeri complessi allora, essendo i
coefficienti della equazione reali, essi sono tra loro complessi coniugati, cioé z2 = z̄1 , e la condizione
(1.14) si traduce in
dove e−iℑβ1,2 t ha modulo 1, segue che la soluzione (1.12) s(t) della equazione (1.11), per assegnate
condizioni iniziali, tende asintoticamente a zero, per t crescente, in modo esponenziale.
Premesso questo risultato generale (e di importanza rilevante nello studio della stabilità dei sis-
temi) andiamo a discutere in dettaglio la forma della soluzione generale in funzione dei valori dei
parametri. Si hanno i seguenti tre casi:
In questo caso abbiamo che β1,2 ∈ R+ ed il moto ha, al più, una sola inversione del moto (Figura
1.1).
0.2
0.1
–0.1
–0.2
1 2 3 4 5 6
Fig. 1.1. Grafico della legge oraria nel caso di moto aperiodico smorzato.
1.2 Oscillatore armonico smorzato e forzato 5
√In questo caso β1,2 sono complessi coniugati e si possono scrivere come β1,2 = h ± ik dove k =
ω 2 − h2 ; con tale posizione la soluzione generale prende la forma (prendendo le costanti arbitrarie
C1 e C2 complesse coniugate tra loro e facendo un po’ di conti)
s(t) = C1 e−ht e−ikt + C2 e−ht eikt = e−ht C1 e−ikt + C2 eikt
= Ce−ht cos(kt + γ).
Risulta quindi essere un moto oscillatorio, di pulsazione k, con ampiezza data da Ce−pt che decresce
esponenzialmente. Il numero T = 2π/k prende il nome di pseudo-periodo (Figura 1.2). Osserviamo
che nel caso limite di assenza di smorzamento h = 0 allora la soluzione generale prende la ben nota
forma s(t) = C cos(kt + γ) caratteristica delle oscillazioni armoniche di periodo 2π/k.
0.5
–0.5
–1
1 2 3 4 5 6
Fig. 1.2. Grafico della legge oraria nel caso di moto oscillatorio smorzato.
In questo caso z1,2 = −h sono reali e coincidenti; la soluzione generale non ha più la forma (1.12)
bensı̀
s(t) = C1 e−ht + C2 te−ht .
L’andamento della funzione s(t) presenta, sostanzialmente, le stesse caratteristiche del primo caso
(Figura 1.1).
Se ammettiamo la presenza di un termine forzante che dipende, in modo periodico, dal tempo t allora
l’equazione differenziale da studiare risulta essere la seguente:
ms̈ + bṡ + λs = Q(t) (1.16)
6 1 Dinamica del punto
dove Q(t) è una funzione periodica assegnata e dove b ≥ 0 e λ 6= 0. L’equazione differenziale (1.16)
del II ordine, lineare, a coefficienti costanti e completa ha soluzione generale della forma
s(t) = s0 (t) + s⋆ (t)
dove s0 (t) è la soluzione generale della omogenea associata (1.11) e dove s⋆ (t) è una soluzione parti-
colare della completa.
Nota. In virtù delle osservazioni fatte in precedenza possiamo affermare che, a regime, la funzione
s(t) è data solamente dalla soluzione particolare; infatti, comunque siano state assegnate le costanti
arbitrarie, la funzione so (t) decresce esponenzialmente e quindi, dopo un certo intervallo di tempo
(detto transitorio), segue che s(t) ≈ s⋆ (t).
2hΩ
tan(φ) = ,
ω2 − Ω2
con che l’angolo φ (ritardo di fase) risulta individuato subordinatamente alla condizione −π/2 <
φ ≤ π/2. Risulta che tan(φ) è positiva o negativa, e quindi φ è maggiore o minore di 0, secondo che
Ω 2 < ω2 o Ω 2 > ω2.
Nota. È immediato verificare che
1
lim A(Ω 2 ) = e lim A(Ω 2 ) = 0.
Ω→0+ ω2 Ω→+∞
Osserviamo che nelle oscillazioni forzate viene fornita energia al sistema vibrante per effetto della
sollecitazione addizionale Q(t). In particolare l’energia e fornita durante un intero periodo T1 = 2π/Ω
è data dal lavoro svolto dal termine forzante:
Z t+T1 Z t+T1
e= Q(t′ ) · v(t′ )dt′ = Q[s(t′ )]ṡ(t′ )dt′ ; (1.19)
t t
Questa formula mostra che l’energia fornita e risulta essenzialmente positiva, ossia che, per man-
tenere le oscillazioni forzate, bisogna comunicare energia al sistema vibrante. Si può,
infine, aggiungere che a regime stabilito la soluzione è data dalla s⋆ (t) (vedi (1.17)) e quindi e non
dipende dall’istante t considerato ma, solamente, dal periodo T1 = 2π/Ω. Più precisamente:
Z T1 Z T1
e ≈ 2hm (ṡ⋆ )2 dt = 2hm p2 Ω 2 [cos(Ωt + ϕ)]2 dt
0 0
Z 2π−ϕ
2
= 2hmp Ω [cos(θ)] dθ = 2πhmp2 Ω.
2
−ϕ
Mettiamoci nel caso dell’ipotesi ideale dell’assoluta assenza di ogni resistenza passiva (h = 0) e
cerchiamo di determinare per la corrispondente equazione
s̈ + ω 2 s = q sin(Ωt)/m (1.20)
8 1 Dinamica del punto
una soluzione periodica della forma (1.17) (è sempre possibile assumere la fase iniziale α nulla in
virtù di una opportuna scelta dell’origine dei tempi t → t − α/Ω). Sostituendo e uguagliando si
ottiene
q
φ=0 e p=
m(ω − Ω 2 )
2
purchè ω 6= Ω.
Se poi si ha Ω = ω, cioé se il periodo della forza addizionale è identico a quello delle vibrazioni
spontanee del sistema, si ha una contraddizione nel ricercare una soluzione periodica del tipo (1.17);
ma si verifica che la (1.20), per ω = Ω, ammette l’integrale particolare
q
s⋆ (t) = t sin(ωt),
2mω 2
il quale corrisponde ad oscillazioni del medesimo periodo ma che sono di ampiezza indefinitamente
crescente col tempo.
Risonanza
Tenendo fisse le costanti h e ω caratteristiche del sistema vibrante e l’intensità massima q della forza
addizionale e facendone variare la frequenza Ω vediamo come vari conseguentemente l’ampiezza p
dell’oscillazione forzata corrispondente o, equivalentemente, il fattore di amplificazione A(Ω 2 ). In
particolare la A(Ω 2 ) ammetterà un unico massimo raggiunto, se h è piccola, per |Ω| in prossimità di
|ω|. Da qui segue la spiegazione del fenomeno della risonanza.
Per studiare il fenomeno della risonanza riprendiamo la (1.18) ponendo
Ω2 4h2
2
= x, 2 = ǫ2 ,
ω ω
da cui
1 1
A(Ω 2 ) = 2
f (x), f (x) = q . (1.21)
ω (1 − x)2 + ǫ2 x
La funzione f (x) ammette punti di stazionarietà x > 0 quando
−2(1 − x) + ǫ2 = 0, cioé x = 1 − ǫ2 /2.
In particolare questo risulta essere un punto di massimo relativo per f (x) (poiché la derivata seconda
del radicando al denominatore è positiva e quindi il radicando ha un punto di minimo relativo).
Quindi A(Ω 2 ) ammette un unico punto di massimo per Ω 2 = ω 2 − 2h2 avente valore (Figura 1.3)
1 1
Amax = A(ω 2 − 2h2 ) = q = √ .
4h4 + 4h2 (ω 2 − 2h2 ) 2h ω 2 − h2
12
10
8 ε =0.08
ε =0.1
ε=0.2
ε=0.4
6
Battimenti
Il fenomeno noto con il nome di battimenti si verifica per la sovrapposizione di oscillazioni ar-
moniche con frequenze diverse. Tale caso si verifica, ad esempio, quando consideriamo il caso ideale
di smorzamento nullo (cioé h = 0) e soggetto ad un termine forzante oscillatorio. In questo frangente
non posiamo più affermare che s(t) ≈ s⋆ (t) perché il termine s0 (t) ha ampiezza che rimane costante
nel tempo. Più precisamente, volendo studiare il termine
s(t) = s0 (t) + s⋆ (t),
dove
s0 (t) = A1 cos(ωt + α1 ) e s⋆ (t) = A2 cos(Ωt + α2 )
dove prendiamo A1 = A2 = A (altrimenti poniamo A1 = A2 + Ã2 e isoliamo il termine con coefficiente
Ã2 ). Con tale ipotesi allora dalle formule di prostaferesi segue che
s(t) = 2A cos(ǫt + β) cos(ω̄t + ᾱ)
dove
Ω+ω Ω−ω α1 + α2 α1 − α2
ω̄ = , ǫ= , ᾱ = , β= .
2 2 2 2
Il fenomeno diventa particolarmente evidente nel caso in cui Ω ≈ ω; infatti si osserva che il fattore
cos(ω̄t+ ᾱ) produce una oscillazione che ha una frequenza molto vicina a quella dei moto componenti.
L’ampiezza di tale oscillazione risulta però modulata (lentamente) dal fattore cos(ǫt + β) la cui
frequenza è molto minore di quella precedente (Figura 1.4).
Ai fini della ricerca della soluzione particolare nel caso generale in cui il termine forzante sia una
generica funzione periodica, consideriamo inizialmente il caso h(t) = ρeiΩt , dove ρ ∈ C e Ω = 2π
T1
. In
⋆ iΩt
tal caso cerchiamo una soluzione (se esiste) della forma s (t) = re , da cui
10 1 Dinamica del punto
1
0.5
–0.5
–1
20 40 60 80 100
dove cn = c̄−n affinché Q(t) sia a valori reali. Una soluzione particolare, periodica di periodo T , è
quindi data da
N
X
⋆ 1 cn
s (t) = s⋆n (t), s⋆n (t) = 2 2 2
eiΩnt
n=−N m ω − n Ω + in2hΩ
N
X
s̈⋆ + 2hṡ⋆ + ω 2 s⋆ = s̈⋆n + 2hṡ⋆n + ω 2 s⋆n
n=−N
N
X
= cn eiΩnt /m = Q(t)/m.
n=−N
Rimane da trattare il caso in cui Q(t) ammette sviluppo in serie infinita di Fourier
+∞
X
Q(t) = cn eiΩnt . (1.22)
n=−∞
Come nel caso precedente prendiamo come possibile soluzione particolare la serie di Fourier (per il
momento formale):
+∞
X 1 cn eiΩnt
s⋆ (t) = s⋆n (t), s⋆n (t) = (1.23)
n=−∞ m ω 2 − n2 Ω 2 + i2nhΩ
e cerchiamo di stabilire se questa serie converge e, nel caso in cui converga, se è una soluzione
della equazione differenziale. Come nel caso precedente si verifica facilmente che questa serie è una
soluzione purché converga abbastanza velocemente in modo da poterne calcolare la derivata prima
e seconda derivando la serie termine a termine. Ricordiamo che per potere derivare k volte la serie
termine a termine, deve convergere la serie
+∞
X dk s⋆n (t) 1 +∞
X cn (iΩn)k
k
= 2 − n2 Ω 2 + i2nhΩ
eiΩnt (1.24)
n=−∞ dt m n=−∞ ω
uniformemente rispetto a t; ricordiamo inoltre la seguente stima dei coefficienti della serie di Fourier:
|cn | ≤ cn−r quando la funzione Q(t) è di classe C r . In virtù di queste considerazioni abbiamo che il
termine n—esimo della serie (1.24) può essere stimato come
c (iΩn)k eiΩnt /m cΩ k nk
n
2 ≤ q
ω − n2 Ω 2 + i2nhΩ
nr (ω 2 − n2 Ω 2 )2 + 4n2 h2 Ω 2
≤ Cnk−r−2
per una qualche costante C > 0 indipendente da n. Troviamo quindi che la serie (1.24) converge
uniformemente rispetto a t se r + 2 − k > 1; in particolare si ha che la serie (1.23) è soluzione
dell’equazione differenziale (1.16) se r + 2 − 2 > 1 (k = 2), cioé se la funzione Q(t) è, almeno, di
classe C 2 .
Possiamo riassumere questo risultato nel seguente teorema:
Teorema: Sia data la equazione (1.16) dell’oscillatore armonico smorzato e forzato, sia Q(t) una
funzione periodica, di periodo T1 , di classe C 2 e avente sviluppo di Fourier in forma esponenziale
(1.22) dove Ω = 2π/T1 . Allora la serie di Fourier (1.23) converge uniformemente per ogni t ∈ [0, T1 ]
ed è una soluzione della equazione (1.16).
Nota. Analiziamo ora in cosa si traduce il fenomeno della risonanza nel caso generale in cui
Q(t) ammette uno sviluppo di Fourier del tipo (1.22). Sotto l’ipotesi che Q ∈ C 2 si è provato
12 1 Dinamica del punto
che la soluzione particolare ha forma (1.23). Allora sih vede i subito che, prendendo anche qui h
ω
sufficientemente piccolo, le armoniche di indice n± = ± Ω , dove [−] denota il numero intero più
vicino, vengono amplificate, infatti per tali valori di n il denominatore assume valore minimo, mentre
le altre armoniche sono smorzate.
Consideriamo il caso in cui la forza F applicata al punto libero P è conservativa (o, almeno nel
caso uni-dimensionale, sia posizionale); allora le equazioni (1.1) ammettono l’integrale (primo)
delle forze vive
T − U = E,
dove E è l’energia totale costante. Riprendiamo la corrispondente equazione delle forze vive (1.9)
ṡ2 = u(s), (1.25)
dove
2 du dU
u(s) =
[U (s) + E] e = = f (s) = Ft (s). (1.26)
m ds ds
La (1.25) è una conseguenza necessaria della equazione fondamentale (1.5) ms̈ = f (s). Perciò
l’andamento del moto si può desumere dalla (1.25) anziché dalla originaria (1.5).
Circa l’equazione (1.25) supponiamo, per fissare le idee, che la funzione u(s), per tutti i valori di
s che volta a volta considereremo, sia finita e continua insieme con le sue derivate di tutti gli ordini.
Denotiamo con s0 e ṡ0 la ascissa curvilinea e la velocità scalare del punto all’istante iniziale.
Dalla (1.25) distinguamo, in ordine alle condizioni iniziali, due casi:
a) se ṡ0 = 0, ovvero ṡ20 = u(s0 ) = 0;
b) se ṡ0 6= 0, ovvero ṡ20 = u(s0 ) > 0.
Consideriamo inizialmente il caso a) ṡ0 = 0. In questo caso il moto, al suo inizio, non è completamente
caratterizzato dall’equazione delle forze vive (1.25) ed è necessario fare un distinguo:
a1) s0 è radice semplice di u(s), cioé
du(s0 ) f (s0 )
=2 6= 0.
ds m
In virtù della legge del moto incipiente (in base alla quale, per l’annullarsi della velocità iniziale,
il mobile segue il verso della forza attiva Ft = m2 du
ds
che, per s = s0 , è non nulla) si ha che il mobile
si mette in moto e, subito dopo l’istante iniziale, ci troviamo nella condizione b).
a2) s0 è una radice multipla di u(s), cioé
du(s0 ) f (s0 )
=2 = 0.
ds m
In questo caso s ≡ s0 soddisfa l’equazione del II ◦ ordine (1.5) con le condizioni iniziali s(t0 ) = s0
e ṡ(t0 ) = 0. Quindi il mobile rimane in equilibrio nella posizione iniziale s0 .
1.3 Analisi qualitativa del moto 13
Consideriamo ora il caso b) ṡ0 6= 0. In questo caso il moto, al suo inizio, è completamente caratter-
izzato dall’equazione delle forze vive (1.25) scritta nella forma
q
ṡ = ± u(s) (1.27)
Possiamo sempre assumere, senza perdere in generalità, che sia ṡ0 > 0 (altrimenti è sufficiente
cambiare orientazione alla traiettoria) e quindi:
q
ṡ0 = + u(s0 ).
Prestabilito questo segno, resta determinato anche quello della equazione differenziale del I ◦ ordine
(1.27) che caratterizza il moto fino a tanto che la velocità non si annulla, cioé fino a quando s non
raggiunge una radice di u(s). Qui si presentano due sottocasi distinti:
b1) a partire da s0 fino a +∞, nel verso della velocità ṡ0 , non si incontra mai una radice di u(s):
u(s) 6= 0, ∀s > s0 ;
b2) esiste, dalla parte indicata di ṡ0 , una prima radice s⋆ di u(s):
∃s⋆ > s0 : (u(s⋆ ) = 0 ∧ u(s) > 0 ∀s ∈ [s0 , s⋆ )) .
Nel caso b1) l’equazione è integrabile per separazione di variabili ottenendo
Z
ds s dξ
dt = q , da cui t(s) = q + t0 (1.28)
u(s) s0 u(ξ)
funzione continua, monotona crescente al crescere di s e definita per ogni s > s0 . Essa rappresenta
il tempo che il mobile impiega ad arrivare in s > s0 . Si ricava che per ogni s > s0 il mobile
passa in s in un tempo finito, in questo caso si parla di moto diretto (o retrogrado se
ṡ0 < 0) aperiodico. La funzione inversa s(t), pur essa monotona, fornisce l’equazione oraria del
moto considerato.
Nel caso b2) si ha, come per il caso b1), la scomposizione (1.28) che fornisce t(s) monotona
crescente definita per ogni s0 < s < s⋆ . Quindi il mobile, se s⋆ è la prima radice di u(s) nel verso
indicato da ṡ0 , va, sempre muovendosi in un medesimo senso, dalla posizione iniziale s0 ad ogni
posizione s < s⋆ in un tempo finito:
Z s dξ
t(s) = q + t 0 , s0 ≤ s < s⋆ . (1.29)
s0 u(ξ)
non converge. Quindi, se s⋆ è radice multipla il mobile, pur sempre con moto costantemente
progressivo, si avvicina indefinitamente a questa posizione, senza mai raggiungerla (moto
a meta asintotica).
Merita particolare attenzione il caso in cui la posizione iniziale s0 sia compresa fra due radici semplici
s+ > s− consecutive di u(s):
qui si arresta e poi si inverte il moto; quindi il mobile si rimette in moto a partire da s+ nel verso delle
ascisseqdecrescenti. Ripetendo l’analisi appena svolta prendendo il segno negativo nella equazione
ṡ = ± u(s) si ottiene che il mobile arriva in s− all’istante
Z s− ds
t− = q + t+ .
s+ − u(s)
denota l’energia potenziale. Dalla (1.32) segue immediatamente che il moto del punto P su una
curva γ prestabilita avviene nei tratti di γ per i quali vale la condizione V (s) ≤ E; cioé le regioni
{s ∈ R : V (s) > E}
sono interdette al moto del punto P dovendo essere ṡ2 ≥ 0. Osserviamo inoltre che durante il moto
t → s(t) non si può passare tra due regioni distinte per la proprietà di continuità della legge di moto.
16 1 Dinamica del punto
Fig. 1.5. Il moto del punto P può avvenire solamente all’interno delle regioni per le quali E ≥ V (s). Nell’esempio in questione
abbiamo associato ad E due moti possibili, uno dei quali è un moto periodico tra s− < s+ .
I valori s, per i quali V (s) = E, dividono le diverse regioni e sono cruciali per la discussione sul tipo
di moto.
Definiamo spazio delle fasi l’insieme R2 avente elementi (s, ṡ). Ad ogni punto (s, ṡ) nel piano delle
fasi si associa, in modo univoco, una posizione ed una velocitá del punto materiale sulla traiettoria.
Possiamo quindi identificare il moto del punto materiale con la traiettoria del punto (non materiale)
nel piano della fasi.
Sia definita ora la funzione nello spazio delle fasi
1
E(s, ṡ) = mṡ2 + V (s).
2
Per il teorema di conservazione dell’energia meccanica ogni traiettoria {(s(t), ṡ(t)) ∈ R2 , t ∈ R} nel
piano delle fasi (s coincide con il parametro lagrangiano) è contenuta in una curva di livello di
equazione
E(s, ṡ) = E
dove E = E(s0 , ṡ0 ) si determina in base alle condizioni iniziali. Lo studio del mobile P su γ viene
effettuato studiando l’andamento del corrispondente punto (immaginario) sulle curve di livello nello
spazio delle fasi. Le curve di livello sono simmetriche rispetto all’asse delle ascisse s ed è importante
individuare gli eventuali punti critici, cioé le coppie (s, ṡ) in cui non è ben definito il vettore tangente
alla curva di livello, cioé tali che
(
∂E ∂E V ′ (s) = 0 dV
=0 e =0 ⇒ , V ′ (s) = = −f (s)
∂s ∂ ṡ ṡ =0 ds
Si nota quindi che tutti i punti critici sono le coppie del piano delle fasi (s, 0) dove s è un punto
di massimo, di minimo o di flesso dell’energia potenziale V ; questi punti si dicono anche punti
stazionari. In corrispondenza a tali punti, poiché v = 0 e Ft = 0, abbiamo traiettorie stazionarie
per il mobile. Notiamo che al di fuori di questi punti non esistono traiettorie stazionarie poiché v 6= 0
o Ft 6= 0 e quindi la configurazione corrispondente non è di equilibrio.
1.3 Analisi qualitativa del moto 17
Nota. Ogni arco di curva di livello, non contenente punti critici, è percorso dalla evoluzione
(s(t), ṡ(t)), t ∈ R. Più precisamente la curva è percorsa da sinistra verso destra nel semipiano
superiore ṡ > 0, nel semipiano inferiore ṡ < 0 è invece percorsa da destra verso sinistra.
Nota. Se, inoltre, la curva è chiusa allora il moto è periodico ed il periodo del moto è
Z s+ dξ
T =2 q
2
s−
m
[E − V (ξ)]
dove s± sono tali che V (s± ) = E (osserviamo che i punti (s± , 0) sono l’intersezione tra la curva chiusa
e l’asse delle ascisse).
Nota. Se la curva di livello contiene un punto critico (s̄, 0) con s̄ corrispondente ad un punto di
minimo per il potenziale, allora le traiettorie possibili sulla curva di livello (almeno in un intorno
finito di (s̄, 0)) si riducono alla sola traiettoria stazionaria (s̄, 0).
Nota. Se la curva di livello contiene un punto critico (s̄, 0) con s̄ corrispondente ad un punto
di massimo o di flesso per il potenziale, allora, essendo tale punto critico, esso stesso sarà una
traiettoria stazionaria, ma la curva di livello consterà di più traiettorie: una traiettoria stazionaria e
almeno due asintotiche, cioé tali che
(s± (t), ṡ± (t)) → (s̄, 0) per t → ±∞.
Vediamo ora in dettaglio come si dispongono le traiettorie nell’intorno di un punto critico cor-
rispondente ad un minimo ed a un massimo.
Tenendo conto che V ′′ (s̄) > 0 (per comodità facciamo questa ipotesi), allora
1 1
E(s, ṡ) = mṡ2 + V (s̄) + V ′′ (s̄)(s − s̄)2 + O((s − s̄)3 )
2 2
1 2 1
≈ mṡ + V (s̄) + V ′′ (s̄)(s − s̄)2 (1.33)
2 2
dove O((s− s̄)3 ) rappresenta il resto ed è un infinitesimo di ordine superiore al secondo per s− s̄ → 0.
Quindi per E = E(s̄, 0) = V (s̄) l’equazione E = E si riduce a
1 2 1 ′′
mṡ + V (s̄)(s − s̄)2 ≈ 0, V ′′ (s̄) > 0;
2 2
quindi abbiamo {(s̄, 0)} come unica curva di livello. Mentre per E > V (s̄) la (1.33) è, a meno di
infinitesimi d’ordine superiore, l’equazione di un ellisse di centro (s̄, 0):
1 2 1 ′′
mṡ + V (s̄)(s − s̄)2 ≈ E − V (s̄) > 0.
2 2
Abbiamo quindi una traiettoria periodica corrispondente alla curva di livello chiusa approssimata da
un ellisse (Figura 1.6) e il mobile oscilla tra i due valori s± tali che V (s± ) = E, dove V ′ (s− ) < 0 e
V ′ (s+ ) > 0, con periodo
Z s+ (E) dξ
T (E) = 2 q . (1.34)
2
s− (E)
m
[E − V (ξ)]
18 1 Dinamica del punto
Fig. 1.6. Comportamento delle curve di livello in un intorno di un punto di minimo relativo. Per energia E1 minore del minimo
relativo V (s̄) dell’energia potenziale non sono ammessi moti (in un intorno del punto di minimo); per energia E2 coincidente
con il minimo relativo dell’energia potenziale è ammesso solamente il moto stazionario s(t) = s̄; per energia E3 maggiore del
minimo relativo dell’energia potenziale si ha un moto periodico tra s− < s+ attorno alla configurazione di equilibrio s̄.
Tenendo conto che V ′′ (s̄) < 0 (per comodità facciamo questa ipotesi), allora
1 1
E(s, ṡ) = mṡ2 + V (s̄) + V ′′ (s̄)(s − s̄)2 + O((s − s̄)3 )
2 2
dove O((s− s̄)3 ) rappresenta il resto ed è un infinitesimo di ordine superiore al secondo per s− s̄ → 0.
Quindi la curva di livello per E = E(s̄, 0) = V (s̄) contiene 4 traiettorie asintotiche a (s̄, 0) oltre che
a quella stazionaria {(s̄, 0)}:
1
E(s, ṡ) = E =⇒ 0 = E2 − V (s̄) ≈ m[ṡ2 − c2 (s − s̄)2 ],
2
dove
1 ′′
c2 = |V (s̄)|.
m
Per E 6= V (s̄) (e comunque prossima sufficientemente ad V (s̄)) si tratta di rami di iperbole (a meno
di infinitesimi di ordine superiore)
1 h 2 i
m ṡ − c2 (s − s̄)2 = E − V (s̄) 6= 0
2
corrispondenti a due traiettorie con inversione del moto se E < V (s̄) e a due traiettorie che superano
il colle se E > V (s̄) (Figura 1.7).
Nel caso di punto di massimo o di flesso ci si può rendere conto della presenza di traiettorie
asintotiche (s(t), ṡ(t)) → (s̄, 0) per t → +∞ o per t → −∞ poiché l’integrale generallizato
Z s̄ dξ
t(s̄) − t(s0 ) = ± q ,
2
s0
m
[V (s̄) − V (ξ)]
1.3 Analisi qualitativa del moto 19
che esprime il tempo impiegato dal mobile per andare da s0 a s̄ (supponendo V (s̄) − V (s) > 0,
∀s ∈ [s0 , s̄)), risulterà non convergente a causa dell’ordine infinito dell’integrando (ad esempio: di
ordine almeno 1 per punti di massimo e 3/2 per punti di flesso).
Fig. 1.7. Comportamento delle curve di livello in un intorno di un punto di massimo relativo. Per energia E2 coincidente con
il massimo relativo dell’energia potenziale sono ammessi, oltre al moto stazionario s(t) = s̄, moti asintotici; per energie E1 e E3 ,
rispettivamente, minori e maggiori del massimo relativo dell’energia potenziale si hanno, rispettivamente, due traiettorie con e
senza inversione del moto.
Studiamo il moto di un punto vincolato a scorrere senza attrito su una retta e soggetto ad una forza
elastica. L’equazione del moto è mẍ = −kx, m, k > 0. Dimostriamo, attraverso la formula (1.34)
che il periodo del moto è indipendente da E. Sia
1
V (x) = kx2 + c
2
l’energia potenziale della forza attiva. L’equazione per determinare i punti critici V ′ (x) = 0 ha
soluzione x̄ = 0. Scegliendo la costante c tale che V (x̄) = 0 (cioé c = 0) abbiamo il seguente
diagramma delle fasi (Figura 1.8):
- per E = V (x̄) = 0 abbiamo un minimo e quindi l’unica traiettoria è la traiettoria stazionaria
{(0, 0)};
- per E < 0 tutti i valori di x sono non ammessi al moto poiché si avrebbe E − V (x) < 0 per ogni
x ∈ R;
- per E > 0 il moto della particella avviene nella regione (classicamente permessa) x− (E) ≤
x ≤ x+ (E) dove x± (E) sono soluzioni della equazione E = V (x± ):
q
x± = ± 2E/k.
20 1 Dinamica del punto
Le traiettorie (s(t), ṡ(t)) nello spazio delle fasi sono ellissi per ogni valore positivo dell’energia;
infatti l’equazione per le curve di livello è esattamente
1 1
E = mṡ2 + ks2 ,
2 2
q
cioé l’equazione di un ellisse con assi coincidenti con gli assi coordinati e di lunghezza 2E/k e
q
2E/m rispettivamente. Quindi per ogni E > 0 abbiamo un moto periodico di periodo
Z x+ (E)
s √
dx 2m Z + 2E/k dx
T (E) = 2 q = √ q
x− (E) 2
[E − V (x)] E − 2E/k 1 − kx2 /2E
m
r Z r r
m +1 dx m m
=2 √ =2 [ arcsin x]+1
−1 = 2π .
k −1 1−x 2 k k
1.3.4 Esercizi
2) Studiare qualitativamente il moto uni-dimensionale di equazione mẍ = −αx − βx2 , per (in
grandezze adimensionali) m = 1, α = 2 e β = 3g, g > 0. Più precisamente, disegnare il dia-
gramma delle fasi e, per i diversi possibili livelli di energia, discutere quali sono i moti possibili.
3) Calcolare il periodo del moto di un punto soggetto alla forza peso e vincolato a scorrere, senza
attrito, su un arco di cicloide. Dimostrare il perfetto isocronismo.
4) Discutere il problema dei due corpi introducendo il potenziale efficace e impostando la discussione
del moto alla Weierstrass.
1.4 Pendolo semplice 21
5) Sia dato un corpo puntiforme P di massa m vincolato a scorrere senza attrito lungo una circon-
ferenza di centro O e raggio ℓ posta in un piano verticale che ruota attorno all’asse verticale (O; z)
con velocità angolare ω = θ̇k̂ con θ = θ(t) nota. Sia (O1 ; x1 , y1 , z1 ) il sistema di riferimento relativo
con O ≡ O1 , l’asse (O1 ; z1 ) coincidente con l’asse di rotazione e con il piano (O1 ; x1 , z1 ) contenente
la circonferenza; il sistema è ad un grado di libertà ed assumiamo come parametro lagrangiano
l’angolo formato dal segmento P − O ed il semi-asse verticale discendente. Si domanda:
i) calcolare il potenziale e l’energia cinetica rispetto all’osservatore relativo;
ii) calcolare le configurazioni di equilibrio relativo e studiarne la stabilità;
iii)disegnare il diagramma delle biforcazioni per le configurazioni di equilibrio relativo in funzione
del parametro positivo adimensionale γ = ωg2 ℓ ;
iv)assegnando, ad esempio, γ = 2.3 disegnare il diagramma delle fasi e per i diversi possibili livelli
di energia, discutere quali sono i moti possibili.
Trascurando il peso dell’asta possiamo assimilare il pendolo semplice ad un punto pesante vincolato
a restare su una circonferenza (Figura 1.9) non orizzontale. Sia α l’angolo formato tra il piano
contenente la circonferenza ed il piano orizzontale e si fissi sul piano inclinato un sistema di riferimento
(O; x, y) dove O coincide con il centro della circonferenza, l’asse x è diretto normale alla verticale e
l’asse y ha la direzione della massima pendenza.
Il sistema è a un grado di libertà e possiamo assumere come parametro lagrangiano l’angolo θ che
l’asta forma con il semiasse delle y negative, orientato verso il basso. L’equazione del moto diventa,
dove ℓ è la lunghezza dell’asta. Questa è una equazione differenziale del II ordine (non lineare) e
non è possibile ottenere in modo semplice una sua soluzione. Si può procedere studiando il moto
delle piccole oscillazioni linearizzando l’equazione (1.35) oppure effettuando l’analisi del moto alla
Weierstrass.
L’integrale delle forze vive assume la forma T +V = E dove T = 12 mℓ2 θ̇2 e V (θ) = −mgℓ sin α cos θ+c,
scegliamo c = mgℓ sin α in modo che sia V (0) = 0. Da ciò segue che:
1 2 2
mℓ θ̇ − mgℓ sin α(cos θ − 1) = E
2
ovvero
2g sin α
θ̇2 = (cos θ + e), (1.37)
ℓ
dove la costante e = E/(mgℓ sin α) − 1 viene determinata in base alle condizioni iniziali. In base ai
valori di e abbiamo i diversi moti possibili (Figura 1.10).
Per E > 2mgℓ sin α, ovvero e > 1, sarà sempre θ̇ 6= 0. Quindi il punto passa infinite volte per
ciascun punto della circonferenza con velocità angolare mai nulla. Si tratta di un moto rivolutivo.
Essendo la posizione del pendolo definita da θ modulo 2π, risulta però essere un moto periodico.
Stati di equilibrio
Per E = 2mgℓ sin α (rispettivamente E = 0), ovvero e = 1 (risp. e = −1) il secondo membro della
(1.37) ammette l’unica radice doppia θ = 0 (per e = −1) o θ = π (per e = +1). Quindi il punto
P , abbandonato senza velocità iniziale (θ̇0 = 0) sia nella posizione più bassa sia nella posizione
diametralmente opposta vi permane indefinitamente. Si noti che il valore e = −1 è compatibile
soltanto con l’equilibrio (stabile) nella posizione più bassa. Invece per e = +1 il moto può avvenire
a partire dalla posizione iniziale P0 , sempre nello stesso senso della velocità iniziale, verso il punto
corrispondente a θ = π, meta asintotica cui il mobile tende al crescere indefinito del tempo.
1.4 Pendolo semplice 23
Moti oscillatori
Passiamo ad esaminare il caso in cui si ha 0 < E < 2mgℓ sin α, ovvero −1 < e < 1. L’espressione a
destra della (1.37) ammette le due radici semplici θ+ = arccos(−e) e θ− = −θ+ . Perciò il pendolo
oscilla periodicamente fra le posizioni estreme P0 e P0′ di anomalia, rispettivamente, θ+ e −θ+ con
periodo dato da
s
2ℓ Z θ+ dθ
T =2 √ .
g sin α 0 cos θ − cos θ+
Per calcolare il periodo T si sostituisce sin(θ/2) = u sin(θ+ /2) e ponendo k = sin(θ+ /2) < 1 si avrà
s
ℓ Z1 du
T =4 q
g sin α 0 (1 − u2 )(1 − k 2 u2 )
si riduce quindi ad un integrale ellittico di prima specie che si risolve sviluppando in serie
di Taylor il termine (1 − k 2 u2 )−1/2 essendo k 2 u2 < 1 su tutto l’intervallo di integrazione. Più
precisamente si osservi che
∞
X
(1 − k 2 u2 )−1/2 = cn (ku)2n
n=0
dove
1 · 3 · 5 · · · (2n − 1)
c0 = 1, cn = . (1.38)
2 · 4 · 6 · · · 2n
Sostituendo questa espressione all’interno dell’integrale e integrando per serie si ottiene:
s Z 1
∞
ℓ X u2n du
T =4 cn k 2n q
g sin α n=0 0 (1 − u2 )
s s
∞ ∞
ℓ X ℓ X θ0
= 2π c2n k 2n = 2π c2n sin2n
g sin α n=0 g sin α n=0 2
24 1 Dinamica del punto
essendo
Z 1 u2n du π
q = cn . (1.39)
0 (1 − u2 ) 2
1.4.4 Esercizi
da cui
Questo integrale primo prende il nome di integrale delle aree o del momento della quantità
di moto. In particolare se la forza F è centrale di centro O (una forza centrale è una forza
sempre diretta verso un punto fisso detto centro), sarà
v × (O − P ) = c = cost. (1.42)
T − U = E,
fornendo una effettiva relazione fra le due coordinate incognite di P e le loro derivate.
Inoltre ogni forza
Rr
centrale (1.43) è conservativa definendo, a meno di una costante additiva, il
potenziale U (r) = r0 f (r′ )dr′ e da ciò segue l’integrale primo delle forze vive
1 2
mv − U (r) = E. (1.45)
2
Come vedremo in seguito dalle (1.44) e (1.45) segue l’integrabilità per quadrature del problema
(ridotto al piano xy).
Nota. Osserviamo che è stato possibile derivare le (1.44) e (1.45) dalle leggi di Newton; viceversa,
escludendo il caso di traiettorie circolari, dalle (1.44) e (1.45) seguono le equazioni differenziali del
moto. Infatti dall’integrale primo delle aree derivato si ottiene che deve essere
xÿ − ẍy = 0
26 1 Dinamica del punto
mentre dall’integrale primo dell’energia meccanica derivato si ottiene che deve essere
ẋẍ + ẏ ÿ = u(x, y, ẋ, ẏ)
per una qualche funzione u. Queste due equazioni si possono risolvere rispetto a ẍ e ÿ (cosı̀ da
pervenire alle equazioni newtoniane del moto), purché non sia identicamente nullo il determinante
dei coefficienti di ẍ e ÿ nelle due equazioni. Questo determinante è dato da
1 dr2
−xẋ − y ẏ = −
2 dt
che risulta diverso da zero ad esclusione del caso r = cost. che corrisponde appunto alle eventuali
traiettorie circolari. Da ciò si desume che, quando di un punto soggetto ad una forza centrale si
vogliono studiare le eventuali orbite circolari, non basta tener conto degli integrali primi delle
aree e della energia cinetica, ma bisogna riprendere le originarie equazioni del moto.
Nota. Disponendo della costante additiva possiamo, se U (r) tende ad un limite finito per r → ∞,
assumere tale valore 0. Se l’energia totale è negativa, allora dalla (1.45), sarà U (r) ≥ −E > 0
durante il moto; quindi U non si annulla mai ed r deve ammettere un limite superiore finito. Cioé:
se il potenziale U (r) di una forza centrale si mantiene regolare all’infinito (annullandosi
all’infinito) e l’energia totale del mobile è negativa, l’orbita si svolge tutta a distanza
finita.
Passiamo ora alla integrazione del sistema (1.44), (1.45) riferendolo a coordinate polari r e θ, aventi
il polo in O e l’asse polare secondo l’asse orientato delle x. Queste diventano:
(
r2 θ̇ = c
1 . (1.46)
2
m(ṙ2 + r2 θ̇2 ) = U (r) + E
Si distinguono due casi:
a) c = 0;
b) c =
6 0.
Il caso a) corrispondente a c = 0 (costante delle aree nulla) darà luogo a due possibilità:
a1) r ≡ 0 stato di quiete nel punto O;
a2) θ̇ ≡ 0 moto rettilineo (lungo la retta avente inclinazione θ0 = θ(0)) e la determinazione di r(t) si
ridurrà allo studio dell’equazione uni-dimensionale delle forze vive, che assume la forma
2
ṙ2 = [U (r) + E] .
m
Nel caso b) corrispondente a c 6= 0 si ha che θ̇ mantiene sempre lo stesso segno, che potremo
supporre (senza perdere in generalità) positivo; quindi θ(t) cresce con t. Da ciò potremo procurarci
l’equazione differenziale della traiettoria eliminando dalle (1.46) il tempo e assumendo come
variabile indipendente, in luogo di t, l’anomalia θ, il che è lecito, in quanto θ è funzione
monotona (crescente) di t. Integrando poi l’equazione differenziale cosı̀ ottenuta, si determina
1.5 Moto di un punto soggetto ad una forza centrale 27
la traiettoria r = r(θ), allora la legge temporale del moto verrà infine completamente determinata
risolvendo l’equazione differenziale del primo ordine θ̇ = cr−2 dove r = r(θ).
Per dedurre dalle (1.46) l’equazione differenziale che caratterizza l’incognita r = r(θ) dell’orbita
si elimina θ̇ per mezzo dell’equazione delle aree, dove
dr d(1/r) d(1/r)
ṙ = θ̇ = −θ̇r2 = −c ,
dθ dθ dθ
ottenendo l’equazione differenziale del I ◦ ordine
!2
mc2 d 1r 1
+ 2 = U (r) + E. (1.47)
2 dθ r
L’orbita si svolge quindi tutta nella corona circolare, compresa fra le due circonferenze concentriche in
O, di raggi r2 = 1/u2 e r1 = 1/u1 e tocca, alternativamente, l’una o l’altra. Questi punti di contatto
si dicono apsidi e l’angolo Θ che li separa si dice angolo apsidale. Quando Θ è commensurabile
con 2π, l’orbita è chiusa (Figura 1.11 a sinistra), mentre, nel caso opposto, si avvolge infinite volte
intorno al centro riempiendo densamente la corona circolare (Figura 1.11 a destra).
Nel caso particolare, in cui il valore iniziale u0 di u sia radice multipla della Φ(u), la u conserva,
comunque varii θ, il valore u0 e si ha il caso semplice di un’orbita circolare di raggio r0 = 1/u0 , la
quale, in virtù della legge delle aree, risulta percorsa con velocità angolare costante c/r02 , e quindi di
moto circolare uniforme.
Scrivendo che l’accelerazione (radiale) per un moto centrale deve essere uguale alla analoga cor-
rispondente della forza, cioé a f (r), e applicando la formula del Binet otteniamo l’equazione del II ◦
ordine
28 1 Dinamica del punto
Fig. 1.11. Nel caso in cui l’angolo apsidale è commensurabile con 2π allora l’orbita è chiusa (grafico a sinistra). Nel caso
opposto, in cui l’angolo absidale è non commensurabile con 2π, allora l’orbita riempie densamente una regione dello spazio
(grafico a destra); cioé ogni introno di ogni punto della corona circolare viene, prima o poi, visitato dalla traiettoria.
!
mc2 d2 1r 1
− 2 2
+ = f (r). (1.51)
r dθ r
La (1.51), mediante il cambio di variabili u = 1/r, diventa
d2 u 1 1
= Ψ (u), dove Ψ (u) = − f −u (1.52)
dθ2 mu2 c2 u
Perché esista un’orbita circolare soddisfacente a questa equazione, la quale sia un cerchio di raggio r0 ,
occorre e basta che la (1.52) sia soddisfatta dalla soluzione costante u0 = r0−1 , cioé si abbia Ψ (u0 ) = 0.
Ammessa l’esistenza di una tal radice u0 di Ψ (u) allora questa orbita sarà stabile se Ψ ′ (u0 ) < 0 e
instabile se Ψ ′ (u0 ) ≥ 0. Infatti, consideriamo una orbita prossima all’orbita circolare:
u(θ) = u0 + ǫ(θ), (1.53)
con ǫ(θ) funzione incognita che possiamo assumere infinitesima. Essendo
Ψ (u) = Ψ (u0 ) + ǫΨ ′ (u0 ) + O(ǫ2 ) = ǫΨ ′ (u0 ) + O(ǫ2 )
allora l’equazione linearizzata a partire dalla (1.52) ha forma
d2 ǫ
= ǫΨ ′ (u0 )
dθ2
che ha soluzione del tipo ǫ = p cos(ωθ + q) dove abbiamo posto ω 2 = −Ψ ′ (u0 ) assumendo Ψ ′ (u0 ) < 0.
Osserviamo infine che in tale caso l’orbita (1.53) ha una angolo absidale dato da
π π
Θ= =q . (1.54)
ω −Ψ ′ (u0 )
Esempio
Se f (r) = kr−ν , k < 0, allora le orbite circolari sono stabili se, e solo se, ν < 3. La verifica è
immediata: la funzione Ψ (u) prende la forma Ψ (u) = k ′ uν−2 − u dove k ′ è una costante positiva.
L’equazione Ψ (u) = 0 ha almeno una soluzione per ν 6= 3, infatti:
1.5 Moto di un punto soggetto ad una forza centrale 29
Consideriamo nel piano (O; x, y) la composizione di due moti periodici di periodo T1 e T2 . Possiamo
ricondurci, senza perdere in generalità, al caso del moto di un punto P nel piano (O; x, y) avente
leggi di moto:
ii) aperiodico se, e solo se, T1 e T2 sono incommensurabili e, in tal caso, la traiettoria di P ricopre
densamente il quadrato Q = [−1, +1] × [−1, +1]; cioé per ogni P0 = (x0 , y0 ) ∈ Q e per ogni ǫ > 0
esiste t ∈ R+ tale che |P (t) − P0 | ≤ ǫ.
Dimostrazione: Dimostriamo la prima parte dove, inizialmente, supponiamo P (t) periodico di
periodo T . Dovrà essere
θ(t) = θ0 (mod2π)
ha infinite soluzioni
θ0 1
tn = + nT1 = (θ0 + 2nπ).
ω1 ω1
Consideriamo ora la dinamica discreta sul toro unidimensionale (che, ricordiamo, è un insieme com-
patto) rappresentata dalla successione di punti
ω2 ω2
φn = φ(tn )(mod2π) = θ0 + 2nπ (mod2π).
ω1 ω1
Questi punti sono tutti distinti tra loro poiché le due frequenze sono incommensurabili. Poiché il
toro unidimensionale T 1 è un insieme compatto, esisterà almeno un punto di accumulazione φ̄ per
tale successione e quindi possiamo estrarre da φn una sottosuccessione di Cauchy . Quindi, per ogni
ǫ > 0 esistono n1 e n2 (n2 > n1 ) tali che
0 < |φn2 −n1 | = |φn2 − φn1 | = d ≤ ǫ.
Cioé il punto φn2 −n1 sul toro uni-dimensionale ha distanza minore di ǫ dall’origine del toro (posta in
corrispondenza di φ = 0). Abbiamo cioéh effettuato
i una rotazione sul toro T 1 di apertura angolare
φ0
d < ǫ. Ripetendo questa rotazione n̄ = d volte allora il punto φn̄(n2 −n1 ) disterà da φ0 a meno di
d < ǫ e da ciò la tesi.
In questo caso f (r) = −kr dove k > 0 è una costante positiva assegnata. L’orbita è un ellisse avente
il centro coincidente con il centro O di forza (o, caso degenere, il moto avviene su due rette passanti
per l’origine). La verifica è immediata. Basta risolvere il sistema di equazioni differenziali
k
ẍ = −ω 2 x, ÿ = −ω 2 y, ω 2 = ,
m
che ammette soluzione generale
x(t) = A cos(ωt + α) e y(t) = B cos(ωt + β)
dove A, B, α e β sono costanti da determinarsi a partire dalle condizioni iniziali.
In questo caso si osserva anche che l’angolo apsidale vale
Z u2 udu 1 Z ρ2 dρ
Θ= q = q
u1 2E 2
u − k2
− u4 2 ρ1 2E k2
ρ − mc 2 − ρ
2
mc2 mc2 mc2
1 Z ρ2 dρ
= q
2 ρ1 −(ρ − ρ1 )(ρ − ρ2 )
dove ρ1,2 sono le radici del radicando date da
s
mc2 2E 4E 2 4k 2
ρ1,2 = ± − .
2k 2 mc2 m2 c4 mc2
1.5 Moto di un punto soggetto ad una forza centrale 31
Fig. 1.12. Nel caso forza centrale attrattiva direttamente proporzionale alla distanza allora l’orbita è sempre un ellisse (tranne
il caso degenere in cui si riduce ad un segmento rettilineo) e l’angolo absidale vale sempre 21 π.
In questo caso la forza ha intensità che dipende inversamente dal quadrato della distanza del punto
P dal centro: f (r) = − rk2 dove k > 0 è una opportuna costante positiva.
Potenziale efficace
V(r)
0 r- r+ r
Fig. 1.13. Grafico del potenziale efficace Vef f . Nel caso in cui l’energia E è negativa allora il moto avviene all’interno della
corona circolare di raggio r± .
Orbite circolari
Il caso in cui una orbita è circolare (r = cost.) si esaurisce con considerazioni dirette ed elementari.
In tal caso la legge delle aree implica la costanza della velocità orbitale (θ̇ = costante), cosicché
si tratta di un moto uniforme. In particolare si hanno orbite circolari per E corrispondente al
2 2
minimo del potenziale efficace: E = V (rmin ) = − m2ck2 .
Orbite degeneri
Consideriamo come caso particolare quello in cui si annulla la costante c delle aree: c = 0. Escluso
il caso r ≡ 0 si ha θ̇ = 0 e quindi il moto ha luogo lungo una retta passante per il centro di forza S.
La legge temporale, secondo cui varia r su tale retta è definita dall’integrale delle forze vive, che qui
si riduce a:
1 2 mk
mṙ = + E. (1.55)
2 r
Distinguiamo due casi:
a) E < 0, il moto si svolge tutto a distanza finita r ≤ −k/Em cadendo, con al più una inversione
del moto, nel centro di forza S.
b) E ≥ 0, in questa ipotesi il secondo membro della (1.55), per r > 0, non si annulla mai e si mantiene
sempre positivo, quindi il moto non può presentare inversioni di senso. Se la velocità iniziale è
diretta verso il centro (ṙ0 < 0) il mobile, dopo un tempo finito, andrà a cadere nel centro di forza
con la sua velocità intensiva cresce oltre ogni limite (come nel caso a)). Se invece ṙ0 > 0 il mobile,
sulla sua traiettoria rettilinea, si allontana indefinitamente dal centro.
Orbite generali
Supponiamo ora c 6= 0 e ricaviamo dall’integrale delle aree che la θ è funzione monotona, e quindi uni-
vocamente invertibile, del tempo, e quindi si può assumere come variabile indipendente. Si perviene
cosı̀ all’equazione differenziale
1.5 Moto di un punto soggetto ad una forza centrale 33
!2
d 1r 2E 2k 1 1
= 2
+ 2 − 2, (1.56)
dθ mc c r r
che caratterizza l’equazione polare r = r(θ) dell’equazione generale del moto essendo
dr dr c d1/r
ṙ = θ̇ = 2
= −c .
dθ dθ r dθ
1 k
Qui è particolarmente comodo porre u = r
− c2
(anziché r = 1/u come nella teoria generale), con
che la (1.56) assume la forma
!2
du 2E k2
= + − u2 , (1.57)
dθ mc2 c4
2E 2k
ma la costante mc 2 + c4 , per la (1.57) stessa, è somma di due quadrati e quindi risulta necessariamente
positiva, salvo quando si annulla identicamente la u, il che si ha solamente nel caso di orbite circolari
(caso già discusso).
2E k2
Ponendo q 2 = mc 2 + c4 , con q > 0, si ottiene l’equazione differenziale dell’orbita sotto la forma
definitiva
!2
du
= q 2 − u2 .
dθ
Il suo integrale generale, come si verifica immediatamente per separazione di variabili, è dato da
u = q cos(θ − θ0 ) dove θ0 è la costante di integrazione; quindi, sostituendo a u la sua espressione
otteniamo per l’orbita l’equazione polare
c2
1 k k
= 2 + q cos(θ − θ0 ) ossia r = c2 q
. (1.58)
r c 1+ k
cos(θ − θ0 )
Si osservi che ora è possibile determinare con una quadratura la legge oraria θ(t) soluzione della
equazione di fferenziale del primo ordine
c c
θ̇ = 2 = 2 (1 + e cos θ)2 .
r p
L’equazione (1.58) è l’equazione polare di una conica avente un fuoco nel centro di forza,
2
l’asse inclinato di θ0 sull’asse polare, il parametro p = ck e l’eccentricità
s
c2 q 2Ec2
e= = 1+ . (1.59)
k mk 2
Pertanto: nel moto di un punto soggetto ad una forza centrale, inversamente pro-
porzionale al quadrato della distanza, (esclusi i casi di moto rettilineo caratterizzati dall’annullarsi
della costante delle aree), l’orbita è sempre una conica; e fra le costanti meccaniche di in-
tegrazione E e c (energia totale e doppio della velocità areolare) e gli elementi geometrici
caratteristici dell’orbita e e p (eccentricità e parametro) intercedono le relazioni sopra de-
scritte. Per dimostrare che è una conica passiamo dalle coordinate polari a quelle cartesiane. Dalla
relazione (possiamo assumere θ0 = 0 con una opportuna scelta degli assi coordinati)
34 1 Dinamica del punto
(
x = r cos θ p
, r=
y = r sin θ 1 + e cos θ
si ottiene
x y
cos θ = , sin θ =
p − ex p − ex
e quindi, usando la relazione cos2 θ + sin2 θ = 1, si ottiene
y 2 + (1 − e2 )x2 + 2pex = p2
che risulta essere l’equazione di una conica dipendente dal parametro e. Se ci restringiamo al caso
e < 1 allora è un ellisse che può essere scritto nella forma
2
2 2 pe p2
y + (1 − e ) x + =
1 − e2 1 − e2
ovvero
(x − x0 )2 y 2 pe
2
+ 2 = 1, x0 = − (1.60)
a b 1 − e2
con
p2 p2
a2 = , b 2
=
(1 − e2 )2 (1 − e2 )
La (1.59) mette in luce il risultato fondamentale che la specie della conica descritta dal mobile
dipende esclusivamente dal segno della energia totale E. In particolare, essendo c 6= 0, risulta, per
la (1.59), e < 1 o e = 1 o e > 1 secondo che E < 0 o E = 0 o E > 0. In altre parole l’orbita è
ellittica, parabolica o iperbolica secondo che l’energia totale è negativa, nulla o positiva.
Si noti che questo criterio risulta applicabile anche nel caso c = 0 inteso come criterio limite c → 0.
Noi siamo arrivati alla determinazione della traiettoria (1.58) risolvendo una equazione differen-
ziale del primo ordine data dall’integrale primo dell’energia (facendo anche uso dell’integrale primo
delle aree); è possibile determinare la traiettoria risolvendo una equazione differenziale del secondo
ordine che deriva dalla equazione di Newton dove facciamo uso delle formule di Binet.
Caso Kepleriano
Fissiamoci sul moto ellittico proprio, caratterizzato da E < 0 e c 6= 0 per cui e < 1. È facile
riconoscere che, in questo caso, il moto del punto attratto dal centro P0 è un moto Kepleriano,
cioé un moto soddisfacente alle prime due leggi di Keplero. Infatti: il moto è centrale rispetto ad 0,
essendo tale la forza; l’orbita è un ellisse avente un fuoco in 0; ed infine sussiste la legge delle aree.
Che la conica sia un ellisse segue dalle (1.60) che danno 0 < b < a. Per verificare che P0 sia √ in uno dei
fuochi ricordiamo che per un√ellisse di equazione (1.60) allora i fuochi sono posti in (x0 ± a2 − b2 , 0)
pe pe
e nel nostro caso si ha x0 + a2 − b2 = − 1−e 2 + 1−e2 = 0 e quindi 0 coincide con uno dei due fuochi.
q
3
Infine, si tratta di un moto periodico di periodo T , dove T = 2π ak . Infatti, il periodo, per
la legge di conservazione del momento angolare di modulo K = mc (ovvero per la costanza della
velocità areolare), si ha che 2mA = T K dove A = πab è l’area dell’ellisse e dove è noto che
1.6 Moto di un punto su una superficie prestabilita 35
r
p p √ a
a= e b = √ = pa = c
1 − e2 1 − e2 k
e quindi
2mπab 2mπca3/2 a3/2
T = = = 2π .
K k 1/2 K k 1/2
Da quanto mostrato segue che anche nel caso di potenziale Newtoniano tutte le orbite (limitate) sono
chiuse. Questa proprietà osservata per il potenziale elastico e per il potenziale Newtoniano non è
verifica da altri tipi di forze centrali. Più precisamente è possibile dimostrare che:
Teorema. In un campo centrale tutte le orbite limitate sono chiuse se, e solo se, l’energia poten-
ziale V (r) ha una delle seguenti forme
k
V (r) = kr2 o V (r) = −
r
con k costante positiva.
Consideriamo il moto di un punto materiale P che, sotto la sollecitazione di forze attive di risultante
F, sia costretto a muoversi su di una superficie σ priva di attrito avente equazione
f (x, y, z; t) = 0. (1.61)
Nota. Dalla (1.63) segue che se si fanno partire due punti materiali dotati di egual massa da
una stessa posizione P0 con la medesima velocità e sotto l’azione di una stessa forza conservativa,
anche se uno si suppone libero e l’altro vincolato ad una superficie priva di attrito, essi giungono
in punti, nei quali il potenziale ha lo stesso valore, con la medesima velocità.
Nella ipotesi che σ sia priva di attrito (sia poi σ indipendente o no dal tempo) allora la reazione
Φ = ΦN̂, incognita, sarà ortogonale alla superficie, pertanto avrà componenti
∂f ∂f ∂f Φ
Φ=λ ı̂ + λ ̂ + λ k̂, λ = ∈R
∂x ∂y ∂z |grad f |
dove λ designa un fattore di proporzionalità a priori incognito. Proiettando la (1.62) sugli assi si
ottengono le tre equazioni
∂f
mẍ = Fx + λ ∂x
mÿ = Fy + λ ∂f
∂y F = Fx ı̂ + Fy ̂ + Fz k̂ (1.64)
mz̈ = Fz + λ ∂f
∂z
che insieme alla (1.61) formano un sistema di quattro equazioni nelle quattro incognite x, y, z (fon-
damentali) e λ (ausiliaria).
Se si suppone che le forze attive siano nulle, cioé il moto di P avviene su σ per effetto della
velocità iniziale v0 , ed in assenza di attrito allora la traiettoria del punto è una geodetica,
descritta con velocità costante. Infatti dalla (1.63) segue che v è costante e quindi s̈ = 0; da ciò
segue che l’accelerazione ha solo componente normale: akn̂. D’altra parte la (1.62) impone che sia
akN̂, essendo F = 0, e quindi deve essere n̂ = N̂ (o n̂ = −N̂) che è la proprietà caratteristica delle
geodetiche sulle superfici immerse in R3 .
1.6.2 Moto di un punto pesante sopra una superficie di rotazione ad asse verticale e priva di attrito.
Sia data una superficie di rotazione ad asse verticale definita, in coordinate polari, attraverso la
funzione ρ = f (z), con f (z) ≥ 0 assegnata, e sia il punto pesante P mobile su questa superficie
senza attrito. Nel caso in cui sul mobile sia applicata la sola forza peso è possibile studiare il moto
del punto attraverso l’uso di integrali primi invece che ricorrere alle equazioni (1.64) che introducono
una incognita λ ausiliaria. Orientando l’asse z verso la verticale ascendente l’integrale delle forze
vive assume la forma
1 2
mv + mgz = E.
2
D’altra parte, la forza peso è sempre parallela all’asse z, e quindi sussiste sempre l’integrale delle
aree relativo al piano z = 0:
xẏ − y ẋ = c.
Questi due integrali primi, espressi in coordinate cilindriche (θ, ρ, z), assumono la forma
1.6 Moto di un punto su una superficie prestabilita 37
h i
1 m ż 2 (1 + f ′ 2 ) + f 2 θ̇ 2 + mgz = E
2 (1.65)
f 2 θ̇ = c
Il caso particolare in cui f (z) è definita dalla equazione ρ2 = ℓ2 − z 2 si denota con pendolo sferico
ed
√ è il caso di un punto pesante vincolato (o appoggiato) ad una sfera di raggio ℓ. Ponendo f (z) =
ℓ2 − z 2 la (1.65) assume la forma
h i
1m ℓ2 ż 2
+ (ℓ2 − z 2 )θ̇2 + mgz = E
2 ℓ2 −z 2 . (1.67)
(ℓ2 − z )θ̇ = c
2
Nell’ipotesi c > 0, assumendo come variabile indipendente la θ in luogo della t, la funzione z(θ), che
basta a determinare sulla sfera la traiettoria del pendolo, è caratterizzata dall’equazione differenziale
ricavata dalla (1.66), integrabile con una quadratura,
!2
dz
c2 ℓ 2 = Φ(z)
dθ
dove 1 + f ′ 2 = ℓ2
ℓ2 −z 2
e dove
Per lo studio quantitativo della soluzione z(θ) giocano un ruolo importante le radici della funzione
Φ1 (z). Più propriamente, studiamo l’equazione
!2 !2
dz dz c2 1 1
= θ̇2 = 2 2 2 2 2
Φ(z) = 2 Φ1 (z).
dt dθ (ℓ − z ) c ℓ ℓ
Osservando che Φ1 (z) è un polinomio in z di grado 3 tale che (Figura 1.14)
Φ1 (±ℓ) = −c2 < 0 e lim Φ1 (z) = +∞
z→+∞
allora esiste z3 > +ℓ tale che Φ1 (z3 ) = 0. Le altre due radici z1 e z2 sono comprese in (−ℓ, +ℓ).
Infatti notiamo che deve essere |z0 | ≤ ℓ; più precisamente, poiché si è escluso il caso c = 0, sarà
|z0 | < ℓ, dove z0 è la quota della posizione iniziale. In particolare la condizione di realtà del moto
Φ(z0 ) ≥ 0 implica Φ1 (z0 ) ≥ 0. Discutiamo separatamente i due casi Φ1 (z0 ) > 0 e Φ1 (z0 ) = 0.
-l l z
z1 z2 z3
Fig. 1.14. Grafico del polinomio Φ1 (z). Le 3 radici sono tali che z3 > +ℓ mentre −ℓ < z1 ≤ z2 < +ℓ.
a) Φ1 (z0 ) > 0, in questa ipotesi la funzione z(θ) oscilla periodicamente tra due paralleli di quote z1
e z2 comprese nell’intervallo (−ℓ, +ℓ) dove z1 e z2 sono radici semplici di Φ1 (z). Si osserva che il
piano equidistante dai due paralleli di quote z1 e z2 è sempre al di sotto dell’equatore
(di equazione z = 0). Infatti la funzione Φ1 può essere scritta come
Φ1 (z) = 2gz 3 − 2Eℓ/mz 2 − 2gℓ2 z − c2 + 2Eℓ2 /m
= 2g(z − z1 )(z − z2 )(z − z3 )
da cui segue che deve essere
z1 z2 + z2 z3 + z1 z3 = −ℓ2 cioé (z1 + z2 )z3 = −(ℓ2 + z1 z2 ).
Ricordando che z3 > 0 e che |zj | < ℓ, j = 1, 2, segue z1 + z2 < 0, cioé la tesi.
b) Φ1 (z0 ) = 0, in questo caso se la radice è semplice allora rientriamo nel caso a) ed il punto si trova
inizialmente su uno dei due paralleli che limitano la zona entro cui serpeggia la traiettoria. Se,
1.6 Moto di un punto su una superficie prestabilita 39
infine, z0 non è radice semplice (e quindi non può essere che doppia) allora è ben noto che durante
il moto si conserva z = z0 , cioé la traiettoria è il parallelo di quota z0 (situato sotto l’equatore);
in quest’ultimo caso si ha anche θ̇ = cost., cioé si ha un moto rotatorio uniforme. Il fatto che sia
z0 < 0 segue dal fatto che Φ1 (z) = 2g(z − z3 )(z − z0 )2 da cui dovrà essere (poiché z0 ≡ z1 = z2 )
2z0 z3 = −(ℓ2 z02 ) < 0 e quindi z0 < 0.
In ultima analisi segue che il moto del punto P avviene, ad esclusione del moto rotatorio uniforme,
tra due quote z1 e z2 e la funzione z(θ) è periodica ed impiega un angolo Θ per raggiungere la quota
più bassa partendo dalla quota più alta (Figura 1.15
Z z2 dz
Θ = cℓ q .
z1 Φ(z)
Fig. 1.15. Il moto del pendolo sferico avviene, in generale, tra due quote z1 e z2 ruotando sempre nello stesso verso e toccando,
in modo periodico, i due paralleli.
Come osservazione finale notiamo che il moto di P sulla superficie sferica è periodico se e solo
se Θ e π sono commensurabili tra loro.
Escludendo il caso particolare di moto rotatorio uniforme si è stabilito che il moto del punto sulla
superficie sferica avviene tra due quote z1 e z2 e la funzione z(t) è una funzione periodica. Per
calcolarne il periodo ripartiamo dalla relazione
!2
dz 1
= Uc,E (z) dove Uc,E (z) = Φ1 (z);
dt ℓ2
questa equivale a studiare un moto su una retta con potenziale Uc,E al livello di energia E ′ = 0.
2 2
Equivalentemente, poiché ℓ ℓ−z2 > 0 ∀z ∈ (−ℓ, ℓ), si può studiare dal punto di vista qualitativo il
2
problema con energia potenziale efficace 2gz + ℓ2c−z2 al livello di energia 2E/m. In ogni caso la
funzione z(t) risulta essere una funzione periodica di periodo
40 1 Dinamica del punto
Z z2 dz
T1 ≡ T1 (c, E) = 2 r
z1 2E c2 ℓ2 −z 2
m
− 2gz − ℓ2 −z 2 ℓ2
Z z2 dz
=2 q .
z1 Uc,E (z)
Quindi θ(t) (definito modulo 2π) è dato dalla composizione di due moti periodici; uno di periodo T1
ed uno di periodo T2 = 2π/c0 . Di conseguenza il moto del pendolo fisico è periodico se, e solo se, T1
e T2 sono commensurabili.
Prescindiamo dalla resistenza dell’aria e degli altri corpi celesti (es. il sole, la luna, etc.) e consideriamo
il moto, rispetto alla Terra, di un punto materiale P di massa m in prossimità di essa. Sotto tali
ipotesi la forza (assoluta) totale agente su P si riduce alla attrazione terrestre che, assumendo m = 1,
designeremo con G. Perciò rispetto ad un riferimento galileiano l’accelerazione a di P è data da
a = G. (1.68)
Però a noi normalmente interessa il moto relativo di P rispetto alla Terra, cioé più precisamente
la sua accelerazione relativa a1 :
1.7 Dinamica relativa del punto 41
a1 = G − aτ − ac . (1.69)
In −maτ riconosciamo quella forza Fτ chiamata forza di trascinamento, mentre la −mac dicesi
forza di Coriolis. Ricordiamo che mG − maτ = mG + Fτ non è altro che il peso del grave P ,
cioé la forza mg che si può definire come direttamente opposta a quella che occorrerebbe applicare
al grave (in quiete) per impedirne la caduta.
Per intervalli di tempo piccoli, rispetto ad un anno, possiamo ridurre Fτ alla forza centrifuga
dovuta al moto diurno, la cui velocità angolare ω è costante e diretta secondo l’asse polare della
Terra, da Sud a Nord. La forza peso mg = mG + Fτ , come ben sappiamo, è effettivamente variabile,
di intensità e di direzione, da luogo a luogo ma, entro un raggio di pochi chilometri, è lecito ritenerla
costante sia in grandezza che in direzione. Più in dettaglio, consideriamo l’effetto della rotazione
della Terra sugli esperimenti in un laboratorio. Dato che la terra ruota praticamente uniformemente,
2π
si può supporre che ω̇ = 0 dove ω = 24·3600 . Il rapporto tra la forza centrifuga e la forza peso assume
il massimo valore all’equatore, dove vale
Fτ (P ) ω2R (7.3 · 10−5 )2 · 6.4 · 106 3
= = ≈
g g 9.8 1000
dove R è la distanza del punto dal centro della terra (cioé R coincide con il raggio della terra).
Questo rapporto varia di poco nei limiti di un usuale laboratorio. Più precisamente si ha che
Fτ (P + ∆P ) Fτ (P )
= (1 + O(∆P/R)) .
g g
Quindi è lecito, in prima approssimazione, ritenere la forza centrifuga costante e la forza peso avente
intensità costantemente uguale a mg. Concludiamo quindi che all’equazione vettoriale (1.69) del
moto di P rispetto alla Terra si può dare la forma definitiva
a1 = g − 2ω × v1 . (1.70)
Supponiamo che il moto avvenga nell’emisfero boreale e adottiamo come riferimento terrestre la terna
destra che si ottiene assumendo:
a) L’origine in un punto O solidale con la Terra, in prossimità del luogo dove avviene il moto;
b) L’asse z sulla linea di azione della forza peso in O (verticale del luogo) orientata verso l’alto, cioé
la verticale ascendente;
c) L’asse x nel piano meridiano di O, orientato verso il Nord.
L’asse y risulta cosı̀ univocamente determinato; proiettando l’equazione vettoriale (1.70) su tali
assi abbiamo g = (0, 0, g) e, se γ è l’angolo (acuto) formato da g con il piano equatoriale (latitudine
geodetica), le componenti del vettore ω sono date da
p = ω cos γ, q = 0, r = ω sin γ; (1.71)
cosicché dalla (1.70) risulta
ẍ = 2ẏω sin γ
ÿ = 2ω (−ẋ sin γ + ż cos γ) . (1.72)
z̈ = −g − 2ẏω cos γ
42 1 Dinamica del punto
Sono queste, nella schematizzazione appena precisata, le equazioni differenziali del moto di un
grave (di massa qualunque) nel vuoto, ove si tenga conto della rotazione della Terra. Queste equazioni
sono integrabili elementarmente e, restringendoci al caso più interessante, assumiamo le condizioni
iniziali
x0 = y0 = z0 = 0 e ẋ0 = ẏ0 = ż0 = 0.
Sotto queste condizioni dalla prima e dalla terza delle (1.72) si deduce che
ẋ = 2yω sin γ, ż = −gt − 2yω cos γ (1.73)
che sostituite nella seconda delle (1.72) segue che
ÿ + 4ω 2 y = −2gωt cos γ
che è una equazione differenziale lineare completa, a coefficienti costanti, del II ◦ ordine il cui integrale
generale vale
g cos γ
y(t) = − t + r cos(2ωt + θ0 ).
2ω
Imponendo le condizioni iniziali si determinano infine r e θ0 ottenendo
g cos γ sin 2ωt
y(t) = − t− .
2ω 2ω
Sostituendo questa nelle (1.73) si perviene infine alle
1 2 1 − cos 2ωt
x(t) = −g sin γ cos γ t − ,
2 4ω 2
1 2 2 1 2 1 − cos 2ωt
z(t) = − gt + g cos γ t − .
2 2 4ω 2
Prendendo intervalli di tempo tali che ωt ≪ 1 e sviluppando in serie di Taylor le soluzioni trovate e
trascurando i termini di ordine superiore (o uguale) in ωt al primo si trova
1
x(t) = O(ω 2 t4 ), y(t) = O(ωt3 ), z(t) = − gt2 + O(ω 2 t4 ),
2
cioé si ritrovano le equazioni del moto dei gravi nel vuoto. Se invece si prendono in considerazione i
termini d’ordine superiore in ωt si ha che
x(t) = O(ω 2 t4 )
g cos γ h 3 5 5
i 1
y(t) = − 2
(2ωt) /6 + O(ω t ) = − gωt3 cos γ + O(ω 3 t5 )
4ω 3
1 2
z(t) = gt + O(ω 2 t4 ).
2
Quindi rimane inalterata la legge per la quota del mobile ma il moto avviene nel piano (O; y, z)
secondo la legge
8 ω 2 cos2 γ 3
y2 = − z .
9 g
Si osservi infine che y < 0 per ogni t > 0; si prova quindi la deviazione di un grave verso Est.
Quindi, nell’emisfero settentrionale, la forza di Coriolis spinge verso oriente ogni corpo che cade sulla
Terra; nell’emisfero meridionale la forza di Coriolis spinge verso la parte opposta.
1.7 Dinamica relativa del punto 43
Esempio
Un sasso viene gettato (senza velocità iniziale) dalla cima di una torre alta 250 mt. alla latitudine
60◦ . Calcoliamo di quanto si allontana dalla verticale:
2ω cos γ q 7.3 · 10−5 q
y= 2|z|3 /g = 2 · 0.253 /9.8 ≈ 0.04345 metri.
3 3
Invece, quanto si allontana dalla verticale una secchia viene gettata (senza velocità iniziale) dalla
cima della torre Ghirlandina di Modena.
Discutiamo ora il pendolo sferico considerando il contributo della rotazione della terra. In particolare,
il punto P , di massa m, si muove come se fosse libero e sollecitato simultaneamente dalla forza peso
e dalla reazione vincolare Φ; quindi, a partire da quanto stabilito in merito al pendolo sferico nel
paragrafo 1.6.3 la equazione differenziale del moto assume la forma vettoriale:
dove riguardiamo il vettore g come costante in grandezza e direzione e dove assumiamo costante il
contributo della accelerazione di trascinamento (questa attitudine è giustificata poiché, assumendo
solamente il contributo della rotazione terrestre e assunto questo uniforme, allora la variazione della
forza di trascinamento all’interno di un laboratorio è trascurabile). Proiettando sugli assi aventi
origine nel centro M della sfera (assi scelti come nel caso (1.72) orientando l’asse z diretto come la
verticale ascendente) e introducendo per le componenti della reazione il moltiplicatore di Lagrange
λ otteniamo le tre equazioni scalari:
mẍ = λx + 2mẏω sin γ
mÿ = λy + 2mω(−ẋ sin γ + ż cos γ) (1.75)
mz̈ = λz − mg − 2mẏω cos γ
dove il punto è obbligato a muoversi sulla sfera di raggio ℓ e centro M = (0, 0, 0) e γ è la latitu-
dine geodetica del luogo. Assumendo piccole oscillazioni, quindi z ≈ −ℓ e ż ≈ z̈ ≈ 0 e 2ẏω cos γ
trascurabile di fronte a g poiché ω ≪ 1, si ha dalla terza delle (1.75)
−λℓ − mg = 0, λ = −mg/ℓ
dando alle prime due la forma
(
ẍ = −gx/ℓ + 2ẏω sin γ
. (1.76)
ÿ = −gy/ℓ − 2ẋω sin γ
Ponendo ω1 = −ω sin γ si conclude che le piccole oscillazioni del punto P o, meglio, della sua
proiezione Q sul piano orizzontale z = 0, son definite dalle due equazioni lineari
(
ẍ = −gx/ℓ − 2ẏω1
. (1.77)
ÿ = −gy/ℓ + 2ẋω1
44 1 Dinamica del punto
Denotando con a = ẍı̂ + ÿ̂ e v = ẋı̂ + ẏ̂ l’accelerazione e la velocità (orizzontali) di Q e con k̂ il
versore verticale ascendente, possiamo riassumere la (1.77) nell’unica equazione vettoriale:
a = −g(Q − M )/ℓ + 2ω1 k̂ × v. (1.78)
Si consideri allora, nel piano z = 0, per l’origine M una coppia di assi ortogonali x1 y1 , congruente
agli assi xy e che ruotino attorno ad M con velocità angolare costante ω1 k̂. L’accelerazione a1 ,
rispetto a x1 y1 della proiezione Q di P è legata alla accelerazione a, rispetto a xy della proiezione Q
di P , secondo il teorema di composizione delle accelerazioni:
a1 = a + (−ω) × [−ω × (Q − M )] + 2(−ω) × v
2 g 2
= a − ω1 (Q − M ) − 2ω1 k̂ × v = − + ω1 (Q − M ).
ℓ
Quindi il moto della proiezione Q di P , nel piano x1 y1 , è un moto armonico in due dimensioni avente
integrale generale
r r
g 2 g
x1 (t) = a cos t + ω1 + ϕ ≈ a cos t +ϕ
l l
e
r r
g 2 g
y1 (t) = b cos t + ω1 + φ ≈ b cos t +φ .
l l
Imponendo le codizioni iniziali ẋ(0) = ẏ(0) = 0 e x(0) = x0 e y(0) = 0, facendo coincidere gli assi
x e y con gli assi x1 e y1 all’istante t = 0 si ottiene ẋ1 (0) = 0 e ẏ1 (0) = −ω1 x0 e quindi
r s r
g l g
x1 (t) = x0 cos t , y1 (t) = −ω1 x0 sin t .
l g l
Cioé la traiettoria del punto Q sul piano
orizzontale
q z = 0 (caso del Pendolo del Focault) è un ellisse
avente i semi-assi a = |x(0)| e b = ω1 a ℓ/g ≪ a; si tratta quindi di un’ellisse molto schiacciata
e quindi assimilabile ad un segmento dell’asse x1 . Quindi il moto del punto è sensibilmente quello
di un moto oscillatorio ordinario del piano zx1 ; ma questo piano non è fisso bensı̀ animato di una
velocità angolare ω1 = ω sin γ variabile con la latitudine che, per quanto piccola, col tempo finisce a
rendersi manifesta.
Nota. Possiamo giungere alle stesse conclusiosi risolvendo la equazione (1.77) nel seguente modo.
Se poniamo w = x + iy allora il sistema (1.77) prende forma
g
ẅ − 2iω1 ẇ + w = 0.
ℓ
Per determinare la soluzione generale siano
q r
2 g
λ1,2 = iω1 ± i ω1 + g/ℓ ≈ iω1 ± i
l
e la soluzione generale ha forma
√ √
w = c1 eλ1 t + c2 eλ2 t ≈ eiω1 t c1 eit g/ℓ + c2 e−it g/ℓ .
Quindi, per ω1 = 0 si ottengono le consuete oscillazioni armoniche del pendolo sferico e l’effetto della
forza di Coriolis consiste in una rotazione uniforme di tutto il sistema con una velocità angolare pari
a ω1 .
1.7 Dinamica relativa del punto 45
Le leggi di Keplero
Per i moti dei pianeti intorno al Sole valgono le tre leggi di Keplero determinate sperimentalmente:
1) Le orbite dei pianeti sono degli ellissi e il Sole ne occupa uno dei fuochi.
2) Le aree descritte dal raggio vettore, che va dal Sole ad un pianeta, sono proporzionali
ai tempi impiegati a percorrerli.
3) I quadrati dei tempi impiegati dai vari pianeti a percorrere le loro orbite (durante le
rivoluzioni) sono proporzionali ai cubi dei semi-assi maggiori (nel senso che la costante
di proporzionalità non dipende dal pianeta).
A causa della enorme distanza tra la stella più vicina e il sistema solare e a causa della propon-
deranza della massa solare rispetto agli altri pianeti si può ritenere che l’attrazione sulla Terra sia
sostenzialmente quella che proviene dal Sole. Trascurando le altre si riguarda la coppia Terra-Sole
come isolata nell’Universo. Per il principio di azione e reazione le accelerazioni del Sole e della Terra
sono inversamente proporzionali alle loro masse; si può pertanto trascurare la piccolissima
accelerazione solare dovuta alla Terra, il che equivale a considerare, in prima approssimazione, il Sole
come fisso. Perveniamo pertanto a schematizzare, in prima approssimazione, il moto della Terra
intorno al Sole come quello di un punto materiale P attratto da un centro fisso S con una forza di
intensità k mr02m , dove m0 ed m denotano le masse del Sole e della Terra, r la loro distanza e k é una
costante positiva. Il moto soggetto a questa legge dà luogo, nel nostro caso (poiché il moto si svolge
tutto a distanza finita dal Sole) ad una traiettoria ellittica avente un fuoco nel Sole. Quindi la legge
di Newton implica la validità delle prime due leggi di Newton. Quanto alla terza risulta
a3
4π 2 = km0 (1.79)
T2
da cui si vede che il rapporto a3 /T 2 dipende solamente dalla costante k e dalla massa del Sole.
Più in generale, consideriamo due corpi P0 e P , di masse m0 , m, che noi consideriamo isolati
nell’Universo; indichiamo con F il vettore della forza che P0 esercita su P , per il III ◦ principio di
Newton allora il vettore della forza esercitata da P su P0 sarà −F ed entrambi saranno diretti sulla
congiungente. L’equazione di Newton sui due punti, rispetto ad un osservatore inerziale, sarà data
da
d2 P0 d2 P
m0 = −F, m =F
dt2 dt2
da cui emerge immediatamente che la quantità di moto (m0 + m)vG si conserva e da cui segue che il
baricentro dei due punti si muove di moto rettilineo uniforme. Per determinare poi il moto dei due
punti rispetto al loro baricentro o, equivalentemente, il moto di un punto rispetto all’altro (ad esempio
il moto di P rispetto a P0 ), introduciamo un osservatore relativo centrato in P0 e traslante; allora
46 1 Dinamica del punto
d2 P
la equazione del moto di P rispetto al nuovo osservatore è data da m dt2
= F − maτ (P ).
P0
d2 P 0
ricordando che il nuovo osservatore trasla allora aτ (P ) = dt2
e quindi la equazione prende la forma
!
mm0 d2 P
= F. (1.80)
m + m0 dt2 P0
Questa equazione differenziale del moto relativo di uno dei due corpi rispetto all’altro si identifica,
come si vede, con quella che reggerebbe il moto di P , se P0 fosse fisso (o animato di moto
rettilineo uniforme rispetto ad un osservatore assoluto), e, pur attraendo P secondo la legge F,
mm0
avesse, anziché la massa effettiva m, la massa ridotta m+m 0
. Questo problema rientra, come caso
particolare di moto centrale, in quello generale discusso nella Sezione precedente; quindi abbiamo
che si tratta di un moto piano, per il quale sussistono simultaneamente l’integrale delle forze
vive e quello delle aree rispetto al centro di forza P0 .
Si dimostra che, nel caso in cui la forza di vettore F coincida con la forza di attrazione gravi-
tazionale, qualunque sia l’ordine di grandezza di m rispetto a m0 l’orbita (relativa) di P rispetto a P0
è una conica; perciò nel caso dell’orbita ellittica valgono per il moto di P rispetto a P0 le prime due
leggi di Keplero. Se poi, in tal caso, si introducono il semi-asse maggiore a dell’orbita e la durata T
della rivoluzione, sussiste la relazione
a3
4π 2 = k(m0 + m); (1.81)
T2
e per un altro corpo P ′ di massa m′ , che, come P , descriva, sotto la esclusiva azione di P0 , un’orbita
(relativa) ellittica, si ha analogamente, con ovvio significato dei simboli,
a′ 3
2
4π ′ 2 = k(m0 + m′ ). (1.82)
T
In conclusione, quando nella trattazione newtoniana del moto dei corpi celesti, si spinge la schema-
tizzazione fino al problema dei due corpi, si mantengono valide, in generale, soltanto le prime due
leggi di Keplero. La terza può sussistere solo in via approssimata.
2
Dinamica dei solidi
dove
′
α1 = ı̂ · ı̂′ β1 = ı̂ · ̂′ γ1 = ı̂ · k̂
′
α2 = ̂ · ı̂′ β2 = ̂ · ̂′ γ2 = ̂ · k̂
′
α3 = k̂ · ı̂′ β3 = k̂ · ̂′ γ3 = k̂ · k̂
sono i coseni direttori degli assi del sistema (O; x′ , y ′ , z ′ ).
48 2 Dinamica dei solidi
Osserviamo che il modo per passare da un sistema all’altro consiste nell’effettuare, nell’ordine:
i. una rotazione ψ attorno all’asse (O; z) in modo da portare l’asse (O; x) sull’asse nodale (O; N );
ii. una rotazione θ attorno all’asse (O; N ) in modo da portare l’asse (O; z) sull’asse (O; z ′ );
iii. una rotazione ϕ attorno all’asse (O; z ′ ) in modo da portare l’asse nodale (O; N ) sull’asse (O; x′ ).
Osserviamo che se i due piani (O; x, y) e (O; x′ , y ′ ) si sovrappongono allora θ = 0 (o θ = π) e la
prima e la terza rotazione sono effettuate attorno allo stesso asse e possono essere sostituire da una
rotazione dell’angolo ψ ± ϕ. Le formule di trasformazione possono essere scritte in forma matriciale
come
x x′
y = Eψθϕ y ′ , Eψθϕ = Eψ Eθ Eϕ (2.2)
z z′
dove
i. Eψ definisce una rotazione ψ attorno all’asse (O; z)
cos ψ − sin ψ 0
Eψ =
sin ψ cos ψ 0 ;
0 0 1
e, identificando la (2.1) con la (2.2), si ottiene il risultato cercato: cioé una parametrizzazione dei
coseni direttori in funzione di tre parametri indipendenti.
Determiniamo infine l’espressione della velocità angolare ω nel moto rigido istantaneo. Per deter-
minare ω in funzione dei tre parametri lagrangiani si osserva che il generico stato cinetico di rotazione
può essere scritto come la composizione di tre stati cinetici di rotazione aventi asse passante per O:
2.2 Equazioni di Eulero 49
′
ω = ψ̇ k̂ + θ̇N̂ + ϕ̇k̂ .
da cui segue
p = θ̇ cos ϕ + ψ̇α3
= θ̇ cos ϕ + ψ̇ sin θ sin ϕ
q = −θ̇ sin ϕ + ψ̇β3 = −θ̇ sin ϕ + ψ̇ sin θ cos ϕ (2.3)
r = ϕ̇ + ψ̇γ3 = ϕ̇ + ψ̇ cos θ
dK(O′ )
= Ωe (O′ ) (2.5)
dt
dove Re ed Ωe (O′ ) denotano il risultante e il momento risultante, rispetto al punto fisso O′ , delle
forze esterne direttamente applicate e dove Φe denota il risultante della reazione in O′ , per
tale motivo segue che Ψe (O′ ) = 0. Q e K(O′ ) denotano, rispettivamente, la quantitá di moto ed
il momento della quantitá di moto (detto anche momento angolare) del corpo rigido.
Poiché il solido con un punto fisso ha tre gradi di libertà l’equazione vettoriale (2.5) corrisponde
a 3 equazioni scalari e quindi basta da sola a caratterizzare il moto. La (2.4) serve per determinare
le reazioni incognite in O′ noto il moto.
L’equazione cardinale dei momenti risulta, talvolta, più significativa se riferita ad una terna solidale
(O ; x′ , y ′ , z ′ ) avente origine in O′ :
′
!
dK(O′ )
+ ω × K(O′ ) = Ωe (O′ ), (2.6)
dt O′
dove ω designa la velocità angolare della terna solidale, cioé del corpo stesso, rispetto agli assi
dK(O′ )
(O; x, y, z) e dt
la derivata di K(O′ ) rispetto a t effettuata rispetto all’osservatore (O′ ; x′ , y ′ , z ′ ).
O′
Ricordiamo che il momento della quantitá di moto, con polo O′ punto fisso, si puó scrivere nel
seguente modo:
50 2 Dinamica dei solidi
′
K(O′ ) = [Ap − A′ q − B ′ r]ı̂′ + [−A′ p + Bq − C ′ r]̂′ + [−B ′ p − Cq + Cr] k̂
dove A, B e C denotano i momenti d’inerzia rispetto agli assi del sistema di riferimento solidale, e
dove A′ , B ′ e C ′ denotano i momenti di deviazione (detti anche prodotti d’inerzia) rispetto agli assi
del sistema di riferimento solidale. La (2.6) diventa particolarmente significativa quando si assume
come terna (O′ ; x′ , y ′ , z ′ ) quella dei tre assi principali di inerzia del solido nel suo punto O′ , in questo
caso K(O′ ) ha componenti
Le (2.8) si dicono equazioni di Eulero del moto di un solido intorno ad un suo punto fisso. Si
noti che le componenti di Ωe (O′ ) vanno considerate, nel caso più generale, come note in funzione, oltre
che del tempo, delle velocità dei singoli punti del solido e, in più, delle loro posizioni nello spazio
o, che è lo stesso data l’ipotesi di rigidità, della orientazione del solido intorno ad O′ . Tramite
la formula fondamentale della cinematica rigida abbiamo che le velocità dei punti dipendono dai
parametri di orientazione e dalle p, q, r; inoltre le p, q, r stesse sono legate a questi parametri di
orientazione da relazioni di tipo differenziale. Scegliendo, ad esempio, come parametri lagrangiani
gli angoli di Eulero θ, ϕ, ψ della terna solidale rispetto alla fissa allora aggiungeremo alle (2.8) le
note equazioni, puramente cinematiche
p = θ̇ cos ϕ + ψ̇ sin ϕ sin θ
q = −θ̇ sin ϕ + ψ̇ cos ϕ sin θ (2.9)
r = ψ̇ cos θ + ϕ̇
si ottiene un sistema di equazioni differenziali del primo ordine nelle 6 incognite θ, ϕ, ψ, p, q e r.
È noto che la (2.6) sussiste anche nel caso del moto di un solido libero intorno al baricentro poiché
Ψe (G) = 0 in quanto non ci sono reazioni vincolari. La (2.6) proiettata sulla terna principale di inerzia
(con G = O′ ) dà ancora luogo alla (2.8) ma con una differenza fondamentale: il momento Ωe (G), al
pari della sollecitazione attiva, va considerato dipendente non solo dagli argomenti θ, ϕ, ψ, p, q e
r (e t), tutti inerenti al moto relativo al baricentro, ma anche dalla posizione e dalla velocità
(assolute) del baricentro stesso. Inoltre la (2.4) assume la forma dQ dt
= Re e va ad aggiungersi
alle (2.6) per la determinazione del moto.
Consideriamo un solido con punto O′ fisso e dove l’ellissoide d’inerzia rispetto a questo punto è
rotondo: cioé sia tale che A = B, chiameremo (O′ ; z ′ ) asse giroscopico.
2.2 Equazioni di Eulero 51
Fenomeni giroscopici
Consideriamo il caso di un corpo solido pesante con punto fisso O′ e peso p = pk̂, p = −mg; per
fissare le idee escludiamo il caso particolare in cui G = O′ (che si puó fare rientrere eventualmente
nel caso generale).
Integrali primi
Supponendo che nella terna fissa (O; x, y, z) l’asse z sia verticale (di versore k̂) e orientato verso l’alto
e che la terna (O′ ; x′ , y ′ , z ′ ) solidale con il corpo coincida al solito con la terna principale di inerzia
allora si ha
′
K(O′ ) = Kx′ ı̂′ + Ky′ ̂′ + Kz′ k̂ ,
dove
Kx′ = Ap, Ky′ = Bq, Kz′ = Cr. (2.12)
Le forze esterne (e la reazione in O′ ) hanno momento nullo rispetto alla verticale (O′ ; z) quindi
Kz = Kz,0 = cost.
in virtù della equazione dei momenti della quantità di moto. Essendo γ1 , γ2 e γ3 i coseni direttori
′
della terna solidale rispetto alla terna fissa, cioé k̂ = γ1 ı̂′ + γ2 ̂′ + γ3 k̂ , si ha
Kz ≡ K(O′ ) · k̂ ≡ Kx′ γ1 + Ky′ γ2 + Kz′ γ3 = Kz,0 = cost.,
ossia per le (2.12)
Apγ1 + Bqγ2 + Crγ3 = Kz,0 . (2.13)
In secondo luogo poiché il peso è una forza conservativa (e i vincoli non dipendono dal tempo),
vale l’integrale delle forze vive T − U = E cioé, essendo p = −mg il peso del corpo (m ne denota la
massa) e x′G , yG′ ′
, zG le coordinate del baricentro
1 2
Ap + Bq 2 + Cr2 − pzG = E, (2.14)
2
dove
zG = γ1 x′G + γ2 yG
′ ′
+ γ 3 zG .
È da notare che dai teoremi generali sul moto dei sistemi non si possono trarre altri integrali primi
oltre alla energia meccanica totale ed alla componente verticale del momento della quan-
tità di moto (2.13) e (2.14) finché non si introducono ulteriori ipotesi sulla distribuzione delle masse
e in relazione al punto fisso O′ . Poiché si tratta di un problema di tre gradi di libertà, vale a dire
in tre incognite essenziali, è manifesto che questi due integrali primi non bastano a caratterizzarlo
completamente.
2.4 Giroscopio pesante 53
Le equazioni (2.15) e (2.16) proiettate sugli assi principali di inerzia x′ , y ′ , z ′ danno luogo alle sei
equazioni differenziali scalari
′ ′
Aṗ − (B − C)qr = −mg(yG γ3 − zG γ2 )
B q̇ − (C − A)rp = −mg(z ′ γ − x′ γ )
G 1 G 3 (2.17)
C ṙ − (A − B)pq = −mg(x′ γ − y ′ γ )
G 2 G 1
γ̇1 = γ2 r − γ3 q
γ̇ = γ p − γ r
2 3 1 (2.18)
γ̇ = γ q − γ p
3 1 2
di cui le prime tre sono, naturalmente, le equazioni di Eulero relative al nostro caso. Complessiva-
mente si ha un sistema di sei equazioni differenziali (2.17), (2.18) del primo ordine fra le sei funzioni
incognite del tempo p, q, r, γ1 , γ2 , γ3 che, unitamente alla condizione γ12 + γ22 + γ32 = 1, dipende da
cinque costanti arbitrarie.
Supponendo risolto il sistema (2.17), (2.18) si trovano gli angoli di Eulero ψ, θ, ϕ che risolvono
completamente il problema. Infatti dalle solite equazioni fondamentali
γ1 = sin ϕ sin θ, γ2 = cos ϕ sin θ, γ3 = cos θ (2.19)
si traggono le espressioni di θ e ϕ in termini finiti di γ1 , γ2 , γ3 e quindi del tempo. Dopo di che
l’angolo di precessione ψ si ottiene con una quadratura dalla equazione (se γ1 6= 0)
p = γ1 ψ̇ + θ̇ cos ϕ. (2.20)
La quadratura, che fornisce la ψ, introduce una nuova costante arbitraria che, insieme con le 5
dell’integrale generale del sistema, dà le sei costanti da cui deve dipendere il più generale moto del
solido pesante con punto fisso (sistema olonomo a tre gradi di libertà).
Denominiamo giroscopio ogni solido il cui ellissoide baricentrale di inerzia sia rotondo,
cioé tale che, ad esempio, A = B e che l’asse giroscopico (O′ ; z ′ ) contenga il baricentro; in
tal caso l’ellissoide d’inerzia risulta rotondo anche rispetto ad ogni altro punto dell’asse.
54 2 Dinamica dei solidi
A = B, x′G = yG
′
= 0; (2.21)
′
dove abbiamo orientato l’asse giroscopico in modo che sia zG > 0. Il punto della semiretta (O′ ; z ′ )
che dista una unitá da O′ si chiama vertice del giroscopio e si denota con V .
Il momento delle forze attive si riduce alla forma
′
Ωe (O′ ) = pzG
′
k̂ × k̂, (2.22)
dove p = −mg denota il peso della trottola, da questa segue immediatamente che Ωz′ = 0. Le
equazioni differenziali, prese sotto la forma (2.17) e (2.18), danno l’ulteriore integrale primo
Kz′ ,0 che implica
C ṙ = 0 ⇒ r ≡ r0 . (2.23)
Abbiamo dunque, intanto, provato che in ogni moto del giroscopio pesante la velocità angolare
giroscopica si mantiene costante.
Inoltre i due integrali primi del momento verticale delle quantità di moto (2.13) e dell’energia
meccanica (2.14) qui, in base alle prime due della (2.21), assumono la forma
1 2 1
A p + q 2 + Cr2 − P zG
′
γ3 = E, (2.25)
2 2
con r costante. Osserviamo che in questo problema abbiamo i 3 integrali primi del moto
Kz , Kz′ ed E dati dalle (2.23), (2.24) e (2.25) e ciò rende possibile l’integrazione per
quadrature del problema.
Si noti subito che sotto le ipotesi di simmetria (2.21) qui ammesse abbiamo il seguente risultato:
Teorema. Il giroscopio pesante è suscettibile di infinite rotazioni uniformi attorno all’asse
′ ′
giroscopico nelle quali l’asse giroscopico è verticale e la velocità angolare ω = ω k̂ , k̂ = k̂,
ha verso ed intensità completamente arbitraria. Ogni altra retta del giroscopio (non necessari-
amente coincidente con l’asse giroscopico) passante per O diventa asse di rotazione permanente
soltanto quando sia disposta lungo la verticale in uno, ben definito, dei due versi possibili,
dopo di che risulta determinato univocamente il valore assoluto della corrispondente velocità angolare
(mai inferiore ad un dato valore critico).
Dimostrazione: Ricordiamo ora che il moto del giroscopio pesante è caratterizzato dall’equazione
dinamica (equazione cardinale dei momenti)
2.5 Rotazioni uniformi del giroscopio pesante 55
! !
dK(O′ ) dK(O′ )
= + ω × K(O′ )
dt O
dt O′
′ ′
= P zG k̂ × k̂ (2.26)
e dalla equazione cinematica
! !
dk̂ dk̂
= + ω × k̂ = 0, (2.27)
dt O
dt O′
da cui segue che l’asse di rotazione permanente deve essere disposto verticalmente, cioé ω = ω k̂ e
dove, denotando al solito con θ l’angolo di nutazione (assunto diverso da 0 e π per non ricadere nel
caso precedente) vale la relazione
r = ω cos θ.
56 2 Dinamica dei solidi
e viceversa, tutte le volte che tale relazione è soddisfatta per due valori θ e ω, allora il corrispondente
momento K(O′ ) sodisfa alla seconda equazione cardinale della Dinamica. Osserviamo ora che, pre-
fissata la direzione ed il verso, cioé θ, solo un solo valore di ω è permesso e viceversa. In ogni caso il
valore assoluto della velocità angolare non può scendere mai al di sotto di un dato valore critico
v
u ′
u P zG
t .
A − C
Inoltre si osserva anche che nelle rotazioni uniformi del giroscopio pesante (quando l’asse
giroscopico non è verticale) il baricentro si mantiene sempre al di sotto o sempre al di
sopra del piano orizzontale del punto fisso, secondo che l’ellissoide rotondo d’inerzia,
rispetto ad O è allungato A > C o schiacciato A < C.
Cerchiamo qui le precessioni regolari del giroscopio pesante, aventi per asse di precessione la
′
verticale del punto fisso e per asse di figura l’asse giroscopico. Poniamo dunque ω = µk̂ + ν k̂
denotando con µ e ν le componenti costanti di ω secondo l’asse giroscopico e la verticale ascendente
(dette rispettivamente velocità angolare propria e velocità angolare di precessione del corpo).
Sostituendo nella (2.29) e risolvendo rispetto al momento K(O′ ), si trova
′
K(O′ ) = (Aµ − [A − C]r) k̂ + Aν k̂, (2.32)
quindi tutto si riduce a cercare se sia possibile soddisfare con una tale espressione di K(O′ ), dove r,
µ e ν siano costanti, all’equazione dinamica (2.26) del moto del giroscopio pesante. Sostituendo la
(2.32) nella (2.26) e ricordando che
′
dk̂ ′ ′
= ω × k̂ = ν k̂ × k̂
dt
O
si ottiene
′ ′
{(Aµ − [A − C]r) ν + P zG } k̂ × k̂ = 0
dove in ogni precessione regolare, che non si riduca ad una semplice rotazione intorno all’asse giro-
′
scopico, deve essere k̂ × k̂ 6= 0, si ottiene quindi la seguente equazione scalare
′
(Aµ − [A − C]r) ν + P zG = 0. (2.33)
′
Esplicitando, oltre che rispetto ai caratteri intrinseci del giroscopio A, C, p e zG , rispetto ai
parametri caratteristici della precessione e in particolare rispetto all’angolo costante θ di nutazione
′
si ottiene r = ω · k̂ = µ + ν cos θ e la (2.33) diventa
(A − C) ν 2 cos θ − Cµν + P zG
′
= 0. (2.34)
2.5 Rotazioni uniformi del giroscopio pesante 57
Tenendo conto degli integrali (2.24) e (2.25) e delle equazioni generali (2.18) (basta la terza), si
ottiene la equazione differenziale del primo ordine
ṡ2 = Φ(s), dove s = γ3 = cos θ.
In particolare ponendo
′
C 2P zG E Kz,0
= c, − = ρ2 , − ′ = h, = ρk, r = ρλ, (2.35)
A A P zG A
dove c e ρ sono due costanti positive dipendenti esclusivamente dalla distribuzione delle masse nel
corpo; mentre h, k, λ (al pari di E, Kz,0 e r da cui differiscono per un coefficiente di omogeneità)
sono costanti di integrazione ridotti a numeri puri. Con tali posizioni gli integrali primi (2.24) e
(2.25) assumono la forma
pγ1 + qγ2 = ρ(k − cλs), (2.36)
e tenendo conto della terza delle equazioni (2.18), si ottiene per la s l’equazione preannunciata
ṡ2
= (1 − s2 )(−s + h − cλ2 ) − (cλs − k)2 . (2.39)
ρ2
58 2 Dinamica dei solidi
Essa costituisce la risolvente del problema del moto del giroscopio pesante perché non appena si
è determinata l’espressione s = γ3 dalla (2.39) in funzione del tempo, si trovano (vedremo poi come)
con eliminazioni e quadrature le analoghe espressioni degli altri elementi incogniti del moto, cioé di
γ1 , γ2 , p, q (r è costante) o, addirittura, dei due angoli di Eulero ψ, ϕ. Resta cosı̀ stabilita la
integrabilità per quadrature del problema del moto del giroscopio pesante.
Escludiamo il caso λ = 0 (cioé il caso r = 0 che ci riporterebbe al caso caso di rotazione nulla attorno
all’asse giroscopico e quindi al pendolo sferico) e studiamo l’andamento qualitativo delle soluzioni
della equazione risolvente (2.39). Tale discussione si fonda sulla indagine delle radici (reali) del
polinomio di terzo grado che compare nella (2.39):
f (s) = f (s; λ, h, k)
= (1 − s2 )(−s + h − cλ2 ) − (cλs − k)2 . (2.40)
Nel caso di due radici semplici −1 < s1 < s2 < +1 la funzione s = cos θ, al trascorrere del tempo,
oscilla indefinitamente fra i due valori estremi s1 ed s2 ; il che, nei riguardi del giroscopio, vuol dire
che l’asse descrive nello spazio una superficie conica sempre compresa fra i due coni di rotazione ad
asse verticale di semi-apertura cos−1 s1 = θ1 > θ2 = cos−1 s2 , e raggiunge alternativamente l’uno e
l’altro (moto di nutazione dell’asse giroscopico). In particolare la traiettoria (sferica) del punto
V (detta traiettoria del vertice) è tutta compresa fra i due paralleli θ1 e θ2 e va, alternativamente
dall’uno all’altro in modo periodico.
Sempre nel caso di due radici semplici −1 < s1 < s2 < +1 siamo interessati ora a studiare
l’andamento della curva del vertice V sulla superficie sferica con particolare riguardo al caso in
cui tocca i paralleli. Si ricerca l’angolo α che la tangente alla curva al vertice, in un suo generico
′
punto, forma con il meridiano passante per essa di versore u. Questo versore, come ortogonale a k̂
′
e parallelo al piano verticale k̂, k̂ , risulta parallelo al componente equatoriale di k̂, cioé a γ1 ı̂′ + γ2 ̂′ ,
quindi si può scrivere
γ1 ı̂′ + γ2 ̂′ γ1 ı̂′ + γ2 ̂′
u= q = √ . (2.41)
1 − γ32 1 − s2
′
D’altra parte la velocità del vertice V , estremo libero del versore k̂ applicato in O′ , è data da
′ 2
′
dk̂ ′ dk̂
= ω × k̂ ⇒ = p2 + q 2 .
dt dt
dalle (2.41) e dalla terza delle equazioni (2.18). Quindi nell’istante in cui il vertice va a trovarsi
sull’uno o sull’altro dei paralleli estremi, essendo ṡ = 0 ed essendo s1,2 6= ±1 si ha cos α = 0
(supponendo inoltre che nell’istante considerato p e q non sono entrambi nulli); il che vuol dire che
in generale la curva del vertice risulta tangente ai paralleli estremi nei punti, in cui
alternativamente, li raggiunge.
Resta il caso eccezionale in cui p = q = 0 quando il vertice raggiunge un parallelo estremo.
Dalla (2.42) segue che per ṡ 6= 0 devono essere, necessariamente, p e q non nulli. Poiché poi, in
corrispondenza di una delle due radici s = s1 o s = s2 sia p = q = 0 è necessario che per una tale
radice sussistano simultaneamente dalle (2.36) e (2.37) le due equazioni
k − cλs = 0, −s + h − cλ2 = 0.
60 2 Dinamica dei solidi
Andiamo a studiare l’andamento dell’angolo di precessione ψ durante il moto. Dalla (2.24) e dal
fatto che Cr = Kz′ ,0 è un integrale primo del moto si ottiene che
Kz,0 − Kz′ ,0 cos θ
pγ1 + qγ2 = .
A
D’altra parte le (2.9) e le (2.19) danno
pγ1 + qγ2 = (θ̇ cos ϕ + ψ̇ sin ϕ sin θ) sin ϕ sin θ +
+(−θ̇ sin ϕ + ψ̇ cos ϕ sin θ) cos ϕ sin θ
= ψ̇ sin2 θ
ottenendo infine
Kz,0 − Kz′ ,0 cos θ a − bs k − cλs
ψ̇ = 2 = = ρ
A sin θ 1 − s2 1 − s2
2.5 Rotazioni uniformi del giroscopio pesante 61
K
dove s = cos θ, a = KAz,0 = ρk e b = A z ,0 ′
= cr = ρcλ.
Se s̄ = cλ/k è interno all’intervallo (s1 , s2 ) allora la velocità di precessione sui paralleli, definiti da
θ1 e θ2 , è opposta e il vertice V si muove sulla superficie sferica tracciando una curva con dei nodi;
se invece è esterno allora il moto di precessione è monotono; infine abbiamo il caso limite in cui uno
dei due valori s1 o s2 coincide con s̄, questo caso è già stato visto in precedenza e la curva presenta
una cuspide quando tocca una delle due quote (necessariamente quella corrispondente al parallelo
massimo).
Esaminiamo il caso in cui il polinomio f (s) ammetta nell’intervallo da −1 a +1 (estremi inclusi) una
radice multipla s0 . Esclusa l’eventualità cλ = k, sappiamo che non può trattarsi se non di una radice
doppia s0 , isolata nel senso che il polinomio f (s) in ogni altro punto dell’intervallo risulta negativo.
Il moto corrispondente è di necessità un moto merostatico, in cui conserva indefinitamente il
suo valore iniziale s0 . Ciò vuol dire che l’asse giroscopico appartiene costantemente al cono di
rotazione intorno alla verticale di angolo θ0 = cos−1 s0 . È facile verificare che il moto del
solido si riduce ad una precessione regolare:
e eγ3 ′
ω=q k̂ + r − q k̂ ,
1 − γ32 1 − γ32
Facciamo infine vedere che, una volta determinata γ3 integrando la (2.39), anche gli altri elementi
(p, q, γ1 e γ2 ) si possono calcolare con quadrature. Dalle (2.36) e (2.38) segue che
pγ1 + qγ2 = Θ1 (t) e qγ1 − pγ2 = Θ2 (t)
dove Θ1 e Θ2 denotano due funzioni note una volta sia noto s = s(t). Denotando ζ = p + iq e
µ = γ1 + iγ2 segue che
Θ1 + iΘ2
ζ µ̄ = Θ1 + iΘ2 ovvero ζ = µ . (2.44)
1 − γ32
D’altra parte dalle (2.18) risulta
µ̇ = −irµ + iγ3 ζ
che, unitamente alla (2.44) dà
62 2 Dinamica dei solidi
d log µ Θ1 + iΘ2
= −ir + iγ3
dt 1 − γ32
che, mediante una quadratura, permette di determinare µ = µ(t) e quindi γ1 (t) = ℜµ e γ2 = ℑµ.
Inoltre, nota µ(t), è possibile determinare poi ζ(t), e quindi p(t) e q(t), dalla (2.44).
Ipotizziamo che la componente costante r della velocità angolare giroscopica sia, durante tutto il
moto, rilevante non solo di fronte alle altre due componenti p e q, ma anche di fronte alla costante
strutturale ρ definita dalla relazioni (2.35); da quest’ultima ipotesi segue che anche la costante λ
definita dalle (2.35) va ritenuta molto grande. Quindi una trottola si dice ”veloce” se l’energia
cinetica di rotazione è molto maggiore dell’energia potenziale, cioé se
1 2 ′
Cr ≫ mgzG .
2
Inoltre dall’integrale primo dell’energia nella forma (2.37) segue che
p2 + q 2
h = cλ2 + h1 , h1 = +s (2.45)
ρ2
dove h1 è indipendente da λ e molto piccolo rispetto a λ stesso. Analogamente l’integrale primo
(2.36) del momento assiale della quantità di moto si può scrivere
pγ1 + qγ2
k = cλs + R1 , R1 = (2.46)
ρ
dove il termine R1 è un termine indipendente da λ; cosicché se ne trae
R1
s = γ3,0 − ; (2.47)
cλ
dove R1 /cλ si mantiene trascurabile di fronte alla grandezza costante s̄ = γ3,0 = k/cλ. Riconosciamo
cosı̀ che, quando il giroscopio è animato di una rotazione rapida intorno al suo asse, questo conserva
sensibilmente un’inclinazione costante sulla verticale (cos θ̄ = s̄ = k/cλ).
Da quanto è noto le espressioni degli altri due angoli di Eulero ψ e ϕ soddisfano alle due equazioni
ρ(k − cλs)
ψ̇ = , ϕ̇ = r − ψ̇s. (2.53)
1 − s2
Poiché s differisce da s̄ = k/cλ per termini dell’ordine 1/λ e ρλ = r, la ψ̇ assume la forma
s − s̄ crǫ0
ψ̇ = −cr 2
≈− cos[cr(t − t0 )] + ν
1−s 1 − s̄2
ρa
dove abbiamo posto ν = cλ(1−s̄2 )
. Da qui si desume
ǫ0
ψ = νt + sin [cr(t − t0 )] + cost. (2.54)
1 − s̄2
Come si vede, ψ risulta dalla somma di due termini, di cui il primo, proporzionale al tempo, cor-
risponde ad una rotazione uniforme dell’asse di figura, lenta di fronte alla rotazione giroscopica (di
velocità angolare r), mentre il secondo, periodico (di periodo 2π/cr), dà luogo a piccole oscillazioni
intorno a tale moto precessionale.
Resta da valutare ϕ. Sostituendo anche nella espressione (2.53) di ϕ̇ a s il suo valore medio s̄, si
ottiene
ϕ̇ ≈ r − ψ̇s̄;
da cui
s̄ǫ0
ϕ = (r − ν s̄)t − sin [cr(t − t0 )] + cost. (2.55)
sin θ̄
che in prima approssimazione si riduce a ϕ ≈ rt.
una σ̄ per cui sia s = +1, p = 0, q = 0 mentre a λ e, quindi, ad r compete un valore costante
generico. Consideriamo ora una generica σ inizialmente prossima a σ̄; cioé tale che il valore iniziale
s0 di s sia prossimo a +1 e i valori iniziali p0 e q0 di p e q siano prossimi a zero (r coincide sempre
con r0 e lo prendiamo coincidente con quello di σ̄). Ora dall’integrale delle forze vive
che ha radici s̄1 = s̄2 = +1 e s̄3 = c2 λ̄2 − 1. È manifesto che, per ragioni di continuità, per λ1 , h1 , k1
prossimi a zero il polinomio (2.57) avrà due radici s1 , s2 prossime entrambe a +1 e, in più, una terza
radice s3 prossima a s̄3 = c2 λ̄2 − 1. Si prova che:
a) Ogni rotazione permanente σ̄, la cui velocità angolare renda soddisfatta la disuguaglianza
√
2
|λ̄| > (2.60)
c
è stabile; infatti, in tal caso s̄3 > +1 e quindi il polinomio (2.57) ha due radici s1 e s2 prossime a
+1 ed una s3 > +1; quindi il moto avviene con s(t) che oscilla tra s1 e s2 , cioé in prossimità di
+1;
b) Altrettanto può dirsi nel caso limite
√
2
|λ̄| = , (2.61)
c
in cui s̄3 = +1, che dà luogo alla radice tripla s = +1, giacché qui ancora la più grande delle tre
radici corrispondenti ad una generica σ, inizialmente prossima a σ̄, √è di necessità vicina a +1.
c) Se invece la s̄3 è interna all’intervallo (−1, +1), cioé se |λ̄| < c2 , quindi la σ ha tre radici
−1 < s3 < s1 ≤ +1 ≤ s2 e quindi la s oscilla indefinitamente tra s1 ed s3 e quindi si scosta da +1
per un intervallo finito dando luogo alla instabilità di σ̄.
66 2 Dinamica dei solidi
Si può concludere che: delle rotazioni uniformi del giroscopio pesante intorno all’asse
giroscopico, disposto verticalmente con il baricentro al di sopra del punto fisso, quelle
veloci (c2 λ2 ≥ 2) sono stabili. La velocità critica, al di sotto della quale si perde la stabilità è
data da
2q ′
|r| = A|p|zG .
C
Si assuma come soluzione campione σ̄ una generica precessione regolare per cui la s = cos θ conserva,
durante tutto il moto, il suo valore iniziale s̄0 = cos θ̄0 dove s̄0 è una radice doppia del polinomio f (s)
interna all’intervallo (−1, +1) (è interna altrimenti si rientrerebbe nel caso precedente). Il polinomio
f (s) ammette quindi, per ogni altra soluzione σ prossima a σ̄, due radici reali prossime a s̄0 e quindi
nei riguardi del solo parametro s ogni precessione regolare risulta stabile. Ma questa stabilità
ridotta non implica, a differenza del caso precedente, la stabilità globale relativa ai parametri p e
q. Infatti in virtù dell’integrale delle forze vive
Distinguendo tra forze attive e vincolari durante il moto varranno le equazioni fondamentali
mas = Fs + φs , s = 1, . . . , N, (3.1)
che si possono scrivere
Fs − mas = −φs . (3.2)
Per sistemi a vincoli perfetti la relazione
N
X N
X
φs · δPs ≥ 0 =⇒ (Fs − ms as ) · δPs ≤ 0 (3.3)
s=1 s=1
è da considerarsi valida per tutti e soli gli spostamenti virtuali δPs , a partire dalla configurazione
assunta dal sistema, durante il suo moto, nel generico istante che si considera. La (3.3) prende il
nome di relazione simbolica della Dinamica; nel caso di spostamenti invertibili va sostituita alla
corrispondente equazione
N
X
(Fs − ms as ) · δPs = 0 (3.4)
s=1
Riferiamo il nostro sistema olonomo ad una n−upla qualsiasi di coordinate lagrangiane indipendenti
qh , dove n denota il grado di libertà del sistema. Le relazioni Ps = Ps (q; t) derivate rispetto al tempo
danno le velocità
n
X ∂Ps ∂Ps
vs = q̇h + (3.5)
h=1 ∂qh ∂t
dove
N
X ∂Ps
Qh = Fs · (3.8)
s=1 ∂qh
è la componente della sollecitazione attiva secondo la coordinata Lagrangiana qh . Quanto
al primo membro della (3.7) esso si può scrivere, dalla (3.6), come
N
X n
X N
X ∂Ps
ms as · δPs = τh δqh , dove τh = ms a s · . (3.9)
s=1 h=1 s=1 ∂qh
In base alla arbitrarietà dei termini δqh e alle due identità (3.8) e (3.9) l’equazione simbolica della
Dinamica (3.4) equivale alle n equazioni:
τh = Qh , h = 1, 2, . . . , n. (3.10)
Si conclude cosı̀ che per ogni sistema olonomo, a vincoli lisci e bilateri le n equazioni (3.10)
equivalgono alla equazione simbolica della Dinamica e devono essere soddisfatte durante
il moto.
Le (3.10) si possono poi scrivere nella seguente forma, dette equazioni di Lagrange:
d ∂T ∂T
− = Qh , h = 1, 2, . . . , n. (3.11)
dt ∂ q̇h ∂qh
La dimostrazione è immediata e segue ricordando che
N
1X
T = ms v s · v s
2 s=1
N
X
∂T ∂vs
= ms v s ·
∂qh s=1 ∂qh
e
N
X N
∂T ∂vs X ∂Ps
= ms v s · = ms v s · .
∂ q̇h s=1 ∂ q̇h s=1 ∂qh
Derivando quest’ultima rispetto al tempo si ottiene che
! N N
d ∂T X ∂Ps X ∂vs ∂T
= m s as · + ms v s · = Qh + .
dt ∂ q̇h s=1 ∂qh s=1 ∂qh ∂qh
Notiamo che, nelle (3.11), tutto ciò che dipende dalla sollecitazione attiva è riassunto nelle sue
componenti lagrangiane Qh , tutto quello che attiene alla struttura materiale del sistema è sintetiz-
zato nell’unico elemento globale T , cioé nella forza viva. Esse danno la completa impostazione del
problema del moto di un sistema olonomo; sotto l’aspetto analitico, costituiscono un sistema
differenziabile del II ◦ ordine nelle n funzioni incognite qh (t), riducibile a forma normale.
Noti i valori qh0 e q̇h0 di qh e q̇h in un determinato istante, cioé assegnate la configurazione iniziale del
sistema e le velocità iniziali dei singoli punti, allora avremo, per i noti teoremi di esistenza ed unicità
delle equazioni differenziali, una unica soluzione qh = qh (t) delle (3.11) che darà, necessariamente,
il moto del sistema. Cioé: assumendo i vincoli perfetti, bilateri e olonomi e le necessarie
condizioni di regolarità sulle forze e sulle relazioni che definiscono le configurazioni del sistema a
partire dalle coordinate lagrangiane, dai teoremi di esistenza e unicità delle soluzioni delle equazioni
differenziali segue che le soluzioni delle equazioni di Lagrange, assegnate le condizioni iniziali, sono
uniche e quindi devono necessariamente coincidere con le leggi del moto; ovvero le soluzioni delle
equazioni di Lagrange danno il moto del sistema.
Se supponiamo che la funzione Lagrangiana L sia indipendente da una (o più) delle variabili qh ,
per esempio dalla q1 , allora l’equazione (3.12) di indice h = 1 fornisce immediatamente l’integrale
primo
∂L
p1 = = Cost.. (3.14)
∂ q̇1
Gli integrali di questo tipo si dicono integrali primi dei momenti e le coordinate qh , che
non comparendo nella funzione Lagrangiana danno luogo a tali integrali, si chiamano ignorabili o
cicliche.
Se nella funzione Lagrangiana L alcune (per fissare le idee le prime m) coordinate qk , k = 1, . . . , m,
sono cicliche, cioé
L = L(q̇1 , . . . , q̇n , qm+1 , . . . , qn ; t) = L(q̇, q′ ; t), q′ = (qm+1 , . . . , qn )
allora il corrispondente sistema lagrangiano ammette gli m integrali primi dei momenti
∂L
pk = = ck = cost., k = 1, 2, . . . , m. (3.15)
∂ q̇k
Supponiamo che il sistema delle m equazioni (3.15) sia risolubile rispetto ad m delle q̇; ciò è sempre
vero quando il rango della matrice Hessiana
!
∂ 2L
∂ q̇h ∂ q̇k h=1,...,n, k=1,...,m
è uguale a m. Nel caso particolare in cui L = T + U allora l’Hessiano è una matrice definita positiva
e quindi il minore formato dalle prime m righe e colonne ha determinante non nullo; cosicché le
equazioni (3.15) sono risolubili rispetto alle derivate q̇k delle m coordinate cicliche qk ottenendo
q̇k = q̇k (q̇′ , q′ ; t), q′ = (qm+1 , . . . , qn ). (3.16)
Le ultime n − m equazioni di Lagrange
d ∂L ∂L
− = 0, h = m + 1, . . . , n,
dt ∂ q̇h ∂qh
che già per ipotesi non contengono le q1 , . . . , qm , si possono quindi rendere indipendenti anche dalle
componenti q̇k , q̈k , k = 1, . . . , m, sostituendo a ciascuna di queste l’espressione in termini delle qh ,
q̇h , q̈h (h > m) e delle ck fornita dalle (3.16). Si perviene cosı̀ ad un sistema differenziale del secondo
ordine, che coinvolge soltanto le n − m incognite qh (h = m + 1, . . . , n).
È possibile provare che questo sistema nelle residue n − m coordinate lagrangiane conserva ancora
la forma Lagrangiana dove per Lagrangiana si ha la funzione Lagrangiana ridotta data da
m
X
⋆
L =L− ck q̇k , (3.17)
k=1
dove alle q̇k vanno sostituite le loro espressioni in termini delle qh , q̇h , h = m + 1, . . . , n e ck , k =
1, . . . , m, date dalla (3.16). Le verifica è immediata, per fissare le idee assumiamo m = 1 e la sola
prima coordinata ciclica in modo che sia (esprimendo la dipendenza)
3.5 Esempio: problema di Keplero. 71
L⋆ = L⋆ (q̇′ , q′ , c1 ; t)
= L [q̇1 (q̇′ , q′ , c1 ; t), q̇′ , q′ ; t] − c1 q̇1 (q̇′ , q′ , c1 ; t)
dove q′ = (q2 , . . . , qm ) e quindi
∂L⋆ ∂L ∂L ∂ q̇1 ∂ q̇1 ∂L
= + − c1 = , h > 1,
∂qh ∂qh ∂ q̇1 ∂qh ∂qh ∂qh
in virtù delle (3.15). Analogamente si ottiene
∂L⋆ ∂L ∂L ∂ q̇1 ∂ q̇1 ∂L
= + − c1 = , h > 1.
∂ q̇h ∂ q̇h ∂ q̇1 ∂ q̇h ∂ q̇h ∂ q̇h
Il caso m > 1 è perfettamente analogo.
Una volta risolte le equazioni di Lagrange per la Lagrangiana ridotta e quindi determinate le
n − m funzioni qh (t), h > m, la determinazione delle rimanenti qk (t), k ≤ m, funzioni avviene per
quadratura delle equazioni differenziali
∂L⋆
q̇k = − .
∂ck
Infatti, assumendo ancora m = 1,
∂L⋆ ∂L ∂ q̇1 ∂ q̇1
= − c1 − q̇1 = −q̇1
∂c1 ∂ q̇1 ∂c1 ∂c1
in virtù delle (3.15).
in modo che sia v(0) incidente sull’asse z e quindi ϕ̇0 = 0. Con questa scelta e dalla relazione (3.18)
segue che deve essere
pϕ = mr2 sin2 θϕ̇ ≡ 0
e quindi ϕ ≡ ϕ0 , cioé il moto avviene in un piano fisso contenente O1 (e quindi anche il
baricentro tra i due punti).
Riducendo ulteriormente la Lagrangiana otteniamo, dove ora θ e r hanno il significato di coordinate
polari su tale piano, che la nuova Lagrangiana (denotata sempre nello stesso modo) diventa
1
L⋆ = m(ṙ2 + r2 θ̇2 ) + U (r) ,
2
da cui risulta una ulteriore coordinata ciclica (per questa Lagrangiana ridotta) data da θ e avremo
che
∂L⋆
pθ = = mr2 θ̇ = costante. (3.19)
∂ θ̇
Questo integrale primo coincide con l’integrale primo dei momenti e dà la costanza della velocità are-
olare. È infine possibile ridurre ulteriormente la Lagrangiana ottenendo come (ultima) Lagrangiana
ridotta la seguente
1
L⋆ = m(ṙ2 + r2 θ̇2 ) + U (r) − pθ θ̇
2 !
2
1 2 2 pθ pθ
= m ṙ + r 2 4 + U (r) − pθ 2
2 mr mr
1 1 p2θ 1
= mṙ2 − 2
+ U (r) = mṙ2 − Uef f (r),
2 2 mr 2
dove abbiamo introdotto il potenziale efficace
1 p2θ
Uef f (r) = − U (r).
2 mr2
Per completare lo studio di questo problema non utiliziamo le equazioni di Lagrange ma, facendo
uso dell’integrale primo della energia meccanica
1
E = mṙ2 − Uef f (r)
2
si ottiene
s s
2 2 p2
ṙ = [E + Uef f (r)] = [E − U (r)] + 2θ 2
m m mr
da cui, per separazione di variabili,
Z
dr
t= r + costante,
2 p2θ
m
[E − U (r)] + m2 r 2
74 3 Equazioni di Lagrange
che, integrata, dà r = r(t). Per la determinazione di θ(t) si integra per quadrature la equazione
Z
∂L⋆ pθ pθ
θ̇ = − = cioé θ(t) = dt
∂pθ mr2 mr2 (t)
che, con il cambio di variabili t → r per il quale dr = ṙdt, si ottiene la equazione delle traiettorie
Z
pθ 1
θ(r) = r dr.
mr2 (t) 2 p2θ
m
[E − U (r)] + m2 r 2
Studiamo ora il problema facendo uso delle equazioni di Lagrange invece che degli integrali primi del
moto dedotti attraverso le equazioni cardinali della Dinamica.
Introduciamo la funzione Lagrangiana che, in virtù delle (2.9) assume la seguente forma:
1 1
L = T + U = A p2 + q 2 + Cr2 + P zG ′
cos θ
2 2
1 1 2
′
= A θ̇2 + ψ̇ 2 sin2 θ + C ψ̇ cos θ + ϕ̇ − mgzG cos θ.
2 2
Appare quindi immediatamente che le coordinate ϕ e ψ sono cicliche e quindi abbiamo i due integrali
primi
∂L
pϕ = = C(ψ̇ cos θ + ϕ̇) = Cr = Kz′ ,0 (3.20)
∂ ϕ̇
e
∂L
pψ = = A sin2 θψ̇ + C cos θ ψ̇ cos θ + ϕ̇ = Kz,0 . (3.21)
∂ ψ̇
Osserviamo che tali integrali primi coincidono con le componenti del momento della quantità di moto
relativa all’asse (O′ ; z ′ ) e (O′ ; z). Come terzo integrale primo abbiamo, al solito, l’energia meccanica
totale (2.14) che scriveremo in coordinate lagrangiane come
A 2 C 2
θ̇ + ψ̇ 2 sin2 θ + ′
ψ̇ cos θ + ϕ̇ + mgzG cos θ = E. (3.22)
2 2
Dalle (3.20) e (3.21) si ricava immediatamente
pψ − pϕ cos θ pϕ pψ − pϕ cos θ
ψ̇ = e ϕ̇ = − cos θ (3.23)
A sin2 θ C A sin2 θ
che eliminate in (3.22) permettono di ottenere
1 2
Aθ̇ + Vef f (θ) = E ′
2
3.6 Integrazione per quadrature del giroscopio pesante 75
dove E ′ = E − mgzG
′
− p2ϕ /2C e
Sia dato un sistema lagrangiano, cioé un sistema di n equazioni differenziali del II ◦ ordine
d ∂L ∂L
− = 0, h = 1, 2, . . . , n, (4.1)
dt ∂ q̇h ∂qh
in n funzioni incognite q = q(t) della variabile indipendente t, q = (q1 , q2 , . . . , qn ); dove L =
L(q̇, q, t) = T − V è la funzione Lagrangiana. Sostituiamo ora al sistema (4.1) un sistema di 2n
equazioni differenziali del I ◦ ordine avente come incognite le n funzioni qh e n funzioni indipendenti
ph , h = 1, . . . , n. Il nuovo sistema si ottiene sostituendo al sistema (4.1) la relazione che lega le p, q, q̇
e t attraverso la relazione implicita
∂L
ph = , h = 1, 2, . . . , n. (4.2)
∂ q̇h
Le ph si dicono variabili coniugate o anche momenti.
Quando la funzione Lagrangiana proviene da un problema di moto di un sistema olonomo e a
vincoli ideali (eventualmente dipendenti dal tempo), soggetto a forze conservative , si ha
L = T + U, T = T2 + T1 + T0
con
n n
1 X X
T2 = ah,k q̇h q̇k , T1 = ah q̇h , (4.3)
2 h,k=1 h=1
mentre T0 e il potenziale U , al pari dei coefficienti ah,k , ah , dipendono soltanto dalle q ed, eventual-
mente, dal tempo t. La (4.2) assume la forma
n
X
ph = ah,k q̇k + ah , h = 1, 2, . . . , n, (4.4)
k=1
dove ah,k indica il generico elemento della inversa (ah,k ) della matrice (ah,k ). Le (4.2), da quanto
visto, forniscono n equazioni risolubili rispetto alle q̇ sotto la forma
q̇h = uh (p, q, t), h = 1, 2, . . . , n; (4.6)
mentre d’altra parte, le (4.1), in base alle (4.2) e alle loro equivalenti (4.6), danno le
!
∂L
ṗh = , h = 1, 2, . . . , n, (4.7)
∂qh q̇=u(p,q,t)
con che le derivate delle nuove incognite p risultano espresse in termini delle p, q e t. Si perviene cosı̀
al sistema normale del primo ordine nelle 2n funzioni incognite p, q, costituito dalle (4.7) e (4.6).
In particolare si ha che i secondi termini delle (4.6) e (4.7) si possono esprimere nel seguente modo:
( ∂H
ṗh = − ∂q
∂H
h
, h = 1, 2, . . . , n, (4.8)
q̇h = ∂p h
dove
n
X ∂L
H= q̇h − L (4.9)
h=1 ∂ q̇h
Confrontando queste due espressioni, ricordando le (4.2) e (4.7) e in forza della arbitrarietà di δqh e
δph si trova che devono essere verificate le (4.8).
4.2 Trasformata di Legendre 79
Osserviamo anche che differenziando la (4.10) tenendo ora variabile t si ottengono le relazioni
n
" #
X ∂H ∂H ∂H
dH = dph + dqh + dt
h=1 ∂ph ∂qh ∂t
e
n
" ! #
X ∂L ∂L ∂L
dH = q̇h dph − dqh + ph − dq̇h − dt
h=1 ∂qh ∂ q̇h ∂t
La trasformazione (4.9) che fa passare dalla funzione Lagrangiana L alla funzione Hamiltoniana H
è un caso particolare di trasformazione più generale che prende il nome di trasformata di Legendre.
Consideriamo, inizialmente, il caso n = 1. Sia f (x) una funzione di classe C 2 (a, b), dove (a, b) è
eventualmente non limitato, e convessa, cioé tale che f ′′ (x) > 0 per ogni x. L’equazione f ′ (x) = y,
per y in un opportuno intervallo (c, d), ammette una unica soluzione x = x(y). Tale funzione x(y)
ha una interpretazione geometrica elementare: introduciamo la funzione d(x, y) = xy − f (x) che
corrisponde alla distanza (con segno) tra il punto sulla curva di ascissa x ed il punto sulla retta,
passante per l’origine e con coefficiente angolare y; il punto x(y) è quello che rende, localmente,
massima tale distanza.
Per costruzione il grafico di f (x) è tangente alla retta con coefficiente angolare y in x(y).
Definizione. Si chiama trasformata di Legendre di f (x) la funzione
La trasformata di Legendre di g(y) sarà definita a partire dalla soluzione della equazione g ′ (y) = x
che, essendo g ′ (y) = x(y), ci dice che y(x) altro non è che l’inversa della funzione x(y). Premesso ciò
calcoliamo la trasformata di Legendre h(x) di g(y):
g(y) = y · x − f [x(y)].
f = f (x, α) = f (x1 , . . . , xn ; α1 , . . . , αm )
allora sarà y = y(x; α) e x = x(y; α), inoltre anche g dipende dagli stessi parametri e
∂g ∂f
= − , h = 1, . . . , m. (4.12)
∂αh y=y(x) ∂αh x=x
Infatti si avrà che x = x(y, α) e quindi g(y, α) = x(y, α)y − f [x(y, α), α] da cui
" #
∂g n
X ∂xj ∂f ∂xj ∂f ∂f
= yj − − =− .
∂αh y=y(x) j=1 ∂αh ∂xj ∂αh ∂αh ∂αh
∂H ∂L
Se applichiamo poi la relazione (4.12) allora segue ∂q h
= − ∂q h
e ∂H
∂t
= − ∂L
∂t
. Da questa relazione,
∂L ∂H ∂H
e tenendo conto che ṗh = ∂qh dalle equazioni di Lagrange, segue ṗh = − ∂qh . La relazione q̇h = ∂p h
vale poiché la trasformata di Legendre è involutiva. In questo modo si sono ritrovate le equazioni
canoniche di Hamilton.
denota la funzione delle p, q, t che dalla T2 si deduce sostituendovi al posto delle q̇ le loro espressioni
(4.5).
Se, in particolare, i vincoli non dipendono dal tempo allora l’energia cinetica si riduce alla
sua parte quadratica T2 e si ha più semplicemente
H = (T ) − U ; (4.15)
cioé la funzione Hamiltoniana non è altro che l’energia meccanica totale del sistema (espressa nelle
coordinate p e q). In particolare si ha che
n
1 X
(T ) = ah,k pk ph . (4.16)
2 h,k=1
tutto si riduce, oltre che alla sostituzione delle variabili, al cambiamento di ciascun coefficiente ah,h
nel suo reciproco 1/ah,h :
n
1X 1 2
(T ) = p .
2 h=1 ah,h h
Quando i vincoli non dipendono dal tempo, sostituendo la (4.16) nella (4.15) si riconosce che la
funzione Hamiltoniana è una funzione quadratica nelle p definita positiva, omogenea e a coefficienti
dipendenti dalle q.
1) Punto libero di massa m riferito ad un sistema di coordinate cartesiane (x, y, z). Abbiamo che
1 2
T = mẋ + mẏ 2 + mż 2 .
2
La corrispondente energia cinetica riferita nelle variabili coniugate, vale
!
1 p2x p2y p2z
(T ) = + + .
2 m m m
2) Punto libero di massa m riferito ad un sistema di coordinate polari sferiche (r, θ, ϕ). Abbiamo
che
1 2
T = mṙ + mr2 θ̇2 + mr2 sin2 θϕ̇2 .
2
La corrispondente energia cinetica riferita nelle variabili coniugate, vale
!
1 p2r p2 p2ϕ
(T ) = + θ2 + .
2 m mr mr2 sin2 θ
3) Punto libero di massa m riferito ad un sistema di coordinate polari cilindriche (r, θ, z). Abbiamo
che
1 2
T = mṙ + mr2 θ̇2 + mż 2 .
2
La corrispondente energia cinetica riferita nelle variabili coniugate, vale
!
1 p2r p2 p2
(T ) = + θ2 + z .
2 m mr m
4.5 Significato fisico dei momenti coniugati 83
Consideriamo un solido fissato in un punto O e assumiamo come parametri lagrangiani gli angoli
di Eulero θ, ϕ e ψ. Con una scelta opportuna del sistema di riferimento solidale con origine in O
l’energia cinetica ha la forma
1 2
T = Ap + Bq 2 + Cr2
2
dove si ricorda
p = ψ̇ sin θ sin ϕ + θ̇ cos ϕ = α3 ψ̇ + θ̇ cos ϕ
q = ψ̇ sin θ cos ϕ − θ̇ sin ϕ = β3 ψ̇ − θ̇ sin ϕ
r = ψ̇ cos θ + ϕ̇ = γ3 ψ̇ + ϕ̇
essendo
α3 = sin θ sin ϕ
3 β = sin θ cos ϕ
γ = cos θ
3
i coseni direttori dell’asse fisso (O; z) rispetto agli assi solidali. I momenti coniugati valgono
∂T
pθ = ∂ θ̇
= Ap cos ϕ − Bq sin ϕ,
∂T
pϕ = ∂ ϕ̇
= Cr, .
pψ = ∂T
= Apα3 + Bqβ3 + Crγ3
∂ ψ̇
e quindi
" #
1 (pθ cos ϕ + σ sin ϕ)2 (pθ sin ϕ − σ cos ϕ)2 p2ϕ
(T ) = + + .
2 A B C
Supponiamo che una coordinata qh sia ciclica, cioé L non dipende esplicitamente da qh . In questo
caso il momento coniugato ph = ∂∂L
q̇h
si conserva poiché
d ∂L ∂L
ṗh = = =0
dt ∂ q̇h ∂qh
e esse assumono, sotto alcune circostanze, un significato fisico notevole.
84 4 Equazioni canoniche di Hamilton
4.5.1 Significato fisico della costante del moto ph quando la coordinata ciclica qh è una coordinata
cartesiana
4.5.2 Significato fisico della costante del moto ph quando la coordinata ciclica qh è un angolo
∂vs ∂Ps
= = câ × (Ps − O) .
∂ q̇h ∂qh
Sostituendo tale relazione nella (4.19) otteniamo
N
X N
X
ph = c ms vs · â × (Ps − O) = c ms vs × (O − Ps ) · â.
s=1 s=1
Da questo teorema segue che se il sistema meccanico è invariante per rotazioni rigide
intorno a un certo asse, allora si conserva la componente del momento angolare totale
rispetto a quell’asse. Ad esempio: nel moto per inerzia di un corpo rigido con punto fisso O, si
conserva il momento angolare rispetto a un qualunque asse. Infatti, facendo uso degli angoli
di Eulero
′
ω = ψ̇ k̂ + θ̇N̂ + ϕ̇k̂
Nel moto per inerzia L = T = 12 (Ap2 + Bq 2 + Cr2 ) è indipendente da ψ e quindi invariante per
rotazioni intorno all’asse (O; z) poiché l’angolo ψ individua le rotazioni rigide attorno a tale asse.
Dunque si conserva il momento angolare rispetto all’asse z. Per l’assenza di forze esterne in realtà
z si può scegliere a piacere, dunque si conserva il momento angolare.
Sarà utile nel seguito introdurre una notazione vettoriale per le equazioni canoniche di Hamilton
(4.8). Sia
! !
p On −In
x= e J=
q In On
dove In e On sono, rispettivamente, la matrice identità e la matrice nulla di ordine n; nella notazione
matriciale conviene assumere p e q come vettori colonna.
Nota! bene: Con abuso di notazione indichiamo indifferentemente x = (p, q), vettore riga, o
p
x= , vettore colonna, a seconda delle circostanze.
q
Le equazioni canoniche di Hamilton assumono quindi la seguente forma:
∂H
!
∂p
ẋ = J grad H(p,q) = J ∂H (4.21)
∂q
86 4 Equazioni canoniche di Hamilton
dove il gradiente è effettuato facendo prima le derivate rispetto alle p e poi alle q. L’operatore
J grad (p,q) viene talvolta chiamato gradiente simplettico.
Osserviamo che questa notazione suggerisce la seguente interpretazione:
!
− ∂H
∂q
J grad (p,q) H = ∂H (4.22)
∂p
definisce un campo vettoriale sullo spazio delle fasi e le (4.21) sono le equazioni per le linee di
flusso di tale campo. Questo campo prende anche il nome di campo Hamiltoniano. Si dimostra
che tale campo vettoriale è solenoidale:
Teorema. Se H ammette derivata continua fino al secondo ordine nelle q e p allora
h i
div J grad (p,q) H = 0.
Sia n = 1, quindi lo spazio delle fasi è il piano (p, q) ∈ R2 , e sia H = H(p, q) = 12 (p2 + ω 2 q 2 ) la
funzione Hamiltoniana per l’oscillatore armonico. In ogni punto del piano delle fasi è applicato il
campo Hamiltoniano
∂H
! !
∂p p
J grad (p,q) H = =
− ∂H
∂q
−ω 2 q
dell’oscillatore armonico conviene derivare la prima delle (4.23) e sostituirvi la seconda ottenendo
q̈ = −ω 2 q. Alla soluzione generale:
(
q(t) = A cos(ωt) + B sin(ωt)
p(t) = −Aω sin(ωt) + Bω cos(ωt)
88 4 Equazioni canoniche di Hamilton
Esso è, per ogni t, una trasformazione lineare. Nel caso speciale ω = 1 è una rotazione di angolo t
intorno all’origine. Osserviamo che la S t è la mappa di evoluzione al tempo t. Non dipendendo poi
esplicitamente H dal tempo, allora anche il campo vettoriale J grad (p,q) H dipende solo dal punto
(p, q). Quindi S s , applicata al punto S t (p0 , q0 ), dà risultato uguale a quello della mappa S t+s applicata
a (p0 , q0 ).
Il flusso Hamiltoniano (4.24) per l’oscillatore armonico è definito attraverso la trasformazione lineare
associata alla matrice
!
cos(ωt) ω −1 sin(ωt)
−ω sin(ωt) cos(ωt)
Si osserva facilmente che questa matrice ha determinante 1, ciò significa che la trasformazione lineare
del piano su sé stesso lascia inalterate le misure dei volumi. Questa è una notevole proprietà generale
del flusso Hamiltoniano valida per ogni sistema. Infatti, vale il seguente:
Teorema di Liouville: Il flusso Hamiltoniano nello spazio delle fasi conserva i volumi.
Dimostrazione: Dobbiamo fare vedere che per ogni t l’immagine Ω(t) = S t (Ω) di un qualsiasi
dominio Ω ⊂ R2n di frontiera regolare ha la stessa misura di Ω. A tal fine introduciamo la fun-
zione v(t) = volume[Ω(t)] e consideriamo la funzione v̇(t). La variazione di volume nell’intervallo
infinitesimo dt è data, a meno di infinitesimi di ordine superiore, da
Z h i Z h i
dv = J grad (p,q) H dσdt = div J grad (p,q) H dV dt
∂Ω(t) n Ω(t)
da cui segue
Z h i
v̇ = div J grad (p,q) H dV
Ω(t)
h i h i
dove J grad (p,q) H = J grad (p,q) H · N̂ essendo N̂ la normale esterna; pertanto v̇(t) è il flusso del
n
campo uscente attraverso la superficie
h ∂Ω(t). Da i ciò, dal teorema della divergenza e dal fatto che
la divergenza del campo vettoriale J grad (p,q) H è nulla segue v̇ = 0.
Da questo Teorema si ha la seguente proprietà: chiamando punti singolari le soluzioni costanti
della equazione
ẋ = J grad (p,q) H
h i
allora si dimostra che ogni punto singolare del sistema ẋ = J grad (p,q) H con div J grad (p,q) H =
0 non può essere asintoticamente stabile. Infatti se x0 fosse asintoticamente stabile allora es-
isterebbe una sfera di centro x0 tale che le traiettorie in essa originate tenderebbero asintoticamente
4.7 Coordinate cicliche — formalismo Hamiltoniano 89
si ha immediatamente che
n
X n
∂H ∂ q̇j X ∂L ∂ q̇j ∂L ∂L
= pj − − =− .
∂qh j=1 ∂qh j=1 ∂ q̇j ∂qh ∂qh ∂qh
In particolare si possono avere i risultati già noti nella meccanica Lagrangiana nel caso di variabili
cicliche; infatti se la funzione L(q̇, q, t) di un sistema lagrangiano non dipende da una data qh ,
altrettanto accade nelle (4.2) e nelle (4.6) (che derivano dalle (4.2) risolvendole rispetto alle q̇).
Si ha il seguente risultato:
Teorema. Se vi è una coordinata ciclica qh allora il momento coniugato ph è un integrale primo
del moto; inoltre il problema si riconduce a equazioni di Hamilton di un sistema ad n − 1 gradi di
libertà.
Dimostrazione: Supponiamo per semplicità h = 1, cioé sia H indipendente da q1 , quindi si ha
∂H
∂q1
= 0, e risulta dalla corrispondente equazione (4.8) che sussiste l’integrale
p1 = Cost. = α. (4.26)
Se ne consegue che la funzione Hamiltoniana H(p, q, t) dipenderà dalle 2(n−1) variabili (p2 , . . . , pn , q1 , . . . , q
da t (eventualmente) e dal parametro α. Le equazioni (4.8) si riducono ad un sistema di 2(n − 1)
equazioni e, una volta risolto questo, la residua equazione q̇1 = ∂H
∂α
può essere risolta per quadrature
ottenendo
Z t ∂H[p2 (t), . . . , pn (t), q2 (t), . . . , qn (t); α, t]
q1 (t) = q1 (t0 ) + dt.
t0 ∂α
Osserviamo che nel formalismo lagrangiano il fatto che q1 sia ciclica non diminuisce il numero di
gradi di libertà: in generale la Lagrangiana resta funzione della velocità generalizzata q̇1 e restano
da risolvere n equazioni in n incognite (a meno di non introdurre la Lagrangiana ridotta con che
si riduce il sistema di un grado di libertà). Nel formalismo hamiltoniano, invece, la coordinata
ciclica è davvero ”ignorabile”. Infatti:
q1 ciclica ⇒ p1 (t) ≡ α ⇒ H = H(p2 , ..., pn , q2 , ..., qn , α, t).
Di fatto ora la Hamiltoniana descrive un sistema con n − 1 gradi di libertà: la coordinata ciclica è
tenuta in considerazione solo tramite la costante α, da determinare in base ai dati iniziali.
Definizione. Una quantità osservabile è una funzione g(p, q, t) delle coordinate, dei momenti gen-
eralizzati ed eventualmente del tempo (ad esempio l’energia, il momento angolare rispetto a un asse,
etc.). La parentesi di Poisson tra due osservabili f, g è definita come:
n
!
X ∂f ∂g ∂f ∂g
{f, g} := − . (4.27)
h=1 ∂ph ∂qh ∂qh ∂ph
4.8 Parentesi di Poisson 91
4.8.1 Esempio
quindi le equazioni di Hamilton, dove H rappresenta una funzione Hamiltoniana, si scrivono in modo
simmetrico:
(
ṗh = {H, ph }
.
q̇h = {H, qh }
ed il termine che contiene le derivate seconde di h sarà analogo mentre la funzione f compare
esclusimante attraverso le sue derivate prime. Le derivate seconde di g compaiono anche nell’altro
termine {h, {f, g}} = −{h, {g, f }} che è simile a quello appena calcolato a meno del segno e dello
scambio tra f e h, più precisamente si ha che questo contributo è dato da
n
" #
X ∂h ∂ 2 g ∂f ∂h ∂ 2 g ∂f ∂h ∂ 2 g ∂f ∂h ∂ 2 g ∂f
− − − +
j,ℓ=1 ∂qℓ ∂qj ∂pℓ ∂pj ∂qℓ ∂pj ∂pℓ ∂qj ∂pℓ ∂qℓ ∂qj ∂pj ∂pℓ ∂qℓ ∂pj ∂qj
cioé è uguale ed opposto al termine precedentemente calcolato (in virtù del Teorema di Schwartz
sullo scambio di derivate). Da ciò segue che il termine {f, {g, h}} + {h, {f, g}} + {g, {h, f }} non
contiene derivate seconde di g e, in modo analogo, di f e h e quindi deve essere necessariamente
nullo.
4.8.3 Applicazioni
4.9 Esercizi
1) Sia data un’asta AB rigida omogenea, di lunghezza ℓ e massa m, mobile nel piano (O; x, y), (O; y)
verticale ascendente, e vincolata in A a scorrere senza attrito sull’asse (O; x). Sull’asta agisce,
oltre che alla forza peso, una forza costante (B, F = Fı̂), F > 0. Assumendo come parametri
lagrangiani la coordinata ascissa di A e l’angolo che l’asta forma con l’asse orizzontale, si domanda:
i) la funzione Lagrangiana;
ii) la funzione Hamiltoniana;
iii)le equazioni canoniche di Hamilton.
94 4 Equazioni canoniche di Hamilton
Denotando con k la costante di elasticità delle due molle esterne e con K quella della molla interna
e assumendo quali parametri lagrangiani le distanze tra A e P1 e tra P2 e B si domanda:
i) la funzione Lagrangiana;
ii) la funzione Hamiltoniana;
iii)le equazioni canoniche di Hamilton.
5
Principio variazionale di Hamilton.
5.1 Premesse
Si è già visto come tutte le leggi della Meccanica dei sistemi materiali a vincoli privi di attrito siano
sostanzialmente sintetizzate nel principio dei lavori virtuali o nella conseguente relazione sim-
bolica della Dinamica. È comunque possibile ottenere formulazioni sostanzialmente equivalenti
in modo diverso richiedendo che le leggi della Meccanica soddisfino a certe principi variazionali. In
questo capitolo studieremo il principio di minima azione di Hamilton. In ogni caso supporremo
che si tratti di sistemi materiali soggetti esclusivamente a vincoli bilaterali e privi di attrito.
è detto azione (nel senso di Hamilton) durante un intervallo di tempo (t1 , t2 ) prefissato. L’azione
A è un funzionale che dipende dalle funzioni q(t) = (q1 (t), q2 (t), . . . , qn (t)).
Se specifichiamo arbitrariamente le funzioni qh (t), h = 1, . . . , n, otteniamo un dato moto cine-
maticamente possibile (che è un moto compatibile con i vincoli). Nello spazio delle configurazioni
q ∈ Rn consideriamo tutte queste possibili curve, o ”traiettorie”, passanti per due determinati punti
dello spazio q1 e q2 , fissati i tempi iniziale e finale t1 e t2 . Diversamente i moti sono arbitrari. Questa
classe di moti viene denominata M(t1 ,t2 ,q1 ,q2 ) ed è definita come
Quindi
A : M(t1 ,t2 ,q1 ,q2 ) → R
ovvero il funzionale azione A ha M(t1 ,t2 ,q1 ,q2 ) come dominio e dipende dalla legge q = q(t):
A = A(q).
96 5 Principio variazionale di Hamilton.
Fig. 5.1. Esempio di due ”traiettorie” ammissibili, cioé tali che all’istante iniziale e all’istante finale sono in punti prefissati.
Nella impostazione classica si sono determinate le equazioni di Lagrange come conseguenza delle
leggi di Newton e del principio dei lavori virtuali. È tuttavia possibile fare derivare le equazioni di
Lagrange partendo dal seguente postulato:
Postulato (principio variazionale di Hamilton): Sia dato un sistema meccanico olonomo
ad n gradi di libertà con Lagrangiana L(q̇, q, t). Ogni legge del moto q(t) nell’intervallo di tempo
[t1 , t2 ] con prescritti valori agli estremi q(t1 ) = q1 = (q11 , . . . , qn1 ) e q(t2 ) = q2 = (q12 , . . . , qn2 ) rende
stazionaria l’azione di Lagrangiana L:
Z t2
A(q) := L [q̇(t), q(t), t] dt. (5.2)
t1
Quindi: fra tutte le traiettorie cinematicamente possibili durante [t1 , t2 ] che il sistema potrebbe
scegliere e che hanno gli stessi valori agli estremi, viene selezionata quella che rende stazionaria (ad
es. minima) l’azione di Lagrangiana L.
Andiamo a precisare meglio questa osservazione: consideriamo i moti variati sincroni
q(t; α) = q(t) + αη(t)
dove α ∈ R è un parametro reale e η = (η1 , . . . , ηn ) ∈ M(t1 ,t2 ,0,0) , cioé
η ∈ C 2 ([t1 , t2 ], Rn ) e η(t1 ) = η(t2 ) = 0 (5.3)
e si calcola su di essi il funzionale azione:
Z t2
A[q(·; α)] = L[q̇(t; α), q(t; α), t]dt.
t1
Osserviamo che il nuovo termine che otteniamo dipende dal numero reale α e dalle funzioni q ed
η; se pensiamo che queste funzioni sono fissate allora abbiamo costruito una funzione
5.3 Esempi 97
I :R→ R
α 7→ I(α) = A[q(·; α)]
che dipende da q ed η intesi come parametri. In quanto funzione dipendente da una variabile reale
ne possiamo calcolare la derivata ed il differenziale:
dI
dI := dα
dα α=0
che sarà dipendente da q e η.
Definizione. Si dice che il funzionale A(q) è stazionario per una dato q se
dI = 0, ∀η ∈ M(t1 ,t2 ,0,0) . (5.4)
Il principio variazionale di Hamilton può quindi essere formulato nel seguente modo: q = q(t) è
la legge del moto se, e solo se, q soddisfa alla (5.4).
In particolare se q risulta un minimo per il funzionale allora il funzionale è stazionario in q e
quindi q è la legge del moto.
5.3 Esempi
Questa postulato (come tutti i postilati) si basa su osservazioni empiriche. Consideriamo alcuni
esempi significativi per i quali si osserva la validità del postulato.
che dà dI = 0 e che risulta positiva per ogni perturbazione non nulla. Quindi, in questo esempio, i
moti naturali risultano non solo stazionari per l’azione ma rendono minima l’azione.
98 5 Principio variazionale di Hamilton.
dove L = 21 mv 2 − 12 mω 2 (x2 + y 2 + z 2 ). Determiniamo ora la differenza dell’azione tra due moti: quello
naturale e quello variato sincrono; è immediato verificare che risulta
I(α) − I(0) = I1 + I2
dove
Z t2 h i
1
I1 = mα2 (η̇x2 + η̇y2 + η̇z2 ) − ω 2 (ηx2 + ηy2 + ηz2 ) dt
2 t1
e
Z t2
I2 = mα (ẋ0 η̇x − ω 2 x0 ηx )dt
t1
Si può quindi concludere che la variazione I(α) − I(0) valutata sul moto naturale è di ordine 2
rispetto alla perturbazione, da cui segue la stazionarietà di A. Osserviamo infine che, assumendo
per semplicità t1 = 0:
Z s s
t
′ ′
√ Z t √ Z t2
|η(t)| = η̇(t )dt ≤ t η̇ 2 (t′ )dt′ ≤ t η̇ 2 (t)dt
0 0 0
da cui segue
Z t2
1
I(α) − I(0) = mα2 η̇ 2 − ω 2 η 2 dt
2
0
Z t2
1 1
≥ mα2 1 − ω 2 t22 η̇ 2 (t)dt.
2 2 0
√
Quindi l’azione Hamiltoniana risulta minima sul moto naturale se t2 < 2/ω; per t2 maggiori non è
necessariamente minima l’azione. Ad esempio si consideri la variazione data da ηx = sin2 (πt/t2 ) e
ηy = ηz = 0; per prima cosa si osservi che
5.4 Equazioni di Eulero 99
Z t2
1
I(α) − I(0) = mα2 η̇ 2 − ω 2 η 2 dt
2 0
Z t2
1 2
= − mα η̈ + ω 2 η ηdt
2 0
Derivando questa relazione rispetto a α e portando la derivata sotto il segno di integrale (assumendo
siano valide le condizioni di regolarità per potere fare ciò) si ottiene
n Z t2
" #
dI(α) X ∂L ∂qh ∂L ∂ q̇h
= + dt.
dα α=0 h=1 t1 ∂qh ∂α ∂ q̇h ∂α
∂ q̇h
Osservando che ∂α
= η̇h , integrando per parti e ricordando che ηh (t) si annulla agli estremi, segue
che
100 5 Principio variazionale di Hamilton.
Z " #
t2 ∂L ∂qh ∂L ∂ q̇h
+ dt =
t1 ∂qh ∂α ∂ q̇h ∂α
Z " #t 2 Z !
t2 ∂L ∂qh ∂L ∂qh t2 ∂qh d ∂L
= dt + − dt
t1 ∂qh ∂α ∂ q̇h ∂α t1 t1 ∂α dt ∂ q̇h
Z " !#
t2 ∂L d ∂L
= − ηh (t)dt.
t1 ∂qh dt ∂ q̇h
Da cui segue che
n Z t2
" !#
dI(α) X ∂L d ∂L
= − ηh (t)dt. (5.7)
dα α=0 h=1 t1 ∂qh dt ∂ q̇h
Ora, dovendo essere valida la (5.6) ed essendo le funzioni ηh (t) indipendenti, otteniamo n integrali
uguali a 0 e, essendo ogni ηh (t) arbitraria, per il teorema di annullamento degli integrali (si veda in
Appendice C) si annulla identicamente ogni espressione
!
∂L d ∂L
− = 0, ∀t ∈ [t1 , t2 ], h = 1, ..., n, (5.8)
∂qh dt ∂ q̇h
quando L sia calcolata in q(t). Si osservi che l’affermazione inversa è banale: se una q = q(t)
soddisfa le equazioni di Eulero-Lagrange, automaticamente la variazione del funzionale (5.7) è nulla.
Infatti basta percorrere a ritroso la stessa dimostrazione, ma senza bisogno di applicare il teorema
di annulamento degli integrali.
Dunque, nel caso dinamico, le equazioni di Lagrange si possono riguardare come equazioni di
Eulero per il calcolo variazionale. Si noti che la proprietà di curva di essere estremale di
un funzionale non dipende dal sistema di coordinate.
Poiché dal principio di Hamilton derivano le equazioni di Lagrange in coordinate indipendenti
(e viceversa), il principio di Hamilton può essere posto a fondamento della dinamica dei
sistemi olonomi. Ad ogni modo c’è una differenza fondamentale tra le equazioni differenziali del
moto e i principi variazionali. Le prime, essendo equazioni differenziali, caratteriazzano localmente il
moto mentre il principo variazionale, essendo una relazione integrale, caratterizza l’intera traiettoria
nel suo complesso.
1. Moto di un mobile vincolato su una sfera in assenza di campo di forze (moto inerziale su una
sfera).
Soluzione: la Lagrangiana, in coordinate sferiche (dove r è il raggio della sfera), prende la forma
1 1
L = mv 2 = mr2 (θ̇2 + sin2 θϕ̇2 ).
2 2
Le equazioni di Lagrange sono
d ∂L ∂L ∂L
− =0 e = cost
dt ∂ θ̇ ∂θ ∂ ϕ̇
5.5 Esercizi (risolti) 101
Allora,
inf A(qn ) = 0,
n
ma il funzionale non ammette minimo perché A(q) > 0, ∀q ∈ Mt1 ,t2 ,q1 ,q2 .
5. Lunghezza di una arco di curva nel piano.
Soluzione: sia data una curva γ nel piano R2 avente rappresentazione cartesiana x = x(t) (invece
della notazione più usuale y = y(x)) con t ∈ [t1 , t2 ] e congiungente i punti (t1 , x1 ) e (t2 , x2 ), cioé tale
che x(t) ∈ Mt1 ,t2 ,x1 ,x2 . Determiniamo la curva x ∈ Mt1 ,t2 ,x1 ,x2 di lunghezza minima. Il funzionale
da minimizzare (denotato ora L poiché ora indica la lunghezza di una curva) è quello che ad ogni
curva t → x(t) ne associa la lunghezza:
Z t2 q
L(x) = 1 + ẋ(t)2 dt.
t1
che ha come soluzione generale x(t) = c1 t + c2 . Quindi, nel piano, le curve di lunghezza minima sono
i segmenti di retta.
5.5 Esercizi (risolti) 103
1 Z x2 q
A(y) = y(x)ρ 1 + y ′ (x)2 dx,
m x1
q
infatti 1 + y ′ (x)2 dx rappresenta la lunghezza dell’elemento infinitesimo di curva, ρ = mL
è la densità
costante e y(x) l’altezza di tale elemento di catena. Poiché in questo caso A(y + c) = A(y) + c dove
c è una costante allora la traiettoria è definita a meno di una costante additiva e quindi la soluzione
generale è
y(x) = c + c1 cosh[(x − c2 )/c1 ]
equivalga al sistema:
( ∂K
Ṗh = − ∂Q
∂K
h
.
Q̇h = ∂P h
La definizione individua quelle trasformazioni tali che il nuovo campo è Hamiltoniano, cioè esiste
una funzione K(X, t) tale che
∂X
Ψ J gradx H[x(X, t), t] + = J gradX K(X, t). (6.5)
∂t
Osserviamo che questa proprietà è intrenseca della trasformazione x → X e non deve dipendere
invece dalla Hamiltoniana H che è arbitraria.
Quando X(x, t) conserva la struttura canonica delle equazioni e dipende esplicitamente da t, ∂X
∂t
è un campo Hamiltoniano relativo a una certa funzione K0 tale che:
∂X
= J gradX K0 , (6.6)
∂t
che dipende solo dalla trasformazione stessa e si può pensare come la nuova Hamiltoniana corrispon-
dente ad H ≡ 0.
6.1.2 Determinazione della nuova Hamiltoniana per effetto di una trasformazione che conserva la
struttura canonica
Osserviamo che, anche quando X = X(x) è una trasformazione indipendente dal tempo che conserva
la struttura canonica delle equazioni canoniche di Hamilton, non è detto che la nuova Hamiltoniana
K(X, t) sia uguale alla H vista nelle nuove variabili: H[x(X), t]. Vediamo il seguente esempio: sia
n qualunque e sia (p, q) → (αp, βq) = (P, Q). A talfine consideriamo si conserva la struttura delle
equazioni canoniche, ma con nuova Hamiltoniana K = αβH. Infatti si verifica immediamente che
K(P, Q) = αβH(α−1 P, β −1 Q) è tale che
(
Q̇ = ∂K = αβ ∂H α−1 β q̇ = β ∂H
∂P ∂p ∂p
⇐⇒
Ṗ = − ∂K = −αβ ∂H β −1
∂Q ∂q
αṗ = −α ∂H∂q
Cosı̀ in questo esempio esiste una costante c = αβ tale che K(X) = cH[x(X)]. Si può provare che
questa è la situazione usuale in forza del seguente Teorema:
Teorema. Sia X = X(x, t) un diffeomorfismo che conserva la struttura canonica delle
equazioni di Hamilton. Allora esiste un fattore c (dipendente al più da t) tale che la Hamil-
toniana K corrispondente ad H è data da
6.1 Struttura canonica delle equazioni di Hamilton 107
∂ 2f ∂ 2f
ch = cj , h 6= j,
∂xj ∂xh ∂xh ∂xj
da cui segue (in virtù del Teorema di Schwartz sull’invertibilità delle derivate) che deve necessaria-
mente essere
108 6 Trasformazioni canoniche
dove abbiamo posto Ĥ(X, t) = H[x(X, t), t]. Per l’arbitrarietà di H e poiché il termine gradX (K −
K0 ) è manifestamente irrotazionale allora il Lemma prova la (6.8).
Esempio: Nel caso della trasformazione canonica (p, q) → (αp, βq) considerata in precedenza
segue che
∂P ∂P ! !
∂p ∂q α0
ψ= ∂Q ∂Q =
∂p ∂q
0β
e quindi
! ! ! !
T α0 0 −1 α0 0 −1
−ψJψ J = −
0β 10 0β 10
! !
0 −α 0 −α
=−
β0 β0
!
αβ 0
=+ = αβi
0 αβ
di R2n , è quindi assegnata se sono assegnate 2n funzioni (sotto alcune proprietà) di 2n variabili. È
conveniente disporre di una funzione generatrice della trasformazione canonica. Ad esempio:
∂ 2 F1
1. Se, per ogni t, una data funzione F1 (q, Q, t) ha det ∂Q∂q 6= 0 in un aperto di R2n , allora una
trasformazione è individuata implicitamente dalle 2n equazioni
∂F1 ∂F1
ph = e Ph = − , h = 1, 2, . . . , n. (6.11)
∂qh ∂Qh
∂ F1 2
Infatti, risolvendo la prima rispetto alle Qh (essendo det ∂Q∂q 6= 0) si ottiene Qh = Qh (pk , qk , t) che
sostituete nelle seconde dà Ph = Ph (pk , qk , t). Nel caso particolare in cui F1 (Q, q, t) sia lineare nelle
qh allora si trova Q = Q(p, t) e P = P(p, q, t). In questo caso la trasformazione canonica è detta
libera; cioé le Q e q sono indipendenti. Tra le funzioni del primo tipo (F1 è funzione delle vecchie
P
e nuove coordinate) vi è quella che scambia il ruolo tra coordinate e impulsi: F1 = nh=1 qh Qh .
∂ 2 F2
2. Se, per ogni t, una data funzione F2 (q, P, t) ha det ∂q∂P 6= 0 in un aperto di R2n , allora una
trasformazione è individuata implicitamente dalle 2n equazioni
∂F2 ∂F2
ph = e Qh = , h = 1, 2, . . . , n. (6.12)
∂qh ∂Ph
∂ F2 2
Infatti, risolvendo la prima rispetto alle Ph (essendo det ∂P∂q 6= 0) si ottiene Ph = Ph (pk , qk , t)
che sostituendo nelle seconde dà Qh = Qh (pk , qk , t). In questo rientra, come vedremo tra poco, la
trasformazione identità Q = q e P = p: l’identità è necessariamente non libera perché Q = q implica
che Q e q non sono indipendenti. Le funzioni generatrici del secondo tipo (dove F2 è funzione delle
vecchie coordinate e dei nuovi impulsi) comprendono la trasformazione identità; infatti, a partire da
n
X
F2 (q, P) = qh Ph
h=1
segue che
∂F2 ∂F2
ph = = Ph , Qh = = qh , K = H.
∂qh ∂Ph
2
∂ F3
3. Se, per ogni t, una data funzione F3 (p, Q, t) ha det ∂p∂Q 6= 0 in un aperto di R2n , allora una
trasformazione è individuata implicitamente dalle 2n equazioni
∂F3 ∂F3
qh = − e Ph = − , h = 1, 2, . . . , n. (6.13)
∂ph ∂Qh
∂ F3 2
Infatti, risolvendo la prima rispetto alle Qh (essendo det ∂Q∂p 6= 0) si ottiene Qh = Qh (pk , qk , t) che
sostituendo nelle seconde dà Ph = Ph (pk , qk , t).
∂ 2 F4
4. Se, per ogni t, una data funzione F4 (p, P, t) ha det ∂p∂P 6= 0 in un aperto di R2n , allora una
trasformazione è individuata implicitamente dalle 2n equazioni
∂F4 ∂F4
qh = − e Qh = , h = 1, 2, . . . , n. (6.14)
∂ph ∂Ph
∂ F4 2
Infatti, risolvendo la prima rispetto alle Ph (essendo det ∂P ∂p
6= 0) si ottiene Ph = Ph (pk , qk , t) che
sostituendo nelle seconde dà Qh = Qh (pk , qk , t).
110 6 Trasformazioni canoniche
Il numero di tipi di funzioni generatrici non si riduce a 4, ma è molto maggiore; tante quante
sono le collezioni di n nuove coordinate Qi1 , . . . , Qik , Pj1 , . . . , Pjn−k , in modo tale che, con le vecchie
coordinate p, q si ottengano 2n coordinate indipendenti.
Queste quattro trasformazioni definite implicitamente dalle relazioni (6.11)—(6.14) si dimostrano
essere canoniche. A tal fine è stata fatta la scelta del segno negativo nelle (6.11) e (6.13).
Nel seguito, per semplicità, limitiamo la nostra analisi alle trasformazioni con funzione generatrice
del tipo F1 anche se il risultato che segue, del quale ne omettiamo la dimostrazione, vale per gli altri
tipi di trasformazione.
Teorema su funzioni generatrici di tipo F1 : Sia F1 (q, Q, t) una funzione regolare definita in
un aperto Aq × BQ di R2n , ∀t ∈ R, e tale che
!
∂ 2 F1
det 6= 0, ∀(q, Q) ∈ Aq × BQ , ∀t ∈ R . (6.15)
∂q∂Q
Allora F1 (q, Q, t) è la funzione generatrice di una trasformazione canonica. La trasformazione
canonica si ottiene per esplicitazione dalle 2n equazioni
∂F1 ∂F1
ph = , Ph = − (6.16)
∂qh ∂Qh
con nuova Hamiltoniana
∂F1 [q(P, Q, t), Q, t]
K(P, Q, t) = H[p(P, Q, t), q(P, Q, t), t] + .
∂t
Quindi Q è coordinata ciclica. Le equazioni canoniche di Hamilton nelle nuove coordinate prendono
la forma:
∂K
Ṗ = − = 0 ⇒ P = α = cost.
∂Q
e
∂K
Q̇ = = ω ⇒ Q = ωt + β.
∂P
Riportando alle coordinate originarie:
s
2α
q(t) = sin(ωt + β).
ω
Le costanti di integrazione sono due e hanno il significato atteso: α determina l’ampiezza e β la fase
iniziale dell’oscillazione armonica.
Da questo esempio segue che è molto utile trovare una trasformazione canonica che renda una o
più coordinate cicliche. Quando si riescono a rendere cicliche tutte le coordinate, esse sono spesso
interpretabili come variabili angolari. Quando H(p, q) ammette una trasformazione canonica tale
che i nuovi momenti risultano costanti e le nuove coordinate risultano lineari rispetto al tempo
n
X
K =ω·P= ωh Ph , Ph = αh , Qh = ωh t + βh
h=1
Sappiamo che la risoluzione delle equazioni di Hamilton diventa elementare se riusciamo, mediante
una opportuna trasformazione canonica, a rendere cicliche tutte le coordinate. Una situazione
speciale in cui ciò avviene si ha quando la nuova Hamiltoniana a seguito di una trasformazione
canonica è identicamente uguale a zero. Quindi, se riusciamo a trovare una trasformazione
canonica (dipendente dal tempo in generale) per effetto della quale la nuova Hamiltoniana si
annulla (o è una costante o, eventualmente, funzione della sola variabile t) allora abbiamo risolto
il problema della soluzione delle equazioni di Hamilton. Se la trasformazione canonica è, ad
esempio, generata a partire da una funzione generatrice (che nel seguito sarà denotata con S invece
che F2 ) del II ◦ tipo dipendente da P, q e t allora cerchiamo, se esiste, una funzione S(P, q, t) tale
che
( )
∂S
{p, q, H(p, q, t)} → P, Q, K = H + ≡0 (7.1)
∂t
In tal caso nelle nuove coordinate le equazioni canoniche di Hamilton si risolvono banalmente:
P(t) ≡ P0 e Q(t) ≡ Q0 .
Applicando la trasformazione inversa (P, Q) → (p, q) si risolve il problema originario. Tutto ciò
sembra molto semplice; in realtà abbiamo spostato la difficoltà nella determinazione della generatrice
S che rende vera la (7.1).
Entrando in maggiore dettaglio e ricordando le prescrizioni di una funzione generatrice di secondo
tipo
( ∂S
ph = ∂qh
∂S , da cui q = q(P, Q, t),
Qh = ∂Ph
S. Osserviamo ancora che se una tale trasformazione esiste allora le equazioni canoniche nelle
nuove variabili si integrano immediatamente e danno
poichè
∂K ∂K
Ṗh = − = 0 e Q̇h = = 0.
∂Qh ∂Ph
Quindi la funzione S dipenderà da S(α, q, t), cioé da n variabili qh e da n parametri αh più, even-
tualmente, il tempo.
Definizione. Se S = S(α, q, t) è una funzione delle n + 1 variabili q1 , . . . , qn , t e di n parametri
(costanti) α1 , . . . , αn soddisfacente l’equazione (7.2) e alla condizione
!
∂ 2S
det 6= 0
∂αh ∂qk
allora S si dice una soluzione completa dell’equazione di Hamilton-Jacobi La funzione
S(α, q, t) è detta funzione azione.
Essendo K(P, Q, t) ≡ 0 allora segue che anche le nuove coordinate Qh , costanti poiché Q̇h = 0,
sono legate alla S tramite la:
∂S(α, q, t)
= Qh = βh . (7.3)
∂αh
2
La condizione det ∂α∂h ∂qS
k
6= 0 serve precisamente a garantire che l’equazione (7.3) può essere
risolta rispetto a q = q(α, β, t) trovando q = q(t). Quindi: trovare una soluzione completa
S dell’equazione di Hamilton-Jacobi equivale a risolvere il sistema delle equazioni di
Hamilton.
Nell’equazione di Hamilton-Jacobi le variabili indipendenti sono il tempo t e i parametri la-
grangiani qh . Conseguentemente l’integrale completo di questa equazione dipenderà da n + 1
costanti arbitrarie. D’altra parte, la funzione S è presente nell’equazione soltanto attraverso le
sue derivate e quindi una delle sue costanti arbitrarie appare nell’integrale completo come
una grandezza additiva, cioé l’integrale completo dell’equazione di Hamilton-Jacobi prende la
forma generale S(α, q, t) + c dove α = (α1 , . . . , αn ) e c sono costanti arbitrarie. Poiché la determi-
nazione di c è inessenziale ai fini dello studio del moto (possiamo sempre pensare di inglobarla nelle
βh attraverso le relazioni (7.3)), in generale questa costante sarà assunta nulla.
Teorema. Se l’Hamiltoniana H non dipende esplicitamente dal tempo, allora il problema si riconduce
all’equazione caratteristica di Hamilton-Jacobi
!
∂W
H , q = α1 (7.4)
∂q
7.3 Esempio: l’oscillatore armonico 115
dove l’incognita W (α, q) è detta azione ridotta. La funzione generatrice è allora data da S =
W − Et dove α1 ≡ E (energia, determinata dai dati iniziali). Le soluzioni q = q(α, β, t) si ricavano
in termini delle n costanti Ph = αh e di altre n costanti di integrazione βh tramite le seguenti relazioni:
∂W (α, q) ∂W (α, q)
t + β1 = , βh = , h = 2, . . . , n, (7.5)
∂α1 ∂αh
2
supponendo sempre che sia det ∂α∂ hW∂qk
6= 0.
Dimostrazione: Se H = H(p, q) allora esiste l’integrale primo dell’energia meccanica E e, ponendo
α1 = E = H[p(t), q(t)], risulta naturale cercare S nella forma
S(P, q, t) = W (P, q) − Et.
Con tale separazione fra variabili spaziali e temporale l’equazione di Hamilton-Jacobi (7.2) prende
la forma:
!
∂W
H ,q − E = 0 (7.6)
∂q
da cui risulta la (7.4). Come nel caso precedente risulta Qh = βh e Ph = αh costanti, tra cui
∂S
P1 = α1 = E. Ricordando poi che Q = ∂P si ottiene
∂W ∂S ∂W
βh = Qh = , h = 2, . . . , n, e β1 = Q1 = = −t
∂αh ∂α1 ∂α1
da cui segue la (7.5) completando cosı̀ la dimostrazione.
La risoluzione del moto consiste in due passi distinti. Nel primo passo si risolve l’equazione
caratteristica di Hamilton-Jacobi (7.4) costituita da una equazione differenziale alle derivate parziali
del I ◦ ordine. Nel secondo passo, una volta determinata la W , si risolvono le n equazioni (7.5) (ora
non differenziabili) che determinano il moto del sistema.
Osserviamo che le n − 1 equazioni βh = ∂W∂α(α,q)
h
, h = 2, . . . , n, nelle n incognite qh permettono di
determinare la ”traiettoria” del sistema nello spazio delle configurazioni, cioé definiscono gli aspetti
puramente geometrici del moto. La prima equazione t + β1 = ∂W∂α(α,q) 1
è invece l’unica che contiene
il tempo t ed è quella che caratterizza l’aspetto cinematico del moto, cioé determina la legge oraria
del punto q sulla traiettoria nello spazio delle configurazioni. Osserviamo anche che il parametro β1
è inessenziale in quanto ridefinisce solamente l’origine della scala dei tempi.
che ha soluzione (definita a meno di una costante additiva che possiamo sempre assumere nulla)
s
√ Z Z q√
q mω 2 x2
W (E, q) = 2mE 1− dx = 2mE − m2 ω 2 x2 dx
0 q 2E q0
s s s s
mE mω 2 q 2 2E
mω 2
= q 1− + arcsin q
2 2E mω 2 2E
da cui troviamo
s
2E
q= sin(ωt + β0 )
mω 2
e
s
∂W √ mω 2 q 2 √
p= = 2mE 1 − = 2mE cos(ωt + β0 ).
∂q 2E
Nel seguito ci limitiamo a considerare solo Hamiltoniane indipendenti dal tempo e mostreremo che
ci sono casi in cui l’equazione di Hamilton-Jacobi sia risolubile mediante quadrature. È il caso delle
variabili separabili.
Definizione. Sia H(p, q) una Hamiltoniana che non dipende esplicitamente dal tempo e sia
!
∂W ∂W
H ,..., , q1 , . . . , qn = E
∂q1 ∂qn
la corrispondente equazione caratteristica di Hamilton-Jacobi. Le variabili qh sono separabili se
una funzione del tipo
W (α, q) = W1 (α, q1 ) + W2 (α, q2 ) + . . . + Wn (α, qn ) (7.7)
In ogni equazione (7.8) figura solo una coordinata qh , con la corrispondente derivata di W rispetto
a questa qh . Quindi viene separata l’equazione alle derivate parziali in n equazioni ordinarie. Poiché
sono equazioni ordinarie del primo ordine, si possono risolvere per quadratura: basta esplicitare
rispetto a ∂W h
∂qh
e poi integrare rispetto a qh .
Osserviamo che:
Teorema. Se in una Hamiltoniana indipendente dal tempo tutte le coordinate, tranne una, sono
cicliche, allora si può applicare il metodo di separazione delle variabili, cioé le variabili sono
separabili.
Dimostrazione: Assumendo che sia la prima coordinata lagrangiana la coordinata non ciclica allora
possiamo scrivere H = H(p1 , . . . , pn , q1 ). Da ciò segue, per prima cosa, che W è una soluzione del
P
tipo W (α, q) = W1 (α, q1 ) + nh=2 Wh (αh , qh ). Infatti, poiché i momenti coniugati ph alle coordinate
∂S
cicliche sono costanti, le equazioni di trasformazione ph = ∂q h
= ∂W
∂qh
per h > 1 possono scriversi
∂Wh ∂W
= = ph = αh , h > 1,
∂qh ∂qh
da cui Wh = αh qh per h > 1 e quindi
n
X
W (α, q) = W1 (α, q1 ) + α h qh . (7.9)
h=2
Allora, ponendo
n
X
W (α, q) = Wh (αh , qh )
h=1
7.5 Esempi
7.5.1 L’equazione di Hamilton-Jacobi per il moto centrale di un punto in un piano
Applichiamo il metodo di separazione delle variabili ad un caso particolare: al caso del punto mobile
nel piano e soggetto ad una forza centrale.
Teorema. Per il moto piano in coordinate polari (r, θ) di un punto sottoposto a forza centrale il
metodo di Hamilton-Jacobi fornisce direttamente r = r(t) e l’equazione della traiettoria r = r(θ).
Dimostrazione: La funzione Hamiltoniana, in coordinate polari piane, risulta essere
1 1
H= p2r + 2 p2θ + V (r)
2m r
e quindi l’unica coordinata da cui dipende H è q1 = r, cioé q2 = θ è una coordinata ciclica. Perciò
l’azione ridotta viene ricercata nella forma (7.9)
da cui
∂W1 q
= 2m[α1 − V (r)] − αθ2 /r2 .
∂r
Da ciò l’espressione dell’azione ridotta:
Z q
W (α1 , αθ , r, θ) = 2m[α1 − V (r)] − αθ2 /r2 dr + αθ θ.
Senza risolvere tale integrale (d’altra parte non abbiamo ancora definito l’espressione di V (r)) andi-
amo a determinare il moto del sistema tramite le
Z
∂W mdr
t + β1 = = q , (7.12)
∂α1 2m[α1 − V (r)] − αθ2 /r2
e
Z
∂W αθ dr
β2 = =θ− q . (7.13)
∂αθ r2 2m[α1 − V (r)] − αθ2 /r2
dove le costanti di integrazione β1 , β2 sono determinate dai dati iniziali. Ebbene, la (7.12) dà la legge
r = r(t) e la (7.13) dà la traiettoria r = r(θ).
Studiamo in dettaglio la (7.13) nel caso Newtoniano (o Coulombiano) dove il potenziale è dato
da V = −k/r dove k è una costante assunta positiva. Sostituendo u = 1/r e pensando β2 come
θ = θ0 all’istante iniziale otteniamo l’equazione di una conica rispetto a uno dei suoi fuochi, infatti:
7.5 Esempi 119
Z Z
du du
θ = β2 + r = θ0 + r
2m 2m
α2θ
(α1 − V ) − u2 α2θ
(α1 − ku) − u2
Z
du u−c
= θ0 + √ = θ0 + arccos
a + bu − u2 d
dove
2mα1 2mk b √
a= , b = − , c = e d = a + c2 .
αθ2 αθ2 2
Da qui segue che
1 p
= u = c + d cos(θ − θ0 ) e quindi r =
r 1 + e cos(θ − θ0 )
dove
r
1 d a
p= e e= = 1+
c c c2
È immediato osservare che l’eccentricità |e| risulta minore, uguale o maggiore di 1 a seconda che
l’energia E = α1 sia minore, uguale o maggiore di 0.
Notiamo che la (7.14) deve essere identicamente soddisfatta per ogni r, θ e ϕ e che ϕ compare solo
nella derivata di W3 . Quindi la derivata di W3 è una costante α3 . Sostituendo tale costante in (7.14)
abbiamo di nuovo un’identità rispetto ad r e θ, dove θ compare solo nel blocco (W2′ )2 + α32 (sin2 θ)−1 .
Quindi anche questo blocco è una costante (che chiameremo α22 ). Ottenendo infine il sistema
120 7 Equazione di Hamilton-Jacobi
dW
3
= α3 ,
dϕ 2 α23
dW2
dθ
+ sin2 θ
= α22 , (7.15)
dW1 2
+
α22
= 2m [α1 − V (r)]
dr r2
da cui si ottiene
per quadrature. Si osservi che, dalle tre leggi di conservazione (7.15) si può ricavare la funzione
generatrice W = W1 (r) + W2 (θ) + W3 (ϕ), mediante tre integrali indefiniti.
Osserviamo poi che le costanti α1 , α2 e α3 hanno un significato fisico notevole:
α1 = E, α22 = K 2 , α3 = Kz .
I sistemi esplicitamente solubili sono in minima parte; ad esempio l’oscillatore armonico ẍ+ω 2 x = 0 é
esplicitamente solubile, ma giá una sua semplice estensione, come l’oscillatore quartico, ẍ + ω 2 x3 = 0
o l’equazione del pendolo semplice ẍ + ω 2 sin(x) = 0, non ammette soluzione generale (almeno in
termine di funzione elementari, in realtá sia l’oscillatore quartico che l’equazione del pendolo semplice
ammettono soluzione generale in termine delle funzioni ellittiche). Le tecniche perturbative hanno
l’obiettivo di trovare una soluzione approssimata dell’equazione non esplicitamente solubile. L’idea
di base é abbastanza semplice: supponiamo che il sistema di equazioni differenziali ordianarie
ẋ(t) = X(x), x ∈ Rn , X : Rn → Rn ,
con assegnate condizioni iniziali
x(0) = x0
sia esplicitamente solubile. Allora la soluzione xδ del sistema perturbato
ẋδ (t) = X(xδ ) + δY (xδ ), Y : Rn → Rn ,
con le medesime (o molto prossime) condizioni iniziali, é tale che per ogni 0 < ǫ ≪ 1 esiste 0 < δ1 ≪ 1
tale che per ogni |δ| < δ1 allora la soluzione del problema perturbato é tale che
|x(t) − xδ (t)| ≤ ǫ , ∀t ∈ Tδ , (8.1)
per un qualche Tδ dipendente da δ.
Nel seguito illustreremo alcune tecniche per le quali la condizione (8.1) vale.
Ricordiamo che per un sistema meccanico a n gradi di libertà, con vincoli perfetti, bilateri, olonomi
(e nel seguito supporremo anche scleronomi) e soggetto ad un sistema di forze conservative valgono
le equazioni di Lagrange
d ∂L ∂L
= , k = 1, . . . , n (8.2)
dt ∂ q̇k ∂qk
122 8 Teoria Perturbativa
V = −U , segue che esiste un δ > 0 tale che per ogni q = (q1 , . . . , qn ) 6= (0, . . . , 0) e tale che |qk | ≤ δ
allora V (qk ) > 0. Se consideriamo poi l’espressione dell’energia totale
E(q1 , . . . , qn , q̇1 , . . . , qn ) = T + V
e se ricordiamo che T > 0 se almeno una delle q̇h è non nulla allora segue che E(q1 , . . . , qn , q̇1 , . . . , qn ) >
0 se almeno una delle q̇k e qk è non nulla (subordinatamente alla condizione |qk | ≤ δ) e che
E(0, . . . , 0) = 0. Cioé l’energia totale E(q1 , . . . , qn , q̇1 , . . . , qn ) ha un minimo effettivo in M =
(0, . . . , 0) ∈ R2n . Fissato 0 < ǫ0 < δ sufficientemente piccolo e data la sfera B(M, ǫ0 ) nello spazio
delle fasu R2n avremo, per quanto detto,
E(q, q̇) > 0 ∀(q, q̇) ∈ B(M, ǫ0 ) − {(0, . . . , 0)}
e inoltre, essendo ∂B un insieme compatto e E(q, q̇) una funzione continua, segue che esiste non nullo
il minimo
E ⋆ = m(ǫ0 ) = min E(q, q̇) > 0.
(q,q̇)∈∂B(M,ǫ0 )
Inoltre, sempre per la continuità di E(q, q̇) esisterà 0 < δ0 < ǫ0 tale che
E ⋆ > M (δ0 ) = max E(q, q̇) > 0.
(q,q̇)∈B(M,δ0 )
Quindi, se all’istante iniziale (q0 , q̇0 ) ∈ B(M, δ0 ) allora E(q0 , q̇0 ) = E0 ≤ M (δ0 ) < E ⋆ e quindi il
moto (q(t), q̇(t)) avviene sempre all’interno della sfera B(M, ǫ0 ) perché, dovendo conservarsi l’energia
meccanica totale, non potrà mai aversi E(q, q̇) ≥ E ⋆ , condizione che si verifica quando il punto (q, q̇)
è sul bordo di B(M, ǫ0 ).
Nel seguito, per semplicità supporremo, senza perdere in generalità, che sia qk⋆ = 0 (altrimenti
operiamo la traslazione qk → qk − qk⋆ ). Ricordando che
n
1 X
T = T2 + T1 + T0 , dove T = ai,k (q)q̇i q̇k
2 i,k=1
per sistemi scleronomi, scriviamo la funzione Lagrangiana mettendo in evidenza i termini di secondo
grado nelle qk e q̇k :
L = T + U = L̃ + R, dove L̃ = T̃ + Ũ .
Più precisamente poniamo
n
1 X
T = ai,k (q)q̇i q̇k = T̃ + RT ,
2 i,k=1
dove
n
1 X
T̃ = ãi,k q̇i q̇k , ãi,k = ai,k (0)
2 i,k=1
124 8 Teoria Perturbativa
e
Xn
∂ L̃ ∂ Ũ
= = Ũi,k qi
∂qk ∂qk i=1
Si osserva anche che la validità di questa approssimazione è giustificata dal Teorema di Dirichlet, il
quale garantisce, a priori, che qk (t) e q̇k (t) rimangono piccole indefinitamente (ricordiamo che abbiamo
preso qk⋆ = 0 per semplicità) e quindi il contributo del resto R é trascurabile.
Nel caso unidimensionale (n=1) allora, denotando con q l’unico parametro lagrangiano e supponendo
che q ⋆ sia una configurazione di equilibrio stabile tale che U ′′ (q ⋆ ) < 0, si ha
1
T = a(q)q̇ 2 e U = U (q)
2
da cui (non facciamo qui la posizione di comodo q⋆ = 0)
1 1
T̃ = a(q ⋆ )q̇ 2 e Ũ = U ′′ (q ⋆ )(q − q ⋆ )2 .
2 2
8.1 Piccole oscillazioni 125
Vediamo ora come determinare nella pratica l’integrale generale del sistema (8.6) nel caso in cui esso
derivi da una Lagrangiana linearizzata L̃ = T̃ + Ũ rispetto a un punto di equilibrio stabile q⋆ = 0.
A tal fine è utile adottare la notazione matriciale:
1 1
T̃ = q̇t Aq̇ e Ũ = − qt Bq, (8.7)
2 2
2
dove le matrici A = (T̃i,k ), B = − ∂∂qUi ∂q(0)k sono entrambe simmetriche ed A è definita positiva;
la matrice B, nel caso in cui (come supporremo) q⋆ è di equilibrio stabile, è, in generale, definita
positiva. A differenza delle notazioni adottate in precedenza qui è più comodo denotare con q
il vettore colonna di componenti qk e qt il suo trasposto, cioé qt è il vettore riga con gli stessi
componenti. Con tale notazione la Lagrangiana linearizzata si scrive
1h t i
L̃(q, q̇) = q̇ Aq̇ − qt Bq (8.8)
2
e le equazioni di Lagrange, lineari per costruzione, si scrivono in modo sintetico come:
Aq̈ + Bq = 0. (8.9)
Come suggerisce la teoria dei sistemi di equazioni lineari ordinarie a coefficienti costanti, cerchiamo
una soluzione della (8.9) della forma
q = [C cos(ωt + γ)]w, (8.10)
dove w è un vettore (colonna) di Rn da determinarsi e ω ∈ C dipende dalle caratteristiche del sistema,
C e γ sono costanti da determinarsi in funzione delle condizioni iniziali. Sostituendo (8.10) in (8.9)
questa diventa
126 8 Teoria Perturbativa
Per risolvere le equazioni di Lagrange linearizzate (8.9) intorno a una configurazione di equilibrio
stabile q⋆ (non poniamo ora la condizione q⋆ = 0), si risolve il problema agli autovalori
(B − λA)w = 0
dove
!
∂ 2 U (q⋆ )
A = (T̃i,k ), T̃i,k = Ti,k (q⋆ ), e B= − .
∂qi ∂qk
Gli autovalori λi , i = 1, . . . , n, di B rispetto ad A √
sono, nel caso di configurazioni di equilibrio
stabile, numeri reali positivi; le rispettive radici ωi = λi prendono il nome di pulsazioni proprie
o normali del sistema e 2π/ωi prendono il nome di frequenze proprie o normali del sistema.
Per avere gli n modi normali si determinano gli autovettori wi , di componenti wki , k = 1, . . . , n,
soluzioni di
(B − λi A)wi = 0, i = 1, ..., n. (8.17)
Allora, ad ogni pulsazione normale ωi corrisponde una particolare oscillazione del sistema, detta
oscillazione normale data da Qi (t) = Ci cos(ωi t − γi ). La n-upla di coordinate originarie q(t)
risulta dal sovrapporsi di tutte le oscillazioni proprie:
n
X
q(t) = q⋆ + Ci cos(ωi t + γi )wi , (8.18)
i=1
cioé
n
X
qk (t) = qk⋆ + wki Ci cos(ωi t + γi ), k = 1, . . . , n. (8.19)
i=1
8.1.6 Esempi
Sostituendo λ2 = 1 + 2k 2 avremo
!
2 1 2 2 1
−k w − k w = 0, cioé w2 = .
−1
Allora nel primo modo normale si ha
! ! !
θ1 (t) 1 1
= Q1 (t) = C1 cos(ω1 t + γ1 )
θ2 (t) 1 1
ovvero
θ1 (t) = θ2 (t) = C1 cos(ω1 t + γ1 )
cioè i pendoli oscillano in fase (la molla non lavora). Nel secondo modo normale:
! ! !
θ1 (t) 1 1
= Q2 (t) = C2 cos(ω2 t + γ2 )
θ2 (t) −1 −1
ovvero
θ1 (t) = −θ2 (t) = C2 cos(ω2 t + γ2 )
cioè i pendoli oscillano in opposizione di fase.
d) Supponiamo che per t = 0 sia (θ10 , θ20 ) = (0, 0), θ̇20 = 0, e che ad uno dei due pendoli sia impressa
una velocità θ̇10 = v. Proviamo che dopo qualche istante T il primo pendolo è quasi immobile
e tutta l’energia passa al secondo. Dalle relazioni precedenti i dati iniziali si traducono come:
v
Q1 (0) = 0, Q2 (0) = 0, Q̇1 (0) = Q̇2 (0) = √ .
2
Ora, le posizioni iniziali implicano:
Q1 (t) = c1 sin t, Q2 (t) = c2 sin ωt
dove
130 8 Teoria Perturbativa
√
ω= 1 + 2k 2 ∼ 1 + k 2 + O(k 4 ) per k 2 << 1
e le velocità inziali comportano: c1 = √v e c2 = v
√ . Allora la soluzione ha la forma
2 ω 2
√1 √v v
θ1 = sin t + sin ωt
√
2 2 ω 2
.
θ = √1 √v sin t − v
√ sin ωt
2 2 2 ω 2
Bipendolo
È immediato verificare che il sistema ammette le 4 configurazioni di equilibrio (0, 0), (0, π), (π, 0)
e (π, π) in cui la sola (θ1 = 0, θ2 = 0) è stabile. Seguendo l’analisi appena esposta scriviamo la
Lagrangiana linearizzata dove
1 16 2 4
T̃ = mℓ2 θ̇1 + 4θ̇1 θ̇2 + θ̇22
2 3 3
e
1
Ũ = − mgℓ(3θ12 + θ22 ).
2
Introducendo le matrici A e B abbiamo che
8.1 Piccole oscillazioni 131
! !
16
3
mℓ2 2mℓ2 3mgℓ 0
A= , B= .
2mℓ2 34 mℓ2 0 mgℓ
L’equazione che fornisce gli autovalori della matrice B rispetto alla matrice A è data da
3mgℓ − 16
3
mℓ2 λ (−2mℓ2 λ)
det = 0,
(−2mℓ2 λ) mgℓ − 34 mℓ2 λ
ossia
28 2 28 2
λ − ω λ + 3ω 4 = 0, ω 2 = g/ℓ
9 3
che ha soluzioni
√
3
λ1,2 = ω 2 (7 ± 2 7)
14
da cui le due frequenze proprie sono dunque
v !
q u
u 1 1
ωj = λ j = ω t3 ± √ , j = 1, 2.
2 7
Denotate con Q1 (t) e Q2 (t) le coordinate normali, le oscillazioni proprie sono date da
Qj (t) = Cj cos(ωj t + γj ), j = 1, 2
dove le costanti Cj e γj sono da determinarsi attraverso le condizioni iniziali. Volendo infine tornare
alle coordinate iniziali θ1 e θ2 siano
√ ! √ !
7+2 7 7−2 7
w1 = 3 √ e w2 = 3 √
−35 − 16 7 −35 + 16 7
gli autovettori associati agli autovalori λ1 e λ2 . Allora si ottiene
√ √
θ1 (t) = C1 7+23 7 cos(ω 7−2 7
√1 t + γ1 ) + C2 3 cos(ω2 t + γ2 );√
θ2 (t) = C1 (−35 − 16 7) cos(ω1 t + γ1 ) + C2 (−35 + 16 7) cos(ω2 t + γ2 ).
Per semplicitá restringiamo la nostra analisi al solo caso unidimensionale. Denotando con q l’unico
parametro lagrangiano e supponendo che q ⋆ = 0 sia una configurazione di equilibrio stabile tale che
U ′′ (0) < 0 allora la Lagrangiana prende la forma
1
L = a(q)q̇ 2 + U (q)
2
e l’equazione di Lagrange diventa
1
a(q)q̈ + a′ (q)q̇ 2 = U ′ (q) . (8.20)
2
132 8 Teoria Perturbativa
Ponendo zj (t) = xj (t) − yj (t) per j = 1, 2, osservando che zj (0) = 0, e sottraendo membro a membro
otteniamo che la funzione zj deve soddisfare al seguente sistema di equazioni integrali:
Z t Z t Z t
z1 (t) = z2 (s)ds e z2 (t) = ω 2 z1 (s)ds + R[x1 (s), x2 (s)]ds . (8.24)
0 0 0
Ricordando ora il Teorema di Dirichlet (formule (8.3) e (8.5)) segue che per ogni ǫ > 0 allora
|x1 (t)| ≤ ǫ e |x2 (t)| ≤ ǫ, ∀t ∈ R,
se
|x1 (0)| ≤ δ e |x2 (0)| ≤ δ, (8.25)
per un qualche δ > 0. Quindi possiamo affermare che esiste una costante C > 0 tale che
|R[x1 (s), x2 (s)]| ≤ Cǫ2 , ∀s ∈ R ,
per ogni ǫ arbitrariamente piccolo, purché le condizioni iniziali siano scelte in modo opportuno (8.25).
Ció premesso, ponendo
8.1 Piccole oscillazioni 133
0.001
0.0005
–0.0005
–0.001
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
Fig. 8.1. Grafico della differenza q(t)−Q(t) dove q(t) é la soluzione esatta del pendolo semplice e Q(t) la soluzione approssimata,
con condizioni iniziali q0 = 0.1 e q̇0 = 0.
Consideriamo un sistema (non necessariamente) Hamiltoniano in cui le variabili coniugate sono de-
notate ϕ e I e dove la prima variabile ϕ ∈ [0, 2π) = T 1 é un angolo (il problema puó essere esteno a n
variabili azione-angolo); queste variabili sono comunemente dette variabili azione-angolo. Il sistema
imperturbato ha Hamiltoniana
H0 = H0 (I)
che non dipende da I ma solo dall’azione I. Le equazioni canoniche di Hamilton hanno la forma
(
ϕ̇ = ω(I) ∂H0
dove ω(I) = ,
I˙ = 0 ∂I
la cui soluzione é immediatamente data da
I(t) ≡ I0 , ϕ(t) = ω(I0 )t + ϕ0
essendo I(0) = I0 e ϕ(0) = ϕ0 le condizioni iniziali.
Consideriamo ora il sistema perturbato di Hamiltoniana
H(I, ϕ) = H0 (I) + ǫH1 (I, ϕ)
dove ǫ ≪ 1 e dove
H1 (I, ϕ) = H1 (I, ϕ + 2π)
é una funzione (periodica rispetto alla variabile angolo ϕ) assegnata su R × T 1 . Le corrispondenti
equazioni canoniche di Hamilton prendono la forma
(
ϕ̇ = ω(I) + ǫf (I, ϕ)
(8.27)
I˙ = ǫg(I, ϕ)
8.2 Principio della media 135
dove f = ∂H
∂I
1
e g = − ∂H
∂ϕ
1
sono due funzioni perioriche rispetto alla variabile ϕ.
Il principio della media per il sistema (8.27) consiste nella sostituzione con il sistema mediato
J˙ = ǫḡ(J) , J(0) = I0 , (8.28)
dove ḡ é la media di g rispetto alla variabile ”angolo”:
1 Z 2π
ḡ(J) = g(J, ϕ)dϕ .
2π 0
L’idea é che il sistema mediato ”approssima bene” il sistema (8.27); questo principio si incontra giá in
Gauss per lo studio delle perturbazioni che i pianeti esercitano tra loro, Gauss propone di distribuire
la massa di ogni pianeta sulla sua orbita proporzionalmente al tempo e di sostituire l’attrazione dei
pianeti con l’attrazione degli anelli ottenuti. Questo principio é alla base di tecniche piú evolute,
quali le teorie di campo medio.
Teorema della media. Fissiamo un dominio limitato G ⊂ R per la variabile azione I e supponi-
amo che:
1. le funzioni ω(I), f (I, ϕ) e g(I, ϕ) siano definite insieme alle loro derivate fino al secondo ordine:
h i
max
1
|ω (n) (I)|, |f (n) (I, ϕ)|, |g (n) (I, ϕ)| ≤ C1
(I,ϕ)∈G×T ,n=0,1,2
I → P = I + ǫk(I, ϕ)
al dominio G − α (cioé dei punti contenuti in G insieme ad un α-intorno) é un diffeomorfismo con
diffeomorfismo inverso
P → I = P + ǫh(P, ϕ, ǫ) (8.31)
nel dominio G−2α tale che h é limitata insieme alle sue derivate rispetto a P , fino all’ordine secondo,
su tutto G − 2α per ogni ϕ fissato in T 1 .
Quindi in virtú del seguente lemma segue che la relazione (8.30) é invertibile con khkC 2 (G−2α)
limitata per ogni ϕ.
Scegliamo ora la trasformazione (8.30) in modo da semplificare l’equazione di partenza. Derivando
ambo i membri della (8.30) segue che la funzione P = P (t) dovrá soddisfare alla seguente equazione
∂k ˙ ∂k
Ṗ = I˙ + ǫ I + ǫ ϕ̇
∂I ∂ϕ
" #
∂k ∂k ∂k
= ǫ g(I, ϕ) + ω(I) + ǫ2 g + ǫ2 f
∂ϕ ∂I ∂ϕ
" #
∂k
= ǫ g(P, ϕ) + ω(P ) + R (8.32)
∂ϕ
dove abbiamo fatto uso della trasformazione inversa (8.31) e dove R é un termine del secondo or-
dine rispetto ad ǫ che dipende dalla scelta ella funzione k, al momento non definita. La scelta
hdi k é tale da semplificare
i l’equazione per P : piú precisamente scegliamo k in modo che il termine
∂k
g(P, ϕ) + ∂ϕ ω(P ) si semplifichi il piú possibile; ovvero, chiedendo che tale termine sia identicamente
nullo, otteniamo per k l’equazione
∂k 1
= − g(P, ϕ) .
∂ϕ ω
Osserviamo che tale equazione non é, in generale, risolubile nella classe di funzioni perioriche; infatti
il termine a sinistra ha sempre media nulla, mentre il termine a destra puó avere media non nulla.
Dunque non possiamo scegliere k in modo da eliminare completamente il termine in ǫ nella (8.32).
Tuttavia, ponendo
Z ϕ g̃(P, θ)
k(P, ϕ) = − dθ, dove g̃(P, ϕ) = g(P, ϕ) − ḡ(P ),
0 ω(P )
é possibile eliminare la parte periodica di g.
Con tale scelta di k e sotto le ipotesi su f , g e ω segue infine che
J˙ = ǫḡ(J) e Ṗ = ǫḡ(P ) + R.
8.2 Principio della media 137
Ponendo z = P − J allora, sottraendo membro a menbro le due equazioni, si trova che z(t) soddisfa
all’equazione
ż = ǫ [ḡ(P ) − ḡ(J)] + R
∂ḡ
=ǫ z + R′
∂P
dove |R′ | ≤ C4 ǫ2 + C5 ǫ|z| per una qualche costante C5 positiva. Possiamo quindi affermare che
|ż| ≤ C6 ǫ|z| + C4 ǫ2 , |z(0)| ≤ C3 ǫ
1
Esercizio: dimostrare che ex − 1 ≤ xex per ogni x > 0.
A
Complementi
Viceversa, se un sistema di N punti è soggetto a ℓ equazioni indipendenti della forma (A.3) allora,
risolvendo le (A.3) rispetto ad ℓ delle 3N coordinate xs , ys , zs e assumendo come parametri lagrangiani
le rimanenti 3N − ℓ, si ottiene un sistema della forma (A.1).
Definizione A.1. Un sistema soggetto a vincoli della forma (A.3) si dice olonomo. I parametri
arbitrari q1 , q2 , . . . , qn si chiamano coordinate generali o lagrangiane del sistema.
Definizione A.2. Se il tempo t non compare nelle (A.1) o, equivalentemente, nelle (A.3), il sistema
olonomo si dice a vincoli indipendenti dal tempo o scleronomi; altrimenti si dice a vincoli
dipendenti dal tempo o reonomi.
Vediamo alcuni esempi:
i. Una figura rigida mobile su di un piano è un sistema olonomo con 3 gradi di libertà, in quanto
occorrono e bastano 2 parametri per individuare la posizione di un suo punto M nel piano ed un
ulteriore parametro per fissare la sua orientazione attorno ad M ;
ii. Il sistema di due aste rigide mobili nel piano collegate a cerniera è un sistema olonomo con 4 gradi
di libertà, perchè la posizione della cerniera dipende da 2 parametri, ed altri 2 ne occorrono e
bastano per individuare le orientazioni delle 2 aste;
iii. Una sbarra nello spazio è un sistema olonomo con 5 gradi di libertà. Per fissare infatti la
configurazione di un tale sistema basta conoscere la posizione di un suo punto P , che dipende da
tre parametri, e la direzione della sbarra, che dipende da due parametri (ad esempio l’angolo di
nutazione e l’angolo di precessione).
iv. Per un sistema rigido nello spazio i gradi di libertà sono 6, cioé tanti quanti quelli di una terna
di assi (solidale con la figura): tre parametri occorrono per fissarne l’origine e tre l’orientazione.
Se il sistema ha un punto fisso allora il numero di gradi di libertà si riduce a 3. Se il
sistema ha un asse fisso invece il numero di gradi di libertà si riduce a 1.
Il moto del sistema risulterà definito quando le coordinate lagrangiane del sistema sono assegnate
in funzione del tempo. Le equazioni
qh = qh (t), h = 1, 2, . . . , n,
cui si dà luogo, si diranno le equazioni orarie del moto in coordinate lagrangiane. Per l’atto di
moto del sistema, cioé per le velocità vs = v(Ps ) dei suoi punti Ps , si ha, derivando le (A.1):
n
dPs ∂Ps X ∂Ps
vs = = + q̇h s = 1, 2, . . . , N. (A.4)
dt ∂t h=1 ∂qh
Come si può facilmente osservare il sistema meccanico a n gradi di libertà ha vincoli olonomi
indipendenti dal tempo se l’insieme delle sue configurazioni è individuato da una sottovarietà
regolare Vn , detto spazio delle configurazioni, Vn × R prende il nome di spazio-tempo delle
configurazioni.
Consideriamo un disco rigido mobile nel piano (O; x, y) che si mantenga sempre appoggiato all’asse
(O; x) e che sia vincolato a scorrere senza strisciare su quest’asse. Si possono assumere quali
parametri lagrangiani la coordinata ascissa x del centro C del disco e l’angolo θ di rotazione. La
condizione di puro rotolamento implica vτ (K) = 0 dove K è il punto di contatto tra il disco e l’asse;
vτ (K) è la velocità di trascinamento. Questa condizione si traduce nella relazione
142 A Complementi
ẋ + Rθ̇ = 0
che rappresenta quindi un vincolo di mobilità omogeneo. Questo è immediatamente integrabile
e dà la relazione
x = −Rθ + x0
che rappresenta un vincolo olonomo. Osserviamo che se imponiamo al disco di rotolare senza
strisciare su un piano senza prefissare la traiettoria del punto di contatto allora il vincolo di
puro rotolamento si traduce in due vincoli di mobilità non integrabili, cioé anolonomi.
Consideriamo una sfera rigida S costretta a rotolare senza strisciare su di un piano fisso. Si posso
scegliere come coordinate lagrangiane del nostro sistema i cinque parametri: x, y (coordinate della
proiezione del centro C della sfera sul piano) e θ, ψ, φ (angoli di Eulero); ovviamente z = R. Ad
ogni sistema di valori di questi 5 parametri corrisponde una posizione della sfera a contatto con il
piano z = 0. Se queste 5 coordinate sono funzioni del tempo si ottengono le equazioni di un moto
della sfera S a contatto con il piano. Ma questo moto non è, in generale, di puro rotolamento,
bensı̀ implica, istante per istante, uno strisciamento della sfera sul piano. La condizione di puro
rotolamento implica che deve essere costantemente nulla la velocità di trascinamento del punto di
contatto K, il quale, in generale, varia da istante ad istante tanto sul piano fisso quanto sulla sfera.
Denotando con v◦ e ω i vettori caratteristici del moto della sfera rispetto al suo centro C, si dovrà
avere, ad ogni istante, che la velocità di trascinamento di K sia nulla:
vτ (K) = v◦ + ω × (K − C) = 0.
Scalarmente:
ẋ − Rχ = 0, ẏ + Rπ = 0 (A.9)
dove π, χ, ρ sono le componenti di ω rispetto agli assi fissi dove
π = θ̇ cos ψ + φ̇ sin θ sin ψ, χ = θ̇ sin ψ − φ̇ sin θ cos ψ (A.10)
da cui seguono, in particolare,
∂π ∂χ
= −χ, = π. (A.11)
∂ψ ∂ψ
A.1 Cinematica dei sistemi 143
Le equazioni (A.9) sono le equazioni del vincolo di puro rotolamento ed esse non si possono
integrare. Infatti esse si possono scrivere come
(
ẋ − R sin ψ θ̇ + R sin θ cos ψ φ̇ = 0
ẏ + R cos ψ θ̇ + R sin θ sin ψ φ̇ = 0
e la condizione necessaria affinchè le (A.9) siano integrabili implica che siano verificate le seguenti
identità:
∂(R sin θ cos ψ) ∂(−R sin ψ) ∂(R sin θ sin ψ) ∂(R cos ψ)
= e =
∂θ ∂φ ∂θ ∂φ
che risultano manifestamente non verificate identicamente. Inoltre, si può verificare che non
esiste nessuna relazione (A.8) in termini finiti, fra le coordinate lagrangiane x, y, θ, φ, ψ e il tempo,
la quale, derivata rispetto a t, conduca ad una combinazione lineare delle (A.9).
Durante il moto del sistema olonomo soggetto alla (A.1) si ha che la velocità del generico punto Ps
vale
n
X ∂Ps ∂Ps
v(Ps ) = q̇h + , s = 1, . . . , N.
h=1 ∂qh ∂t
Pertanto il differenziale dPs , che rappresenta lo spostamento infinitesimo reale del punto Ps , vale
n
X ∂Ps ∂Ps
dPs = dqh + dt, s = 1, . . . , N.
h=1 ∂qh ∂t
Definizione A.5. Diremo spostamenti virtuali di un sistema olonomo gli ipotetici spostamenti
(infinitesimi) che sono atti a far passare il sistema da una qualsiasi sua configurazione ad un’altra
(infinitamente vicina) relativa al medesimo istante.
Dato un sistema olonomo, lo spostamento subito da un suo punto Ps in uno spostamento virtuale
dell’intero sistema si indica con δPs e le sue componenti secondo gli assi si denotano con δxs , δys , δzs .
Si trova per gli spostamenti virtuali, nel caso di un sistema olonomo riferito a coordinate lagrangiane
indipendenti, l’espressione generale
n
X ∂Ps
δPs = δqh s = 1, 2, . . . , N (A.12)
h=1 ∂qh
che risulta lineare omogenea nelle variazioni elementari (arbitrarie e indipendenti) δqh delle coor-
dinate lagrangiane (anche se i vincoli dipendono dal tempo).
Di fatto gli spostamenti (infinitesimi) sono una forma differenziale lineare rispetto alle n variabili
q1 , q2 , . . . , qn .
144 A Complementi
Componendo, a partire dalla stessa configurazione del sistema, due o più spostamenti virtuali, si
ottiene ancora uno spostamento virtuale.
Se i vincoli sono indipendenti dal tempo si ha che gli spostamenti virtuali coincidono con i possibili
spostamenti (infinitesimi) reali. In generale questo non è vero; infatti se denotiamo con dP lo
spostamento infinitesimo reale allora
n
X ∂P ∂P
dP = dqh + dt
h=1 ∂qh ∂t
∂P
che differisce da δP per il termine ∂t
dt.
Se il vincolo anolonomo era definito mediante vincoli di mobilità del tipo (A.7) allora sarà considerato
come spostamento virtuale ogni spostamento ipotetico che sia atto a far passare il sistema da
una configurazione C ad un’altra infinitamente vicina C ′ , compatibile con lo stato dei vincoli al
medesimo istante; con l’ulteriore condizione che anche l’ipotetico spostamento obbedisca
a quei medesimi vincoli di mobilità che sono imposti ad ogni moto effettivo del sistema.
Cioé la variazione δqh delle coordinate lagrangiane dovrà essere tale che:
n
X
ah δqh = 0. (A.13)
h=1
Cioé, per un sistema anolonomo, gli spostamenti virtuali sono dati dalle (A.12) dove i termini δqh
non sono più arbitari e indipendenti, bensı̀ devono soddisfare i vincoli di mobilità.
Spostamenti invertibili
Dalla (A.12) segue che un sistema olonomo, ad ogni istante e a partire da ogni configurazione,
ammette insieme con ogni suo spostamento virtuale δPi anche il suo opposto −δPi ; cioé nei sistemi
olonomi tutti gli spostamenti virtuali sono invertibili. Infatti se le δqh soddisfano le (A.12)
allora anche −δqh le soddisfano.
dove dO′ rappresenta lo spostamento (infinitesimo) del centro di riduzione e âdθ la rotazione (in-
finitesima) attorno all’asse istantaneo passante per O′ e, all’istante considerato t, avente verso e
A.1 Cinematica dei sistemi 145
direzione dati da â; completamente arbitrari nel caso di un sistema rigido libero. In tal caso la
(A.14) fornisce la rappresentazione di tutti gli spostamenti virtuali di un sistema rigido:
δP = δO′ + ω ′ × (P − O′ ),
δP = ω ′ × (P − O′ ).
si dice soggetto a vincoli unilateri (di posizione), se le rispettive coordinate lagrangiane debbono
soddisfare ad un certo numero di relazioni (dipendenti o no dal tempo) del tipo:
φj (q1 , q2 , . . . , qn ; t) ≤ 0, j = 1, 2, . . . , r. (A.16)
Quando la distanza tra i due punti è minore di λ allora saremo nel caso di configurazioni ordinarie,
quando la distanza è invece esattamente λ allora saremo nel caso di configurazioni di confine.
Estendendo ai sistemi a vincoli unilateri la definizione di spostamento virtuale avremo che, per un
sistema (A.15), sottoposto ai vincoli (A.16), ogni spostamento virtuale,
P
a partire dalla configurazione
di coordinate lagrangiane q1 , q2 , . . . , qn , sarà dato da δPs = nh=1 ∂q
∂Pi
h
δqh , s = 1, . . . , N ; dove le
variazioni δqh delle coordinate lagrangiane dovranno soddisfare alle relazioni
Da ciò segue che, per ragioni di continuità, a partire da una configurazione ordinaria, i vincoli
unilaterali non impongono alcuna limitazione di mobilità. Se, invece, si parte da una configurazione di
146 A Complementi
confine, cioé da una configurazione in cui si annulla almeno una delle φj , ad es. φj ′ , la corrispondente
relazione (A.17) impone la condizione
n
X ∂φj ′
δφj ′ = δqh ≤ 0. (A.18)
h=1 ∂qh
Segue che: i vincoli unilaterali implicano delle condizioni per gli spostamenti virtuali
soltanto a partire dalle condizioni di confine. Più precisamente: purché si parta da una config-
urazione ordinaria, per un sistema a vincoli unilateri tutti gli spostamenti virtuali sono invertibili.
Non cosı̀ se si muove da una configurazione di confine, in particolare: a partire da una configurazione
di confine, gli spostamenti virtuali sono in generale non invertibili. Sono invertibili tutti e solo
quelli che con ogni relazione (A.16) soddisfatta per uguaglianza, soddisfano anche la corrispondente
δφj ′ = 0.
Ad esempio: un punto appoggiato al piano (fisso) z = z0 deve soddisfare alla relazione φ(x, y, z) ≤
0, dove φ(x, y, z) = z0 − z. La (A.18) assume la forma δφ = −δz. Se prendiamo spostamenti virtuali
che lasciano il punto nel piano (cioé con δx e δy arbitrari e con δz = 0) allora questi sono invertibili
poiché per questi si ha δφ = 0. Se invece prendiamo spostamenti virtuali che ci spostano il punto
dal piano (cioé con δz > 0) allora questi non sono invertibili.
Definizione A.7. Sia P un punto materiale di massa m, r una retta generica, d la distanza di P
da r. Per momento di inerzia di P rispetto all’asse r, si intende il prodotto md2 della massa di
P per il quadrato della sua distanza dall’asse. In generale, dato un sistema S, costituito da N punti
materiali Ps di massa ms , si chiamerà momento di inerzia Ir del sistema rispetto all’asse r,
la somma dei momenti di inerzia dei singoli suoi punti:
N
X
Ir = ms d2s , (A.19)
s=1
dove indichiamo con ms la massa del punto generico Ps del sistema e con ds la sua distanza da r.
Nel caso di masse distribuite con continuità nel volume S il momento di inerzia è dato da:
Z
Ir = d2 µdS
S
dove d è la distanda dall’asse del generico elemento dS di campo intorno a un punto P e µ denota
la densità.
Nel seguito discuteremo le proprietà principali dei momenti di inerzia supponendo di operare con
una distribuzione discreta di corpi puntiformi. I risultati ottenuti valgono anche nel caso più generale
di distribuzione continua dove, nelle dimostrazioni, basta sostituire alle somme gli integrali.
Ir = Ir0 + md2 .
Segue che, tra tutti gli assi paralleli a una direzione data, quello per cui il momento di inerzia è
minimo passa per il baricentro.
Dimostrazione. Scegliamo un sistema di riferimento (O; x, y, z) in cui O coincide con il baricentro,
l’asse (O; z) con l’asse r0 e l’asse r con l’asse di equazioni y = 0 e x = d. Rispetto a questo sistema
di riferimento e assumendo che il sistema sia costituito da un numero discreto di punti avremo che
N
X N
X
Ir 0 = ms (x2s + ys2 ) e Ir = ms ((xs − d)2 + ys2 )
s=1 s=1
Teorema A.9. Sia data una retta r, sia (O; x, y, z) un sistema di riferimento ortogonale destro con
O appartenente alla retta r, siano α, β, γ i coseni direttori della retta r (comunque orientata)
rispetto agli assi coordinati. Si prova che il momento di inerzia di un dato sistema S rispetto alla
retta r vale:
dove si è posto:
PN PN
2 2 ′
A = Ix = Ps=1 ms (ys + zs )
A = Ps=1 ms xs ys
B = Iy = N ms (x2s + zs2 ) e B′ = N
s=1 ms xs zs (A.21)
Ps=1
N 2 2
′
PN
C = Iy = s=1 ms (ys + xs ) C = s=1 m s ys z s
Dimostrazione. la dimostrazione si effettua con un calcolo diretto osservando che la distanza ds di
un punto Ps da un asse passante per O avente direzione individuata da un versore r̂ = αı̂ + β̂ + γ k̂
è data da
ı̂ ̂ k̂
ds = |(Ps − O) × r̂| = det
xs ys z s
α β γ
q
= (ys γ − zs β)2 + (xs γ − zs α)2 + (xs β − ys α)2 .
Quindi
148 A Complementi
N
X N
X h i
Ir = ms d2s = ms (xs β − ys α)2 + (xs γ − zs α)2 + (ys γ − zs β)2
s=1 s=1
XN h
= ms (x2s + zs2 )β 2 + (ys2 + zs2 )α2 + (x2s + ys2 )γ 2 +
s=1
−2xs y2 αβ − 2x2 z2 γα − 2ys zs βγ]
A = s2 + s3 , B = s1 + s3 , C = s2 + s1 , (A.22)
dove s1 , s2 , s3 sono i momenti di inerzia del sistema S rispetto ai piani coordinati:
N
X N
X N
X
s1 = ms x2s , s2 = ms ys2 , s3 = ms zs2 . (A.23)
s=1 s=1 s=1
Noto tale ellissoide si ha subito il momento di inerzia rispetto ad ogni retta r passante per O.
1
Infatti, essendo L uno dei due punti in cui r incontra l’ellissoide, sarà Ir = OL 2. Da qui risulta
che, tra tutti gli assi condotti per O, quello che dà il più piccolo momento di inerzia è l’asse
maggiore dell’ellissoide, quello che dà il più grande momento di inerzia è l’asse minore
dell’ellissoide. Gli assi dell’ellissoide di inerzia si chiamano assi principali di inerzia relativi al
punto considerato e, assumendoli, come assi coordinati, la (A.24) si riduce alla forma particolare
Ax2 + By 2 + Cz 2 = 1,
in questo caso A, B, C prendono il nome di momenti di inerzia relativi agli assi principali o
momenti principali di inerzia.
sono nulli poiché le somme si possono organizzare come una serie di somme di due elementi aventi
stessa massa, stesse coordinate xs e ys e coordinata zs opposta. Inoltre se un sistema possiede
due piani ortogonali di simmetria, questi sono necessariamente piani principali dell’ellissoide di
inerzia relativo ad un punto qualsiasi della loro intersezione.
ii. Sia il sistema S appartenente ad un piano e sia il centro O dell’ellissoide appartenente anch’esso al
piano. Scegliamo il sistema di coordinate (O; x, y, z) con z ortogonale al piano. Il piano (O; x, y),
in quanto contenente la figura, è manifestamente un piano di simmetria materiale e quindi l’asse
z è un asse principale d’inerzia: B ′ = C ′ = 0. Inoltre vale anche la seguente proprietà, essendo
zs = 0 per ogni punto Ps allora:
X X X
C= ms (x2s + ys2 ) = ms (x2s + zs2 ) + ms (ys2 + zs2 ) = A + B.
s s s
Volendo calcolare l’equazione dell’ellissoide d’inerzia di centro O, dove O coincide con uno dei vertici
della lamina, sia (O; x, y, z) scelto in modo che la lamina sia contenuta nel piano (O; x, y) e che gli assi
(O; x) e (O; y) siano paralleli ai lati del rettangolo in modo che lamina sia tutta nel primo quadrante.
Siano i lati di lunghezza a e b. Essendo µ = m/ab si ha che:
Z
mZa Zb 2 1
A= µy 2 dxdy = dx y dy = mb2 .
lamina ab 0 0 3
150 A Complementi
Analogamente segue che B = 31 ma2 e quindi C = A + B = 31 m(a2 + b2 ). Per ciò che riguarda il
momento di deviazione abbiamo che B ′ = C ′ = 0 e che
Z
mZa Z b
1
A′ = µxydxdy = xdx ydy = mab.
lamina ab 0 0 4
Disco piano omogeneo
Calcoliamo l’equazione dell’ellissoide d’inerzia di centro O, dove O coincide con il centro del disco.
Sia (O; x, y, z) scelto in modo che il disco sia contenuto nel piano (O; x, y). L’asse z è un asse
principale d’inerzia e inoltre, poiché ogni asse passante per il centro e appartenente al piano (O; x, y)
è di simmetria, segue che anche gli assi x e y sono principali di inerzia; infine si osservi che ruotando di
π/2 il disco il sistema materiale si presenta invariato allora segue che A = B e che quindi A = B = 12 C.
Rimane dunque da calcolare solo C, sia R il raggio del disco e µ = m/πR2 , si ha che:
Z
m Z 2π Z R 2 1
C= µ(x2 + y 2 )dxdy = 2
dθ r rdr = mR2 .
disco πR 0 0 2
A.2.2 Matrice d’inerzia
Matrice d’inerzia
Scegliamo un sistema di riferimento (O; x, y, z) dove O è il centro dell’ellissoide e (O; z) coincide con
l’asse principale d’inerzia noto. La corrispondente matrice d’inerzia ha quindi la forma
I11 I12 0
I = I21 I22 0
0 0 λ3
dove assumiamo I12 6= 0 (poiché altrimenti il problema è già risolto). Effettuiamo una rotazione
del piano (O; x, y) su sè stesso in modo da lasciare l’asse (O; z) invariato; la matrice ortogonale che
definisce questa rotazione è data da
cos ϕ sin ϕ 0
A=
− sin ϕ cos ϕ 0
0 0 1
la forma
′ ′
I11 I12 0
I = AIA = I21 I22 0
′ T ′ ′
′
dove I12 = (I22 − I11 ) sin 2ϕ + 2I12 cos 2ϕ.
0 0 λ3
′
Gli assi principali d’inerzia hanno direzione tale che I12 (ϕ) = 0, cioé:
i. se I11 = I22 allora deve essere cos 2ϕ = 0, ϕ = ±π/2 e gli assi principali d’inerzia coincidono con
le bisettrici del piano (O; x, y);
ii. se I11 6= I22 allora deve essere tan2ϕ = 2 I11I−I
12
22
ed i due valori che soddisfano questa equazione
danno i due assi principali d’inerzia.
Definizione A.11. Diremo energia cinetica o forza viva di un sistema materiale S di N punti
Ps di massa ms la somma
N N
1X 1X
T = ms vs2 = ms v s · v s . (A.25)
2 s=1 2 s=1
Si tratta di una grandezza scalare, sempre positiva, salvo che negli istanti di arresto di tutti i
punti del sistema, nei quali l’energia cinetica si riduce a zero; è manifesto che essa è di natura relativa
al riferimento adottato (in Dinamica quando si parla di energia cinetica, senza ulteriore specificazione,
si sottointende che il moto sia riferito ad una terna fissa o, più generalmente, galileiana).
152 A Complementi
Teorema di König
Denotando con (O′ ; x′ , y ′ , z ′ ) un sistema di riferimento mobile e con (O; x, y, z) il sistema di riferimento
fisso, la velocità di un punto Ps rispetto al sistema fisso è data da vs = vτ,s +v′s ; dove vτ,s è la velocità
di trascinamento di Ps e v′s è la velocità relativa di Ps . Nel caso particolare in cui il sistema mobile
si muova di moto traslatorio allora vτ,s = v(O′ ) = v0 e l’energia cinetica T assume la forma
N N
!
1 1X 2 X
T = mv0 2 + ms vs′ + v0 · ms v′s , (A.26)
2 2 s=1 s=1
dove m denota la massa totale del sistema. La (A.26) presenta l’energia cinetica del sistema, nel suo
moto rispetto a (O; x, y, z), come somma di tre termini, cioé l’energia cinetica che competerebbe al
punto O′ qualora fosse un punto materiale di massa m, l’energia cinetica del sistema nel suo moto
relativo ad O′ , ed, infine, una quantità che dipende sia dal moto di O′ che dal moto relativo. La
formula (A.26) si semplifica
PN
quando si assume come riferimento
PN
mobile O′ il baricentro G del sistema.
′
In tal caso, essendo s=1 ms (Ps − G) = 0, si ha che s=1 ms vs = 0.
Pertanto abbiamo il seguente risultato:
Teorema A.12 (Teorema del König). L’energia cinetica di un qualsiasi sistema materiale in
moto è, istante per istante, eguale alla somma dell’energia cinetica che competerebbe in quell’istante
al baricentro, qualora fosse un punto materiale in cui si trovasse concentrata tutta la massa del
sistema, più l’energia cinetica nel moto del sistema relativo al baricentro (ovvero all’osservatore
centrato nel baricentro e traslante):
N N
1 2 1X ′2
X
T = mvG + TG , TG = m s vs , m = ms . (A.27)
2 2 s=1 s=1
1
T ′ = mv02 ,
2
N
1X 2
T ′′ = ms {ω × (Ps − O′ )} ,
2 s=1
N
X
T ′′′ = v0 · ms ω × (Ps − O′ )
s=1
Qui dobbiamo esprimere T ′ , T ′′ , T ′′′ in termini delle sei caratteristiche date da v0 = uı̂ + v̂ + wk̂ e
′
ω = pı̂′ + q̂′ + rk̂ (dove è più conveniente, ma non necessario, proiettare ω su una terna solidale di
′
versori ı̂′ , ̂′ e k̂ )).
A.3 Energia Cinetica e quantitá di moto 153
Il primo addendo T ′ , che fornirebbe l’intera energia cinetica del corpo rigido qualora il moto fosse
puramente traslatorio, è dato da
1 1
T ′ = mv02 = m u2 + v 2 + w2 (A.29)
2 2
dove si è denotata con m la massa totale del corpo rigido.
Per trovare l’espressione esplicita di T ′′ , che darebbe la intera energia cinetica se il punto
solidale O′ fosse fisso, considerariamo la distanza ds del generico punto Ps del corpo rigido dall’asse
istantaneo di rotazione (O′ , ω). Poiché {ω × (Ps − O′ )}2 = ω 2 d2s allora, raccogliendo ω a fattor
comune, si trova che:
N
X
1
T ′′ = Iω 2 , dove I = ms d2s
2 s=1
rappresenta il momento di inerzia del corpo rigido rispetto all’asse istantaneo di rotazione passante
per O′ . In particolare, essendo A, B, C e A′ , B ′ , C ′ i momenti e i prodotti d’inerzia del corpo rigido
rispetto alla terna solidale al corpo rigido, si ha:
1
T ′′ = Iω 2
2
1n 2 o
= Ap + Bq 2 + Cr2 − 2A′ pq − 2B ′ pr − 2C ′ qr (A.30)
2
dove i momenti A, B, C e A′ , B ′ , C ′ calcolati rispetto al riferimento solidale sono costanti durante
il moto del corpo rigido. Infatti, il momento di inerzia I rispetto all’asse di istantanea rotazione
passante per O di equazioni (αx, βx, γx), x ∈ R e dove α = p/ω, β = q/ω e γ = r/ω sono i coseni
direttori della retta, è dato da
I = Aα2 + Bβ 2 + Cγ 2 − 2A′ αβ − 2B ′ αγ − 2Cβγ
1
= 2 Ap2 + Bq 2 + Cr2 − 2A′ pq − 2B ′ pr − 2Cqr .
ω
Il terzo addendo, infine, T ′′′ si può scrivere, per una nota proprietà del prodotto misto:
N
X
T ′′′ = ms (Ps − O′ ) · (v0 × ω)
s=1
= m(G − O′ ) · (v0 × ω) . (A.31)
Dalla (A.28) e dalle formule (A.29), (A.30) e (A.31) risulta che in ogni caso la energia cinetica
di un corpo rigido è una forma quadratica nelle 6 caratteristiche dell’atto di moto
(u, v, w, p, q, r).
Osserviamo che: se il centro di riduzione O′ (che è al tempo stesso origine delle coordinate) si
sceglie nel baricentro si annulla (G − O′ ) = 0 e quindi T ′′′ ; se poi si scelgono come assi coordinati i
rispettivi assi principali di inerzia allora si annullano i tre prodotti di inerzia A′ = B ′ = C ′ = 0,
mentre A, B, C diventano i tre momenti principali di inerzia baricentrali. Per la energia cinetica si
ottiene l’espressione notevolmente semplice in accordo con il Teorema di König:
1 1 2
T = m u2 + v 2 + w 2 + Ap + Bq 2 + Cr2 (A.32)
2 2
154 A Complementi
Quando il corpo rigido S sia fissato in un suo punto, basta scegliere questo punto O′ come centro di
riduzione del moto rigido (e come origine della terna solidale); allora l’energia cinetica, per un corpo
rigido rotante intorno ad un asse fissato con velocità angolare ω, è data da
1
T = T ′′ = Iω 2 ,
2
dove si è scelto il centro di riduzione O′ (origine anche della terna solidale) sull’asse e dove I denota
il momento di inerzia del corpo rigido rispetto al suo asse di rotazione. Operando come prima si ha
la seguente espressione equivalente (con ovvio significato dei termini):
1n 2 o
T = T ′′ = Ap + Bq 2 + Cr2 − 2A′ pq − 2B ′ pr − 2C ′ qr .
2
Dato un sistema olonomo S costituito da N punti Ps , dotato di n gradi di libertà, dove i vincoli sono
rappresentati dalle equazioni parametriche (A.1); per cui le velocità (possibili) vs dei singoli punti
Ps , in funzione delle coordinate qs e delle velocità lagrangiane q̇s e del tempo, sono date da
n
X ∂Ps ∂Ps
vs = q̇h + , s = 1, . . . , N. (A.33)
h=1 ∂qh ∂t
N N
1 X X ∂Ps ∂Ps
T = ah,k q̇h q̇k , ah,k = ms · (A.36)
2 h,k=1 s=1 ∂qh ∂qk
dove i coefficienti ah,k dipendono dalle sole qh . È questa dunque l’espressione generale della energia
cinetica di un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo e ad n gradi di libertà
(di fatto l’ipotesi di olonomia non è necessaria a questo stadio).
Vale il seguente risultato:
Teorema A.13. T2 è una forma quadratica nelle q̇h definita positiva; cioé T2 ≥ 0 per ogni scelta
delle velocità lagrangiane q̇1 , . . . , q̇n e T2 = 0 se, e solo se, q̇1 = . . . = q̇n = 0.
Dimostrazione. Supponiamo, per un momento, i vincoli indipendenti dal tempo e dimostriamo prima
il teorema sotto questa ipotesi. Osserviamo che T è per sua natura stessa definita positiva e quindi,
essendo T = T2 sarà necessariamente T2 ≥ 0. Se poi T2 = 0 allora T = 0 e quindi deve essere vs = 0;
resta quindi da fare vedere che
q̇h = 0, h = 1, 2, . . . , n ⇔ vs = 0, s = 1, 2, . . . , N
ovvere le q̇h sono tutte nulle sempre e solo quando tali sono tutte le vs . Dalla (A.33), in cui ∂P
∂t
s
= 0,
è immediato che vs = 0 quando q̇h = 0. Per dimostrare il viceversa osserviamo che se tutte le vs
sono nulle allora abbiamo che deve essere
n
X n
X n
X
∂xs ∂ys ∂zs
q̇h = 0, q̇h = 0, q̇h = 0
h=1 ∂qh h=1 ∂qh h=1 ∂qh
che implica q̇h = 0 poiché la matrice Jacobiana delle xs , ys , zs rispetto alle qh , in virtù della
ipotesi della indipendenza delle coordinate lagrangiane, è, per valori generici di esse, di caratteristica
n. Supponiamo ora i vincoli dipendenti dal tempo; T sarà ancora definita positiva ma ora T =
T2 + T1 + T0 . Mostriamo per prima cosa che T2 ≥ 0. Supponiamo per assurdo che esistano q̄˙h non
tutte nulle tali che T̄2 < 0, quindi sarà T2 = α2 T̄2 < 0 anche per αq̄˙h per qualunque α ∈ R\{0} e
inoltre sarà
n
X n
X
21
T =α ah,k q̄˙h q̄˙k + α Ah q̄˙h + T0 = α2 T̄2 + αT̄1 + T̄0 .
2 h,k=1 h=1
Poiché abbiamo supposto per assurdo T̄2 < 0 allora, per α sufficientemente grande, sarà T < 0
cadendo in assurdo. Mostriamo ora che T2 = 0 implica q̇h = 0. Supponiamo, per assurdo, che
esistano q̄˙h non tutte nulle tali che T̄2 = 0, quindi sarà T2 = α2 T̄2 = 0 anche per αq̄˙h per qualunque
α ∈ R\{0}. Quindi
n
X
T =α Ah q̄˙h + T0 = αT̄1 + T̄0 .
h=1
Se T̄1 6= 0 allora basta prendere α di segno opposto a T̄1 e sufficientemente grande per avere T < 0
cadendo in assurdo; quindi deve essere anche T̄1 = 0, ottenendo
N
!2
X ∂Ps
T = T̄0 = ms .
s=1 ∂t
156 A Complementi
Osserviamo che T̄0 è indipendente da q̄˙h e quindi da α mentre T dipende da α attraverso v̄s e la
(A.33), poiché q̄˙h 6= 0 per un qualche h, cadendo ancora in assurdo. Quindi abbiamo provato che
T2 ≥ 0 e che se T2 = 0 allora deve necessariamente essere q̇h = 0 per ogni h.
Notiamo, infine, che nell’uno e nell’altro caso il determinante kah,k k degli n2 coefficienti ah,k ,
appunto come discriminante di una forma definita (positiva), non può annullarsi. Per dimostrare
questo risultato indipendentemente dal Teorema precedente si può procedere come segue: supponiamo
i vincoli indipendenti dal tempo (per semplicità) e sia, per assurdo, questo determinante fosse nullo,
per una qualche scelta dei parametri lagrangiani qh e t; allora esistono q̄˙h non tutte nulle soddisfacenti
al sistema di n equazioni lineari
n
X
∂T
= ah,k q̄˙k = 0, h = 1, 2, . . . , n.
∂ q̇h k=1
Moltiplicando i membri di questa equazione per q̄˙h si ottiene che deve essere
n
X ∂T
0= q̄˙h = 2T
h=1 ∂ q̇h
Il momento della quantità di moto è legato alla scelta del punto O secondo la seguente relazione:
K(O′ ) = K(O) + (O − O′ ) × Q
dove Q è la quantità di moto del sistema. Infatti
N
X N
X
K(O′ ) = ms vs × (O′ − Ps ) = ms vs × [(O − Ps ) + (O′ − O)]
s=1 s=1
XN N
X
= ms vs × (O − Ps ) + ms vs × (O′ − O)
s=1 s=1
′
= K(O) + (O − O ) × Q.
Scegliendo come centro di riduzione dei momenti il baricentro G del sistema ed essendo v′s le
velocità dei punti del sistema nel loro moto relativo a G (cioé rispetto ad un osservatore baricentrico
traslante): vs = vG + v′s si ha che:
N
X
K(G) = ms vs × (G − Ps )
s=1
XN N
X
= ms v′s × (G − Ps ) + ms vG × (G − Ps )
s=1 s=1
XN N
X
= ms v′s × (G − Ps ) + vG × ms (G − Ps )
s=1 s=1
XN
= ms v′s × (G − Ps ) = K′ (G).
s=1
Si noti che tale semplificazione rimane valida anche quando il centro di riduzione O (pur non essendo,
in generale, fisso) coincida, istante per istante, con il baricentro del sistema, infatti in tal
caso il termine vG × Q è identicamente nullo dalla (A.38), o oppure abbia velocità parallela a
quella del baricentro, infatti v0 × Q = v0 × (mvG ) = 0.
158 A Complementi
Quando il sistema S in moto è un corpo rigido, e si assume a centro di riduzione O′ un punto solidale
con il sistema, i due vettori Q e K(O′ ) si esprimono in modo notevolmente semplice per mezzo delle
caratteristiche u, v, w e p, q, r del moto di S rispetto ad una qualsiasi terna solidale (O′ ; x′ , y ′ , z ′ )
dove
′ ′
v0 = uı̂′ + v̂′ + wk̂ , ω = pı̂′ + q̂′ + rk̂ .
Più precisamente si ha che:
Teorema A.18. Le componenti di Q e K si identificano con le derivate parziali dell’energia cinetica
T del corpo rigido rapporto alle 6 caratteristiche:
∂T ′ ∂T ′ ∂T ′
Q = ∇(u,v,w) T = ı̂ + ̂ + k̂
∂u ∂v ∂w
e
∂T ′ ∂T ′ ∂T ′
K(O′ ) = ∇(p,q,r) T = ı̂ + ̂ + k̂ .
∂p ∂q ∂r
1 PN
Dimostrazione. Infatti, partendo dalla definizione T = 2 s=1 ms vs2 , dove
′
vs = v0 + ω × (Ps − O′ ) = vs,x′ ı̂′ + vs,y′ ̂′ + vs,z′ k̂ , v0 = v(O),
viene proiettata sulla terna solidale e dove
vs,x′ = u + ṽs,x′ (p, q, r).
L’energia cinetica T sarà funzione di u, v, w, p, q, r e, derivandola rispetto ad u si ottiene che solamente
∂vs,x′
vs,x′ dipende da u e che ∂u = 1; quindi:
XN
∂T
= ms vs,x′ , (A.42)
∂u s=1
il cui secondo membro non è altro che la componente Qx′ di Q secondo l’asse delle x′ . Analogamente
per y ′ e z ′ ottenendo:
∂T ∂T ∂T
Qx′ =
, Qy ′ = , Qz ′ = . (A.43)
∂u ∂v ∂w
Derivando ora la T rispetto a p si perviene all’identità
N N
" #
∂T X ∂vs X ∂ω
= ms · vs = ms × (Ps − O) · vs
∂p s=1 ∂p s=1 ∂p
N
X N
X
= ms ı̂′ × (Ps − O) · vs = ms ı̂′ · (Ps − O) × vs = Kx′ .
s=1 s=1
Analogamente
∂T ∂T
Ky ′ = , Kz ′ = (A.44)
∂q ∂r
completando cosı̀ la dimostrazione.
A.3 Energia Cinetica e quantitá di moto 159
e basta prendere come assi solidali i tre assi principali d’inerzia in O′ (baricentro o punto solidale
fisso) per ridurle ulteriormente alla forma canonica
Se un corpo rigido S ruota intorno ad una retta fissa a con velocità angolare ω allora, scegliendo
l’asse a coincidente con uno degli assi di riferimento (ad es. l’asse x′ ) per cui p = ±ω e q = r = 0, le
(A.43) e (A.44) assumono la forma:
Qx′ = 0, Qy′ = −mz0 p, Qz′ = my0 p;
Kx′ = Ap, Ky′ = −C ′ p, Kz′ = −B ′ p.
Si prova cosı̀ che il momento delle quantità di moto rispetto all’asse di rotazione è dato
dal prodotto di ±ω per A (momento di inerzia del corpo rispetto allo stesso asse).
B
Serie di Fourier
Sia data una funzione f (t) periodica di periodo T . Si definisce serie di Fourier associata a f (t) la
seguente serie (al momento formale):
X∞
1 2nπ 2nπ
f (t) ∼ a0 + an cos t + bn sin t (B.1)
2 n=1 T T
in cui i coefficienti di Fourier an e bn sono dati da
2ZT 2nπ
an = f (t) cos t dt, n = 0, 1, . . . , (B.2)
T 0 T
e
2ZT 2nπ
bn = f (t) sin t dt, n = 1, 2, . . . . (B.3)
T 0 T
La serie (B.1) associata a f (t) è, al momento, solamente formale e per questo motivo utiliziamo il
simbolo ∼; infatti non possiamo ancora dire nulla sulla sua convergenza e, nel caso in cui converga,
a cosa converge. A tal merito vale il seguente:
Teorema di Dirichlet: Sia data una funzione periodica f (t) di periodo T e continua a tratti
insieme alla sua derivata prima f ′ (t). Allora la serie (B.1) associata a f (t) con i coefficienti (B.2)
e (B.3) converge a f (t) nei punti in cui f (t) è continua, nei punti t0 in cui la funzione f (t) è
discontinua allora la serie (B.1) converge a
f (t0 + 0) + f (t0 − 0)
.
2
1 Z T /2
an = f (t) cos (2nπt/T ) dt, n = 0, 1, . . . ,
π −T /2
e
1 Z T /2
bn = f (t) sin (2nπt/T ) dt, n = 1, 2, . . .
π −T /2
in virtù dell’osservazione precedente.
Facendo uso delle formule di Eulero si può dare una espressione diversa della serie di Fourier. Infatti,
ricordando che
1 iα 1 iα
cos α = e + e−iα , sin α = e − e−iα ,
2 2i
e ponendo
a−n = an , b−n = −bn , per n ∈ N, e b0 = 0
allora la serie di Fourier assume la forma
X∞
1 2nπ 2nπ
f (t) = a0 + an cos t + bn sin t
2 n=1 T T
X∞
1 2nπ 2nπ
= a0 + an cos t + bn sin t
2 n=1 T T
∞
" #
1 X an − ibn i 2nπ t an + ibn −i 2nπ t
= a0 + e T + e T
2 n=1 2 2
X∞ X∞
an − ibn i 2nπ t 2nπ
= e T = cn e i T t (B.4)
n=−∞ 2 n=−∞
∞
X 2nπ
= cn e i T
t
(B.5)
n=−∞
che è detta serie di Fourier in forma esponenziale, dove i coefficienti cn sono dati da
1 1ZT i2nπ
cn = (an − ibn ) = f (t)e− T t dt, n ∈ Z. (B.6)
2 T 0
Si osserva immediatamente che, se la funzione f (t) è a valori reali, allora cn = c̄−n .
Teorema: Sia la funzione periodica f (t) di classe C r ([0, T ]) con r ≥ 1, cioé sia continua insieme
alle sue derivate fino all’ordine r. Allora si ha che
|cn | ≤ c|n|−r
B.2 Serie di Fourier in forma esponenziale 163
Dimostrazione: Ricordando che la derivata di una funzione periodica (e derivabile) è ancora una
funzione periodica si ottiene, integrando per parti r volte, la seguente espressione per cn :
Z
1 T i2nπ
cn = f (t)e− T
t
dt
T 0
1 T − i2nπ t
T
1ZT ′ T i2nπ
= f (t) e T − f (t) e− T t dt
T −i2nπ 0 T 0 −i2nπ
r Z T
1 T ZT ′ i2nπ 1 T i2nπ
= f (t)e− T t dt = f (r) (t)e− T t dt.
T i2nπ 0 T i2nπ 0
Quindi
" Z T #r
1 T i2nπ
|cn | ≤ |f (r) (t)| e− T t dt
T 2|n|π 0
r Z T
1 1 T c
≤ r |f (r) (t)|dt ≤
|n| T 2π 0 |n|r
dove c è la costante indipendente da n che vale
r
T
c= max |f (r) (t)|.
2π t∈[0,T ]
C
Teorema di annullamento degli integrali
R
Il teorema di annullamento degli integrali dice che se f è continua e se ab f (x)g(x)dx = 0 per ogni g
continua segue che f (x) ≡ 0. Più precisamente:
Teorema. Una funzione f ∈ C([a, b]) è identicamente nulla sull’intervallo considerato se, e solo
se,
Z b
f (x)g(x)dx = 0, ∀g ∈ C([a, b]). (C.1)
a
In questo paragrafo, per semplicità, consideriamo funzioni di Hamilton H(p, q, t) dove q e p apparten-
gono ad aperti di Rn .
1−forme
Definiamo forma di ordine 1, o anche 1-forma, una funzione lineare ω definita da Rn su R, cioé tale
che
ω(λ1 ξ1 + λ2 ξ2 ) = λ1 ω(ξ1 ) + λ2 ω(ξ2 ), ∀λ1 , λ2 ∈ R, ∀ξ1 , ξ2 ∈ Rn . (D.1)
È immediato riconoscere che l’insieme delle 1-forme è chiuso rispetto alla somma e alla moltiplicazione
per uno scalare. Fissato su Rn un sistema di coordinate xh allora l’applicazione che ad ogni elemento
ξ ∈ Rn ne associa la componente rispetto ad una direzione assegnata è manifestamente una 1-forma.
Più in generale ogni 1-forma ω si esprime come
n
X
ω= ah x h (D.2)
h=1
dove sono assegnati n numeri scalari ah e dove xh (ξ) rappresenta la componente h-esima del vettore
ξ nel sistema di coordinate prescelto.
2-forme
Definiamo forma di ordine 2, o anche 2-forma, una funzione ω 2 , definita sulle coppie di vettori,
definita da Rn × Rn su R, bilineare e antisimmetrica, cioé tale che
ω 2 (λ1 ξ1 + λ2 ξ2 , ξ3 ) = λ1 ω 2 (ξ1 , ξ3 ) + λ2 ω 2 (ξ2 , ξ3 ) (D.3)
e
168 D Forma di Poincarè-Cartan e dimostrazione del Teorema sulle funzioni generatrici di tipo F1
Un esempio di 2-forma è, per n = 3, il prodotto vettoriale tra due vettori ξ1 e ξ2 paralleli al piano
x1 , x2 :
ω 2 (ξ1 , ξ2 ) = ξ1 × ξ2 · e3 (D.5)
ω 2 (ξ, ξ) = 0. (D.6)
k-forme
Definiamo forma di ordine k, o anche k-forma, una funzione ω definita da [Rn ]k su R, bilineare e
antisimmetrica, cioé tale che
ω(λ′1 ξ1′ + λ′′1 ξ1′′ , ξ2 , . . . , ξk ) = λ′1 ω(ξ1′ , ξ2 , . . . , ξk ) + λ′′1 ω(ξ1′′ , ξ2 , . . . , ξk ) (D.7)
Ricordando il significato geometrico del prodotto misto segue che un altro esempio di 3-forma è
costituito dal volume (con segno) del parallelepipedo avente spigoli definiti dai tre vettori ξ1 , ξ2 e
ξ3 . Estendo questo risulato al caso generale si ha che un esempio di k-forma su Rk è costituito dal
volume (con segno) del parallelepipedo avente spigoli definiti dai k vettori ξj , j = 1, . . . k, espresso
dal determinante
ξ · · · ξ1,k
1,1
. . . .. , ξ = (ξ , . . . , ξ ), j = 1, . . . , k.
ω(ξ1 , . . . , ξk ) = ... . j j,1 j,k (D.10)
ξk,1 · · · ξk,k
Come nel caso precedente, è immediato riconoscere che l’insieme delle k-forme è chiuso rispetto
alla somma e alla moltiplicazione per uno scalare.
D.1 Elementi sulle forme differenziali 169
Siano date due 1-forme, ω1 e ω2 , su Rn . Si definisce prodotto esterno tra le due 1-forme, definito su
una coppia di vettori, la grandezza
ω (ξ ) ω (ξ )
1 1 2 2
(ω1 ∧ ω2 )(ξ1 , ξ2 ) = = ω1 (ξ1 )ω2 (ξ2 ) − ω2 (ξ1 )ω1 (ξ2 ).
ω1 (ξ2 ) ω2 (ξ1 )
ω1 ∧ ω2 = −ω2 ∧ ω1 e ω∧ω =0
Pn
e quindi ω1 ∧ ω2 è una 2-forma. Inoltre, ponendo ωj = h=1 aj,h xh , un calcolo semplice porta a
n
X n X
X
ω1 ∧ ω2 = a1,h a2,k xh ∧ xk = (a1,h a2,k − a1,k a2,h )xh ∧ xk .
h,k=1 h=1 k>h
In particolare, è possibile dimostrare che le n · (n − 1) 2-forme xh ∧ xk risultano essere una base per
lo spazio lineare delle 2-forme su Rn .
Estendendo questo concetto, date k 1-forme ω1 , . . . , ωk , si definisce
Sia data una varietà M , si chiama forma differenziale di ordine 1, o anche 1-forma differenziale, sulla
varietà M l’applicazione regolare ω : T M → R del fibrato tangente alla varietà, lineare in ogni spazio
tangente T Mx . Un esempio classico di 1-forma differenziale è il differenziale di una funzione; infatti
sia M una varietà assegnata e sia f una funzione definita su M , il differenziale di f calcolato per un
punto x ∈ M è una applicazione lineare
dfx : T Mx → R.
170 D Forma di Poincarè-Cartan e dimostrazione del Teorema sulle funzioni generatrici di tipo F1
dxh (ξ) = ξh .
In base a questa osservazione ed in base a quanto visto in precedenza sulle 1-forme su Rn possiamo
concludere che ogni dxh è una 1-forma sullo spazio T Rnx e quindi che ogni 1-forma differenziale
ω nello spazio Rn , con un prefissato sistema di coordinate, si scrive univocamente come
n
X
ω= ah (x)dxh
h=1
dove i coefficienti ah (x) sono funzioni regolari. A partire dalla (D.11) si può rappresentare una
k-forma differenziale come una combinazione lineare di quelle di base, cioé per ogni x ∈ Rn
X
ω= ai1 ,...,ik dxi1 ∧ . . . ∧ dxik
1≤i1 <...<ik ≤n
dove dai1 ,...,ik è il differenziale della funzione ai1 ,...,ik che, abbiamo visto, è una 1-formaPdifferenziale.
Da quanto visto segue che, data una 1-forma ω su Rn , rappresentata come ω = nj=1 aj dxj , la
derivata esterna è la 2-forma definita come
n n n
!
X X ∂aj X ∂aj ∂ah
dω = daj ∧ dxj = dxh ∧ dxj = − dxh dxj .
j=1 j,h=1 ∂xh j,h=1 ∂xh ∂xj
Inoltre la 2-forma dω è identicamente nulla se, e solo se, sono identicamente nulle le 1-forme ω j . Il
sistema
ω j = 0, j = 1, 2, . . . , n,
si dirà il sistema associato alla 1-forma ω.
Si osserva, infine, che, date due 1-forme differenziali ω e ω̃ tali che d(ω − ω̃) = 0 allora il sistema
associato alle due 1-forme coincide.
Definizione. Una k-forma differenziale Ω si dice chiusa se dΩ = 0, si dice esatta se esiste una
(k − 1)-forma ω tale che Ω = dω.
Si osserva che dalla proprietà 4) segue che ogni forma esatta è anche chiusa; il viceversa, in generale
falso, è vero se la forma è chiusa su un aperto semplicemente connesso di Rn , cioé:
Lemma: Sia A ⊆ Rn un aperto semplicemente connesso e sia Ω una k-forma differenziabile su
A. Se Ω è chiusa allora Ω è esatta.
Consideriamo una curva chiusa γ qualsiasi e una forma differenziale ω. Le linee di rotore di ω passanti
per γ definiscono una superficie di R2n+1 detta tubo di rotore. Si ha il seguente risultato (per una
dimostrazione si può fare riferimento al testo di V.I.Arnold):
Teorema (Lemma di Stokes): Sia ω una forma differenziale non singolare, e siano γ1 e γ2 due
curve chiuse qualsiasi che appartengono ad uno stesso tubo di rotore. Allora
I I
ω= ω. (D.12)
γ1 γ2
Consideriamo una Hamiltoniana H(p, q, t) definita sullo spazio delle fasi esteso (p, q, t) ∈ R2n+1 .
Si ha il seguente teorema:
Teorema. La forma differenziale
n
X
ω= ph dqh − H(p, q, t)dt (D.13)
h=1
in R2n+1 è non singolare ed è detta forma di Poincarè-Cartan. Le sue linee di rotore sono le
curve integrali del sistema di equazioni di Hamilton associato all’Hamiltoniana H.
Dimostrazione: Alla forma ω di componenti (0, . . . , 0, p1 , . . . , pn , −H) è associata la matrice (di
determinante nullo)
172 D Forma di Poincarè-Cartan e dimostrazione del Teorema sulle funzioni generatrici di tipo F1
0 −i gradp H
A(x) = i 0 grad q H (D.14)
−gradp H −gradq H 0
Poiché il suo minore coincide con la matrice J segue che il rango di tale matrice è 2n perogni (p, q, t)
e quindi la forma ω è non singolare. Inoltre il vettore v(p, q, t) = −gradq H, gradp H, 1 appartiene
al nucleo di A per ogni (p, q, t), e quindi determina le linee di rotore di ω. D’altra parte le curve
integrali di v sono le soluzioni di q̇ = gradp H, ṗ = −gradq H, ṫ = 1 e quindi sono proprio le curve
integrali del sistema di equazioni di Hamilton per H nello spazio delle fasi esteso.
Il Lemma di Stokes applicato alla forma di Poincarè-Cartan dà luogo al seguente risultato.
Corollario (invariante integrale di Poincarè-Cartan): Siano γ1 e γ2 due curve chiuse qual-
siasi in R2n+1 che appartengono allo stesso tubo di rotore relativo alla forma (D.13). Allora
I n
! I n
!
X X
ph dqh − H(p, q, t)dt = ph dqh − H(p, q, t)dt . (D.15)
γ1 h=1 γ2 h=1
In particolare, se γ0 denota una curva chiusa che appartiene allo stesso tubo di rotore di γ relativo
alla forma di Poincarè-Cartan e che sia tracciata in un piano t = t0 con t0 fissato allora la
(D.15) ha come conseguenza che
I n
! I n
X X
ph dqh − H(p, q, t)dt = ph dqh . (D.16)
γ h=1 γ0 h=1
dove le prime 2n equazioni costituiscono appunto il sistema canonico mentre l’ultime ne è una nec-
essaria conseguenza come già visto.
Consideriamo ora una trasformazione (p, q) → (P, Q) dipendente, eventualmente, da t:
definita per una qualche funzione K(P, Q, t) coincide con la primitiva a meno di un differenziale
totale, cioé esiste una funzione regolare M (p, q, P, Q, t) tale che
n
X
ω−Ω = (ph dqh − Ph dQh ) + (K − H)dt = dM (D.19)
h=1
cioé la differenza tra due forme di Poincarè-Cartan, intesa come 1-forma differenziale su R4n+1 , è
esatta, allora la trasformazione conserva la struttura canonica e K è la nuova Hamiltoniana.
Diamo la dimostrazione relativa alla funzione generatrice del primo tipo, essendo analoga negli altri
casi.
Torema su funzioni generatrici di tipo F1 . Sia F1 (q, Q, t) una funzione regolare definita in
un aperto Aq × BQ di R2n , ∀t ∈ R. Se
!
∂ 2 F1
det 6= 0, ∀(q, Q) ∈ Aq × BQ , ∀t ∈ R (D.20)
∂q∂Q
allora F1 (q, Q, t) è la funzione generatrice di una trasformazione canonica. La trasformazione
canonica si ottiene per esplicitazione dalle 2n equazioni
∂F1 ∂F1
ph = , Ph = − . (D.21)
∂qh ∂Qh
con nuova Hamiltoniana
∂F1 [q(P, Q, t), Q, t]
K(P, Q, t) = H[p(P, Q, t), q(P, Q, t), t] + . (D.22)
∂t
174 D Forma di Poincarè-Cartan e dimostrazione del Teorema sulle funzioni generatrici di tipo F1
Dimostrazione: Facciamo tutti i ragionamenti di esplicitazione a tempo fissato, sapendo che sono
validi uniformemente in ogni intervallo [t1 , t2 ] (quindi, per semplicità, omettiamo t). Le n equazioni
in (D.21)
∂F1 (q, Q, t)
ph =
∂qh
possono essere risolte rispetto a Q. Infatti per il teorema della funzione implicita, tale sistema è
risolubile e determina le 2n funzioni Q = Q(p, q, t) e P = P (p, q, t) in un aperto:
( ! )
∂F1
Cp × Aq = (p, q) = ,q : (q, Q) ∈ Aq × BQ .
∂q
In effetti, l’ipotesi sul determinante che serve è proprio quello scritto in (D.20) ed esso è per ipotesi
diverso da zero. Consideriamo ora la funzione
∂F1 (q, Q)
P (p, q) = − .
∂Q q=q,Q=Q(p,q)
Abbiamo costruito l’applicazione locale (eventualmente dipendente dal tempo) X : R2n → R2n che
porta il punto (p, q) in (P, Q). Resta da provare che X è canonica, cioé che mantiene la struttura
delle equazioni canoniche con Hamiltoniana trasformata K = H + ∂F ∂t
1
data dalla (D.22). A tal
fine basta mostrare che le due forme differenziali di Poincarè-Cartan differiscono per un differenziale
esatto: cioé esiste una funzione M = M (p, q, P, Q, t) tale che
n
X n
X
ph dqh − H(q, p, t)dt = Ph dQh − K(Q, P, t)dt + dM (p, q, P, Q, t).
h=1 h=1
dove
n
!
∂F1 X ∂F1 ∂F1
dF1 = dt + dqh + dQh ,
∂t h=1 ∂qh ∂Qh