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Udienza di Giovanni Paolo II.

  

La piena partecipazione alla liturgia, cuore della riforma liturgica, comporta una
piu' piena comprensione dell'insegnamento del Concilio Vaticano II

Traduzione del discorso rivolto dal Papa il 9 ottobre 1998 ai Vescovi di Washington, dell'Oregon, dell'Idaho, del Montana e dell'Alaska


in visita «ad limina»

Cari Fratelli Vescovi,
1. Con amore fraterno nel Signore vi do il benvenuto, Pastori della Chiesa negli Stati Uniti nord­occidentali, in
occasione della vostra visita ad Limina. Questa serie di visite dei Vescovi del vostro Paese sulle tombe degli Apostoli
Pietro e Paolo, al Successore di Pietro e ai suoi collaboratori al servizio della Chiesa universale, si svolge mentre tutto
il Popolo di Dio si prepara a celebrare il Grande Giubileo dell'Anno 2000 e ad entrare in un nuovo millennio cristiano.
Il bimillenario della nascita del Salvatore è un'esortazione a tutti i seguaci di Cristo a cercare una conversione
autentica a Dio e un grande progresso verso la santità. Poiché la liturgia occupa un ruolo centrale nella vita cristiana,
desidero oggi riflettere su alcuni aspetti del rinnovamento liturgico, promosso tanto vigorosamente dal Concilio
Vaticano II quale primo agente di un più ampio rinnovamento della vita cattolica.
Guardare indietro a quanto è stato fatto nel campo del rinnovamento liturgico negli anni successivi al Concilio
significa in primo luogo scoprire molte ragioni per rendere grazie e lodare la Santissima Trinità per la meravigliosa
consapevolezza sorta fra i fedeli circa il ruolo che svolgono e la responsabilità che hanno in questa opera sacerdotale
di Cristo e della sua Chiesa. Significa anche comprendere che non tutti i cambiamenti sono stati sempre e ovunque
accompagnati dalle spiegazioni e dalla catechesi necessarie. Di conseguenza, in alcuni casi c'è stato un
fraintendimento della natura autentica della liturgia che ha portato ad abusi, polarizzazione e a volte a gravi scandali.
Dopo l'esperienza di più di trent'anni di rinnovamento liturgico, possiamo valutare sia le forze sia le debolezze di ciò
che è stato fatto per poter pianificare con maggiore fiducia il nostro cammino nel futuro che Dio ha in mente per il
nostro amato Popolo.

2. La sfida consiste ora nell'andare al di là dei fraintendimenti che si sono verificati e raggiungere il punto esatto di
equilibrio, in particolare entrando più profondamente nella dimensione contemplativa del culto che include la
soggezione, la riverenza e l'adorazione che sono fondamentali atteggiamenti nel nostro rapporto con Dio. Ciò accadrà
solo se riconosceremo che la liturgia ha dimensioni sia locali sia universali, legate al tempo ed eterne, orizzontali e
verticali, soggettive e oggettive. Sono proprio queste tensioni che conferiscono al culto cattolico il suo carattere
distintivo. La Chiesa universale è unita in un grande atto di lode, ma è sempre il culto di una comunità particolare in
una cultura particolare. È l'eterno culto del Cielo, ma è anche immersa nel tempo. Riunisce ed edifica una comunità
umana, ma è anche il «culto della maestà divina» (Sacrosanctum concilium, n. 33). È soggettivo in quanto dipende
essenzialmente da ciò che i fedeli portano ad esso. È anche oggettivo perché li trascende come l'atto sacerdotale di
Cristo stesso al quale egli ci associa ma che alla fine non dipende da noi (cfr. Ibidem, n. 7). Per questo è molto
importante che si rispetti la legge liturgica. Il sacerdote, che è il servitore della liturgia, non il suo inventore o
produttore, ha una responsabilità particolare a questo proposito per evitare di svuotare la liturgia del suo vero
significato o di oscurare il suo carattere sacro. Il fulcro del mistero del culto cristiano è il sacrificio di Cristo offerto al 
Padre e l'opera del Cristo risorto che santifica il suo Popolo attraverso segni liturgici. È dunque essenziale che nel
cercare di entrare maggiormente nelle profondità contemplative del culto, il mistero inesauribile del sacerdozio di
Gesù Cristo venga pienamente riconosciuto e rispettato.
Tutti i battezzati condividono l'unico sacerdozio di Cristo, ma non tutti allo stesso modo. Il sacerdozio ministeriale,
radicato nella Successione apostolica, conferisce al sacerdote ordinato facoltà e responsabilità che sono diverse da
quelle dei laici, ma che sono al servizio del sacerdozio comune e sono volte a dispiegare la grazia battesimale di tutti i 
cristiani (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1547). Il sacerdote quindi non è soltanto uno che presiede, ma uno 
che agisce nella persona di Cristo.
3. Solo rimanendo radicalmente fedeli a questo fondamento dottrinale possiamo evitare interpretazioni unilaterali e
monodimensionali dell'insegnamento del Concilio. La condivisione da parte di tutti i battezzati dell'unico sacerdozio
di Gesù Cristo è la chiave per comprendere la chiamata del Concilio a «quella piena, consapevole e attiva
partecipazione» alla liturgia (Sacrosanctum concilium, n.14). Piena partecipazione significa certamente che tutti i
membri della comunità hanno un ruolo da svolgere nella liturgia e a questo proposito si è ottenuto molto nelle
parrocchie e nelle comunità nel vostro Paese. Tuttavia piena partecipazione non significa che tutti possono fare tutto,
poiché ciò condurrebbe a una clericalizzazione del laicato e a una laicizzazione del sacerdozio e questo non era nelle
intenzioni del Concilio. La liturgia, come la Chiesa, deve essere gerarchica e polifonica e rispettare i diversi ruoli
assegnati da Cristo, permettendo a tutte le differenti voci di fondersi in un unico grande inno di lode.
 Partecipazione attiva significa certamente che nei gesti, nelle parole, nei canti e nei servizi, tutti i membri della
comunità prendono parte a un atto di culto che non è affatto inerte o passivo. Tuttavia, una partecipazione attiva non
impedisce la passività attiva del silenzio, dell'immobilità e dell'ascolto: di fatto la richiede. I fedeli non sono passivi,
per esempio, quando ascoltano le letture o l'omelia o seguono le preghiere del celebrante e i canti e la musica della
liturgia. Queste sono esperienze di silenzio e d'immobilità, ma sono a modo loro anche profondamente attive. In una
cultura che non favorisce né promuove la quiete meditativa, l'arte dell'ascolto interiore si apprende solo con difficoltà.
Comprendiamo allora come la liturgia, sebbene debba essere sempre inculturata correttamente, deve anche essere
controculturale.
La partecipazione consapevole esige che la comunità venga correttamente istruita sui misteri della liturgia per
evitare che l'esperienza del culto degeneri in una forma di ritualismo. Tuttavia, questo non è un tentativo costante
nell'ambito della liturgia stessa di trasformare l'implicito in esplicito, poiché ciò porta spesso a una verbosità e a
un'informalità estranee al Rito Romano e finisce per banalizzare l'atto di culto. Non è neanche la soppressione di tutta
l'esperienza subcosciente che è vitale in una liturgia alimentata da simboli che parlano al subconscio proprio come
alla dimensione cosciente. L'uso del vernacolo ha certamente aperto i tesori della liturgia a quanti vi partecipano, ma
ciò non significa che la lingua latina, in particolare nei canti che sono così superbamente adatti alla natura del Rito
Romano, debba essere completamente abbandonata.
Se nel culto si ignora l'esperienza inconscia, si crea un vuoto affettivo e devozionale e la liturgia può diventare non
solo troppo verbale, ma anche troppo cerebrale. Tuttavia, il Rito Romano trova il giusto equilibrio fra frugalità e
ricchezza di emozioni: nutre il cuore e la mente, il corpo e l'anima.
Si è scritto giustamente che nella storia della Chiesa tutto il vero rinnovamento è stato collegato a una rilettura dei
Padri della Chiesa. Ciò che è vero in generale, è vero per la liturgia in particolare. I Padri erano Pastori con uno zelo
ardente per il compito di diffondere il Vangelo; e quindi erano profondamente interessati a tutte le dimensioni del culto
e ci hanno lasciato alcuni dei più significativi e validi testi della tradizione cristiana che non sono affatto il risultato
di un mero estetismo. I Padri erano predicatori ardenti ed è difficile immaginare che possa esserci un effettivo
rinnovamento della predicazione cattolica, così come auspicava il Concilio, senza una familiarità sufficiente con la
tradizione patristica. Il Concilio promosse un movimento verso una predicazione simile all'omelia che, come i Padri,
avrebbe spiegato il testo biblico in modo da offrire ai fedeli ricchezze inesauribili. L'importanza che la predicazione ha 
assunto nel culto cattolico a partire dal Concilio indica che i sacerdoti e i diaconi dovrebbero essere formati a fare un 
buon uso della Bibbia. Tuttavia, ciò implica una familiarità con tutta la tradizione patristica, teologica e morale così 
come una conoscenza profonda delle loro comunità e della società in generale. Altrimenti si darebbe l'impressione di 
un insegnamento privo di radici e di applicazione universale inerente al messaggio evangelico. La sintesi eccellente 
della ricchezza dottrinale della Chiesa, contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica, deve essere percepita ancor 
più come uno strumento di predicazione cattolica.
4. È essenziale tenere bene a mente che la liturgia è intimamente legata alla missione evangelizzatrice della Chiesa.
Se non procederanno di pari passo, vacilleranno entrambe.
Fino a quando gli sviluppi nel rinnovamento liturgico saranno superficiali e squilibrati, le nostre energie rivolte alla
nuova evangelizzazione ne risulteranno compromesse e fino a quando le nostre concezioni saranno inferiori alle
aspettative della nuova evangelizzazione, il nostro rinnovamento liturgico si ridurrà a un adattamento esterno e
probabilmente anche erroneo. Il Rito Romano è stato sempre una forma di culto rivolta alla missione. È per questo che
è relativamente breve: c'era tanto da fare al di fuori della chiesa! È per questo che utilizziamo l'espressione finale «Ite,
missa est», che ci dà il termine «Messa»: la comunità viene mandata avanti per evangelizzare il mondo
nell'obbedienza al comando di Cristo (cfr. Mt 28, 19­20).
In quanto Pastori, siete pienamente consapevoli dell'ardente sete di Dio e del desiderio di preghiera del Popolo di oggi.
La Giornata Mondiale della Gioventù a Denver è la prova del fatto che anche le generazioni più giovani di americani
anelano a una fede profonda ed esigente in Gesù Cristo. Desiderano svolgere un ruolo attivo nella Chiesa, ed essere
inviati in nome di Cristo a evangelizzare e a trasformare il mondo che li circonda. I giovani sono pronti a impegnarsi
nel messaggio evangelico se viene presentato loro in tutta la sua nobiltà e la sua forza liberatrice. Continueranno a
partecipare attivamente alla liturgia se comprenderanno che essa può condurli a un profondo rapporto personale con
Dio. È proprio da questa esperienza che scaturiranno vocazioni sacerdotali e religiose, caratterizzate da un'autentica
energia evangelica e missionaria. In questo senso i giovani chiamano tutta la Chiesa a fare il prossimo passo nella
realizzazione dell'idea di culto che il Concilio ci ha trasmesso. Privi del peso delle ideologie di un tempo, sono in
grado di parlare semplicemente e direttamente del loro desiderio di vivere Dio, in particolare nella preghiera, sia
pubblicamente sia privatamente. Nell'ascoltarli, cari Fratelli, potremo udire «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap
2, 11).

5. Nel corso della nostra preparazione al Grande Giubileo dell'Anno 2000, l'anno 1999 sarà dedicato alla persona del
Padre e alla celebrazione del suo amore misericordioso.
Le iniziative del prossimo anno dovrebbero sottolineare in particolare la natura della vita cristiana quale «grande
pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l'amore incondizionato per ogni creatura umana,
ed in particolare per il figlio perduto» (Tertio Millennio adveniente, n. 49). Al centro dell'esperienza del pellegrinaggio
si trova il nostro viaggio di peccatori nelle profondità insondabili della liturgia della Chiesa, la liturgia della
Creazione, la liturgia del Cielo, che alla fine sono tutte culto di Gesù Cristo, il Sacerdote Eterno, nel quale la Chiesa e
tutto il creato sono condotti alla vita della Santissima Trinità, nostra vera dimora.
Questo è lo scopo di tutto il nostro culto e di tutta la nostra evangelizzazione.
Al centro della comunità di culto, troviamo la Madre di Cristo e la Madre della Chiesa che, dalle profondità della sua
fede contemplativa, presenta la Buona Novella, che è Gesù Cristo stesso. Prego con voi affinché i cattolici americani,
nel celebrare la liturgia, abbiano nel cuore lo stesso suo canto: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito
esulta in Dio, mio salvatore... grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome» (Lc 1, 46­50). Affidando i
sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici delle vostre Diocesi all'amorevole protezione della Beata Madre, imparto di cuore
la mia Benedizione Apostolica.

© L'OSSERVATORE ROMANO Domenica 11 Ottobre 1998

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