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discussione La Rivoluzione francese


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1 Dalla «rivoluzione borghese» alla «rivoluzione del popolo»


(Thierry, Guizot, Thiers, Mignet, Michelet)

L’Ottocento francese ha inventato il lavoro storiografico moderno. Ha inventato l’immer-


sione negli archivi, dove si va a studiare le fonti e i documenti originali. Ha inventato pure
la storiografia ideologica, quella che ha un messaggio politico più o meno esplicito, un’in-
terpretazione generale da spendere subito nel dibattito pubblico che circonda l’autore.
Se questa è la tonalità dominante del lavoro storico nella Francia di primo Ottocento,
essa connota con grande evidenza anche le opere dedicate alla Rivoluzione francese.
Se si tralasciano le opere scritte immediatamente a ridosso degli eventi rivoluzionari da
persone che vi avevano direttamente preso parte, i primi lavori veramente importanti si
incontrano solo a partire dagli anni Venti dell’Ottocento. Gli autori sono un gruppo di
intellettuali e politici francesi, spesso in contatto fra loro e in gene-
ilpersonaggio rale di vario orientamento liberale, che guardano alla Rivoluzione
Augustin Thierry (1795-1856) Sto- con simpatia, come a un momento che – a loro modo di vedere –
rico francese. Studia all’École Normale
Supérieure; dopodiché pubblica numero- ha segnato una svolta profonda nella storia della Francia e di tutta
se e apprezzate opere storiche nelle qua- l’Europa.
li, attraverso l’esame di aspetti vari della
storia medievale, illustra la sua teoria della Di questo gruppo, sono Augustin Thierry e François Guizot
lotta delle razze-classi; fra le sue opere si i primi a proporre un quadro generale, ambiziosissimo, che con-
può ricordare, in particolare, il Saggio sulla
storia della formazione e dei progressi del sidera la Rivoluzione come il culmine di un processo storico di
Terzo stato (1853). lunghissima durata, che trae origine addirittura dall’epoca delle
François Guizot (1787-1874) Uomo invasioni barbariche. Influenzati dal romanziere scozzese Walter
politico e storico francese. Attivo nella Scott, vedono un parallelismo stretto tra ciò che era accaduto in
vita politica francese sin dalla Restaura-
zione, dopo la Rivoluzione del luglio 1830 Inghilterra e Francia non solo nello svolgimento delle rispettive
ottiene incarichi di ministro e di presidente rivoluzioni ma anche nelle loro cause più lontane: le rivoluzioni
del Consiglio; politicamente travolto dalla
Rivoluzione del 1848, negli anni seguenti inglesi del XVII secolo per loro erano state la definitiva ribellione
abbandona l’attività politica e si concentra degli eredi degli Anglosassoni, oppressi dai nobili discendenti degli
sugli studi storici. Tra i suoi lavori storici più
significativi si ricordano la Storia della civil- invasori normanni che nel 1066 li avevano sconfitti nella battaglia
tà in Europa (1828) e la Storia della civiltà di Hastings; analogamente ritengono che la Rivoluzione francese
in Francia (1830).
sia stata l’esito di un contrasto tra «razze» che aveva avuto origine
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in epoca medievale e che aveva contrapposto per secoli gli eredi delle popolazioni gallo-
romane – diventati in epoca moderna i membri del Terzo stato – ai discendenti degli inva-
sori franchi – divenuti col tempo i membri della nobiltà francese. Un contrasto originario
di gruppi etnicamente distinti si trasforma così – nella loro ricostruzione – in un conflitto
tra due gruppi sociali distinti. L’importanza epocale della Rivoluzione sta nell’aver posto
fine all’oppressione secolare cui la nobiltà di lontana origine franca aveva sottoposto il
Terzo stato di remota origine gallo-romana.
Lo schema è evidentemente semplice e affascinante; le grandi risorse di erudizione di cui
Thierry e Guizot dispongono permettono loro di renderlo plausibile; ma soprattutto essi
propongono una esplicita lettura della Rivoluzione come lotta tra gruppi sociali o, come si
comincia a dire all’epoca, di «classi sociali».
Lo schema viene ripreso e meglio contestualizzato dalle prime opere storiche di rilie-
vo interamente dedicate alla Rivoluzione, come la Storia della Rivoluzione francese, di
Adolphe Thiers, pubblicata a partire dal 1823, o la Storia della Rivoluzione francese pub-
blicata nel 1824 da François Mignet. Nell’ancien régime la contrapposizione sociale fon-
damentale era quella che opponeva nobili e Terzo stato, «il cui potere, ricchezza, stabilità
e intelligenza crescevano giorno dopo giorno» (Mignet). Era un contrasto che ha portato
alla Rivoluzione, il cui frutto più maturo è stato la Costituzione del 1791, che istituiva una
monarchia costituzionale. Thiers e Mignet la considerano come l’espressione più avan-
zata di un Terzo stato (che essi identificano con la «borghesia»), trasformatosi ormai in
consapevole classe dirigente del paese. Sfortunatamente, però, la borghesia si è trovata
schiacciata nella morsa costituita da un lato dal re e dai controrivoluzionari e dall’altro
dalle moltitudini popolari; dovendo scegliere, e volendo mantenere le acquisizioni rivo-
luzionarie, ha dovuto giocoforza appoggiarsi sulla folla, alla quale si è chiesto di offrire
le proprie braccia per difendere la Rivoluzione, minacciata dalle
ilpersonaggio
armate delle potenze straniere. Ma non si fa niente per niente: e la adolphe Thiers (1797-1877) Uomo
folla ha chiesto che il contributo di braccia e di vite fosse compen- politico e storico francese, di orientamen-
sato con una sua diretta partecipazione al potere; così essa ha spinto to liberale. Nel 1823 inizia la pubblicazione
della sua Storia della Rivoluzione francese,
verso un’ulteriore Rivoluzione, quella dominata dai giacobini e da in 10 volumi (1823-27). Dopo la Rivoluzio-
Robespierre, più pericolosamente radicale di quella compiuta dalla ne del luglio 1830 svolge un’intensa attivi-
tà politica, ricoprendo più volte cariche di
classe media moderata. ministro e presidente del Consiglio fino al
Nonostante l’accelerazione drammatica del 1793-94 la Rivolu- 1851, quando viene brevemente esiliato
dal presidente della Repubblica francese,
zione resta, per questi storici, il momento attraverso il quale si è Luigi Napoleone. Torna alla politica negli
imposta una nuova classe dirigente, la borghesia. Ma può questa anni Sessanta; dopo la caduta del Secon-
do Impero è ancora presidente del Consi-
classe sociale conservare da sola le conquiste rivoluzionarie? glio, dal 1871 al 1873, trattando la pace
Gli intellettuali liberali – tra cui Thierry, Guizot, Thiers e Mignet con i prussiani e reprimendo duramente
l’insurrezione socialista scoppiata a Parigi
– sono convinti di sì. Altri intellettuali danno una risposta diver- nel 1871 (la Comune).
sa a questo interrogativo e con essa offrono un’altra lettura della François Mignet (1796-1884) Amico
vicenda rivoluzionaria. Tra le numerose opere che possono essere di Thiers, autore di molte opere di argo-
ricondotte a quest’ambito una ha particolare rilievo: la Storia della mento storico, partecipa come giornalista
alla vita politica, dalla quale si ritira dopo il
Rivoluzione francese (1847-53) di Jules Michelet. 1830 per dedicarsi ai suoi studi.
La partecipazione delle classi popolari all’azione politica, che
Jules Michelet (1798-1874) Docente e
gli storici liberali degli anni Venti consideravano una sorta di ter- storico francese, pubblica molte brillanti
ribile necessità, è invece ciò che per Michelet costituisce la vera, opere storiche, tra cui la Storia della Rivo-
luzione francese, in sette volumi, editi tra il
appassionata forza propulsiva della Rivoluzione. Più che nelle 1847 e il 1853. È autore pure di opere let-
opere degli storici liberali, nella ricostruzione di Michelet il rigore terarie e di numerosi trattati, sulla famiglia,
sulla religione, sull’amore, sulla donna.
analitico si perde a favore di una rievocazione emotivamente parte-
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4 TeMa in Discussione 3 La Rivoluzione francese

cipe. Il quadro è segnato da un semplice scontro di forze sociali: da un lato il Terzo stato
coadiuvato dal «popolo», un soggetto che Michelet non definisce mai in modo preciso,
ma a cui attribuisce una generosa e sincera sete di giustizia; dall’altro la corte, la nobiltà,
la Chiesa, corrotte e pronte a vendersi ai nemici della nazione.
Un simile trattamento della Rivoluzione, tutto costruito intorno a contrasti netti di luci
e di ombre, ha un valore storiografico piuttosto modesto; serve però a spostare l’attenzio-
ne analitica e l’accento etico-politico su un altro soggetto collettivo: attraverso Michelet
la Rivoluzione non è più solo un affare della borghesia e non ha come suo compimento
la costruzione di una moderata monarchia costituzionale (com’era per Thierry, Guizot,
Thiers e Mignet); diventa altresì una sorta di grandioso e doloroso laboratorio di demo-
crazia, premessa per la costruzione di una società patriottica e democratica, nella quale le
classi attive (la borghesia e il popolo) potranno trovare solidi motivi di unità.

2 L’antico regime e la Rivoluzione (Tocqueville)

Tutta questa produzione storiografica mostrò piuttosto chiaramente la sua scoperta ten-
denziosità politica quando si trovò posta di fronte alla più serena e raffinata ricostruzione
storica che abbia visto la luce nel XIX secolo: L’Antico regime e la Rivoluzione, un libro
pubblicato nel giugno del 1856 da Alexis de Tocqueville, un intellettuale di origine nobile.
Si tratta di un lavoro che non ha la consueta struttura cronachistica; non narra in dettaglio
gli avvenimenti, ma osserva le strutture istituzionali, sociali e culturali; si basa inoltre su
un esame ampio e diretto dei documenti e delle fonti d’archivio: tutte caratteristiche che
danno all’opera un taglio decisamente inconsueto.
La tesi fondamentale del libro di Tocqueville è che, nonostante ogni apparenza in con-
trario, molte sono le linee di continuità che riconducono la Francia postrivoluzionaria
alle forme istituzionali dell’ancien régime. Il processo di accentramento, la costruzione di
apparati amministrativi e giudiziari dipendenti dal potere centrale, l’omogeneità normati-
va e amministrativa – tratti essenziali della società francese emersa dalla tempesta rivolu-
zionaria – potevano già essere agevolmente rintracciati nelle strutture amministrative della
monarchia di ancien régime.
ilpersonaggio Ma se era così, che cosa spiegava l’esplosione rivoluzionaria? E
alexis de Tocqueville (1805-1859) In- in che cosa consisteva l’effetto della Rivoluzione?
tellettuale e politico francese. Di origine
aristocratica, inizia la sua carriera come Una risposta alla prima domanda va cercata nelle specifiche
magistrato. Nel 1831 ottiene l’incarico modalità che hanno connotato il processo di formazione della
di studiare il sistema penitenziario ame-
ricano e perciò, nel 1831-32, compie un moderna monarchia assolutista. È una dinamica che – sul lungo
viaggio negli Stati Uniti. Al suo ritorno periodo – ha portato a un ridimensionamento molto netto dei pote-
scrive un’opera tutt’oggi importante sulla
società e sulla politica statunitense, La de- ri giurisdizionali dei nobili titolari di signorie feudali; alla vigilia
mocrazia in America (1835-40). della Rivoluzione i nobili feudatari francesi non avevano più poteri
Di orientamento liberal-monarchico, dal
1839 al 1851 svolge un’intensa attività politici o amministrativi e avevano scarsi poteri giudiziari; gli uni e
politica, divenendo più volte deputato. gli altri erano stati trasferiti a magistrati o amministratori nominati
Nel 1851, dopo essere stato incarcerato
per aver tentato di opporsi al colpo di Sta- dal sovrano, dagli intendenti o dalle assemblee locali:
to di Luigi Napoleone, viene costretto ad
allontanarsi dalla vita politica; ha modo,
dunque, di dedicarsi a un intenso studio nel diciottesimo secolo dirigevano tutti gli affari della parrocchia
sulle origini della Rivoluzione francese, un certo numero di funzionari che non erano più gli agenti del feu-
che si traduce nella pubblicazione dell’An-
tico regime e la Rivoluzione (1856). do e non erano più scelti dal feudatario; gli uni venivano nominati
dall’intendente della provincia; gli altri erano eletti dai contadini
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stessi. Toccava a queste autorità ripartire le imposte, restaurare le chiese, costruire le scuole,
radunare e presiedere l’assemblea della parrocchia. Vegliavano sui beni comunali, ne rego-
lavano l’uso, e intentavano e sostenevano i processi in nome della comunità. Non soltanto
il feudatario non dirigeva più l’amministrazione di questi piccoli interessi, ma non la sor-
vegliava. Tutti i funzionari della parrocchia erano sotto il governo, o sotto il controllo del
potere centrale [...]. Inoltre, non si vede quasi più il feudatario agire come rappresentante
del re nella parrocchia, come intermediario fra lui e gli abitanti. Egli non è più incaricato di
applicarvi le leggi generali dello Stato, di raccogliervi le milizie, di imporre le tasse, di rendere
noti gli ordini del principe, di distribuire i suoi soccorsi: tutti doveri e diritti che spettano ad
altri. Il feudatario è ormai solo un abitante che alcune immunità e alcuni privilegi separano ed
isolano da tutti gli altri; la sua condizione è diversa, ma non il suo potere. Il feudatario non è
che il primo abitante, hanno cura di specificare gli intendenti nelle lettere ai loro sottodelegati.

Se i feudatari, in quanto tali, non avevano più poteri politici o amministrativi, ne avevano
invece ancora parecchi di tipo economico: i censi, i diritti e i dazi erano numerosissimi; e
proprio qui stava una profonda contraddizione sociale: le comunità contadine pagavano
ai signori contributi originariamente pensati come compensi per servizi (l’amministrazione
locale, la pubblica sicurezza, la giustizia) che ormai i signori non offrivano più; e tale squi-
librio era vissuto come una profonda ingiustizia, proprio ciò che poteva spiegare la furia
antifeudale della Rivoluzione manifestatasi sin dalle prime settimane dell’estate del 1789.
Inoltre, contraddizione non meno grave, il processo di accentramento assolutista non
aveva cancellato le esenzioni fiscali riconosciute ai nobili e anzi, nel corso dell’edificazione
di una struttura amministrativa moderna, erano stati formati ulteriori gruppi privilegiati,
per esempio attraverso la creazione della noblesse de robe (la nobiltà di toga), composta
da borghesi che avevano comprato cariche amministrative ereditarie. Tutta la serie di
barriere, distinzioni sociali e privilegi che caratterizzava la Francia del XVIII secolo aveva
inasprito i rapporti tra i gruppi sociali privilegiati e quelli esclusi dall’area del privilegio,
mentre la mancanza di libertà politica li aveva disabituati alla mediazione, al compromesso,
alla pacifica discussione.
Ciò fece sì che, quando la crisi della monarchia francese si aprì, la direzione del pro-
cesso politico venisse presa – direttamente o indirettamente – dagli unici individui che
non avevano smesso di riflettere sulle questioni politiche, ovvero i «filosofi»; e ciò spiega
il carattere astratto delle misure e delle discussioni nell’Assemblea nazionale e poi nella
legislativa e, ancor più, nella Convenzione; e ne spiega anche la radicalizzazione pro-
gressiva. Tuttavia Tocqueville legge questo scivolamento verso la radicalizzazione alla
luce di un’altra considerazione, che mostra molto chiaramente la sua concezione elitaria
dell’agire politico:

il contrasto fra la benignità delle teorie e la violenza degli atti, che è stato uno dei caratteri più
strani della Rivoluzione Francese, non sorprenderà nessuno se si osserva che questa Rivolu-
zione fu preparata dalle classi più civili della nazione ed attuata dalle più rozze ed ignoranti.

Il sovrappiù di violenza che la connotò nacque, dunque, da questa miscela terribile


tra astratto intellettualismo dei «filosofi» (giornalisti, avvocati, intellettuali borghesi) che
guidarono la Rivoluzione al suo inizio e l’irrompere delle masse popolari – contadine e
urbane – che la spinsero verso i suoi esiti più radicali e brutali.
Alla fine, l’effetto dell’esplosione rivoluzionaria fu quello di distruggere la nobiltà come
ceto separato, dotato di privilegi feudali, e di indebolire potentemente la monarchia; ma, al
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tempo stesso, essa completò quel processo di costruzione di uno Stato accentrato, norma-
tivamente e istituzionalmente uniforme, che già era stato avviato dalla monarchia assoluta:
per questo – scrive Tocqueville – si deve riconoscere che, alla fine, «per quanto sia stata
radicale, la Rivoluzione ha [...] innovato meno di quanto in genere non si supponga».

3 La Rivoluzione nella Terza Repubblica (Taine, aulard, Jaurès)

La tendenza inaugurata da Tocqueville trovò numerosi seguaci in ragione del notevole suc-
cesso riscosso dal suo libro. L’analisi rigorosa, e perfino pedante, delle fonti, accompagna-
ta da un’interpretazione molto esplicita del senso da attribuire all’intero processo rivolu-
zionario, che caratterizzavano il suo lavoro, sono un modello al quale cerca di uniformarsi
fra gli altri Hippolyte Taine, nella sua opera sulle Origini della Francia contemporanea.
Taine non è uno storico: è un docente di Storia dell’arte ed estetica ed è autore di opere
all’epoca importanti, come la Storia della letteratura inglese (1863), che non sono in effetti
ricostruzioni storiche in senso proprio. Tuttavia si fa storico in senso stretto, e storico
della Rivoluzione in particolare, sulla spinta dello shock che egli – come moltissimi altri
francesi – subisce per la grave sconfitta patita dalla Francia nella guerra contro la Prussia
(1870-71). A Taine questo sembra il culmine di un grave processo di decadenza che aveva
cominciato ad attraversare la Francia sin dallo scoppio della Rivoluzione. Seguendo, per
questo aspetto, Tocqueville e come lui sviluppando il suo ragionamento sul filo di una
comparazione con la storia dell’Inghilterra, Taine arriva a sostenere che la Rivoluzione
aveva interrotto bruscamente un processo di trasformazione che già aveva portato a una
notevole modernizzazione delle istituzioni e che forse avrebbe potuto essere proseguito
senza che necessariamente si dovesse ricorrere alla violenza e ai conflitti dell’epoca rivo-
luzionaria.
Costruito sulla base di uno studio delle fonti accurato ma selettivo, il lavoro di Taine
ha un’inclinazione valutativa molto netta: a lui interessa manifestare un giudizio assolu-
tamente negativo sugli aspetti più brutali dell’esperienza rivoluzionaria, il cui abisso più
profondo era rappresentato, senza alcuna ombra di dubbio, dalla Repubblica del Terrore,
dalla direzione politica dei capi giacobini (Robespierre e Saint-Just in primo luogo) e dall’a-
zione della «plebaglia» che ne aveva sostenuto – almeno inizialmente – il progetto politico.
Nonostante sia la passione etica ad animare le Origini di Taine, non è il suo libro a
segnare il clima intellettuale col quale ci si avvicina agli eventi rivoluzionari nella Francia
degli anni successivi alla sconfitta nella guerra con la Prussia. Anzi, la formazione della
cosiddetta Terza Repubblica (1875-1940), che segue alla caduta dell’Impero di Napoleone
III, crea un clima favorevole al recupero e alla valorizzazione della Rivoluzione, consi-
derata soprattutto come l’evento creatore della Prima Repubblica
ilpersonaggio
Hippolyte Taine (1828-1893) Storico
francese (1792-1804; la Seconda Repubblica è quella che va dal
dell’arte francese. Dopo essersi formato 1848 al 1852).
all’École Normale Supérieure e aver pas- È in un contesto di intenso patriottismo repubblicano che nel
sato diversi anni come docente in licei di
provincia, nel 1864 diventa professore di 1880 viene fondato a Parigi il Museo Carnavalet, un museo storico
Storia dell’arte ed estetica all’École des che dedica una vasta e importante sezione ai reperti e ai documenti
Beaux-Arts di Parigi. Nel 1863 ha intanto
pubblicato una Storia della letteratura in- della Rivoluzione (si tratta a tutt’oggi di uno dei luoghi museali e ar-
glese che ha riscosso un grande successo. chivistici più importanti per chi si interessi alla storia della Rivoluzio-
Dal 1876 al 1894 vengono pubblicati i sei
volumi delle Origini della Francia contem- ne). Nel 1886 all’Università della Sorbona, a Parigi, viene inaugurato
poranea. un ciclo di lezioni sulla Rivoluzione e nel 1891 viene istituita una cat-
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tedra di Storia della Rivoluzione: entrambi gli incarichi sono affidati ad Alphonse Aulard. Il
profilo intellettuale di Aulard è, per qualche aspetto, simile a quello di Taine: anch’egli non è
propriamente uno storico, essendo studioso di storia della letteratura italiana, specialista di
Foscolo, in particolare; tuttavia la cattedra gli viene affidata sia perché egli è comunque un
buon conoscitore del periodo, sia per le garanzie politiche che offre, essendo un intellettuale
di provata fede repubblicana. Aulard, che svolge un lavoro importante di raccolta e pubbli-
cazione dei documenti, applica un rigoroso metodo filologico di identificazione e verifica
delle fonti; tale approccio gli serve anche a dare maggior sostanza a un’interpretazione già
più volte sostenuta nel passato, ma da lui riproposta con maggior enfasi, ovvero quella che
presenta la Repubblica del Terrore come una fase dettata più dalle circostanze (e in partico-
lare dall’aggressione militare di Austria e Prussia) che da un coerente sviluppo interno dei
presupposti ideologici che avevano guidato i rivoluzionari sin dal 1789.
Dalla cattedra della Sorbona Aulard forma una nuova generazione di studiosi, tecnica-
mente molto capaci di lavorare sulle fonti e di scoprire, attraverso di esse, aspetti nuovi o
ignorati del processo rivoluzionario. Tuttavia una parte di questa nuova generazione subisce
l’influenza che promana dal lavoro di un altro storico «dilettante», che è anche un noto
leader del socialismo francese, Jean Jaurès, autore di una Storia socialista della Rivoluzione
francese (1901-8). Quest’opera storica, ma anche militante, come lo stesso titolo si preoccupa
di chiarire subito, vuole combinare erudizione e opinione, giudizi di fatto e giudizi di valore,
ponendosi in tal modo deliberatamente nel solco della principale tradizione ottocentesca di
studi storici. Tuttavia, mentre la precedente tradizione di storie più ilpersonaggio
o meno militanti era stata costruita da intellettuali o politici di vario alphonse aulard (1849-1928) Stori-
orientamento liberale, Jaurès vuole marcare una svolta, guardando co francese. Formatosi all’École Normale
Supérieure, è poi docente di Storia del-
alla Rivoluzione da una prospettiva socialista. Per farlo egli recupera la Rivoluzione alla Sorbona dal 1886 al
il modello interpretativo offerto dai primi storici liberali della Rivo- 1922. Ha curato l’edizione di importanti
raccolte di fonti e documenti e ha pubbli-
luzione (Thierry, Guizot, Mignet, Thiers): dal lavoro di questi intel- cato un gran numero di studi monografici
fra i quali una Histoire politique
lettuali-politici egli riprende l’idea che la Rivoluzione è stata una lotta ededilasintesi,
Révolution Française (1901).
di classi, che alla fine aveva visto il successo della classe borghese.
Quale socialista può farlo con una certa tranquillità, perché lo Jean Jaurès (1859-1914) Politico france-
se. Formatosi all’École Normale Supérieure
stesso fondatore del «socialismo scientifico», Karl Marx, aveva e laureatosi in Filosofia nel 1881, nel 1882
riconosciuto di essere stato profondamente influenzato nella sua inizia a insegnare all’Università di Tolosa.
Deputato repubblicano sin dal 1885, mu-
elaborazione della teoria della lotta di classe proprio dai lavori ta poi le sue posizioni, emergendo tra la
storici pubblicati da quel gruppo di intellettuali e politici liberali fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecen-
to come uno dei principali leader socialisti
(Guizot e Thierry, in particolare). La teoria di Marx aveva trova- francesi. Pacifista e contrario all’ingresso
to una formulazione sintetica ma essenziale in un testo, sul quale della Francia nella prima guerra mondiale,
viene assassinato il 31 luglio 1914 da un
torneremo oltre, il Manifesto del Partito comunista, che egli aveva militante nazionalista.
scritto nel 1848 insieme con Friedrich Engels. I passi del Manifesto
Karl Marx (1818-1883) Filosofo te-
che qui possono interessarci di più sono i seguenti: desco. Con Friedrich Engels elabora, alla
metà degli anni Quaranta dell’Ottocento,
una teoria materialistica della storia le cui
La storia di ogni società esistita fino a questo momento è storia di implicazioni politiche sono esplicitate nel
Manifesto del Partito comunista (1848).
lotte di classi. Dall’inizio degli anni Cinquanta vive a Lon-
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri dra, dove scrive un trattato sulle modalità di
funzionamento dell’economia capitalistica
delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono (Il Capitale, 3 voll., 1867, 1885, 1895) [per
continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta inin- l’influenza del suo pensiero sugli storici
della Rivoluzione inglese tema in di-
terrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con scussione 1.2; per la sua analisi delle classi
una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune sociali e tema in discussione 5.1].
rovina delle classi in lotta. [...]
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8 TeMa in Discussione 3 La Rivoluzione francese

Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti a continui cambiamenti storici, a una con-
tinua alterazione storica.
Per esempio, la rivoluzione francese abolì la proprietà feudale in favore di quella borghese.

Jaurès lavora a partire da questo quadro; ritiene che gli eventi che hanno attraversato
la Francia dal 1789 abbiano tracciato la parabola di una rivoluzione borghese: la lotta che
si aprì sin dalla convocazione degli Stati generali fu, secondo lui, uno scontro di classe
che vide opposte la nobiltà e la borghesia; e la posta in gioco furono i privilegi economici
e sociali che avevano connotato la superiorità nobiliare sui gruppi borghesi. Tuttavia la
Rivoluzione francese, in quanto rivoluzione borghese vittoriosa, era anche il preannuncio
di una successiva lotta rivoluzionaria, quella che stava contrapponendo borghesia e prole-
tariato. Se in Francia questa rivoluzione è ancora da compiere, osserva Jaurès, se ne sono
tuttavia già visti gli aspetti essenziali proprio nel cuore degli eventi di fine Settecento. Le
agitazioni contadine dell’estate del 1789 e l’intervento delle classi popolari urbane non
erano stati una malaugurata distorsione di una limpida lotta politica i cui princìpi erano
stati espressi nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: erano, invece, le prime
manifestazioni di una nuova fase della lotta delle classi, la fase – ancora tutta da realizzare
– che alla fine si sarebbe conclusa con la vittoria del proletariato.

4 La Rivoluzione vista dalla sorbona (Mathiez, Lefebvre, soboul)

Un allievo di Aulard, Albert Mathiez, formatosi alla sua scuola filologico-positivistica, e


più tardi suo successore sulla cattedra di Storia della Rivoluzione alla Sorbona, è il primo
importante storico accademico francese che accoglie e sviluppa la lezione di Jaurès. Con
lui, e con altri due storici che insegneranno dalla medesima cattedra parigina, Georges Le-
febvre e Albert Soboul, lo schema della Rivoluzione francese quale rivoluzione borghese
compiuta, che contiene tuttavia elementi per una nuova fase della lotta di classe, riceve una
consacrazione che si trasforma, per molti anni, quasi in una sorta di ortodossia intellettuale.
Questa impostazione sociale trova un punto fondamentale di accordo nell’idea che la for-
za motrice originaria della Rivoluzione sia stata la borghesia (imprenditoriale) e che l’effetto
principale del conflitto rivoluzionario sia stato un mutamento socio-istituzionale che ha
posto le premesse per un più libero e sicuro sviluppo di una società capitalistico-borghese.
Se Mathiez ha come riferimento essenziale soprattutto Jaurès, Soboul sceglie Marx come
sua più immediata guida intellettuale: e il mutamento di accento e di stile argomentativo è
piuttosto evidente quando si confrontino due passi in cui peraltro Mathiez e Soboul sosten-
gono un’interpretazione simile delle ragioni e del significato della Rivoluzione.
Scrive, dunque Mathiez, in apertura della Rivoluzione francese (1922):

Le vere rivoluzioni, quelle che non si limitano a cambiare la forma politica e il personale del
governo, ma che trasformano le istituzioni e dànno luogo ai grandi trasferimenti della pro-
prietà, lavorano a lungo sotterranee prima di scoppiare alla luce del giorno sotto l’impulso di
qualche circostanza fortuita. La Rivoluzione francese, che colse alla sprovvista col suo impeto
terribile non meno gli stessi autori e beneficiari, che quelli che ne furono le vittime, ebbe
una lenta preparazione per più di un secolo. Essa nacque dalla concordanza, che tendeva a
farsi di giorno in giorno più profonda, tra la realtà delle cose e le leggi, tra le istituzioni e i
costumi, tra la lettera e lo spirito.
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La Rivoluzione francese TeMa in Discussione 3 9

I produttori, sui quali riposava l’intera vita della società, accrescevano sempre più la loro
potenza; ma il lavoro restava una macchia dal punto di vista della situazione sociale. Si era
considerati tanto più “nobili” quanto più si era inutili: la nascita e l’ozio conferivano dei
privilegi che diventavano di giorno in giorno maggiormente insopportabili a quanti creavano
e accumulavano la ricchezza. [...]
La borghesia possedeva sicuramente la maggior parte del capitale francese. Essa progre-
diva di continuo, mentre gli ordini privilegiati si rovinavano. Il suo incessante sviluppo la
rendeva più sensibile alle inferiorità legali, cui d’altra parte essa restava condannata.

Il tipo di interpretazione introdotta fin dalle pagine di apertura è molto chiaro; chiaro
è anche il riferimento a Jaurès e alla tradizione interpretativa che risale a Thierry, Guizot,
Mignet, Thiers e che vuole la borghesia – soggetto sociale peraltro piuttosto maldefinito –
il protagonista collettivo principale del dramma rivoluzionario.
Scrivendo quaranta-cinquant’anni dopo Mathiez, Soboul, pur conservando essenzial-
mente lo stesso orientamento interpretativo, cambia approccio metodologico. Più dei
suoi predecessori egli guarda alla Rivoluzione da un punto di vista economicista e mar-
xista; e più dei suoi predecessori presenta la Rivoluzione come uno scontro politico tra
una borghesia ormai economicamente matura, e in cerca dei mezzi
per rendere ancora più produttive le proprie energie economi- profili
che, e un assetto giuridico feudale che a quelle energie frapponeva albert Mathiez (1874-1932) Stori-
co francese. Studia all’École Normale
ostacoli e impedimenti di ogni tipo, un assetto che trovava i pro- Supérieure. Dopo aver insegnato all’Uni-
pri sostenitori, naturalmente, nelle classi privilegiate – il clero e, versità di Besançon e a quella di Lille, nel
1926 ottiene la cattedra di Storia della
soprattutto, la nobiltà. Detto in altri termini, per lui la Rivoluzione Rivoluzione francese alla Sorbona. È il
francese rappresenta il momento culminante della «transizione dal principale promotore di una rivalutazione
della figura e dell’opera di Robespierre,
feudalesimo al capitalismo», una tappa essenziale nell’evoluzione fondando, nel 1908, la Société des études
del mondo occidentale, secondo il pensiero di Marx. Scrive così robespierristes e la rivista «Annales révo-
lutionnaires» (che nel 1924 cambia nome
Soboul, riassumendo il suo punto di vista sulla questione: chiamandosi «Annales historiques de la
Révolution française»). Tra le sue mono-
grafie importante è Carovita e lotte sociali
nella storia della Francia, la Rivoluzione del 1789-1794 ha segnato sotto il Terrore (1927; trad. it. 1949). Sua
l’avvento della società moderna, borghese e capitalistica. Sua caratte- la fortunata sintesi La Rivoluzione francese
(1922-27; trad. it. 1950), completata poi
ristica essenziale è quella di aver realizzato l’unità nazionale del paese da Georges Lefebvre.
sulla base della distruzione del regime signorile e degli ordini feudali
privilegiati: è la Rivoluzione, secondo quanto scrive Tocqueville ne Georges Lefebvre (1874-1959) Sto-
rico francese. Dopo aver insegnato nelle
L’Ancien régime et la Révolution, «che aveva per scopo di abolire Università di Clermont-Ferrand e di Stra-
ovunque ogni resto di istituzioni medievali». Il fatto che la Rivoluzio- sburgo, nel 1937 ottiene la cattedra di
Storia della Rivoluzione francese alla Sor-
ne francese sia alla fine approdata all’istituzione di una democrazia bona. È autore di opere tutt’oggi molto
liberale precisa ancora più il suo significato storico. Da questo dupli- importanti sul mondo contadino negli
anni della Rivoluzione, come Les paysans
ce punto di vista, e nella prospettiva della storia mondiale che qui ci du Nord pendant la Révolution française
interessa, la Rivoluzione francese merita di essere considerata come (1924) e, soprattutto, La grande paura
del 1789 (1932; trad. it. 1953). Tra le sue
il modello classico della rivoluzione borghese. opere di sintesi ha avuto grande succes-
Lo studio comparato della Rivoluzione francese pone così due so, anche fuori di Francia, L’Ottantanove
(1939; trad. it. 1949).
serie di problemi.
Problemi di ordine generale: quelli che riguardano la legge sto- albert soboul (1914-1982) Storico
rica della transizione dal feudalesimo al capitalismo moderno. Tale francese. Ha insegnato anch’egli Storia
della Rivoluzione francese alla Sorbona,
transizione, per riprendere la problematica posta da Marx nel III dal 1967. Tra le sue numerose pubblica-
libro del Capitale, si effettua in due modi: con la totale distruzione zioni va ricordato almeno Movimento po-
polare e rivoluzione borghese. I sanculotti
del vecchio sistema economico e sociale, ed è il «cammino effetti- parigini dell’anno II (1958; trad. it. 1959).
vamente rivoluzionario», con la conservazione del vecchio modo di
BANTI • © 2012, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI
10 TeMa in Discussione 3 La Rivoluzione francese

produzione nel seno della nuova società capitalistica, ed è la via del compromesso.
Problemi di ordine particolare: quelli che dipendono dalla struttura specifica della società
francese alla fine dell’Ancien régime, e che spiegano il particolare carattere della Rivoluzione
francese rispetto ai diversi tipi di «rivoluzione borghese». [...]
Nella transizione dal feudalesimo al capitalismo, la Rivoluzione francese prese [...] «il
cammino effettivamente rivoluzionario». Facendo piazza pulita di tutte le sopravvivenze
feudali, liberando i contadini dai diritti signorili e dalle decime ecclesiastiche, ed in una
certa misura anche dai vincoli comunitari, distruggendo i monopoli corporativi e unifi-
cando il mercato nazionale, la Rivoluzione francese segnò una tappa decisiva sulla via del
capitalismo. [...]
La Rivoluzione francese si pone quindi al centro stesso della storia del mondo contem-
poraneo, all’incrocio delle varie correnti sociali e politiche che hanno diviso le nazioni e le
dividono ancora. Rivoluzione borghese classica, con l’abolizione senza compromessi della
feudalità e del regime signorile essa segna il punto di partenza nella storia francese della
società capitalistica e del sistema liberale rappresentativo. Rivoluzione contadina e popolare,
essa tese [...] a superare i suoi limiti borghesi nell’anno II, con un tentativo che malgrado
l’inevitabile fallimento conservò a lungo un profetico valore di esempio.

5 La storiografia «revisionista» (cobban, Taylor)

Considerando la Rivoluzione francese come una rivoluzione borghese, o come un’illu-


strazione della transizione dal feudalismo al capitalismo, Mathiez, Lefebvre e Soboul ave-
vano creduto di poter documentare un conflitto diretto, immediato, tra una borghesia
dai contorni prevalentemente commerciali e manifatturieri e una nobiltà compattamente
desiderosa di mantenere i vecchi privilegi del sistema feudale. Ora proprio questo punto
in particolare è sembrato a un altro nutrito gruppo di storici un assunto non tanto errato
in astratto, quanto piuttosto assolutamente inadatto a descrivere la natura del conflitto
sociale che ebbe luogo in Francia alla fine del XVIII secolo.
Secondo Alfred Cobban, uno storico inglese considerato l’iniziatore della storiografia
cosiddetta revisionista [tema in discussione 1.5], la tesi che voleva la Rivoluzione come
effetto di una lotta di classe vinta dalla borghesia sulla nobiltà è un vero e proprio «mito
storiografico»; infatti, la «borghesia», così com’era espressa, per esempio, dai rappresen-
tanti del Terzo stato agli Stati generali di Versailles, oppure dai deputati alla Convenzione
del 1792, era un coacervo informe di gruppi sociali, all’interno dei quali non dominavano
profili affatto gli imprenditori o i mercanti, ma i liberi professionisti, i
alfred cobban (1901-1968) Storico possidenti, i piccoli commercianti, i giornalisti e gli intellettuali,
inglese, professore di Storia francese
allo University College di Londra. I testi
mentre non mancavano nemmeno membri della noblesse de robe.
fondamentali nei quali ha esposto la sua Inoltre – ha sostenuto George V. Taylor – gli interessi economici
proposta interpretativa sono Il mito della
Rivoluzione francese (1955) e La società
di questi gruppi borghesi non erano così dissimili da quelli della no-
francese e la Rivoluzione (1964). biltà; la gran parte dei patrimoni borghesi aveva una connotazione
George V. Taylor Attualmente è Pro-
dominante che era quella terriera; i professionisti o gli intellettuali, e
fessore emerito alla University of North perfino i mercanti e gli imprenditori della Francia di fine Settecento,
Carolina, Chapel Hill. Il saggio che discu-
tiamo è Ricchezza non capitalistica e le
non volevano fare altro che comprarsi delle proprietà terriere in cam-
origini della Rivoluzione francese, origi- pagna e se possibile una bella villa, proprio come avevano fatto – da
nariamente pubblicato nella «American
Historical Review», 1967.
secoli – i gruppi nobiliari. Da questo punto di vista il comportamen-
to dei membri della nobiltà di toga sembrava veramente esemplare:
BANTI • © 2012, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI
La Rivoluzione francese TeMa in Discussione 3 11

si trattava di borghesi i quali non solo


composizione sociale delle assemblee rivoluzionarie
erano riusciti a comprarsi le terre con
i soldi accumulati spesso nel settore Assemblea costituente Convenzione
(1789) (1792)
commerciale, ma anche ce l’avevano
negozianti e imprenditori 85 13,1% 83 9,3%
fatta a coronare il sogno di comprarsi imprenditori agricoli 47 7,2% 29 3,2%
un titolo di nobiltà, avvicinandosi al proprietari 14 2,1% 5 0,5%
loro modello sociale, quello della no- funzionari e magistrati 311 48,0% 294 32,9%
biltà di corte. Ne discende, conclude avvocati e notai 166 25,6% 251 28,1%
su questo punto Taylor, professori, medici,
farmacisti, ingegneri,
uomini di lettere
che ne sappiamo abbastanza [...] e scienziati 27 4,1% 112 12,5%
per capire che la divisione degli ele- militari 4 0,6% 26 2,9%
menti ricchi della società pre-rivolu- ecclesiastici 4 0,6% 46 5,1%
zionaria in un’aristocrazia feudale e nobili 5 0,7% 23 2,3%
altri 20 3,8% 90 10,1%
in una borghesia capitalista è basata
totale 648 891
sull’occultamento di troppe prove
documentarie, e che l’intero concetto [da A. Cobban, Il mito della Rivoluzione francese, a cura di Massimo Terni,
Il Saggiatore, Milano 1981, pp. 60-61]
di rivoluzione borghese si è rivelato
impossibile da sostenere.

Il grave stato di tensione sociale che caratterizzava la Francia di fine Settecento derivava
dal fatto che – come aveva già fatto notare Tocqueville – la nobiltà francese, invece di aprir-
si all’ascesa sociale dei borghesi arricchiti o dei nobili di toga, si era chiusa ermeticamente,
diventando sempre più esclusiva e selettiva. L’istituzione della corte di Versailles – come
se l’era inventata Luigi XIV – aveva deliberatamente accentuato questi comportamenti:
separare nobili di corte da nobiltà di toga, e tutti e due i gruppi dai professionisti e possi-
denti borghesi, per Luigi XIV non era stato altro che l’attuazione di una cosciente tattica
divide et impera («dividi e comanda su coloro che sono stati divisi»).
Così le barriere di ceto avevano inasprito i risentimenti. E tali risentimenti erano esplosi
duramente nel momento della crisi, tra il 1787 e il 1789. La drammatizzazione del fenome-
no rivoluzionario e la stessa Rivoluzione, in definitiva, non sarebbero mai avvenute se non
fosse stato per l’intervento delle comunità contadine che portò all’abolizione del «sistema
feudale» sancito dalla riunione del 4 agosto 1789 dell’Assemblea nazionale costituente e se
non fosse stato per l’intervento delle classi popolari urbane, i sanculotti, decisivi a Parigi
per tutto il periodo che va essenzialmente dal 1789 al 1794.
Dunque – concludono gli storici «revisionisti» – la Rivoluzione fu un fatto molto reale.
Tuttavia essa non fece che rendere più scorrevole un processo di osmosi sociale che si
era delineato già tra XVII e XVIII secolo, ma che era rimasto bloccato per le resistenze
nobiliari e per la politica della monarchia assolutista. Dopo la Rivoluzione, l’abbattimento
dei confini di ceto (cioè l’eliminazione dei privilegi feudali e l’abolizione dei titoli nobilia-
ri) condusse alla formazione di una vasta élite nobiliar-borghese di proprietari terrieri, il
cosiddetto notabilato. Come ha fatto osservare T.C.W. Blanning, citando un saggio dello
storico americano Robert Forster,

l’élite che governò la Francia dopo la Rivoluzione grazie alla linea politica voluta da Napoleo-
ne fu soprattutto una classe di notabili formata da proprietari terrieri e hauts fonctionnaires
[alti funzionari], con più esigui contingenti di avvocati, mercanti e industriali, meno impor-
tanti per numero e influenza. Questa élite proveniva dalle vecchie famiglie nobili come dai
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12 TeMa in Discussione 3 La Rivoluzione francese

nuovi venuti, un riuscito amalgama di ricchezza, cultura, relazioni familiari, influenza locale
e potere politico. Senza privilegi giuridici e attribuendo meno peso alla nascita, vide se stessa
come un’élite al servizio della comunità, il potere riconosciuto alle capacités. Provenendo da
molte delle famiglie che avevano amministrato la Francia dell’ancien régime i nuovi notabili
elaborarono un comune orientamento verso valori sociali e atteggiamenti consoni ai tempi e
alle circostanze. Governarono la Francia, salvo brevi interruzioni, dal 1800 al 1880, e anche
oltre.

Secondo questa interpretazione il ruolo della nobiltà postrivoluzionaria fu quello di


nucleo centrale del nuovo notabilato, cui spettò una egemonia socio-culturale all’interno
di un ambiente nobiliar-borghese ormai definitivamente omogeneo. Da questa prospetti-
va, seguendo un modello interpretativo derivato da Tocqueville, gli storici «revisionisti»
vedono la Rivoluzione francese come un evento che aveva facilitato un processo già in
moto nei secoli precedenti, ma che nel XVIII secolo si era scontrato con resistenze che lo
avevano, in qualche misura, portato a uno stato di blocco esplosivo.

6 Pensare la Rivoluzione (Furet)

A rendere ancora più sistematica l’interpretazione «revisionista» ha dato un contributo


decisivo François Furet, sin dalla pubblicazione della Rivoluzione Francese, un’opera di
sintesi scritta insieme con Denis Richet ed edita nel 1965. In questo lavoro Furet e Richet
vedono nell’intervento delle classi popolari (contadine o urbane) la causa che aveva con-
dotto al radicalizzarsi della Rivoluzione. I due storici basano la loro narrazione sull’idea di
uno slittamento progressivo (dérapage) delle egemonie rivoluzionarie che si susseguirono,
incessantemente trascinate verso obiettivi politici sempre più radicali dalla spinta delle
circostanze (la guerra) e dalla pressione dei contadini e della folla di estrazione popolare
(i sanculotti): il momento culminante di questo slittamento si ebbe con la Repubblica del
Terrore e in essa la pratica istituzionalizzata della violenza fu un estremo tentativo che
le élite giacobine misero in atto per conservare il controllo del potere, soddisfacendo le
richieste pressanti di un’opinione popolare prevalentemente parigina.
È soprattutto in due saggi successivi, scritti da solo (Il catechismo rivoluzionario e La Rivo-
luzione francese è finita, entrambi pubblicati nel 1978 in Critica della Rivoluzione francese),
che Furet offre una più elaborata critica al quadro interpretativo delineato da Mathiez,
Lefebvre e Soboul. Molto esplicitamente Furet si richiama a Toc-
profili queville, secondo il quale,
François Furet (1927-1997) Storico
francese, ha insegnato all’École des Hau-
tes Études en Sciences Sociales di Parigi e la «Rivoluzione», in ciò che ha ai suoi occhi di costitutivo (lo stato
all’Università di Chicago. Originariamente amministrativo padrone di una società a ideologia egualitaria), era
impegnato in studi sulle strutture sociali
della Francia rivoluzionaria, si è interessato già stata fatta in gran parte dalla monarchia, prima d’esser terminata
poi sempre di più all’aspetto politico e cul- dai giacobini e dall’Impero. E la cosiddetta «Rivoluzione francese»
turale dell’evento rivoluzionario. I suoi studi
più innovativi sono stati raccolti nel volume – quest’evento registrato, datato, magnificato come un’aurora – al-
intitolato Critica della Rivoluzione francese tro non è che un’accelerazione della precedente evoluzione politica
(1978; trad. it. 1980). Si è poi occupato del
marxismo, della Rivoluzione d’ottobre e del e sociale. Abolendo non l’aristocrazia, ma il privilegio aristocratico
comunismo, tema cui ha dedicato Il passa- nella società, essa sopprime la legittimità della resistenza sociale allo
to di un’illusione. L’idea comunista nel XX
secolo (1995; trad. it. 1995). stato centralizzato. Ma il primo esempio l’avevano dato Richelieu e
Luigi XIV.
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La Rivoluzione francese TeMa in Discussione 3 13

Tuttavia la sua critica non riguarda più, soltanto, il contenuto dell’interpretazione clas-
sica, e cioè l’idea che la Rivoluzione sia stata una rottura dell’ordine nobiliare che ha
permesso l’ascesa definitiva della borghesia. A suo modo di vedere, la debolezza di questa
interpretazione nasce da un errore di metodo. L’impostazione analitica che aveva dato ai
fatti socioeconomici una preminenza interpretativa è, a suo giudizio, profondamente sba-
gliata: non è osservando quegli aspetti che si può cogliere il senso della Rivoluzione, bensì
è guardando alla natura del «discorso rivoluzionario», cioè alla struttura retorica dell’i-
deologia, che si possono individuare le rigidità interne del pensiero politico dominante.
Sono queste rigidità discorsive, e non le tanto spesso invocate «circostanze», che alla fine
spinsero i protagonisti della Rivoluzione in un vortice radicale che li sprofondò nel mare
di sangue della Repubblica del Terrore.
Osservando la natura dell’ideologia rivoluzionaria, secondo Furet se ne può scoprire
un aspetto essenziale che, fra l’altro, dà ulteriore sostanza alla visione continuista di Toc-
queville: si tratta della sorprendente analogia che corre tra la concezione del monarca,
dominante nell’ancien régime, e la concezione della nazione, forgiata, invece, dal pensiero
rivoluzionario e identificata sin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino come
il fondamentale attore politico collettivo del mondo postrivoluzionario. Furet sostiene
che la nazione, questo nuovo soggetto collettivo non per caso considerato titolare della
sovranità, aveva gli stessi esatti attributi simbolici e istituzionali del monarca di ancien
régime: come al re di epoca moderna, alla nazione si attribuiva un potere assoluto e la si
considerava l’unico principio che desse legittimazione alle istituzioni dello Stato; era come
se – nel corso della Rivoluzione – per abbattere il re se ne fossero capovolte le prerogative
e le si fossero proiettate, tali e quali, dentro il concetto di nazione.
Dato il tipo di operazione che era stata compiuta, ne conseguiva che la nazione rivolu-
zionaria aveva – come il re di ancien régime – una natura essenzialmente «monistica»: cioè
era un soggetto unico, compatto, non pluralistico, dove il pluralismo avrebbe comportato
una contraddizione interna, negando l’unicità del soggetto e della sua «volontà». Si trat-
tava di una concezione della sfera pubblica che si appoggiava, in modo funzionale, su un
impiego sistematico della «teoria del complotto»: infatti, quei leader politici che riteneva-
no – a torto o a ragione – di esprimere la volontà della nazione, pensavano anche di essere
gli unici autorizzati a farlo, e ciò proprio perché unico era il soggetto collettivo in nome del
quale parlavano; quando incontravano altri leader che esprimevano opinioni diverse dalla
loro, tendevano a considerarli non tanto come interlocutori con i quali discutere, bensì
quanto nemici da abbattere, poiché il loro dissenso non faceva altro che tradire il desiderio
di complottare contro la nazione e la Rivoluzione.
Se l’ideologia rivoluzionaria funzionava in questo modo, non ci si poteva più sorpren-
dere dello slittamento radicale e non lo si poteva più attribuire in tutto o in parte alle
pressioni delle circostanze (la guerra, i sanculotti...) poiché tale radicalizzazione violenta
era inscritta nella logica di funzionamento dell’ideologia rivoluzionaria, con la sua specifica
idea di nazione e la sua ossessiva preoccupazione per il complotto:

La verità è che il Terrore fa parte dell’ideologia rivoluzionaria, e che quest’ultima, costitutiva


dell’azione e della politica dell’epoca, esaspera il significato delle «circostanze» che in gran
parte contribuisce a creare. Non esistono circostanze rivoluzionarie, bensì una rivoluzione
che si alimenta delle circostanze. [...] Per Robespierre, il tradimento non è [...] una possibilità
aperta dalla guerra, ma è consustanziale all’avversario, è la sua maniera di esistere, ed è tanto
più pericoloso quanto meno è evidente e assume il tono del patriottismo. [...] L’azione non
BANTI • © 2012, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI
14 TeMa in Discussione 3 La Rivoluzione francese

è mai titubante, così come il potere non è mai innocente. Come la Rivoluzione, Robespierre
conosce soltanto i buoni e i cattivi, i patrioti e i traditori, la parola pubblica della vigilanza e
l’occulto complotto dei ministri.

Fu solo quando si spezzò la forza di fascinazione dell’«ideologia rivoluzionaria», col


suo monismo e le sue ossessioni, ciò che – osserva Furet – avvenne il 9 termidoro anno II,
quando Robespierre e i giacobini furono rovesciati, che la società francese poté cominciare
un suo complesso percorso di uscita dalle strette dei conflitti fratricidi scatenati dall’ideo-
logia rivoluzionaria.

7 Parole, immagini, generi (Hunt, Landes)

Uno degli aspetti più significativi della elaborazione di Furet consisteva nel suo invito a stu-
diare un fenomeno così fisicamente concreto e devastante quale la Rivoluzione soprattutto
dal punto di vista della cultura politica o del discorso rivoluzionario: queste dimensioni
solo apparentemente potevano essere considerate innocue e immateriali, poiché, secondo
Furet, erano invece proprio quelle che consentivano di capire le componenti che sem-
bravano più irrazionali e sconcertanti: la violenza estrema, i rituali di degradazione degli
avversari, la ricerca cocciuta di un complotto e di nemici interni ed esterni.
In questa direzione, ma con autonomia e originalità, si è mossa una studiosa statu-
nitense che si è fatta intelligente ed elegante sostenitrice di una nuova storia culturale
della Rivoluzione francese, Lynn Hunt. Un suo lavoro del 1984, La Rivoluzione francese.
Politica, cultura, classi sociali, è occupato da una seconda parte più «classica», intitolata
La sociologia della politica: in essa Hunt riesamina la questione del rapporto tra colloca-
zione sociale degli individui e loro orientamento politico, essenzialmente portando nuovi
argomenti alle proposte interpretative già espresse da tempo dagli storici «revisionisti».
Molto più originale è invece la prima parte, intitolata suggestivamente La poetica del potere.
Nei capitoli che vi sono raccolti, Hunt traccia un primo percorso di analisi delle «parole»
e dei «simboli» della Rivoluzione: né le une né gli altri furono puri elementi accessori –
osserva Hunt –, poiché ebbero il compito decisivo di delineare una società che si voleva
assolutamente rinnovata; e ciò perché il termine «rivoluzione», consapevolmente usato dai
protagonisti dell’evento, aveva perso definitivamente ogni rapporto col vecchio significato
di «evoluzione ciclica» o di «ritorno agli antichi valori», avendo acquistato invece il senso
completamente nuovo di «processo lineare che si apriva una sua strada verso un mondo
migliore, ma anche ignoto»: e poiché il mondo nuovo era anche ignoto, c’era assoluto
bisogno di parole e di immagini che lo descrivessero e lo progettassero.
Già in questo lavoro, e ancora in altri successivi, Hunt ha posto il problema del tratta-
mento politico e simbolico dei generi (cioè dei gruppi sessuali) all’interno dell’esperienza
rivoluzionaria, un tema del tutto trascurato dalla storiografia classica (ma non da quella
profili
romantica: Michelet, per esempio, aveva scritto pagine suggestive
Lynn Hunt Docente di Storia moderna sulle donne nella Rivoluzione). La fitta produzione storiografica
alla University of California, Los Angeles. che ne è seguita ha trovato nei lavori di un’altra storica statuniten-
Oltre al libro che discutiamo ha pubblicato
The Family Romance of the French Revolu- se, Joan Landes, un’interprete rigorosa e sensibile. In Women and
tion (1992), un brillante tentativo di impie- Public Sphere in the Age of the French Revolution, del 1988, Landes
gare la psicanalisi di Freud per decifrare il
significato simbolico dell’uccisione del re. ha offerto la prima ricostruzione sistematica delle ragioni dell’e-
sclusione delle donne dal campo del politico durante la Rivolu-
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La Rivoluzione francese TeMa in Discussione 3 15

zione. Esaminando la letteratura settecentesca sull’argomento, ha individuato soprattutto


in Rousseau il principale promotore di un concetto discriminatorio di «virtù», utilizzato
per polemizzare contro la dissolutezza della famiglia regnante e di quelle aristocratiche;
e l’enorme influenza esercitata da Rousseau sui capi rivoluzionari, e sui giacobini in par-
ticolare, consente di spiegare perché proprio il gruppo politicamente più avanzato sia
stato anche quello che si fece promotore della più severa repressione antifemminile. In un
libro più recente, infine (Visualizing the Nation. Gender, Representation, and Revolution
in Eighteenth-Century France, del 2001), Landes ha ripreso la strada analitica aperta da
Hunt, studiando il significato simbolico e allegorico delle nume- profili
rosissime immagini femminili che si incontrano nella pubblicistica Joan Landes Insegna Storia delle donne
rivoluzionaria. alla Pennsylvania State University.

Bibliografia le fonti
A. Soboul, Feudalesimo e stato rivoluzionario. Problemi della Rivoluzione francese, Guida, Napoli
1973.
A. Mathiez - G. Lefebvre, La Rivoluzione francese, Einaudi, Torino 1975.
F. Furet, Critica della Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari 1980.
A. Cobban, Il mito della Rivoluzione francese, in Il mito della Rivoluzione francese, a cura di Massimo
Terni, Il Saggiatore, Milano 1981.
G.V. Taylor, Ricchezza non capitalistica e le origini della Rivoluzione francese, in Il mito della
Rivoluzione francese, cit.
T.C.W. Blanning, Aristocrazia e borghesia nella Rivoluzione francese, Sansoni, Firenze 1989.
A. de Tocqueville, L’Antico regime e la Rivoluzione, Rizzoli, Milano 1993.

altre letture
B. Bongiovanni - L. Guerci (a cura di), L’albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della Rivoluzione
francese, Einaudi, Torino 1989.
L. Hunt, La Rivoluzione francese. Politica, cultura, classi sociali, il Mulino, Bologna 1989.
E.J. Hobsbawm, Echi della Marsigliese: due secoli giudicano la Rivoluzione francese, Rizzoli, Milano
1991.
F. Furet - M. Ozouf (a cura di), Dizionario critico della Rivoluzione francese, Bompiani, Milano 1994.

esercizi
1. Rispondi brevemente alle seguenti domande. c. Quali sono, secondo Tocqueville, gli elementi di continuità
che legano la Francia postrivoluzionaria a quella dell’ancien
a. Su che cosa si fonda il parallelismo, operato da Thierry e régime? In che modo l’intellettuale francese spiega l’esplosio-
Guizot, tra la Rivoluzione francese e quella inglese del XVII ne rivoluzionaria?
secolo? d. Perché, secondo Taine, la Rivoluzione avrebbe rallentato il
b. In che modo gli storici liberali di inizio Ottocento hanno processo di modernizzazione della Francia?
interpretato la partecipazione del popolo all’azione rivoluzio- e. Quale modello teorico e ideologico è utilizzato da Jaurès
naria? Quale valore acquista invece nell’analisi di Michelet? per studiare la Rivoluzione?

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16 TeMa in Discussione 3 La Rivoluzione francese

f. In che cosa consiste l’interpretazione «ortodossa» della Rivo- h. Quale funzione ebbero, secondo la Hunt, le «parole» e i
luzione francese prodotta da Mathiez, Lefebvre e Soboul? «simboli» della Rivoluzione?
Con quali argomenti la storiografia revisionista ne ha contestato i. In che modo la storica nordamericana Landes spiega la
l’impianto? discriminazione politica delle donne durante la Rivoluzione?
g. Per confrontare le diverse interpretazioni del Terrore elabo-
rate dagli storici della Rivoluzione, completa brevemente sul 2. Scegli tra le seguenti tesi storiografiche quella che
tuo quaderno le frasi contenute in tabella. ritieni più convincente. Motiva brevemente la tua rispo-
sta citando opportunamente le tesi storiche studiate.
Thierry, Guizot, La Rivoluzione compiuta da Robespierre e
Thiers, Mignet dai giacobini è sostanzialmente diversa da a. La Rivoluzione del 1789 è stato un evento regressivo nella
quella dell’89, perché... storia politica francese. Essa infatti da una parte ha rallentato
il processo di trasformazione sociale ed economica già in atto
Tocqueville La violenza che connotò gli anni della mentre dall’altra ha radicalizzato in modo violento il confronto
dittatura giacobina nacque dalla politico.
combinazione tra... b. Nonostante la sua radicalità, la Rivoluzione francese ha solo
Taine Il Terrore fu il momento più brutale di una accelerato quel processo di costruzione dello Stato accentrato,
Rivoluzione che... già in atto durante l’ancien régime, trasferendo alla «nazione» i
poteri e le prerogative tipiche del monarca assoluto.
Aulard La politica repressiva del biennio 1793-94 c. La Rivoluzione francese fu il risultato di uno scontro di classe
fu dettata da... che vide opposte la nobiltà parassitaria e la borghesia in ascesa.
La vittoria della borghesia rappresenta pertanto il momento
Furet Il Terrore fa parte integrante dell’ideologia
culminante e irreversibile della transizione dal feudalesimo al
rivoluzionaria, perché...
capitalismo.

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