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La maschera

Spesso un orrore ignoto o appena percepito puo' pesare di piu' sul cuore dell'uomo della
catastrofe con tutta la sua immane potenza distruttrice. Infatti, se, travolti da questa, siamo
ormai certi della sconfitta definitiva e la paura si mitiga nell'accettazione della fine, invece
un particolare anche piccolo, ma sottilmente allusivo, puo' suggerire al nostro inconscio
realta' sconcertanti che precludono ogni possibilita' di reazione e ci inchiodano davanti
all'oscuro presentimento della morte.
Un bel pomeriggio d'estate mi trovavo in viaggio verso Arkham, nel New England,
animato da ingenue speranze di collaborare al quotidiano locale; la mia sicurezza era, lo
ammetto, in gran parte dovuta a un piccola busta gialla che tenevo gelosamente custodita
nella tasca interna del vestito. Conteneva una lettera di raccomandazione da parte di un
influente personaggio. Ero ormai certo di avere il posto assicurato, e solo un piccolo bosco
mi separava dalla cittadella in cui riponevo le mie speranze di successo. Camminavo
baldanzosamente, anche grazie ad un bagaglio molto esiguo: con uno zaino sapevo fare
miracoli. Il bosco era deliziosamente fresco e privo, per mia fortuna, di quegli insetti
fastidiosissimi che costituiscono uno dei piu' noiosi inconvenienti della stagione. Anzi, non
considerando il lieve stormire delle fronde mosse da qualche alito di brezza, non si sentiva
alcuno di quei rumori familiari che solitamente animano i boschi. Allora non ci feci caso;
ma adesso, ricomponendo le tessere di quel confuso pomeriggio, questo particolare mi
colpisce con irrazionale intensita', come fosse stato un presagio inviatomi da quanto ancora
in quel bosco vi era di incorrotto.
Il sole non era ancora calato all'orizzonte ed io contavo di raggiungere Arkham in non piu'
di due ore di cammino a passo spedito, senza percio' essere costretto a passare la notte
all'addiaccio, accampato nel bosco. Il destino, pero', mi fu avverso: spaventato da un
piccolo uccello dai colori sgargianti sbucato chissa' come da un tronco marcito, trasalii e
persi l'equilibrio, finendo col capo su una grossa radice. L'urto mi fece perdere i sensi
e, quando ripresi coscienza, il buio nel bosco era cosi' fitto da vanificare irrimediabilmente
le mie speranze di poter passare la notte in un comodo letto di citta'. Avvolto nell'oscurita',
mossi qualche passo incerto; a distanza di pochi metri, scorsi delle fioche luci che
riuscivano a farsi strada fra i rami fitti e le larghe foglie degli alberi. Per un attimo, ebbi
l'impressione di essere inspiegabilmente arrivato ad Arkham la quale, stando alle mie carte,
doveva pero' essere ben piu' a nord. Ma, facendomi strada tra felci ed arbusti, notai che si
trattava di una singola abitazione. Era una baita di conformazione molto curiosa, e devo
confessare di non averne mai vista una anche lontanamente simile nelle mie successive
peregrinazioni in Europa e in America. Passato lo stupore iniziale per la stranezza di
quella costruzione, mi rinfrancai alquanto. Il destino, che prima mi aveva giocato un brutto
tiro, evidentemente mi presentava le sue scuse: almeno avrei potuto trascorrere la notte fra
gente civile. Non mi sfioro' neppure, nella mia ottusa contentezza, l'idea di come un uomo
potesse vivere in mezzo a un bosco privo di sentieri battuti e, soprattutto, come potesse
essere stata costruita una casa come quella in luogo quasi irraggiungibile. Avesse voluto il
cielo che non mi fossi sentito tanto stupidamente sollevato dal timore di dovermi
accampare! Sicuramente avrei ragionato, e... allora si', avrei CAPITO!
Comunque avanzai e raggiunsi in pochi minuti il cortile antistante la baita. La vegetazione
si diradava parecchio e anche l'erba che aveva accompagnato il mio cammino lasciava il
posto alla nuda terra, di uno strano aspetto grigiastro e poroso. Le finestre, seppure
schermate, erano illuminate, segno che la casa era abitata. Bussai energicamente al battente
e mi fu aperto.
-Buonasera. Mi sono attardato un po' troppo sulla strada per Arkham- spiegai -e credo ormai
di non poterci arrivare prima di domattina. Spero di non disturbarla troppo se le chiedo
riparo per questa notte. Beninteso, ripartiro' domattina all'alba senza darle alcun fastidio.
-Certamente- rispose l'uomo che mi aveva aperto -Il sole, da queste parti, fa brutti scherzi e
i pomeriggi sono sempre piu' corti di quanto ci si aspetterebbe. Ma entri pure, e lasci il suo
bagaglio. Ogni tanto fa piacere vedere un'anima viva. Questa casa, purtroppo, e'
terribilmente isolata-
Cosi' dicendo, mi fece strada, attraverso una piccola volta, verso l'interno.
Il mio ospite era un uomo di statura sorprendentemente alta e di eta' imprecisabile. Aveva
capelli lunghi ed una foltissima barba nera che gli copriva completamente il volto dal naso
in giu' e portava spessi occhiali di corno. Indossava una lunga vestaglia, anch'essa nera e
somigliante ad una tunica orientale, calzava inoltre stivali e guanti. Ricordo che mi colpi'
molto la sua voce, simile ad un ronzio. Pensai infatti che avesse perduto le corde vocali e
parlasse attraverso uno di quegli apparecchi artificiali di nuova costruzione. Poco dopo mi
chiese se volessi mangiare qualcosa, ma dovetti prepararmi da solo un paio di sandwich
perche' lui aveva l'aria di non sapere nemmeno cosa fossero. Dopo cena mi sprofondai in
una poltrona per riposare mentre il mio ospite, che mi dava le spalle, era intento a leggere
un polveroso librone antico con l'aiuto di una lente di ingrandimento dalla foggia
inconsueta. Non sembrava in vena di chiacchierare e pensai dovesse essere un professore
che amava la solitudine o qualcosa del genere. Si', forse un professore di dottrine orientali a
giudicare dal suo abbigliamento e dal suo accento indefinibile. Mi chiedevo anche se ad
Arkham avrei trovato un'universita', per aver modo di conoscere qualche ragazza. Immerso
in questi piacevoli pensieri, stavo per essere vinto dal sonno. Per non addormentarmi nella
poltrona (sarebbe stato alquanto sconveniente) mi alzai soffocando uno sbadiglio e
comunicai al mio ospite il proposito di ritirarmi. Sebbene apparisse alquanto seccato di
dover interrompere la sua occupazione, si comporto' in maniera molto cortese e mi guido' al
piano superiore fino alla soglia della mia stanza, augurandomi di passare una piacevole
notte. Appena fui solo, detti un'occhiata alla stanza: non c'era di che lamentarsi. Sembrava
una di quelle camere che si potevano trovare, con un po' di fortuna, negli alberghi delle
localita' montane: pareti di legno, camino in pietra, letto ampio ed invitante. Il tutto era
completato da un'antica scrivania anch'essa di legno le cui gambe ricurve erano intarsiate
con una serie di figure indecifrabili ma pittoresche. La finestra, pero', era priva di tende e
questo rappresentava un fastidioso inconveniente, visto che una bella luna piena illuminava
la stanza. Scartai subito il pensiero di disturbare ulteriormente il mio ospite e mi rassegnai,
anche perche' una breve ricerca nei cassetti non diede alcun frutto, a dormire in quelle
condizioni. Diedi un'ultima occhiata alla mia preziosa lettera e la infilai nuovamente nella
tasca interna della giacca da viaggio, avendo cura di non spiegazzarla o sgualcirla. Quindi
mi svestii, posando i miei abiti su di una sedia e mi sdraiai pesantemente sul letto, esausto
com'ero e con la testa dolorante per la botta ricevuta nel pomeriggio. Date le mie
condizioni, avrei dovuto addormentarmi subito, ma non riuscivo a rilassarmi
completamente. Il pallido chiarore lunare prolungava innaturalmente le ombre degli oggetti
della stanza, facendo loro assumere dimensioni aliene e sottilmente inquietanti. Quelle
grottesche deformazioni, frutto sia della luce che entrava dalla finestra che della mia mente
assonnata che non voleva cedere al torpore sempre piu' insistente, avevano finito per
sollecitarmi la fantasia, ed in me si risvegliavano pensieri innaturali e contorti che invano
cercavo di allontanare. Dopo una tormentatissima ora, durante la quale tentai in tutti i modi
di addormentarmi, mi venne sete e decisi di scendere a bere un bicchier d'acqua. Ero
anche incuriosito dalla prolungata attivita' del mio ospite, la cui lampada da tavolo
sembrava ancora accesa nonostante l'ora tarda. Cio' che stava leggendo in quel grosso
volume doveva essere, pensai, davvero molto interessante per trattenerlo in piedi tanto a
lungo. Quando scesi la lunga rampa di scale che separava i due piani, ci fu un pietoso
tentativo di farmi credere di essermi ingannato, poiche' l'uomo non era affatto alla scrivania,
anzi la casa appariva perfettamente tranquilla. Cercai la cucina, ma non era piu' dove
credevo che fosse: diedi la colpa di questo alla mia mente, troppo intorpidita per
permettermi di ricordare l'esatta topografia della casa. Dopo qualche peregrinazione che mi
risulto' assai penosa, perche' ormai appariva chiaro che non mi trovavo nella stessa casa di
prima, notai che appoggiata per terra, in un angolo, c'era una bottiglia piena di un liquido
che sembrava acqua. La stappai e annusai il suo contenuto: non era acqua. Decisi che avrei
rinunciato a bere, per quella notte. Comunque fosse, ritrovai la scala che portava al piano
superiore, anche se sulla parete erano adesso appesi dei quadri sinistri, dipinti in maniera
cosi' oscura e enigmatica da confondere lo sguardo, che senza dubbio prima non c'erano.
Per quanti sforzi faccia adesso, non riesco piu' a ricordarne i soggetti, anche se mi e' rimasta
impressa in maniera particolare una figura nebulosa che si trovava in uno di essi. Faceva
parte di una gruppo di persone che assistevano urlando ad una scena indefinibile, fra l'altro
dipinta molto male (i personaggi apparivano tutti orrendamente deformi al punto da non
sembrare quasi uomini). L'artista doveva essere un principiante in quanto a figure umane,
ma era abbastanza bravo ad inventare i paesaggi e le atmosfere. Questa figura (ma
comincio a credere che si tratti di un errore della memoria e non sono piu' tanto sicuro di
averla vista davvero) aveva una lunga barba che copriva il viso, una tunica nera di foggia
orientale e spessi occhiali di corno. Calzava guanti e stivali, e sembrava animata (questa
dev'essere un'altra mia impressione, perche' non le si vedeva la bocca ne' il viso) da un
ghigno animalesco che per un istante mi fece rabbrividire. Pensai che, se gia' prima la mia
immaginazione era eccitata, adesso non avrei preso sonno per un bel pezzo. Mi voltai,
mentre salivo gli ultimi gradini, a dare un'ultima occhiata a quei quadri. Da li' sembrava non
vi fosse dipinto assolutamente nulla, solo una nera oscurita' che inghiottiva la cornice, la
ringhiera, e lo stesso sguardo dello spettatore. Pensai che erano decisamente troppo scuri e
che li avrei guardati, se ne avessi avuto voglia, la mattina. Dopo non ci pensai piu', anche
perche' avevo un altro problema: le porte delle camere del piano superiore erano tutte
uguali, e non ricordavo quale fosse la mia. Mentre mi aggiravo nel corridoio, facendo
scorrere la mano sulla balaustra intagliata che dava sull'androne del piano sottostante, ebbi
di nuovo l'impressione di un lieve chiarore, come se la lampada da tavolo al piano di sotto
fosse accesa. Mi affacciai e controllai di nuovo che non ci fosse nessuno al piano di sotto,
ricordandomi delle frequenti storie di ladri che derubano e uccidono gli abitanti delle case
isolate, storie che non potevano essere del tutto infondate. Era tutto silenzioso, e la lampada
era spenta, proprio come mi aspettavo. Tornai ad esaminare le porte nel vano tentativo di
individuare la mia camera, finche' ne trovai una che mi sembrava quella giusta. Non era
neanche chiusa a chiave, come mi accertai dopo aver ruotato il pomolo della maniglia.
Aprii la porta facendo attenzione a che non scricchiolasse, e tirai un sospiro di sollievo.
Ecco il camino di pietra, gli attrezzi da fuoco nell'angolo, la scrivania... no. Mi accorsi di
essermi sbagliato, la finestra non era al suo posto. Senza pensarci, dovevo essere finito in
un'altra stanza, forse quella del mio ospite. Il letto era occupato da un'informe massa celata
sotto le coperte che, non so per quale motivo, non mi diede la precisa impressione di un
corpo umano. Ma, con la scarsa luce che entrava dalla finestra, non potevo essere sicuro di
niente. Il rantolo affannoso che proveniva da sotto le coperte mi testimoniava pero' che
l'occupante della stanza stava dormendo profondamente. Stavo gia' uscendo,
richiudendomi dietro la porta e ringraziando la mia buona sorte per non aver svegliato
nessuno, quando posai lo sguardo sulla sedia della scrivania, dove erano ammassati degli
abiti.
E allora VIDI, vidi quello che mi fece scappare lontano da quella porta, dalla mie cose,
dalla mia preziosa lettera di raccomandazione, lontano da quella casa maledetta.
Perche' sulla sedia, insieme alla lunga, informe tunica nera, ai guanti e agli occhiali di
corno, c'era la MASCHERA della CREATURA che mi aveva ospitato!

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